0 / 2012 NotiziarioINCAonline

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Il Notiziario Inca, con i suoi oltre cinquant'anni di di tante lavoratrici e lavoratori che, dovendo fare i conti con un innalzamento del requisito minino di contribuzione da 15 a 20 anni, potrebbero perdere la possibilità di utilizzare i versamenti effettuati ai fini del diritto della pensione, se dovessero risultare inferiori ai 20 anni.

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NotiziarioONLINE | N.1 / 2012

❚ PREVIDENZA E ASSISTENZA

❚ SALUTE E SICUREZZA

❚ IMMIGRAZIONE

❚ DIRITTI DI GENERE

❚ WELFARE STATE IN EUROPA

❚ DIRITTI E TUTELE NEL MONDO

direttore responsabileLisa Bartoli

redazioneSonia Cappelli

Patronato Inca cgilVia G. Paisiello 4300198 RomaTel. (06) 855631Fax (06) 85352749E-mail: comunicazione-informazione@inca.it

proprietà e amministrazioneEdiesse srlViale di Porta Tiburtina 3600185 RomaTel. (06) 44870283/260Fax (06) 44870335

Progetto grafico: Antonella Lupi

© EDIESSE SRLImmagini tratte dal volume Cgil. Le raccolte d’arte, 2005

CHIUSO IN REDAZIONEIL 18 MAGGIO 2012

N 1/2012 Rivista Mensile | Inca Cgil

EditorialeNuova editoria on line 5

❚di Lisa Bartoli

PREVIDENZA E ASSISTENZAPensioni di vecchiaia 7Se 20 anni vi sembran pochi ❚ di Caterina Di Francesco

SALUTE E SICUREZZAIntaccati ma invisibili 13Quando il mal di amianto è senza indennizzo❚di Giancarlo Moro

Vittime da sangue infetto 19❚ di Maria Patrizia Sparti

Dopo Eternit 23❚di Franca Gasparri

IMMIGRAZIONEFilo rosso tra emigrazione e immigrazione 27❚ di Claudio Piccinini

DIRITTI DI GENERELa Costituzione parla alle donne 33❚ di Morena Piccinini

Dalle mondine ai call center 39❚di Anna Maria Righi

WELFARE STATE IN EUROPAParità uomo/donna 45❚di Carlo Caldarini

DIRITTI E TUTELE NEL MONDOCome uscire dalla trappola dell’austerità? 57❚di Vittorio Longhi

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NotiziarioINCA

Sommario

Editoriale

Giacomo Manzù, Il nostro domani si chiama lavoro, 1977

* Responsabile Ufficio stampa Inca Cgil nazionale

Edito

riale

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NotiziarioINCA

I l «Notiziario Inca», con i suoi oltre cinquan-t’anni di storia, si rinnova; e lo fa scegliendo ilmondo del social network per essere più tempe-

stivo nel rapporto con i propri lettori. Una scelta che,oltre a farci risparmiare un bene prezioso, comequello della carta, permette di intercettare un targetpiù eterogeneo e meno specialistico: quello giovanile,per esempio, al quale ci rivolgiamo per fornire un’in-formazione di servizio su temi importanti, come lepensioni, gli ammortizzatori sociali, le malattie pro-fessionali e gli infortuni, nonché sulle prestazioni as-sistenziali, maternità e invalidità civile. Ambiti neiquali si estende l’azione di tutela del patronato dellaCgil e per i quali è fortemente carente un’informa-zione puntuale. In questo numero ci occuperemo delle principalicriticità contenute nella legge di riforma delle pen-sioni, a cominciare dalle cosiddette «posizioni silen-ti» di tante lavoratrici e lavoratori che, dovendo fa-re i conti con un innalzamento del requisito mini-no di contribuzione da 15 a 20 anni, potrebberoperdere la possibilità di utilizzare i versamenti ef-fettuati ai fini del diritto della pensione, se dovesse-ro risultare inferiori ai 20 anni. È facile intuire che a soffrirne saranno soprattuttole donne, le cui carriere spesso si concludono all’etàdella pensione di vecchiaia, ma con un’anzianitàcontributiva bassa. L’aumento di questo requisito,perciò, non fa che aggravare la loro condizione, pe-nalizzandole sotto il profilo della misura della pre-stazione finale, ma anche per ciò che riguarda latutela. Infatti, una lavoratrice, che non riesce a rag-

giungere i 20 anni di versamenti, avrebbe come al-ternativa solo il cosiddetto assegno sociale, che pe-raltro potrà riscuotere ben oltre i 65 anni, seguen-do l’incremento dell’indice di speranza di vita.Nello stesso numero rendiamo conto di un’impor-tante sentenza della Corte Costituzionale, chiama-ta a pronunciarsi a seguito di un ricorso istruitodalla consulenza legale dell’Inca, che riconosce allevittime del sangue infetto il diritto alla rivaluta-zione dell’Indennità integrativa speciale nel suocomplesso, finora assicurata solo per una quota resi-duale. E poi ci occupiamo di amianto: dopo la con-danna in primo grado a 16 anni di reclusione in-flitta ai proprietari della multinazionale Eternit,pronunciata il 13 febbraio scorso dal Tribunale diTorino, e dopo la pubblicazione delle motivazionidella sentenza, facciamo il punto con l’avvocatoGiancarlo Moro su quanto ancora resta da fare peraffrontare i problemi irrisolti: dalla bonifica am-bientale, ancora da realizzare, alla tutela delle tantevittime che ancora attendono giustizia. Completano questo primo numero del Notiziario online alcuni articoli sull’attività di tutela dell’Inca peri lavoratori stranieri; una ricerca sulla parità di ge-nere in Europa dell’Osservatorio delle politiche so-ciali dell’Inca; due saggi della sociologa Anna MariaRighi e della presidente dell’Inca, Morena Piccinini,che spiegano i cambiamenti del lavoro delle donne el’attualità della nostra Carta Costituzionale ❚

Nuova editoria on line ❚ di Lisa Bartoli*

PREVIDENZA E ASSISTENZA

Cagnaccio di San Pietro (Natalino Bentivoglio Scarpa), Lacrime della cipolla, 1929

* Area previdenza e assistenza Inca Cgil nazionale

Dal 2012 il diritto alla pensione divecchiaia si consegue esclusiva-mente con 20 anni di contribu-

zione, anche per coloro che, derogati dald.lgs. n. 503/92, potevano andare in pen-sione con 15 anni di contributi. Molti lavoratori che avevano cessato di la-vorare e di versare la contribuzione volonta-ria perché convinti che bastasse il vecchiorequisito, nonché le lavoratrici stagionali,agricole e precarie, rischiano di regalare iversamenti all’Inps senza avere in cambioalcuna pensione, alimentando le cosiddette«posizioni silenti». L’Inps, infatti, con la circolare n. 35 del 14marzo 2012, ha precisato che dal 2012 ildiritto alla pensione di vecchiaia si conse-gue esclusivamente con 20 anni di contri-buti. E la regola vale per tutti, senza distin-zione alcuna.Secondo i Ministeri del Lavoro e dell’Eco-nomia (nota n. 2680 del 22.02.2012), in-fatti, «non può essere ancora assicurata lapossibilità di accedere alla pensione di vec-chiaia con 15 anni di contribuzione ai sog-getti in favore dei quali, ai sensi dell’art. 2,comma 3, del d.lgs. 503/1992, opera anco-ra la deroga all’innalzamento a 20 anni (di-

sposto dai commi 1 e 2 del predetto artico-lo) del requisito contributivo. In merito, oc-corre infatti osservare che una lettura siste-matica del combinato disposto di cui aicommi 6 e 7 del d.l. 201/2011 porta a rite-nere definitivamente superato il regime del-le deroghe ai requisiti minimi di accesso al-la pensione di vecchiaia».Ciò significa che il requisito contributivo di15 anni, previsto dal decreto legislativo n.503/1992, non si applicherà più ai lavorato-ri che avevano già raggiunto 15 anni di con-tribuzione al 31.12.1992; ai dipendenti «di-scontinui» con almeno 25 anni di assicura-zione e occupati per almeno 10 anni, anchenon consecutivi, per periodi inferiori a 52settimane nell’anno solare; a coloro che sonostati autorizzati alla prosecuzione volontariaprima del 31.12.1992 (non rientranti tra iderogati dalla legge n. 214/2011).Questa restrizione colpisce in modo partico-lare le lavoratrici e i lavoratori che hannocessato di lavorare, le stagionali, le agricole ele precarie e che ora, improvvisamente, do-vranno raggiungere i 20 anni. Molte sarannoimpossibilitate ad incrementare la propriaposizione assicurativa. Si pensi, ad esempio,ad una lavoratrice convinta di poter andare

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Pensioni di vecchiaia Se 20 anni vi sembran pochi

❚ di Caterina di Francesco*

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in pensione di vecchiaia con 15 anni di con-tributi e che aveva deciso di non lavorarepiù, o ad una lavoratrice «discontinua» chegià con grande difficoltà riesce a maturare 15anni di contribuzione, figuriamoci 20! Lamaggior parte di queste posizioni divente-ranno «silenti», vale a dire che non produr-ranno loro nessun beneficio.Si troveranno nella stessa situazione anchecoloro che sono stati autorizzati alla prose-cuzione volontaria dei contributi prima del31.12.1992 che non rientreranno tra i be-neficiari della deroga prevista dalla legge n.214/2011. La legge Monti ha previsto, in-fatti, la conservazione dei precedenti requi-siti per l’accesso alla pensione a determinatecategorie di lavoratori (in mobilità, in asse-gno straordinario, esodati, ecc.), compresigli autorizzati alla prosecuzione volontariadei contributi prima del 4 dicembre 2011. Tale salvaguardia, tuttavia, è subordinata al-la disponibilità di risorse finanziarie: è pre-vista l’emanazione di un decreto intermini-steriale entro il 30 giugno 2012 che stabili-rà i criteri e il numero dei lavoratori in basealle risorse fissate. Successivamente l’Inps ef-fettuerà il monitoraggio delle domande dipensionamento di coloro che intendono av-valersi della deroga e fornirà l’elenco dei no-minativi dei beneficiari. Per la scarsità dellerisorse è evidente che tantissimi/e lavoratorie lavoratrici non rientreranno nella deroga.Pertanto, la situazione è veramente dram-matica e gli interessati vivono nella totaleincertezza, nell’attesa del decreto e dell’elen-co dei nominativi.Tra l’altro ci sono tantissime lavoratrici chehanno cessato da tempo l’attività lavorativa,autorizzate alla prosecuzione volontariaprima del 31.12.1992, che hanno smesso diversare al raggiungimento dei 15 anni di

contributi: si pensi, ad esempio, ad una la-voratrice con 12 anni di lavoro dipendenteche ha già versato 3 anni di contribuzionevolontaria. Anche queste, se non rientre-ranno nella deroga, difficilmente potranno«pagare» altri 5 anni di contributi: le loro po-sizioni assicurative diventeranno tutte «si-lenti» anche se nel passato hanno fattoenormi sacrifici economici nella certezza diottenere, al compimento dell’età, la pen-sione di vecchiaia.Per l’Inca si tratta di una interpretazione sba-gliata, poiché le deroghe per contribuzione de-vono continuare a valere anche dopo il 2011,come quelle dell’età. Infatti, la precedente mi-nore età anagrafica prevista per l’accesso allapensione di vecchiaia dal decreto legislativo n.503/1992 e il regime delle decorrenze (fine-stre) continuano ad applicarsi ai dipendentiprivati non vedenti o invalidi in misura noninferiore all’80%.L’incremento del requisito contributivo da 15a 20 anni è molto penalizzante determinan-do situazioni drammatiche che apriranno lastrada ad un notevole contenzioso legale.Viene pregiudicato, infatti, un diritto giàsorto in forza del quale si è ritenuto di lavo-rare meno, o di smettere di lavorare, o di nonversare più la contribuzione volontaria, nelconvincimento di essere in possesso in via de-finitiva del requisito per il diritto alla pen-sione, violando anche il principio di affida-bilità.

� L’innalzamento dell’età pensionabile

La legge n. 214/2011 innalza l’età pensio-nabile fissandola a:• 62 anni dal 2012, 63 anni e 6 mesi dal

2014, 65 anni dal 2016 e 66 anni dal

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NotiziarioINCA

Pensione di vecchiaia (tab. 1)

Anno Incremento Nuova età pensionabile (anni e mesi) Anzianità presunto Donne Uomini contributivasperanza Dipendenti Autonome Dipendenti Dipendenti (anni)di vita private del pubblico (privati, pubblici) (mesi) impiego e autonomi

2011 60 * 60 * 61 * 65 * 20

2012 62 ** 63 e 6 66 66 20

2013 3 62 e 3 63 e 9 66 e 3 66 e 3 20

2014 63 e 9 64 e 9 66 e 3 66 e 3 20

2015 63 e 9 64 e 9 66 e 3 66 e 3 20

2016 4 65 e 7 66 e 1 66 e 7 66 e 7 20

2017 65 e 7 66 e 1 66 e 7 66 e 7 20

2018 66 e 7 20

2019 4 66 e 11 20

2020 66 e 11 20

2021 3 67 e 2 *** 20

2022 67 e 2 20

2023 3 67 e 5 20

2024 67 e 5 20

2025 3 67 e 8 20

2026 67 e 8 20

* Attendere finestra mobile di 12 mesi se dipendente (privata/o o pubblica/o) e di 18 mesi se autonoma/o.** Possibilità di accedere al pensionamento a 64 anni di età se alla data del 31.12.2012 si posseggono 20 anni di contributi e 60 anni di età.*** Dal 2021 l’età pensionabile non può comunque essere inferiore a 67 anni.

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2018 per le lavoratrici dipendenti del set-tore privato;

• 63 anni e 6 mesi dal 2012, 64 anni e 6mesi dal 2014, 65 anni e 6 mesi dal 2016e 66 anni dal 2018 per le autonome (arti-giane, commercianti, coltivatrici dirette,colone, mezzadre);

• 66 anni per le dipendenti delle ammini-strazioni pubbliche e per tutti gli uomini(dipendenti, privati e pubblici, autonomi).

Tale età sarà adeguata in base all’incremen-to della speranza di vita: ogni 3 anni dal2013 e ogni biennio dal 2019. Dal 2021l’età pensionabile non potrà comunque es-sere inferiore a 67 anni. I requisiti di accesso alla pensione di vec-chiaia, considerando i mesi presunti di in-cremento della speranza di vita presenti nel-la relazione tecnica della legge n. 214/2011,sono riportati nella tabella che segue.

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Storie a confronto/1

La signora Danila, nata nel 1947, al compimento dei 60 anni di età (nel 2007), presenta domanda dipensione di vecchiaia che l’Inps respinge, poiché dal 1963 al 31.03.1993 risultavano soli 14 anni e6 mesi di contribuzione complessiva derivante da lavoro dipendente e autonomo.Per il diritto alla pensione bastavano 15 anni di contributi al 31.12.1992. Per maturare tale requisito,la signora chiede l’accredito di 5 mesi di maternità fuori dal rapporto di lavoro e riscatta 3 mesi diastensione facoltativa versando un onere di circa € 1.050,00. Nel 2008 ripresenta quindi la doman-da di pensione. Ma anche questa volta l’Inps la respinge precisando che, a seguito della cancella-zione di alcuni periodi, la sua posizione assicurativa era stata rettificata e, nonostante l’inserimentodei periodi di maternità, risultavano ora complessivamente soli 12 anni e 5 mesi di contributi. L’interessata, a seguito del primo provvedimento dell’Inps risultato poi sbagliato, ha pagato già unonere e vuole comunque ottenere la pensione. La signora, però, ha 25 anni di assicurazione: risulta occupata alle dipendenze per almeno 10 anni,ma con periodi inferiori a 52 settimane nell’anno solare. In questi casi bastavano 15 anni di contri-buzione per ottenere la pensione di vecchiaia nel fondo pensioni lavoratori dipendenti. Decide, quindi, di presentare la domanda di ricongiunzione dei periodi da lavoro autonomo trasfe-rendoli nel fondo pensioni lavoratori dipendenti e di versare la contribuzione volontaria per 2 annie 7 mesi, in modo da perfezionare 15 anni di contributi.Nel frattempo è entrata in vigore la legge n. 214/2011 e il Ministero del Lavoro ha disposto che dal2012 la pensione di vecchiaia si consegue esclusivamente con 20 anni di contribuzione.Attualmente la situazione che si prospetta per l’interessata è la seguente: – se rientrerà tra i derogati dalla legge n. 214/2011 (essendo stata autorizzata alla prosecuzione vo-

lontaria nel 2001, prima del 4.12.2011) potrà, al raggiungimento dei 15 anni di contributi, avere lapensione di vecchiaia con la previgente normativa;

– se non rientrerà tra i derogati non potrà percepire la pensione poiché non possiede 20 anni dicontribuzione.

La signora sta attualmente versando l’onere per la ricongiunzione e la contribuzione volontaria nel-la totale incertezza della maturazione del diritto a pensione. È evidente che la situazione è di totale incertezza e, se la signora, ultra 65enne, non rientrerà tra iderogati, non potrà «pagare» altri 5 anni di contributi volontari per maturare i 20 ora richiesti. La suaposizione diventerà «silente», anche se la signora ha già versato, con enormi sacrifici, 3 oneri di-versi (riscatto astensione facoltativa per maternità fuori dal rapporto di lavoro, ricongiunzione econtribuzione volontaria) nella convinzione di ottenere la pensione. In sostanza, l’Inps incameran-do le somme versate, senza liquidare nessuna pensione, avrà un vantaggio economico, violando an-che il principio del «legittimo affidamento» subito dalla signora Danila.

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Storie a confronto/2

Il signor Basilio, nato il 1° luglio 1947, disoccupato da 23 anni, possiede complessivamente 16 an-ni e 4 mesi di contribuzione di cui 15 anni e 10 mesi da lavoro dipendente privato effettuato fino al1989 e 6 mesi di contribuzione volontaria versata nel 1994-1995 a seguito di autorizzazione rila-sciata nel 1994.Nel 1995, sentiti la sede Inps di appartenenza e vari Patronati si è accorto che, avendo maturato 15anni di contributi entro il 31.12.1992, di fatto aveva già perfezionato il requisito contributivo per ildiritto alla pensione di vecchiaia. Decide, quindi, di non effettuare più i versamenti volontari nellacertezza di ottenere il diritto al compimento dell’età pensionabile. L’interessato potrebbe andare inpensione già dal mese successivo al compimento di 66 anni e 3 mesi di età (precisamentedall’1.11.2013), ma nel frattempo, il Ministero del Lavoro ha disposto che dal 2012 il diritto si con-segue esclusivamente con 20 anni di contribuzione.Attualmente la situazione che si prospetta per l’interessato è la seguente: – se rientrerà tra i derogati dalla legge n. 214/2011 (essendo stato autorizzato alla prosecuzione vo-

lontaria prima del 4.12.2011) potrà avere la pensione di vecchiaia con la previgente normativapoiché ha maturato i 15 anni di contributi entro il 1992;

– se non rientrerà tra i derogati non potrà avere la pensione per la mancanza dei 20 anni di contri-buzione.

È evidente che anche in questo caso la situazione è drammatica: il signor Basilio aveva deciso dinon versare più volontariamente la contribuzione nella certezza di ottenere la pensione al compi-mento dell’età, mentre ora, 65enne, se non rientrerà tra i derogati, non potrà «pagare» altri 3 anni e8 mesi di contributi volontari per maturare i 20 richiesti e ottenere la pensione di vecchiaia. Anchequesta posizione diventerà «silente».

Storie a confronto/3

Il signor Dante, nato il 16.07.1947, possiede complessivamente 16 anni e 9 mesi di contribuzione dicui un anno e un mese da lavoro dipendente privato effettuato fino al 1974 e 15 anni e 8 mesi dicontribuzione volontaria versata nel 1977-2010.Essendo stato autorizzato alla prosecuzione volontaria prima del 31.12.1992 (precisamente a mag-gio del 1977), nel 2010 decide di non versare più la contribuzione poiché ha già perfezionato il re-quisito contributivo di 15 anni per il diritto alla pensione di vecchiaia, nella certezza di ottenere laprestazione al compimento dell’età pensionabile. L’interessato potrebbe andare in pensione dal me-se successivo al compimento di 66 anni e 3 mesi di età (precisamente dall’1.11.2013), ma nel frat-tempo, il Ministero del Lavoro ha disposto che dal 2012 la pensione di vecchiaia si consegue esclu-sivamente con 20 anni di contribuzione.Attualmente la situazione che si prospetta per l’interessato è la seguente: – se rientrerà tra i derogati dalla legge n. 214/2011 (essendo stato autorizzato alla prosecuzione vo-

lontaria nel 1977, prima del 4.12.2011) potrà avere la pensione di vecchiaia con la precedente nor-mativa poiché ha maturato i 15 anni di contributi;

– se non rientrerà tra i derogati non potrà avere la pensione poiché non possiede 20 anni di contri-buzione.

È evidente che, in questo caso, avendo versato già 15 anni e 8 mesi di contribuzione volontaria, il65enne, se non rientrerà tra i derogati, sarà costretto, con enormi sacrifici, a riprendere il versa-mento di altri 3 anni e 3 mesi di contributi volontari per maturare i 20 richiesti. Ma per farlo dovràattendere che sia chiarito se rientra tra i beneficiari; il che potrebbe spostare in là ulteriormente ladata anagrafica del pensionamento. Infatti, i 3 anni e 3 mesi necessari per il raggiungimento del re-quisito contributivo decorreranno a partire dalla ripresa dei versamenti volontari.

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Eduardo Arranz-Bravo, Buho-Home, 1970 (particolare)Eduardo Arranz-Bravo, Buho-Home, 1970 (particolare)

SALUTE E SICUREZZA

Intaccati ma invisibili*

Quando il mal di amianto è senza indennizzo❚ di Giancarlo Moro**

Nella presentazione è stato espostoche «obiettivo del seminario nonè quello di discutere il problema

amianto sul piano delle percentuali statisti-che, delle normative e delle responsabilità,quanto piuttosto su quello del confrontocon le esperienze e le opinioni di coloro chelo hanno conosciuto e percorso nella suadimensione esistenziale».La mia è l’esperienza di un avvocato impe-gnato in un ambito evidentemente moltopragmatico ed operativo, ossia nella tutela, insede civile e penale, delle prerogative risarci-torie dei lavoratori ammalati o dei famigliaridei lavoratori deceduti che si sono rivolti alpatrocinio della Cgil e del Patronato Inca diGorizia e Monfalcone. Si tratta di dipendentidi aziende agli onori della cronaca come Fin-cantieri e Ansaldo, ma anche lavoratori diEnel, Ferrovie dello Stato, Compagnia Lavo-ratori Portuali e di altre imprese del settoremetalmeccanico, tessile, chimico, della pro-duzione di carta e quant’altro ancora.Chi si è occupato a livello professionale, legalee medico-legale, del problema dell’amiantonel rapporto con associazioni sindacali e dun-que in contatto diretto con una collettività di

lavoratori vastissima, riconosce che la vicendaamianto rappresenta un momento di vera epropria discontinuità, per la sua intensità ed ilcoinvolgimento anche personale ed emotivo,rispetto alla tradizionale ed istituzionale atti-vità di tutela dei lavoratori.Per gli operatori del Patronato Inca, per imedici legali o gli avvocati, esiste un primadell’emergenza amianto ed un dopo, con cuisi continua e si continuerà a convivere an-cora per molto tempo, destinato quest’ul-timo a costituire un’esperienza umana e pro-fessionale che lascerà una traccia indelebile.Vorrei soffermarmi, in particolare, sulla co-munità più ampia numericamente e menomenzionata tra i lavoratori affetti da patolo-gie asbesto-correlate. Mi riferisco ai lavoratoriaffetti da «placche pleuriche», sulla base didiagnosi, ogni giorno più remote, che hannorelazione con l’attuazione, nella sua formainiziale, del Piano di Sorveglianza Sanitaria.Ho definito questi lavoratori, nel titolo del-l’intervento, come vittime invisibili e credoche questa espressione sia tutt’altro che ec-cessiva o ingiustificata.Il solo Patronato Inca di Monfalcone patro-cina le pratiche per quasi cinquecento lavo-

* Tratto dal libro Storia/Storie di amianto a cura di Ariella Verrocchio edito da Ediesse, 2012.**Legale della CGIL di Gorizia.

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ratori affetti da placche pleuriche. Secondoil Consensus Report di Helsinki, ovvero se-condo lo studio forse più accreditato in ma-teria di malattie asbesto-correlate, tra la po-polazione dei dipendenti esposti all’asbestole placche pleuriche colpiscono almeno unlavoratore su dieci.Gli esiti delle indagini condotte su coorti ri-strette, ma significative, e per vicende comel’esposizione all’amianto nel cantiere di Mar-ghera di Fincantieri rivelano dati di inci-denza della patologia superiori e prossimi al15% dei lavoratori esposti.Se si considera il numero degli occupatinelle imprese che hanno utilizzato l’amiantoe il dato riferito ad una sola organizzazionesindacale, per quanto fortemente radicata,del territorio di Monfalcone e Gorizia, èevidente che questa patologia riguarda unamassa a dir poco rilevante di lavoratori, unvero e proprio «popolo», rappresentato daquei dipendenti che hanno storicamente co-struito le fortune di imprese come Fincan-tieri e Ansaldo.Solo fino a ieri questi lavoratori erano un«ceto» determinante per ogni politica sin-dacale sul territorio ed un interlocutore fon-damentale nell’ambito dell’opinione pub-blica.Questi stessi lavoratori soffrono ora di unevidente difetto di attenzione e di tutela,che rafforzano, quanto alla dimensione esi-stenziale oggetto del convegno, sentimenti dirassegnazione, solitudine, apatia, che soloimpropriamente – a parere di chi vi parla –hanno una corrispondenza con la tradizio-nale «mitezza» dei lavoratori di questo terri-torio e del vicino territorio veneto.Il difetto di tutela riguarda l’ambito previ-denziale, la stessa tutela giudiziaria, la tutelasanitaria pubblica.

Per l’ambito previdenziale basti rammen-tare che, nel riconoscere le placche pleurichecome malattia professionale, le tabelle Inailprevedono il riconoscimento di un punteg-gio di invalidità per il lavoratore ammalatotra lo 0% ed il 5%, laddove non vi sia lacompromissione della funzionalità respira-toria, mentre è noto che gli indennizzi ven-gono erogati solo a partire dal sesto puntopercentuale di invalidità.Migliaia di lavoratori sono così titolari del-l’astratto riconoscimento della malattia pro-fessionale, ma in concreto non ricevono al-cuna erogazione da parte dell’Inail, così chele loro pratiche previdenziali si risolvono,dopo molti adempimenti burocratici, in unbeffardo nulla di fatto.Le stesse prerogative offerte dall’ordina-mento giudiziario appaiono nel concretopenalizzate dalla cronica inadeguatezza dimezzi e di personale da cui sono affetti i no-stri Tribunali.Mi riferisco soprattutto all’ambito penale,ovvero all’esercizio della potestà punitivadello Stato.Presso la Procura di Gorizia risultano pen-denti, secondo una stima approssimativa,più di mille procedimenti riferiti ad altret-tante parti lese.Tutto fa pensare, peraltro, che in ragione dioggettive croniche carenze di risorse, del-l’assenza di iniziative politiche, per le diffi-coltà pratiche e logistiche nella ricerca dielementi probatori su realtà industriali e la-vorative risalenti ad oltre cinquant’anni fa,solo una parte esigua dei processi – e per icasi più gravi, ovvero per i decessi – po-tranno essere celebrati prima della matura-zione dei termini di prescrizione dei reati.È ben noto che il processo relativo alla mortedi una lavoratrice, la signora Greco, addetta

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alle pulizie presso la Fincantieri, conclusosicon una condanna in primo grado, si è ri-solto in secondo grado con la dichiarazionedi estinzione dei reati degli imputati perprescrizione.La patologia delle placche pleuriche è soggettaad un termine di prescrizione relativamentebreve e tutto lascia temere che, operandoscelte processuali certo comprensibili, perchéispirate da ritardi «storici» e carenze di mezzi,i reati per lesioni colpose a danno dei lavora-tori viventi non verranno mai nella loro largapreponderanza in concreto perseguiti.Il processo penale in corso e quelli instaurati,i «fari» dei mass media, si soffermano e si sof-fermeranno solo sui casi più gravi ed i lavo-ratori che versano nella situazione di essere«semplicemente ammalati» non potranno,con buona probabilità, ambire a vedere ri-conosciuta la loro qualità di parti lese in unprocesso penale, ovvero nell’espressione piùsintomatica ed essenziale della capacità delloStato di punire i colpevoli dei reati.Una collettività vastissima di lavoratori ri-mane silente e fa da semplice «sfondo» inquesta tragedia collettiva.Si tratta di lavoratori non più «collegati» tradi loro, così come era quotidiano e normalequando affollavano i cantieri, oramai privi diuna decisiva soggettività sindacale e politica.I loro racconti nelle Camere del Lavoro si so-migliano un po’ tutti: sono stati convocati inProcura o dagli ufficiali di Polizia Giudiziariadello Spisal (Servizio Prevenzione Igiene e Si-curezza Ambienti di Lavoro) nei primi anniDuemila e poi non hanno saputo più nulla,hanno svolto le pratiche Inail ma non hannoricevuto in concreto nulla, sono stati visitatinell’ambito del Piano di Sorveglianza Sanita-ria oramai molti anni fa, ma alle recenti ri-chieste di valutare la progressione della loro

malattia è stato opposto dai Servizi Sanitari unimbarazzante rifiuto, spesso accompagnatoda argomentazioni assai poco convincenti.Vengo così all’ultimo aspetto di questa «de-negata» tutela.Alle affermazioni, ribadite in ogni convegnomedico, circa l’indispensabilità della dia-gnosi precoce delle malattie asbesto-corre-late, per garantire cure tempestive ed unamigliore qualità della vita, è seguito il silen-zio delle istituzioni, con visite e controllirinviati ad epoche assai lontane ed indeter-minate.Ancora una volta questo popolo di lavoratoririmane da solo a coltivare atteggiamenti fa-talistici e rassegnati.Difficile non comprendere questo senti-mento: questi lavoratori sono passati dalruolo di protagonisti della vita civile e sin-dacale, di artefici delle fortune delle aziendenel loro insieme, «massa critica» ascoltata ecorteggiata dalle forze politiche, a scomoditestimoni di un passato, peraltro così re-cente, che molti vorrebbero dimenticare e ri-muovere.Rispetto a queste annotazioni pessimistiche,o quantomeno disincantate o realistiche,vanno aggiunti alcuni elementi che deno-tano come la rassegnazione possa essere con-trastata.Vorrei menzionare, rispetto al tema dellatutela sanitaria da ultimo trattato, che nellaassai vicina provincia di Venezia il Patro-nato Inca sta organizzando, per centinaia dilavoratori già dipendenti di Fincantieri, uncelere modus operandi che consenta loro diottenere l’esenzione dai tickets per le presta-zioni diagnostiche e di richiedere, anche instrutture private e sotto l’egida organizzativadel Patronato, esami diagnostici secondo lepiù moderne tecnologie.

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Lo scopo è evidente: solo la diagnosi precocedelle malattie consente la loro cura tempe-stiva, con un’adeguata aspettativa di vita (edi qualità della vita).Solo la diagnosi precoce modifica abitudinidi vita incompatibili con la malattia.Solo la diagnosi precoce consente di eserci-tare prerogative previdenziali e risarcitorie.Menzionerò solo da ultimo l’esperienza incui si sta cimentando con ottimi risultati ilPatronato Inca di Monfalcone e Gorizia.Il Patronato sta garantendo a centinaia di la-voratori affetti da placche pleuriche (e nonsolo a loro, naturalmente) la possibilità diistruire ed azionare una richiesta di risarci-mento dei danni patrimoniali e non patri-moniali avanti il Giudice del Lavoro.È stata formata una «squadra di lavoro», co-stituita da operatori Inca, medici e avvo-cati, che non limitano la loro assistenza aisoli famigliari dei deceduti o ai lavoratorigravemente ammalati, ma offre le proprieprestazioni, pazientemente, alle centinaia dilavoratori affetti dalle cosiddette «micro per-manenti».A tutti questi lavoratori viene garantita laconcreta possibilità di esercitare le loro pre-rogative risarcitorie, valorizzando l’aspet topiù dissimulato delle loro storie individuali.Mi riferisco a quella componente del dannoche non riguarda la compromissione «ana-tomica» della persona, ma attiene a tutte leimplicazioni psicologiche, al patimento, al-l’ansia, al timore che una malattia apparen-temente benigna e «modesta» costituiscal’anticamera di patologie contro cui non sipuò combattere e che già hanno portato allascomparsa di tanti colleghi ed amici degli in-teressati.Quando si ricevono i lavoratori nelle Ca-mere del Lavoro e si richiede di indicare

qualche testimone sulla loro attività lavora-tiva, la risposta è quasi sempre la stessa:«sono tutti morti per l’amianto».Si tratta di un dato non veritiero, smentitodai fatti, ma che traduce perfettamente lostato d’animo di chi è ammalato, che viveuna situazione di permanente attesa di eventinegativi, in una dimensione esistenziale diprofondissima sofferenza.Porre questi lavoratori in relazione fra loro,renderli protagonisti nel processo del lavoro,renderli consapevoli, attraverso l’interventodel medico e dell’avvocato, delle prerogativeche solo affrontando la malattia sono con-seguibili, costituisce un risultato che tra-scende la mera logica della tutela legale.Quanto al tema dei risarcimenti vorrei evi-tare ogni discussione tecnica, ma introdurresolo un elemento di riflessione.Non molto tempo fa, nell’aprile 2009, èpassata in giudicato la sentenza del Tribu-nale di Milano a favore di ottantacinque cit-tadini di Seveso, in relazione alla fuga di dios- sina dagli stabilimenti della Icmesa di moltianni fa.La Corte di Cassazione ha sancito definiti-vamente il diritto di questi cittadini a vedererisarcito il danno per il semplice patimentopsicologico ed il timore di avere contratto ilcontagio, nonché per la necessità di osser-vare, necessariamente, un regime di vita at-tento e affrontare visite periodiche in rela-zione a malattie che possono manifestarsianche a molti anni di distanza.Non vorrei soffermarmi sulle quantità eco-nomiche del risarcimento, ma solo sottoli-neare un paradosso.La Giurisprudenza della Suprema Corte(sentenza 11059/09) ha riconosciuto defi-nitivamente un risarcimento a dei cittadiniperfettamente sani.

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Da parte di troppi si continua viceversa amettere in dubbio o a disconoscere la tutelarisarcitoria verso dei lavoratori ammalati,quasi che lesioni relativamente modeste nonmeritino un’organizzata, sistematica ed in-transigente attività di tutela.Per contro permane l’insopportabile discri-minazione tra lavoratori che possono ambirein concreto ad un risarcimento, perché illoro datore di lavoro è ancora operante ed è

solvibile, ed i lavoratori ammalati, di aziendefallite od oramai dismesse.In Italia, a differenza di Paesi limitroficome la Francia, che vivono situazioni as-solutamente analoghe alle nostre, ancoraoggi non è compiutamente operativo e fi-nanziato un Fondo per le vittime del-l’amian to che riguardi, indiscriminata-mente, tutti i lavoratori affetti dalle pa- to logie ❚

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Opera di Giò Pomodoro, 1982

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Vittime da sangue infetto: la sentenza della Consulta L’uguaglianza del diritto

❚ di Maria Patrizia Sparti *

La Corte Costituzionale, accogliendoun ricorso patrocinato dall’Inca, ri-conosce a tutte le vittime da sangue

infetto la piena rivalutazione dell’indennizzoriconosciuto, comprensivo dell’indennità in-tegrativa speciale.A tutte le vittime da sangue infetto spetta larivalutazione completa dell’indennizzo giàriconosciuto, previsto dalla legge n. 210/92,senza distinzione alcuna. È quanto ha stabi-lito la Corte costituzionale, con la sentenza n.293/2011, che ha accolto le ragioni sollevatedall’Inca e dai consulenti legali Vittorio An-giolini e Paola Soragni, stabilendo l’il legitti-mità dell’interpretazione restrittiva autenticafornita dal governo Berlusconi, che escludevagli emotrasfusi dal beneficio. Perciò, per le persone che hanno contrattouna patologia derivante da sangue infetto laConsulta ha riconosciuto il diritto alla riva-lutazione dell’indennizzo, comprensiva anchedella parte relativa all’indennità integrativaspeciale, che il governo aveva invece escluso. Si tratta di una vittoria importante poiché, inbase al pronunciamento della SupremaCorte, le vittime da sangue infetto potrannobeneficiare di un effettivo quanto completo

adeguamento della provvidenza riconosciutadalla legge, sotto forma di risarcimento di undanno subito, non per propria colpa.Il contenzioso giudiziario si è reso necessarioperché finora le vittime da sangue infettohanno ricevuto dallo Stato la rivalutazionesolo della parte meno consistente dell’in-dennizzo, che di fatto rendeva sempre piùmagro il risarcimento complessivo dovuto.La sentenza n. 293 della Corte Costituzio-nale rappresenta una vittoria per certi versiinattesa. È una vittoria per l’Inca, che ci hacreduto malgrado tutto, ma soprattutto peri cittadini che hanno subito danni irreversi-bili alla salute a causa dell’assunzione di san-gue risultato infetto. Ma cosa c’è a monte della sentenza? Riper-corriamo per grandi linee i fatti che hannopreceduto la norma di interpretazione au-tentica. L’indennizzo disposto dalla legge210/92 è una prestazione indennitaria, equindi di natura assistenziale, distinta in duequote: la prima è determinata secondo la ta-bella B della legge 177/76, la seconda è unasomma corrispondente all’Indennità inte-grativa speciale (Iis) prevista per gli impiegaticivili dello Stato (l. 324/59).

* Area tutela del danno alla persona Inca Cgil nazionale

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A monte della norma c’è stato un problemainterpretativo, che si è sviluppato negli annie che riguarda la corretta lettura del 1° e 2°comma dell’articolo 2 della legge 210: solonel 1° comma, infatti, è specificato che «l’in-dennizzo è rivalutato annualmente sulla basedel tasso di inflazione programmato», men-tre manca nel 2° comma. Per questa ragioneil Ministero della Salute, finora, ha ritenutodi escludere la componente derivante dal se-condo comma dall’annuale adeguamento,tant’è che la stessa (Iis), che costituisce il95% dell’intero indennizzo, è rimasta inva-riata nel tempo nella misura mensile fissa di514,33 euro. Per fare un esempio, secondoquesta interpretazione restrittiva, in 17 annil’indennizzo mensile della ottava categoria(quella più diffusa), considerandolo nella suainterezza, è stato rivalutato soltanto nella mi-nima quota parte del 5 per cento di soli 8euro. Come interviene la Corte Costituzionale? Ilgiudice delle leggi ritiene che la norma di in-terpretazione autentica fornita dal GovernoBerlusconi determini una irragionevole di-sparità di trattamento tra cittadini che hannosubito un danno alla salute. Infatti, il dirittoalla rivalutazione completa dell’indennizzoviene riconosciuta soltanto alle persone chehanno subito un danno alla salute per unvaccino obbligatorio e per le conseguenzederivanti dall’assunzione del talidomide du-rante la gravidanza, mentre viene negata agliemotrasfusi.È evidente che la decisione dei giudici dellaConsulta si radica in questa disparità di trat-tamento e non entra nel merito della que-stione del 1° e 2° comma dell’articolo 2 dellalegge 210, ravvisando una sostanziale viola-zione del principio di uguaglianza. Parados-salmente la Corte Costituzionale, peraltro,

menzionando in senso positivo il precedentepronunciamento della Cassazione del 2005,toglie di mezzo la questione sulla quale peroltre un lustro altri giudici sono stati solleci-tati ad esprimersi.Secondo la Consulta, la norma di interpre-tazione autentica del governo Berlusconi hatentato di annullare gli effetti della sentenzadel 2005 che già sette anni fa aveva affermato«la necessità della rivalutazione, secondo iltasso annuale di inflazione programmata,dell’indennizzo di cui alla legge n. 210 del1992, poiché “la misura dell’indennizzo, senon rivalutata per intero nelle sue compo-nenti, non sarebbe equa rispetto al danno su-bito, tanto più che gli aumenti Istat dell’in-dennizzo – al netto dell’indennità integrativaspeciale – sono modesti”».L’Inca, da allora, si è adoperata in modo dif-fuso e generalizzato a tutelare i diritti dei cit-tadini sostenendo un contenzioso legale chesi è sviluppato positivamente sin dal primogrado di giudizio. Il Ministero della Salute,per parte sua, a fronte dell’elevato numero dipronunciamenti favorevoli sin nei primigradi di merito, ha rinunciato ad opporvisiconsentendo il passaggio in giudicato di nu-merose sentenze e quindi la formazione di unconsolidato orientamento giurisprudenzialefavorevole alle vittime da sangue infetto.Durante tutto questo periodo, soltanto indue occasioni, nel 2009, la Corte di Cassa-zione ha respinto la domanda di rivalutazionedi indennizzo 210. Un’occasione ghiotta peril governo Berlusconi, per introdurre nellamanovra correttiva della Finanziaria 2010(dl 78/10) una norma di interpretazione au-tentica dell’articolo 2 della legge 210 con laquale ha posto un limite temporale all’effi-cacia delle sentenze passate in giudicato e aisuccessivi provvedimenti assunti alla luce di

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titoli esecutivi, con scadenza il 1° giugno2010.Così facendo, per un verso veniva introdottauna interpretazione restrittiva della norma incontrasto con quanto sostenuto dalle nume-rose sentenze di segno positivo, per l’altroverso si realizzava una grave ingerenza delpotere legislativo su quello giudiziario, an-nullando il diritto acquisito all’integrazione ri-conosciuto da sentenze definitive. Queste sono le principali ragioni che hannoportato il patronato della Cgil a chiedere, at-traverso i propri legali, il pronunciamentodella Corte Costituzionale. A dare il via al ri-corso è stato il giudice del lavoro di ReggioEmilia, al quale l’avvocato Paola Soragni si èrivolta per rimettere la questione alla CorteCostituzionale. Al giudice di Reggio Emilia, l’avvocato del-l’Inca ha fatto presente come la rivalutazioneapplicata solo ad una parte dell’indennizzonon avrebbe comportato un adeguamentosufficiente della prestazione nel suo com-plesso, poiché restava esclusa la parte piùconsistente, quella relativa alla Iis. «Una di-versa interpretazione – spiega Soragni –avrebbe evidenziato profili di incostituzio-nalità, perché non si può ragionevolmentesostenere che fosse intenzione del legislatoresvilire progressivamente nel tempo il valore diuna prestazione riconosciuta a coloro chehanno riportato danni irreversibili a seguitodi vaccinazioni, trasfusioni e assunzione diemoderivati».Nel nostro ordinamento non esiste presta-zione di natura assistenziale riconosciutadallo Stato per la quale non sia previsto un ef-ficace meccanismo di difesa dall’inflazione.

La stessa Costituzione impone allo Stato dipredisporre adeguati mezzi di sostentamentoper i soggetti inabili e colpiti da particolaripatologie.I richiami, contenuti nella stessa legge 210,all’indennizzo sono tutti intesi, anche dalMinistero, come facenti riferimento all’in-dennizzo nella sua interezza. Anche in caso dimorte della persona contagiata, la normaprevede il riconoscimento ai legittimi eredidella possibilità di optare tra l’assegno rever-sibile e una «una tantum» di 150 milioni divecchie lire. Appare evidente, perciò, che seil richiamo fosse interpretato in senso re-strittivo, si prospetterebbe agli aventi dirittoun’improponibile alternativa tra poco più ditrenta euro mensili per 15 anni e un versa-mento immediato di una somma pari a77.468,53 euro.I giudici costituzionali, pur sottolineandoche compete alla discrezionalità del legislatorela scelta della misura, delle modalità, dellagradualità, dei modi di erogazione delle prov-videnze da adottare, affermano tuttavia che«compete a questa Corte verificare se essenon siano affette da palese arbitrarietà o ir-razionalità, ovvero non comportino una le-sione della parità di trattamento o del nucleominimo della garanzia». Tale irragionevole di-sparità di trattamento viene ravvisata, comegià indicato, nella situazione venutasi a crearetra le persone affette da epatite post-trasfu-sionale e i soggetti portatori della sindromeda talidomide. Due situazioni che hanno ca-ratteristiche omogenee poiché il danno irre-versibile «deriva da trattamenti terapeuticinon legalmente imposti e neppure incentivatie promossi dall’autorità sanitaria pubblica» ❚

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Sonia Alvarez, Riflesso nel quadro, 1970

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Il dopo Eternit❚ Franca Gasparri*

La condanna in primo grado a 16 annidi reclusione dei proprietari di Eter-nit rappresenta la più alta espressione

di una giustizia che ha fatto prevalere l’inte-resse generale della collettività per la difesadella dignità e della salute di chi lavora po-nendolo al di sopra di ogni possibile condi-zionamento esercitato da chi occupa posti dipotere economico importanti, non soltantoin Italia, ma nel mondo. La sentenza di To-rino ci fornisce due lezioni fondamentali: laprima è che il processo penale può davverodiventare un deterrente contro i comporta-menti scorretti delle aziende in materia di sa-lute e sicurezza nei posti di lavoro; non è uncaso che il procedimento in questione siastato seguito da tanti osservatori internazio-nali, anche di paesi dove l’amianto si conti-nua a produrre, in mancanza di una normaimpositiva che ne bandisca la definitiva com-mercializzazione e produzione. L’altra le-zione, importantissima per l’Inca, di questasentenza, giunta dopo due anni di dibatti-mento, ma dopo trent’anni di battaglia sin-dacale, è che l’azione di tutela iniziata dauna piccola sede di patronato, quale era ne-gli anni settanta quella di Casale Monferrato,

resta una insostituibile leva per modificare ilquadro legislativo in materia di salute e sicu-rezza negli ambienti di lavoro. Senza tema di smentita, la titolarità di quelprocesso appartiene alla Cgil, ma soprattut-to ai suoi sindacalisti e ai medici legali del-l’Inca, che tanti anni fa hanno avviato leprime pratiche di denuncia di malattie pro-fessionali, senza le quali probabilmente an-che la legge 257/92 sarebbe arrivata conmaggiore ritardo. Tuttavia, non si può sottacere che la decisio-ne del collegio giudicante di Torino sulla pre-scrizione dei reati per le vittime degli stabili-menti di Rubiera (Emilia Romagna) e di Ba-gnoli sia stata per certi versi una sorpresa pertutti. Un’ombra che si estende oltre l’Eternite che investe tutti gli altri processi in corso inItalia, a cominciare da quelli contro Fincan-tieri, per non parlare dei casi altrettanto gra-vi che vedono imputati dirigenti e ammini-stratori delegati di colossi come l’Ilva, in Pu-glia, dove l’inquinamento ambientale ha rag-giunto livelli senza precedenti. Molti sono i fascicoli giudiziari aperti, suiquali la prescrizione pesa come un macigno,che rischia di vanificare gli sforzi meritori di

* Collegio di presidenza dell’Inca Cgil nazionale

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tanti avvocati e di medici legali dell’Inca,nel denunciare le malattie professionali col-legate a sostanze cancerogene, anche ben ol-tre l’amianto.Solo nella provincia di Gorizia risultanoiscritti alla Commissione Amianto del Friu-li Venezia Giulia 8.600 esposti. Si tratta diun numero quattro volte superiore rispettoai circa 2.000 di Casale Monferrato, chehanno avuto riconosciuto il diritto ad una,seppur parziale, forma di risarcimento eco-nomico.Ciò sta a significare che qualcosa non va an-cora nel sistema giudiziario. Pochi sono iprocessi e ancora minore è il numero dellesentenze che passano in giudicato. E se que-sto è lo stato dell’arte, diventa legittimo ilsospetto che anche quando, come nel casoEternit, si giunge ad una condanna di pri-mo grado, questa possa essere annacquatanel ricorso in appello, già annunciato dallasquadra di avvocati difensori dei magnati el-vetici, senza l’interruzione dei termini diprescrizione dei reati contestati. Se il dubbiosi traducesse in realtà giudiziaria, anche quei

magri risarcimenti indicati nella sentenza diTorino diventerebbero solo promesse nonmantenute, che concluderebbero in modoinglorioso una dura battaglia di civiltà perpunire chi con consapevolezza ha causato lamalattia e in molti casi il decesso di tante la-voratrici e lavoratori, nonché di semplicicittadini. In questo quadro, dove la cornice è ben de-lineata dai tanti, troppi fascicoli giudiziarisospesi, diventa urgente intervenire per im-pedire che la giustizia arrivi in ritardo e cheil diritto si trasformi in una promessa damarinaio, azzerando le legittime aspettativedi coloro che patiscono le sofferenze fisichee psicologiche di una tragedia perpetrata dacomportamenti umani che diventano cri-minosi, quando con consapevolezza deter-minano inquinamento ambientale e dun-que condizioni fortemente nocive per inte-re comunità di uomini e di donne, senzache a tutto questo corrisponda la certezza diuna pena adeguata per chi li produce. Unaimmunità, nei fatti, che rischia di diventareuna sorta di licenza di uccidere ❚

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Renzo Vespignani, Il popolo della Resistenza non dimentica, 1972 (particolare)

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Un filo rosso tra emigrazione e immigrazione

❚ di Claudio Piccinini*

Molti di noi hanno nella loro vita,nelle loro storie, un filo rosso cheli lega e li mette in contatto con

i temi dell’emigrazione e dell’immigrazione.Il mio comincia da lontano. Da quando miononno emigrò nel 1939 in quella che alloraera la «grande Germania», a Innsbruck. Il filo ricompare negli anni settanta quandonella zona delle ceramiche tra Reggio Emiliae Modena, dove abito, il bisogno di manod’opera richiamò tanti lavoratori dal Suddell’Italia in una zona fino ad allora cultu-ralmente ed economicamente agricola, con-tadina. Venivano da Battipaglia in provinciadi Salerno ma, dalla gente del posto, veni-vano chiamati «marocchini». Delle tradizionidei loro padri conservavano una strutturafamiliare numerosa, con le donne addetteesclusivamente alle cure familiari mentre gliuomini dovevano lavorare nelle fabbriche.Fu in quegli anni e in quelle condizioni fa-vorevoli per lo sviluppo economico che leamministrazioni di sinistra cercarono di dareuna risposta a questo flusso di migranti, cheoggi si direbbe incontrollato, e che ponevaproblemi di coesistenza con la popolazionee sollecitava alloggi in cui vivere un’esistenzadignitosa. Fu in quel contesto che maturò

negli amministratori locali la convinzioneche l’offerta di lavoro non dovesse essere li-mitata ai capifamiglia, ma dovesse necessa-riamente includere anche le donne. Il loro la-voro sarebbe dovuto diventare non solo unelemento di emancipazione individuale, maanche di emancipazione dal modello di fa-miglia importato dal Meridione. Le scelte furono quindi orientate verso l’am-pliamento dei servizi sociali, così come allacreazione degli asili nido, delle scuole ele-mentari, all’immissione del tempo pieno,ecc. Fu praticamente inventata l’assistenzadomiciliare agli anziani e si diede il via alleprime case protette. Si investì molto in edilizia popolare facendoattenzione, nei limiti del possibile, ad evitarela creazione di ghetti o comunque di con-centrazioni abitative che avrebbero potutoprovocare situazioni sociali particolarmentepericolose. In tutto questo fu molto utile larevisione dei piani regolatori tesa a sviluppareuna crescita intelligente e assistita di queipiccoli paesi che fino a pochi anni primaerano essenzialmente agricoli.Era un momento di sviluppo, di forte indu-strializzazione, nasceva in quel momento an-che il problema ambientale e con esso quindi

* Coordinatore area Immigrazione Inca Cgil nazionale

la consapevolezza dell’impatto industriale sulterritorio. Il sindacato, storicamente presente in quellezone fin dalle prime lotte dei braccianti edelle mondine, si trasformava in sindacatod’industria e organizzava i lavoratori anchesui temi della salute sul posto di lavoro. Oggi di quelle popolazioni salite al Nord neiprimi anni ’70 in cerca di lavoro, sono rimastii nostri parenti, i nonni, i suoceri. Si vive laprovenienza dal Sud non tanto come un ar-ricchimento in divenire quanto come con-cetto assodato, stabilizzato, indiscutibile. Equegli stessi lavoratori, oggi ormai pensionati,godono di quel welfare che insieme hannocontribuito a costruire e che la crisi attuale or-mai non riesce più a garantire.Non so con certezza se questa storia acco-muni Brescia a Reggio Emilia e a Modena,ma faccio passare di qua, anche da questeesperienze, il mio filo rosso. I dati riferiti allapresenza di immigrati in queste città le ve-dono in testa alle classifiche del nostro paesee, al di là dei problemi che i flussi immigra-tori provocano nell’imminenza del mo-mento, l’elevata presenza di questa tipologiadi lavoratori credo sia dovuta anche alla par-ticolare storia vissuta in queste aree neglianni ’70. Una storia che si caratterizza per lamoltitudine di problemi derivanti dall’inte-grazione di diverse culture e ai quali si è sa-puto rispondere concretamente solo grazie al-l’attitudine all’accoglienza, ma anche esoprattutto alla particolare attenzione rivoltaalle problematiche sociali dalle comunità edalle istituzioni locali.

� L’Inca e la centralità dell’individuo

Il fenomeno ciclico delle migrazioni e dellacomunanza, la riproposizione dei bisognidei singoli nelle nuove realtà sociali è un

modello di pensiero che ci permette, in Inca,di affrontare i temi dell’emigrazione e del-l’immigrazione come elementi di una ma-trice comune generati dagli stessi bisogni,dalla ricerca di lavoro, dal bisogno di unavita migliore, di una speranza per noi e perle famiglie.Il nostro Patronato, presente in Italia e nelmondo da oltre 60 anni, ha da sempre com-battuto il razzismo e le discriminazioni neiconfronti dei lavoratori italiani all’estero, gra-zie ad un’azione di centralità sull’individuo ealla tutela dei suoi diritti sociali e previdenziali.Tutto questo ha contribuito a costruire inmolti paesi quei presupposti indispensabiliper l’insediamento dei diritti come formaevoluta di identità sociale.La difesa individuale, la trasposizione nelcollettivo del valore di questo lavoro, ha pro-mosso spesso aggregazioni che sono andate aldi là dell’insediamento geografico o etnico.Un legame questo, che viene alimentato an-che oltre il naturale primo periodo di «difesa»o di organizzazione delle comunità, attra-verso la promozione dell’associazionismo sin-dacale tramite l’affiliazione non alla Cgil, maai sindacati locali. Si è così evitato che larappresentanza diventasse elemento di sepa-razione e divisione dal contesto territoriale,mantenendo sempre la massima attenzione ecura alla tutela individuale delle persone. Queste esperienze maturate nelle realtà estere,dove l’Inca si è insediato, sono un patrimo-nio messo a valore nella gestione della tuteladel lavoratore immigrato in Italia. È per questo che, oltre al nostro tradizionaleimpegno rivolto agli italiani all’estero inAmerica del Sud, in Europa, in Nord Ame-rica e in Australia, da qualche anno abbiamoinvestito nei paesi di maggiore immigrazionein Italia e quindi in Marocco, in Tunisia, in

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Senegal e a breve in Romania e nei paesidella ex Jugoslavia.Se nel passato la rete dei nostri uffici all’esteroaveva come attività principale la tutela dei di-ritti dei pensionati o quelli dei lavoratori ita-liani in prossimità del collocamento a riposo,oggi, di fronte all’attuale fenomeno migrato-rio e alla sua interdipendenza sulle disciplinedi ingresso e di tutela del lavoro, questa reteacquista sempre maggiore valore.

� I lavoratori immigrati

Esistono storie lavorative complesse costruitesu tappe migratorie dove la destinazione finalenon è solo il lavoro quanto una situazione dibenessere soddisfacente per sé e per la propriafamiglia. Lavoratori che nel loro percorso dicarriera hanno svolto attività in Francia, inGermania, in Belgio, in Canada. Sono que-ste le posizioni di tanti lavoratori che semprepiù spesso si presentano ai nostri sportelli. Illoro percorso, la dinamica, si svolge sul filo delbisogno, ma anche delle opportunità offertedal percorso verso la cittadinanza.A questi lavoratori, la Direttiva europea 1231,per il coordinamento tra i vari paesi europeisulle norme di sicurezza sociale, entrata in vi-gore da poco più di un anno, offre una nuovaopportunità, per il raggiungimento del dirittoa pensione, attraverso la totalizzazione di tuttala contribuzione versata nei diversi paesi, av-valendosi delle convenzioni bilaterali tra gliStati europei. È possibile così totalizzare i pe-riodi di attività lavorativa prestati in Marocco,oltre che in Italia, anche nei paesi convenzio-nati, come la Francia o la Spagna. È sempre più importante offrire ai migrantiun livello di tutela adeguato nel nostro paesecosì come in quelli di origine. Per questomotivo, la costante collaborazione e il con-fronto con i sindacati locali ci hanno per-

messo di offrire un supporto ai lavoratoriprima e al momento dell’ingresso nel nostropaese. Le prestazioni, affiancate alle tutele«tradizionali», sono ormai diventate una pra-tica quotidiana del Patronato tanto da farcidiventare l’organizzazione che, insieme allaCgil, ha ottenuto i migliori risultati.A fianco a questa attività importante di tuteladei lavoratori in ingresso si aggiunge unagamma di prestazioni e di servizi che, in que-sti ultimi anni, hanno visto crescere in modoesponenziale l’utenza del Patronato dellaCgil, di lavoratori e cittadini immigrati per-cettori di prestazioni pensionistiche tradi-zionali come la vecchiaia e l’invalidità, ma an-che di pensioni di inabilità o assegno diinvalidità e di reversibilità. Va valorizzato inoltre anche l’impegno pro-fuso per la tutela dei danni da lavoro. Oggi,infatti, in un contesto produttivo semprepiù orientato a trarre il massimo profitto, so-prattutto nei periodi di crisi, il lavoratoreimmigrato spesso è paragonabile all’operaioitaliano degli anni ’50-60. I ritmi di lavoro, i carichi fisici che spesso siaggiungono alle cicatrici di una vita prece-dente, a volte parallela, fanno sì che sia mag-giore il rischio di contrarre malattie da lavororispetto ai lavoratori italiani. Così come losfruttamento lavorativo, l’impiego di lavoronero, sono le principali cause di quelle mortibianche che rappresentano una delle più pe-santi piaghe del nostro paese e che vedono ilavoratori immigrati tra le principali vittime. Ma un livello di rischio elevato lo troviamo an-che in attività potenzialmente meno «perico-lose». Risulta infatti sempre più frequente ilcaso di colf e badanti che dopo 12-15 anni dilavoro presentano serie patologie al rachide. Queste situazioni, queste patologie da lavoronecessitano di uno studio particolare, di un ap-

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profondimento maggiore. Spesso non viene ri-conosciuto il nesso di causalità e il nostro im-pegno è quello di farlo emergere per affermarequelli che noi chiamiamo i diritti inespressi. In questi ultimi anni, segnati da un oscu-rantismo teso a limitare i diritti e a compli-care la vita degli immigrati, è sul piano del-l’assistenza che si è giocato il ruolo più elevatodella tutela, quella che si manifesta nella di-fesa dei più deboli, come il riconoscimentodel diritto all’invalidità civile, dell’indennitàdi accompagnamento, dell’indennità di fre-quenza per gli studenti e dell’allargamentodel diritto a queste prestazioni per gli stranieriin possesso di carta e permesso di soggiorno.Facendo leva sui diritti fondamentali e rico-nosciuti dalla normativa europea, siamo riu-sciti a far modificare sia quelle norme che in-giustamente limitavano il diritto a questeprestazioni ai soli cittadini italiani, sia queicomportamenti amministrativi che ne osta-colavano l’ottenimento. A questi risultati si ègiunti anche rivolgendosi alla Corte Costi-tuzionale per chiedere una sostanziale modi-fica della normativa.Lo strumento della tutela individuale, il ri-conoscimento di un diritto, ma anche la bat-taglia perché questo sia riconosciuto fa parteinfatti di quel processo di integrazione checontribuisce a rendere chi se ne avvale pro-tagonista del contesto civile. Sempre sul piano delle garanzie per i lavora-tori migranti abbiamo utilizzato, insieme allaCgil, lo strumento della class-action per co-stringere la Pubblica amministrazione ad ade-guare le procedure e ad accelerare i processi didefinizione delle domande di cittadinanza icui tempi di attesa raggiungono anche i cin-que anni contro i due previsti dalla legge. Sempre con lo stesso strumento stiamo in-tervenendo sul riconoscimento del permesso

di soggiorno per lungo soggiornanti ai fami-liari ricongiunti di titolari di permesso Ce.Ultimo, ma solo in ordine di tempo e non diimportanza, il ricorso che abbiamo promossoal Tar sul contributo aggiuntivo richiesto peri rilasci e rinnovi dei permessi di soggiorno. Questo insieme di attività ha perso quella ca-ratteristica «emergenziale» che lo aveva con-traddistinto all’inizio, sia perché il bisognodei lavoratori immigrati non è più solo legatoalle procedure di accesso e di permanenza nelnostro paese, sia perché sono ridotti gli in-gressi nel nostro paese. È infatti intenzione del governo, e in parti-colare del Ministero del Lavoro, gestire le po-litiche d’ingresso nel mercato del lavoro, at-traverso strumenti più selettivi rispetto aivecchi decreti flussi. Si parla del manteni-mento dei circa 250.000 ingressi annui fi-siologici legati per lo più ai ricongiungimentie ai lavoratori stagionali a cui si vuole ag-giungere una quota di lavoratori ad elevataprofessionalità per i quali è previsto a breveun provvedimento. Così come è previstol’avvio di un progetto teso alla professiona-lizzazione dei lavoratori tramite una forma-zione specifica nei paesi di origine e l’avvio dimodelli di ingresso basati sull’incontro delladomanda e dell’offerta di lavoro. Su queste modalità l’Inca si sta misurandocon la Pubblica amministrazione per valutarele opportunità di intervento in Italia e neipaesi di provenienza.Queste trasformazioni che avvengono invirtù dei processi migratori in parte condi-zionati dallo Stato italiano, l’evoluzione e ilmiglioramento in molti casi della situazionelavorativa e residenziale abitativa dei lavora-tori stranieri, fanno sì che anche il nostro Pa-tronato si interroghi sull’effettiva rispondenzadei servizi offerti.

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Se abbia, per esempio, ancora molto senso eragione distinguere servizi dedicati all’immi-grazione, siano essi chiamati Centro diritti oUfficio immigrazione, e se non sia, invece,più rispondente alla realtà di oggi parlare diservizi in senso generale, senza distinzione dietnia. L’obiettivo comune dovrebbe esserequello di avere più stranieri nelle strutturedella Cgil e più italiani preparati sui temi del-l’immigrazione. È un processo che necessitadi doverosi approfondimenti che servirannoanche a comprendere che cosa è cambiato nelrapporto tra le nostre strutture e l’utenza. Non posso non fare una considerazione an-che sulle novità introdotte in campo previ-denziale dalla riforma Fornero e sulle ricaduteche queste hanno sui lavoratori immigrati.Una legge che, improntata ad un inaspri-mento generale dei requisiti per l’accesso aldiritto alle pensioni, ricade sulle spalle giàstanche dei lavoratori stranieri che sono pre-senti in gran numero specialmente nei settoridell’edilizia, dell’agricoltura e dell’industria.I loro percorsi lavorativi contrassegnati da in-terruzioni continue dovute ai lavori stagionalie/o interinali non permetteranno mai il rag-giungimento di quei requisiti essenziali perottenere la pensione.Unica consolazione per chi è rimpatriato nelpaese di origine, il diritto, a 66 anni, di otte-nere la pensione di vecchiaia con qualsiasi an-zianità contributiva. Diritto che però, in casodi morte dell’assicurato prima dei 66 anni,non viene riconosciuto con la reversibilità pergli eredi (a meno che non abbia 15 anni dicontributi o 5 anni di cui 3 negli ultimi 5).

� Le nuove migrazioni

Da non dimenticare anche il fenomeno dellenuove migrazioni, cioè quei giovani che par-

tono dal nostro paese in cerca di occupazionianche non professionalizzate, soprattutto nelterziario. Non si iscrivono all’Aire. Non si sentonoemigranti. Non hanno problemi di integra-zione nel senso classico del termine inquanto spesso conoscono abbastanza bene lalingua del paese ospitante, ne conoscono econdividono la cultura e i modelli. Tendonoalla costruzione del proprio futuro nel paesedi lavoro stringendo legami familiari e inse-diandosi permanentemente, ma non si ri-tengono sradicati dal contesto di origine,l’Italia. Sono aggiornati, collegati. Usano larete al massimo delle possibilità, leggono iquotidiani, conservano e sviluppano contattivirtuali attraverso i quali si amplifica il con-cetto di luogo. Hanno un approccio diversoal viaggio, concepiscono una mobilità agilee hanno un concetto differente, più fluido,di nazionalità e identità geografica. Questonon significa che non abbiano problemi,bisogni, necessità di tutela da esprimere o in-tercettare.Confinprese stima in circa 60.000 gli italianidi età inferiore ai 40 anni emigrati nel 2010.Nel 2008 erano 60.000 le cancellazioni dallaanagrafe per espatrio, nel 2009 sono arrivatea 80.000. Il nostro paese è in una fase di passaggio,siamo oggi contemporaneamente paese diimmigrazione e paese di emigrazione concirca 5 milioni di immigrati e 4 milioni di ita-liani emigrati, iscritti all’Aire. Dovremmo quindi ragionare su nuove po-litiche di insediamento, sui diritti di citta-dinanza, su un welfare di dimensioni euro-pee per offrire e garantire servizi di tutelasempre più ampi, riconosciuti e riconoscibiliovunque ❚

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Jaber (Jabor Alwan Salman), Donne di due mondi, anni ’90

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La Costituzione parla alle donne*

Il valore che fa la differenza di genere ❚ di Morena Piccinini**

Ci ha fatto molto piacere organizzarequesta riflessione sulla Costituzionealla presenza di tutti i presidenti e

coordinatori delle Associazioni Inca nelmondo. Attribuiamo a ciò un significatoparticolare perché i principi della nostra Co-stituzione, giovane attualissima e moderna,sono stati esportati dai tanti italiani che perbisogno, per necessità, per condizioni di po-vertà, per fuggire anche alle persecuzioni, sisono insediati in tutti i paesi del mondo por-tando con sé questi valori come patrimonioe contribuendo, nei paesi di immigrazione, acostruire le Costituzioni di quei paesi. Cosìcome tanti italiani immigrati all’estero hannocontribuito alla redazione dei principali Trat-tati europei il cui profilo trae linfa dalle mi-gliori Costituzioni, a partire dalla nostra.Raggiungere questo risultato non è statosemplice.Il percorso è stato molto difficile e ancor og-gi non si può considerare concluso, se è ve-ro che gli avvenimenti dei quali siamo inve-stiti fanno emergere la necessità di una ri-conferma e di un rafforzamento costantedei nostri valori costituzionali.Ciò vale in generale per tutti i principi co-

stituzionali, ma vale ancor più per quellaparte di dettati costituzionali che afferisco-no più propriamente al valore e al ricono-scimento della differenza di genere e al di-ritto declinato per il sostegno dei diritti del-le donne. Il quadro legislativo attuale che è scaturitodai dettami della nostra Carta Costituzio-nale traccia un segno indelebile sulle con-quiste acquisite dalle donne e indica ancheil grande lavoro sindacale ancora da fare, nelquale è intensissima la partecipazione del-l’Inca.Rileggere ogni provvedimento da un puntodi vista storico fa rivivere in ciascuno di noil’impegno profuso dal patronato della Cgilaffinché, attraverso la tutela e anche il con-tenzioso individuale, elementi di dirittonon ancora acquisiti nei fatti quotidiani di-ventassero via via principi consolidati. Ciògrazie alle numerose sentenze dei tribunali eai tanti pronunciamenti della Corte Costi-tuzionale derivanti da rivendicazioni di di-ritti esercitate dai nostri uffici nel territorioe nel mondo.Un lavoro importantissimo, attraverso ilquale la Cgil e l’Inca hanno contribuito ad

* Relazione di apertura dell’iniziativa «Riprendiamoci la Costituzione» tenutasi a Roma il 15.6.2011** Presidente Inca Cgil nazionale

affermare un profilo qualitativamente altodei diritti di milioni di donne e di uomini.Basti pensare alle moltissime leggi sulla ma-ternità che garantiscono il diritto alla salutedella donna, alla conciliazione dei tempi dilavoro e di cura, fino alla condivisione dellaresponsabilità familiare. Questo excursus fa parte del nostro patri-monio di lavoro, di militanza e di interpre-tazione del ruolo della tutela, come elemen-to essenziale per l’affermazione dei dirittiper tutti, che si è intrecciato con le grandibattaglie sindacali, in particolare della Cgil. Questo impegno non si è esaurito; anzi, nelcontesto economico e sociale attuale ha bi-sogno di un nuovo impulso, poiché quellestesse leggi che hanno segnato l’emancipa-zione della donna sono messe a repentaglioda tentativi più o meno dichiarati che ren-dono difficile una loro piena attuazione.Nel 2000, in occasione della festa delladonna, siamo riusciti a conquistare la leggen. 53 sui congedi parentali; una legge chesolo impropriamente viene interpretata co-me provvedimento destinato esclusivamen-te alle donne, ma che ha una valenza mol-to più ampia perché afferma il principiocostituzionale della condivisione delle re-sponsabilità familiari tra uomini e donnenell’espletamento del lavoro di cura e di as-sistenza dei propri cari all’interno di unostesso nucleo.Le statistiche ci dicono che sono ancoratanti gli ostacoli che impediscono a uominie donne di poter accedere liberamente aicongedi parentali. Sottolineo il termine li-beramente perché sono ancora tante le per-sone, con rapporti di lavoro precari, che so-no impedite nell’esercizio effettivo di questodiritto; e anche quando possono contare suun impiego fisso non riescono ad usufruire

di questi benefici perché troppo spesso ri-schiano di essere soggetti all’emarginazione,al mobbing, se non addirittura alla perditadel lavoro.Sono tanti, anzi troppi, i tentativi di stravol-gere l’equilibrio dei rapporti di forza tra la-voratori e imprenditori faticosamente acqui-sito con queste leggi, tentativi esercitati conla chiara intenzione di minacciare la radicepiù profonda del dettato costituzionale.Tutto questo ci fa dire che c’è ancora unadistanza tra la Costituzione formale e la suapiena realizzazione, perché per noi la realiz-zazione della Costituzione materiale deve si-gnificare la realizzazione con atti concreti,positivi e coerenti, dei principi scolpiti neltesto legislativo. Invece registriamo con preoccupazione ilcrescere di considerazioni che portano atutt’altro risultato, ovvero troppi nella poli-tica come nell’economia e nella sociologiatendono a mettere in evidenza come la co-siddetta «Costituzione materiale», ossia larealtà delle cose e dei comportamenti, siispiri di fatto a principi decisamente diver-si e che, in quanto realtà praticata e mag-giormente sentita come valida, questa «Co-stituzione materiale» debba nei fatti sosti-tuirsi ad una ormai obsoleta e inattuabile«Costituzione formale». Vale a dire che se,nonostante i principi sanciti in Costituzio-ne, la realtà dei fatti va in un’altra direzio-ne, in troppi ipotizzano che la stessa Costi-tuzione formale debba adeguarsi ed esseresoggetta a modifiche per accompagnare itempi di oggi, segnati dalla globalizzazionee dagli imperativi del mercato, che alteranoprofondamente l’equilibrio disegnato dallaCostituzione tra mercato e sociale, tra il di-ritto dell’impresa e il diritto della personache lavora.

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Per questa ragione, come Patronato sinda-cale abbiamo voluto richiamare i valori fon-danti della Costituzione, perché questi ten-tativi di stravolgimento dei principi costitu-zionali non possono passare e dobbiamoimpedirlo con il nostro impegno e il nostrolavoro.La proposta di riforma fiscale con l’inseri-mento del quoziente familiare rappresentauno di questi tentativi di stravolgimento.Non è come vorrebbero farci credere un ele-mento di modernità, ma è invece un modoper far prevalere il lavoro e il reddito di unasola persona all’interno della famiglia, ma-gari rieditando la nozione di capofamiglia,con la facile conseguenza di considerare an-cillare il lavoro delle donne, per le quali il la-voro nero rischia di diventare più vantag-gioso, facendole così tornare in una condi-zione di subalternità.È una concezione sbagliata di modernitàche rischia di farci arretrare sul piano delleconquiste acquisite nelle dure battaglie sin-dacali del passato.Stessa cosa sta succedendo su altri capitoliimportanti, qual è la riforma del sistemapensionistico, dove si vuole cancellare con ilbrusco innalzamento dell’età pensionabileper le donne la differenza di genere, con laquale si è riconosciuto finora alle lavoratriciun onere di lavoro maggiore rispetto a quel-lo degli uomini.Il paradosso è che lo si fa nel nome di unambiguo principio di non discriminazionetra i sessi.Questa discussione non l’abbiamo mai po-tuta affrontare fino in fondo, né con i par-titi politici né con il governo centrale. Anzi,quando si è provveduto ad innalzare l’etàpensionabile per le dipendenti pubbliche siè detto che si voleva eliminare quella diffe-

renza tra donne e uomini diventata ingiu-stificata. Ci dissero che ce lo chiedeva l’Eu-ropa, anche se ciò non corrispondeva al ve-ro. Noi abbiamo risposto che non avevamonessuna obiezione alla parificazione dell’etàpensionabile, precisando però che già con lariforma pensionistica del ’95 l’avevamo ot-tenuta, con l’introduzione del principio diflessibilità in uscita valido sia per uominiche per donne. Ciò che mancava a quella ri-forma però era di stabilire parità nell’ingres-so e nella permanenza nel mercato del lavo-ro delle donne.Cosa che non è avvenuta, visto che l’anda-mento crescente della disoccupazione pe-nalizza soprattutto le lavoratrici sia matureche giovani, costrette a fare i conti con unariduzione consistente dei servizi sociali disostegno alle famiglie e con la loro privatiz-zazione. Si procede perciò a colpi di provvedimentirestrittivi, in nome di una solo presunta pa-rità, a impedire di fatto una uguaglianzareale di opportunità delle donne, facendolearretrare sul piano dell’esigibilità dei dirittidel lavoro e di cittadinanza. Ecco, allora, che io credo che sul tema «checosa è oggi la non discriminazione», «checosa è oggi il diritto alla differenza» dobbia-mo davvero ricominciare a riflettere attenta-mente, perché in realtà tutte le dinamichesociali e del mercato del lavoro, per quantoriguarda i rapporti di forza, ci stanno dicen-do che le discriminazioni aumentano e cheil diritto alla valorizzazione della differenzadiminuisce.Ci sono altri elementi che supportano taletesi.L’atteggiamento del Parlamento, confuso eprigioniero di ideologie totalmente lontanedalla realtà sociale su questioni delicate, co-

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me ad esempio sulle coppie di fatto o sullalegge riguardante la procreazione medical-mente assistita. Il dibattito litigioso e pro-fondamente immaturo ha rivelato uno scol-lamento tra le istituzioni e la società reale eha impedito al nostro paese di fare passi inavanti nel quadro legislativo, come sarebbestato auspicabile per il bene dell’interessegenerale. I parlamentari hanno preferitomettere la testa sotto la sabbia non rispon-dendo a bisogni reali che migliaia di perso-ne hanno espresso nelle tante manifestazio-ni di protesta. Se ciò non bastasse, vorrei ricordare anchela vicenda sulla legge contro le dimissioni inbianco, votata all’ultima ora nel 2008, pri-ma della crisi di governo di centro-sinistra eabrogata, come primo atto, dall’esecutivoguidato da Silvio Berlusconi. Anche questa non è una battaglia che ri-guarda soltanto le donne. Purtroppo, con lascusa della crisi, anche gli uomini sono sta-ti costretti a questa pessima pratica degliimprenditori: se vuoi lavorare devi firmare ilfoglio in bianco delle dimissioni. Se avessimo avuto bisogno di un’ulterioreconferma del fatto che le battaglie delledonne non sono esclusivamente rivolte algenere femminile, le dimissioni in bianco,così come la legge sui congedi parentali,rappresentano due vicende emblematiche.La revisione al ribasso delle garanzie costi-tuzionali senza distinzione di genere è una

tendenza che dobbiamo contrastare insie-me, nel rispetto delle differenze. Così come le quote rosa sono una necessitàper garantire pari opportunità di genere,anche le battaglie delle donne rappresenta-no uno strumento indispensabile per l’affer-mazione di una giustizia sociale sostanziale,senza distinzione di genere, ma nel rispettodelle differenze. A questo proposito vorrei leggere una affer-mazione del vice direttore della Banca d’Ita-lia, dottoressa Tarantola: «Le quote rosa so-no una distorsione, ma servono per aprire ilcancello».Questo cancello in Cgil si è aperto, ma nonè successo altrettanto nella società. La stessadirigente, ricordando lo scarto del 20 percento dell’occupazione femminile in Italia,sostiene che «se avessimo una presenza pari-taria delle donne nel mondo del lavoro eanche nei luoghi decisionali, il Pil cresce-rebbe di 12 punti».Se lo dice il vice direttore della Banca d’Ita-lia possiamo crederci. Vorrei concludere sottolineando che la bat-taglia delle donne, la battaglia della Cgil, labattaglia dell’Inca sono una cosa sola perriuscire ad affermare non solo i principi co-stituzionali, ma per riavvicinare quella Co-stituzione materiale alla Costituzione for-male, ovvero per fare in modo che la Costi-tuzione materiale sia esattamente lo spec-chio della Costituzione formale ❚

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Tono Zancanaro, Marietta Gardini mondina di Roncoferraro, 1952

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Dalle mondine ai call center❚ di Anna Maria Righi *

Nel corso della quarta edizione delFestival del diritto, che si è svoltaa Piacenza qualche tempo fa, l’As-

sociazione Ambiente & Lavoro ha organiz-zato un convegno dedicato ai «Diritti di ge-nere nei 150 anni di storia d’Italia: dallemondine al call center». Un’occasione per ri-flettere sul ruolo della donna e sul concettodi parità nel mondo del lavoro dall’Unitàd’Italia ad oggi.Il segretario generale della Cgil nella sua re-lazione ha coniato quello che potrebbe esse-re uno slogan che ben si addice alla condi-zione che l’altra metà del cielo ricopre nellasocietà: «“donne acrobate” – le ha definite laCamusso – costrette a lavorare il doppio,fuori sul posto di lavoro e dentro le muradomestiche, per svolgere quel lavoro di cu-ra della famiglia che è quasi esclusivamentea loro carico». Purtroppo i 150 anni di storia della nostraRepubblica non sono bastati per aiutare ledonne a rimuovere gli ostacoli che le pon-gono ancora in una condizione di sudditan-za nei confronti di una società molto pocogenerosa nei loro confronti. Nonostante leleggi, molti ostacoli si frappongono ancoratra le donne e il lavoro. Sono pochissime in-

fatti quelle che raggiungono ruoli dirigen-ziali stante il loro continuo impegno a svol-gere il prezioso lavoro di cura nelle famiglie,sommando così insieme due fatiche, quelladomestica e quella extradomestica. E allorache differenza c’è – qualcuno si chiede – frauna mondina che lavorava dall’alba al tra-monto, in condizioni miserrime, e unadonna moderna che come un frisbee si tro-va ogni giorno catapultata a gestire, dirime-re o pianificare infinite incombenze diverse?Le mondine svolgevano un lavoro tra i piùumili e faticosi, ma avevano almeno il «pa-racadute» costituito dalla famiglia patriarca-le che, con i suoi limiti, era in grado di assi-curare l’assistenza all’infanzia e agli anzianinon autosufficienti; le donne di oggi svol-gono lavori spesso con ruoli che non corri-spondono alle loro professionalità, che sononotevolmente migliorate e, ogni giorno, af-frontano un vero e proprio tour de force perriuscire a conciliare lavoro e famiglia, senzaun adeguato welfare a sostegno. La stessa emancipazione femminile consi-derata una vittoria, in realtà, è costata caraperché troppo spesso le ha costrette a barat-tare l’indipendenza economica con unenorme aggravio delle fatiche quotidiane.

* Dipartimento «Salute e sicurezza sul lavoro» Cgil Modena

È partendo proprio da qui che viene spon-taneo chiedersi se sia stato giusto abbatteretutte quelle «tutele» che erano state ricono-sciute, soprattutto in tema di prestanza fisi-ca e/o di lavoro notturno, in nome di quel-l’uguaglianza che fisiologicamente tale nonpotrà mai essere, o invece se, in virtù dellanuova consapevolezza, oggi non valga la pe-na di iniziare ad invertire la rotta per arriva-re a rivendicare pari dignità, pari valore, marispettando le diversità di genere.In questo nuovo contesto culturale, forse èproprio alla miopia dimostrata dai legislato-ri italiani e europei che bisogna attribuire laresponsabilità del gap della condizione fem-minile. La loro scarsa lungimiranza, in no-me della parità di trattamento fra lavoratorie lavoratrici, ha abbattuto tutti gli ostacoliche si frapponevano alla sua completa rea-lizzazione, senza peraltro chiedersi se ciò po-tesse in un qualche modo pregiudicare la sa-lute della donna, con particolare riguardo aquella riproduttiva.Classico esempio ne è la direttiva n. 391/89,poi divenuta d.lgs. 626/94, dove, a sorpre-sa, è stato innalzato il limite massimo di pe-so sollevabile a 30 chili, considerandolo l’e -qua misura che indifferentemente uomini edonne potevano sollevare senza alcun pre-giudizio per il loro rachide.Sarebbe bastato semplicemente analizzare lepotenzialità di prestanza fisica dei generi perevidenziare che le donne hanno costituzio-nalmente una minore capacità di resistenzanel sollevare i pesi per il semplice fatto chenel rachide di una donna la distanza tra lazona dell’inserzione muscolare e il terzo di-sco lombare (zona chiamata in causa duran-te i sollevamenti di pesi) è mediamente di3/4 cm inferiore a quella dell’uomo. È la fi-sica stessa a dirci che in tema di leve, se il

braccio della resistenza è più corto, tantopiù faticherà a contrastare la potenza (inquesto caso il peso da sollevare). A vantag-gio di chi dunque stabilire uguali limiti disollevamento per uomini e donne?

Si sono impiegati dieci anni, dalla condan-na che la Corte di Giustizia europea ha in-flitto al nostro paese per le differenze ditrattamento fra uomo e donna, affinchéqualche norma provasse di nuovo a fare untimido accenno alla salute di genere. Ed èsolo con il decreto legislativo n. 81/08 chesi inserisce, in modo esplicito, fra gli obbli-ghi in capo al datore di lavoro, quello di ef-fettuare una valutazione dei rischi che ten-ga conto delle differenze di genere, richia-mando una norma tecnica (Iso 11228) chedistingue limiti massimi di sollevamentodei pesi tra uomini e donne (rispettiva-mente 25 e 20 kg). Le stesse norme preve-dono anche la perseguibilità del datore dilavoro qualora, pur avendo a disposizionetecnologia adeguata, non provveda a ridur-re i rischi presenti nell’ambiente di lavoro.Ovvero: se vi è la possibilità di utilizzare unausilio meccanico, quale un sollevatore, que-sto deve essere impiegato anche se i pesi damovimentare risultano inferiori alla soglia li-mite e anche se a movimentarli sono uomi-ni piuttosto che donne.Questo è dunque il vero obiettivo a cuidobbiamo aspirare: rivendicare miglioricondizioni per tutti, evitando che la diffe-renza di genere, al momento dell’assunzio-ne, diventi un elemento discriminante. In tema di lavoro notturno, le analisi svoltein occasione dell’83o Congresso nazionaledella Società italiana di Ginecologia e Oste-tricia (Sigo), del 48o Congresso dell’Asso-ciazione degli Ostetrici e Ginecologi ospe-

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dalieri italiani (Aogoi) e del 15° Congressodell’Associazione ginecologi universitari ita-liani (Agui) hanno sottolineato che: «Le evi-denze scientifiche indicano come per un re-cupero ottimale delle energie fisiche e psi-chiche, e l’ottimizzazione dei bioritmi car-dinali della vita neurovegetativa, sia necessa-ria un’ora di sonno per due di veglia, quin-di 8 ore su 24. Nel mondo occidentale, è incorso una progressiva riduzione del tempodedicato al sonno, che è mediamente ridot-to di un’ora e mezza per notte, rispetto acent’anni fa.«Le ripercussioni di questa carenza sulla sa-lute sono molteplici. La carenza di sonnocontribuisce ad alterare la pulsatilità deicentri ipotalamici, con disregolazione ipofi-saria e alterazione qualitativa della funzio-nalità ovarica (con fase luteale inadeguata obreve, fino alla mancata ovulazione e al-l’amenorrea). Lo stress originato dalla ca-renza cronica di sonno può contribuire an-che ad alterare le fasi dell’annidamento, fa-vorendo l’interruzione spontanea precocedella gravidanza».A tali analisi si potrebbe obiettare che ladonna dopo aver svolto il lavoro notturnopuò tranquillamente risposare durante ilgiorno. Ma è da ritenersi credibile una taleipotesi? Senza tralasciare peraltro che lo sta-to di sonno e quello di veglia sono normal-mente regolati da ormoni che si attivano inpresenza di luce o di buio e pertanto il son-no diurno (posto e non concesso che unadonna se lo possa permettere) potenzial-mente non è mai altrettanto «rigenerante».Pertanto, gli effetti del lavoro notturno po-trebbero riflettersi in modo negativo anchesul genere maschile. Non a caso molti sonoi lavoratori affetti da esaurimento psico-fisi-co che svolgono attività a carattere preva-

lentemente notturno (guardie giurate, guar-diani di notte, ecc.).E dunque le strategie sindacali che pongo-no al centro delle loro politiche la tutela del-la salute delle lavoratrici e dei lavoratori nondovrebbero mirare a reintrodurre il divietodi lavoro notturno per le donne tout court,ma studiare politiche rivendicative per ri-durre al minimo l’impiego di lavoro nottur-no o, in alternativa, per modularlo in mododa diminuire gli effetti nocivi sulla salutepsichica dei lavoratori.Per quanto riguarda la tutela della gravidan-za, le norme esistono da tempo e sono suf-ficientemente adeguate anche se non sem-pre pienamente applicate.Nel 1992 la Commissione europea emiseuna raccomandazione che prevedeva l’inse-rimento di norme tali da garantire la massi-ma tutela per le donne in gravidanza, attra-verso l’ampliamento di tutte quelle lavora-zioni per le quali si evidenziava fatica psico-fisica, carichi posturali, lavoro solitario,stress professionale, attività con postura se-duta e per le quali era prevista l’astensioneanticipata dal lavoro.Stupirà che fra le tante garanzie richieste atutela della donna in gravidanza vi sia quel-la relativa al lavoro seduto, ma in realtà la«postura assisa fissa», che non consente dialzarsi, se non per le pause fisiologiche, nongarantisce condizioni di salute ottimali néper la donna gravida, né per tutti gli altri la-voratori e lavoratrici perché favorisce l’in-sorgenza di patologie quali diabete, cardio-patie ecc.

Di tutto ciò l’Italia fece un sunto particolar-mente scarno emanando il decreto legislati-vo n. 64/96 in cui laconicamente riassume-va la Raccomandazione europea inserendo

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fra i lavori che originano l’astensione antici-pata dal lavoro i seguenti: movimenti e po-sizioni di lavoro, spostamenti, sia all’internosia all’esterno dello stabilimento, faticamentale fisica e altri disagi fisici connessi al-l’attività svolta dalle lavoratrici. Nessun ac-cenno al lavoro in postura fissa.D’altra parte anche il successivo decreto legi-slativo n. 151/2001, che ha sostituito il d.lgs.645/96, ha riproposto la medesima dicitura.È necessario sottolineare altresì come, nono-stante la previsione di legge, a tutt’oggi sianorarissimi i casi di maternità anticipata perstress lavoro correlato, perché si tende a farriferimento solo ai classici fattori di rischio:gravosi, faticosi, insalubri, nocivi. Nulla di più.Una particolarità tutta italiana, ove la cultu-ra della legalità è ancora una chimera, tant’èche molti datori di lavoro obbligati ad effet-tuare le misurazioni degli elementi nocivipresenti nell’ambiente di lavoro riescono a

mascherare i risultati, vanificando in questomodo le tutele previste per la salute ripro-duttiva delle donne.È stata percorsa tanta strada e tanta ne do-vremo ancora percorrere, ma in un periododi crisi strutturale come quella che sta attra-versando il nostro paese, dove il costo del la-voro deve essere ridotto ai minimi termini,favorendo il guadagno di pochi contro losfruttamento di molti, diventa sempre piùdifficile parlare di salute di genere. Da quiin avanti la scommessa per il sindacato saràpurtroppo quella di cercare di non arretrarerispetto ai diritti già conquistati e la tuteladella salute di genere non può diventare lamerce di scambio per la conservazione delposto di lavoro a tutti i costi.Sarebbe triste raccontare ai nostri figli che laloro è la prima generazione, dopo l’avventodella rivoluzione industriale, che arretrapiuttosto che progredire in tema di acquisi-zione di diritti ❚

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Le principali leggi che hanno regolamentato l’emancipazione delle donne in Italia

1882. Primo sciopero nelle risaie del vercellese: benché assolte al processo, le dimostranti rimasero incarcere dal giorno dei tumulti fino al processo.

1892. Prima bozza di contratto della monda.

1902. Varo della legge n. 242; una delle prime normative in tema di tutela del «sesso debole»; preve-deva il divieto di prestazioni lavorative da parte delle donne in cave, miniere, gallerie e sotterra-nei; vietava il lavoro notturno alle minorenni, vietava inoltre la prestazione lavorativa della don-na un mese prima del parto e obbligava i datori di lavoro ad agevolare l’allattamento istituendospeciali camere annesse alle fabbriche.

1906. Le rivendicazioni sindacali portano a ridurre l’orario giornaliero di lavoro: non più dall’alba al tra-monto, bensì «solo» 8 ore giornaliere.

1907. Varo della legge n. 416: divieto di lavoro notturno per le donne di qualsiasi età nel settore indu-striale e manifatturiero, benché con numerose eccezioni.

1934. Regio decreto legge 22/03/34: divieto di adibire le donne al lavoro per almeno sei settimane do-po il parto con obbligo di conservazione del posto di lavoro. Divieto di effettuare lavori pesantinei tre mesi precedenti la data presunta del parto.

1934. Legge n. 653: le donne non possono movimentare pesi maggiori di 20 chili.

1950. Legge n. 860: estensione della tutela per la maternità: astensione da lavori pesanti dalla consta-tazione dello stato di gravidanza e per tre mesi dopo il parto (sette se si allatta).

1971. Legge n. 1204: vietati i lavori nocivi fino a sette mesi dopo il parto.

1977. Legge n. 903: parità di trattamento tra lavoratrici e lavoratori in materia di lavoro.

1986. Sentenza della Corte Costituzionale n. 210: abolizione del divieto di lavoro notturno per le donnedel settore industriale con la motivazione che ciò crea disparità di trattamento tra uomini e don-ne sul lavoro.

1994. D.lgs. 626: uomini e donne non possono sollevare pesi maggiori di 30 Kg; tuttavia la legge del1934 n. 653, che prevede, per le sole donne, 20 kg quale limite massimo di peso sollevabile, nonviene espressamente abrogata generando difficoltà interpretative fra le due norme.

1997. Condanna della Corte di Giustizia europea per aver mantenuto in vigore troppo a lungo il divietodi lavoro notturno per le donne «in spregio» al principio di parità di trattamento tra uomo e don-na sul lavoro.

2000. Legge n. 53: sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione eper il coordinamento dei tempi delle città.

2001. Testo Unico a sostegno della maternità e della paternità.

Emilio Tadini, Reggio Emilia, 1988 (particolare)

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La parità tra donne e uomini in Europa❚ di Carlo Caldarini*

La parità tra donne e uomini non èsoltanto un diritto formale, stabilitodall’articolo 2 del trattato sull’Unio-

ne europea e dalla Carta dei diritti fonda-mentali dell’Unione europea. L’Europa haanche effettivamente compiuto notevoliprogressi verso la parità tra uomini e donnedurante gli ultimi decenni. Oggi le donne silaureano più degli uomini e contribuisconocome non mai alla forza lavoro dell’Europa.Tuttavia un’uguaglianza vera e propria vieneancora ostacolata da barriere e pregiudizi.La discriminazione, gli stereotipi nell’edu-cazione, la segregazione nel mercato del la-voro, la precarietà delle condizioni di occu-pazione, le differenze nelle retribuzioni aparità di funzioni, il lavoro part-time invo-lontario e lo squilibrio nella suddivisionedei compiti familiari tra donne e uominipregiudicano le scelte di vita e l’indipen-denza economica di molte donne. Le don-ne continuano a non avere pieno accesso al-la condivisione del potere e della capacitàdecisionale, neppure nei settori che più leriguardano, come le riforme dei sistemi pre-videnziali1.

Durante questo processo, la Comunità eu-ropea ha definito il suo approccio ideal-tipi-co alle questioni di genere – la parità di trat-tamento – riconducendolo ad un concettodi uguaglianza formale che dovrebbe essereil perno di ogni politica antidiscriminatoria:un modello che ha condotto tutti gli Statidella Cee, nonché tutti quelli che nel corsodel processo di integrazione sono entrati afar parte dell’Ue, a procedere al necessarioadeguamento normativo, riconoscendo etutelando da un punto di vista giuridico ipari diritti dei lavoratori e delle lavoratricidefiniti sul piano europeo. Negli anni la nozione di parità di genere èstata declinata in vari modi, talvolta con-traddittori, producendo strategie politiche aloro volta differenziate anche se vicine o pa-rallele2:• come raggiungimento della parità in

quan to identità sociale, applicata quindialla politica delle pari opportunità;

• come affermazione delle peculiarità delledonne rispetto alla norma maschile, con-cretizzatasi nelle cosiddette misure diazione positiva;

* Sociologo e pedagogista, direttore dell’Osservatorio Inca Cgil per le politiche sociali in Europa.1 Caldarini C., 2007b, “I diritti previdenziali delle donne nell’Europa che cambia”, Mondoperaio, n. 3, pp. 68-72.2 Bernardi N., Caldarini C., 2009, “Le pari opportunità nelle politiche sociali dell’Ue. Tappe principali e ana-lisi comparata dei regimi di genere di nove paesi”, Rivista delle Politiche Sociali, n. 2, pp. 217-248.

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3 Lombardo E., 2003, “EU Gender Policy: trapped in the Wollstonecraft Dilemma?”, The European Journal ofWomen’s Studies, 10/2.4 Caldarini C., 2007, “L’approccio europeo a welfare e corso di vita”, Rivista delle Politiche Sociali, n. 3, pp. 279-300.

• come declinazione delle differenze tra fem- minile e maschile, alla quale si accompa-gna la strategia del pensiero di genere, ogender mainstreaming.

Nato durante gli anni sessanta con l’espe-rienza americana di lotta alla discriminazio-ne razziale, il concetto di pari opportunità –strettamente collegato alla nozione di ugua-glianza sostanziale – mira in pratica a rista-bilire, tra appartenenti a gruppi sociali di-versi, i medesimi punti di partenza nella vi-ta sociale, economica e politica. Tale ap-proccio riconosce esplicitamente l’esistenzadi violazioni a quell’eguaglianza formale cheimporrebbe invece il divieto di qualunqueprescrizione o trattamento preferenziale ba-sato sulle caratteristiche individuali dellapersona o sul gruppo d’appartenenza. Ilsemplice riconoscimento di tali disparitànon significa tuttavia garantire il consegui-mento di eguali risultati, in quanto questidipenderanno anche dai meriti e dall’azionedei singoli interessati, oltre che dal contestosociale e familiare in cui tale azione si di-spiega (capitale sociale). Con le cosiddette azioni positive si favori-sce invece, a parità di altre condizioni, unadonna rispetto ad un uomo, evitando l’ap-plicazione rigorosa del principio della pari-tà di trattamento che potrebbe invece ge-nerare ulteriori disuguaglianze per le don-ne. Il vantaggio di questa strategia sta nelriconoscere che le condizioni di base nonsono le stesse, e nel cercare perciò di rista-bilire una situazione di parità favorendo lacategoria più svantaggiata; il limite invece è

che se ne stigmatizza ulteriormente la con-dizione.Secondo alcuni3, l’evoluzione della politicadi genere dell’Unione europea può essereletta attraverso le lenti del “dilemma dellaWollstonecraft”, dal nome dell’istitutrice bri-tannica Mary Wollstonecraft che nel 1792pubblicò uno dei primi saggi sulla difesa deidiritti delle donne, dal titolo A Vindicationof the Rights of Woman. Il dilemma si giocafra la richiesta di estendere alle donne glistessi diritti goduti dai maschi, e la rivendi-cazione delle capacità, degli interessi e deibisogni particolari delle donne stesse, chepertanto necessitano del riconoscimento diuna cittadinanza differenziata e specifica. Ineffetti la Comunità ha optato sostanzial-mente per la strategia delle pari opportuni-tà, ovvero per l’estensione alle donne dellestesse opportunità già godute dagli uomini.La tendenza principale, sancita dall’articolo141 (ex 119) del Trattato Cee, è stata quel-la di assicurare soprattutto il trattamentoparitario delle donne e degli uomini “occu-pati”, senza considerare adeguatamente ildiverso corso della vita delle donne4. Il diritto comunitario si applica infatti prin-cipalmente alla popolazione attiva o allepersone ritiratesi dal lavoro, mentre minoreattenzione è rivolta a problemi quali la fa-miglia, o l’interruzione del rapporto lavora-tivo per motivi familiari. Infatti, se da unaparte la Commissione e la Corte hanno san-cito i principi della parità di trattamento edi retribuzione, dall’altra – in virtù anchedelle competenze loro assegnate – si sono

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5 European Commission, 2009, Accompanying document to the Joint Report on Social Protection and Social In-clusion 2009, Brussels, 13.2.2009, Sec (2009) 141.6 Più precisamente, secondo gli indicatori strutturali elaborati dall’Eurostat a livello Ue27, il cosiddetto “paygap” di genere era del 17% nel 1995 e del 15% nel 2005 (European Commission, 2007). Nel 2007 invece, ildato è stato stimato al 17,4%: ciò però non a causa di un aumento effettivo del fenomeno ma per i cambia-menti apportati nei metodi di calcolo (European Commission, 2009b; p. 16)

astenute dall’entrare nella sfera delle relazio-ni familiari. Solo in anni recenti l’Ue ha adottato strate-gie alternative. Il concetto di gender main-streaming, apparso per la prima volta nei te-sti internazionali dopo la Terza Conferenzamondiale sulle donne delle Nazioni Unite,a Nairobi nel 1985, diventa infatti un ap-proccio obbligatorio per gli Stati membrialla fine degli anni novanta. Con questo ter-mine si indica l’adozione, da parte dei go-verni e degli attori istituzionali, di una pro-spettiva complessiva attraverso cui pensare,attuare, valutare e revisionare politiche eprogrammi, prestando attenzione agli effet-ti sulle donne e sulla loro posizione nella so-cietà. Con lo sviluppo del concetto di main-streaming le donne cessano di essere consi-derate come una categoria da assistere e pro-teggere. Il rischio, tuttavia, è che Unione dauna parte e governi nazionali dall’altra assu-mano questo presupposto come pretestoper smantellare le misure specifiche create asostegno delle donne. Ecco perché si parla di un dilemma: la poli-tica di genere dell’Ue produce politiche che,benché progressiste, pare riproducano le di-sparità. Nel nostro caso il dilemma sembracomunque destinato a non risolversi a cau-sa della persistenza di un contesto patriarca-le nella maggior parte dei paesi membri del-l’Unione che non consente, anche laddovemisure di parità sono adottate, di consegui-re effetti concreti.

Il problema dell’accesso al lavoro, ad esem-pio, è stato definito giuridicamente dalla di-rettiva 76/207 del 1976 sulla parità profes-sionale tra uomini e donne. Tuttavia, oltretrent’anni dopo, una delle principali ambi-zioni della strategia europea per l’occupa-zione resta quella di raggiungere pari op-portunità di accesso al mercato del lavoroper il mondo femminile. Nel 2010, ad esempio, il tasso d’occupazio-ne medio all’interno dell’Ue è stato del70% per gli uomini e del 58% per le don-ne. In presenza di figli, inoltre, il tasso di oc-cupazione delle donne diminuisce, mentreaumenta quello degli uomini, il che rispec-chia l’ineguale ripartizione delle responsabi-lità parentali e l’insufficienza delle struttureper la custodia dei bambini e delle azioni diconciliazione della vita privata e della vitaprofessionale5.Anche le donne professionalmente attive de-vono del resto affrontare dei veri e propri“percorsi ad ostacoli”, durante la loro vita la-vorativa. Ad esempio, quasi un terzo delledonne europee occupate ha un lavoro a tem-po parziale, mentre per gli uomini questoaccade soltanto nell’8% dei casi. E dal 1995ad oggi, ossia da quando sono disponibilidati comparabili per tutti i 27 paesi Ue, il di-vario di retribuzione media tra i due sessioscilla regolarmente tra il 15% e il 17% asvantaggio delle donne6.La politica sovranazionale comunitaria ènaturalmente filtrata attraverso i singoli re-

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7 Con regime o ordine di genere ci si riferisce alle norme, ai principi, alle politiche che guidano l’allocazione de-gli obiettivi, dei diritti e delle possibilità di vita di entrambi i sessi, dal lavoro retribuito all’assistenza non retri-buita. Walby S., 2004, “The European Union and Gender Equality: Emergent Varieties of Gender Regime”,Social Politics, Volume 11, Number 1.8 Danimarca, Finlandia e Svezia sono gli unici paesi dell’Ue dove la custodia dei bambini in età prescolare è undiritto sociale garantito (Commissione europea, 2008).9 Il congedo di maternità, in quanto tale, è di soli 50 giorni, e viene corrisposto soltanto quando la donna svol-ge un lavoro particolarmente faticoso e non può essere trasferita ad altre mansioni. La maternità e la paternitàsono quindi protette attraverso i congedi parentali.

gimi nazionali di politica sociale, e le diffe-renze nelle attitudini politiche e culturaliverso i problemi sociali influenzano l’inter-pretazione e l’implementazione delle regolesovranazionali, così come diverse combina-zioni di politiche sociali in diversi paesi pro-muovono particolari “regimi di genere”7.

� Danimarca, Svezia e Paesi Bassi

I sistemi pensionistici di questi paesi si fon-dano sul principio della cittadinanza, chegarantisce il diritto a una prestazione mini-ma universale, condizionata al numero dianni di residenza nel paese, cui si aggiungo-no degli schemi integrativi obbligatori fi-nanziati dai contributi assicurativi. L’etàpensionabile è identica per uomini e donne,e tuttavia l’età effettiva media di uscita dalmercato del lavoro è leggermente più bassaper le donne. In Danimarca, in particolare,le donne escono dal mercato del lavoro, inmedia, tre anni prima degli uomini.Essendo la previdenza di base svincolatadalla carriera professionale, non vi è moltospazio per meccanismi compensatori in fa-vore delle donne. Alcune misure che posso-no favorire le donne si ritrovano invece ne-gli schemi complementari obbligatori: • in Danimarca, ad esempio, la pensione

integrativa è obbligatoria anche per lepersone che percepiscono indennità pernascita o adozione;

• in Svezia, invece, per le cosiddette pensio-ni di base (legate al reddito) sono previsticontributi figurativi in caso di congedoparentale e per la cura dei figli.

Ma è soprattutto alle politiche famigliariche spetta il compito di garantire un soddi-sfacente equilibrio nelle relazioni tra uomi-ni donne e condizioni di relativa parità nel-la condivisione dei compiti familiari. Ciòavviene sia con lo sviluppo dei servizi di ac-coglienza per l’infanzia come asili nido e al-tro8, sia attraverso i congedi legati alla curae all’educazione dei figli. In Danimarca i congedi di maternità (18settimane), di paternità (16 settimane) e diadozione (46 settimane) sono garantiti an-che alle lavoratrici e ai lavoratori autonomi,e il congedo parentale (32 settimane) puòessere ripartito tra entrambi i genitori.In Svezia i genitori possono beneficiare diun congedo parentale di 480 giorni, di cui60 sono attribuiti a ciascun genitore e nonpossono essere ceduti all’altro 9. Entrambi igenitori possono inoltre ricevere le indenni-tà parentali contemporaneamente per par-tecipare a corsi di qualificazione per genito-ri prima o dopo la nascita del bambino. Iperiodi dedicati alla cura e all’educazionedei figli possono essere considerati comecontributi figurativi.Nei Paesi Bassi il congedo di maternità (16settimane) garantisce il 100% della retri-

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10 Del tutto particolare, a questo proposito, è la situazione dei Paesi Bassi, dove l’accordo sul lavoro a tempoparziale del 1982 (il cosiddetto accordo di Wassenaar) ha permesso di consolidare la situazione di molti lavora-tori, e lavoratrici soprattutto, occupati con contratti temporanei, che sono stati trasformati in contratti part-ti-me ma a durata indeterminata, con il risultato che oggi il tasso d’occupazione delle donne è del 70%, ma i trequarti di queste sono occupate a tempo parziale, e il divario salariale tra i due sessi è il più alto tra i 27 paesi del-l’Ue: 23,6%.

buzione (fino a un massimo di 189 € algiorno).I tassi di occupazione femminile (in media70% circa) sono quindi i più alti d’Europa,grazie a delle efficaci politiche di concilia-zione fra vita professionale e privata, chehanno favorito per le donne (ma anche pergli uomini) una scelta più libera fra carrieraprofessionale e qualità della vita familiare.Le donne dedicano mediamente al lavorodomestico circa il 50% del tempo in più ri-spetto agli uomini, mentre in Spagna e inItalia la differenza supera il 200%. Resta il problema di una certa segregazionesettoriale e professionale, a causa della qua-le le donne inserite nel mondo del lavoropercepiscono in genere retribuzioni più bas-se (la differenza salariale tra donne e uomi-ni è del 17% circa) e sono impiegate princi-palmente nel settore pubblico e nel sociale ocon contratti part-time10.

� Belgio, Francia e Germania

L’età pensionabile è anche qui identica peruomini e donne. Esistono tuttavia diversemisure compensative a protezione delle car-riere lavorative più accidentate:• in Belgio si ha diritto ai contributi figura-

tivi anche durante la disoccupazione e inalcuni altri periodi di interruzione del la-voro, tra cui anche lo sciopero riconosciu-to e la detenzione preventiva. È previstainoltre la possibilità di contribuzione vo-lontaria per coloro che cessano l’attività

lavorativa per occuparsi della cura deibambini.

• In Francia il sistema dei contributi figura-tivi copre anche i periodi di congedo pa-rentale nei primi 3 anni di vita del bam-bino. Sono inoltre previste maggiorazio-ni, per uomini e donne, in funzione delnumero di figli e degli anni dedicati allaloro educazione. Alle donne vengonoinoltre attribuiti 2 anni assicurativi per fi-glio, o per la cura di figli con handicapgrave, e la pensione a tasso pieno se han-no cresciuto più di 2 figli.

• In Germania vengono accreditati i perio-di di cura dei figli fino all’età di 10 anni equelli dedicati all’educazione dei figli finoa 3 anni di età. In caso di divorzio, inol-tre, i benefici assicurativi derivanti da fon-di pensionistici integrativi devono essereripartiti tra i coniugi.

Resta tuttavia il problema della disparità ditrattamento sul mercato del lavoro, soprat-tutto in Germania dove la differenza di re-tribuzione media tra donne e uomini è tra lepiù alte in Europa (23%). I servizi sociali,inoltre, per quanto maggiormente sviluppa-ti rispetto al sud Europa, sono fondamental-mente ancora organizzati sulla base di unaseparazione dei compiti familiari tra maschie femmine (Germania soprattutto). Ed an-che le misure di congedo per la cura dei figlinon sono sviluppati come nel Nord Europa:• in Belgio, per le lavoratrici dipendenti il

congedo di maternità è di 15 settimane,

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11 Dal 1° aprile 2009 il Belgio ha introdotto inoltre misure più flessibili, con l’obiettivo di favorire la concilia-zione tra vita familiare e lavorativa e la redistribuzione dei compiti familiari. In particolare, le lavoratrici dipen-denti potranno ora scaglionare le ultime due settimane del congedo di maternità, trasformandole in uno o piùmesi di lavoro a tempo parziale; le lavoratrici autonome potranno anch’esse scegliere di prendere il congedo dimaternità settimana per settimana, nei 5 mesi successivi al parto; i padri potranno anch’essi distribuire i loro 10giorni di congedo nei 4 mesi successivi alla nascita del bambino; il congedo parentale potrà essere preso fino al12° anno di età del bambino (precedentemente era fino al 3° anno).12 La legge del 26 luglio 2007 ha modificato il sistema pensionistico nazionale, con lo scopo dichiarato di am-pliare progressivamente il campo d’applicazione individuale della pensione di base, in vista soprattutto dell’in-nalzamento dell’età pensionabile che toccherà in primo luogo le donne.

retribuito all’82% nei primi 30 giorni e al75% i successivi periodi. Il congedo dipaternità è di 10 giorni, quello di adozio-ne di 4-6 settimane e i congedi parentalisono di 3 mesi per ciascun genitore. Le la-voratrici autonome hanno diritto anchead un aiuto domestico durante e dopo lagravidanza, a carico dello Stato attraversoil sistema dei titres services, ossia titoli dipagamento del valore di 7,50 € l’ora11.

• In Francia, oltre alle 16 settimane legalidel congedo di maternità, la donna ha di-ritto a delle settimane supplementari perla nascita di un terzo figlio. Il congedo dipaternità (11 giorni) può inoltre essereconcesso anche al genitore disoccupato,in formazione professionale e ad alcunecategorie di lavoratori autonomi. Il con-gedo di adozione può variare tra 10 e 22settimane e quello parentale può arrivarefino a 12 mesi.

• In Germania il congedo di maternità (14settimane) garantisce il 100% della retri-buzione e può essere prolungato di altre 4settimane in caso di parto prematuro o ge-mellare. Non sono invece previsti congedidi paternità o di adozione, ma in entram-bi i casi si applicano le misure del conge-do parentale (3 anni per ciascun genitore).

Nel complesso, la disponibilità di meccani-smi che consentano, soprattutto alle donne,

di conciliare lavoro e responsabilità di curafamiliare ha permesso a questi paesi, pur sein misura inferiore al Nord Europa, di rag-giungere gli obiettivi di Lisbona per quantoriguarda i tassi di occupazione femminile(oltre 60%). La disponibilità di servizi di as-sistenza pubblica per i minori (asili nido ealtri servizi di accoglienza dell’infanzia) è in-fatti buona, soprattutto in Belgio e Francia,così come del resto anche per gli anziani(pasti e assistenza a domicilio, tempo libero,ecc.).

� Regno Unito

Nel Regno Unito l’età legale della pensioneè 65 anni per gli uomini e 60 per le donne,ma è prevista la parificazione a 65 anni en-tro il 202012. Già da ora, tuttavia, le donnesi ritirano dal mercato del lavoro soltantodue anni prima degli uomini secondo le ul-time stime Eurostat. Un vantaggio per lapopolazione femminile è inoltre previstoper quanto riguarda i periodi contributivinecessari per una pensione completa (BasicState Pension): 44 anni per gli uomini e 39per le donne. Sono accreditati anche i periodi dedicati al-la cura dei figli o di una persona malata odisabile, la maternità e l’adozione. E in casodi decesso del coniuge o del partner, divor-zio o scioglimento del vincolo, i contributi

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Tabella 1 – Indicatori di sintesi in alcuni paesi UE

PIL Spesa Gap sala- Tasso Tasso Età di uscitapro-capite sociale riale donne occupazione occupazione dal mercato (UE=100) /PIL /uomini femminile a termine del lavoro 2010 2007 2010 2010 2010 2007

DONNE UOMINI DONNE UOMINI DONNE UOMINI

Danimarca 127 28.9% 16.8% 71.1% 75.8% 8.8% 8.3% 62.3 60.3

Paesi Bassi 133 28.4% 18.5% 69.3% 80.0% 19.8% 16.9% 63.7 62.8

Svezia 123 29.7% 15.8% 70.3% 75.1% 17.3% 13.5% 64,4 63.2

Belgio 119 29.5% 8.8% 56.5% 67.4% 9.6% 6.7% 61.2 61.9

Francia 108 30.5% 16.0% 59.7% 68.1% 15.9% 14.1% 59.4 59.1

Germania 118 27.7% 23.1% 66.1% 76.0% 15.0% 14.5% 62.1 61.4

Regno Unito 112 25.3% 19.5% 64.6% 74.5% 6.4% 5.6% 64.1 62.0

Italia 101 26.7% 5.5% 46.1% 67.7% 14.5% 11.4% 60.8 60.7

Spagna 100 21.0% 16.7% 52.3% 64.7% 26.2% 23.9% 62.5 62.7

Fonte: Osservatorio Inca Cgil per le politiche sociali in Europa, su dati Eurostat e Commissione europea

versati dall’ex partner civile possono essereutilizzati per acquisire il diritto a una pen-sione minima al raggiungimento dell’etàpensionabile.Il periodo di congedo di maternità è piùlungo che negli altri paesi, da 39 a 52 setti-mane secondo la categoria di contratto.Durante questo periodo la donna ha dinorma diritto ad un’indennità (StatutoryMaternity Pay) pari al 90% della retribu-zione a carico del datore di lavoro, senzatetto massimo durante le prime 6 settima-ne, mentre le settimane successive l’impor-to non può superare € 150 a settimana. Le

lavoratrici salariate che non hanno dirittoall’Smp percepiscono un assegno di mater-nità a carico dello stato (Maternity Allo-wance) di minore importo. Lo stesso dirit-to è riconosciuto alle lavoratrici autonome.Il partner convivente ha diritto a 2 settima-ne di congedo di paternità, anche se non èpadre biologico del bambino. Il congedo diadozione è di 52 settimane, mentre i con-gedi parentali, 13 settimane al massimo,non sono retribuiti.Come risultato finale, il tasso d’occupazio-ne delle donne è nettamente e costante-mente superiore al 60% ❚

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Tabella 2 – Sintesi delle principali misure dei regimi pensionistici in alcuni paesi UE

Età Età Informazioni generali Requisiti per Periodi pensione pensione sul sistema una pensione figurativiUomini Donne pensionistico completa

Danimarca 65 65 Pensione legata alla 40 anni di residenza Non previsto.residenza. Pensione tra i 15 e i 67 anni integrativa obbligatoria di età.per tutti i dipendenti dai 16 ai 66 anni e per le personeche percepiscono indennità per malattia, nascita, adozione, disoccupazione.

Paesi Bassi 65 65 Assicurazione 50 anni assicurativi Non previsto.obbligatoria legata tra il 15° e il 65° anno alla residenza. di età.Schema pensionistico complementare obbligatorio per la maggior parte dei dipendenti basato su accordi con le parti sociali.

Svezia 61-67 61-67 Sistema obbligatorio 40 anni di residenza Per la pensioneper tutti i residenti per la pensione di base: in Svezia: pensione garantita. congedo garantita finanziata parentale, dall’imposta + pensione cura dei figli di base a ripartizione piccoli.+ pensione complementare a capitalizzazione + regimi integrativi “quasi obbligatori”.

Belgio 65 65 Pensione anticipata 45 anni Disoccupazione, a 60 anni, per uomini contributivi interruzioni e donne con 35 anni per uomini di carriera, di contributi. Condizioni e donne. inabilità, diverse per alcune categorie. maternità, Contribuzione volontaria scioperi possibile per le persone riconosciuti, che cessano l’attività per detenzione occuparsi della cura preventiva, dei bambini. formazione,

ecc.

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Tabella 2 – Segue

Età Età Informazioni generali Requisiti per Periodi pensione pensione sul sistema una pensione figurativiUomini Donne pensionistico completa

Francia 60-62-65 60-62-65 Maggiorazioni in 160 trimestri di Malattia, funzione del numero periodo contributivo maternità, di figli, degli anni e 65-67 anni di età invalidità, dedicati alla loro cura per uomini e donne. infortuni sul e per i figli con handicap. lavoro. Congedo Per le donne, parentale pensione a tasso pieno entro il limite con più di 2 figli e credito di 3 anni.di 2 anni per figlio e per la cura di figli con handicap.

Germania 65 65 Per le donne nate prima 35 anni contributivi Malattia, del 1952, pensionamento per uomini e donne. riabilitazione, a 63 anni a determinate disoccupazione, condizioni. Per i nati dopo studi. Periodi di il 1964 età pensionabile cura dei figli finoa 67 anni. Pensione a 65 all’età di 10 annicon 45 anni di contributi e di educazioneda lavoro e dai periodi di dei figli fino cura dei figli (fino al 10° a 3 anni anno di età del figlio). di età.

Regno Unito 65 60 Possibilità per le donne 44 anni contributivi Cura dei figli (65 entro di ricevere una pensione per gli uomini e 39 o di una persona2020) minima grazie ai contributi per le donne malata o

versati dal marito. (pensione di base). disabile, In caso di decesso malattia, del partner o divorzio maternità, i contributi dell’ex partner adozione, possono valere per incapacità una pensione minima al lavoro, al raggiungimento disoccupazione.dell’età pensionabile.

Fonte: Osservatorio Inca Cgil per le politiche sociali in Europa, su dati provenienti da fonti varie

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Tabella 3 – Sintesi delle principali misure in matera di maternità e congedi parentali in alcuni paesi UE

Indennità Congedo Congedo Congedo Congedo di maternità di maternità di paternità di adozione parentale

Danimarca In base alla 18 settimane 16 settimane 46 settimane. 32 settimaneretribuzione. (4 + 14 dopo la (4 + 12). Anche per (ripartibile Max € 515 nascita). Anche Anche per i lavoratori tra i genitori). settimana. per le lavoratrici i lavoratori autonomi. Fino ai 9 anni Indennità per autonome. autonomi. del bambino. lavoratrici autonome in base al reddito.

Paesi Bassi 100% della 16 settimane 2 giorni. Non previsto. 13 settimane.retribuzione. (4-6+10-12). Si applica Non retribuitoMax € 189 il congedo in quanto tale. al giorno. parentale. Previsti altri

dispositivi sociali di sostegno al reddito. Non fruibile dai due genitori contemporaneamente. Priorità alla madre.

Svezia 80% della 50 giorni. Solo 10 giorni. Non previsto. 480 giorni da ripartire retribuzione. se la donna ha Si applica tra i due genitori, di

un lavoro faticoso il congedo cui 60 sono di ciascune non può parentale. genitore e non essere trasferita. possono essere

ceduti all’altro.

Belgio 82% della 15 settimane 10 giorni. 6 settimane 3 mesi per ciascun retribuzione (6 + 9 dopo Si può per ciascun genitore. 6 mesi nei primi 30 la nascita). convertire genitore. 4 a 1/2 tempo, 15 mesi giorni. 2 settimane il congedo di settimane se a 4/5.Indennità anche in più per parti maternità in il bambino haper donne gemellari. caso di lunga + di 3 anni.disoccupate degenza e invalide. o morte

della madre.

Francia 100% del salario. 16 settimane 11 giorni. 10/22 Max 12 mesi, Max € 78 (6 + 10). 18 Anche per i settimane rinnovabile al giorno. per gravidanze disoccupati, (ripartibile tra 2 volte. Indennità anche difficili. 26 per formazione i genitori).per le lavoratrici per un 3° figlio, e per alcuneautonome, 34 per parti categorie di calcolata in base gemellari, autonomi. al reddito. 46 per

plurigemellari.

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Tabella 3 – Segue

Indennità Congedo Congedo Congedo Congedo di maternità di maternità di paternità di adozione parentale

Germania 100% del salario 14 settimane Non previsto. Non previsto. 3 anni per medio netto. (6 + 8). 18 per Si applica ciascun genitore. Max € 13/giorno parto prematuro il congedo Anche in caso a carico o gemellare. parentale. di adozione. assicurazione, differenza a carico del datore di lavoro.

Regno Unito 90% della 39 o 52 2 settimane. 52 settimane. 13 settimane. retribuzione settimane, Anche per Non retribuito.per 6 settimane. secondo il partner Poi tetto il contratto conviventemassimo € 150 di lavoro. e se non èa settimana il padre (Statutory biologico.Maternity Pay). Assegno di maternità(Maternity Allowance) di minore importoper le lavoratrici subordinate o autonome chenon hanno diritto al SMP.

Italia 80% della 5 mesi 3 mesi 3 mesi 6 mesi per retribuzione (2+3 solo in caso (ripartibile ciascun genitore.per il periodo oppure 1+4). di morte tra Complessivamente di astensione o di grave i genitori). max 10 mesi obbligatoria. infermità per i 2 genitori.Indennità anche della madre o per le lavoratrici di affidamento autonome in base esclusivoai requisiti al padre.contributivi.

Fonte: Osservatorio Inca Cgil per le politiche sociali in Europa, su dati provenienti da fonti varie

DIRITTI E TUTELE NEL MONDO

* Giornalista e consulente Ilo

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Come uscire dalla trappola dell’austerità?❚ di Vittorio Longhi

Dall’inizio della crisi economica del2008 il numero dei disoccupatinel mondo è cresciuto di circa 50

milioni di persone. È improbabile che nei prossimi due anni siriesca ad assorbire quel numero e a crearenuove opportunità per gli 80 milioni di per-sone che entreranno nel mercato del lavoro.Il problema è ancora più stringente per ipaesi europei, che vantano un record di di-soccupazione giovanile e che stentano a cre-scere rispetto ad altre aree economiche in-dustrializzate, come Giappone e Stati Uniti,e rispetto alle economie emergenti.«La crisi globale del lavoro è entrata in unafase nuova e sempre più strutturale», sosten-gono gli economisti dell’Organizzazione in-ternazionale del lavoro, Ilo, nell’ultimo rap-porto Better jobs for a better economy (Lavorimigliori per un’economia migliore).Se non si agirà subito sulle misure che pos-sono generare posti nuovi e stabili, i disoc-cupati di lunga durata di oggi rischiano di ri-manere esclusi anche da un’eventuale ripresadomani. I costi sociali di una simile situa-zione sono prevedibili, anche in termini diemarginazione e di tensione sociale. Solo

nell’ultimo anno i rischi di conflitto socialesono aumentati in oltre 50 paesi su cento,come dimostra l’intensificarsi di manifesta-zioni in molte città d’Europa e degli StatiUniti. Per non parlare delle Primavere arabedel 2011.Con questo rapporto, l’agenzia Onu non silimita alla registrazione dei dati, ma prendeuna posizione netta riguardo alle politiche diausterità e di solo risanamento dei conti. Se-condo gli economisti di Ginevra, questescelte hanno avuto conseguenze disastrosesui mercati del lavoro e sulla creazione dinuovi posti. Nella maggior parte dei casi si ètrattato di provvedimenti che non hannoportato neanche a una concreta riduzione deideficit.Raymond Torres, ex economista Ocse e oradirettore dell’Istituto internazionale di studisociali Ilo, spiega nel rapporto come «il pesoeccessivo che molti paesi dell’eurozona attri-buiscono all’austerità fiscale sta peggiorandola crisi dell’occupazione e potrebbe portare aun’altra recessione in Europa».Una critica inequivocabile ai governi francesee tedesco, così come a quello di MarioMonti. In questa «trappola dell’austerità» è

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caduta anche l’Italia, infatti. Il rapporto diceche il nostro paese è entrato nella secondafase di recessione consecutiva dall’inizio dellacrisi globale. La ripresa sarebbe frenata soprattutto dallacontrazione del consumo privato, visto chegli stipendi crescono più lentamente dell’in-flazione, e dallo scarso accesso al credito perle imprese più piccole. Anche se le misure dirisanamento sono necessarie, dunque, biso-gna favorire gli investimenti pubblici per sti-molare la domanda interna e per compensare

gli effetti negativi dei tagli e del maggiore ca-rico fiscale. Sulla riforma del lavoro, l’invito è a trovare«meccanismi adeguati di protezione dell’oc-cupazione», a superare la segmentazione deicontratti e ridurre il lavoro precario, soprat-tutto per i giovani. Oltre che «una tragediaumana per molte famiglie», precisano i ri-cercatori, il lavoro discontinuo e temporaneofinisce per incidere sui livelli di produttività,dati i lunghi periodi di inattività e il basso in-vestimento nelle competenze ❚

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