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28 pagine di storia, politica, cultura, ambiente e tanto altro ancora

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La battaglia del denaro in copertina

Un po’ di storia obbligazioni, Bond o B.O.T.

… e se cominciassimo a sfruttare il patrimonio boschivo?

Torino: Italia ‘61 In travaj sensa cugnissiun

Demarche Grand Chantier all’italiana

L’Egitto in rivolta e l’Occidente

Il punto di vista del sindacalista i poteri forti

Tassati e mazziati dal libro di Bertolussi

PM10 Torino prima in Italia

L’angolo di vista riflessioni

Scenari da Terza Repubblica di Domenico Idone

Caos acqua e i cittadini pagano... dicembre 2011

Periodico indipendente di politica e cultura

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O s s e r v a t o r i o

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Molti pensano che il potere si trovi nelle mani dei presidenti e dei primi ministri, nei parla-menti e nei palazzi del potere, non è così. Nel mondo di oggi il vero potere è nelle mani di una elite che schiva la ribalta, e lavora in anonimi uffici open-space. Sono gli uomini che controllano il mercato mondiale dei Bond. Bill Gross è a capo della Pimco una società leader mondiale nella ge-stione obbligazionaria che lavora con un portafoglio di 700 miliardi di dollari. Gross è considerato il re del mercato delle obbligazioni, lo chia-meremo Mr. Bond. I Bond sono il magico legame che unisce il mondo dell’alta finanza a quello del potere politico. I governi spendono sempre più di quanto raccolgono con le tasse e a volte si tratta di cifre astronomiche, per recuperare la differenza vendono obbligazioni che fruttano interessi, ma qui viene il bello, se volete sbarazzarvi di una obbligazione il governo non è co-stretto a ridarvi indie-tro i contanti, basta rivolgersi al mercato dei bond e venderla. Dopo l’ascesa delle banche la nascita del mercato delle obbli-gazioni è la seconda grande rivoluzione nella storia della fi-nanza. Ha creato un nuovo sistema con cui i governi possono prendere denaro in prestito. Il mercato delle obbli-gazioni ha sostenuto le guerre che hanno afflitto il centro nord dell’Italia 600 anni fa, ha determinato l’esito della battaglia di Wa-terloo e ha creato la più famosa dinastia della finanza del mon-do, ha assicurato la

sconfitta dei sudisti durante la guerra civile americana, e in tempi recenti il mercato dei Bond ha mes-so in ginocchio nazioni un tempo prospere come l’Argentina. Oggi i governi e le società usano le obbligazioni per prendere a prestito somme di denaro inimmaginabili, in tutto i bond sul mercato valgono 85 triliardi di dollari (ossia 85.000.000.000.000.000.000.000 $ o se preferite 85 x 1021 $). Le fortune di molti di noi che piac-cia o no, sono strettamente con-nesse al mercato dei bond. Se il mercato della obbligazioni crolla, crolla anche il valore delle nostre pensioni, un fattore determinante per il benessere individuale. Nella crisi finanziaria che attanaglia il mondo dall’estate 2007, le obbli-gazioni del governo americano so-no considerate un paradiso sicuro dagli investitori, alla ricerca di un riparo dalla tempesta scatenata dal crollo degli immobili e dei titoli a-

Definizioni In finanza con il termine obbligazione (in lingua inglese bond) si indica un titolo di debito emesso da società o enti pubblici che attribuisce al suo possessore il diritto al rimborso del capitale prestato all'emittente alla scadenza più un interesse su tale som-ma. Scopo di un'emissione obbligazionaria (o prestito obbligazionario) è il reperimento di liquidità da parte dell'emittente. Di solito il rimborso del capitale al possesso-re del titolo di debito da parte dell'emittente avviene alla scadenza al valore nominale e in un'unica soluzione, mentre gli interessi sono liquidati periodicamente (trimestralmente, semestralmente o an-nualmente). L'interesse corrisposto periodi-camente è detto cedola perché in passato per riscuoterlo si doveva staccare il taglian-do numerato unito al certificato che rappre-sentava l'obbligazione. Se l'emittente non paga una cedola (così come se è insolvente nei confronti delle banche o di creditori commerciali), un sin-golo obbligazionista può presentare istanza di fallimento

Un po’ di storia delle obbligazioni... o bond... o B.O.T.

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Liberamente tratto da History Channel - L’ascesa del denaro - curato dal Prof. Niall Ferguson esperto di storia econo-mica e finanziaria

Prof. Niall Ferguson

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zionari. Se Bill Gross perdesse fiducia in quelle obbligazioni, il mondo della finanza sarebbe sconquassato da un terremoto inimmaginabile. Ecco perché il nostro Mr. Bond è diven-tato molto più potente della agente segreto di Jan Fleming, anche se entrambe hanno una sorta di licen-za di uccidere. La guerra è la madre di tutte le cose, scrisse l’antico filosofo greco Eraclito. Sicuramente è stata la madre del mercato delle obbligazioni. Per buona parte del XIV e XV seco-lo, le città stato medievali della Toscana fra cui Firenze, Pisa e Sie-na, sono state in guerra fra loro, e le guerre erano scatenate tanto dal denaro quanto dagli uomini. Nella battaglia per il denaro, Peter Van der Heyden rappresenta salvadai, forzieri e i barili pieni di monete che si affrontano con lance e spade in una mischia caotica, l’iscrizione olandese che si trova nella parte bassa dell’incisione recita: “Questa guerra si combatte solo per il dena-ro e le ricchezze”; ma potremo tranquillamente sostituirla con: la guerra è impossibile se non c’è il denaro a finanziarla. Il modo di poterlo fare? Finanziare la guerra attraverso il mercato delle obbligazioni, è una invenzione come tante altre del Rinascimento italiano. Invece di chiedere ai propri cittadini di fare il lavoro sporco della guerra, le si-gnorie assoldano soldati di mestie-re, i condottieri, che mettono assie-me i propri eserciti per conquistare nuovi territori e saccheggiare i te-sori altrui. Tra i condottieri attivi tra il 1360 e il 1370 ve ne è uno che si staglia su tutti gli altri. Il suo ritratto si trova all’interno del Duomo di Fi-renze con la scritta: “un ringrazia-

mento per i servigi prestati alla città”. Per quanto incredi-bile possa sembra-re questo capace mercenario era un ragazzo dell’Essex. Era talmente abile nell’arte della guer-ra che il suo nome è stato italianizzato la John Lockwood a Giovanni Acuto, un epiteto che gli calzava a pennello. I fiorentini gli do-narono anche un castello per ricom-pensarlo delle sue prestazioni. Acuto era un mer-cenario e avrebbe combattuto per chiunque lo avesse pagato, Milano, Padova, Pisa o il Papa. Nel palazzo vecchio di Firenze è rappresentato un magnifico affre-sco che rappresenta lo scontro av-venuto fra gli eserciti di Pisa e Fi-renze nel 1364. Acuto combatteva per Pisa, ma 15 anni dopo presterà servizio per la città avversaria, perché? Perché i soldi stavano a Firenze. I costi delle guerre incessanti man-dano in crisi i bilanci delle città sta-to italiane. Le spese, persino nei periodo di pace ammontano al dop-pio delle entrate tributarie. Per pagare i condottieri del calibro di John Lockwood il bilancio di Firenze sprofondò pericolosamente in passivo. Dagli inestimabili documenti con-servati nell’archivio nazionale di Firenze, si può vedere come il debi-to pubblico della città, che ammon-tava a 50.000 Fiorini all’inizio del XIV secolo, sia passato a 5 milioni

nel 1427. Sono una montagna di debiti. Chi avrebbe mai potuto prestare alla città una somma tanto grande? La risposta è nei libri stessi: la città stessa. E’ una idea rivoluziona-ria che cambia il mondo della finanza per sem-pre, invece di far pagare delle imposte dirette, i cittadini vengono obbli-

gati a prestare denaro al loro go-verno. In cambio del prestito forzato rice-vono un interesse. Questi strumenti di prestito riporta-ti sui libri mastri dell’epoca sono i primo bond o obbligazioni della storia, e ancora più stupefacente è la possibilità di vendere queste ob-bligazioni ad altri cittadini, nella eventualità di una urgenza econo-mica: sono come denaro contante. I registri contabili conservati all’ar-chivio di stato a Firenze spiegano come Firenze trasformò i suoi citta-dini nei suoi più grandi investitori. L’espediente usato in tempo di guerra segna la nascita del merca-to dei bond: sono tutti soddisfatti, le obbligazioni salvano la città stato dalla bancarotta, i cittadini sono felici di incassare gli interessi, e il mercato dei bond permette a loro di acquistare o vendere a seconda delle necessità. Sembra che il problema del debito pubblico sia risolto, lasciando che i fiorentini rivolgano il pensiero a cose più alte. Ma c’è un dettaglio che mina la brillante trovata. Esiste un numero di guerre più o meno produttive che possono esser ingaggiate. All’-aumentare del debito pubblico le città stato sono obbligate a emette-re nuove obbligazioni, e più ne e-mettono meno appetitose diventa-no per gli investitori. E’ esattamente quello che accade a

Pacific Investment Company Management, LLC (comunemente chiamata PIMCO), è un'azienda di gestione globale degli investi-menti fondata nel 1971 con sede a Newport Beach, California. PIMCO è guidata dal co-fondatore William H. Gross, (comunemente noto come Bill Gross), che serve come Co-Chief Investment Officer, e Mohamed A. El-Erian, l'altro Co-Chief Investment Officer nonché CEO dell'azienda. La società gestisce circa 70 fondi comuni (mutual fund) e dichiara, nel suo sito, di gestire in complesso nel 20-11 un patrimonio di 925 miliardi di euro. Gross tra l'altro guida il Fondo Total Return, il più grande fondo vcomune del mondo 24-0,7 miliardi di dollari almeno sino al 2010. Nel 2000, PIMCO è stata acquisita da Al-lianz SE, una grande società di servizi fi-nanziari con sede in Germania, ma l'azienda continua ad operare come struttura auto-noma rispetto ad Allianz.

A sinistra Bill Gross

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Venezia. All’inizio del XVI secolo la città subi-sce una serie di rovesci militari, e il valore delle obbligazioni veneziane subisce un duro colpo. Nel periodo peggiore fra il 1509 e il 1529 le obbligazioni del Monte Nuovo di Venezia vengono scam-biate al 10% del loro valore nomi-nale. Se acquistate una obbligazione in tempo di guerra, correte il rischio che la città non possa corrispon-dervi il tasso di interesse. Non va però dimenticato che gli interessi sono liquidati sul valore nominale dell’obbligazione, quindi se la com-prate al 10% del valore nominale, ne avrete un ritorno che si aggira attorno al 50%. Ed è così che funziona il mercato delle obbligazioni, l’investitore vie-ne ricompensato del rischio che è disposto ad affrontare. Allo stesso modo è il mercato delle obbligazioni a stabilire il tasso di interesse dell’economia. Se lo stato versa un tasso pari al 50% tutti gli

altri dovranno adeguarsi. Il mercato dei bond è stato inven-tato per sovvenzionare le guerre italiane, ma ora regola i tassi di interesse del mercato: la sua asce-sa al potere è cominciata. Nei due secoli successivi le obbliga-zioni arrivano a dominare il mondo. C’è una dinastia finanziaria che ha deciso le sorti della battaglia di Wa-terloo, la dinastia che diede i natali all’uomo che è stato chiamato il Bonaparte della finanza, l’imperato-re del mercato delle obbligazioni del XIX secolo. “E’ il padrone di ricchezze sconfina-te, si vanta di essere arbitro della pace e della guerra, che il credito delle nazioni dipenda da un suo cenno e che i ministri dello stato siano al suo servizio”, queste paro-le sono tratte dal discorso pronun-ciato nel 1828 da un parlamentare radicale inglese, descrive alla per-fezione Nathan Mayer Rothschild (1777-1836), genio del mercato obbligazionario e fondatore della filiale londinese di quella che diven-

ne la banca più importante del mondo. Il mercato delle obbligazioni rese i Rothschild straordinariamente ric-chi, tanto ricchi da potersi permet-tere di possedere 41 maestose te-nute disseminate in tutta Europa. Tra il 1810 e il 1836 i cinque figli di Mayer Amschel Rothschild (1743-1812), emersero dal ghetto di Francoforte e raggiunsero un pote-re ineguagliato nel regno della fi-nanza internazionale. Fu il terzo figlio Nathan a orche-strare il successo familiare dalla città di Londra. Per comprendere la mentalità di Nathan riportiamo alcune righe tratte da una sua lettera scritta ai suoi fratelli: “… caro Amschel ti scrivo come la penso perché è un mio dannato dovere farlo, leggo le tue lettere non una ma centinaia di volte, perché mi consoci bene e sai che dopo cena non leggo, non gio-co a carte e non vado a teatro, il mio unico piacere sono gli affari…” E’ questa spinta fenomenale coniu-

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gata un innato genio finanziario a lanciare Nathan, dall’anonimato alle alte sfere di Londra. Tuttavia ancora una volta l’oppor-tunità di una rivoluzione finanziaria viene dalla guerra. La mattina del 18 giugno 1815, 67.000 soldati inglesi, tedeschi e olandesi, guidati dal Duca di Wel-lington avanzano guardinghi nei campi della cittadina di Waterloo poco lontano da Bruxelles verso un ugual numero di soldati francesi sotto il comando dal leggendario generale francese Napoleone Bona-parte. La battaglia di Waterloo è il culmi-ne di una guerra tra Francia e In-ghilterra che si protrae a intermit-tenza da oltre 20 anni, ma è ben più di una battaglia fra eserciti con-trapposti, è soprattutto lo scontro fra due sistemi finanziari rivali, quello francese basato sul saccheg-gio e quello inglese basato sul de-bito. Per finanziare la guerra il governo inglese ha venduto un numero di obbligazioni senza precedenti, se-condo una vecchia leggenda la fa-miglia Rothschild guadagna il suo primo milione speculando sull’inci-denza che avrebbe avuto la batta-glia di Waterloo sul prezzo di quei bond. Un secolo più tardi secondo un film nazista antisemita del 1940, Na-than avrebbe corrotto un generale francese per assicurarsi la vittoria del Duca di Wellington, e poi comu-nicare deliberatamente un falso esito della battaglia a Londra. Il suo gesto crea il panico e porta alla vendita incontrollata dei bond in-glesi, che Nathan acquista a un prezzo più che stracciato. Ma le cose non andarono proprio così, nel 1815, invece di trarre pro-fitto dalla sconfitta di Napoleone, i Rothschild rischiano seriamente la bancarotta, hanno fatto fortuna non grazie a Waterloo ma suo mal-grado. La vendita pubblica delle obbliga-zioni aveva procurato molte entrate al governo inglese, ma né i bond, né le banconote erano di alcun aiu-to a Wellington, per approvvigiona-re le sue truppe e finanziare gli alleati inglesi nella sua guerra con-tro la Francia gli serviva una valuta accettabile universalmente. A Na-than Rothschild fu affidato l’incari-co di prendere il denaro ricavato

dal mercato delle obbligazio-ni e consegnarlo a Wellin-gton… dopo averlo tramuta-to in oro. Il successo dell’operazione influirà sul destino degli im-peri belligeranti, e di tutta l’Europa. Da una lettera che segna la storia sia della famiglia Ro-thschild, del governo ingle-se, datata 11 gennaio 1814, si legge l’ordine da parte del Cancelliere dello Scacchiere al Commissario Capo di no-minare Nathan Rothschild, agente del governo Britanni-co. Il compito di Nathan è quello di mettere insieme tutto l’oro e l’argento che avesse trova-to sul suolo Europeo, e assi-curarsi che arrivi al Duca di Wellin-gton e al suo esercito allora nel sud della Francia. L’incarico gli viene dato perché si confida sulla fitta rete di credito paneuropea dei Rothschild, e sulla grande abilità di Nathan di mobili-tare l’oro pari a quella di Wellington nel mobilitare le truppe. Far viaggiare delle enormi quantità di oro in mezzo a una guerra è molto rischioso ovviamente, eppure dal punto di vista dei Rothschild l’imponente commissione che ne avrebbero ricavato giustificano am-piamente il rischio. Ben presto i Rothschild diventano indispensabili alla guerra. A detta del commissario capo bri-tannico: “Rothschild dal canto suo ha eseguito gli incarichi affidatigli con rara maestria e seppur ebreo, riponiamo una grande fiducia nelle sue qualità”. I Rothschild erano tanto efficaci nei finanziamenti bellici perché aveva-no a disposizione una rete finanzia-ria internazionale che non usciva dalla famiglia. Nathan a Londra, Amschel Mayer Rothschild (1773-1855) a Franco-forte, Kalmann Mayer "Carl" von Rothschild (1788-1855) ad Amster-dam, Jakob Mayer "James" de Ro-thschild (1792-1868) a Parigi e Sa-lomon Mayer von Rothschild (1774-1855) ovunque Nathan lo ritenga necessario. Se il prezzo dell’oro a Parigi è più alto che a Londra, James a Parigi vende e Nethan a Londra compra. Avevano quindi un grande vantag-

gio su altre famiglie rivali, parchè erano dislocati nei maggiori centri finanziari d’Europa, era una strate-gia che serviva per varcare le mura del ghetto, ma è incredibile pensa-re che siano arrivati tanto in alto, una volta capita la strategia sfrut-tarono il loro vantaggio. Nel marzo del 1815, Napoleone torna a Parigi dopo l’esilio all’isola d’Elba deciso a riportare in vita le sue ambizioni imperiali. E i Rothschild riprendono immedia-tamente la corsa all’oro, acquistan-do tutti i lingotti e le monete su cui riescono a mettere le mani. Il moti-vo di questa frenetica incetta è semplice, Nathan è convinto che come tutte le guerre napoleoniche anche questa sarebbe durata a lungo. Il suo oro sarebbe stato molto ri-chiesto e avrebbe acquistato valo-re, ma il suo si rivelò un tragico errore di valutazione. Wellington definì Waterloo la batta-glia più fulmine che si possa imma-ginare, dopo un giorno di attacchi contrattacchi e strenua difesa, l’ar-rivo dell’esercito prussiano si rivela infine decisivo. E’ una vittoria gloriosa per Wellin-gton, ma non per i Rothschild. Senza dubbio per Nathan Ro-thschild è stato gratificante esser il primo a saper della sconfitta di Na-poleone, grazie alla velocità dei suoi corrieri riceve la notizia 48 ore prima che il maggiore Henry Pers consegni il dispaccio ufficiale di Wellington al parlamento inglese. Nonostante la velocità con cui rice-ve l’informazione, la notizia di Wa-

La battaglia per il denaro di Peter Van der Heyden (1539 - 1572)

Giovanni Acuto immagine nel Duomo di Firenze

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ve l’informazione, la notizia di Wa-terloo è tutt’altro che positiva dal punto di vista di Nathan, ha scom-messo su una guerra un po’ più lunga, ora insieme ai fratelli si tro-va seduta su una montagna di de-naro che nessuno vuole e che è stato accumulato per finanziare una guerra già finita. Con la pace, il grande esercito che ha sbaragliato Napoleone, può es-ser congedato, se l’oro non è più necessario per liquidare gli stipendi dei soldati, il prezzo del metallo prezioso salito alle stelle durante la guerra sarebbe inevitabilmente crollato. Nathan ha di fronte la prospettiva di perdite oltremodo gravose, c’è solo una possibile via d’uscita, Na-than deve usare l’oro dei Ro-thschild per effettuare una scom-messa a dir poco rischiosa, investi-re sul mercato obbligazionario. Il 20 luglio 1820 l’edizione serale del London Courrier riporta che Nathan ha acquistato un gran nu-mero di titoli, riferendosi alle obbli-gazioni del governo inglese. Azzardando all’estremo Nathan, scommettendo che la vittoria ingle-se a Waterloo avrebbe fatto schiz-zare il prezzo delle obbligazioni alle stelle, compra e quando il prezzo delle obbligazioni comincia a salire continua a comprare, nonostante i fratelli gli chiedano disperatamente di vendere Nathan tiene i nervi saldi, per un altro anno, infine nel mese di luglio del 1817 quando il prezzo delle obbligazioni è salito del 40% vende i titoli, i profitti de-rivati si aggirano attorno ai 600 milioni di Sterline attuali. I Rothschild hanno dimostrato che le obbligazioni sono ben più di un

mezzo per finanziare le guerre, possono essere acquistate e ven-dute per ottenere profitti da capo-giro, e al profitto è associato il po-tere. Mayer Amschel Rothschild ha am-monito sino allo sfinimento i propri 5 figli: “… se non riuscite a farvi amare, fatevi temere”. Quando a metà del XIX secolo si affermano come i padroni indiscus-si del mercato finanziario i Ro-thschild sono più temuti che amati. Ma ora sono anche odiati. Il fatto che i Rothschild siano ebrei dà un nuovo impulso al già radicato pregiudizio antisemita. La propaganda antisemita li rap-presenta nelle caricature dell’epoca come i rappresentanti della forma più estrema e odiata di capitalismo praticata dagli ebrei. E’ soprattutto l’apparente capacità di consentire o impedire le guerre che più di tutto fra crescere l’indi-gnazione verso i Rothschild. Qualcuno pensa che avessero un bisogno disperato della guerra, dopotutto Nathan aveva concluso i suoi affari migliori in tempo di guerra, e se non fosse stato per la guerra, gli stati nell’800 non avreb-bero emesso nessuna obbligazione che i Rothschild hanno poi acqui-stato e venduto. Ma il problema delle guerre e delle rivoluzioni è dato dal rischio che uno stato debitore venga meno al suo impegno e questo avrebbe in-fluito sul prezzo delle obbligazioni già esistenti. A metà dell’800 i Rothschild non sono più dei semplici commercianti, sono degli intermediari finanziari che gestiscono cautamente il vasto portafoglio delle obbligazioni di Stato, ora da una guerra hanno tutto da perdere e ben poco da guadagnare. I Rothschild hanno deciso le sorti delle guerre napoleoniche offrendo il loro sostegno finanziario alla Gran Bretagna, ora avrebbero in-fluito sull’esito della guerra civile americana scegliendo di… rimanere in disparte. Ancora una volta gli arbitri della guerra sono i signori del mercato delle obbligazioni. 50 anni dopo la battaglia di Water-loo e dall’altra parte del mondo, un’altra grande guerra sarebbe stata decisa dal potere del mercato obbligazionario.

Ma stavolta sono gli sconfitti a scommettere forte, e a perdere. La tradizione vuole che il momento cruciale della guerra civile america-na arrivi nel giugno del 1863, due anni dopo l’inizio del conflitto. E’ il mese in cui l’esercito unionista conquista Jackson, la capitale del Mississippi, costringendo le truppe confederate a battere in ritirata verso ovest a Vicksburg, sulle spende del fiume Mississippi. Circondati e bombardati alle spalle dalle corvette unioniste, i sudisti resistono un mese prima di alzare bandiera bianca, dopo l’assedio di Vicksburg il fiume Mississippi cade nelle mani dei nordisti ed il sud ora è letteralmente spaccato in due. Eppure questa disfatta militare non è quella che decide la storica scon-fitta dei sudisti, la vera svolta av-viene prima ed è di tipo finanziario. A poco più di 300 km da Vicksburg dove il Mississippi sfocia nel golfo del Messico, sorge il porto di New Orleans. Fort Pike costruito dopo il 1812 per proteggere New Orleans da even-tuali attacchi degli inglesi, ma 50 anni dopo, il 28 aprile 1862, quan-do il capitano David G. Farragut assedia la città di New Orleans, non è in grado di proteggere il sud dall’attacco dei nordisti. E’ un momento cruciale della guer-ra civile, perché la città fornisce lo sbocco commerciale a uno dei pro-dotti più esportati del sud: il coto-ne. Perdendo il controllo del merca-to del cotone il destino del sud è segnato. Il cotone è diventato la merce es-senziale con cui si vuole portare il mercato delle obbligazioni nel cuo-re della guerra. Come avevano fatto le città stato italiane 500 anni prima il Ministero del Tesoro sudista inizialmente ha finanziato la guerra vendendo ob-bligazioni ai suoi cittadini, ma al sud i capitali non sono certo infiniti, per sopravvivere i confederati guardano all’Europa nella speranza che la dinastia finanziaria più po-tente del mondo li aiuti a battere i nordisti così come ha aiutato Wel-lington a sconfiggere Napoleone. Inizialmente i confederati hanno buoni motivi per sperare, possono contare sull’agente dei Rothschild a New York che nel 1860 si è oppo-sto alla elezione di Abramo Lincoln, il leader dei nordisti.

Nathan Mayer Rothschild 1777 - 1836

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Eppure i Rothschild non sembrano convin-ti, prestare denaro al governo inglese per sconfiggere Napoleone è un conto, ma acqui-stare obbligazioni da un pugno di stati schiavisti e separatisti sembra una mossa fin troppo rischiosa. I Ro-thschild decidono di rimanerne fuori. Eppure nonostante il contrattempo il gover-no confederato ha un prezioso asso nella manica, sia l’asso che la manica sono fatti… di cotone. L’idea dei sudisti è quella di usare il coto-ne come garanzia per le sue obbligazioni, gli investitori sarebbero stati felici di sapere che in caso di una mancata liquidazione degli interessi avrebbe-ro potuto ripiegare sul cotone. Gli agenti del sud si mettono all’o-pera, e vanno a vendere le obbliga-zioni nei maggiori centri finanziari d’Europa. Quando i confederati cercano di vendere le loro obbligazioni ordina-rie nei centri della finanza europea come Amsterdam, gli investitori non vogliono aver niente a che far-ci, ma quando una società francese Erlanger & Cie. offre delle obbliga-zioni garantite dal cotone è tutta un’altra storia. Il segreto delle obbligazioni Erlan-ger è la loro possibilità di esser convertite in cotone al prezzo pre-bellico di 6 pence alla libbra. Le obbligazioni garantite dal cotone gettano le basi della nuova strate-gia finanziaria sudista, se fossero riusciti a limitare la fornitura di co-tone il suo valore e quello delle obbligazioni sarebbe lievitato consi-derevolmente. Allo stesso tempo i confederati sfruttano il cotone per ricattare una delle più grandi po-tenze mondiali: l’Inghilterra. Nel 1860 il porto di Liverpool è la principale via di acceso del cotone usato dall’industria tessile inglese uno dei pilastri dell’economia vitto-riana. Più dell’80% della fornitura di coto-ne arriva dal sud degli Stati Uniti, e questa posizione dominante fa spe-rare ai confederati di poter portare

l’Inghilterra dalla propria parte nel-la guerra civile. Per aumentare la pressione decido-no di imporre l’embargo su tutti i carichi di cotone diretti a Liverpool. Per un po’ la strategia sudista fun-ziona, il prezzo del cotone sale alle stelle, così come il valore della ob-bligazioni dei confederati, e l’em-bargo sul cotone mette in ginoc-chio l’economia inglese. Le fabbri-che sono costrette a licenziare i dipendenti, infine nel 1862 la pro-duzione dell’industria tessile si fer-ma del tutto. Ovviamente senza cotone le mac-chine si fermarono, alla fine del 1862 metà della forza lavoro del Lancashire era stata licenziata, get-tando ¼ della popolazione sul la-strico. La chiamarono la crisi del cotone, ma in realtà si trattò di una crisi causata dall’uomo. L’Inghilterra è in crisi, mentre le obbligazioni sudiste, scalano le vet-te della finanza. Eppure la capacità dei sudisti di manipolare il mercato dei bond dipende da una condizione impre-scindibile: garantire agli investitori il possesso fisico del cotone in caso di mancata liquidazione del tasso di interesse. Ed ecco perché la sconfitta di New Orleans del 28 aprile 1862 è la svolta decisiva della guerra civile americana. Ora che il maggior porto sudista è nelle mani degli unionisti, gli inve-

stitori che vogliono mettere le mani sul cotone sudista devono affronta-re un formidabile blocco navale dei nordisti. I confederati hanno giocato col fuoco, hanno chiuso i rubinetti del cotone ed ora non sono più in gra-do di riaprirli. Nel 1863 le fabbriche del Lancashi-re, trovano nuove forniture di coto-ne in Cina Egitto e India, e gli inve-stitori perdono rapidamente fiducia nelle obbligazioni garantite dal co-tone, le conseguenze per le econo-mie dei confederati sono disastro-se. Con un mercato obbligazionario allo stremo, e solo due insignifican-ti prestiti internazionali, i confede-rati non hanno altra scelta, per fi-nanziare la guerra devono stampa-re dollari cartacei, stampano ban-conote per un miliardo e settecento milioni di dollari, è vero che anche il nord ha stampato denaro carta-ceo, ma alla fine delle guerra i suoi “verdoni” valgono ancora 50 cente-simi prebellici, mentre una banco-nota sudista vale appena un cente-simo. Per di più considerata l’enorme riduzione del potere d’acquisto, al sud esplode l’inflazione, nel gen-naio del 1865 il prezzo di molti ge-neri di consumo è salito anche del 90%. I sudisti hanno scommesso tutto sulla manipolazione del mercato dei bond e hanno perso, e nel corso della storia non è l’ultima volta che un tentativo simile si conclude con

Battaglia di Waterloo in un dipinto dell’epoca

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una rovinosa inflazione. Ancora oggi il mercato obbligazio-nario è più grande di tutti i mercati azionari del mondo messi insieme, è tutt’ora un mercato in grado di fare e disfare i governi. Vi sorprende che la sua figura chia-ve abbia iniziato la sua carriera in un casinò di Las Vegas? Bill Gross Direttore generale della Pimco quando era giovane era un accanito giocatore di Black Jack, alla fine degli anni ’60 andò a Las Vegas, e mise a punto un comples-so sistema di conteggio delle carte rischiando il tutto per tutto. Il re del mercato obbligazionario, maestro dell’understatment, è il presidente di una delle società più potenti del mondo… Cosa ha a che fare con noi comuni mortali? Quando Gross acquista o vende obbligazioni, non condiziona solo il mercato finanziario e le politiche governative, ma anche i valori dei fondi pensionistici e gli interessi che paghiamo sui mutui. C’è solo una cosa di cui mr. Bond ha paura, l’inflazione. Il rischio letale legato all’inflazione è quello di minare la stabilità del tasso di interesse applicato alle obbligazioni. Se l’inflazione rag-giunge il 10%, e il tasso di interes-se rimane al 5%, vuol dire che il possessore dell’obbligazione regala il 5% degli interessi all’inflazione. Ecco perché alle prime avvisaglie di inflazione, il prezzo delle obbliga-zioni cala e in alcuni casi continua a calare. Per capire come la situazione possa precipitare quando il genio dell’in-flazione esce dalla lampada basta guardare all’esempio dell’Argentina. Molti Argentini datano l’inesorabile

declino delle loro fortune economi-che, a un giorno di febbraio del 1946, quando il presidente appena eletto il generale Juan Domingo Peron, fece visita alla banca centra-le di Buonos Aires. Ciò che vide lo lasciò di stucco, c’è talmente tanto oro, dichiarò, da ostacolare il passaggio nei corridoi. Il nome del paese Argentina sugge-risce ricchezze e abbondanza signi-fica la terra dell’argento, il corso d’acqua che attraversa la capitale è il Rio de la Plata, il fiume d’argento. Un tempo esistevano due magazzi-ni Harrods in tutto il mondo uno a Londra e uno sulla Avenida Florida nel cuore di Buonos Aires. Questa sede fondata nel 1912 ri-corda quello che l’Argentina era un tempo, cioè un paese ricco. Un tempo il reddito procapite degli Argentini era appena del 18% infe-riore a quello degli Stati Uniti, gli investitori che si precipitavano a comprare le obbligazioni argentine speravano che il paese diventasse il più nordamericano del sudameri-ca La storia dell’Argentina è un classi-co esempio di come le migliori ri-sorse mondiali possano portare al fallimento se gestite in maniera a dir poco avventata. L’Argentina ha vissuto numerosi crisi finanziarie nella sua storia, ma quella che ha colpito il paese nel 1989 non ha eguali. All’inizio di febbraio il paese vive una delle estati più calde del seco-lo, a Buenos Aires il sistema elettri-co è in panne, e spesso interrompe l’erogazione di energia anche per 5 ore consecutive, ma questi, come poi si scoprirà sono i problemi me-no gravi. Come avviene spesso in questi casi l’Argentina è a un passo dall’inferno monetario. Punto primo il governo spende molto più di quanto le sue entrate tributarie gli consentano, in genere ma non sempre, per finanziare la guerra. Nel caso dell’argentina ce n’erano state due, una guerra civile tra l’esercito e la sinistra negli anni ’70 e un’altra ingaggiata contro l’Inghilterra per il possesso delle Falkland nel 1982. Nell’89 il sistema Argentino è pronto ad esplodere. A febbraio l’inflazione ha già raggiun-to il 10% … al mese. Alle banche viene ordinato di chiu-dere i battenti, mentre il governo

cerca di abbassare i tassi di inte-resse per prevenire il crollo della moneta sul mercato dei cambi. Non funziona. In un mese appena l’Austral perde il 140% rispetto al Dollaro, nello stesso periodo la banca mondiale congela i prestiti all’Argentina, so-stenendo che il governo non è riu-scito a fermare le cause dell’infla-zione, e ha generato un deficit di proporzioni abissali. Venendo a mancare il sostegno della banca mondiale, il governo argentino cerca di sanare il deficit emettendo obbligazioni statali, ma gli investitori non sono tanto pro-pensi ad acquistare dei bond con la prospettiva che il loro valore reale precipiti nel giro di pochi giorni per effetto della inflazione, nessuno compra e il governo ha esaurito le trovate. In aprile le persone preoccupate, riempiono i carrelli quando si spar-ge la voce che i prezzi avrebbero subito un rialzo del 30%, i negozi rimangono vuoti, e i commercianti non hanno denaro sufficiente per acquistare nuove forniture. La gente lo ricorda come un perio-do terribile davvero fuori dal nor-male. La mattina il prodotto aveva un prezzo e il pomeriggio un altro e non si vendeva più nulla, perché sia la gente che i commercianti ci perdevano. I commercianti vende-vano un prodotto ad un prezzo e poi quel prezzo cambiava continua-mente, i prezzi cambiavano tre quattro volte al giorno. I prezzi delle obbligazioni statali crollano e si teme che le riserve della banca centrale possano esau-rirsi da un momento all’altro. Senza prestiti internazionali e nes-suno disposto ad acquistare i bond, al governo disperato rimane una sola cosa da fare, chiedere alla banca centrale di emettere più banconote. Ma nemmeno questa mossa serve a molto. Venerdì 28 aprile, l’Argentina rima-ne letteralmente senza denaro, “è un problema fisico” dichiara il vice-presidente della Banca Centrale in conferenza stampa, con ciò intende dire che alla zecca argentina non hanno più carta per stampare le banconote e i tipografi sono in sciopero. “Non so come faremo, ma il denaro

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deve esser in circolazione per lune-dì” sostiene. Eppure quanto più velocemente si stampa, tanto meno vale il denaro, il governo si vede costretto a stam-pare banconote di taglio sempre più alto, a maggio il prezzo del caf-fè sale del 50% in una settimana. Gli allevatori smettono di vendere i capi di bestiame, perché il prezzo di una mucca equivale a quello di tre paia di scarpe. Nel giugno 1989 l’inflazione in Ar-gentina raggiunge un tasso mensile del 100%, quindi un tasso annuale del 12.000%. In parole povere mangiare in un ristorante di Buo-nos Aires, a maggio costava 10.000 Australes, a giugno per lo stesso pasto si spendono 20.000 Austra-les e il mese dopo 60.000. A giugno la rabbia popolare e-splode, in due giorni di violente manifestazioni muoiono almeno 14 persone. In un paese in cui una bistecca e una bottiglia non mancavano mai sulle tavole dei suoi abitanti, migliaia di persone ora mangiano alla mensa dei po-veri per non morire di fame. E’ evidente quali siano le classi so-ciali che più risentono dell’infla-zione, il rapido aumento dei prez-zi porta al disastro di quelle cate-gorie che contano su entrate mensili fisse, categorie come quelle dei professori e degli im-piegati per esempio, o quella dei pensionati, per non parlare dei possessori di obbligazioni che vivono degli interessi dei loro in-

vestimenti. Buenos Aires è piena di antiquari, che e-spongono gioielli, orologi posate d’ar-gento, tutti oggetti svenduti dalle fami-glie della classe me-dia rimaste a corto di quattrini. Negli anni 20 il grande econo-mista John Maynard Keynes, predice l’eu-tanasia degli investi-tori, presagendo che l’inflazione avrebbe divorato le rendite dei mostri sacri della finanza, fra cui i Ro-thschild. Durante l’ondata inflazionisti-ca mondiale, che imperversa negli an-

ni ’70, le previsioni di Keynes sem-brano avverarsi, negli ultimi anni tuttavia assistiamo alla miracolosa resurrezione degli investitori obbli-gazionari, persino in Argentina. Il mercato obbligazionario è tornato, terrorizzando gli agenti americani che cercano di promuovere una massiccia manovra finanziaria. In-dovinate come? Vendendo milioni di dollari di obbli-gazioni nuovi di zecca. Il segreto del successo di Mr Bond è l’aumento del numero degli inve-stitori, che ci riporta in Italia dove il mercato obbligazionario ha mosso i primi passi 600 anni fa.

L’Italia è uno dei paesi con il più alto tasso di invecchiamento d’Eu-ropa, in una società che invecchia rapidamente, la richiesta di entrate sicure come quelle derivanti dalle obbligazioni è sempre crescente, ma c’è anche la crescente paura che l’inflazione divori il valore reale delle pensioni e dei risparmi. I banchieri accusati di non contra-stare debitamente l’inflazione devo-no risponderne personalmente da-vanti all’amico dei pensionati: il mercato delle obbligazioni. E le tesorerie che progettano di investire miliardi per fornire liquidi-tà alle banche vittime della recente crisi finanziaria devono procedere con cautela se si aspettano di fare fortuna vendendo obbligazioni. Nell’Europa di oggi come nell’Italia del Rinascimento, si è creato un equilibrio fra il potere politico e il mondo della finanza. Oggi più che mai sembra che sia il mercato obbligazionario o il nostro vecchio amico Mr Bond, a reggere i cordoni della borsa mondiale. Ma cosa succederebbe se invece di prestare denaro dai governi prefe-rissimo investirlo per acquistare quote societarie, sarebbe più o me-no rischioso?, più o meno remune-rativo? Ne parleremo sul prossimo numero, vedremo perché è così difficile trarre insegnamento dalla storia finanziaria, nonostante quasi trecento anni di bolle e di crisi del mercato azionario.

Gli Stati confederati del sud tagliati in due al Mississippi

Manifestazione durante la crisi Argentina

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un progetto transfrontaliero Inter-reg finanziato dalla Comunità euro-pea. L’intervento consiste nella promo-zione della filiera forestale che ha interessato tutta la catena di pro-duzione dei manufatti in legno, partendo dal prelievo sino alla cre-azione di un prodotto finale certifi-cato. Le attività del progetto spaziano dalle politiche forestali, attraverso la promozione di accordi e piani di approvvigionamento territoriale e la creazione di filiere certificate con la commercializzazione dei prodotti forestali. Lo sviluppo delle filiere secondo tre indirizzi: filiera legno-costruzione, legno certificato km 0 e legno-edilizia (per approfondi-menti vedi il sito www.bois-lab.org). Tradizionalmente le imprese che producevano manufatti in legno, fosse l’orditura di tetti piuttosto che mobili, serramenti, casette in le-gno, o semplice legna da ardere, provvedeva secondo criteri mera-mente commerciali, ad acquisire legno, spesso all’estero, per poi lavorarlo creando i prodotti da met-tere sul mercato.

Il progetto Bois lab si è posto alcuni obiettivi ambiziosi: mi-gliorare sia la quantità che la qualità dell’offerta di legno e promuovere la domanda di prodotti legnosi. Come ? Innanzitutto cercando di pro-durre la materia prima ossia legno locale attraverso criteri certificati. Oggi infatti i bo-schi, siano essi di proprietà pubblica o privata, costitui-

In anni di crisi economica che investe interi continenti viene da chiedersi se esistono delle risor-se inutilizzate o scarsamente utilizzate dalle quali poter trarre benefici per tutti. Chi è avvezzo a percorrere par-chi e boschi ed ha conosciuto persone da sempre montanari e contadini, oggi di una certa età, sente raccontare episodi di vita di tanti anni fa, quando i vecchi erano bambini, e poi di quando c’era la guerra e mancava di tutto da mangiare e da scaldarsi. Il bosco, la montagna, si sente rac-contare, ha sempre garantito il ne-cessario per vivere, legna per scal-darsi o costruire, acqua, limpida e… fresca, orti rigogliosi, selvaggina, prati per capre o vacche. Certo bisognava accontentarsi ma il ne-cessario non mancava. Oggi ben pochi vivono sulle monta-gne e meno ancora affidano il loro benessere ai boschi, eppure ancora oggi questi boschi possono diven-tare una preziosa risorsa per l’uo-mo a patto che sappia relazionarsi nel modo corretto con essi. Da tempo lo sanno bene la Comu-nità Europea e molti stati europei fra cui i nostri cugini francesi che da sempre sulla filiera del legno hanno fatto conto per rafforzare le loro economie nazionali e locali. Anche le nostre istituzioni pare, si stiano muovendo in questa direzio-ne. La Provincia di Torino ad esempio ha dato il via nel 2009 ad una ini-ziativa chiamata Bois-lab in onore degli amici francesi con i quali è stata sviluppata, si tratta infatti di

… e se in Piemonte si cominciasse a sfruttare il patrimonio boschivo...

Le superfici boscate sono in aumento... ma i boschi in abbandono. Introdurre una oculata politica di gestione come in Francia o in altre regioni italiane potrebbe dimostrarsi economicamen-te un affare...

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scono spesso una grande risorsa… persa. Si tratta di migliaia di ettari che in passato erano gestiti dai nostri avi che in essi e con essi vivevano e con il loro lavoro provvedevano a salvaguardare. Progressivamente coll’abbandono delle montagne e delle campagne, questi boschi la-sciati a sé stessi sono diventati spesso impenetrabili a causa dello sviluppo del sottobosco, della scomparsa di sentieri e strade ster-rate di accesso e della crescita di specie invasive. Fortunatamente in altri Paesi, a nord, dove diversamente dai popoli mediterranei, nei secoli passati i boschi erano considerati sacri pro-prio per lo stretto legame con la vita delle popolazioni che di essi vivevano, si sono sviluppate tecni-che e tecnologie che consentono oggi una loro gestione ambiental-mente compatibile in grado non solo di non distruggerlo ma di mi-gliorarlo producendo anche ricchez-za economica. Basta leggersi i principi definiti dal-la PEFC (Pan-European Forest Cer-tification Council) a cui il progetto Bois lab fa esplicito riferimento e che prevedono: "la gestione e l'uso delle foreste e dei terreni forestali deve avvenire nelle forme e ad un tasso di utilizzo tali che consentano di mantenere la loro biodiversità, produttività, capacità di rinnovazio-ne, vitalità ed una potenzialità in grado di garantire ora e nel futuro importanti funzioni ecologiche, eco-nomiche e sociali a livello locale, nazionale e globale e che non com-porti danni ad altri ecosistemi" principi che si basano su sei impe-gni condivisi internazionalmente: - Mantenimento e appropriato svi-luppo delle risorse forestali e loro contributo al ciclo globale del car-bonio; - Mantenimento della salute e vita-

lità dell'ecosistema forestale; - Mantenimento e promozione delle funzioni produttive delle foreste (prodotti legnosi e non); - Mantenimento, conservazione e adeguato sviluppo della diver-sità biologica negli ecosistemi forestali; - Mantenimento e adeguato svi-luppo delle funzioni protettive nella gestione forestale (in parti-colare suolo e acqua); - Mantenimento di altre funzioni e condizioni socio-economiche. Quindi non solo attenzione all’am-biente ma anche agli aspetti sociali come l’impiego di manodopera spe-cializzata e regolarmente assunta per la gestione del bosco. Fra gli obiettivi di Bois lab vi è an-che l’ampliamento delle superfici boscate gestite con i citati criteri che oggi, in provincia di Torino, sono di 25.000 ettari e che ricevo-no periodicamente la visita dagli ispettori del PEFC per accertarne la corretta gestione. Dette aree si trovano soprattutto in valle di Susa, in val Germanasca, presenze si stanno sviluppando anche in val Chiusella e nel Canavese. I più interessati a questo genere di gestione sono gli enti pubblici non a caso le Comunità Montane sono i soggetti più coinvolti con la provin-cia nella iniziativa, in particolare soprattutto i comuni che nelle aree citate dispongono di estensioni suf-ficienti a promuovere consorzi per lo sfruttamento del bosco. Fra le essenze più utilizzate e intro-dotte citiamo il Larice, il Castagno, l’Abete, il Pino Silvestre, ed altre varietà ma comunque, naturalmen-te, sempre autoctone. Ma non basta produrre il legno per garantire una remunerativa gestio-ne dei boschi, bisogna pure ven-derlo. Bois lab, così come le pre-scrizioni previste nella certificazio-ne, interviene anche sui passaggi a

valle della filiera. Il legno di provenienza certifica-ta viene “tracciato” , ossia custo-dito e seguito in tutte le sue tra-sformazioni, dall’albero nel bosco sino al prodotto finito in opera sia esso un mobile o una trave che regge il tetto. Guardando un mobile si potrà quindi affermare che esso è sta-to realizzato con il legno prove-niente da un albero cresciuto in una certa foresta situata in una

certa area. Per far questo è necessario interve-nire sulle modalità di gestione, la-vorazione e trasformazione attuate delle aziende che operano nel set-tore che sono chiamate a rispettare ben precise procedure nei loro pro-cessi di trasformazione. Attualmen-te sono 14 le aziende che entrando nel circuito sono in grado di garan-tire dette procedure di tracciabilità, se sembrano poche basta pensare che è un sistema del tutto nuovo inesistente prima dell’avvio del pro-getto Bois lab. Ma non ci si limita a questo: ven-gono sviluppate e promosse le co-noscenze e le applicazioni per in-trodurre un uso innovativo del le-gno nei vari settori produttivi me-diante attività di formazione, infor-mazione e divulgazione con i tecni-ci del settore, le pubbliche ammini-strazioni, gli ordini professionali, anche attraverso la visita guidata ad aziende che operano nel settore ed ai boschi gestiti con questi crite-ri. Un risultato è il ricorso sempre più diffuso del legno lamellare che si sta diffondendo anche per la realiz-zazione di serramenti tradizional-mente eseguiti in legno massiccio. Un altro risultato è l’introduzione nel prezziario regionale delle Opere pubbliche dal 2010, della voce rela-tiva al legno certificato che, inevita-bilmente, ha un costo superiore anche del 15, 20 percento rispetto a quello commerciale. E’ inevitabile, come in tutte le atti-vità. Il rispetto dell’ambiente e dei diritti sociali comporta costi imme-diati che alla lunga però dimostra-no tutta la loro utilità anche econo-mica. Una delle lezione che, forse, in Cina devono ancora imparare. In questo contesto i parchi possono svolgere un’interessante attività di promozione presso i titolari delle aree in essi ricadenti sia private che, soprattutto, pubbliche, favo-

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rendo la formazione di consorzi anche temporanei (durata minima di 5 anni) e progetti di intervento con i criteri prima accennati. Cre-diamo possa essere un modo intel-ligente per conciliare gestione del territorio, tutela ambientale e svi-luppo economico. Si tenga presente anche che i crite-ri di sfruttamento non si rivolgono solo alla gestione dei boschi ma anche a quella che viene propria-mente chiamata arboricoltura, bru-talmente: la coltivazione dei pioppi o di qualunque altra essenza da legno. Bois lab partito come un progetto

dal costo di 1.256.000€ cofinan-ziato dal Fondo Europeo per lo Sviluppo regionale della Comuni-tà Europea, dalla Alcotra (ALpi Latine COoperazione TRAnsfron-taliera), dal Conseil Generale de la Savoie e dalla Provincia di Torino è quindi destinato, si spe-ra, a diventare una attività per-manente in grado di portare, nel giro di non molti anni, grazie anche al necessario coinvolgi-

mento delle aziende e del mondo economico che ruota attorno alla filiera del legno e soprattutto delle altre istituzioni pubbliche compe-tenti in materia, all’impiego produt-tivo del consistente patrimonio bo-schivo del Piemonte. Sperando che anche a livello nazionale ciò possa avvenire. In molte regioni: una per tutte il Trentino A.A., questi pro-cessi sono già molto avanzati come già avviene in quasi tutti gli stati europei. Fra essi citiamo i francesi che nel progetto Bois lab hanno conferito la loro esperienza plurien-nale in materia. Basta pensare che oltralpe lo Stato gestisce tutti i bo-

schi comunali curandone i diversi passaggi dalla pianificazione terri-toriale dello sfruttamento sino alla vendita del legno. Vengono sotto-scritti delle sorte Patti territoriali, promossi da animatori preparati ad hoc, preposti all’informazione ed alla raccolta della adesioni dei sog-getti interessati. Inoltre in ogni di-partimento è attiva una cooperati-va, cui aderiscono i privati titolari di terre boscate o da destinare alla arboricoltura. Per la loro gestione ricevono contributi pubblici per mettere a frutto il patrimonio di cui dispongono, contributi ampiamente ripagati dalla produzione di legno che rappresenta una voce significa-tiva del bilancio dello stato. Sarebbe un vero peccato trascurare una così importante risorsa che oltretutto in assenza di una oculata gestione dagli interessanti risvolti economici, rischia spesso il degra-do. (Per chi fosse interessato il re-sponsabile per la Provincia di Tori-no del progetto Bois lab è il dott. Alberto Pierbattisti mail: alberto.pierbattisti@provincia.torino.it)

Le tabelle sono riferite al Piemonte

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COORDINAMENTO delle ASSOCIAZIONI AMBIENTALISTE Italia Nostra Piemonte e Valle d’Aosta, Legambiente Ecopolis, Pro Natura Torino 17 novembre 2011 On. Piero Fassino Sindaco di Torino Dott.ssa Ilda Curti Assessore alle Politiche Urbanistiche del Comune di Torino Dott. Claudio Lubatti Assessore ai Trasporti e Viabilità del Comune di Torino Dott.ssa Giuliana Tedesco Assessore al Commercio del Comune di Torino Al Presidente del Consiglio Comunale di Torino Ai capigruppo del Consiglio Comunale di Torino Al Presidente della Circoscrizione 9 del Comune di Torino e p.c. Agli Organi d’Informazione

Lettera aperta

“Rinasce” Palazzo del Lavoro, e diventa Palazzo del Commercio Martedì 15 novembre la Giunta Comunale ha approvato il Permesso di Costrui-re Convenzionato relativo all’Ambito 16.30 “Palazzo del Lavoro”, oggetto della recente Variante 190 al Piano Regolatore, permesso che era già stato approva-to dalla Giunta Chiamparino ed era rimasto in sospeso in Consiglio Comunale, dopo intensa discussione ed il parere contrario da parte del Consiglio della No-na Circoscrizione. Ora la stessa delibera, con alcune modifiche che definiscono ulteriormente il progetto definitivo, viene assunta con semplice approvazione da parte della Giunta, senza portarla più all’approvazione da parte del Consiglio Comunale e sottoporla alla Circoscrizione. La motivazione di questa scelta viene giustificata sulla base del D.L. 13 maggio 2011 n. 70, convertito in Legge il 12/07/2011, il cosiddetto Decreto Sviluppo, che consente alle Giunte Comunali di approvare i Permessi di Costruire Convenzionati senza più sottoporli all’approvazione del Consiglio. Nella delibera di Giunta si dichiara che “la competenza del Consiglio è stata superata”. Premesso che tale materia avrebbe dovuto comunque in via prelimi-nare essere sottoposta ad una nuova disciplina regolamentare che ancora non è stata discussa dal Consiglio stesso, siamo profondamente stupiti da questa accelerazione da parte della Giunta che ha scelto, agganciandosi ad un provve-dimento del Governo, di essere “più realista del re”. Per rispetto del Consiglio e delle procedure democratiche sarebbe stato (e sarebbe) corretto sottoporre nuovamente tale progetto all’esame della Circoscrizione competente e del Con-

siglio, invece di procedere con una revoca del-la precedente delibera e ad una sua riapprova-zione con un atto di imperio. Si tratta a nostro parere di un’ulteriore espropriazione delle competenze del Consiglio e di negazione dei diritti di partecipazione. La volontà politica della Giunta avrebbe potuto egualmente espri-mersi nel rispetto del metodo democratico. Anomalo ci sembra poi che negli stessi atti deliberativi vengano ceduti alla Società Penta-gramma le vaste aree verdi di proprietà della Città, parte integrante del Parco di Italia ’61, per consentire la realizzazione di parcheggi interrati, per una cifra intorno ai 3.800.000 Euro, senza che tale cessione sia mai stata deliberata dal Consiglio Comunale o inserita in piano di alienazioni. Tale cessione dovrebbe essere di stretta competenza del Consiglio,

Torino: al parco Italia 61 abbatteranno qualche centinaio di alberi… e trasforme-ranno il palazzo del Lavoro di Nervi in palazzo commerciale...

In travaj sensa cugnissiùn (Un lavoro senza cognizione)

Rappresentazione al computer dell’area

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che non ne è mai stato investito. Sui contenuti della delibera poco si può aggiungere rispetto a quanto dalle nostre Associazioni già espresso ripetu-tamente nelle precedenti Lettere Aperte: - Non è ancora chiara la natura e la tipologia del Centro Commerciale che andrà ad installarsi nel Palazzo del Lavo-ro, in un territorio già saturo di centri commerciali - Restano irrisolti i problemi della viabilità e dell’ulteriore intasamento della Rotonda Maroncelli, che nella delibera lasciano aperte diverse soluzioni la cui definizione è rinviata ad un tempo imprecisato, con forti ricadute ambientali per i nuovi flussi di traffico da Nord - da Sud e da Ovest (corso Unità d’Italia, corso Trieste, corso Maroncelli e la stessa via Ventimiglia) - Le “misure compensative” non sono accompagnate da un progetto serio di riqualificazione del parco di Italia ’61, già gravemente compromesso - E’ ancora pendente un ricorso al TAR contro il nuovo insediamento commercial - Le autorizzazioni paesaggistiche sono tuttora incomplete - La “piazza pubblica” , che sarà strettamente funzionale alla galleria commerciale insieme con percorsi pedonali e parcheggio privato ad uso pubblico, viene stimata la bella cifra di 17.950.000 Euro scontati dagli oneri di urbanizza-zione - Le funzioni pubbliche che dovrebbero installarsi nel nuovo complesso restano totalmente indefinite - Dopo l’esclusione della Variante dalla Valutazione Ambientale Strategica restano tuttora irrisolti svariati problemi di carattere ambientale, ad es. interferenze colle falde acquifere, caratterizzazione dei suoli, complessità della cantie-rizzazione in un’area già molto critica. Per tutti questi motivi proponiamo pertanto che il “progetto definitivo” (come viene definito) del Permesso di Co-struire Convenzionato venga sottoposto all’esame del Consiglio e della Circoscrizione 9, per rispetto del metodo de-mocratico che non può essere sacrificato sull’altare delle esigenze di quadratura del bilancio.

Italia Nostra Piemonte e Valle d’Aosta Maria Teresa Roli Legambiente Circolo Ecopolis Antonella Visintin Pro Natura Torino Emilio Soave

Due foto che rappresentano l’attuale situazione del traffico su c.so Unità d’Italia proprio di fronte al Palazzo del lavoro

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Demarche grand chantier all’italiana

Tutto è nato dall’annosa questione della linea ad Alta Velocità Torino Lione. Nella perenne ricerca di idee, pro-poste, iniziative che potessero fi-nalmente, dopo circa vent’anni consentire di avviaree i cantieri della Torino Lione è emersa la pro-posta di introdurre procedure in grado di attuare politiche a favore dei territori interessati dalla grande infrastruttura di trasporti. L’idea è venuta dai francesi che con la De-marche Grand Chantier in qualche modo coinvolgono comunità e ter-ritori interessati dalle grandi opere. La Regione Piemonte con la Legge regionale n° 4 del 21 aprile 2011 titolata: “Promozione di interventi a favore dei territori interessati dalla realizzazione di grandi infrastruttu-re. Cantieri - Sviluppo - Terrritorio“, ha approvato una serie di procedu-re in grado di “accompagnare” le opere strategiche, quelle delle leg-ge 443/2001 la famosa Legge O-biettivo introdotta dalla’llora Mini-stro Lunardi oltre a quelle inserite nelle intese stato-regione. All’art.1 - Finalità - si prevede infat-ti: “La Regione Piemonte, at-traverso lo strumento della concertazione e le forme di consultazione previste (…), interviene a favore dei territori interessati dalla realizzazione di grandi infrastrutture con la finalità di limitarne gli impatti e renderla vantaggiosa per le collettività territoriali, operan-do, altresì, per armonizzare le opere di mitigazione e com-pensazione del progetto con quelle di accompagnamento.” Misure di accompagnamento quin-di, non di mitigazione o compensa-zione già previste dalle normative vigenti. Gli ambiti di intervento sono diver-si: a) salute, prevenzione, sicu-rezza sul lavoro e tutela am-bientale; b) formazione e occupazione; c) sviluppo di opportunità per le imprese locali; d) offerta abitativa e ricettiva; e) valorizzazione dei materiali

di risulta; f) fiscalità agevolata; g) promozione dei progetti di territorio e di valorizzazione paesaggistica; h) promozione dei progetti a valenza educativa, ambientale, culturale e sociale; i) pianificazione e gestione urbanistica; l) attività espropriative; m) comunicazione. Come si vede coprono praticamen-te tutte le tamatiche di interessate dai progetti delle grandi opere. Ma cosa significa “accompagna-mento”?. Sino ad oggi le grandi opere si realizzavano attraverso un General Contractor che provvedeva a realizzare interventi secondo i progetti ed utilizzando le risorse tecniche, umane e/o sub-appalti che meglio riteneva. Accadeva quindi che spesso le im-prese coinvolte così come le mae-stranze fossero costituite da sog-getti sostanzialmente estranei al territorio su cui si interveniva. Quindi a fronte degli inevitabili im-patti connessi all’infrastruttura, i territori perdevano l’opportunità di essere coinvolti direttamente negli aspetti realizzativi e quindi econo-mici dell’opera. Oltre a vedersi sacrificato per la durata dei cantieri, che in questo genere di opere può superare an-che la decina di anni, era poi esclu-so dai benefici economici legati agli investimenti miliardari da parte dello stato che ritiene strategico, a livello nazionale, l’intervento. Nessuno o pochi erano quindi gli interessi da parte di imprese o abi-tanti delle aree interessate a soste-nere l’opera. Con questa legge quindi si è inteso da una parte coinvolgere il più pos-sibile le realtà produttive e sociali locali nella realizzazione dell’opera, dall’altra cogliere tutte le opportu-nità che i grandi cantieri di queste opere potevano offrire. Citiamo a titolo esemplificativo: contestual-mente alla realizzazione dell’opera può risultare conveniente effettua-re le messe in sicurezza idraulica di porzioni di territorio o il recupero di

Dalla esperienza Tav è nata una sperimenta-zione che può rivoluzionare l’approccio alla realizzazione delle grandi opere strategiche

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borghi montani abbandonati?. Grazie a questa legge si prevedono organismi in grado di gestire insie-me ai Proponenti l’opera, nella fat-tispecie LTF (Lyon Turin Ferroviai-re), al territorio ed ai rappresentati delle categorie sociali e produttive gli interventi in modo da garantire le massime ricadute locali. Anziché prevedere i classici villaggi prefabbricati ubicati nei pressi dei cantieri di lavoro, per il soggiorno delle maestranze, si cercherà di utilizzare le strutture alberghiere, bed & breakfast, camere, seconde case, piuttosto che ristoranti, trat-torie ecc. presenti nel territorio attorno la cantiere. Si valuterà se ristrutturare borghi montani abbandonati da destinare all’accoglienza per i lavoratori del cantiere. Borghi che potranno di-ventare luoghi di accoglienza turi-stica alla conclusione dei cantieri. Si cercherà, attraverso opportuni corsi di formazione, di agevolare il ricorso ad imprese locali anziché far venire imprese da altre regioni o addirittura dall’estero. Analoga-mente per le esigenze di personale si farà in modo di preparare oppor-tunamente artigiani, operai, piutto-sto che impiegati e professionisti reperiti e disponibili in loco. Per quanto riguarda lo smarino ossia il materiale di risulta dovrà essere per quanto possibile recupe-rato e valorizzato ad esempio come materiale inerte, potrà essere ce-duto dietro corrispettivo che andrà ai comuni interessati (è di proprietà demaniale) anziché essere in qual-che modo smaltito come spesso oggi avviene. Analogamente potrà esser svolta opportuna informazio-ne sullo stato di avanzamento delle opere e sui problemi che sorgono e come vengono gestiti tenedo co-stantemente informata la popola-zione. Riportiamo per esteso l’art.3 che riguarda le - Azioni regionali. 1. Per le finalità di cui all'arti-colo 1, la Regione pone in es-sere le seguenti azioni: a) concorso alla definizione delle prescrizioni da recepire ai vari livelli di progettazione; b) individuazione e predisposi-zione delle attività di accompa-gnamento alla fase di avvio degli interventi riconducibili ai lavori di realizzazione dell'ope-ra, mitigando gli impatti nega-tivi, producendo delle ricadute

positive per i territori e garan-tendo la sostenibilità delle tra-sformazioni; c) sviluppo e gestione delle opportunità per il territorio an-che al fine di favorirne la com-petitività; d) promozione della idonea pubblicità e della massima tra-sparenza degli atti formali ine-renti al procedimento di appro-vazione delle opere di cui al-l'articolo 2 attraverso gli orga-nismi di monitoraggio operanti presso le strutture regionali e provinciali; e) promozione dell'impiego di tecnologie innovative nelle fasi di cantiere e di monitoraggio dei lavori al fine di garantire i massimi livelli di sicurezza e di tutela della salute e dell'am-biente; f) preparazione delle fasi suc-cessive alla realizzazione del-l'opera anche attraverso la ve-rifica, la garanzia della traspa-renza e il monitoraggio delle azioni di cui alle lettere a), b), c), d) ed e). 2. Nella fase di preparazione delle attività riconducibili ai lavori di realizzazione dell'ope-ra le azioni sono finalizzate a: a) interventi per massimizzare le ricadute positive sui territori in base alle loro peculiarità se-condo il principio del mutuo vantaggio; b) iniziative a favore delle at-tività economiche e produttive, di valorizzazio-ne e recupero del patrimonio edilizio pubbli-co e privato e di tutela del-l'attività agri-cola; c) valorizzazio-ne, anche dal punto di vista economico e ambientale, del materiale di risulta. Ovviamente es-sendo una legge concettualmente nuova mai appli-cata in Italia è soggetta a tutte le verifiche del caso che verran-

no fatte in corso d’opera. Una sperimentazione che coinvolge anche le amministrazioni locali ed i diversi soggetti sociali, dalle impre-se ai sindacati. In Francia questi aspetti sia pure con modalità diverse, legate ad un approccio più centralizzato dell’am-ministrazione pubblica sono attuati da anni. Là è il Prefetto quindi il rappresentante della autorità nazio-nale a gestire i rapporti con il terri-torio. Inoltre le legislazioni con cui relazionarsi sono diverse da quelle italiane, solitamente meno com-plesse e condizionanti. Sotto il profilo economico la legge regionale 4/2011 non prevede e-sborsi o finanziamenti se non quelli essenziali al funzionamento degli organismi introdotti. Si interviene infatti perseguendo l’efficacia e l’orientamento delle esistenti normative alla valorizza-zione degli interventi nei citati am-biti. Così come la normativa ed i finan-ziamenti sulla formazione sono già previsti dalle leggi vigenti o le spe-se per l’ospitalità delle maestranze fanno parte dei costi di cantiere. Per gestirla sono stati istituiti tre organismi: a) comitato di pilotaggio; b) struttura di coordinamento tec-nico-operativa; c) comitati specifici competenti per ambiti territoriali o per materia. Ci fermiamo qui e rimandiamo i nostri lettori alla lettura dei 13 arti-coli della legge.

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I FATTI Sembrava che l’Egitto fosse avvia-to, sia pure in modo problematico, verso la democrazia. Invece no: sono ricominciati gli scontri con le stesse parole d’ordine usate all’ini-zio della rivolta. Ormai l’unione tra popolo e militari esistente contro Mubarak è solo un lontano ricordo ed i cittadini considerano i militari i nuovi nemici ed i traditori della ri-voluzione di inizio anno. Perché la transizione pacifica non è più tale e l'esercito ora è visto in modo così negativo? LE CAUSE Alla base della situazione venutasi a creare ci sono a mio avviso due motivi fondamentali. Il primo è un grosso equivoco pro-prio sull’esercito e sui motivi reali che hanno spinto quest’ultimo a spingere Mubarak alle dimissioni. I cittadini erano davvero convinti che esso fosse sinceramente dalla loro parte ed in quei giorni si è as-sistito ad una contrapposizione semplicistica tra esercito “buono”, amico e figlio del popolo e polizia “cattiva”, violenta e pronta a tutto per difendere Mubarak. Questo spiega il giubilo collettivo quando arrivavano i militari e prendevano il controllo della situazione, ma questo in realtà avveniva per moti-vi molto diversi da quelli immagina-ti dai manifestanti. L’esercito egiziano, come quello turco, è profondamente legato agli Stati Uniti, in quanto riceve da essi aiuti enormi in cambio del manteni-mento della stabilità regionale. Non a caso Mubarak, per decenni uno degli alleati più sicuri degli USA in quell’area, era un milita-re. D’altra parte ancora prima della svolta filo-americana di Sadat e Mubarak l’esercito già con Nasser, fondatore della Repubblica laica, ha sempre svolto un ruolo politico di primissi-mo piano. Questo ha portato ad un doppio

gattopardismo da parte dell’eserci-to, intenzionato a sostenere la cac-ciata di Mubarak, ormai indifendibi-le, per mantenere da un lato il le-game privilegiato con gli Stati Uniti e conservare così dall’altro il pote-re con il loro tacito appoggio. Gli USA a loro volta hanno spinto in questa direzione per difendere in realtà la situazione esistente ed impedire a forze antiamericane di arrivare al potere. Non è certamen-te un caso che gli Stati Uniti abbia-no esercitato energiche pressioni per estromettere Mubarak, ma non abbiano obiettato nulla alla gestio-ne diretta del potere da parte dell’-esercito... Solo in questi giorni, sotto la pres-sione della piazza, gli USA hanno affermato che il potere deve essere gestito dai civili ripetendo il tentati-vo di mandare a casa alleati ormai scomodi per evitare che con essi venga travolta anche la loro in-fluenza sull’Egitto. Questo peraltro non significa che i militari egiziani, stretti a loro volta tra gli Stati Uniti ed un’opinione pubblica antiamericana, abbiano attuato in questi mesi una politica estera sempre gradita agli USA, un esempio: il miglioramento dei rap-porti con l’Iran. Essi però hanno mantenuto buoni legami con gli USA sia direttamente sia indiretta-mente mantenendo in vigore il trat-tato di pace con Israele e conti-nuando a svolgere il ruolo di grandi mediatori regionali. Questo è emer-so molto bene nel tentativo riuscito di riavvicinare i principali partiti palestinesi, mossa che non è asso-lutamente piaciuta in Israele, ma

Riccardo Manzoni mb 339.1002650 e-mail: rikymanzoni@gmail.com

Nuovamente in lotta La rivolta in Egitto e l’occidente

Se, come sembra, continua il processo di allontanamen-to dall’ estremismo, si crea una opportunità, oltre che una spaccatura all’interno della galassia islamica, per i salafiti pronti a presentarsi

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che non ha provocato particolari clamori in una classe dirigente de-mocratica americana più equidi-stante tra Israeliani e Palestinesi rispetto al GOP (Great Old Party, Repubblicani), molto più filo-israeliano. Il secondo motivo è la delusione per la quotidianità ed i compromes-si politici che seguono necessaria-mente la trasformazione della fase rivoluzionaria in fase di governo, ciò si verifica spesso nella storia, ma in realtà ha a che fare con la psicologia collettiva e anche indivi-duale. Compromesso sperimentato spesso anche in Italia; non a caso si parla di “Risorgimento tradito” (con la burocratizzazione dell’Italia ed il trasformismo di Depretis), “vittoria mutilata” (dopo il 1918) e di “Resistenza tradita” (quando i par-tigiani vennero emarginati dai nuo-vi soggetti politici) per sottolineare la delusione seguita a questi eventi storici. In tutti questi casi, infatti, si è avuto un grosso divario tra i mo-tivi che hanno spinto alla lotta nella “fase epica” e la realtà quotidiana e prosaica, spesso triste e meschina, successiva ad essi. Infatti chi combatte e rischia la vita in prima persona è mosso da ideali superiori assoluti che quasi mai si conciliano con i compromessi più o meno necessari, nobili oppure de-gradanti, che stanno alla base del comportamento dei politici che ge-stiscono il potere in un secondo tempo. Se questo in passato è sta-to vero per l’Italia, oggi la stessa situazione si presenta in Egitto con un ulteriore problema: la rivolta inizialmente è nata per affrontare problemi concreti come il carovita ed a distanza di quasi un anno ne-anche questo è stato risolto, quindi la delusione è totale sotto tutti i punti di vista. Questo stato di perenne insoddisfa-zione, però, prima ancora che lega-to a delusioni politiche, è qualcosa di connaturato all’animo umano, come analizzato molto bene dai romantici tedeschi. Essi definiscono questo sentimento “streben”, cioè non accontentarsi mai dei risultati ottenuti, ma partire da essi per raggiungere nuovi obiettivi e così via. E’ un modo di agire certamente utile alla società perchè la rende dinamica e sviluppata in tutti i cam-pi, ma condanna il singolo alla

scontentezza e nei casi più gravi all’infelicità. Questa contrapposizione emerge studiando le diverse società e le diverse epoche, confrontando quel-le più spirituali e legate ai valori tradizionali con la società moderna; le prime, legate a valori eterni ed a ritmi di vita più naturali e lenti, hanno individui più sereni e solidali, ma sono economicamente poco sviluppate e con scarsa mobilità sociale. La seconda, basata sulla cultura del “fare”, dell’arricchirsi e di raggiun-gere sempre nuovi traguardi, ha creato uno sviluppo economico-sociale e quindi un benessere dif-fuso inimmaginabile in passato, ma ha anche visto un aumento consi-stente di atti anche criminosi fina-lizzati all’ottenimento facile degli status simbol, con parallela perdita di inibizioni sociali. Inoltre chi vive in questo tipo di società é certa-mente più ricco, ma evidentemente molto meno felice, visto che la de-pressione colpisce un numero sem-pre maggiore di persone. Sono convinto che l’aver lottato per un obiettivo e dopo averlo ottenuto pensare “Tutto qui?”, tanto da con-siderarlo in seguito qualcosa di scontato non più in grado di dare la soddisfazione iniziale sia un’espe-rienza che riguarda tutti. Da questo punto di vista l’insoddi-sfazione seguita alla cacciata di Mubarak si può spiegare con un salto dal piano individuale a quello collettivo del sentimento del “Tutto qui?”, tanto più che oggi in Egitto come in passato in Italia il cambia-mento politico è ritenuto insoddi-sfacente perché incompleto. Un elemento comune è proprio l’attesa della “seconda ondata” che consoli-di definitivamente la nuova situa-zione ed impedisca un ritorno del passato. OPPORTUNITÀ E RISCHI La situazione venutasi a creare ha al suo interno potenzialità positive, ma anche rischi a volte legati pro-prio alle opportunità offerte dalla possibile evoluzione politica. Un elemento certamente positivo é l’alta partecipazione al voto, che dimostra fiducia nel sistema na-scente e fa capire come lo sconten-to non é fine a sé stesso, ma è co-struttivo. Un aspetto invece problematico é il sistema con cui si vota, estrema-

mente lento e complicato. Questo può creare contestazione da parte degli sconfitti e soprattutto può permettere a chi é al potere di bloccare il processo in corso prima della sua fine “naturale”. Non del tutto rassicurante potrebbe inoltre essere il quadro politico che si verrà a creare. Infatti molto pro-babilmente vinceranno i “Fratelli Musulmani” con il loro partito “Libertà e Giustizia” e questo può creare problemi o esterni o interni, a seconda della loro evoluzione. Se prevale l’ala più dura, le forma-zioni islamiche saranno unite e l’E-gitto potrebbe diventare nuova-mente un punto di riferimento per il mondo arabo, questa volta in nome dell’islamismo militante. Ciò probabilmente aprirebbe un con-flitto con i militari e ci sarebbe un brusco peggioramento dei rapporti con Israele e di conseguenza con USA ed UE. Se, come sembra, continua il pro-cesso di allontanamento dall’estre-mismo, si crea un’opportunità, oltre che una spaccatura all’interno della galassia islamica, per i salafiti pron-ti a presentarsi come unici garanti della Sharia. Lo scenario si sta già materializzan-do in tempo reale con la creazione di due partiti islamici concorrenti (Libertà e Giustizia per i Fratelli Musulmani ed Al Nour per i salafiti) e ricorda quanto già avvenuto a Gaza. Anche in questo caso Hamas, filiazione dei “Fratelli Musulmani” da noi ritenuta organizzazione e-stremistica e terroristica, é conte-stata dalla formazione integralista, che invece considera Hamas troppo moderata, il che ha già portato a scontri militari tra essi. Quello che molto probabilmente avverrà, anche per la nascita di situazioni analoghe in Tunisia, Ma-rocco e Libia, sarà un legame più accentuato tra i paesi del Nord Afri-ca; se poi porterà ad un peggiora-mento dei rapporti con l’Occidente è un grosso punto interrogativo e dipenderà non solo da questi Stati ma dall’Occidente stesso. Il nostro mondo deve chiarirsi bene le idee su quale tipo di relazioni vuole creare, quali priorità vuole sviluppare, quali aspetti considera assolutamente irrinunciabili. Pur-troppo la crisi economica non aiuta l’Occidente, oggi obbligato a cerca-re soluzioni più impellenti ai propri

Nelle foto: manifestazioni Al Cairo

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problemi, tanto da sottovalutare questi interrogativi ineludibili e fon-damentali. Paradossalmente la ri-sposta é complicata anche dal fatto che l’Occidente, con inconfessati obiettivi di supremazia economica, ha incoraggiato queste rivolte in nome della democrazia ed ora si trova davanti ad un difficile bivio. Se decide che gli scambi economici sono l’elemento principale potrà mantenere buoni rapporti con i nuovi governi, ma sarà visto nel-l’immediato futuro come ipocrita dai popoli che non hanno ottenuto i miglioramenti sperati oppure dai gruppi che dovessero sentirsi di-scriminati dal nuovo potere. Se invece decide di dare importan-za ai diritti umani, potrebbero na-scere problemi politici, perchè i nuovi governi, sia pure in modo diverso, hanno già detto di volersi basare sulla Sharia, legge islamica, considerata da loro fondamentale per creare una società giusta e da noi invece ritenuta fonte di discri-minazioni contro le minoranze reli-giose e le donne. Questo scenario ripropone un di-lemma filosofico antico sul signifi-cato autentico dei termini democra-zia e tolleranza e si presta ad un confronto con il movimento degli “indignati” in Occidente. Per quel che riguarda il termine democrazia si é creata nel tempo una sovrapposizione di significati, in quanto essa nasce nell’antica Grecia e significa solo governo del popolo. Essa, però, già in antichità ed ancora di più negli ultimi secoli ha finito per significare anche u-

guali diritti di tutti i cittadini senza privilegi nè discriminazioni. Inoltre per motivi storici la democrazia é nata e si é sviluppata in Europa e negli USA, che si considerano anco-ra oggi i migliori difensori di questo sistema e vogliono esportarlo nel resto del mondo. Da questo punto di vista é stato significativo un in-tellettuale democratico, il quale ha detto in passato che la democrazia autentica é senza aggettivi; in caso contrario viene snaturata e falsata. Questa affermazione all’epoca era rivolta contro i regimi comunisti che si autodefinivano “democrazie popolari”, ma essa rimane più che mai d’attualità oggi nei confronti del mondo islamico. Quest’ultimo per divenire democra-tico deve adottare i nostri modelli, oppure come dicono gli islamisti moderati é possibile una democra-zia islamica modellata su quel tipo di società? Davvero i diritti umani sono uguali per tutti gli esseri uma-ni, come pensiamo noi, o devono tenere concretamente conto della mentalità delle varie società e civil-tà? Oppure queste affermazioni, per esempio sulla diversa concezio-ne della donna nella società, ven-gono fatte in malafede solo per giustificare una situazione di predo-minio e di sopruso? E se una democrazia nel significato originario del termine decidesse di non essere democratica nel senso che intendiamo noi da secoli, come dovremmo considerarla? Analoghi problemi si verificano con il termine tolleranza. Cosa significa davvero questo termine? Bisogna

essere tolleranti con tutti anche a rischio di concedere spazio a chi vuole distruggere la democrazia, come avvenuto in Germania duran-te la Repubblica di Weimar? Oppure la tolleranza va esercitata solo nei confronti di chi condivide valori democratici escludendo da essa le altre forze politiche, come sostenuto dalla giornalista Barbara Spinelli? Questo concetto va inoltre applicato solo all’interno del nostro mondo o a livello globale? Detto in altre parole: la vera tolleranza con-siste nell’esportare questo principio come lo conosciamo noi nel resto del mondo, oppure significa per-mettere alle altre culture di seguire un loro modello di società, anche se esso si basa su principi diversi e magari opposti? Come si vede, questi sono interro-gativi molto difficili e spinosi che non possono essere liquidati come sterile dibattito teorico, perchè la risposta che si darà avrà importanti ripercussioni politiche molto con-crete. CONFRONTO CON GLI “INDIGNATI” Tutti questi problemi molto proba-bilmente non si sarebbero posti se i ragazzi che hanno cacciato Muba-rak fossero riusciti a mantenere il controllo della situazione anche in seguito. Quanto avvenuto in Egitto e Tuni-sia presenta molte analogie con quanto avvenuto in Spagna e pro-babilmente avverrà negli USA. In tutti questi casi giovani spinti da sincera voglia di cambiamento o dalla crisi economica hanno iniziato

o a contestare pe-santemente i diri-genti politici, oppure le banche. Essi han-no avuto fin dall’ini-zio molto sostegno popolare e sia in Egitto e Tunisia co-me in Spagna sono riusciti a cacciare i politici al potere. In seguito, però, a co-gliere i frutti della lotta di questi grup-pi sono stati rispetti-vamente i partiti islamici ed il Partido Popular, tutte forze politiche molto lon-tane da loro. Il fenomeno pone

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importanti interrogativi sui motivi che hanno condotto a questo risul-tato. Certamente ha influito il loro spontaneismo contrapposto ad una consolidata organizzazione delle forze politiche, ma questa risposta da sola è limitativa. Se fosse così, infatti, non si capirebbe come gli ideali di questi ragazzi e di tutti i loro sostenitori e simpatizzanti pos-sano essere rappresentate da forze politiche così diverse, per non dire opposte. A portare a questa situazione sono stati due elementi, in parte legati, in parte autonomi. Il primo é che questi ragazzi hanno sempre detto in modo chiaro cosa non vogliono, ma sono rimasti ne-bulosi nel proporre un’alternativa al sistema esistente. Ciò ha spinto la stragrande maggioranza della po-polazione a votare per forze con un programma ben definito e con un’i-dentità conosciuta da decenni, ma vi é un motivo ancora più profon-do: i ragazzi delle “primavere ara-be” e gli “indignati” sono stati so-pravvalutati come forza effettiva in quanto hanno goduto di una sovra-esposizione mediatica che ha fatto sì che sembrassero molto più nu-merosi ed influenti di quanto fosse-ro in realtà. Questo é avvenuto sia per motivi professionali legati al modo prevalente di intendere il compito di informare sia per motivi ideologici di gran parte dei giornali-sti. L’informazione vive di novità e così i mezzi di informazione hanno dedi-cato molta attenzione a questi gruppi nati dal nulla in grado di rovesciare governi consolidati. Do-po decenni di immobilismo o di alternanza fin troppo prevedibile ecco qualcuno in grado di rimettere in discussione vecchi equilibri... e giù ad occuparsi di loro come dei nuovi “salvatori”. Tutta questa simpatia, però, é le-gata anche al passato individuale ed alle idee di gran parte dei gior-nalisti dei nostri giorni. Non biso-gna dimenticare che molti di loro sono stati giovani nel Sessantotto o negli anni successivi e che ancora oggi hanno un’ideologia di sinistra. A loro deve essere sembrato di rivivere la loro gioventù con le an-nesse illusioni: ecco la fantasia al potere, o in procinto di arrivarci; ecco milioni di giovani globalizzati, laici e, sia pure confusamente, di

sinistra lottare uniti in Occiden-te e nel mondo islamico, lottare uniti come fra-telli contro le storture esistenti per una società nuova e più giusta. In questo modo hanno però fini-to per trascurare la “maggioranza silenziosa”, che soprattutto nel mondo islamico e negli USA, ma evidentemente an-che in Spagna, non si sente rappre-sentata da loro ed anzi li considera un corpo estraneo o comunque dei nullafacenti. In Egitto é emerso molto netta-mente con le elezioni di questi gior-ni che hanno premiato i partiti isla-mici perchè essi esistono da lungo tempo e godono di un reale soste-gno popolare sia nelle grandi città come Alessandria sia, a maggior ragione, nelle campagne. Invece i ragazzi di piazza Tahrir, il blocco di sinistra ed i liberali sono concentra-ti solo nelle grandi città ed i partiti laici hanno ottenuto consensi ele-vati solo nelle zone ricche, a ripro-va di quanto essi siano lontani dagli umori reali del “paese profondo”, legato ai valori religiosi. Così ora tutti questi gruppi sono rimasti fra-stornati e cercano un nuovo “uomo forte” nel quale rispecchiarsi, ricer-ca oggi vana perchè é il momento degli islamisti. Negli USA Cain, candidato alle pri-marie repubblicane, insulta pesan-temente gli “indignati” e li definisce sporchi e fannulloni: un modo di ragionare certamente indice di ar-roganza e di incomprensione della realtà, ma che probabilmente riflet-te l’opinione di una parte più o me-no consistente dell’opinione pubbli-ca. Non é un caso che la polizia abbia sgomberato le zone occupate dagli “indignati” con relativa facilità. Pra-ticamente gli “indignati” sono stati abbandonati a loro stessi ed il con-senso di cui godevano si é dimo-strato alla prova dei fatti evane-scente e virtuale come gli strumenti da loro amati ed usati. Così anche negli USA questi gruppi sono rimasti disorientati e sono, almeno momentaneamente, in riti-

rata, anche se loro lo negano. Han-no infatti spiegato che intendono approfittare dell’inverno per studia-re nuovi metodi di lotta ed appro-fondire le loro idee per poi tornare in primavera rinfrancati e più forti di prima. Sarà così... Rimane il fatto che questa spiega-zione conferma che per diversi me-si la loro attività sarà ai minimi, il che non pare proprio un elemento di forza da parte loro. Quanto alla Spagna, il movimento degli “indignati” in parte é scom-parso da solo, in parte si é “istituzionalizzato” avvicinandosi a “Izquerda Unida”, il partito più di sinistra, oppure appoggiando can-didati indipendenti. Anche questa strategia però non ha portato grandi risultati, visto che il Partido Popular ha stravinto le ele-zioni, anche se più per demeriti del governo di Zapatero che per meriti proprii. Si può quindi dire che questi tenta-tivi di cambiare “dal basso” sono il segno dei nostri tempi e sono di per sé positivi e lodevoli, ma per avere successo devono superare la situazione iniziale e dotarsi di una vera organizzazione. Inoltre devo-no elaborare un programma che sia davvero in sintonia con gli umori del proprio popolo e non devono considerare il sostegno immediato della gente e quello della stampa una garanzia di appoggio duraturo. Devono invece costruire intorno a loro un consenso effettivo davvero stabile con azioni, magari diverse tra loro, ma costanti nel tempo in modo da diventare col tempo un autentico punto di riferimento per tutte quelle persone, che esistono davvero e sono milioni, che non ne possono più di un sistema che non fa altro che umiliarle e rubare loro la vita privandole del futuro.

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Epparliamo di tasse, l’argomento più cool del nostro tiepido autunno. Faremmo insieme alcune riflessioni che riguardano la tassazione, ma non quella di Monti che sostanzial-mente accresce quella esistente, di quella scriveremo dopo, scriveremo ora della tassazione già oggi esi-stente. Cercheremo di mettere a fuoco alcune questioni essenziali di cui però giornali e telegiornali parlano poco, chissà perché. Doverosamen-te segnaliamo che quanto scritto è, in buona parte estratto dal libro di Giuseppe Bertolussi segretario della Associazione artigiani e piccole im-prese di Mestre, dal titolo emble-matico: Tassati & mazziati edito da Sperling & Kupfer che invitiamo tutti a leggersi, tanto per capire. La giornata del sig. Rossi Immaginiamo il classico anonimo italiano sig. Rossi che abita in un appartamento in affitto, e che al mattino si sveglia, va in bagno, si lava la faccia e si rade con il suo rasoio elettrico, poi in cucina si pre-para il caffè. Quindi esce prende l’auto e va al lavoro, timbra, lavora più o meno alacremente tutto il giorno, quindi ritimbra il cartellino, esce passa al supermercato per fare un po’ di spesa, arriva a casa si prepara da mangiare e guarda un po’ di TV. Niente di strano quindi, azioni che molti di noi quotidianamente com-piono, ma proviamo a vedere come lo Stato interviene su tutte queste banali azioni.

Per l’affitto paga una volta all’anno la tassa di registro, quando utilizza acqua, e-nergia elettrica, e gas me-tano paga, oltre al corri-spettivo del consumo, le accise, le addizionali regio-nali e comunali e l’Iva. Quando prende l’auto è il turno delle tasse sull’auto che paga anche se non la usa e quelle sulla benzina che paga quando la usa. Lavora, ma parte del suo lavoro sottoforma di tratte-nute previdenziali e le soli-

te addizionali sullo stipendio vanno a qualcuna delle diverse articolazio-ni dello Stato, sul netto che riceve-rà in busta paga, pagherà l’Irpef. Se è passato a fare la spesa paghe-rà l’Iva su ciò che acquista e se per caso acquista un alcolico, in più ci sono le accise, soprassediamo sulle sigarette che faranno tanto male alla salute, ma rendono bene alle casse dello Stato così come un Gratta e vinci o un biglietto del Su-perenalotto. Tornato a casa oltre alle solite acci-se e tasse su luce, acqua e gas utilizzate il nostro sig. Rossi seduto sul suo divano mentre guarda la Tv si ricorderà che deve pagare la tas-sa sulla televisione, impropriamen-te detta canone Rai. A quanto ammonta il totale di que-ste tasse?: Tanto per fare tre esempi tipici Bertolussi nel suo libro considera 3 casi: un single, una famiglia bired-dito (moglie e marito entrambe che lavorano), e una famiglia monored-dito. Sono così rappresentati sotto il profilo fiscale: Single: Marco, 28 anni, diplomato, impiegato di concetto in una filiale di grande azienda commerciale, casa di proprietà di 70 mq, ha una Peugeot 206 del 2002 e percorre 20.000 km/anno. Famiglia bireddito: Francesca e Giulia. Lui è della classe 1972, di-plomato, operaio i piccola industria di 5° livello. Sposato e con un figlio di 5 anni, lei è impiegata nel com-mercio (3° livello). Vivono in appar-tamento di proprietà di 114 mq, hanno due auto un’Alfa 147 e una Lancia Y, ogni vettura percorre cir-ca 11.000 km/anno. La familia monoreddito è così rap-presentata: Gabriele e Martina. Lui nato nel 1965 laureato e quadro intermedio, lei laureata, casalinga, hanno una figlia che frequenta la terza media, vivono in condominio, abitazione di proprietà di 114 mq, auto Fiat croma euro5 da 88 kW con cui fanno 15.000 km/anno. Chi paga di più percentualmente? ma quella monoreddito “natural-mente” con il 45,5% , vedi tabella

Tassati e mazziati...

Tanto per tenerci su di morale riportiamo alcuni cenni su come funziona il sistema delle tasse nella nostra amata Patria… Ma non abbattetevi possiamo ancora peggiorare...

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riportata. In buona sostanza quasi 6 mesi all’anno questo povero contribuen-te lavora per lo Stato… Tremonti ha scritto nel suo libro che ci sono oltre 100 tasse di cui 14 tributi sulla casa e 9 sull’auto-mobile, l’ISTAT ne ha contate 107 anche se solo, si fa per dire, 73 danno origine a gettiti per l’erario. Elenchiamone alcune: IRPEF, con-tributi previdenziali, Contributo al Servizio Sanitario Nazionali, Premio Inail casalinghe, addizionale comu-nale e regionale IRPEF, IVA (Imposta sul Valore Aggiunto), pre-lievo sui rifiuti, (TIA/TARSU) Bollo auto, Accise, imposta sulle assicu-razioni, canone RAI, addizionale Comunale sui consumi di energia elettrica; addizionale regionale sui consumi di gas; ritenuta imposta sugli interessi attivi. Che i conti più o meno tornano lo si può vedere dal rapporto fra pres-sione fiscale e PIL (Prodotto Inter-no Lordo). Nel 2009 il contribuente italiano ha pagato 657 miliardi di € in tasse a vario titolo su 1.521 mi-

liardi di € di ricchezza prodotta. Mediamente quindi ha versato allo Stato il 43,2%. Le tasse sulle tasse Ma scopriamo che esistono anche le tasse sulle tasse. Per l’energia elettrica si pagano tre imposte: l’accisa erariale, l’addizionale comu-nale e l’IVA, analogamente per il Gas. L’autorità per l’energia elettri-ca e per il gas confermano che le imposte arrivano al 39% per le bol-lette ordianarie (considerando per il consumatore medio rappresentato dalle citate tre situazioni prima ri-portate: 322 mc annui di gas e 2.170 kWh annui). Se per caso qualcuno esce dal seminato e con-suma di più allora la situazione peggiora drasticamente. Ma ciò che più infastidisce, per non dir di peg-gio, è che l’Iva viene applicata non solo sul costo dell’energia elettrica e del gas ma anche su quello delle accise e delle addizionali: tassa sulla tassa appunto. E sull’auto andiamo ancora peggio, qui sono 5 le tasse applicate: il contributo al Servizio sanitario na-

zionale sui premi RC auto, l’impo-sta sulle assicura-zioni, le onnipre-senti accise, l’Iva e infine il bollo. Anche qui natu-ralmente il sacro principio della tassa sulla tassa viene onorato. Per la cronaca il premio (e se lo chimassimo scip-po?) pagato alle assicurazioni in Italia è esatta-mente il doppio di quello applica-to in Germania, Francia e Spagna. Ma questo è il meno. Infatti stiamo parlando dell’auto ferma in garage. Se si az-zarda a girare per le strade della nostra amata Repubblica allora son mazzate. Su 1,36 € al litro di benzina (primo semestre 2010) ne paghiamo

0,564 di accisa e 0,22 di Iva. Un incremento del 140% rispetto al costo di fornitura. Le accise, ci spiega Bortolussi sono imposte applicate sui prodotti ener-getici come carburanti, energia elettrica, gas, alcolici e simili che si applicano non sul valore monetario commerciale ma sulle quantità uni-tarie di prodotto (mc, kg, litro, kWh). Nate per far fronte a contin-genze particolari sono rimaste per sempre… Esempi: 1,90 lire per la guerra di Abissinia del 1935, 14 lire per la crisi di Suez del 1956, 10 lire per il disastro del Vajont del 1963... Eccetera, eccetera dovrebbero es-ser 10 gli eventi straordinari ogget-to di accisa che incidono media-mente per 0,25 € sui citati prodotti, ma che grazie all’effetto tassa su tassa contribuiscono ad aumentare le altre. Stessa musica per la tassa sui rifiuti che al di là che sia una tassa Tarsu o una tariffa Tia in entrambe i casi al gettito prodotto si aggiunge la tassa ex Eca sulla Tarsu o l’Iva sul-la Tia. Ma quanto rende allo Stato questa doppia tassazione?: dall’energia elettrica circa 200 milioni all’anno, 300 milioni sul Gas, mentre per i carburanti le sole tasse sulle tasse arrivano a 2,5 miliardi di €. Una nota. il gettito derivante dalla raccolta rifiuti, una delle principali entrate dei Comuni, e che è cre-sciuta costantemente nel tempo, non è contemplata nelle entrate tributarie a livello nazionale quindi non rientra nel calcolo della pres-sione fiscale, stiamo parlando di 4,2 miliardi di €. Domanda: se come abbiamo visto all’inizio in media gli italiani versano

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il 43,2% e se i nostri tre rappresen-tati, dipendenti, di fascia medio bassa pagano fra il 40% e il 50% le fasce alte che pagano? Sin qui abbiamo scritto di lavoratori dipendenti o utenze domestiche. Ma che succede se si fa parte del popolo delle partite Iva? Le partite Iva In Italia sono circa 5,6 milioni le partite Iva e di queste il 61% sono ditte individuali, professionisti e lavoratori autonomi. Questi, oltre a quanto prima citato hanno altre tasse da pagare che praticamente portano a raddoppiarne il numero. Eccone alcune: tributo alla Camera di commercio, IRAP, ICI sul capan-none o negozio, il tributo sulla pub-blicità, oltre ai contributi previden-ziali e ritenute Irpef per i dipenden-ti. I costi dei “servizi” lievitano e con essi l’importo delle tasse applicate. Ad esempio la Tarsu/Tia si passa dai 190 € circa all’anno per un nu-cleo familiare di 3 persone e 80 mq di appartamento, ai quasi 400 € per un negozio di alimentari di 50 mq, ai quasi 800 € per uffici privati sino ai 4.000 € per un ristorante di 200 mq. Stiamo parlando di 7,2 miliardi di € raccolti con queste tasse nel 2009. Il “bello” che l’importo che spesso non compare nemmeno nei bilanci dei comuni che hanno affidato il servizio a ditte esterne... I costi indotti dalle tasse

A tutto ciò noi aggiungia-mo i costi indotte dalle tasse che hanno scaden-ze diversificate, modalità di pagamento diversifica-te, rendiconti, calcoli più o meno complessi da fa-re, spesso di difficile comprensione, e altre amenità del genere e che per questo richiedono o l’intervento di ragionieri e commercialisti, che ovvia-mente hanno un costo, o assorbono un sacco di tempo dei contribuenti ossia di noi semplici citta-dini. Tempo comunque sottratto al lavoro, alla famiglia al riposo o al divertimento e che ha quindi un costo sociale. Non dimentichiamo poi i contenzio-si spesso causati dall’inefficienza della macchina pubblica di esazione delle tasse che causa perdite di tempo, ricorsi e che spesso spinge il contribuente a pagare anche se ha già pagato, pagamenti natural-mente comprensivi delle spese di mora legate al tempo trascorso per “scoprire” l’eventuale errore, e lo Stato ci impiega sempre qualche anno a scoprire gli errori. Anche perché i cittadini per tenere archiviate e ordinate tutte le rice-vute di pagamento per almeno 5 anni devono o dovrebbero dedicare tempo e anche spazi, diventando delle specie di archivisti dilettanti.

Se poi i servizi pagati con le nostre tasse sono inefficienti, tipo aspetta-re qualche mese per fare una visita medica, non c’è problema basta rivolgersi al privato e… pagare, o meglio pagare nuovamente per l’inefficienza dello Stato. L’inflazione: tassa occulta, ma non troppo C’è poi anche la tassa occulta per eccellenza: l’inflazione, sulla quale lo Stato ci marcia alla grande e di cui ci accorgiamo quando paghia-mo alla cassa del supermarket, ma non solo. Milton Friedman l’ha defi-nita “l’unica forma di tassazione che è possibile imporre senza ricor-rere alla legge”, ma che introduce un meccanismo perverso che va sotto il nome di fiscal drag. Ecco come ce lo spiega Bertolussi: Il signor Rossi, dipendente senza fa-miglia a carico ha un reddito di 20.000 € all’anno paga un’Irpef di 3.629 € pari al 18,14% del suo red-dito. Per compensare il suo salario dall’inflazione riceve un aumento di 200 € all’anno pari ad un punto percentuale. L’Irpef calcolata sul nuovo reddito di 20.200 € passa a 3.689 € all’an-no cioè il 18,26 % . La sua tassazione è quindi cresciu-ta dello 0,12%. E’ l’effetto dovuto al principio di tassazione progressi-va che prevede una crescita dell’Ir-pef con il crescere del reddito. Se poi il reddito è cresciuto solo per compensare l’inflazione, allo Stato non gliene frega niente. Prima di chiudere questo scritto che avrà sui prossimi numeri un seguito, esprimeremo alcune valu-tazioni su ciò che sta progressiva-mente e inesorabilmente facendo il

Dicembre 2011 - Osservatoriopiemonte Periodico indipendente di politica, cultura, storia. - Aut. tribunale di Torino n° 5554 del 2-11-2001 - Direttore Responsabile: Enzo Gino. Sede legale 15020 Cantavenna di Gabiano (AL) - Stampato in proprio - Editore: Pie-monte Futuro - P. Iva 02321660066 - Per informazioni, collaborazioni, pub-blicità e contatti: posta@osservatoriopiemonte.it - cell. 335-7782879 – fax 1782223696 - Distribuzione gratuita. www.osservatoriopiemonte.it - Finito di stampare il 14 dicembre 2011

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nostro amatissimo Stato. Come già da tempo avevano suggerito le impre-se (vedi scritto sulle corporation in Op di mag-gio) progressivamente il pubblico sta esternaliz-zando tutti i servizi che hanno dei costi mante-nendo però per sé sempre vive, ed accrescendo-le costantemente nel tempo, le tasse. Una applicazione è la finanza di progetto o pro-ject financing ma non solo. In pratica lo Stato che deve realizzare una infrastruttura come una autostrada, un teatro o qualunque opera preve-da un biglietto, prepara il progetto e individua un appaltatore che realizza l’opera. Quest’ultimo però non si fa pagare dall’ente pubblico promo-tore dell’opera, ma direttamente dai cittadini attraverso un pedaggio o una tariffa. In questo caso chi realizza l’opera e la gestisce per un cer-to numero di anni assume il titolo di Concessio-nario. Quindi noi, cittadini tassati e mazziati, versiamo le tasse allo Stato per fare i servizi di cui c’è bi-sogno, ma lo Stato li affida a privati che sotto forma di pedaggi ci fanno ri-pagare quel servizi. Contento lo Stato che invece di spendere soldi per ammodernare o introdurre un nuovo servizio prende soldi dal Concessionario che acquisisce il servizio ed inoltre continua a prendere i soldi delle tasse per un servizio che non svolge, è contento il concessionario che ovviamente ci guadagna, e qualcuno racconta ai cittadini che ci guadagnano anche loro perché avranno un servizio efficiente… Uao cheffigo! Pensate all’-acqua potabile la cui rete di distribuzione perde da tutte le parti. Ci dicono basta affidare il servizio a privati che senza costi per lo Stato, anzi pagandolo pure per prendersi il servizio, faranno pagare ai citta-dini non solo l’acqua che consumano, ma anche l’adeguamento della rete idrica e… le immanca-bili tasse che, essendo calcolate percentualmen-te (Iva) accresceranno gli introiti per lo Stato. Interssante anche la rappresentazione che l’au-tore del libro dà dei cosiddetti “giorni di libera-zione fiscale”, ossia del giorno in cui ogni anno il contribuente smette di lavorare per lo stato e lavora finalmente per sé. Nel 1980 il contribuen-

te ha lavo-rato 115 giorni per pagare le

tasse ossia dal 1° gennaio al 25 aprile che arrivano a 140 giorni per finan-ziare la spesa dello stato che porta sino al 21 maggio i giorni di lavoro per lo stato a cui vanno aggiunti 25 giorni che sono assorbiti dal... debito pub-blico che un giorno qualcuno dovrà pagare. Nel 2010 i 115 giorni sono di-ventati 156, i 140 sono diventati 174 portando da maggio al 25 giugno il giorno della liberazione fiscale e per il debito si è passati dai 25 ai 18 gior-ni... annui. Naturalmente con le nuove tasse di Monti aumenteranno anco-ra i giorni di lavoro per il socio occulto di ogni italiano: lo stato. La festa continua e... visto il periodo non ci resta che augurare:

Buone feste a tutti!

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“curatore fallimentare del sistema Italia” chiamato al Governo dalle lobby di Confindustria e da quelle interne dei maggiori partiti italiani, al fine di assumere una serie di provvedimenti impopolari che i par-titi stessi non intendevano assume-re direttamente. La guida del nostro Governo è sta-ta quindi affidata al già Commissa-rio europeo (dal 1994 al 2004) e consulente di Goldman Sachs (così come Romano Prodi). Già, la Goldman Sachs una delle più grandi banche d'affari del mon-do, che si occupa principalmente di investimenti bancari e azionari, di risparmio gestito e di altri servizi finanziari, con investitori istituzio-nali (multinazionali, governi e pri-vati) e dagli anni ottanta anche la banca di riferimento e consulente di molti governi intenti ad avviare processi di privatizzazione di azien-de statali (ne vedremo delle bel-le!!!). Avete mai visto “un ricco prender soldi ad un altro ricco…?” Noi no!. Difficile quindi credere che i nostri “salvatori della patria” siano lontani dalle logiche finanziarie delle mul-tinazionali ed abbiano interessi eco-nomici diversi da quelli che muovo-no il mercato globale. E’ realmente credibile pensare allo-ra che questo Governo aumentati l’equità nella nostra società attra-verso un’azione di vera redistribu-zione delle risorse? Eppure è sotto gli occhi di tutti che “qualcosa” non funziona nella redi-stribuzione della ricchezza in Italia e non solo. Non è forse la drammatica polariz-zazione del reddito e della ricchez-za la “causa delle cause” della crisi dei Paesi Occidentali? Come sempre l’essere umano ha diversi modi di fare il proprio inte-resse: alcuni producono più ric-chezza per tutti, altri no. Le prime misure adottate da questo Governo ne sono, maledettamente, una controprova per sapere dove “tirerà il vento”…

Le mancate misure a tutela del mercato del lavoro, la man-canza di credibilità oggettiva nella lotta all’evasione, la de-

tassazione delle piccole imprese in crisi (che continuavano quotidiana-mente a chiudere i battenti), unita alla crescita incontrollata della pressione economica e del debito pubblico, sono solo alcune delle più gravi colpe attribuibili al Governo passato. Governo che, per onor di verità, ha dovuto affrontare la peggiore crisi economica degli ultimi 50 anni, offrendo comunque una prova non all’altezza della grave situazione. "L'obiettivo è di risanare la situazio-ne finanziaria e riprendere il cam-mino della crescita in un quadro di accresciuta attenzione all'equità sociale per dare ai nostri figli un futuro concreto di dignità e di spe-ranza". Parole di Mario Monti, il nuovo

il punto di vista del sindacalista I poteri forti

di Luigi Serra

Mario Monti (Varese, 19 marzo 1943) è un economista, accademico e politico italiano. È Senatore a vita dal 9 novembre 2011 e dal successivo 16 novembre Presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica italiana, al suo primo incarico e Ministro dell'Economia e delle Finanze dello stesso governo. Presidente dell'Università Bocconi dal 1994, Monti è stato Commissario europeo per il Mercato Interno tra il 1995 e il 1999 nella Commissione Santer; sotto la Commissione Prodi ha rivestito il ruolo di Commissario eu-ropeo per la Concorrenza fino al 2004. Collaborazioni con organismi internazionali È stato, tra il 2005 ed il 2008, il primo presidente del Bruegel, un comitato di analisi delle politiche economiche (think-tank), nato a Bruxelles nel 2005. Nel 2010 è inoltre divenuto presidente europeo della Commissione Trilaterale, un gruppo di interesse di orientamento neoliberista fondato nel 1973 da David Rockefeller e membro del comitato direttivo del Gruppo Bilderberg. Da questi incarichi si è dimesso il 24 novembre 2011, a seguito della nomina a presidente del Consiglio. Tra il 2005 e il 2011 è stato international advisor per Goldman Sachs e precisamente membro del Research Advisory Council del Goldman Sachs Global Market Institute, presieduto dalla economista statunitense Abby Joseph Cohen. È stato advisor anche della Coca Cola Company. Nel 2010, su incarico del Presidente della Commissione Europea Barroso, ha redatto un libro bianco (Rapporto sul futuro del mercato unico) conte-nente misure considerate necessarie per il completamento del mercato unico europeo. È editorialista de Il Corriere della Sera e autore di numero-se pubblicazioni.

Avete mai visto “un ricco prender soldi ad un altro ricco…?” Noi no !

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L’angolo di vista. di Alessandra Lo Re Un grande supermercato, l’uni-verso degli ipermercati. Immersi nel tutto, nelle infinite possibilità, dobbiamo fare la spesa, portando a casa ciò che ci garantirà di affrontare al meglio tutte le eventualità giornaliere.

Davanti ai cereali per la prima cola-zione: scaffali lunghissimi, svettanti e simili a corsie stradali. Gli yogurt: più magro, più grasso, più dessert che yogurt, chi ci pro-mette il giusto apporto di frutta, chi sarà l’artefice del nostro equilibrio interiore. Smarrimento! Cosa mettere nel carrello per assi-curarci il giusto nutrimento? Per garantirci l’apporto nutritivo perfet-to per le nostre esigenze? Una scelta che sa di rinuncia. Più facile riempire il cesto comprando un po’ di tutto, portando con sé il più vasto assortimento, allontanan-do la selezione della preferenza. In fin dei conti, le esigenze sono molteplici, mutevoli e capricciose.

L’ipermercato universale non ci richiede di scegliere, non ci vuole fidelizzati, bensì confusi, volubili e pronti al cambiamento. Pronti a buttare e a sostituire, ciò e coloro i quali non ci garantisco-no il benessere, l’appagamento, l’agiatezza. Istantanei, immediati e provvisori. Mettiamo e togliamo dal carrello della nostra vita protagonisti e comparse a ogni folata di vento, seguendo la chimera della felici-tà. Scegliere e proseguire sulla scelta è contro la modernità, è contro il mercato. Di beni e persone.

alessandra.lore@gmail.com

Torino la più inquinata d’Italia per le polveri sottili

Una recente ricerca a cura dell'Orga-nizzazione mondiale della sanità (Oms) mette a confronto la qualità dell'aria di oltre 1.000 città sparse in tutto il mondo. Il dato principale che emerge è l'enorme divario tra le città europee e statunitensi e il resto del mondo. Le polveri sottili inquinano in modo particolarmente elevato le città concentrate tra Medio Oriente, Asia e Africa, dove si raggiungono picchi di inquinamento davvero elevati. Nell'elenco stilato dall'OMS le prime città italiane figura-no dopo il 200° posto, la peggiore è Torino con 47 µg/mc. La popolazione italiana è esposta a una concentrazione mediadi 40 µg/mc, ovvero entro l'o-biettivo indicato dall'Ue, ma oltre i 20 µg/mc individua-ti come linee guida dell'Oms. Tutti i dati raccolti, ottenuti da stazioni di monito-raggio dislocate in

varie zone cittadine, sono disponibili in un database sul sito dell'Oms. La ricerca valuta anche i danni provo-cati dalle polveri sottili sulla salute della popolazione. Come è noto, il PM10 penetra nei polmoni ed entra nel sangue, provocando gravi malattie. I bambini sono tra le categorie più a rischio. Una recente ricerca dei nostri colleghi belgi rivela quanto sia inquinata l'aria nei dintorni delle scuole, mettendo a repentaglio la salute degli scolari.

Nell'elenco stilato dall'OMS le prime città italiane figurano dopo il 200° posto

Smog a Torino

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Domenico Idone Comunicazione e Relaz. Ester-ne – Circolo FLI Cavour - TO. Torino Dic. 2011 - Il Governo Monti si è insediato da poco, a breve ini-zierà le manovre e le riforme di cui l’Italia ha bisogno. La politica è alla finestra in attesa di riprendere in mano il bandolo dell’amministrazio-ne del Paese, si prevede nel 2013. Sembra opportuno allora iniziare a discutere di quali potranno essere gli assetti e gli scenari politici in vista della prossima tornata eletto-rale. E’ indubbio affermare che FLI sarà fra i movimenti nuovi – non solo per evidenti motivi di data di nasci-ta – presenti nel prossimo agone elettorale. E’ giusto chiedersi e va-lutare allora come esso stesso si porrà o si dovrà porre in questo ambito. Dopo il distacco dal Pdl, FLI è stato accolto tra le braccia dell’UDC ed assieme costituiscono gli assi por-tanti del Terzo Polo da quasi un anno. Il gemellaggio con Casini è certamente dettato da un senso di riconoscenza dopo il 14 Dicembre 2010 ma è anche innegabile la sin-tonia politica (Fini e Casini sono stati colleghi di governo e alleati per tanti anni nel centro-destra). Se analizziamo le ultime tornate amministrative e i sondaggi delle ultime settimane, l’alleanza sembra dare i suoi frutti, molto meno il rapporto di forza fra i membri della compagine. L’UDC ne beneficia. Certamente FLI e i suoi uomini so-no meno conosciuti e radicati sul territorio ma è anche vero come sia ancora poco chiara e quindi poco incisiva tra la gente la “linea politi-ca” di FLI. Aspettare solo di ereditare pezzi di consenso dal PDL potrebbe sortire brutte sorprese. La tornata ammini-strativa di Torino docet. FLI ha il vantaggio di suscitare pa-recchio appeal tra i giovani, i laure-ati e gli appassionati di nuove tec-nologie. Inoltre la politica attiva di Fini contribuirà certamente a risol-levare le percentuali assolute. Ma per fare numeri non basta, occorre estendere decisamente il proprio bacino elettorale. Se molto proba-

bilmente – grazie al Referendum o al Parlamento – si tornerà alle pre-ferenze, occorrerà innanzitutto reimpostare un dialogo politico-programmatico con il territorio di rappresentanza, che la politica del “Porcellum” aveva reso facoltativo. Sarà quindi necessario parlare alla gente, partendo dai valori ispiratori e fondanti di quel processo di cre-scita politica innescato da Fini a Fiuggi e da egli auspicato a Roma alla Costituente del PDL nel Marzo 2009. Valori di Destra Europea mo-derata che - assieme all’UDC quale componente di centro - portereb-bero, come terzo Polo, ad aderire naturalmente al PPE. Questa presa di identità consentirebbe a FLI di “smarcarsi” dalla stretta dell’allea-to, a tratti ingombrante, e consen-tirebbe di farsi ascoltare dal popolo deluso del Pdl, che fa di questi va-lori tratti distintivi e di orgoglio. Chiedere di votare FLI perché mo-vimento fortemente legato all’Unità d’Italia e difensore dei suoi valori fondanti. Movimento che si con-trappone ad ogni sorta di divisione interna. Movimento che fa suo l’or-goglio patriottico in Italia e all’este-ro a supporto delle centinaia di connazionali (militari e civili) che ogni giorno aiutano i più deboli. Chiedere di votare FLI perché mo-vimento legato all’italianità e alla sua difesa, in un senso più moder-no. Un concetto non più legato a ceppi etnici o colori di pelle ma che si ispiri alla vera e convinta appar-tenenza a valori, usi, costumi co-muni dei nostri Padri. Chiedere di votare FLI perché mo-vimento dedito ad infondere il sen-so dello Stato, l’etica pubblica, la cultura dei doveri prima ancora che dei diritti. Nel garantire che la legge è davve-ro uguale per tutti ma anche e soprattutto che tutti debbono rispettare la Legge. Un movi-mento orgoglioso nel combatte-re gli abusi e il malcostume e nel valorizzare l’esempio degli italia-ni migliori. Nella neccessità di garantire che, prima o poi, chi sbaglia paga e chi fa il proprio dovere viene premiato. Chiedere di votare FLI perché movimento che vuole costruire istituzioni

Scenari da … terza Repubblica politiche autorevoli, rispettate, giu-ste. Uno Stato che deve essere efficiente ma non invadente, che deve spendere bene il danaro pub-blico senza alimentare burocrazia e clientele. Perché senza l’autorevolezza e il buon senso delle istituzioni, senza l’autorità della legge, senza una democrazia trasparente ed equili-brata nei suoi poteri, non c’è libertà ma solo anarchia, prevalenza dell’-arroganza e della furbizia. A tutto discapito dell’uguaglianza dei citta-dini. Chiedere di votare FLI perché movimento che spinge per l’ugua-glianza dei cittadini garantita nel punto di partenza, al Nord come al Sud, per gli uomini come per le donne, per i figli degli imprenditori come per i figli degli impiegati e degli operai. Da questa vera ugua-glianza delle opportunità, costruire una società in cui il merito e le ca-pacità siano i soli criteri per selezio-nare una classe dirigente, un Paese in cui chi lavora di più e meglio viene pagato di più, un Paese in cui chi studia va avanti, un Paese in cui chi merita ottiene i maggiori riconoscimenti. Buona parte del popolo del Pdl e della Lega “moderata” è affamato dei suddetti principi e vi si ricono-sce con orgoglio. Sono principi car-dine per G. Fini e coloro che hanno seguito la sua evoluzione politica e vedono la politica stessa come con-fronto e non scontro, come dialogo e non tifo, come rispetto dello Sta-to e della Costituzione sopra tutto. Evitare di parlare di ciò vorrebbe dire abbassare quell’indice alzato nell’Aprile 2010, consegnare i tratti distintivi alle correnti del Pdl e in parte alla Lega moderata. Forse paradossalmente, dirottare i delusi di destra verso l’UDC!

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Il caos dell’acqua in Italia ha ormai superato i limiti di guardia. Dopo la vittoria al referendum con-tro la cosiddetta privatizzazione dell’acque la situazione continua a peggiorare. I prezzi dei servizi idrici integrati varia da città a città anche di mol-to, per capirci a Milano 200 mc an-nui di consumi tipici di una famiglia di tre persone costano 129 € a Fi-renze 503! A Torino 281, a Cuneo 215, ad Ao-sta 249; media nazionale 290 €/anno. In media nel centro Italia si pagano le tariffe maggiori, meno al sud e ancor meno al nord. A cosa è dovuta questa differenza? Con precisione nessuno lo sa. Luciano Baggiani presidente dell’A-nea l’associazione dei gestori del servizio idrico integrato imputa le differenze al territorio disomogene-o, orografia che richiede costosi impianti di sollevamento, fonti lon-tane dai centri di consumo, all’arre-tratezza strutturale di alcune aree e via discorrendo... Ma diciamo noi, notoriamente il sud

è più arretrato in termini in-frastruttural i del centro ep-pure si paga meno, che dire poi di città come Parma (391€/anno) , Ferrara (315), Ravenna (445) che sorgono in pianura quindi con costi di distr ibuzione contenuti ri-spetto a centri in mezzo alle montagne, ma nonostante ciò hanno costi fra i più elevati d’Italia. Notiamo poi che bolletta dell’acqua si riferisce al ser-vizio idrico

integrato che copre anche le spese di depurazione dei reflui. In pratica riferendoci sempre al consumo standard di 200 mc/anno per fami-glia la bolletta è così ripartita 6% quota fissa, 45% consumo d’acqua che prevede tariffe scaglionate (più consumi e più cresce il costo unita-rio), 13% è il costo destinato alla gestione delle fognature, 27% alla depurazione e immancabile 9% l’Iva. Aggiungiamo che negli ultimi anni il costo dell’acqua potabile è cresciu-to ben più del costo della vita. Anche qui in maniera differenziata. Fra il 2009 e il 2011 il Comune di Aosta gestore delle forniture idriche ha cresciuto il costo del 42% , un salasso per gli utenti, a Torino la SMA del 14% a Campobasso Ca-tanzaro e Salerno invece non l’han-no aumentata per niente 0% Un caos in cui i cittadini e tantome-no le istituzioni che li rappresenta-no sembrano avere alcun controllo per cui le aziende che gestiscono i servizi fanno un po’ il bello e il cat-tivo tempo. Leggiamo che una del-le prime misure prese da Monti è l’introduzione di una authority per luce, acqua e gas che dovrebbe garantire maggiore indipendenza e trasparenza nelle bollette, vedremo se così sarà anche se i dubbi non mancano. L’esempio delle RC auto fra le più care d’Europa con buona pace dell’authority preposta è pre-monitore. Nel frattempo si diffonde nel territorio l’uso delle stazioni di servizio che dispensano acqua po-tabile a pagamento spesso sponso-rizzate da sindaci e Comuni. Costa meno dell’acqua in bottiglia ma, scusate l’acqua che arriva dall’-acquedotto che già paghiamo, a che serve? Qualcuno dice che non è “buona” , nel senso che sa di cloro, qualcuno ci saprebbe spiega-re perché non si può avere dall’ac-quedotto che comunque ne garan-tisce la potabilità, un’acqua “buona” ? non è difficile e ci dicono nemmeno troppo costoso. Anche qui ci sembra che gli interes-si concorrenti e non sempre “trasparenti” regolano il gioco a scapito dei cittadini.

Il caos dell’acqua potabile

Alessandria

Acqua potabile anche la gestione continua “a far acqua” a farne le spese sono i cittadini