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transcript
Luciano Russi
La democrazia dell’agonismo
Lo sport dalla secolarizzazione alla globalizzazione
Roma, 2007
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ai seguaci di Lancillotto,
campione dell’agonismo leale, agli ammiratori di Nausicaa,
incarnazione della felicità ludica, ai compagni di strada di “Lancillotto e Nausica”
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Nota di edizione
Un libro come questo, pensato tra spogliatoi, campi di gioco, partite
teletrasmesse, polemiche tra giocatori (compresi mio padre e mio figlio) e ricordi
agonistici, doveva necessariamente incontrare una “mezza punta” (o seconda punta)
avvezza a finalizzare il gioco.
La “mezza punta” in questione non poteva essere che Luigi Mastrangelo:
capace di suggerire il ritmo finale di un’azione (e che altro è un libro se non uno
schema di gioco?) e, in qualche caso, abile a spingere in rete, pardon portare in
tipografia un manoscritto.
Di questo lo ringrazio perché, dopo tanti anni di appunti e di lezioni, mi ha
convinto a finalizzare la mia ricerca e a metterla in circolazione. Così come lo
ringrazio per avermi convinto, qualche anno fa, a gareggiare ancora, dopo tanto
tempo, sui campi reali e non mediatici.
Dove – se mai ce ne fosse stato bisogno – ho potuto misurare ancora una volta
la distanza tra il mondo della realtà e il mondo delle idee, tra il mondo delle idee e
quello della loro rappresentazione fantasmatica.
Esattamente come ci hanno insegnato, per la prima differenza, il Filosofo
Tedesco e, per la seconda, il Filosofo Greco.
L.R.
Atri 2003
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Introduzione 1. Nell’età della secolarizzazione § 1.1 La pallacorda della borghesia francese § 1.2 La rivoluzione inglese del tempo libero § 1.3 La fisicità secondo il modello germanico
§ 1.2 Dalla ginnastica all’educazione fisica in Italia 2. Il dibattito ideologico § 2.1 La nuova pedagogia cattolica § 2.2 Dall’antisportismo socialista alla difesa del proletariato sportivo 3. I Cinque cerchi § 3.1 L’intuizione coubertiniana
§ 3.2 All games, all nations § 3.3 Tra guerra fredda e tensioni internazionali § 3.4 Business e limiti umani
4. Il Coni
§ 4.1 La fascistizzazione § 4.2 Lo sport agli sportivi § 4.3 La crisi e il processo riformatore 5. L’identità nazionale § 5.1 La Nazione sportiva § 5.2 “Agili guizzavan nel gelo i muscoli” § 5.3 Verso la Nazione belligerante
§ 5.4 Lo sport fa gli italiani
6. La mondializzazione del “gioco più bello” § 6.1 La coppa (di) Rimet § 6.2 Calcio ludens e tensioni sociali § 6.3 Corsi e ricorsi 7. Il contributo universitario § 7.1 Mens sana in corpore sano
§ 7.2 La raccomandazione mussoliniana § 7.3 Una frattura ideologica § 7.4 Le Universiadi § 7.5 Il diritto allo sport (come momento del diritto allo studio)
8. L’intreccio con la politica § 8.1 I giochi antichi e il loro popolo § 8.2 La “faziosità” § 8.3 L’uso strumentale 9. Un matrimonio di interessi § 9.1 Le radici § 9.2 Il medium e lo sponsor § 10. Nell’età della globalizzazione
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§ 10.1 Una “casa comune” § 10.2 Dimensione europea e universo globalizzato
Indice dei nomi e dei luoghi
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Tavola delle abbreviazioni Periodici «CdS» Il Corriere dello Sport «CorS» Il Corriere della Sera «GdS» La Gazzetta dello Sport «Il M» Il Messaggero «La S» La Stampa «L’E» L’Europeo «LeN» Lancillotto e Nausica «NA» La Nuova Antologia «PI» Il Popolo d’Italia «RF» Rivista Fascista «RDS» Rivista di Diritto Sportivo Sigle Aoni Accademia Olimpica Nazionale Italiana Ape Associazione antialcoolica Proletari Escursionisti Cai Club Alpino Italiano Cee Comunità Economica Europea Cie Confédération Internationale des Étudiantes Cil Corpus Inscriptionum Latinarum Cio Comitato Olimpico Internazionale Cln Comitato di Liberazione Nazionale Coni Comitato Olimpico Nazionale Italiano Cosi Comitato Olimpico Studentesco Italiano Crui Conferenza dei Rettori delle Università Italiane Csi Centro Sportivo Italiano Cusi Centro Universitario Sportivo Italiano Dbf Deutscher Fussball-Bund Ddl Disegno di Legge Ddr Deutsche Demokratische Republik Eiar Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche Enef Ente Nazionale per l’Educazione Fisica Fasci Federazione delle Associazioni Sportive Cattoliche Italiane Fgc Fasci Giovanili di Combattimento Figc Federazione Italiana Giuoco Calcio Fifa Fédération Internationale de Football Association Fisu Fédération Internationale du Sport Universitaire Fnuf Federazione Nazionale Universitaria Fascista Gil Gioventù Italiana del Littorio Gu Gazzetta Ufficiale Guf Gruppo Universitario Fascista Isef Istituto superiore di Educazione Fisica Mvsn Milizia Volontaria di Sicurezza Nazionale Nba National Basketball Association Onb Opera Nazionale Balilla Ond Opera Nazionale Dopolavoro Onu Organizzazione delle Nazioni Unite Pesd Physical Education and Sport Department Pnf Partito Nazionale Fascista Rsi Repubblica Sociale Italiana Sisal Sport Italia Società a Responsabilità Limitata Spqr Senatus Populusque Romanus Ue Unione Europea Uefa Union des Associations Européennes de Football Uie Union Internationale des Étudiants Unaef Union Nationale des Associations des Étudiantes de France
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Unu Unione Nazionale Universitaria Unuri Unione Nazionale Universitaria Rappresentativa Italiana Upu Union Pédagogique Universelle Urss Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche Usa United States of America Wada World Anti-Doping agency Altre abbreviazioni a. anno a. a. anno accademico cap., capp. capitolo, capitoli cfr. confronta cit. citato ibidem nello stesso luogo n., nn. numero, numeri p., pp. pagina, pagine s. t. senza tipografia ss. seguenti tr. it. traduzione italiana vol., voll. volume, volumi § paragrafo Opere frequentemente citate Coroginnica Coroginnica. Saggi sulla ginnastica, lo sport e la cura del corpo 1861-1991 (a cura di
A. NOTO e L. ROSSI), La Meridiana, Roma 1992. L’Italia P. FERRARA, L’Italia in palestra. Storia, documenti e immagini della ginnastica dal 1833 al
1973, La Meridiana, Roma 1992. Nel mito J. ULLMANN, De la gymnastique aux sports modernes, Presses Universitaires de France, Paris
1965, tr. it. Nel mito di Olimpia: ginnastica, educazione fisica e sport dall’antichità ad oggi, a cura di G. Aleandri, Armando, Roma 2004.
Sport and Education G. GORI, T. TERRET (eds.), Sport and Education in History, Academia Verlag,
Sankt Augustin 2005. Sport e culture Sport e Culture. Sport and cultures, Atti del IX Congresso del Cesh (a cura di A. Teja,
A. Krüger, J. Riordan), Edizioni del Convento, Calopezzati 2005. Il libro L. FERRETTI, Il libro dello sport, Libreria del Littorio, Roma-Milano 1928.
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Introduzione
Folle decet pueros ludere, folle senes
(Marziale)
Oltre settanta anni fa, Johan Huizinga dedicò la sua prolusione di Rettore
dell’università di Leida alle connessioni tra il gioco e la cultura1. Ciò che noi oggi
definiamo con le categorie di serietà e di gioco – ad avviso dello studioso olandese –
formavano in un primo momento «un indiviso medium in grazia del quale è sorta la
cultura». Come egli stesso ricorda, lo stretto rapporto tra due dimensioni
apparentemente distanti gli si rivelò evidente nel corso dei suoi studi sul medioevo2 e
sarà presente a lungo nella sua ricerca sull’origine della civiltà e sulle sue leggi3.
Sulla scia di Ortega y Gasset, che aveva collocato la dicotomia tempo di lavoro –
tempo libero nel contesto di una fantastica versione della preistoria, ed aveva
addirittura gerarchizzato il rapporto a vantaggio dell’attività sportiva4, Huizinga
radicò l’ordine dell’universo con le sue primitive forme regolamentari e
governamentali in un «gioco sacro».
Se infatti il gioco era non solo connesso ma addirittura propedeutico alla
fenomenologia culturale, e anzi costituiva una manifestazione decisiva per la
decifrazione del moderno homo ludens5, a maggior ragione – per le sue implicazioni
1 J. HUIZINGA, Over de greuzen van spel en ernst in de cultuur (Sui limiti del gioco e della serietà nella cultura), Tjeenk Willink, Haarlem 1933. Dopo alcuni aggiornamenti l’orazione rettorale fu pubblicata a Londra col titolo Das Spielelement der Kultur. The Play Element of Culture (1937). 2 J. HUIZINGA, Herfsttij del Middeleewen, tr. it. di Bernardo Jasink, Autunno del Medioevo, Sansoni, Firenze 1942, capp. II–X. 3 J. HUIZINGA La crisi della civiltà, Einaudi, Torino 1963. 4 J. ORTEGA Y GASSET, The sportive origin of the State (1924), in «History as a System», Norton, New York 1961, pp. 16-18. 5 J. HUIZINGA, Homo ludens (1938), tr. it. di Corinna von Schendel, Einaudi, Torino 1946.
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sociali, economiche e politiche – avrebbe dovuto esserlo lo sport: «Lo sport come
funzione civile ha sempre più esteso il suo significato nella vita sociale e ha attratto
nel suo dominio sempre nuovi campi d’azione»6.
Eppure le cose non andarono così 7.
La tesi huizinghiana, tendente ad unificare gioco e gara col termine latino
ludus, non fu accettata né nella sostanza, né nella forma. L’antagonismo tra gioco e
gara, d’altra parte, era tradizionalmente visto come irriducibilità del gratuito,
dell’irrazionale e dell’eventuale rispetto al razionale, al necessario e al meritorio.
Molti obiettarono, ad esempio, che la lingua greca distingueva nettamente fra gara
(agòn) e gioco (paidìa)8, e che, quindi, non si poteva includere nel gioco la pratica
agonistica, né tanto meno le olimpiadi (sia quelle antiche che quelle dell’età
moderna)9. Si trattava quindi di capire se alla differenza linguistica corrispondeva
quella sociologica e psico-biologica.
L’intellettuale olandese si orientava per la negazione, convinto come si
mostrava del fatto che i ludi romani sintetizzavano il gioco (che poi vincerà come
6 Ivi, p. 242. Nato il 7 dicembre 1872 a Groninga, Huizinga insegnò nell’università della città natale dal 1905 al 1915, prima di trasferirsi nell’ateneo di Leida. D. CANTIMORI segnalò nel 1936 su «Leonardo» (a.VII, p. 383) la traduzione tedesca della huizinghiana Crisi della civilità, per la cui edizione italiana (Einaudi, Torino 1962) curò il saggio introduttivo. Morì il 1° febbraio 1945 a De Steeg: F. CHABOD gli dedicò un Necrologio in «Rivista storica italiana», a. LX (1948), pp. 342-4. Cfr. anche W. KAEGI, L’opera storica di Johan Huizinga, in Meditazioni storiche, a cura di D. Cantimori, Laterza, Bari 1960, pp. 316-53 e M. PETROCCHI, Ricchezze di J. Huizinga, in L’uomo e la storia e altri saggi e svaghi, Zanichelli, Bologna 1944, pp.139-42. 7 «Forse nessun fenomeno collettivo soprannazionale merita oggi – aveva scritto già nel 1927 Max Scheler – un’analisi sociologica e psicologica quanto lo sport, enormemente cresciuto in dimensioni e valore. Eppure, ben poco di serio si è tentato, finora, per interpretare questo fenomeno poderoso». M. SCHELER, Begleitwort, in A. PETERS, Psychologie des Sports, Köln 1927, p. 5. 8 Cfr. A. NUTI, Ludus e iocus: percorsi di ludicità in lingua latina, Fondazione Benetton-Viella, Treviso-Roma 1998. 9 H. BOLKESTEIN, Lo storico della cultura e la sua materia, in «Atti del XVII Convegno filologico Neerlandese», 1937, p. 26.
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etimo) e la gara (col suo carico di socialità e ritualità) o, ancor meglio, che in ogni
agone (ad esempio il duello) è intrinseco il carattere ludico10.
In realtà, la progressiva regolamentazione, le esigenze di organizzazione, la
disciplina fisica, l’aumentato professionismo con i relativi record e l’universo mass
mediatico autoreferenziale hanno affievolito nel tempo la qualità ludica dell’attività
agonistica. Questo trend di “seriosità” avrebbe fatto occupare allo sport «un posto al
lato del processo propriamente culturale, il quale si svolge senza di lui»11.
A rilanciare un’analisi del triangolo (non isoscele) gioco – cultura – sport ha
contribuito Roger Caillois12.
Per il sociologo francese sono quattro le categorie ermeneutiche utili per
inquadrare i giochi: a seconda che predomini il ruolo della competizione, del caso,
del mimetismo, della vertigine. Il che non esclude che, all’interno di ognuno di loro,
giochino un ruolo gli altri o che fra loro si stabiliscano combinazioni varie.
I giochi di competizione (agon) esaltano le motivazioni interiori dell’atleta
(termine – è bene ricordare – che origina dal greco athlòn, premio) ad interagire nella
gara al fine di veder riconosciuta la propria superiorità. Da questo punto di vista
l’agon è la forma più pura del merito personale.
I giochi di caso (alea), al contrario di quelli di competizione, dipendono dal
favore del destino (fortuna). Alea è parola latina che indica il gioco dei dadi e
10 Sulla stessa linea un altro interprete dell’ideologia tendente a vedere lo sport come gioco e – se invece privato della sua connotazione ludica – ridotto a lavoro (C. DIEM, Spätlese am Rhein, Limpert, Francoforte 1957). 11 J. HUIZINGA, Homo ludens cit., p. 242. 12 Roger Caillois (1913-1978) è stato direttore delle riviste «Lettres Françaises» (1941-1945) e «France libre» (1945-1947). Con la parigina Gallimard ha pubblicato una edizione annotata delle opere complete di Montesquieu (1949-1951) e Description du marxisme (1951, tr. it. Roma 1954).
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Caillois13 l’ha scelta per indicare i giochi nei quali il giocatore abdica a vantaggio dei
segni della sorte. L’alea è presente anche nei giochi di competizione come casualità
intrinseche alle dinamiche di gara dovute ora all’avversario o al giudice-arbitro, ora
alle condizioni climatiche o ambientali. L’alea interagisce con la prestazione
dell’atleta inficiandone l’esito14.
Ci sono manifestazioni in cui il soggetto si identifica con un altro che gioca. Si
tratta di una illusione (in-lusio significa “entrata in gioco”) che il sociologo francese
ha voluto identificare con il termine inglese di mimicry (mimetismo), che
comprenderebbe sia la mimica che il travestimento. Mentre non può avere alcun
rapporto con l’alea, la mimicry può intrecciarsi con aspetti dell’agon. Nelle
manifestazioni sportive, la mimicry diventa appannaggio, oltre che delle nuove leve
di praticanti che si formano riproponendo i gesti (non solo tecnici) dei campioni
affermati, anche degli spettatori, nel senso che a mimare non sono più solo gli
sportivi attivi, ma il pubblico: identificazione con il vincitore, competizione tra
sostenitori nella mimicry con la propria squadra, imitazione degli stili
comportamentali dei grandi atleti, repulsione-attrazione per l’arbitro.
Ci sono infine giochi che si basano sulla ricerca della vertigine (ilinx, che in
greco vuol dire “gorgo”), provocabile dall’acrobazia, dalla caduta, dal lancio, dalla
13 R. CAILLOIS, Les jeux et les hommes. La masque et le vertige, Gallimard, Paris 1958, tr. it. I giochi e gli uomini, Bompiani, Milano 1981. 14 Cfr. U. OLIVIERI, L’alea dopo l’agone, in «LeN», a. VIII (1991), nn. 1-2, pp. 8-23.
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rotazione, dallo scivolone, dalla velocità, dalle accelerazioni. Nell’ilinx il giocatore
realizza il desiderio di superare leggi fisiche e di sfuggire alla propria coscienza15.
A questo punto si può tracciare una linea di demarcazione tra agon e ludus, tra
gara e gioco: è il sentimento esplicito di emulazione o di rivalità, nel primo presente e
nel secondo assente o fievole, a segnare il confine. Il che non esclude contaminazioni
o integrazioni.
Rispetto al dibattito che aveva visto contrapposto Huizinga, con la sua tesi
sulla cultura che origina dal gioco, a coloro che invece sostenevano una evoluzione
della cultura come generatrice di giochi che, a loro volta, mimano ciò cui la vita
moderna impone di rinunciare, Caillois tenta una composizione. «Lo spirito di gioco
è essenziale alla cultura – scrive – ma giochi e giocattoli sono effettivamente i residui
della cultura»16.
Quella del Francese appare una composizione impossibile e comunque
discutibile, nel senso che non si tratta di riconoscere alla cultura caratteri ludici né ai
giochi caratteri residuali di cultura.
Oltre che attività vitale e metaforica, il gioco è conoscenza, cultura. E questo
dalle poleis greche e dalla civitas romana alla paidia contemporanea, passando per
certa teologia moderna che, nel gioco come esercizio disinteressato, ha visto
diminuire la tristitia dovuta al lavoro.
15 I quattro elementi fondamentali dell’analisi di Caillois sono analizzati in C. BROMBERGER, Una pura questione di metodo, in «LeN », a. XX (2003), n. 3, pp. 16-27. 16 R. CAILLOIS, I giochi cit., p. 77.
13
Nietzsche, dopo aver elogiato Ulisse contraltare della sedentarietà, non ha
avuto dubbi a considerare lo sport un’attività che, rientrando nello sviluppo della
storia della cultura, si ricollega alla volontà e al desiderio di potenza17.
E se il gioco è cultura, è cultura anche lo sport.
Se la cultura è l’insieme dei modi in e con cui la vita si rappresenta, lo sport è
uno dei modi.
Diversi e numerosi sono stati gli interpreti (antropologi, moralisti, sociologi,
filosofi e perfino zoologi) del successo del fenomeno sportivo in età moderna e
contemporanea. L’approccio prevalente è stato quello di considerarlo, più che come
fenomeno culturale in sé, una sorta di occasione per l’analisi di problematiche di altra
natura. Il fatto è che, al pari delle religioni (di cui ha progressivamente preso il
posto), lo sport costituisce un fatto sociale totale. Naturale quindi che in sede
ermeneutica siano emerse tesi discordanti se non totalmente contrapposte: liberazione
o alienazione, fabbrica di mitologie o fumeria d’oppio, elemento di faziosità o evento
di aggregazione, vettore di nazionalismi o agente di globalizzazione, valvola di sfogo
sostitutivo della guerra e della caccia o volano di aggressività determinante per un
surplus di energia.
La concezione agonistica o sportiva si contrappone alla riduzione politica di
Schmitt dell’altro all’endiadi amico (Freund) - nemico (Feind)18. La distinzione
schmittiana in politica corrisponde alle altre contrapposizioni: nella morale, buono e
cattivo, in estetica, brutto e bello. L’Altro, invece, nel duello competitivo, non è il 17 F. NIETZSCHE, Morgenröthe, (1922), tr. it. di P. Flores, Aurora. Pensieri su pregiudizi morali, Adelphi, Milano 2001, pp. 146 ss. 18 C. SCHMITT, Der Begriff des Politischen (1927), tr. it. Le categorie del politico, Il Mulino, Bologna 1972.
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nemico da annientare o «la figura del nostro problema»19, ma l’avversario di cui si ha
bisogno per gareggiare.
A figura centrale del rapporto agonistico può assurgere il controgiocatore
ovvero l’avversario, che non può essere paragonato né ad inimicus (exthròs, colui che
è personalmente odiato) né ad hostis (polèmos, colui che deve essere tolto di mezzo).
L’avversario è colui che va verso l’altro (ad-versus), di cui però si ha bisogno per
gareggiare e con il quale si deve comunque stringere il patto, più o meno esplicito, di
osservare le regole. Quest’osservanza diventa l’ethos di ogni rapporto agonistico, non
più prerogativa di una classe o parte sociale, ma esigenza condivisa di avvalersi di un
metro comune attraverso il quale poter quantificare le differenze performative:
l’uomo che, protagorianamente20, si dimostra “misura”.
L’agonismo come vettore di modernizzazione e partecipazione diventa la
struttura portante del processo di democratizzazione. L’agonismo (animus sportivus)
come competizione regolata dalla necessità dell’altro (anche se meno capace o meno
fortunato) favorisce la dialettica sociale e i processi egalitari delle società
democratiche. In queste ultime la rivalità è o dovrebbe essere tra pari che si
riconoscono senza volersi annientare.
Lo sport è cultura sia in quanto manifestazione individuale o collettiva, sia
nelle sue espressioni materiali (attrezzistica, impiantistica, etc.) o tecnico-scientifiche
(evoluzione del movimento, miglioramento).
19 C. SCHMITT, Ex captivitate Salus, Adelphi, Milano 1987, p. 92. 20 Cfr. A. LEVI, Storia della sofistica, Morano, Napoli 1966. Sul pensatore nato ad Abdera intorno al 490 a.C., si veda S. ZEPPI, Protagora e la filosofia del suo tempo, La Nuova Italia, Firenze 1961.
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La storia culturale dello sport quindi, lungi dall’essere solo una storia degli
eventi sportivi “in bella grafia”, a differenza della cronaca sportiva, altro non è che
una storia della cultura attraverso lo sport, ovvero una storia della dimensione ludica
e delle sue produzioni culturali.
In questo ambito disciplinare bisogna recuperare un grande ritardo: quello
dovuto – per citare solo il caso di un filosofo21 che, pure, si era battuto in duello a
trent’anni per amore – a chi ha teorizzato l’inconciliabilità tra l’intelligenza e il
corpo, tra il sapere e il muscolo. Quest’ultima impostazione ha contribuito in Italia a
sbarrare la strada per lunghi anni, non solo a una trattazione sistematica22, o a
considerazioni filosofiche23, ma anche a una qualche comprensione del fenomeno.
Come hanno fatto, d’altra parte, gli esponenti della scuola di Francoforte, che hanno
liquidato lo sport solo come elemento integrante dell’ideologia dominante e dei suoi
equilibri di potere24, e come hanno ripetuto gli allievi “al seguito” che sono giunti a
individuarne una diretta responsabilità nei processi di alienazione della società
capitalistica25.
Di queste diacronie, segmento ormai pesante è quella democrazia
dell’agonismo che accompagna il tormentato e precario passaggio epocale dalla
secolarizzazione alla globalizzazione. Non si tratta solo di una specie di 21 «A quel che si chiamò sport – si legge – tutti in vario modo cospirarono a dare troppo larga parte nel costume e nell’interessamento al rigoglio e alla destrezza corporale, scapitandone al confronto le parti dell’intelligenza e del sentimento» (B. CROCE, Storia d’Europa nel secolo decimonono, Laterza, Bari 1932, pp. 339-340). 22 C. MELCHIORRI, La gimnica o filosofia dello sport, Ed. Mediterranee, Roma 1970. 23 F. RAVAGLIOLI, Filosofia dello sport, Armando, Roma 1990. 24 M. HORKHEIMER–T. ADORNO, Soziologische Exkurse, Francoforte, 1956, tr. it. Lezioni di sociologia, Einaudi, Torino 1966. 25 G. VINNAI, Fussballsport als Ideologie, Frankfurt am Main, 1970, tr. it Il calcio come ideologia: sport e alienazione nel mondo capitalista, (1971), Guaraldi. Rimini 2003. La nuova edizione è stata analizzata nel seminario “Calcio e ideologie”, svoltosi martedì 18 maggio 2004 nella sede di Atri dell’Università di Teramo, la cui cronaca, di L. Mastrangelo, è in «Trimestre», a. XXXVII (2004), nn. 3-4, pp. 467-479.
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rispecchiamento simbolico dei valori democratici connesso alla tensione
meritocratica ed egalitaria dello sport sociale26.
L’agonismo è il protagonista della dinamica democratica; così come la
democrazia dovrebbe ricavare linfa e coscienza dalle tensioni agonistiche. Il sistema
delle pratiche agonistiche e delle interazioni democratiche può anche rappresentare
un degno osservatorio per la registrazione della sinusoide che la civilizzazione
disegna nel suo cammino.
Sport e secolarizzazione come sport e globalizzazione sono relazioni
complesse e strettamente comunicanti. La loro connotazione non può essere ridotta a
formule gerarchiche o a passaggi ideologici ma coinvolge la necessità di analizzare
nessi, denunciare relazioni, individuare significati.
Una storia culturale (e non disciplinare) dello sport27 può iniziare una
ricognizione capace di collocare il fatto sportivo dentro categorie come
secolarizzazione e globalizzazione. Perché è dentro queste categorie (ormai
connotative e non più ideologiche) che lo sport ha definito e definisce la sua natura,
da una parte surrogato del sacro e dall’altra vettore dell’universale.
Particolare mai adeguatamente sottolineato, “sport” è probabilmente l’unico
termine che non cerca traduzioni28: sostantivo singolare indeclinabile e intraducibile,
capace di resistere anche ai tentativi autarchici di modifica lessicale che non
26 A. EHRENBERG, “Aimez-vous les stades?” (1980), tr. it. in «LeN», a. III (1986), n. 3, pp. 8-18. 27 L’espressione appare con R. D. MANDELL, Sport: A cultural history, Columbia 1984, tr. it. di S. Maddaloni, Storia culturale dello sport, Laterza, Roma-Bari 1989. 28 Le molteplici accezioni del termine, per esigenze di definizione giuridica, sono analizzate in A. MARANI TORO, voce Sport, in «Novissimo digesto italiano», Utet, Torino 1957-75, vol. XVIII, pp. 42-54.
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riuscirono a sostituirlo con il più nazionalistico “diporto”29, o dei puristi della lingua
tedesca che cercarono di limitarne l’uso per i giochi di origine straniera30.
Varie sono le ipotesi sull’origine, che sarebbe latina: il verbo originario,
deporto, -as, avi, atum, are, derivato dalla radice indoeuropea – per (attraversare),
nella tarda latinità si modificò in de-s-portare, prima di perdere definitivamente il
prefisso de-, indicante come è noto il concetto di distacco, di partenza da un luogo per
raggiungerne un altro, fisico o concettuale.
Tecnicamente, è la parola delle “deportazioni”, dei sistematici spostamenti di
popolazioni per fini politici: viaggi per nulla ludici, come invece sono quelli psico-
fisici presi in considerazione dall’accezione opposta qui in esame, riconducibile
anche ad un altro composto del verbo porto, che il prefisso ex- focalizza nel senso più
materiale di prendere qualcosa e spostarla altrove, come avviene tuttora a livello
commerciale con le esportazioni.
In senso figurato, dunque, a essere esportate sono le qualità psico-fisiche del
soggetto che pratica l’attività sportiva, chiamato a uno sforzo significativo per “tirare
fuori” il meglio delle sue qualità atletiche e tecniche, traendone pertanto una
gratificazione psicologica di soddisfazione.
Trattandosi di uno dei verbi principali di movimento, già in età classica è
soggetto a modifiche non solo con prefissi e suffissi, per darne, di volta in volta, una
29 Sul rapporto tra fascismo e sport, più diffusamente, infra. 30 Sebbene derivi dal ramo germanico delle lingue indoeuropee, il tedesco conta una significativa minoranza di termini di origine francese e latina, tra cui, appunto, “sport”. La spiccata tendenza germanica all’autarchia linguistica era stata già mostrata da Notker III, abate di San Gallo (c.a. 950-1022) che, intorno all’anno Mille, tradusse i trattati aristotelici in puro alto tedesco antico, meritandosi l’appellativo di “Teutonico”.
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particolare caratterizzazione figurata: in Tullio Tirone31, liberto segretario-copista di
Cicerone, troviamo per esempio la voce disportat.
Nel XIII secolo, nella lingua romanza di Provenza, si rinviene deportar,
discendente diretto dello spagnolo deportar del 1140. Nell’inglese del XIV secolo
troviamo desport-disport-dysport.
Per aferesi32, nel 1540 si giunge a sport, che assume il significato che ancor
oggi gli viene attribuito: un’attività in cui, pur predominando la competizione, non è
assente il piacere (loisir, leisure, ludus).
Non mancano naturalmente voci dissonanti.
Norbert Elias33 sottolinea come non c’è niente che sappia – come lo sport – stimolare
lo spirito di appartenenza, la voglia di contrapporre “noi” e “loro”. All’interno di
questo percorso individua un’origine britannica per l’etimo che deriverebbe
dall’espressione augurale “Have a good sport”, auspicio di una buona caccia, di una
pesca consistente, ossia del raggiungimento dell’obiettivo. La finalità propria
dell’azione sportiva, il raggiungimento dell’obiettivo (goal) è presente anche
nell’altra frase, Be a good sport, che il contrabbandiere americano rivolgeva con
ironia, nei giorni del proibizionismo, al commissario che gli elevava una
contravvenzione.
31 Tirone, destinatario della lettera ciceroniana del 45 a.C., fu curatore ed editore dell’epistolario del patrono, ma non pubblicò le lettere da lui stesso scritte all’Arpinate. 32 Fenomeno di evoluzione linguistica per il quale, in un termine, si verifica la caduta della vocale o della sillaba iniziale. 33 N. ELIAS, E. DUNNING, Sport e aggressività, tr. it. di Valeria Camporesi, Il Mulino, Bologna 1989. Norbert Elias (1897-1990) è uno dei maggiori sociologi del Novecento. Nato in Germania ma presto trasferitosi in Gran Bretagna, ha pubblicato una serie di saggi (alcuni in collaborazione con il sociologo Eric Dunning, docente presso l’università di Leicester) nei quali illustra il processo di civilizzazione dei giochi popolari. Cfr. Regolare le dinamiche. La dinamica delle regole, in «LeN», a. IV (1987), n. 2, pp. 16-25.
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Anche in questo senso, l’etimo è comunque latino, come ricorda Ennio Flaiano,
che richiama la romana sporta, il cestino che i clienti quotidianamente ritiravano
presso i rispettivi patroni, ai quali rivolgevano la salutatio mattutina34. Flaiano cita
Svetonio35, il quale illustra la correlazione con i ludi gladiatori, che l’imperatore
Claudio elargiva con frequenza per mantenere alta nel popolo la soglia del consenso e
che appellare coepit “sportulam”36.
Se incerta sembra ancora l’origine terminologica, più certo appare il contenuto:
per sport può intendersi un variegato insieme di attività complesse, comprensive di
sforzo fisico e mentale, finalizzate al raggiungimento di un risultato. Il risultato è
conseguibile mediante l’utilizzo di tecniche e di abilità consentite e preconosciute da
tutti i concorrenti, i quali si affrontano con l’animus agonistico (sfidarsi
reciprocamente) per affermare la propria superiorità psico-fisica.
34 E. FLAIANO, «CorS», 21 dicembre 1967, testo riportato ne La Solitudine del satiro (1973), riproduzione di E. Flaiano, Opere. Scritti postumi, a cura di Maria Corti e Anna Longoni, Bompiani, Milano 1988, pp. 303-4. 35 Svetonio, Claudius, 21, 2. Nonostante le opere del biografo nato in Numidia nel 70 d.C. non siano scevre da approssimazioni e inesattezze, sul punto il riferimento di Flaiano si rivela opportuno e coerente con il quadro generale dei ludi romani, caratterizzati da implicazioni di natura politica, per le quali si rimanda al § 7.1. 36 Il Pescarese distingue tra la minoranza di praticanti e la maggioranza di coloro che si dichiarano “sportivi” esclusivamente per le frequentazioni delle tribune e delle ricevitorie sportive: E. FLAIANO, Sportivi, in «CorS», 11 dicembre 1957, ora in La solitudine del satiro, Adelphi, Milano 2004, pp. 163-5.
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1. Nell’età della secolarizzazione
§ 1.1 La pallacorda della borghesia francese
Sabato 20 giugno 1789, a Versailles, in Francia i deputati del Terzo Stato sono
riuniti a oltranza: per proclamare la sfida permanente agli altri due Stati (la nobiltà e
il clero) rispetto ai quali vengono considerati, come dimostra la stessa
denominazione, categoria residuale37. Non è un caso che l’assemblea borghese che
cambierà i destini della civiltà occidentale si sia svolta in un luogo deputato
all’attività sportiva, la sala “della pallacorda”, dove veniva praticata la court paume,
gioco popolare molto in voga all’epoca, anticipatore per alcuni aspetti del tennis38 e
della pallavolo, dello squash e del pallone elastico. Rivoluzione borghese e pratiche
fisiche, da subito, si mettono a camminare insieme, concordando sul concetto di
merito: deve prevalere chi vince, che non è più colui che, per nascita, appartiene a
una condizione di privilegio, ma è quello che merita di più, per aver fatto meglio39.
La borghesia costruisce e traina – come proprio elemento distintivo – un corpo sano
da contrapporre al corpo molle dell’aristocratico e al corpo consumato del servo della
gleba o proletario40.
37 E. J. SIEYES, Qu’est ce que le Tiers état?, s. t., Paris 1789. 38 La stessa denominazione della disciplina sportiva deriva dal grido tipico dei praticanti l’antico gioco popolare, che si lanciavano la palla con la “paume”, il palmo della mano, al grido di «tenis», «tené», «prendila». Anche il sistema del conteggio dei punti, i “quindici”, deriva dalla pallacorda. Il tennis moderno viene invece brevettato nel 1873 da un ufficiale dell’esercito britannico, Walter Clopton Wingfield (1833-1912). 39 Cfr. L. RUSSI, La “paume” della rivoluzione, in «LeN », a. VI (1989), nn. 1-2-3, pp. 10 ss. 40 Solo il sociologo americano Thorstein Veblen, negli ultimi anni dell’Ottocento, ricollega la genesi dello sport all’aristocrazia e non alla borghesia. Sul punto, cfr. l’introduzione di A. PAPA a Coroginnica, p. 21.
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Nell’estate dell’89 si afferma quindi il borghese, homo suae fortunae faber per
eccellenza, che sa classificare e quantificare la performance. Quest’uomo è (da
tempo) un essere secolarizzato41, che non crede ad altro che a se stesso. Quella che è
stata definita l’età della secolarizzazione è un tempo in cui, abbandonata ogni
illusione metafisica, gli uomini scelgono di autogovernarsi e di essere
autoreferenziali. Strettamente collegata al progetto che anima la modernità, ed anzi
sua connessione, la secolarizzazione è il processo storico con cui la società e la
cultura si liberano dalla proiezione religiosa. In questo contesto, lo sport si assume il
compito di emancipare il corpo dal governo delle istituzioni ecclesiastiche e
dall’ipoteca della tradizione. Il passaggio dall’età rituale e sacrale alla modernità laica
e quotidiana comporta uguaglianza delle occasioni e delle condizioni della
competizione, specializzazione dei compiti, razionalizzazione delle prestazioni,
organizzazione burocratica.
Ludens l’uomo era stato anche prima di essere faber, ma ora si presenta con il
nuovo elemento della quantificazione, da esprimersi attraverso il numero che, in
politica, si traduce nella formula tot capita, tot sententiae e, in campo sportivo, si
traduce nella misurazione del tempo speso per conseguire il risultato42. Il borghese ha
fame di confronti vittoriosi, a differenza dell’aristocratico che non ha mai amato
gareggiare e che al massimo si è dilettato in qualche passatempo. Il nobile non ha nel
41 Secondo il maggiore interprete filosofico della secolarizzazione, il processo è legato alla genesi ed evoluzione del razionalismo moderno. A. DEL NOCE, L’epoca della secolarizzazione, Giuffrè, Milano 1970. 42 A. GUTTMANN, From Ritual to Record. The Nature of Modern Sport, Columbia University Press, New York 1978, tr. it. Dal rituale al record: la natura degli sport moderni, Edizioni scientifiche italiane, Napoli 1994.
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suo codice mentale l’idea della competizione, semplicemente perché si sente (da
sempre) primo.
Con la modernità si realizza e si afferma invece il merito individuale. Il corpo
diventa il luogo fisico capace di azzerare qualsiasi distinzione di nascita e qualsiasi
potere ereditario, rappresentando l’immagine di ogni realtà egualitaria, nella quale la
discriminante non è più la famiglia di appartenenza, bensì la capacità, la forza di
volontà soggettiva.
L’attenzione alla fisicità non era mancata in spiriti come Montaigne («cura del
corpo»), Hobbes («politicità del corpo») e Locke («utilità sociale del corpo»).
All’educazione “naturale” del fanciullo e del suo corpo Jean Jacques Rousseau aveva
dedicato il romanzo pedagogico Emile (1762); nell’opera giovanile, Le Nouveau
Dédale43, il Ginevrino aveva anticipato le riflessioni che porteranno a realizzare il
sogno della navigazione aerea. Poco dopo i fratelli Montgolfier44, il giovin signore
milanese Paolo Andreani volò in mongolfiera (25 febbraio 1784) fino a 1.200 metri,
per una ventina di minuti45.
Jean Gervais Labene elabora un modello pedagogico che prevede l’educazione
del corpo quale mezzo per la preparazione militare, nell’ottica formativa del
cittadino-soldato, pronto a difendere la libertà della patria. Labene sostanzia il suo
modello con gli esempi di Sparta e di Roma che iniziarono il loro declino nel
43 Il testo, la cui paternità non è stata universalmente riconosciuta, è stato pubblicato da Charles Wirz in «Annales de la Societé J.J. Rousseau», t. XXXVIII, 1974, pp. 155-239. 44 Jacques-Etienne e Joseph-Michel, proprietari di una cartiera, avevano osservato che l’aria calda faceva sollevare i fogli di carta: ne trassero spunto per un primo esperimento al chiuso, nel novembre 1782, preludio al volo del pallone aerostatico del 5 giugno 1783, ripetuto il 19 settembre davanti a Luigi XVI e a Maria Antonietta. L’anno dopo, a Parigi, presso Barrois, libraio nella strada degli Agostiniani, Vincenzo Monti scrive Al signore di Montgolfier. 45 Sull’aristocratico lombardo (1763-1823) e sulla prima mongolfiera italiana, cfr. G. DICORATO, Paolo Andreani. Aeronauta, esploratore, scienziato nella Milano dei Lumi, Ares, Milano 2000.
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momento in cui smisero di autodifendersi, delegando l’incombenza a eserciti barbari
e mercenari46. Sul tema delle arme proprie, aveva a lungo insistito Machiavelli47.
Non ci si può stupire, dunque, se in Francia, nello stretto lasso di tempo
intercorrente tra il Giuramento della Pallacorda e il Termidoro (27 luglio 1794), il
gioco sportivo iniziò ad assumere i connotati di attività funzionale al benessere del
cittadino.
Chi, tra i primi, individua non pochi nessi fra l’attività fisica e la moralità
sociale è l’abate Talleyrand che propone di dare all’arte della ginnastica, fino a quel
momento trascurata, lo stesso peso riservatole dall’istruzione degli antichi48.
È Condorcet, sostenuto dal fronte girondino, ad inserire durante i lavori
dell’Assemblea legislativa l’attività fisica tra i fattori che favoriscono il
perfezionamento generale e graduale del genere umano, affermando la necessità di
«conserver, fortifier, developper le corps». 49.
La necessità di realizzare un efficace programma di educazione pubblica è
anche patrimonio dell’ala giacobina della rivoluzione francese. E, di questo
programma, centrale è ancora una volta l’educazione del corpo. «Una razza di
repubblicani [al contrario degli schiavi] – dice Marie Joseph Chénier alla
46 Cfr.L. ROSSI, Guerrieri anche per gioco, in «LeN», a. VI (1989), nn. 1-2-3, pp. 36 ss. 47 Il concetto, a cui è dedicato, oltre al Dell’arte della guerra, il cap. XII del Principe, torna anche nei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio. Cfr. N. MACHIAVELLI, Opere, a cura di Corrado Vivanti, Einaudi-Gallimard, Torino 1997. 48 CH.-M. de TALLEYRAND-PERIGORG, Rapport sur l’instruction publique, Paris 1791. 49 J.A.N. DE CONDORCET, Rapport et projet de décret sur l’organization général de l’instruction publique, Hachette, Paris 1883. In questo rilancio del segno positivo della fisicità, forte era la suggestione cartesiana della dipendenza dello spirito «dal temperamento e dallo stato degli organi del corpo» (R. DESCARTES, Discours de la méthode, VI, par. 2).
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convenzione nella seduta del 5 novembre 1793 – deve essere robusta, il vigore
dell’anima essendo pari a quello del corpo»50.
§ 1.2 La rivoluzione inglese del tempo libero
Nella società che va industrializzandosi, si determina nettamente la divisione
tra tempo del lavoro e tempo libero (dal lavoro). Quest’ultimo va organizzato
funzionalmente al primo, come riposo e divagazione che consentano di ripresentare il
corpo (e lo spirito) in condizioni adeguate alla ripresa delle attività produttive.
L’homo faber si anglicizza nel self made man, il quale si espande di pari passo
con lo sport, che può essere praticato quanto più migliorano le condizioni generali di
vita, alimentari, igieniche, economiche e sociali. È evidente che un soggetto in
condizioni disagiate debba necessariamente convogliare le sue energie e il suo tempo
al fine di garantirsi la sussistenza.
Dai primi decenni dell’Ottocento, l’Inghilterra diventa, specie dopo
l’introduzione della semaine anglais51, «la culla dello sport»52, espandendo il campo
d’azione dell’attività ludica, superando i confini sociali e culturali del passatempo,
innovando sul significato del tempo libero, interagendo con gli altri aspetti del vivere
quotidiano.
50 C. HIPPEAU, L’instruction publique en France pendant la Révolution. Débats legislatifs, Libraires editeurs, Parigi 1883, p. 101. 51 Avvenuta tra il 1871 e il 1874. 52 Cfr. G. BONETTA, Il secolo dei ludi, Lancillotto e Nausica, Roma 2000, p. 20.
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Tale passo viene compiuto grazie al contributo determinante di Thomas
Arnold53, il teorizzatore del rugby54, gioco sportivo che prende il nome proprio dalla
città inglese della quale egli guida la publich school: un compito tutt’altro che facile,
se si considera che le cronache del periodo sono ricche di testimonianze di violenta
inquietudine giovanile, sfociante in frequenti ribellioni scolastiche e universitarie che
travolgono, nella loro funesta ira, pedagoghi spesso costretti al ruolo di guardie
carcerarie e discenti sempre più desiderosi di dare libera espressione alla loro
aggressività, con brutali episodi di “nonnismo”, abuso di alcolici e vizio dei giochi di
carte55.
Arnold riesce a stroncare tali degenerazioni, elaborando un modello educativo
che utilizza i giochi di squadra56 come strumento di autodisciplinamento, basato
sull’etica del fair play, fondata sulla convinzione che non si può concepire una
formazione del corpo senza porlo al servizio di un ideale morale.
Lo sport, in questo modo, compie il decisivo salto di qualità: dalla sfera del
semplice passatempo diviene educazione, in grado di coniugare, nella formula dello
53 Thomas Arnold (1795-1842) è preside a Rugby dal 1828 fino alla morte, un anno prima della quale ottiene la cattedra di storia moderna anche nel prestigioso ateneo di Oxford. Non saranno i suoi testi di storia a consegnarlo alla fama, bensì il modello pedagogico da lui elaborato. 54 Il primo interprete del gioco consistente nello spingere, anche con le mani, una palla ovale nella porta ad H, è considerato William Webb Ellis, studente di Rugby, nel 1823. Secondo gli archivi dell’istituto, i meriti di aver ispirato Arnold spetterebbero a un altro studente, Jem Mackie (J. MACRORY, Running with the ball. The Birth of Rugby Football, Collins Willow, Rugby 1991). Cfr. F.J.G. VAN DER MERWE, William Webb Ellis: Fiction or Facts? Fiksie or Feite?, FJG Publikasies, Stellenbosch 1999. 55 Sullo sport come antidoto, cfr. J. A. MANGAN, Athleticism in the Victorian and Edwardian Publich School, Frank Cass, London 2000, pp. 22-42. 56 Da ricordare anche l’azione pedagogica di George Edward Lynch Cotton, dal 1852 preside del Marlborough College. Semplice, ma efficacissima, la sua idea di dividere la scuola in house, gruppi di una cinquantina di ragazzi che si affrontavano in leghe e trofei d’istituto. Cfr. J.A. MANGAN, Il mitico gentleman, in «LeN», a. XV (1998), n. 1, pp. 28 ss.
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sport di squadra, il momento dell’affermazione personale con le regole del gruppo
sociale di appartenenza57.
La figura che nasce, il gentleman, rappresenta la mediazione vittoriana tra la
tradizione aristocratica e la forza borghese: in altri termini, il gentleman comprende
sia gli ideali della nobiltà terriera che l’urgenza degli affari.
I tradizionali e spesso antichi58 giochi sportivi di squadra, base della pedagogia
arnoldiana, subiscono il processo detto di “domesticazione”, ossia di codificazione
delle regole, per abbassare la soglia di violenza tollerata, in modo da risultare
educativi proprio nello sforzo necessario a non superare i limiti fissati all’agonismo.
Emblematica è l’approvazione delle prime regole scritte a Rugby59 nel 1845
che, tra l’altro, sanciscono la definitiva separazione delle strade dall’altro football, il
calcio60. Lo sport (sia il rugby che il football) si configura da subito come un insieme
di regole, di rigide formalizzazioni, di discipline da osservare.
57 Nel 1891 James Naismith, docente di psicologia del gioco alla International YMCA Training School di Springfield, Massachussets, inventa il basket «affinché i giovani possano usare la propria forza e il proprio cuore conservando costantemente il controllo delle proprie reazioni» (Cfr. M. CACCIUNI, Il gioco più urbano, in «LeN», a. XIX (2002), nn. 1-2-3, pp. 36-51). Proprio Naismith invita a Springfield William G. Morgan, avendolo apprezzato come giocatore di rugby: Morgan, in una convention per insegnanti di educazione fisica, nel 1895 espone un nuovo sport, da lui chiamato mintonette per assonanza con il badminton (minton starebbe per volano) e l’anno successivo denominato volleyball. 58 Fin dal 1602 era praticato in Inghilterra un gioco con la palla molto cruento, un misto di pallamuro e di football detto hurling. Come informa Richard Carew: «Il gioco si accompagna a molti pericoli (...) e una volta finito, li vedrete tornare a casa come da una battaglia campale con teste sanguinanti, ossa rotte e slegate, così ammaccati da abbreviare i loro giorni. Nondimeno tutto fa buon gioco, e giammai procuratore o giudice si scomoderà per questo». Cfr. R. CAREW, A Survey of Cornwall, Londra 1602, pp. 73-75. 59 Per il rugby (ora non più denominazione geografica) si stabilisce ad esempio che «1. Nessun giocatore può indossare chiodi sporgenti o borchie metalliche sulle suole o tacchi delle sue scarpe o stivali; 2. È giusto vietare di dar calci negli stinchi col piede o sopra il ginocchio; 3. Un giocatore che fronteggia un altro può trattenerlo solo per un braccio, ma può colpirlo negli stinchi o spingere la palla fuori dalle sue mani, se egli cerca di colpirla o se egli va oltre la linea laterale» (Rules of Football as played at Rugby School, Rugby 1845). 60 Sulla diffusione del movimento calcistico, si veda il cap. 5; sulla storia del campionato del mondo e delle altre competizioni internazionali, il cap. 6.
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Per consolidare successivamente quella che possiamo chiamare l’ideologia
dell’athleticism: velocità, perfezione, miglioramento, successo, concorrenza sia in
campo sportivo che in campo industriale.
§ 1.3 La fisicità secondo il modello germanico
Dalla Germania arriva un’altra interpretazione della fisicità61, per molti versi
antitetica, destinata a suscitare una vasta eco nell’Europa continentale e a scontrarsi
duramente con il modello britannico. L’interprete è Friedrich Ludwig Jahn62, che si
indirizza alla ginnastica come attività finalizzata al potenziamento dell’apparato
muscolare, delle capacità motorie, in quanto modalità concreta dell’educazione
morale.
Jahn, tutt’altro che scevro dal nutrire sentimenti di rivalsa antifrancese dopo la
sconfitta tedesca ad opera di Napoleone nel 1806, individua nella ginnastica un luogo
fisico e concettuale di aggregazione nazionalista. Ne è una prima testimonianza
l’autarchia lessicale per designare il ginnasta. L’uso della stessa uniforme, la pratica
degli stessi esercizi e degli stessi rituali, l’obbligo di rivolgersi al compagno con il
“du” e con il saluto “heil”, conferivano ai membri del Turn un comune dovere morale
61 Il modello ginnastico ha in realtà radici ben più antiche nella cultura occidentale, come ci testimonia l’opera di Gerolamo Mercuriale (Forlì 1530-1604). Studioso di matematica, filosofia e greco, assume a Padova la cattedra di medicina pratica nel 1569, anno in cui pubblica la prima edizione di De arte gymnastica libri sex, nella quale, dopo aver illustrato le caratteristiche dell’esercizio ginnico, si sofferma sugli aspetti terapeutici del movimento. Del 1592 è invece il trattato, stampato a Lione e dedicato all’agonistica del mondo classico, dell’allievo di Cuiacio, latinizzato in Petrus Faber, Pierre du Faur de Saint-Jorry, Agonisticon, sive de re athletica, ludisque veterum gymnicis, musicis, atque circensibus spicilegiorum tractatus. Sui due testi, si veda M. ZERBINI, Alle fonti del doping, L’Erma di Bretschneider, Roma 2001. 62 F.L. Jahn (1778-1852), figlio di un predicatore della Germania settentrionale, era insegnante statale di educazione fisica.
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alla difesa e alla costruzione della patria. Il turnen63 che, migliorando la propria
qualità fisica, meglio avrebbe potuto porsi al servizio della nazione, secondo un
modus cogitandi, ma anche agendi, riletto in chiave diacronica, suona come lontano
anello di congiunzione con l’Hitler del Mein Kampf 64.
Per diretta affermazione dell’autore e sulla scia del discorso fichtiano65,
l’obiettivo è il ripristino di antichi ideali, lingua e tradizioni tedeschi66, bagaglio
culturale caratterizzante un cittadino in grado di effettuare ogni azione sia con la
mano destra sia con la sinistra, simmetrico e proporzionato67. Per diventare un buon
turnen è necessario adeguarsi a uno stile di vita uniformato, comunitario, governato
da rigide norme morali, indici del valore preminente: il senso di appartenenza
forgiato da un’educazione spartana. Non è, dunque, un caso che l’abbigliamento
tipico del ginnasta sia un’uniforme, nel senso che egli deve uniformarsi agli altri
turnen, rispettando una simmetria e degli equilibri che non rispondono solo a un
gusto coreografico, ma rappresentano una ben precisa esigenza mentale.
Il discorso si evolve con il contributo di Adolf Spiess68, il quale ritiene che la
ginnastica non deve ridursi a un complesso di esercizi troppo artificiali e complicati,
di sospensione e di appoggio, considerando più opportuno farli precedere da una
sequenza di esercizi propedeutici collettivi, senza attrezzi69.
63 Cfr. A.BL. RAMBO, Turnen und identität, in Sport and Education, pp. 158-61. 64 Sulla concezione nazista dello sport e le olimpiadi berlinesi del 1936, si rimanda al § 3.2. 65 Johann Gottliebh Fichte, dopo una iniziale rivendicazione dei diritti soggettivi dell’uomo contro lo Stato, vagheggia un nazionalismo molto acceso espresso nel Discorso alla Nazione tedesca (1808). 66 F. L. JAHN, Deutsches Volkstum, Wilhelm Rein, Leipzig 1817. 67 Cfr. A. KRUGER, Turnen e sport, in Coroginnica, p. 183. 68 Adolf Spiess (1810-1858), tedesco, maestro di storia, canto e ginnastica in Svizzera, si forma a Berlino praticando la ginnastica con Eiselen, uno degli allievi di Jahn. È autore di una Teoria della ginnastica in quattro volumi. Cfr. Nel mito, pp. 283-5. 69 Sul punto, cfr. B. LUBICH, Essere un corpo, in «LeN», a. XX (2003), n. 2, pp. 42-53.
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La ginnastica si diffonderà anche in Svezia grazie a Per Henrik Ling70 che
importa nella penisola scandinava una versione meno politicamente orientata71 e,
sulla scia di Shelling, più romanticamente legata all’uomo come un “microcosmo” le
cui parti devono armonizzarsi in un tutto72.
Pedagogia francese, sport inglese e ginnastica tedesca sono diversi, per
concezione e per genesi storico-sociale, e non possono far altro che guardarsi con
ostilità. Mirano a realtà, anche fisiche (lo sportivo “gioca” all’aperto, il ginnasta si
esercita al chiuso delle palestre), troppo lontane per potersi integrare.
70 P.H. LING, Gymnastikens allmänna grunder (1834), tr. ted. in P.H. Lings Schriften über Letbesübungen, Magdeburg 1847. Dello stesso autore, in tr. it., Manuale di ginnastica svedese senza attrezzi, La Milano, Milano 1910. 71 E. TRANGBAEK, Swedish Gymnastics: An educational System with different Meanings, in Sport and Education, pp. 167-76. 72 La sua idea, dal 1913, viene sostenuta dal Reale istituto di Stoccolma anche attraverso la diffusione di nuovi supporti destinati a grande fortuna, tra cui il quadro svedese. Cfr. Nel mito, pp. 285-90.
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§ 1.4 Dalla ginnastica all’educazione fisica in Italia
Anche per la ginnastica l’Italia aveva fatto
come tant’altre cose: c’era stato da principio un grande entusiasmo,
dal quale, a poco a poco, s’era caduti nella più
vergognosa trascuranza, fino a gettare nel ridicolo
l’idea e i suoi devoti. (Edmondo De Amicis)
Il ginnasta concepito da Jahn mette a disposizione della società la sua
prestazione fisica, un’attività che ha un fine preciso e superiore al singolo individuo,
che deve sentire la sua appartenenza alla nazione al punto di essere pronto a
difenderla in caso di guerra, mentre nello sportman, seppur parte di un collettivo che
è la squadra, si trova un movente sostanzialmente individualista di diletto, ludico e
perciò fine a se stesso. L’attività ginnastica non è competitiva, ma si concretizza in
mere esibizioni, al contrario dello sport, che nella gara, nella partita, realizza un
momento di confronto dall’esito sempre diverso, perciò unico e irripetibile, e dunque
avvincente e coinvolgente. All’opposto della ginnastica, chiusa in confini fisici e
politici, lo sport è aperto al confronto, ha necessità dell’altro, dell’avversario, senza il
quale non può esistere: è perciò portatore di socialità, confronto, democrazia.
Così diversi, sport e ginnastica giungono allo scontro finale, che si celebra in
seno all’ultima arrivata nella comunità degli stati nazionali e che, appunto perché
impegnata nelle complesse e dolorose vicende dell’unificazione, ha recepito con
ritardo sia le istanze britanniche, sia quelle tedesche.
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Ci stiamo riferendo all’Italia, dove peraltro la riconsiderazione del corpo, ancor
prima della rivalutazione codificata nel corso della rivoluzione francese, era già stata
condotta da Gaetano Filangieri, allo scopo di preparare i ragazzi alle avversità della
vita e alle fatiche del lavoro73. Un invito, quello filangeriano, recepito da Matteo
Angelo Galdi74, ammiratore del modello spartano, da Girolamo Bocalosi, che estende
la cura del corpo alle donne75, da Vincenzo Cuoco76, che per rinvigorire l’amor di
patria propugna la fusione di addestramento militare ed educazione fisica. Al
contrario di chi continuava a tener distinte la sfera dell’esercizio fisico e quella
dell’educazione morale, Filippo Buonarrroti la pensa in stretta connessione77. Il
vigore del corpo, perseguito sia attraverso la palestra che l’accampamento, è
finalizzato alla costruzione del citoyen soldato e combattente, in funzione patriottica,
antidispotica e libertaria78.
Questa concezione giacobino-buonarrotiana è giunta alle correnti democratiche
del nostro Risorgimento. Negli anni cinquanta pre-unitari sia Cattaneo che Pisacane
teorizzeranno la “Nazione in armi”, che altro non è che la formula «militi tutti, soldati
nessuno»79. Anche per Silvio Pellico gli «esercizi di forza e di coraggio»80 alimentano
negli individui «un dignitoso sentimento di se stesso»81.
73 G. FILANGIERI, La scienza della legislazione, Stamperia Raimondana, Napoli 1780-1785. 74 M.A. GALDI, Effemeridi repubblicane, presso il libraio Reycends e Luigi Veladini, Milano a. IV della Rep. Fr. (1796), tomo II, pp. 98-105. 75 G. BOCALOSI, Dell’educazione democratica da darsi al popolo italiano, seconda edizione con aggiunte, presso Francesco Pogliani e C., Milano 1797, p. 267. 76 V. CUOCO, Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799, seconda edizione accresciuta, Vallecchi, Firenze 1806. 77 F. BUONARROTI, Conspiration pour l’égalité dite de Babeuf, Librairie romantique, Bruxelles 1828. 78 G. A. RANZA, Giochi repubblicani dei fanciulli, in «L’Amico del Popolo», a. VI, 11 Nevoso, n. V, p. 47. 79 La teoria sulla nazione armata, sintetizzata nella parte finale della Guerra combattuta in Italia negli anni 1848-49, Pavesi, Genova 1851 (pp. 303, 324), viene rilanciata continuamente da Pisacane nei Saggi storici–politici–militari sull’Italia, voll. 4, Agnelli, Milano 1860 (I, p. 7; II, pp. 152 ss.; IV, p. 46).
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Per quanto riguarda, invece, la cultura monarchica, la cura del corpo come
virtù civile apre la strada alla formazione ginnico-militare del giovane che, attraverso
l’attività fisica e l’abilità motoria, diventa capace di affermare e difendere la propria
nazione.
A Torino, il primo maggio 1853, il Governatore dei Reali Prìncipi indirizza una
lettera al re Vittorio Emanuele II: «Io mi trovo nella circostanza - scrive il
responsabile dell’educazione dei rampolli della casa regnante di Sardegna - di aver
l’onore di proporre alla Maestà Vostra, che venga al più presto possibile intrapresa
l’istruzione della ginnastica per Sua Altezza Reale il Principe Umberto, il cui ottimo
stato di salute e soddisfacentissimo sviluppo fisico saranno certamente ancora
accresciuti dall’uso moderato e giudizioso di tale esercizio del corpo»82.
Il sovrano-genitore giudica appropriata la proposta e acconsente: a svolgere
l’incarico di precettore fisico degli eredi al trono sarà, naturalmente, il migliore tra gli
insegnanti di ginnastica. E su chi sia il numero uno in quel campo, nel Piemonte
preunitario, non vi possono esser dubbi: Rudolf Obermann83, svizzero, da vent’anni
trapiantato a Torino84, insegna ginnastica al Corpo di Artiglieria Reale, cui viene
riconosciuto un “dignitosissimo” stipendio mensile di seicento lire.
80 Il riferimento è alla boxe molto praticata in Inghilterra, dove, nel 1719 il “master of the noble art of defence” James Figg aveva aperto una scuola, in cui si formò Jack Broughton, autore nel 1743 delle London Prize Ring Rules. 81 Cfr. I guantoni del “Conciliatore”, in «LeN », a. IV (1987), n. 3, pp. 74-6. Di diverso avviso, sulla boxe e gli inglesi, G. Mazzini. Cfr. Risorgimento anche sportivo, in «LeN», a. XIX (2002), n. 1-2-3, pp. 90-3. 82 Cfr. P. FERRARA, L’Italia in palestra. Storia, documenti e immagini della ginnastica dal 1833 al 1973, La Meridiana, Roma 1992, p. 29. 83 Nato nel 1812 a Zurigo, è autore dell’Istruzione per gli esercizi ginnici ad uso dei corpi di Regie Truppe (Torino, 1849) a cura del Ministero della Guerra. Fino alla morte, che lo coglie a Torino nel 1869, è alla guida della prima Società Ginnastica d’Italia, ispirata ai metodi di Spiess. 84 Il 17 marzo 1844, a casa Obermann, convengono i conti Luigi Franchi ed Ernesto Ricardi, Luigi Balestra, Filippo Roveda, Lorenzo Saroldi e Valerio Cesare, per redigere il verbale costitutivo della prima società ginnastica italiana, il cui testo si trova ora in Gli eventi alla nascita dello sport in Italia, Modergraf, Torino 2006, pp. 1-2. Cfr. R. GILODI, 1844-1994 Reale società ginnastica di Torino, Maf, Torino 1994.
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Obermann, dopo aver operato in campo militare, aveva cominciato a
impegnarsi nella società civile, inizialmente ostile, quale ambito di applicazione delle
sue teorie, che prevedono esercizi tesi a realizzare un maggior collegamento «con le
leggi della fisiologia, dell’anatomia e dell’igiene»85.
Il ministro della Pubblica Istruzione del Regno d’Italia, Francesco De Sanctis,
si rivelerà tra i più strenui sostenitori della necessità di «rifare il sangue, ricostruire le
fibra, rialzare le forze vitali»86: per lui «fare gli italiani» non è soltanto un’espressione
dazegliana dalle valenze psicologico-identitarie. E non ha affatto torto il ministro che
dimostra di ben conoscere il quadro sanitario generale di una popolazione provata da
anni di guerre, da carenze alimentari e sanitarie che rendono l’aspettativa di vita
decisamente più bassa di quella di inglesi, francesi e tedeschi.
Francesco De Sanctis nutre una stima praticamente incondizionata per
Obermann, al punto che, nel 1861, lo invita, insieme a Ernesto Ricardi di Netro87, a
far parte della commissione per la stesura di un programma di ginnastica nelle scuole
pubbliche88.
A frequentare i corsi torinesi di Obermann, grazie a una colletta dei suoi
compagni di scuola, c’è anche colui che sarà destinato a divenire “il padre della
85 Cfr. Monografia della Società Ginnastica di Torino e Statistica generale delle scuole di ginnastica in Italia, anno 1871-72, Torino 1873, p. 29. La Società ginnastica torinese era stata fondata, con due riunioni tenute proprio a casa Obermann, il 17 marzo 1844. Cfr. Reale società ‘Ginnastica di Torino’, in «LeN », a. XXIII (2006), nn. 1-2, pp. 56-63. 86 F. DE SANCTIS, La scienza e la vita, discorso inaugurale pronunciato il 16 novembre 1872 per l’apertura del nuovo anno accademico presso l’Università di Napoli, in L’arte, la scienza e la vita, Einaudi, Torino 1972, p. 317. 87 Ernesto Ricardi di Netro (Torino 1816-1892) è tra i fondatori della Società Ginnastica di Torino, che presiede dal 1845 al 1851. Lascia l’incarico per partecipare alle campagne d’Indipendenza, per poi riassumerlo nel 1859 e mantenerlo fino alla morte. 88 P. FERRARA, L’Italia cit., p. 87.
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ginnastica italiana”89: Emilio Baumann90. A Bologna infatti creerà un centro
d’irradiazione del movimento ginnastico che si contrapporrà alla scuola torinese di
origine, abbandonandone i grandi attrezzi e sostituendoli con nuovi, più piccoli
strumenti, come i famosi “ceppi” e “appoggi” che, dal loro ideatore, prendono il
nome, oltre a utilizzare nuovi macchinari di misurazione come lo spirometro,
l’urtometro, il saltometro, allo scopo di quantificare i parametri biologici del
frequentatore di ginnasi91. Baumann è un medico e la sua ginnastica è finalizzata
all’elevazione morale e fisica del popolo (comprese le donne), al quale aspira
d’insegnare a saper vivere, cominciando dall’assunzione di una corretta postura92.
Nel 1892 al dicastero della Pubblica Istruzione il successore di De Sanctis (che
nel 1878 aveva fatto approvare dal parlamento la legge sull’obbligatorietà
dell’insegnamento ginnastico nelle scuole di ogni ordine e grado) è Ferdinando
Martini che nomina una nuova “Commissione per l’Educazione Fisica”93: per la
prima volta appare, in un documento governativo, l’espressione «educazione fisica»,
in luogo di «ginnastica». La Commissione mira a eliminare «la coreografia,
l’artifizio, gli esercizi senza naturalezza e a quasi esclusivo profitto degli arti
superiori, le lunghe stazioni in piedi, gli sforzi di attenzione e di memoria a mente
89 Da non trascurare neppure il ruolo svolto da Costantino Reyer (Trieste 1838-Graz 1931), compagno di corso di Baumann e fondatore nel 1869, con Pietro Gallo e Domenico Pisoni, della Federazione Ginnastica Italiana. È autore, con P. Gallo, delle Osservazioni sulla ginnastica in Italia e in Germania, Ongania, Venezia 1872. 90 Nato a Canonica d’Adda nel 1843 e morto a Roma nel 1917, nel 1870 costituisce la società Ginnastica Virtus di Bologna, che sopravviverà a lui e persino al movimento ginnastico, trasformandosi in una delle prime società cestistiche d’Europa, fino a un dissesto societario che nel 2003 sarà causa della sua esclusione dal massimo campionato italiano di basket. 91 Per un approfondimento bibliografico, si veda From the Art of Gymnastics to the Science of Movement, Coni, Roma 1999. 92 In Amore e ginnastica (1892) Edmondo De Amicis parla delle due scuole contrapposte di teoria ginnastica (Baumann versus Obermann). Italo Calvino, nell’introduzione all’edizione del 1971 (Einaudi, Torino), nota che nel racconto molto si discute di ginnastica «ma poco se ne vede». 93 Cfr. F. ABBONDATI, La riforma ginnastica in Italia, Stab. tip. di V. Torno, Aversa 1892.
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spesso stanca del lavoro di scuola e senza tener conto bastevole delle varie età e
sesso»94.
L’applicazione dei programmi del 1893 è destinata al fallimento, a causa della
radicalizzazione delle lotte sociali che, dopo i Fasci siciliani95, susciterà una risposta
di chiusura reazionaria delle forze governative: il boicottaggio dei filoginnasti, che
trovano nel nuovo ministro Baccelli un nuovo baluardo, avrà la meglio.
Sport e ginnastica si avvicinano allo scontro frontale, che si svolge sulle pagine
autorevoli de «La Nuova Antologia», dove, nel gennaio 1892, appare un articolo
firmato da Angelo Mosso96, che verrà ricordato come l’apostolo dello sport.
«Quando si vedono migliaia di giovani, messi in fila con lavoro paziente,
cominciare a fare gli inchini, contorcendosi a destra e sinistra, con gesti strani che si
ripetono al segnale di una cornetta, lo spettacolo – si poteva leggere – diviene puerile.
Tutti ad un tratto piegano il capo, sollevano o distendono un braccio e poi l’altro,
fanno un passo avanti e uno indietro, si girano e poi si siedono sulle calcagne, oppure
battono i piedi per terra, seguendo il cenno del ginnasiarca che li domina tenendosi
aggrappato a una scala. È un’azione coreografica del tutto inutile, perché il
94 Cfr. P. FERRARA, L’Italia cit., p. 163. 95 Detti anche Fasci dei Lavoratori, sono organizzazioni proletarie sorte in Sicilia tra il 1891 e il 1893, raggruppanti minatori, operai e contadini, che mirano a ottenere la revisione dei patti agrari e la divisione di terre demaniali. Guidati da socialisti come De Felice-Giuffrida, conquistano alcuni miglioramenti nei contratti agrari mediante i patti di Corleone (1893), ma la gravità delle agitazioni contadine e ancor più il timore dell’anarchismo inducono Crispi (detentore, oltre che della presidenza del Consiglio, anche del portafoglio dell’Interno) a sciogliere con la forza i Fasci Siciliani. 96 Mosso nasce a Chieri il 1846 e, come fisiologo, conosce apprezzamento ben oltre i confini nazionali. Tra le sue opere, L’educazione fisica della donna (Milano 1892), L’educazione fisica della gioventù (Milano 1884), La riforma dell’educazione (Milano 1898), Mens sana in corpore sano (Milano 1903), Ludus (Torino 1903). Muore a Torino nel 1910.
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sincronismo nei movimenti di mille persone – era la conclusione – è cosa che non
ricorre mai nella vita»97.
Naturalmente è troppo radicale la critica a Baumann perché questi si astenga
dal rispondere, pubblicando addirittura a sue spese un opuscolo, del cui contenuto il
titolo dice già tutto: L’educazione fisica italiana e le panzane del prof. Angelo Mosso.
Ma l’apostolo dello sport non si ferma e continua a guardare all’Inghilterra
dove «tutti sono d’accordo nel riconoscere che i giochi sono un metodo efficacissimo
di educazione fisica: servendosene nelle scuole come completamento della
ginnastica, siamo certi di fare cosa gradita alla gioventù»98. Esplicitando le intuizioni
che erano state anticipate dal Benedettini99 e anticipando (di poco) la riflessione di
Huizinga, Angelo Mosso, autore nel 1904 di Ludus100, denuncia il vero limite della
ginnastica: ignorare la dimensione gioiosa, naturale, positiva, non coercibile, del
movimento umano.
97 A. MOSSO, La riforma della ginnastica, in «La Nuova Antologia», 16 gennaio 1892. Sul punto, cfr. S. SPEZIA, Emilio Baumann, Angelo Mosso e una famosa polemica, in Coroginnica, p. 107. 98 A. MOSSO, Abbozzo di una circolare sull’educazione fisica, allegato alla lettera del 20 luglio 1892 al ministro Martini. Cfr. P. FERRARA, L’Italia cit., pp. 163 ss. 99 Luciano Benedettini, direttore del Convitto Nazionale di Torino, membro della prima commissione istituita dal ministro De Sanctis nel 1861 per definire il programma scolastico pubblico di ginnastica, aveva sostenuto con enfasi la tesi minoritaria della necessità di esercizi più divertenti perché – come si legge nel verbale della commissione – «non subentrasse facilmente nei giovanetti la noia», derivante dalle «aride evoluzioni, conversioni, movimenti ed esercizi puramente militari». 100 Ludus pro patria. Parte pratica del Corso Magistrale di educazione fisica fattosi nella r. Università e nella società ginnastica di Torino dai Proff. Angelo Mosso e Luigi Pagliani, dal Dott. Giuseppe Monti e dal Maestro Otto Schaft, Paravia, Torino 1903.
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2. Il dibattito ideologico
§ 2.1 La nuova pedagogia cattolica
L’anticorporeità ha costituito un tratto costante della storia della chiesa
cattolica che, fin dalle origini, si è opposta vivacemente a tutte le manifestazioni della
fisicità, giudicate assai pericolose perché freno terreno all’elevazione spirituale.
Lo aveva dimostrato già nel 393 il vescovo di Milano Ambrogio, auspicando
attraverso una lettera a Teodosio I101 la soppressione del rito pagano dei giochi
olimpici, concessa dall’imperatore desideroso di farsi perdonare la sanguinosa
repressione con cui aveva placato una rivolta a Tessalonica102.
Dopo aver spezzato ogni legame con le manifestazioni olimpiche e le attività
ludiche, fedele in questo a un orizzonte etico interessato a ridimensionare (mortificare
e quindi annullare) il culto della bellezza plastica o fisionomica, come dimostra
emblematicamente la figura della santa anoressica Caterina da Siena103, il
101 AMBROGIO, Epistula LI. Testimonianza dei rapporti, intensi e conflittuali, tra Ambrogio e Teodosio I, è la Vita Ambrosii (22-34), redatta da Paolino, notarius e segretario negli ultimi tre anni di vita del vescovo (394-397). 102 La notizia ci è pervenuta attraverso l’Historiarum compendium dello storiografo ecclesiastico Giorgio Cedreno, del quale vi è una sola edizione critica curata dal Bekker (Bonn 1864-1889) e ristampata dal Migne nella Patrologiae cursus completus, Series graeca, CXXI-CXXII, Parigi 1864-1889. Il passo è riprodotto anche in HAENEL, Corpus legum ab imperatoribus Romanis ante Iustinuanum, latarum, quae extra constitutionum Codices supersunt, Leipzig 1857 (rist. Aelen 1965), p. 233 (n. 1146). Cfr. A. BISCARDI, Una costituzione poco nota di Teodosio I, in Atti dell’Accademia Romanistica Costantiniana, IV, Perugia 1981, pp. 371-378. Oggetto di discussione è stata anche la data di abolizione dei ludi gladiatori, in un primo tempo individuata nel 325 (C.Th. 15, 12, 1), ma in realtà da attribuire a Giustiniano nell’anno 534 (C.I. 11, 44, 1). Cfr. A. DELL’ORO, Giustiniano: manifestazioni sportive e tifosi, in Atti dell’Accademia Romanistica Costantiniana, VIII, Napoli 1990, pp. 623-628. 103 Sulla figura della religiosa, si veda M. FORCINA, Una cittadinanza di altro genere. Discorso su un’idea politica e la sua storia, Franco Angeli, Milano 2003, in particolare il cap. “Prestata alla politica”. Caterina cittadina dell’anima, tra soggettività e laicità, pp. 55-75.
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cattolicesimo riprende in considerazione – dopo molti secoli – il ruolo e la funzione
dell’educazione fisica.
A “sportivizzare le chiese”104 pensa per primo don Giovanni Bosco105: «si dia
ampia libertà di saltare, correre, schiamazzare a piacimento. La ginnastica, la musica,
la declamazione, il teatro, le passeggiate sono mezzi efficacissimi per ottenere la
disciplina, giovare alla moralità e alla sanità»106.
Attraverso l’oratorio salesiano107 inventato da Giovanni Bosco la pratica
sportiva si diffonde tra gli strati popolari che nelle chiese trovano spazi ludici graditi
e gratuiti.
L’oratorio diventa il «luogo destinato a ricreare con piacevoli trastulli i
giovanetti, dopo che essi hanno soddisfatto ai loro doveri di religione»108. La
caratteristica distintiva è l’apertura verso ogni giovane, a prescindere dalla situazione
della sua fede che può essere pura e granitica, ma anche vacillante, minata, perduta o
assente109. Si tratta di un’autentica rivoluzione, resa possibile da un acuto senso dei
104 Sul precedente rapporto tra pratiche ludico agonistiche e Cristianesimo, cfr. M. AIELLO, Viaggio nello sport attraverso i secoli, Le Monnier, Firenze 2004, pp. 106-11. 105 Nato a Castelnuovo d’Asti il 16 agosto 1815, don Giovanni Bosco durante il suo apostolato ha contatti d’amicizia e di stima con i pontefici dell’epoca (da Pio IX a Leone XIII), con i maggiori rappresentanti del pensiero cattolico (da Rosmini a Gioberti) e del ceto dirigente liberale piemontese (da Rattazzi a Cavour) e unitario (da Crispi a Depretis, da Nicotera a Zanardelli), nonché con un pensatore laico come Victor Hugo. Alla sua morte (Torino, 31 gennaio 1888) lascia ai suoi allievi e continuatori, Domenico Savio, Michele Rua, Giovanni Cagliero, un patrimonio ideale e organizzativo davvero consistente. 106 G. BOSCO, Il sistema preventivo nella educazione della gioventù, Torino 1877, p. 39. 107 La denominazione è dovuta a Francesco di Sales (1567-1622), vescovo di Ginevra cui furono dedicati i primi oratori. (Cfr. G. BOSCO, Memorie dell’Oratorio di S. Francesco di Sales, a cura di E. Celia, Società editrice internazionale, Torino 1946). 108 G. BOSCO, Il pastorello delle Alpi, Tip. Salesiana, Torino 1886, pp. 70-2. 109 «La genialità dell’oratorio – è stato notato – è che esso prescrive ai suoi frequentatori un codice morale e religioso ma poi accoglie anche chi non lo segue». U. ECO, A lezione da don Bosco, in «L’E», 15 novembre 1981, p. 105. Cfr. Il costume di casa, Bompiani, Milano 1973, pp. 237-242, 262-4.
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tempi e alimentata da una immaginazione sociologica e una inventiva organizzativa
non accettate subito dagli ambienti ufficiali110.
Siamo alla vigilia del processo di unificazione nazionale e la capitale sabauda
non è solo la sede del progetto politico. In un contesto di decollante sviluppo
industriale e di rapida trasformazione urbana, gli scompensi economici e le
divaricazioni sociali sono particolarmente aspri nella città. Le periferie, i quartieri, le
officine, le famiglie sono attraversati con effetti drammatici dal nuovo modello di
sviluppo. L’oratorio di don Bosco si candida al contenimento, recupero e
reclutamento delle fasce sociali più disgregate, a radicarsi proprio là dove più precari
sono i margini morali e le scelte esistenziali. Esso vuole essere un’organizzazione
popolare sia per l’estrazione di classe dei suoi frequentatori (zone emarginate, ceti
sottoproletari, gioventù povera o abbandonata, massa di garzoni, spazzacamini,
scalpellini, aristocrazie operaie) sia per la volontà di svolgere compiti educativi
rivolti verso tutti.
Momento portante e privilegiato di questo nuovo luogo è l’educazione anche
sportiva (e civile in ultima analisi) del ragazzo durante quello che è il suo tempo
libero. L’oratorio, infatti, prevede e comporta che a sera unusquisque redibit ad
locum suum. “Un ritorno a casa” visto sempre come pacificazione interiore data dalla
soddisfazione di una giornata chiusa in positivo. Pur in linea con la tradizione
attivistica cristiana e con lo spiritualismo risorgimentale, specie piemontese,
110 Cfr. L. RUSSI, All’oratorio, in «LeN» a. I (1984), n.1, pp. 6 ss; S. PIVATO, Per combattere il maligno, in «LeN», a. IV (1987), nn. 1-2, pp. 40 ss.
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l’invenzione di don Giovanni, di fatto, stravolge il tradizionale concetto cattolico di
otium.
Gioco e preghiera, divertimento ed educazione, competizione e mese mariano,
ricreazione e messa, attività sportiva e pratiche di pietà, cortile e chiesa, premio e
devozione, agorà e catechesi, trastullo e “fioretto”: ecco la miscela, la sintesi di
quella che sarà la grande opera degli oratori111.
Un contributo per superare le ritrosie del movimento cattolico verso l’attività
sportiva lo offre, avversato dagli ambienti ecclesiastici ufficiali, anche il barnabita
Giovanni Semeria112, che tenta di opporsi all’immagine del cattolico fiacco e debole,
rilanciata da Nietzsche ne L’Anticristo (1888). Gli impegni fisici non sono più
considerati negativamente ma sono visti come un prodotto positivo della modernità,
capace di svolgere una funzione sociale e patriottica anche per il cristiano113.
La partita di calcio viene considerata una riproduzione metaforica della società
o della comunità dei fedeli, al vertice dei quali il capitano (leader o sacerdote) può
guidare lo spirito individualistico e il desiderio di emergere dei calciatori (cittadini,
fedeli).
Alle soglie della civiltà industriale quindi l’attività agonistica comincia a essere
considerata dalla chiesa cattolica un prezioso strumento ad maiorem Dei gloriam,
111 Troppo lungo sarebbe l’elenco dei calciatori italiani formatisi negli oratori, si potrebbe correre il rischio di identificare la storia del calcio oratoriano con quella del calcio ufficiale: un nome per tutti, quello dell’alessandrino Gianni Rivera: «La mia prima squadra – ricorda egli stesso – si chiamava don Bosco, una squadra di parrocchia, con un prete che ci faceva da allenatore e radiocronista». G. RIVERA, O. DEL BUONO, Un tocco in più, Rizzoli, Milano 1966, p. 21. Nato nello stesso giorno, mese, anno di Rivera è Roberto Rosato, cresciuto nell’oratorio dei Salesiani di Chieri, grande difensore del Torino, del Milan e della Nazionale, in un certo senso gemello e antitetico del golden boy. (Cfr. T. BELLOCCHIO, Rivera e Rosato, L’arte tipografica, Napoli 1966). 112 Nato a Coldirodi, Imperia, nel 1867 e morto a Sparanise, Caserta, nel 1931, divenne famoso come predicatore e conferenziere. 113 G. SEMERIA, La ginnastica, Bacchini, Milano 1903, p. 11.
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come dimostra nel 1906 la fondazione della Federazione delle Associazioni Sportive
Cattoliche Italiane (Fasci), che sarà soppressa nel 1927 per imposizione del regime e
che rinascerà nel 1944 con la denominazione di Centro Sportivo Italiano114.
La diffusione del fenomeno sportivo nel mondo cattolico è merito anche di Pio
XI, detto il papa alpinista, il quale è convinto sostenitore delle passeggiate e
dell’arrampicata in montagna come «l’esercizio fisico più giovevole alla sanità
dell’anima nonché del corpo115.
Un altro pontefice, Giovanni Paolo II, sceglierà, sessant’anni dopo le amate
Alpi di Pio XI, le nevi della montagna abruzzese per la pratica dello sci116.
§ 2.2 Dall’antisportismo socialista alla difesa del proletariato sportivo
Questa svogliatezza mi ha colpito specialmente a Milano,
dove in carcere ( …) un certo numero, anche di politici, leggeva piuttosto
la «Gazzetta dello Sport» (Antonio Gramsci)
L’alpinismo è stato uno dei primi sport ad affermarsi nell’Italia unificata117.
114 Il Csi si connota ancora oggi come «associazione d’ispirazione cristiana aperta a tutti», basandosi sulla promozione dell’attività sportiva intesa come forma di gioco sociale non discriminante, volta alla crescita armonica ed equilibrata della persona. Per conoscere nel dettaglio la storia e gli obiettivi formativi del Csi, si legga il Progetto culturale sportivo del Csi, Aranblu, Roma 2001. 115 Lettera apostolica di S.S. Pio Papa XI su San Bernardo da Mentone dichiarato patrono degli alpinisti (20 agosto 1923), in G. BOBBA, F. MAURO, Scritti alpinistici del sacerdote dottor Achille Ratti (ora S.S. Pio Papa XI). Raccolti e pubblicati in occasione del cinquantenario della sezione di Milano del Club Alpino Italiano, Bertieri e Vanzetti, Milano 1923, pp.173-189. 116 S. DZIWISZ, Una vita con Karol, Rizzoli, Milano 2003. 117 Cfr. A PASTORE, Alpinismo e storia d’Italia. Dall’Unità alla Resistenza, Il Mulino, Bologna 2003.
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Nata come espressione aristocratica o nobilmente anarchica, sulla scorta della
esplorazione illuministica delle montagne, con la fondazione nel 1863 del Cai la
pratica alpinistica si diffonde dopo un’iniziale avversione anche tra i lavoratori,
specie in Piemonte e Lombardia, tra fine Ottocento e primo Novecento.
A sostenere l’alpinismo è l’autorevole parere di Angelo Mosso che propone il
suo studio sui benefici fisiologici del camminare sul monte Rosa118.
Nel 1920, ad Alessandria, viene fondata l’Associazione escursionisti proletaria
(Ape), che il 25 e il 26 settembre 1921119 celebra il suo primo congresso. In primo
luogo, viene affermato il carattere rigorosamente classista, con l’ammissione
concessa solo per coloro che «dimostrino di appartenere alle organizzazioni politiche,
sindacali o economiche che si trovino sulla via della lotta di classe o che
esplicitamente dichiarino di aderire a quelle direttive»120. Lo scopo fondamentale è
quello di combattere una piaga largamente diffusa tra i lavoratori, assidui
frequentatori di bettole e osterie, nelle quali la maggior parte degli avventori si lascia
andare agli eccessi del gioco delle carte e del bere, con tutte le immaginabili
conseguenze. All’insalubre aria fumosa dei locali viene contrapposta la pura
atmosfera montana, in grado di ritemprare il fisico provato dalle dure ore di lavoro e
di aprire le menti per «percepire la loro posizione di classe». Dello stesso
118 A. MOSSO, L’uomo sulle Alpi, Treves, Milano 1919. 119 Il 1921 è un anno fondamentale per il movimento alpinistico, non solo italiano: la prima spedizione inglese all’Everest di G.H.L. Mallory e C.H. Bullock scopre l’accesso al ghiacciaio Rongbuk, anche se si dovrà attendere il 29 maggio 1953 affinché venga toccata la cima della montagna più alta del mondo. 120 Lo statuto dell’Ape è pubblicato sul «Bollettino» del novembre-dicembre 1921. Cfr. L. ROSSI, Per la montagna contro l’alcool. Sei anni di alpinismo proletario in Italia (1921-1926), in «LeN» a. III (1986), n. 3, pp. 30 ss.
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atteggiamento nuovo è portatrice l’Associazione proletaria per l’educazione fisica
(Apef) fondata da Attilio Maffi121.
Antonio Gramsci – che nel 1932 confesserà la sua passione per la Juventus122 –
aveva constatato nel 1918 che «gli italiani amano poco lo sport; gli italiani allo sport
preferiscono lo scopone. All’aria aperta preferiscono la clausura in una bettola-caffè,
al movimento la quiete intorno al tavolo», individuando nella pratica sportiva, in
particolare calcistica, la metafora della società liberale: «osservate una partita di foot-
ball: essa è un modello di una società individualistica: vi si esercita l’iniziativa, ma
essa è definita dalla legge; le personalità vi si distinguono gerarchicamente, ma la
distinzione avviene non per carriera, ma per capacità specifica: c’è il movimento, la
gara, la lotta, ma esse sono regolate da una legge non scritta, che si chiama lealtà, e
viene continuamente ricordata dalla presenza dell’arbitro. Paesaggio aperto,
circolazione libera dell’aria, polmoni sani, muscoli forti, sempre tesi all’azione»123.
Bisogna dunque attendere gli anni Venti perché la sinistra italiana riesca a
elaborare una prima sensibilità sportiva.
Un interesse crescente, quello del proletariato per lo sport, che gli intellettuali
socialisti e comunisti continuano a guardare però con particolare preoccupazione,
come testimoniano le parole di Cesare Seassaro: «Lo sport è un prodotto
individualistico della brutale e materialistica civiltà britannica; forma di attività assai
spesso anti-sociale, che conduce sempre a quel fenomeno patologico che è il record,
121 L. ROSSI, La fucina dei muscoli proletari, in «LeN», a. V (1988), n. 3, pp. 46-9. 122 Cfr. Galeotto e juventino, in «LeN», a. V (1988), n. 2, pp. 60-1. 123 A. GRAMSCI, Il foot-ball e lo scopone, in Avanti!, 26 agosto 1918, ora in ID., Sotto la mole 1916-1920, Einaudi, Torino 1960, p. 433-4. Sul punto, cfr. G. TRIANI, Meglio lo scopone. Passatempi domenicali lontano dalle arene, in LeN», a. III (1986), n. 3, pp. 30-9.
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forma di imbestialimento e di involuzione biologica che determina l’euritmia e
snatura completamente il concetto e il valore igienico ed estetico della educazione
fisica. Le gare sportive non sono altro che i ludi circenses di Roma decadente»124.
Agli occhi dei socialisti lo sport è ancora considerato oppio dei popoli, «una
trovata astuta e sottile della borghesia» che in questo modo rinvia sine die la lotta di
classe. Esso mostra ben delineate tutte le storture del capitalismo, fatto di
concorrenza senza scrupoli, individualismo portato all’eccesso del divismo e
mancanza assoluta di solidarietà: «Le corse a premio – aveva scritto Angelica
Balabanoff – rappresentano in piccolo la concorrenza, la lotta sfrenata a cui la società
capitalistica costringe i proletari nella lotta per il pezzo di pane e nelle gare ciclistiche
non trionfa nemmeno il principio di selezione naturale»125.
Una prima apertura in campo socialista si registra nel 1925 quando Filippo
Turati denuncia quel «certo classismo semplicista» che ha sdegnato di occuparsi
dell’impiego da parte della classe lavoratrice delle «seconde otto ore»126, che invece
sono le più «immediatamente rivoluzionarie», perché libere dalle fatiche del lavoro e
dunque più attese e apprezzate.
Da due anni, con le stesse argomentazioni, si stava battendo un nuovo
«settimanale di cronaca e critica», fondato il 14 luglio 1923 a Milano e diretto da
Giacinto Menotti Serrati. Il primo numero della testata «Sport e proletariato», primo
settimanale sportivo della sinistra italiana, si era aperto con una vera e propria 124 «L’Ordine Nuovo», 11 ottobre 1919. 125 A. BALABANOFF, Lo sport, i giovani e la coscienza rivoluzionaria, in “Avanti!”, 11 ottobre 1910. Cfr. L. ROSSI, Giovanetti pallidi della rivoluzione, in «LeN», a. III (1986), n. 3, pp. 50 ss. 126 Il corsivo è nostro. F. TURATI, Presentazione a L. PIERARD, Le “altre otto ore”, in «Critica sociale», a. XXXV (1925), n. 23, p. 301. Conseguita nel nord più avanzato nel 1919-’20, la conquista delle otto ore lavorative era stata estesa a tutti i settori industriali nel 1923.
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dichiarazione programmatica: «Lo sport serve alla borghesia per influire attraverso
esso sui giovani lavoratori. I partiti proletari devono imparare a servirsene ai propri
fini»127. Si tratta di una posizione nuova all’interno del movimento operaio (non solo
italiano) che ben presto verrà fatta propria anche dall’Internazionale comunista128.
La disciplina sportiva che in questa fase più di altre influisce sulle vicende non
solo del movimento operaio ma dell’intera società italiana è il ciclismo129, nonostante
alcune retrograde prese di posizione, che addirittura stabilivano un legame tra le
biciclette e il crimine130 Tra il 1890 e il 1914 la bicicletta aveva rappresentato un
simbolo di progresso131 e per alcuni seettori del movimento operaio anche uno
strumento di lavoro e di conoscenza.
In Italia, dove la tardiva unificazione stentava a tradursi in un profondo senso
di appartenenza nazionale, ancora celata dai regionalismi ereditati da secoli di
divisioni, il Giro d’Italia contribuisce a diffondere un concetto di comunità condivisa,
a migliorare la conoscenza geografica dei confini, a mostrare che, semplicemente con
una bicicletta, si può girarla per intero, la nuova nazione. La maglia rosa assurge al
ruolo, gratificante e soprattutto unificante, di campione di tutti. Il successo popolare 127 Cfr. S. PROVVISIONATO, Terzini d’attacco, in «LeN», a. III (1986), n. 3, pp. 66-75. 128 La questione dell’educazione corporale della classe operaia (12 luglio 1924), in P. LAGUILLAUMIE ed altri, Sport e repressione, Samonà e Savelli, Roma 1971, pp. 147-9. 129 Carlo Felice, barone di Drais de Sanerbronn, ingegnere bavarese, aveva brevettato nel 1816 un veicolo con due ruote di egual grandezza, sella e manubrio, che in omaggio all’inventore fu chiamato “draisina”. Già nel 1818, nei pressi di Monaco di Baviera, era stata organizzata la prima gara, con percorso di dieci chilometri che il vincitore, premiato personalmente dal sovrano di Baviera, aveva coperto con un tempo di circa un’ora. Mancavano ancora i pedali, aggiunti nel 1861 da un giovane francese, Ernest Michaux. Cfr. A. GARDELLIN, Storia del velocipede e dello sport ciclistico, Tipografia libreria antoniana, Padova 1946, pp. 62 ss. Sull’influenza del ciclismo nella storia (non solo) sportiva italiana si vedano i § 5.2 e 9.1. 130 C. LOMBROSO, Il ciclismo nel delitto, in «NA», 1 marzo 1900. Sulla concezione lombrosiana, che individuava una correlazione tra uso del ciclo e propensione al «furto, alla truffa, alla grassazione», si veda Un certo Torriani, in «LeN», a. III (1986), n. 1, pp. 76-85. Lombroso, pur considerando «la bicicletta causa di delitti», non può però ignorare «i vantaggi dei bicicli»: diminuzione della distanza tra campagne e città, efficace contributo alla lotta per i partiti politici “più evoluti”, giovamento «al benessere degli infelici. (...) E ciò non basta: il biciclo promette di migliorare sostanzialmente la nostra razza». Cfr. anche G. DEL VECCHIO, La criminalità degli sport, Bocca, Torino 1927. 131 L. SERRA, I giganti della strada, Diabasis, Reggio Emilia 1996.
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del ciclismo132 può essere letto come il primo specchio uniformante della società di
massa. Analoga funzione svolgerà l’automobilismo svolto all’aperto e non, come
avverrà più tardi, al chiuso dei circuiti133.
La bicicletta riveste un ruolo fondamentale a cavallo del biennio rosso, come
sono definiti il 1919 e il 1920 caratterizzati dagli scioperi e dalle occupazioni delle
fabbriche che si svolgono, in circostanze evidentemente cruente, soprattutto a Torino.
Il 13 maggio 1921 appare un articolo di Antonio Gramsci con un breve, ma
illuminante accenno, al vincitore di due giri d’Italia, sei Milano-Sanremo e nove
campionati italiani134: «Vi era maggior ordine alla Fiat – si chiede il pensatore sardo –
quando gli operai eleggevano i loro commissari e ad essi ubbidivano o adesso, che
sono trattati col terrore ed eleggono loro rappresentante... Girardengo?»135.
L’uso politico della bicicletta era iniziato coi Ciclisti rossi, «volontari al
servizio del partito» che, grazie alla capacità di movimento e alla velocità loro
garantita dalle due ruote, riuscivano a raggiungere gli appuntamenti sindacali al
termine dell’orario di lavoro e potevano così effettuare una più efficace azione di
132 Scindendosi dal ciclismo prettamente agonistico, nacque nel 1894, su iniziativa del milanese Carlo Andrea Citterio, il Tourig Club Italiano, rivolto ai praticanti del «velocipedismo» per divertimento e turismo. 133 Nel 1926 Giovanni Canestrini e Renzo Castagnetti danno vita alla “Mille Miglia”, corsa su strada per complessivi 1600 chilometri, che sarà soppressa nel 1957 a seguito di gravi incidenti. Nel 1924, invece, Enzo Ferrari, su Alfa Romeo, è il primo vincitore della “Coppa Acerbo”, voluta dall’onorevole Giacomo in memoria del fratello Tito. Cfr. F. SANTUCCIONE, P. SMOGLICA, Il circuito di Pescara 1924-1939, Geco, Pescara 2003 e L. TURRINI, Enzo Ferrari un eroe italiano, Mondadori, Milano 2002. 134 La canzone Il bandito e il campione del cantautore Francesco De Gregori (1993) racconta la storia dell’amicizia tra Costante Girardengo e il compagno di corse giovanili in bicicletta, Sante Pollastri, che «per antica miseria o un torto subito» divenne un «feroce bandito», temuto da banche e polizia, che venne arrestato proprio al traguardo di una corsa. 135 Fascismo giornalistico, articolo non firmato ora in A. GRAMSCI, Socialismo e fascismo: l’Ordine Nuovo 1921-1922, Einaudi, Torino 1966. Il riferimento è alle elezioni delle commissioni interne delle fabbriche torinesi del 1921, quando gli operai vengono costretti a votare scrivendo i nomi di campioni sportivi, per non esporre alla rappresaglia fascista i compagni, sindacalmente e politicamente, in prima linea. Cfr. G. LIGUORI, Una palla di cartapesta, in «LeN», a. XIV (1997), nn. 2-3, pp. 43-44.
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proselitismo anti-padronale nei periodi di maggiore lotta (elezioni, agitazioni,
scioperi, convegni)136.
Nonostante la capacità, propria della bicicletta, di promuovere istanze, non solo
lavoristiche ma anche di emancipazione sociale137, il fenomeno ciclistico sarà
comunque una realtà strettamente maschile, almeno fino al 1924, quando la “reginetta
della pedivella” Alfonsina Strada138 parteciperà, prima donna, al Giro d’Italia.
136A.LORENZINI, I ciclisti rossi, in «Avanti!», 2 ottobre 1912. 137 I. ILLICH, Elogio della bicicletta, a c. di F. La Cecla, tr. it. di E. Capriolo, Bollati Boringhieri, Torino 2006. 138 Sulla vicenda umana e sportiva di Alfonsa Rosa Maria Morini Strada (Castelfranco Emilia 1891-Milano 1959), si veda R. RODOLFI, Un diavolo in gonnella, in «LeN», a. XX (2003), n. 2, pp. 54-69.
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3. I Cinque cerchi
Una sera di novembre del 1892, per l’esattezza il 25, un venerdì...
(Pierre de Coubertin) § 3.1 L’intuizione coubertiniana
Il passaggio progressivo dell’occidente industrializzato da pratiche non
agonistiche a quelle competitive trova una data cardine nelle olimpiadi ateniesi
svoltesi dal 5 al 15 aprile del 1896 (dècade pasquale, quasi a voler coniugare
idealmente il rituale antico e la sacralità moderna139) e una formalizzazione culturale
nell’ideologia coubertiniana140, promossa attraverso l’istituzione del Cio nel 1894141.
Il mito classico142 torna alla luce, reinterpretato dalla filosofia del fair play e
sintetizzato dal motto «citius, altius, fortius».
Quest’ultimo aspetto merita una precisazione: l’olimpiade, almeno secondo il
dettato di Pierre de Coubertin143 è essenzialmente un incontro tra persone che, nel
villaggio olimpico, portano il loro contributo di origini, esperienze, conoscenze, per
realizzare una fraterna comunione a partire dalla quale i diversi contributi si fondano
in un cosmopolitismo pacifista, idealmente simboleggiato dai cinque cerchi, uno per
139 Cfr. A. NOTO, L’idea olimpica tra gli antichi e tra i moderni, in 20 anni di Accademia Olimpica Nazionale Italiana, I Quaderni dell’Aoni, n. 11, 2007, pp. 75-83. 140 P. de COUBERTIN, Les jeux olympiques, Atene-Parigi 1896 e Le manifeste olympique, in «LeN», a. XII (1995), n. 1-2-3, pp. 112-115. La bibliografia completa di Coubertin è stata pubblicata in Olympism. Selected Writers, Cio, Lausanne 2000, pp. 759-827. Per le questioni esegetiche, si fa riferimento a Pierre de Coubertin. Textes Choisis, Weidmann, Zurich/Ihildesheim/New York, 1986, in 3 tomi, pubblicato su iniziativa del Cio sotto la direzione di Norbert Müller. 141 Il Comitato è fondato alla Sorbona nel corso del Congrès Internationale Athlétique de Paris, dal 16 al 23 giugno 1894. Primo presidente, strategicamente designato, è il greco Demetrius Vikelas, vice presidente della Società per lo sviluppo degli studi dell’antica Grecia. Sulla genesi del movimento olimpico e sul «diretto controllo» esercitato da Coubertin su Vikelas, cfr. J. LUCAS, The modern Olympic Games, Barnes, Crambury 1980, pp. 28-44. Sulla genesi e sui primi anni di attività del Cio, si veda la testimonianza di P. DE COUBERTIN (Memoires Olympiques, tr. it. di M. L. Frasca, Mondadori, Milano 2003). 142 Per quanto riguarda la concezione sportiva degli antichi, si rinvia al § 7.1. 143 A. LOMBARDO, Pierre de Coubertin. Saggio storico sulle olimpiadi moderne 1880-1994, Rai-Eri, Roma 2000.
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continente, intrecciati nella bandiera olimpica144. La celebrazione dei giochi di
Olimpia, a partire dal 776 a.C. (secondo la cronologia di Eusebio145), imponeva la
cessazione delle ostilità tra le poleis, per garantire l’incolumità degli atleti negli
spostamenti. Il richiamo ai giochi di Olimpia, secondo la tradizione greca fondati da
Eracle e celebrati in onore di Zeus, è anche l’incubatore della funzione mitologica
dello sport olimpico146.
Gli eventi, poi, esaspereranno la competizione nazionalistica (racchiusa nel
cosiddetto “medagliere”) a scapito dell’affermazione individuale.
Non sarà, questa, l’unica deviazione rispetto al pensiero coubertiniano147, che il
Francese forma anche attraverso due significativi viaggi giovanili, in Inghilterra dove
può studiare il pensiero liberale da Locke a Mill e in America dove, novello
Tocqueville, si reca per studiarne il sistema scolastico.
L’importanza di partecipare è concepita dal Barone148 come un’etica del
collocarsi in un contesto di rispetto delle regole: partecipante è chi si pone nell’alveo
del consentito, mentre chi cerca di avvantaggiarsi in qualunque modo non previsto
dalle regole non partecipa perché esula dalla competizione. Una volta, però, che
l’agonista si sia messo in condizione di essere parte, egli giustamente cercherà,
rispettando se stesso, gli avversari, i giudici e il pubblico, di affermarsi attraverso la
144 Esplicito in tal senso il discorso tenuto dal barone de Coubertin (1863-1937) ad Atene il 16 novembre 1894, ora in Textes Choisis, tomo 2, Olimpisme, cit., p. 370. 145 Anche Timeo di Taormina (346-350 ca., a. C.) scriverà 38 libri di storia degli avvenimenti «dell’Italia, della Sicilia e della Libia» utilizzando, come criterio di riferimento temporale, il susseguirsi delle edizioni dei giochi olimpici. 146 K. LENK, Tra rito, etica e mito, in «LeN», a. IV (1987), n. 1, pp. 20-55. 147 Sulle tante mitizzazioni delle idee coubertiniane, cfr. J. M. BROHM, Le mythe olympique, Christian Bougois Editeur, Paris 1981. 148. «L’importante nella vita non è trionfare, ma combattere, non è di avere vinto ma di essersi ben battuto» (P. DE COUBERTIN, Les «trustees» de l’idée olympique, in «Revue Olympique», luglio 1908, pp. 108-10).
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propria performance. «Lo sport (…) suppone il desiderio ardente della vittoria e il
godimento morale che ne risulta»149.
Il recupero dell’ideale olimpico non è una “esclusiva” coubertiniana. Già nel
1612, sulle Colline di Cotswold, nel nord del Gloucestershire, Inghilterra
meridionale, una manifestazione sportiva era stata definita “olimpica” dagli stessi
promotori150.
Verso la fine del Settecento un ritorno alle olimpiadi greche, che avrebbe
aiutato il corpo a sviluppare destrezza e saldezza d’animo, era stato propugnato da
Carlo Botta151. Coubertin si inserisce in una temperie culturale di riscoperta della
classicità, suscitata dall’esito positivo degli scavi archeologici, che nel 1875 avevano
riportato Olimpia alla luce. Un magnate greco trapiantato in Bulgaria, Evangelios
Zappas, aveva convinto il re Otto I di Grecia a far rivivere il mito dei giochi olimpici,
finanziando personalmente l’evento152. I giochi si erano svolti nel 1859, nel 1870 e
nel 1875: quelli del 1870 erano risultati i più riusciti, grazie all’allestimento di uno
stadio che aveva consentito una visione prospettica, negata dalla piazza che aveva
ospitato l’edizione precedente. Il comitato organizzatore aveva previsto che i vincitori
sarebbero stati preferiti per posti stipendiati come dirigenti e allenatori nelle
successive olimpiadi. A proposito della questione del dilettantismo, che è sostenuta
fondamentalmente dai gruppi aristocratici con l’intento ben preciso di escludere in tal 149 P. DE COUBERTIN, La préface des Jeux Olimpiques, in Cosmopolis, a. II, aprile 1986, pp. 149-1896. 150 Si trattava di uno dei tanti festival, diffusi in Inghilterra ai primi del Seicento (e comprendenti corse e salti, lotta e giochi vari) al punto che il re Giacomo I, nel 1618, dovette emanare la Declaration of Sports, nella quale specificava che le pratiche ludiche domenicali erano permesse solo ai sudditi che avessero onorato i riti religiosi. La traduzione, a c. di E. L. Russi, del documento del sovrano inglese si trova in «LeN», a. V (1988), nn. 3, pp. 70-3. La norma, evidentemente disattesa, sarà riproposta nel 1633 da Carlo I. 151 C. BOTTA, Proposizione ai Lombardi di una maniera di governo libero, nella Stamperia altre volte di S. Ambrogio a S. Maria alla Moneta, Milano 1797, p. 364. Cfr. 152 Cfr. D. C. YOUNG, I prolegomeni di Zappas, in «LeN», a. XII (1995), nn. 1-2-3, pp. 16 ss.
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modo dalle gare il proletariato, c’è da dire che essa costituisce uno dei tanti, troppi
falsi miti153 riguardanti le idee di Coubertin. Intervistato dopo i giochi berlinesi del
1936, è lo stesso Barone a chiarire: «Ah, quale vecchia e stupida storia è quella del
dilettantismo olimpico! Ma leggete il famoso giuramento del quale io sono l’autore
felice e fiero. Dove trovate mai che esso esiga dagli atleti entranti nello stadio la
professione di fede di un dilettantismo assoluto che sono io il primo a riconoscere
impossibile? Col mio giuramento non chiedo che una cosa: la lealtà sportiva che non
è appannaggio dei soli dilettanti. È lo spirito sportivo che mi interessa e non il
rispetto della ridicola concezione inglese che permette solo ai milionari di sacrificarsi
allo sport... Tale dilettantismo non sono io che l’ho voluto, sono piuttosto le
Federazioni internazionali che l’hanno imposto. Non è dunque un problema
olimpico»154.
I giochi olimpici, anzi i giochi dell’olimpiade (espressione che designa il
quadriennio olimpico, nel primo anno del quale vengono celebrati i giochi estivi,
mentre i giochi invernali sono stati più recentemente collocati all’inizio del terzo
anno) contribuiranno in maniera determinante all’affermazione della concezione
sportiva modernamente intesa.
153 Cfr. V. DINI, Religio athletae, in «LeN», a. XII (1995), nn. 1-2-3, pp. 96 ss. 154 Cfr. G. MEYER, Le phenoméne olympique, La Table Ronde, Parigi 1960, p. 27; B. ROGHI, Olimpia Olimpia, Sperling & Kupfer, Milano 1960, p. 218.
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§ 3.2 All games, all nations
Si comincia dunque nel 1896, con tredici nazioni partecipanti, ad Atene: la
vittoria del portacolori greco, Spyridon Louis, emulo del mitico Filippide nella gara
più attesa, la maratona155, entusiasma un popolo tradizionalmente appassionato
all’agone atletico. La maratona e il mito di Filippide, tra la nike annunciata e il
superamento del proprio limite, cominciano a ben rappresentare l’ambivalenza dello
sport moderno. O almeno di quella pratica sportiva che vede l’atleta come individuo
solo e rinchiuso nella volontà di superarsi ad ogni costo e fino al sacrificio estremo.
Le successive due edizioni, Parigi 1900 e St. Louis 1904, non risultano
particolarmente rilevanti perché, celebrate in concomitanza con le Esposizioni
Universali156, passano in secondo piano rispetto alle scoperte tecnologiche che stanno
cambiando la vita del mondo occidentale.
In Francia, all’universitario Myer Prinstein, primo dopo le qualificazioni, è
impedita la partecipazione alla finale del salto in lungo, programmata di domenica,
giornata invece consacrata all’ufficio religioso157. L’eroe di questa edizione è l’altro
155 La gara di corsa nasce su suggerimento del filologo francese della Sorbona Michel Bréal, che cita il racconto dello scrittore satirico greco del II secolo Luciano di Samosata, al quale però gli storici negano attendibilità, anche per quanto riguarda il particolare della morte dello stremato messaggero. Il nome attribuito alla competizione è quello della città greca, distante in verità 34 chilometri da Atene, dalla quale l’emerodromo (persona ben allenata in funzione di comunicazione) ateniese parte dopo la vittoria nel 490 a.C. sui persiani, per annunciare alla patria il successo. La distanza viene fissata a 42 chilometri e 195 metri nella maratona di Londra 1908, per assecondare il desiderio della principessa Mary che aveva chiesto di poter assistere alla partenza dal castello di Windsor. Cfr. D. CAPIZZI, Le due vittorie di Filippide, in «LeN», a. XIX (2002), nn. 1-2-3, pp. 64-67. 156 Cfr. P. L. BASSIGNANA, Le feste popolari del capitalismo: esposizioni d’industria e coscienza nazionale in Europa, 1798-1911, Allemandi, Torino 1997. 157 Prinstein conquisterà il titolo quattro anni dopo. Cfr. S. JACOMUZZI, Storia delle Olimpiadi, Einaudi, Torino 1976, p. 29.
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americano Ray Ewry, capace di sconfiggere nel salto in alto la poliomielite avuta da
bambino prima degli avversari incontrati in gara158.
Per l’edizione americana Coubertin preferirebbe Chicago ma il presidente
Theodore Roosevelt, subentrato a McKinley, assassinato da un anarchico, si
pronuncia per Saint Louis, dove si disputano anche i mistificanti anthropologic days,
riservati alla competizione di pellerossa, colored, filippini, giapponesi e pigmei159.
Londra 1908 è ancor oggi ricordata per la vicenda chiacchieratissima di
Dorando Pietri, maratoneta italiano squalificato per essere stato aiutato da un
megafonista troppo solerte, negli ultimi metri di corsa160.
La manifestazione avrebbe dovuto svolgersi a Roma, in ossequio alla
classicità161.
Dopodiché si era scatenata un’aspra polemica interna tra i sostenitori e gli
oppositori dell’opportunità di ospitare le gare. Tra questi ultimi, sorprendentemente,
si era schierato anche Angelo Mosso, il quale riteneva gli italiani non ancora in grado
di misurarsi con gli stranieri in una gara mondiale per l’educazione fisica162.
Fortunato Ballerini, ginnasta163, aveva difeso, contro il senatore Mosso, la tesi della
158 Per l’Italia arrivano dall’equitazione le prime due medaglie, un oro e un argento conquistati da Gian Giorgio Trissino. 159 Sui “giochi antropologici” si veda S. JACOMUZZI, Storia cit., p. 32. 160 Ex ciclista, corridore per scommessa contro cavalli e levrieri, l’atleta italiano entrò barcollante, il 24 luglio, nel londinese White City Stadium; guidato da alcuni zelanti giudici, fra cui Arthur Conan Doyle, l’inventore di Sherlock Holmes, tagliò vanamente il traguardo. Il famoso compositore americano Irving Berlin scrisse una canzone chiamata Dorando. 161 «Soltanto Roma – scrisse Coubertin alla moglie – può restituire alle Olimpiadi tutto quello che prima Parigi e poi St. Louis hanno tolto» (L. TOSCHI, Romane olimpiadi, in «LeN», a. V (1988), n. 3, pp. 28-41). 162 «A Saint Louis i migliori campioni uscirono tutti dalle scuole: sono i collegi (col quale nome si comprendono i licei, gli istituti superiori e le università) che riportano, tra gli americani, il numero maggiore di premi. È utile ricordarlo perché da noi succederebbe probabilmente che le università e gli istituti superiori si disinteresserebbero completamente a queste gare» («NA», vol. CXVI, serie IV, 1° aprile 1905). 163 Era stato anche, dal 1896 al 1898, presidente della Società ginnastica Roma, su cui si veda «LeN», a. XXIII (2006), nn. 3, pp. 68-75.
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ospitalità164. Per queste divisioni, per mancati sostegni finanziari e anche per
questioni di campanile con Milano e Torino, Roma aveva dovuto rinviare il suo
appuntamento olimpico. E non sarà l’unica volta.
Stoccolma 1912 è invece nota come “l’edizione perfetta” dei giochi, che
arrivano a coinvolgere 28 paesi. Il diciannovenne fiorettista Nedo Nadi vince l’oro
mentre l’americano Jim Thorpe si impone nel pentathlon e nel decathlon,
complimentato dal re Gustavo V di Svezia: «You are the greathest athlet in the
world». Il polivalente campione viene però squalificato per aver partecipato, nel suo
passato, ad alcune partite di baseball traendone qualche dollaro.
Ci sono i primi casi diplomatici: la Finlandia e la Boemia vogliono gareggiare
da sole, Russia e Austria non riconoscono tale diritto. Viene trovato un compromesso
(l’aggiunta di un proprio vessillo sulla barriera imperiale) mentre Coubertin afferma
il principio «all games, all nations», ossia che può esistere una geografia sportiva
diversa dalla geografia politica165. E questo perché la partecipazione ai giochi sia da
ritenere un diritto universale dei popoli e degli individui166.
Berlino 1916 non viene disputata per la prima guerra mondiale.
Si riprende da Anversa 1920, con il Belgio scelto a simboleggiare la rinascita
di una nazione-cuscinetto tra Francia e Germania: si impone il talento del finlandese
164 «Non è scritto che chi fa la festa abbia il dovere di superare in abilità gli invitati e di avere più premi e onori degli altri. Nostro dovere è quello di vincere in cortesia e in ospitalità. Il male inteso amor proprio, l’egoismo e ogni altro sentimento antisociale devono essere banditi. L’Olimpiade è una festa di educazione e di cultura fisica che mira a generalizzare ed uniformare il sentimento del buono e del bello e a rafforzare i vincoli di amicizia tra i popoli civili» («NA», vol. CXVII, serie IV, 1° luglio 1905). 165 Cfr. A. LOMBARDO, I giochi perfetti, in «LeN», a. XII (1995), nn. 1-2-3, pp. 36 ss. 166 Sul punto, Coubertin torna in una lettera dell’aprile 1911 indirizzata a Victor Silbert, editore del viennese Allgemeine Sportzeitung, per sottoscrivere il criterio già seguito dalla federazione europea di ginnastica sotto la direzione di Cupers of Antwerp (P. DE COUBERTIN, Géographie sportive, in “Revue Olympique”, aprile 1911, ora in Textes Choisis cit., p. 452).
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Paavo Nurmi, destinato a dominare le corse su lunga distanza, grazie alle sue
particolari diete e al pionieristico utilizzo, anche in allenamento, di un cronometro per
razionalizzare il dispendio di energie. Sono assenti le squadre, oltre che della Russia
comunista, quelle degli imperi centrali sconfitti: Germania, Austria e Ungheria.
Assegnare i giochi del 1924 a Parigi significa dare alla Francia le opportunità
di rinascita post-bellica. L’introduzione delle olimpiadi della neve, nuovo evento
sportivo caratterizzato da particolari valenze turistiche, avverrà nella splendida
cornice di Chamonix nel 1926 come «settimana inter-nazionale degli sport invernali»
e retroattivamente riconosciuto come «i primi giochi olimpici invernali»167.
Nel 1924 è ancora assente la Germania, occupata dalle truppe franco-belghe
preposte al prelievo riparatore di carbone e legname nella Ruhr. Aumenta comunque
la presenza delle nazioni, favorita dalla ripresa delle relazioni attraverso gli organismi
internazionali. Nel nuoto si afferma il talento dello statunitense Johnny Weissmuller,
che presto inizierà una fortunata carriera cinematografica come Tarzan.
Amsterdam 1928 ammette le gare olimpiche di atletica femminile, secondo la
mentalità progressista tipica del popolo olandese. Los Angeles 1932 introduce i primi
elementi di quel fenomeno di spettacolarizzazione che sarà destinato a crescita
esponenziale ma che, non casualmente, nasce nella città del cinema hollywoodiano.
In Olanda termina l’esilio olimpico della Germania, con il numero delle
nazioni partecipanti superiore di due unità (46 a 44) rispetto alle componenti della
167 Da allora, le olimpiadi bianche assumeranno importanza sempre crescente, fino all’edizione di Torino 2006. In Italia, i giochi invernali erano già stati disputati nel 1956 a Cortina d’Ampezzo, a seguito di un complesso processo organizzativo sostenuto da Giulio Onesti, Giulio Andreotti, Alberto Bonacossa e Paolo Thaon di Revel, ricostruito da S. GIUNTINI, Il preludio di ghiaccio, in «LeN», a. XXIII (2006), n. 3, pp. 6-19.
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ginevrina Società delle Nazioni. In polemica antiteutonica, la Francia non sfila nella
cerimonia inaugurale. Sconfitti nell’atletica, gli americani dominano nel nuoto (con
Arne Borg), dove sorprendono gli onorevoli piazzamenti dei piccoli ma tenaci
giapponesi.
Il “gigantismo” dell’edizione americana del 1932 va collegato al black
Thursday del 24 settembre 1929, con il crollo delle quotazioni di Wall Street. Tramite
i giochi olimpici gli Usa intendono mostrare l’avvenuta ripresa economica e la
ritrovata fiducia. Alla cerimonia d’apertura non prende parte il presidente uscente
Herbert Hoover: l’assenza gli costerà la rielezione, a vantaggio di Franklin Delano
Roosevelt.
I due atleti più attesi, il francese Jules Ladoumegue, campione nel mezzofondo,
e l’ancora vincente Paavo Nurmi, detto “il dilettante più pagato del mondo”, non
possono partecipare, squalificati per professionismo. Personaggio diventa la
diciottenne texana Mildred “Babe” Didrikson, oro negli 80 ostacoli prima di passare
al golf, disciplina che la vedrà per lungo tempo migliore atleta del mondo.
Negli anni Trenta, con l’affermarsi dei sistemi totalitari, si afferma anche nello
sport una politica di discriminazioni razziali. «I capi dello sport ebrei e quelli infettati
da essi, i pacifisti, i pan-europei – afferma un teorico nazista – non hanno più una
collocazione nello sport tedesco. Sono peggio del colera, della tubercolosi, della
sifilide»168. «Non è affar da negri – si poteva leggere su una rivista di quegli anni –
partecipare alle Olimpiadi. L’uomo libero bianco si trova a competere con lo schiavo
168 B. MALITZ, Die Leibeserziehung in der Nationalsozialistischen Idee, Monaco, 1933. Cfr. A. KRUGER, Non è affar da negri, in «LeN», a. XII (1995), nn. 1-2-3, pp. 56 ss.
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negro. Questa è una degradazione dello spirito olimpico senza pari. (...) I negri
devono essere espulsi, noi lo pretendiamo»169.
Assegnati già prima dell’ascesa al potere di Hitler, i giochi di Berlino 1936
diventano l’occasione per dimostrare la superiorità tedesca sulle democrazie
occidentali. In realtà Hitler può decidere per la sua squadra (che comprende anche la
“mezza ebrea” Helene Mayer, campionessa olimpica uscente nel fioretto, la quale è
ammessa dopo aver ottenuto un chiarimento ufficiale sulla sua cittadinanza170), ma
fortunatamente non ha potere sulle formazioni delle altre nazioni. Gli Stati Uniti, in
particolare, schierano l’afro-americano Jesse Owens, che conquista quattro medaglie
d’oro (cento metri, duecento, salto in lungo e staffetta) proprio sotto gli occhi di
Hitler, che aveva commissionato alla regista Leni Riefenstahl la realizzazione di
Olimpia, il primo film su un’edizione dei giochi171, che vincerà la coppa Mussolini
alla mostra di Venezia nel 1938.
L’Italia, oltre all’oro nel calcio, può festeggiare il suo primo successo olimpico
femminile grazie a Trebisonda Valla, detta “Ondina”, vincitrice negli 80 metri a
ostacoli172.
In opposizione a quella berlinese, dal primo al 16 agosto, a Barcellona si
sarebbe dovuta disputare l’Olimpiada popular, coivolgendo oltre quattromila atleti di
169 «Volkischer Beobachter», 19 agosto 1932. 170 Paradigmatica è la vicenda di Margarete “Gretel” Bergmann, primatista tedesca di salto in alto esclusa dalla selezione olimpica tedesca per via della sua origine. Negli stessi anni, nell’Urss, il mancato allineamento alle posizioni staliniste costa la cancellazione di alcune partecipazioni, come nel caso di Nikolay Kovtun, primastista del salto in alto relegato in carcere come “nemico del popolo”. 171 La realizzazione del lungometraggio richiese quaranta operatori in campo, cinquecentomila metri di pellicola e due anni per il montaggio. Sulla famosa e centenaria autrice, che nel 1934 aveva celebrato il raduno di Norimberga con un altro film («Trionfo della volontà»), cfr. R. RUGGERO, Gli specchi dell’atleta, in «LeN», a. XII (1995), nn. 1-2-3, p. 80. 172 A Berlino partecipa Luigi Faricelli, raro esempio di longevità sportiva (ventotto titoli italiani, l’ultimo dei quali conquistato a quarant’anni), che aveva esordito a Parigi nel 1924 e che, nel 1929 a Londra, aveva battuto il record europeo dei 400 a ostacoli.
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una cinquantina di paesi, ma il 17 luglio, dal Marocco, era partita l’insurrezione delle
truppe guidate dal caudillo Francisco Franco: anche la Spagna era più luogo per un
agonismo democratico173.
Nella cronologia ufficiale la dodicesima e la tredicesima olimpiade, previste
rispettivamente per il 1940 e il 1944 portano la dizione “non disputata”.
La causa è naturalmente lo scoppio del secondo conflitto mondiale. In realtà, al di
fuori dell’ufficialità e nonostante le tragiche condizioni di vita diffuse nei campi di
prigionia, non furono pochi i giochi e le competizioni svolti tra soldati di nazioni
diverse. Per i prigionieri lo sport, nonostante la guerra in corso, diviene non solo
l’idea di sopravvivenza e di pace ma di libertà stessa. Le coppe ricavate dalle gavette
e le medaglie di cartone, il gagliardetto col filo spinato, non valgono meno degli
allori conquistati in condizioni ideali174.
§ 3.3 Tra guerra fredda e tensioni internazionali
Per rivedere i Giochi si deve attendere il 1948: Londra è la seconda città, dopo
Parigi, ad avere l’opportunità di bissare la kermesse olimpica. Il personaggio che
caratterizza la seconda olimpiade londinese è la “mamma volante”, l’olandese Fanny
Blankers-Koen, che porta a casa la bellezza di quattro medaglie d’oro, rinunciando ad
altre due gare, salto in lungo e salto in alto, dove pure detiene i record mondiali.
173 S. GIUNTINI, Compagni di squadra, Lampi di stampa, Milano 2006, pp. 85-96. 174 A Langwesser, al confine tra Polonia e Germania, ai giochi organizzati nel 1940 partecipano prigionieri di sette nazioni: Francia, Belgio, Polonia, Olanda, Jugoslavia, Norvegia (Cfr. «CdS», 23 marzo 2007).
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«Io debbo obbedire a mio marito – è la spiegazione dell’atleta olandese – che decide
quello che devo fare»175.
È un’edizione minimalista, quella inglese, in una città ancora visibilmente
provata dal travaglio bellico. Il problema principale è l’alimentazione degli atleti,
tanto che gli Stati Uniti ritengono necessario l’invio giornaliero di aerei per i
rifornimenti di carne, pane e latte. Non vengono invitati Germania e Giappone,
mentre è accolta con entusiasmo l’Austria liberata dall’invasore nazista. Non
partecipa neppure la Russia, che mette in pratica l’isolamento ideologico sostenuto
dall’Internazionale dello Sport Rosso, sorta a Mosca nel giugno 1921176.
L’Italia, presenza gradita grazie alla scelta dell’8 settembre 1943, trionfa nel
lancio del disco (Adolfo Consolini è medaglia d’oro, Beppe Tosi d’argento) e nella
piscina, guidata da Gildo Arena definito dal radiocronista Niccolò Carosio «il
Meazza della pallanuoto».
A Helsinki le Olimpiadi arrivano nel 1952: per l’Italia c’è un testimone
d’eccezione, Italo Calvino, che esalta per ideologia le imprese della squadra
sovietica177, per la prima volta presente ai giochi. In Finlandia brilla la stella di Emil
175 Crf. W. GIRARDI, I giochi olimpici, Rizzoli, Milano 1971. 176 Fino alla creazione dell’Internazionale sportiva rossa (Sportintern), le organizzazioni sportive nella Russia sovietica erano subordinate alla preparazione pre-militare, nonostante Lenin, nel decreto sull’«Istruzione obbligatoria delle arti marziali» del 1918, avesse valutato l’educazione fisica fondamentale nel processo pedagogico (si veda J. RIORDAN, Marx, Lenin and Physical Culture, in «Journal of Sport History», 3, 2, estate 1976, p. 157). Il biografo Nikolaj Valentinov descrive Lenin «grande camminatore, appassionato scalatore, tenace ciclista e buon pattinatore» (N. VALENTINOV, Encounters with Lenin, Oxford university press, London 1968, pp. 79-81). Al contrario di Marx che avversava ogni forma di esercizio, preferendo il gioco degli scacchi (cfr. Y. KAPP, Eleanor Marx, Lawrence and Wishart, London 1972, vol. I, p. 193). Sullo sport sovietico, da ultimo, cfr. A. GOUNOT, Il pallone rosso. I bolscevichi e la diplomazia del football, tr. it. di S. Piermaria, in «LeN», a. XXIII (2006), nn. 1-2, pp. 16-25. 177 «Guardate, spettatori americani, nello Stadio, questi altri campioni, questi giovanottoni di tipo contadino, dalle grosse spalle con la tuta blu, dagli spessi lineamenti e dallo sguardo chiaro, guardate queste bionde e ben piantate ragazze in maglietta rossa. Sono i sovietici, quelli che un’enorme pressione propagandista vi vuol spingere a considerare come i peggiori nemici. Pensate che da loro lo sport procede nel senso opposto che da voi, dal basso in alto anziché dall’alto in basso. Questi sono i figli dei lavoratori che hanno preso il potere nelle proprie mani, e sono
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Zatopek, la “locomotiva cecoslovacca” che conquista i cinquemila metri, i diecimila e
la maratona178.
Nel 1956, dopo dieci edizioni europee e due statunitensi, si va in Australia, a
Melbourne (tranne che per gli sport equestri, disputati a Stoccolma), subito dopo
l’invasione sovietica in Ungheria: i magiari, comunque, non vogliono mancare e
allestiscono all’ultimo momento una squadra che sfila con due uniformi diverse,
suscitando la simpatia del pubblico e la solidarietà degli olandesi e degli spagnoli.
Ungheresi e sovietici sono avversari in una partita di pallanuoto che si
conclude in una rissa che colora di sangue l’acqua della piscina.
Egitto e Libano hanno boicottato i giochi, dissentendo dalle operazioni militari
israeliane, francesi e inglesi nel canale di Suez, nazionalizzato dal presidente egiziano
Nasser, mentre la Repubblica popolare cinese si è ritirata, in polemica per
l’inclusione di Taiwan. Le due Germanie, invece, marciano insieme anticipando una
riunificazione ancora lontana. Sui campi prevale un po’ dovunque il “battaglione
sportivo” dell’Unione Sovietica, che si avvale di uno staff medico-scientifico
all’avanguardia nei metodi di ossigenazione del sangue e di potenziamento della
muscolatura. L’Italia conferma la sua buona salute sportiva con 25 medaglie
complessive, tra le quali l’oro del ciclista Ercole Baldini nella prova individuale su
strada.
lavoratori essi stessi, che si sono costruiti palestre e campi sportivi in ogni fabbrica». I. CALVINO, «L’Unità», 30 luglio 1952. 178 Ad Helsinki Consolini è ancora protagonista con un argento, preceduto da otto ori italiani, tra cui quello di Edoardo Mangiarotti nella spada individuale. Cfr. L. ROSSI, La saga dei Mangiarotti, in «LeN», a. XXIII (2006), n. 3, pp. 78-81.
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L’assegnazione nel 1960 a Roma dei giochi della XVII Olimpiade dell’era
moderna conferma la strategia internazionale di valorizzazione dello sport come
vetrina prestigiosa e rassicurante. L’Italia è il primo dei Paesi sconfitti ad
organizzare, dopo nemmeno quindici anni dalla fine della guerra, un avvenimento
così rilevante, oltre che dal punto di vista sportivo, dal punto di vista economico,
politico e diplomatico.
L’Italia, alla quale Coubertin voleva da subito assegnare i giochi del 1908,
aveva più volte tentato di ospitare la manifestazione olimpica: già prima di Berlino
Lando Ferretti, lasciata la presidenza del Coni, aveva scritto: «L’Italia pone
ufficialmente la sua candidatura alle Olimpiadi del 1940; chiede alle altre Nazioni
(...) di riconoscere non solo la gloria antica di Roma ma anche la nuova potenza
civile, integrata da un formidabile sforzo sportivo, dell’Italia fascista»179.
L’allora presidente del Cio, conte Henri de Baillet-Latour, aveva dato segnali
favorevoli all’accoglimento dell’istanza italiana, ma all’improvviso Mussolini aveva
ordinato di ritirare la candidatura. Il Duce, per questioni di opportunità politica, aveva
accolto il desiderio dell’alleato Giappone, che aveva chiesto di poter festeggiare con
l’Olimpiade il ventiseiesimo centenario della dinastia imperiale, offrendo in cambio
all’Italia l’appoggio per la successiva edizione del 1944. Ma gli eventi bellici
precipitarono, impedendo qualsiasi accordo e la disputa delle gare, comunque
computate cronologicamente.
179 L. FERRETTI, Roma Olimpiaca, in «Lo Sport fascista», 2 febbraio 1935 (VIII), p. 8.
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Bisogna dunque attendere il tramonto del 25 agosto 1960 perché migliaia di
colombe spicchino il volo nel cielo di Roma, subito dopo il giuramento dell’atleta,
letto da Adolfo Consolini. Sul piano agonistico spiccano i successi nella velocità
della “gazzella nera” Wilma Rudolph180 – ventenne americana di colore che a quattro
anni aveva perso l’uso della gamba sinistra per una poliomielite complicata dalla
polmonite –, la vittoria a piedi scalzi del maratoneta etiope Abebe Bikila, guardia del
corpo dell’imperatore Haile Selassie181, e le medaglie d’oro di Livio Berruti nei 200
metri, primo azzurro a imporsi in gare di velocità, di Raimondo D’Inzeo sul cavallo
Posillipo, nel salto a ostacoli individuale e di Giovanni “Nino” Benvenuti, astro
nascente della boxe italiana.
Nel 1964 Tokyo è la prima città asiatica ad ottenere quell’olimpiade negata nel
1940 dal conflitto in corso: il gran finale è la gara dei 1500 metri piani del decathlon.
Il russo Rein Aun taglia per primo il traguardo dell’ultima prova, ma dietro di lui c’è
il tedesco Willi Holdolf, leader della classifica generale che, seppur sfinito, riesce ad
arrivare in tempo per conservare un minimo vantaggio complessivo. In Giappone non
si recano le squadre di Indonesia (squalificata per aver negato nel 1962, in occasione
dei Giochi Asiatici, il visto d’ingresso agli atleti di Israele e di Formosa che aveva
appena finito di rivendicare a Roma l’indipendenza dalla Cina popolare) e della
comunista Corea del nord (ancor oggi divisa, ma non sempre nelle rappresentative
sportive, sulla linea del 38° parallelo, da quella del sud), mentre il razzista Sudafrica
– che aveva posto a condizione (subito rifiutata), per una esibizione della squadra di 180 Sull’atleta, cfr. U. GOBBI, Gambe irriverenti, «CdS», 13 novembre 1994, p. 24. 181 Sulla storia del maratoneta etiope, che si ripeterà a Tokyo, si veda G. LO GIUDICE, V. PICCIONI, Un sogno a Roma. Storia di Abebe Bikila, Sei Decimi, Roma 2003. Cfr. anche G. PALUMBO, Berruti e Bikila, Prismi, Ariccia 1996.
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calcio brasiliana del Santos, l’esclusione dei quattro calciatori di colore (tra cui Pelè)
– viene privato dal Cio del diritto di partecipazione.
Nel 1968 è Città del Messico, non ancora industrializzata e con forti tensioni
sociali, a organizzare l’edizione: gli studenti manifestano in piazza e l’esercito
risponde sparando sulla folla, nella quale si contano oltre 250 morti e un migliaio di
feriti nel massacro di Piazza delle Tre Culture. Dal podio dei duecento metri Tommie
“jet” Smith e John Carlos alzano un pugno coperto da un guanto nero: è il gesto
antirazzista del “black power”, che pagheranno in proprio, privati come saranno di
onori e denari182. L’Italia consegue ben 10 ori, due dei quali (individuale e a squadre)
nell’equitazione da parte di Mauro Checcoli, futuro presidente dell’Aoni. Il mito
azzurro è il tuffatore Klaus Dibiasi, per un oro dalla piattaforma che sarà confermato
anche nelle due edizioni successive.
Nel 1972 si torna in Germania, questa volta a Monaco di Baviera, con il
preciso intento di dimenticare i giochi della Berlino nazista. Purtroppo, tragica ironia
della sorte, l’intreccio con la politica, che aveva caratterizzato le gare svolte alla
presenza di Hitler, si manifesta ancora una volta, e questa volta in modo cruento: nel
recinto sacro e pacifico del villaggio olimpico il sangue viene sparso dai terroristi
palestinesi di “Settembre Nero”, che causano la morte di undici atleti israeliani.
182 Nell’edizione messicana si registrarono una serie di prestazioni d’eccellenza, favorite dall’altitudine della sede, tra cui gli 8,90 metri nel salto in lungo dello statunitense Bob Beamon, migliorativo di ben 55 centimetri del primato mondiale.
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Con la pax Olimpiae profanata ci si pone il problema se si debba continuare le
gare o no183: con molti dissensi, si opta per la prosecuzione, con un giorno di ritardo
sul programma, dopo la celebrazione delle esequie allo stadio184.
Nel 1976 è la volta di Montreal: il bilancio economico dell’edizione canadese
risulterà deficitario per via delle imponenti misure di sicurezza adottate a seguito
delle tragiche esperienze precedenti. Su pressione della Repubblica popolare cinese,
viene esclusa la squadra di Formosa, mentre molti capi di stato africani denunciano la
persistente politica dell’apharteid del Sudafrica, nelle cui carceri è ancora rinchiuso il
leader nero e futuro Nobel per la pace Nelson Mandela.
L’Italia può celebrare l’eleganza di Sara Simeoni, argento nel salto in alto che
diventerà oro quattro anni dopo e poi sarà ancora argento in America.
Le successive due edizioni (Mosca 1980 e Los Angeles 1984) sono le
Olimpiadi dei boicottaggi: nel 1979, infatti, l’Armata rossa aveva invaso
l’Afghanistan, atto contestato dai governi statunitense, tedesco occidentale e
giapponese attraverso la decisione di non recarsi in Unione Sovietica per i Giochi. Il
blocco dell’est, per ritorsione, prende analoga posizione quattro anni dopo.
Il reciproco rifiuto si traduce in un depauperamento del valore tecnico delle due
olimpiadi, private dalla “ragion di stato” della possibilità di un confronto competitivo
183 Cfr. S. SCHARENBERG, The Munich Olympic Stadium. A Political Assembly Room, in Sport e Culture, v. II, pp. 283-92. 184 Sul piano sportivo sono da ricordare le imprese di Mark Spitz, nuotatore statunitense vincitore addirittura di sette medaglie d’oro, che fa fruttare il suo fisico anche sul piano estetico, come testimonial di diversi prodotti commerciali. Memorabili anche i successi di Olga Korbut, ginnasta sovietica di soli trentotto chilogrammi, capace di commuovere il pubblico mondiale con il suo pianto in conseguenza di un errore alle parallele.
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adeguato, misurato da un’inattendibile predominanza di medaglie sovietiche nel 1980
e da un altrettanto ricco ma ingannevole curriculum americano nel 1984.
Per l’Italia le gare americane più emozionanti sono quelle vittoriose di Alberto
Cova, autore di una spettacolare rimonta nei diecimila metri piani, e del “due con”
dei fratelli Carmine e Giuseppe Abbagnale guidati dal timoniere Giuseppe Di Capua,
nel canottaggio.
§ 3.4 Business e limiti umani
Nel 1988 a Seul si celebrano di nuovo giochi planetari: ci sono praticamente
tutte le nazioni e lo sport assume decisamente quella connotazione commerciale e
spettacolare che si acuirà nelle successive edizioni.
In Corea del sud si disputano giochi machiavellici, nei quali il fine di favorire
gli atleti del paese organizzatore giustifica i mezzi del condizionamento e
dell’ammorbidimento di arbitri e giurie. Nulla potrà però impedire all’azzurro
Gelindo Bordin di inginocchiarsi a baciare la pista dello stadio coreano dove, per
primo, giunge al termine della maratona, e agli Abbagnale di ripetersi, facendo
partecipare alla vittoria anche il più giovane Agostino.
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A Barcellona (1992) i giochi si proiettano nella dimensione di festa tipica della
cultura spagnola, con il villaggio olimpico (come mai) luogo di crescita inter-etnica.
Per la prima volta, definitivamente caduta ogni resistenza dilettantistica, nel torneo di
basket c’è la squadra dell’Nba chiamata Dream Team per il suo ineguagliabile valore
professionistico e sportivo, il cui leader è quell’Earvin Magic Johnson, più forte
anche dei pregiudizi per la sua sieropositività185.
La scelta americana dei Giochi del centenario (Atlanta 1996) si inserisce
perfettamente nella linea evolutiva dello sport come business: nonostante l’opinione
generale che vede in Atene la sede più naturale per i Giochi del Centenario, il Cio
preferisce la città sede di uno degli sponsor più munifici.
Di mano in mano, la fiaccola olimpica, partita da Atene come da tradizione,
arriva sul tripode australiano venerdì 15 settembre 2000. Cathy Freeman, l’atleta
aborigena destinata a dominare i 400 metri, per una medaglia d’oro che assurgerà a
simbolo d’integrazione e composizione di contrasti con l’altra parte della popolazione
d’Australia, quella “ufficiale”, è l’ultima tedofora di una staffetta lunga oltre
quattordicimila chilometri. In Australia si celebra il ritorno all’individualismo:
l’affermazione dei singoli è innanzi tutto affermazione economica. A Sydney emerge,
non più occultabile, l’aspetto del business mediatico, dell’atleta industria di se stesso
e testimonial delle grandi case produttrici di materiale (non solo) sportivo. Chi
gareggia lo fa per vincere: ma la vittoria significa denaro, la maggior parte del quale 185 Nell’olimpiade catalana l’Italia della pallanuoto rinnova la sua tradizione di successi, avviata da Gildo Arena e proseguita con l’oro del 1960 che era stato conquistato, tra gli altri, dal “caimano” Eraldo Pizzo e da Geppino D’Altrui, padre di Marco, nella finale marcatore del capitano spagnolo Manuel Estiarte, destinato al record di sei partecipazioni olimpiche e all’incarico di membro del Cio. Sei sono complessivamente gli ori azzurri, due dei quali al collo della fiorettista Giovanna Trillini che si confermerà leader anche quattro anni dopo, assieme all’altra campionessa jesina Valentina Vezzali.
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non è certo rappresentato dal premio dei rispettivi comitati olimpici. Lo dimostra
inequivocabilmente il primo classificato nella gara regina dei cento metri piani:
Maurice Greene, tagliato il traguardo, si toglie le scarpe, le alza al cielo e ne getta una
al pubblico conservando l’altra in ricordo, per una colossale operazione pubblicitaria,
predefinita dal marketing nei particolari. Anche il futuro vincitore dei 400 metri,
Michael Johnson risponde ai quesiti dei giornalisti tenendo in mano le sue scarpe
dorate, per un “in hoc signo vinces” con cui auspica di dirigersi verso il gradino più
alto del podio.
Per l’Italia, durante le Olimpiadi australiane, si verifica anche una vittoria
politica che promette alle attività promosse dal Coni garanzie di maggior tutela e
possibilità di sviluppo. Il 13 settembre 2000, infatti, Franco Carraro viene eletto nel
comitato esecutivo del Cio, superando nel ballottaggio il sudafricano Sam Ramsamy
per 52 voti a 44186.
Le Olimpiadi di Sydney erano state annunciate come i giochi della
umanizzazione: poco prima dell’inizio delle gare il professor Robert Schultz, docente
dell’University of British Columbia, aveva infatti annunciato i risultati di uno studio
secondo il quale i primati mondiali nelle varie discipline non sono migliorabili oltre
un determinato limite (peraltro assai vicino al livello già conseguito), individuato
186 Carraro è il quarto dirigente italiano ad ottenere un così prestigioso incarico, dopo il conte Alberto Bonacossa, membro dal 1925 al 1953, il conte Paolo Thaon di Revel, dal 1932 al 1964, e Giorgio de’Stefani, dal 1951 al 1992. Una settimana dopo entra nell’Esecutivo del Cio un altro dirigente italiano, Ottavio Cinquanta: dunque la presenza italiana sale a cinque unità visto che, in qualità di rappresentante della federazione internazionale di ginnastica, c’è Bruno Grandi, il quale si aggiunge a Mario Pescante (già presidente del Coni) e Manuela Di Centa, campionessa di sci nordico, eletta in qualità di atleta.
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attraverso la definizione della combinazione ottimale di corretta alimentazione,
perfezionamento della qualità dei materiali, tecniche di allenamento187.
A parte la validità scientifica dei dati, oggetto di vivace confronto tra gli
esperti, il mondo sportivo è chiamato a interrogarsi sul grande problema correlato al
concetto di limite umano. Il riferimento è chiaramente al doping188, il mezzo illecito
utilizzato proprio per abbattere le barriere fisiologiche dell’essere umano. Ma anche
sui Giochi australiani, enfatizzati come quelli della pulizia (in effetti la maggiore
severità nelle verifiche aveva indotto diversi atleti a preventivi forfait, dalla stampa
internazionale giudicati “sospetti”), si concentrano dubbi come quelli, divenuti poi
certezze, che nel 1988 a Seul avevano oscurato l’oro di Ben Johnson sui cento
metri189.
Nel 2004 i Giochi olimpici dell’era moderna ritornano nella loro prima sede:
non si gareggia solo ad Atene, ma anche in quel territorio, delimitato a nord dal fiume
Peneo e a sud dall’Alfeo, che era stato Olimpia190. La maratona, che nel 1896 aveva
arriso a un greco, incorona l’italiano Stefano Baldini191.
187 Le analisi del professor Schultz fissano il limite umano assoluto sui cento metri nel tempo di 9 secondi e 51 centesimi, 28 centesimi in meno della miglior prestazione mai fatta registrare. Per la maratona (i cui tempi si sono accorciati di un quarto d’ora nell’ultimo mezzo secolo, ma che non potranno abbassarsi più di tre minuti fino al 2050) il tempo minimo è individuato in 1 ora, 59 minuti e 29 secondi. La questione è rilanciata da due ricercatori inglesi, Alan Nevill dell’Università di Wolverhampton e Gregory White dell’English Insitute of Sport di Bisham, in un articolo pubblicato nel 2005 sul Medicine & Science in Sport & Exercise. Secondo le loro stime, il picco dei record maschili si avrà tra il 2020 e il 2060, mentre decisamente prima si registrerà l’apice in campo femminile. Si veda anche P. CERRETELLI, Sport, ambiente e limite umano, Mondadori, Milano 1985. 188 L’etimologia è ancora incerta: forse deriva da “dope”, liquido in uso in Inghilterra attorno alla fine dell’Ottocento per impermeabilizzare le scarpe; forse è originato da “doop”, miscela di erba e alcool; forse scaturisce da “to dope”, che significa imbrogliare. È certo comunque che nel 1889 il termine indicasse un beverone a base di oppio e tabacco destinato ai cavalli da corsa. 189 Lo sprinter canadese aveva stabilito il record mondiale di 9”79, precedendo sul traguardo il “figlio del vento” Carl Lewis, al quale la medaglia d’argento sarà sostituita con l’oro dopo l’accertamento della presenza di uno steroide anabolizzante di tipo stanozol nelle urine dell’avversario. 190 In omaggio alle gare antiche, vi si disputa la gara di lancio del peso. La circostanza ha però suscitato non poche polemiche, visto che i lanci previsti dal programma antico erano del disco e del giavellotto, non del peso: molti hanno interpretato come un controsenso, oltre che un errore di ricostruzione storica, omaggiare le gare del passato attraverso
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La fiaccola olimpica, due anni dopo, arriva proprio in Italia per celebrare i
Giochi invernali di Torino 2006192, prima di riprendere la marcia per Pechino,
chiamata a dimostrare di saper coniugare diritti sportivi e diritti umani.
Accanto alle Olimpiadi propriamente dette, estive e invernali, vengono inoltre
organizzate manifestazioni di tipo olimpico delimitate per aree geografiche, tra cui i
Giochi del Mediterraneo193 che, ideati dal presidente del Comitato olimpico egiziano
e vicepresidente del Cio Mohamed Taher Pacha, hanno visto la loro nascita ad
Alessandria nel 1951 e che, nel 2009, saranno ospitati a Pescara, preludio ideale
all’Olimpiade del 2016 che l’Italia si augura di ospitare nella sua capitale Roma.
una competizione che, in realtà, non ne faceva parte. Il Comitato organizzatore dei Giochi 2004 ha però motivato la sua decisione sottolineando come l’unica gara disputabile nel suggestivo scenario di Olimpia fosse proprio il peso: gli altri lanci, con i moderni materiali, avrebbero infatti raggiunto gittate più lunghe di quelle consentite dagli spazi naturali. 191 Con le trentadue medaglie conquistate ad Atene (10 d’oro, 11 d’argento e 11 di bronzo), l’Italia raggiunge complessivamente la quota di 493 successi (182 ori, 147 argenti e 164 bronzi) nelle edizioni dei giochi olimpici estivi cui ha preso parte. 192 L’Italia conquista 5 medaglie d’oro e 6 di bronzo, per complessive 101 (36 oro, 31 argento, 34 bronzo). 193 Cfr. Y. GASTAUD, Les Jeux mediterraneens, une diplomatie culturelle, pendant la Guerre froide, in Sport e Culture, v. II, pp. 71-9.
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4. Il Coni
Mi sono recato direttamente dal Ministro
per scavalcare comitati, delegati, giuria, in modo da mettere tutti d’accordo (se possibile).
(Eugenio Brunetta d’Usseaux, 1906)
All’esigenza di organizzare la spedizione italiana alla manifestazione ateniese
del 1896 si può ricollegare l’istituzione di un comitato olimpico, ad opera di un
gruppo di privati194 che, a proprie spese, manda una rappresentanza di atleti.
Nel 1904 l’Italia, non organizzata con un proprio comitato olimpico ufficiale,
non partecipa195: una struttura vera e propria appare poco dopo, tra il 1906 e il
1908196.
È solo nel 1914 che il Coni nasce ufficialmente197, precisamente nei giorni 9 e
10 giugno, quando si riuniscono a Roma i rappresentanti delle federazioni nazionali
del calcio, dell’automobilismo, del canottaggio e della scherma, oltre che i delegati
delle principali organizzazioni sportive e di alcuni ministeri ed enti governativi. La
presidenza del neonato cerchio tricolore viene affidata a Carlo Montù198.
194 Sollecitati in tal senso dal governo greco che, nel proprio consolato in Italia, ospita i componenti italiani guidati da Luigi Lucchini che, però, non riescono a persuadere il presidente del Consiglio Giovanni Giolitti ad assumere un impegno ufficiale. Sul punto, cfr. F. BONINI, Le istituzioni sportive italiane. Storia e politica, Giappichelli, Torino 2006, p. 63. 195 Cfr. G. GORI, L’Italia umbertina non ama Atene, in «LeN», a. VII (1990), nn. 1-2-3, pp. 118 ss. 196 Riunitisi il 10 giugno 1907 nella sede del Touring club a Milano su iniziativa del segretario del Cio Eugenio Brunetta d’Usseaux, i presenti affidano la presidenza a Carlo Compas di Brichanteau. Il conte piemontese, sino alla prima guerra mondiale, fu il braccio operativo di Coubertin. Cfr. C. BIANCHI, F. CARMINATI, G. COLASANTE, Alle radici dell’Olimpismo italiano. Il Conte Eugenio Brunetta d’Usseaux (1857 -1919), a cura di G. De Luna, Toroc, Torino 2006. Si veda anche L. MASTRANGELO, De Coubertin e Brunetta d’Usseaux, in «LeN», a. XXIII (2006), nn. 1-2, pp. 78-9. 197 Cfr. A. LOMBARDO, Alle origini del movimento olimpico in Italia, in «Ricerche storiche», a. XIX (1989), n. 2, pp. 296-314. 198 L’ing. Carlo Montù nasce a Torino nel 1869. Nel 1909 fonda la Società d’Aviazione di Torino e, nel 1914, viene nominato presidente dell’Aero Club d’Italia. Da ricordare un suo interessante Valore degli sports nell’educazione fisica e loro limiti fisiologici (Roma 1913). Muore a Bellagio (Como) il 19 gennaio 1949.199 Cfr. L. RIGO, Storia della normativa del Coni dalle sue origini alla legge istitutiva del 1942, in «RDS», 1986, pp. 565 ss.
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Da quel momento il Coni assume la duplice caratteristica di essere riconosciuto
dal Cio come ente addetto alla preparazione e alla partecipazione degli atleti italiani
alle Olimpiadi e, contemporaneamente, di essere l’organismo responsabile
dell’attività di coordinamento e di indirizzo di tutto il movimento sportivo italiano.
Il 13 marzo 1921, a Genova, l’Assemblea dei delegati delle federazioni
approva il primo Statuto del Coni199, che qualifica l’ente come «associazione di
persone» e lo proclama «federazione delle federazioni», sovrapposto alle federazioni
aderenti, le quali a loro volta controllano le società sportive in un sistema piramidale.
§ 4.1 La fascistizzazione
Con l’avvento del fascismo è eletto al vertice del Coni un uomo di sicura fede
nel nuovo regime, Aldo Finizi, il quale però, implicato nel delitto Matteotti, verrà
presto sostituito da Lando Ferretti200, presidente dal 6 dicembre 1925.
L’ufficio stampa del Pnf, il 19 dicembre 1925, scrive: «Bisogna non
dimenticare che lo sport non cura solo lo sviluppo fisico della razza, ma è suscettibile
di fenomeni morali e politici e legato a interessi economici che debbono essere
seguiti e vigilati»201.
Il punto di svolta può essere collocato nel febbraio 1927, quando viene
emanata la nuova carta statutaria: «Il Coni si inserisce decisamente tra le realtà del
fascismo. La forza, la volontà e il coraggio, doti che debbono considerarsi privilegio 200 Nato a Pontedera nel 1895, Lando Ferretti si dedica al giornalismo, passando da corrispondente a condirettore de «La Gazzetta dello Sport». Fascista della prima ora, profondo conoscitore delle teorie di Angelo Mosso, dal 1928 è chiamato alla direzione dell’Ufficio Stampa del Pnf. Oltre a Il libro dello sport, è autore di: Lo sport, L’Arnia, Roma 1949; Angelo Mosso apostolo dello sport, Garzanti, Milano 1951. Sulla figura di Ferretti, cfr. F.M. VARRASI, Economia, politica e sport in Italia (1925-1935), Fondazione Franchi, Firenze 1999. 201 L. FERRETTI, Il libro, p. 145.
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dei cuori fascisti, attraverso la formazione nuova, vengono, con unico statuto,
disciplinati al raggiungimento dei massimi intenti per la gloria comune»202. Ferretti
sottolinea che, nel V anno dell’era fascista, a promulgare il nuovo statuto non è più
un’assemblea dei delegati delle Federazioni, ma il segretario del Partito nazionale.
L’innovazione più sostanziale è, dunque, rappresentata dall’eliminazione del
sistema elettivo per le cariche sportive. «Il Presidente del Coni è nominato dal Capo
del Governo Nazionale su proposta del Segretario Generale del Partito», così come i
presidenti delle federazioni che, a loro volta, «designeranno al Presidente del Coni, a
cui spetta di ratificare la nomina, i nomi di coloro che intendono assumere a propri
collaboratori»203.
Il 30 dicembre del 1928 l’ufficio stampa del Pnf dirama una serie di
disposizioni in materia sportiva, che vengono raccolte enfaticamente sotto il nome di
“Carta dello Sport”. Nel documento si sancisce che «tutti i giovani dai 6 ai 14 anni
sono affidati all’Onb per quanto riguarda l’educazione fisica», oltre alla preparazione
generica alle altre attività sportive per i giovani dai 14 ai 17 anni, mentre alla Mvsn
resta affidata l’educazione fisica delle Camicie Nere «nelle forme a carattere
esclusivamente militare e di competizione collettiva. Per il Dopolavoro resta stabilito
che esso curerà l’educazione sportiva delle grandi masse soltanto per i seguenti sports
di carattere popolare: bocce, palla al tamburello, tiro alla fune, giuoco della volata,
202 Foglio d’ordini del Pnf, 2 marzo 1927. 203 Il controllo è garantito anche dalla presenza, nel Consiglio Nazionale, «di un rappresentante del Pnf, di un rappresentante dei Guf, di un rappresentante dell’Ond e da un rappresentante ciascuno per i ministeri di Guerra, Interni, Marina, Aeronautica, Istruzione, Finanza» (Carta dello sport, art. 4).
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canottaggio a sedile fisso, palla al volo». Si stabilisce anche204 che «i Gruppi
Universitari Fascisti dovranno appoggiare tutta la loro attività sulle Federazioni e
sulle società sportive, in piena applicazione delle norme sancite nel patto Coni-Guf».
In questo clima va collocato anche lo sviluppo dell’architettura sportiva, a
cominciare dal Foro italico di Roma, ideato nel 1927 da Enrico Del Debbio come
luogo dello sport per eccellenza, per finire agli stadi monumentali (Bologna, Firenze,
Torino, Milano, Bari)205.
Il 18 gennaio 1928 Augusto Turati206 aveva trasmesso alle Federazioni
provinciali fasciste il progetto-tipo del “Campo sportivo del Littorio”. Vengono così
edificati in quasi tutte le città italiane (83 capoluoghi di provincia su 94) gli impianti
sportivi, stadi calcistici in particolare, che sono in massima parte quelli ancora in uso
oggi, a parte gli ammodernamenti e le nuove costruzioni in occasione di “Italia ’90”:
il che spiega la particolarità tutta italiana della proprietà pubblica degli impianti e che
oggi, alla luce dei cambiamenti dello sport-business, costituisce uno dei limiti più
forti allo sviluppo delle società sportive in senso aziendalistico-azionario.
Quando il 5 maggio 1933 il segretario del Pnf Achille Starace207, già al vertice
del Dopolavoro e dei Giovani Fascisti, diviene presidente del Coni, il processo è
204 Ivi, art. 5. 205 Sull’architettura sportiva fascista, cfr. B. REGNI, Le statue nel foro. Ventisei scultori per sessantotto atleti, in «LeN», a. XXI (2004), n. 3, pp. 8-31. Si veda anche D. BOLZ, L’architecture des équipements sportifs en Italie fasciste: reflex d’une idéologie écletique, in Sport e culture, v. II, pp. 215-23. 206 A Turati si dovette l’invenzione di una nuova disciplina sportiva “fascistissima”, la volata, un gioco misto di calcio, rugby e pallamano nel quale due squadre di otto giocatori, affrontandosi in tre tempi di venti minuti, cercavano il tiro a rete passandosi la palla con piedi e mani non trattenendola per più di tre secondi. La prima partita della nuova disciplina, che non ottenne il consenso del pubblico, si disputò allo stadio del Partito (l’attuale “Stadio Flaminio”) il 6 gennaio 1929. 207 Il gerarca pugliese Achille Starace (Gallipoli 1889-Milano 1945) fu segretario del Pnf dal 7 gennaio 1931 al 3 ottobre 1939 e come presidente del Coni promuoverà le “Gerarchiadi”, olimpiadi della nomenclatura di regime nel biennio 1938-39.
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concluso. Lo sport è diventato un perfetto instrumentum regni208: il fascio littorio
viene inserito sopra i cinque cerchi dello stemma olimpico.
208 Cfr. § 8.3.
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§ 4.2 Lo sport agli sportivi
Con la caduta di Mussolini e la nascita della Rsi a Salò la struttura direttiva
dello sport nazionale viene trasferita a Venezia prima e, dall’agosto 1944, a Milano
poi, ponendo il Coni alle dirette dipendenze del Ministero della Cultura Popolare (il
“Minculpop”). Il fascismo rinuncia allo sport solo il 29 agosto 1944, quando viene
decretata la sospensione dell’attività sportiva nella Repubblica di Salò.
A Roma, liberata (4 giugno 1944) con il paese diviso in due e per metà
occupato, l’altra parte dello sport italiano cerca di riorganizzarsi. L’ente, già
ristrutturato nel 1942209, è troppo intimamente legato al fascismo perché non si senta
l’esigenza di sopprimerlo, alla stregua delle altre “creature” del regime210.
Nella divisione partitica operata dal Cln, il Coni è appannaggio dei socialisti
che decidono per lo scioglimento dell’ente e la conservazione dei suoi beni, affidando
l’incarico al giovane piemontese Giulio Onesti.
Il trentaduenne avvocato novarese non aveva avuto esperienze di dirigente
sportivo, ma non era compromesso con il regime: anzi, si era costruito una discreta
fama di antifascista, determinante per ottenere, il 28 giugno 1944, la designazione a
“commissario liquidatore”211. Il 1 gennaio 1945 i funzionari e gli impiegati licenziati
vengono riassunti in servizio. Onesti restituisce alla vita un Coni formalmente
209 Legge 16 febbraio 1942, n. 426. 210 Soppresso il Pnf con regio decreto n. 704 del 2 agosto 1943, è la Presidenza del Consiglio – in ottemperanza al regio decreto n. 29/B del 28 dicembre 1943 “di defascistizzazione della Amministrazioni dello Stato” – a porre sotto la sua tutela il Coni, affidando la gestione commissariale al conte Alberto Bonacossa, che però, dopo appena un mese, rinuncia all’incarico. 211 G. ONESTI, Relazione, in Documenti sul Coni, Roma 1974.
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democratizzato, ma sostanzialmente identico a quello del periodo precedente. Le
federazioni restano infatti strutture tecniche, le società sportive non possiedono
alcuna personalità giuridica, mentre il Coni mantiene quella posizione accentratrice di
controllo generale e unilaterale che aveva avuto durante il Ventennio212.
A permettere che Onesti non rispetti il mandato (quello di sciogliere il Coni)
c’è il beneplacito della forza politica emergente, la Democrazia Cristiana che ab
origine comprende, soprattutto nella persona di Giulio Andreotti, le potenzialità dello
sport, cui concede autonomia in cambio della redditizia contropartita delle percentuali
di prelievo a vantaggio dello stato sulle scommesse sportive.
“Lo sport agli sportivi”213 è la formula che caratterizza questa nuova stagione,
nella quale lo sport realizza la sua totale autonomia, grazie ai proventi derivanti dal
concorso pronostici, la cui gestione è prima affidata alla Sisal e poi al Totocalcio214.
Il dopoguerra sportivo è una ricostruzione, tenace e meticolosa, che Giulio
Onesti, dimessosi da commissario, compie mattone su mattone, a cominciare dalla
sua elezione a presidente, avvenuta il 27 luglio 1946, con 16 voti su 23.
Bisogna ricostruire i rapporti con il Cio, e in questo delicato compito
diplomatico, che consente al Coni di mantenere il suo posto nel consesso olimpico, lo
aiuta il conte Alberto Bonacossa: il successo internazionale permette a Onesti di
rivincere le elezioni Coni del 1948 con un plebiscito di 26 voti su 26.
212 Cfr. T. DE JULIIS, Il Coni di Giulio Onesti. Da Montecitorio al Foro Italico, Società stampa sportiva–Fondazione Giulio Onesti, Roma 2001. 213 L’espressione è il titolo di un’intervista di Alessandro Frigerio a «GdS», 6 luglio 1945. 214 La prima schedina è quella del 5 maggio 1946. Il concorso, inventato dal giornalista triestino Massimo della Pergola, in origine premiava i vincitori con 12 e 11 punti. Il “13” venne introdotto solo il 21 gennaio 1951.
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Due anni dopo, il primo maggio, accompagna in udienza da papa Pio XII non
solo il cattolico Bartali ma anche l’empio Coppi215, accreditandosi anche presso la
Santa Sede come garante dell’eticità sportiva: il 16 febbraio 1957 il suo prestigio è
tale che la presidenza gli viene rinnovata per acclamazione, in preparazione
dell’olimpiade finalmente italiana216.
Il 29 maggio del 1963, nel Salone d’Onore del Foro Italico, ha luogo la prima
riunione della “Consulta parlamentare per lo sport”, pensata da Onesti riproponendo
lo schema già adottato da Giuseppe Pasquale217 per il calcio, con lo scopo di
«aggiornare i parlamentari delle aspirazioni dello sport italiano affinché essi possano
discuterle, farle proprie e poi realizzarle»218.Il risultato del nuovo confronto tra
mondo sportivo e mondo politico è la cosiddetta legge del fifty-fifty219 con cui Coni e
stato dividono in parti uguali i proventi delle scommesse.
§ 4.3 La crisi e il processo riformatore
Così organizzato, per oltre cinquant’anni il sistema sportivo italiano non ha
temuto confronti. Un ingranaggio perfetto che non ha avuto costi per lo stato, che
anzi ne ha tratto lucro, vista la percentuale sulle giocate spettante all’erario220.
215 Il Pontefice saluta Bartali con un confidenziale “tu”, mentre a Coppi riserva un distaccato “lei”. Cfr. D. MARCHESINI, Coppi e Bartali, Il Mulino, Bologna 1998, pp. 86-7. 216 Il fittissimo calendario dell’attività del presidente del Coni è ricostruito nel dettaglio in Giulio Onesti. Rinascita e indipendenza dello sport in Italia, Lucarini, Roma 1986, pp. 69-225 217 Presidente della Federcalcio dal 1961 al 1966, dal 27 aprile 1965 al 27 settembre 1967 ha ricoperto anche l’incarico di vicepresidente del Coni. 218 Cfr. T. DE JULIIS, Il Coni cit., p. 169. 219 Legge 29 settembre 1965, n. 1117. 220 Questa la ripartizione percentuale dell’incasso Totocalcio (al netto del diritto fisso), in vigore dal 1 gennaio 1989: montepremi 38%, imposta unica 26,80%, Coni 25,20%, spese di gestione 7%, credito sportivo 3%.
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Lo sport italiano trova la quadratura del cerchio. O almeno così sembrerà fino
all’istituzione del SuperEnalotto, la nuova lotteria che, nella seconda metà degli anni
Novanta, attirerà sempre più le folle degli scommettitori, ammaliandoli con la
prospettiva di vincite plurimiliardarie, molto più frequenti rispetto al sistema
dell’1-X-2.
Non sarà, però, solo il nuovo concorso a bloccare l’ingranaggio.
Lo strapotere della Lega calcio di serie A e B che, nel tempo, ha sviluppato una
concezione patrimoniale e personalistica di quello che era stato considerato un bene –
di natura sociale e culturale – comune, quale appunto il campionato italiano, fa sì che
le gare vengano “spalmate” in più giorni, per permetterne la vendita alle nuove
emittenti satellitari e digitali.
Naturalmente, le partite da trasmettere, rispettando una certa turnazione, sono
(quasi) sempre le più importanti della giornata calcistica, con il conseguente esito di
depauperare ulteriormente il valore e l’interesse della schedina domenicale, alla quale
assesta il colpo di grazia la liberalizzazione, sul modello britannico, del sistema di
scommessa, riferibile all’esito di un singolo evento sportivo, giocabile fino a pochi
minuti prima dell’inizio della competizione221.
Ma la crisi del Coni negli ultimi anni del Novecento non è dovuta solo a fattori
di natura meramente economica.
La “crisi” si manifesta in tre aspetti: il funzionamento dell’ente, la sua
direzione e la sua identità.
221 Il meccanismo è illustrato da M. UGHI, La scommessa tra sport, cultura e impresa, I quaderni di «LeN», a cura di L. Mastrangelo, 2002, n. 3.
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Un ciclone scuote dalle fondamenta l’organizzazione stessa dello sport italiano:
l’allenatore boemo Zdenek Zeman non porta prove (che non può avere) ma esprime i
suoi personali dubbi su alcune muscolature di calciatori cresciute notevolmente in
poco tempo e denuncia l’eccessivo ricorso a prodotti farmacologici da parte dei
giovani calciatori professionisti222.
L’allora vice presidente del consiglio dei Ministri Walter Veltroni affida a una
commissione l’indagine per verificare eventuali irregolarità amministrative nei
controlli antidoping nel calcio, effettuati nel laboratorio del Coni all’Acqua Acetosa.
Il 15 ottobre 1998 il presidente della commissione Grosso evidenzia una serie
di violazioni avvenute in sede di controllo antidoping223.
L’attenzione, a questo punto, non può che concentrarsi sulla presidenza del
Coni, all’epoca ricoperta da Mario Pescante, il quale – secondo la conclusione del
testo elaborato dalla Commissione – «è stato molto attento nel difendersi
preventivamente dalla possibile accusa di non aver vigilato adeguatamente».
È la parola fine sulla gestione di Pescante (accusato di culpa in vigilando) che,
in data 13 ottobre 1998, presenta le sue dimissioni dalla presidenza del Coni che,
come da antico privilegio della ginnastica224, viene assunta in qualità di reggente dal
presidente di questa federazione, Bruno Grandi.
Veltroni, il giorno successivo, invia a Grandi una lettera in cui indica «le
quattro vie maestre» del processo riformatore: 1. autonomia del Coni dalle
222 Cfr. Processo alla Juventus per frode sportiva, Kaos, Milano 2004. 223 «In particolare, risulta dunque provato che la prassi di non accertare dopo le partite di calcio il ph e la densità dell’urina nel settore del calcio è proseguita anche dopo l’approvazione del regolamento antidoping del Coni (30 aprile 1997) che aveva reso obbligatorio tale accertamento» («CdS», 15 ottobre 1998, pp. 4 e 5). 224 Sul ruolo svolto dal fenomeno ginnastico, si torni al § 1.2.
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federazioni, sia per gli organi (ma non totalmente per i finanziamenti), sia per le
strutture (non per gli obiettivi sportivi, in modo che il Coni non sia più federazione
delle federazioni ma ente pubblico di programmazione e vigilanza); 2.
privatizzazione delle federazioni, in quanto associazioni giuridiche private; 3.
democratizzazione interna con elettorato attivo e passivo completo; 4. vigilanza
dell’esecutivo sullo sport in maniera «discreta e rispettosa dell’autonomia»,
attraverso non più il collegio dei revisori dei conti, ma mediante una commissione di
garanzia.
Intorno a queste idee si innesca, con toni a volte anche aspri, un dibattito
politico-sportivo.
Venerdì 29 gennaio 1999 il ministro Giovanna Melandri presenta la legge di
riforma225 che prevede l’ingresso di tecnici e atleti nel governo dello sport, proprio
mentre è eletto il nuovo presidente dell’ente: Gianni Petrucci, un dirigente di lungo
corso temprato dalle esperienze come responsabile della federazione basket e come
dirigente della Roma calcio, che succede, nell’ordine, a Giulio Onesti, Franco
Carraro, Arrigo Gattai e Mario Pescante. «Dopo 57 anni – dichiara il ministro – nasce
un Coni riformato e più autonomo».
Il 16 novembre 2000 il Senato approva in via definitiva una legge concepita
per mettere la parola fine al tradizionale “si fa ma non si dice” e porre il nostro paese
225 Decreto legislativo del 23 luglio 1999, n. 242, Riordino del Comitato olimpico nazionale italiano, a norma degli artt. 11 e 14 della legge 15 marzo 1997, n. 59, in vigore dal 13 agosto 1999, pubblicato sulla G.u. n. 176 del 29 luglio 1999. Per un approfondimento delle implicazioni giuridiche della riforma, si veda D. DE CAROLIS, De iure, in «LeN», a. XVI (1999), nn. 1-2-3, pp. 60 ss.
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all’avanguardia in Europa, rafforzandone la posizione di autorevolezza nella lotta
contro il doping226.
Il testo del provvedimento è composto di dieci articoli il cui contenuto segna
l’inizio di una vera rivoluzione ideologica, sancendo il divieto di doping, sul
principio che «l’attività sportiva è diretta alla promozione della salute individuale e
collettiva» e «non può essere svolta con l’ausilio di tecniche, metodologie o sostanze
che possano mettere in pericolo l’integrità psicofisica degli atleti». Si sottolinea,
finalmente, come sia doping anche la semplice «somministrazione o assunzione di
farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive e l’adozione o la
sottoposizione a pratiche mediche non giustificate da condizioni patologiche».
Doparsi, dunque, è diventato reato penale, e doparsi significa anche assumere
una qualsiasi sostanza di cui non si abbia effettivo bisogno. L’atleta che risulti dopato
incorrerà, oltre che nelle squalifiche previste dall’ordinamento sportivo, anche nei
rigori della giustizia ordinaria, con pene detentive e pecuniarie.
La legge, inoltre, istituisce una commissione «per la vigilanza e il controllo sul
doping e per la tutela della salute nelle attività sportive» che «funzionerà come
un’authority con il controllo di osservare, controllare e intervenire227», allo scopo di
porre fine a uno degli equivoci che tanti problemi e contraddizioni ha causato per
226 Il sospetto di doping a Sydney aveva coinvolto anche la squadra olimpica italiana, oltre a quella romena e a quella statunitense, quest’ultima richiamata alle sue responsabilità direttamente dal responsabile della commissione medica del Cio, il nobile belga Alexandre De Merode. Lunedì 25 settembre 2000 era stata infatti resa pubblica un’indagine effettuata dalla Commissione Scientifica del Coni, la cui relazione aveva indotto il ministro della sanità Veronesi all’immediata apertura di un’inchiesta. Oggetto dello studio il cosiddetto “Gh”, ossia il growth hormone, l’ormone della crescita che presiede a gran parte del metabolismo muscolare e alla regolazione dei grassi corporei, con diretta incidenza su prestazioni e recuperi. Un additivo naturalmente vietatissimo, che può causare alla lunga tumori maligni e neoplasie, ma di difficile individuazione. Nel dossier inviato a Veronesi emerse uno scostamento sostanziale e anomalo di diversi atleti dai valori di base della popolazione normale. 227 «Il Sole 24 Ore-Sport», 25 novembre-8 dicembre 2000.
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anni allo sport italiano, ossia quel deleterio conflitto d’interessi scaturente dalla
commistione dei ruoli di controllante e controllato.
All’inizio del terzo millennio il doping, sia nella versione di elevazione della
soglia di resistenza alla fatica, sia nella versione di potenziamento della muscolatura,
appare una pratica più che diffusa, senza veri argini, come dimostra la diffusione del
Thc, la prima sostanza dopante appositamente creata per gli sportivi. La lotta anti-
doping, divenuta nel tempo il possibile fondamento di un movimento internazionale
sportivo, deve tornare a fare i conti non solo con quella “medicalizzazione” degli
atleti di cui si parla in alcuni testi di Ippocrate e con quella “sacralizzazione” delle
prestazioni di un atleta ma anche con la sempre più (irreversibile?) scissione
dell’ideologia commerciale dell’attività agonistica dalla tensione etica e sociale della
pratica ludica.
In Italia, almeno da un punto di vista legislativo, ci si può considerare
all’avanguardia nella lotta al doping. I problemi più pressanti sono infatti di altra
natura.
Il perpetuarsi della crisi finanziaria, non attenuata dall’introduzione di nuovi
concorsi pronostici228, induce infatti il ministro Giulio Tremonti ad affidare a una
società privata (Coni servizi spa229) la gestione dei giochi a scommesse, con
l’incarico di recuperare risorse da destinare al Coni, che resta responsabile
228 I giochi Totosei e Totobingol, legati al numero di reti realizzate nelle partite, non hanno riscontrato eccessivo favore negli scommettitori. Maggior seguito ha fatto riscontrare il Totogol, che dalla stagione 2003-2004 viene riorganizzato assieme al Totocalcio, che relega lo storico “13” a vincita di seconda categoria, prevedendo ulteriori premi per il “9” e lo “0”. 229 Decreto legge 8 luglio 2002, n. 138, convertito con modificazioni dalla legge 8 agosto 2002, n. 178.
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dell’organizzazione olimpica e della cura dei rapporti internazionali con le istituzioni
sportive230.
Il processo di adeguamento prosegue con ulteriori riassetti231, concernenti tra
l’altro il tentativo di regolazione dei rapporti tra giustizia sportiva e giustizia
ordinaria232 e soprattutto con l’istituzione del primo «Ministero delle politiche
giovanili e delle attività sportive» dell’Italia repubblicana, affidato proprio alla
riformatrice del 1999, Giovanna Melandri233.
230 Il provvedimento è contenuto nel «Documento di Programmazione economica e finanziaria» riferito al periodo 2003-2006, approvato dal Consiglio dei ministri il 5 luglio 2002. 231 D. Lgs. n. 15 del 2004. 232 L. n. 280 del 2003. 233 Tra gli interventi promossi dal Ministero, il disegno di legge, presentato il 26 luglio 2006, di «delega al governo per la revisione del mercato dei diritti di trasmissione, comunicazione e messa a disposizione del pubblico, in sede radio-televisiva e su altre reti di comunicazione elettronica, degli eventi sportivi dei campionati di calcio»; la legge 4 aprile 2007 n. 41 di conversione del decreto n. 8 dell’8 febbraio 2007 «recante misure urgenti per la repressione di fatti di violenza connessi a competizioni calcistiche», oltre alla previsione, mediante la legge finanziaria, di incentivi fiscali per le famiglie che iscrivano figli di età compresa tra i 5 e i 18 anni ad un’associazione sportiva.
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5. L’identità nazionale
Rivediamo il nostro Duce nella carlinga, al volante, sulla pedana, a cavallo:
è impeto, energia, audacia. (Adolfo Cotronei)
Al contrario dell’Olimpiade, che si è affermata come evento cadenzato e inter-
nazionale, il movimento sportivo di ogni nazione ha avuto bisogno di continuità e
periodicità, di ripetitività e di circuiti.
I campionati nazionali organizzati in Italia cercano di mettere in
comunicazione le varie province, città e regioni della penisola, divisa allo scopo in
aree territoriali da oriente a occidente e da settentrione a meridione.
Nell’ultimo decennio dell’Ottocento il calcio234 si espande in tutta Europa per
via portuale grazie ai marinai inglesi che, attraccando, scendono con il nuovo attrezzo
che incuriosisce e affascina: il pesantissimo pallone con cucitura, causa di ferite
sanguinolente nei colpi di testa, è motivo per cui molti calciatori di questo football
eroico erano soliti giocare con il capo fasciato235.
In un’Italia che ambisce a essere riconosciuta nazione alla pari delle altre
grandi nazioni europee, la ricezione delle novità ginnastiche e sportive, in particolare
del football, favorisce socialità e identità nazionali236.
La diffusione della disciplina in Italia ha anche un altro tramite, non sempre
adeguatamente considerato, quello delle Scuole di Ingegneria della vicina Svizzera, 234 Sulla nascita del football si torni al § 1.1, per la storia dei Mondiali si veda il cap. 6. 235 Vittima della pratica calcistica è anche Gabriele d’Annunzio, che lamenta in una lettera del novembre 1887 all’amata Barbarella (soprannome di Elvira Natalia Fraternali, maritata Leoni, suo grande amore dal 1887 al 1892) «di averci rimesso due denti». Cfr. L. RUSSI, Lilliput è salvo, RTM, Roma 1997, p. 69. Sul rapporto tra il Vate pescarese e la pratica sportiva, si veda il § 5.2. 236 A. PAPA, G. PANICO, Storia sociale del calcio in Italia, Il Mulino, Bologna 2002. G. BONETTA, Corpo e nazione: l’educazione ginnastica, igienica e sessuale nell’Italia liberale, Angeli, Milano 1990.
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neutrale e avanzata237, oltre al canale mitteleuropeo, dal quale scaturisce il primo
regolamento ufficiale in lingua italiana, redatto a Udine nel 1895.
Non è dunque casuale che il calcio italiano veda i suoi centri di primigenio
sviluppo nella marittima Genova e nelle industrializzate Milano e Torino238. Proprio
nella capitale sabauda, il 15 marzo 1898, nasce la Federazione calcistica italiana che,
su iniziativa di un club locale239, organizza subito un campionato nazionale.
Il primo torneo (giocato dall’alba al tramonto e vinto anche grazie al medico
James Spensley240, che aveva contribuito in maniera determinante alla trasformazione
del Genoa, sorto nel 1893, da “Cricket and Athletic” in “Cricket and Football Club”,
e all’uomo-gol Leaver), si tiene, alla presenza di 177 spettatori, l’8 maggio 1898,
nello stesso tempo in cui Bava Beccaris spara sulla folla in tumulto per il caropane e,
a Parigi, Emile Zola lancia il suo j’accuse sul caso Dreyfus.
237 Cfr. P. LANFRANCHI, Calcio e progresso tecnologico. Il ruolo degli svizzeri in Italia, in «LeN», a. VII (1990), nn. 1-2-3, pp. 58 ss. 238 È proprio a Torino che nasce la prima squadra italiana, su iniziativa di Edoardo Bosio, ragioniere che era emigrato in Inghilterra per lavorare nell’industria tessile, e di alcuni giovani aristocratici tra cui il principe Luigi di Savoia, duca degli Abruzzi, e il marchese Alfonso Ferrero di Ventimiglia. La denominazione scelta è International Football Club, per il fatto che vi «giocheranno persone di varia nazionalità». Cfr. S. GIUNTINI, La nazionale di calcio a Milano, in Azzurri 1990. Calcio a Milano, La Meridiana, Roma 1990, p. 50. Di questo calcio italiano primigenio è testimone Herbert Kilpin: «Non avevo ancora vent’anni quando venni in Italia, stabilendomi dapprima a Torino. Era il settembre del 1891. Ero arrivato da poche settimane quando, una domenica, il mio carissimo amico e compatriota Savage, valentissimo giocatore, mi invitò ad accompagnarlo in piazza d’armi, per partecipare ad un match. Il football era da pochissimi anni praticato a Torino e a Genova. Quel giorno, si disputava un match amichevole tra la squadra inglese e quella italiana del F.C. Torinese. Mi invitarono a occupare un posto nella prima linea della squadra inglese. Mi rimboccai i calzoni, deposi la giacca ed eccomi in gara. Mi avvidi di due cose curiose; prima di tutto, che non c’era ombra dell’arbitro; in secondo luogo, che a mano a mano che la partita si inoltrava, la squadra avversaria andava sempre più ingrossandosi. Ogni tanto uno del pubblico, entusiasmatosi, entrava in gioco, sicché ci trovammo presto a lottare contro una squadra formata da almeno venti giocatori» (H. KILPIN, Verso il venticinquennio del football, in «Lo sport illustrato», 29 febbraio 1915, p. 9). 239 Lettera di Alberto Jourdan al sindaco di Torino, 2 aprile 1898. «GdS», 3 aprile 1898. 240 Portiere, capitano e allenatore della squadra che vince il primo dei suoi nove titoli (2-1 ai tempi supplementari nella finale con l’Internazionale Torino) in casacca bianca – la maglia rossoblù viene introdotta il 25 gennaio 1901, al termine di un’assemblea nella quale i sostenitori dei colori bianco e blu vengono superati di un solo voto – il dottor James Spensley ha il merito di aprire il club anche ai soci italiani.
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§ 5.1 La Nazione sportiva
Le Italie sportive, con le loro diversità regionali e le loro diseguaglianze
economico-territoriali, cominciano a comunicare tra di loro in un unico sistema
nazionale, anche grazie all’avvento del telegrafo e al successo della stampa sportiva.
Il confronto su base nazionale si accompagna al confronto tra nazioni.
L’internazionalità della gara sportiva diventa una sorta di rendiconto nazionale.
Il primo incontro internazionale di calcio in Italia viene disputato, il 15 maggio
1910, alla presenza di quattromila spettatori all’Arena di Milano tra i bianchi241 della
nostra nazionale e quella dei francesi, sconfitta per sei a due. Il rendiconto nazionale
comincia a nutrirsi non solo di agonismo ma anche di primati, non solo di confronti
ma anche di vittorie. Specie se la grandezza di una nazione si commisura sul suo
ruolo sia sulla scena internazionale che nella “sfera della colonizzazione”242.
In sede sportiva il nazionalismo rivendica, oltre alla romanità, «amore del
rischio, dell’avventura, della gara, esercizio di volontà, addestramento di membra,
organizzazione di sforzi collettivi»243, valori che da tempo permeavano anche la
pratica alpinistica: «Ci siamo innamorati delle nostre Alpi quando vi abbiamo
241 La nazionale italiana giocherà con la maglia azzurra (colore di campo dello stemma savoiardo) a partire dall’incontro con l’Ungheria del 6 gennaio 1911, sempre all’Arena di Milano. A. BALESTRIERI, Giochi sportivi, in «Almanacco dello Sport», 1915, p. 185. 242 Il 3 aprile 1900, contro la Svizzera a Torino, la rappresentativa era formata da nove stranieri su undici delle squadre genovesi, milanesi e torinesi. 243 G. VOLPE, L’Italia in cammino, Treves, Milano 1927, p. 143.
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riconosciuto le guardiane della patria», si era infatti letto dopo che Quintino Sella e
compagni avevano conquistato il Cervino con intenti patriottici244.
Nel movimento confluisce anche l’educazione fisica ruotante sulla formazione
militare a fini pedagogico-patriottici, deputata ad valetudinem conservanda, ad bella
gerenda245, visto che le guerre si continuano a combattere e che l’unica speranza di
pace risiede nell’equilibrio delle crescenti potenzialità militari tra le nazioni, in
un’Europa “armata fino ai denti”.
I programmi scolastici, durante la politica crispina (1887-1896) e specie alla
vigilia della disastrosa campagna d’Eritrea (1896), avevano prescritto per l’ora di
ginnastica l’uso dei bastoni di ferro o dei manubri, il getto del peso e del sasso, il
lancio del giavellotto, il maneggio del fucile246.
Nasceva così l’epos dell’eroe italico, guerriero e sportivo, che sarà vissuto
durante il conflitto e nella stagione fascista. Tra il 1911 e il 1915 l’aggressività
colonialista (tra guerra alla Turchia e annessione della Libia) e l’attivismo
interventista permeano la gran parte del movimento ginnastico e del sistema sportivo
operanti in Italia.
Domenica 23 maggio 1915 le partite vengono sospese per favorire la “radiosa”
mobilitazione dell’italiana hellàs (patria) nella guerra mondiale scoppiata il 28 luglio
1914.
P. FAMBRI, La ginnastica bellica, Casa editrice italiana, Roma 1895. Cfr. anche A. MUCCI, Sulla ginnastica militare, Napoli 1883.
244 Nel gennaio 1865 esce il primo numero del Bollettino Trimestrale del Club alpino di Torino. Sull’attività alpinistica di Sella «fra politica e scienza», cfr. A PASTORE, Alpinismo cit., pp. 17-25. 245 L. CAPELLO, Guerra ed educazione fisica, «Il Ginnasta», marzo-aprile 1912. 246
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Dopo Caporetto (24 ottobre 1917), la mobilitazione della comunità nazionale
può dirsi compiuta. Il movimento sportivo fiancheggiatore contribuisce con il proprio
arditismo a superare le difficoltà belliche.
Filippo Tommaso Marinetti, così come l’intero movimento futurista, dopo aver
rischiato con tutto lo spirito volontaristico possibile «il gran giuoco della guerra»247,
esalta la macchina e la sua performance248, in una retorica nazionalistica sottolineata
dai toni enfatici della pubblicistica militante.
§ 5.2 «Agili guizzavan nel gelo i muscoli»
L’ideologia sportivo-militante era stata esaltata da Gabriele d’Annunzio: il
Poeta-Soldato a più riprese aveva dimostrato, con i fatti e con le parole, grande
passione per l’atletismo, il coraggio e l’intrepido agonismo, manifestato sia nel
privato, dilettandosi nella pratica di diversi sport, sia nel pubblico della sua azione (si
pensi al volo su Vienna) e della sua arte (si pensi al romanzo Forse che sì, forse che
no, del 1910, il cui protagonista, Paolo Tarsis, è un aviatore249).
Gabriele d’Annunzio è stato il prototipo dello sportman. Nuota assai prima che
l’Italia scopra la «salubre balneazione»250, prova il biciclo, «un grottesco e
247 F. T. MARINETTI I futuristi volontari al fronte, in «Lo sport illustrato e la guerra», 15 febbraio 1916. 248 F.T. MARINETTI, La nuova religione-morale della velocità, Direzione del Movimento futurista, Milano 1916, e Lussuria velocità, Modernissima, Milano 1921. 249 L’opera venne ispirata dalla visione dello spettacolo grandioso offerto dal primo raduno aereo d’Italia, svoltosi a Montichiari, nel bresciano, tra il 9 e il 12 settembre 1909: assieme al Vate, vi assistono Franz Kafka e Giacomo Puccini. Cfr. G. SAVOLDO, Kafka e d’Annunzio nei cieli di Montichiari, in «LeN», a. V (1988), n. 1, pp. 48 ss. 250 Nelle Laudi del cielo, del mare, della terra e degli eroi (1903), d’Annunzio scrive: «Agili guizzavan nel gelo/i muscoli, all’impeto avverso/resistendo: ma d’improvviso/ per tutta la carne un’azzurra/ fluidità mi rincorse/ e i muscoli furon su l’ossa/ come i fili dell’acqua/ turgidi contra le selci».
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antidiluviano ordigno, progenitore della bicicletta»251, e sono gli anni in cui i governi
delle città sono ancora dubbiosi se sia il caso di ammettere le pedalate nei centri
storici252, si cimenta nella scherma e nell’equitazione.
Ai tempi dell’impresa viennese dell’agosto 1918 ha già elaborato uno scudetto
bianco-rosso-verde conformato nella foggia sannitico-antica che, dopo varie
vicissitudini, verrà fatto proprio dalla Nazionale di calcio a partire dal 27 aprile 1947
e che assurgerà a icona della conquista del titolo di campione d’Italia.
Il programma di rigenerazione nazionale va contemplando il primato della
ginnastica sul libro, il predominio della forma fisica sulla coltivazione intellettuale.
Durante la reggenza italiana del Carnaro, garantita dalla costituzionale Carta
omonima, nel capitolo «Dell’istruzione pubblica» è inserito anche lo sport, mentre
nel capitolo «Dei fondamenti» si legge che gli Statuti avrebbero dovuto garantire a
tutti i cittadini d’ambedue i sessi «l’istruzione corporea, palestre aperte e fornite», cui
avrebbe dovuto provvedere un «Provveditore ai diporti e alle gare».
Cadute le resistenze cattoliche e socialiste, che avevano alimentato la sua
iniziale separatezza, il fenomeno sportivo si avvia a partecipare della nuova cultura di
massa fatta di istruzione, di comunicazione, di urbanizzazione e della giornata
lavorativa di otto ore. La dinamica è sintonizzata sulle nuove esigenze culturali e sui
nuovi valori e modelli. Velocità e audacia, giovanilismo e dinamismo si integrano
sempre meglio con gli statuti e gli obiettivi sportivi: ambizione primatistica, ruolo
251 Sulla nascita e l’evoluzione del fenomeno ciclistico, si rimanda al § 2.2; per quanto riguarda le sue connessioni con la stampa sportiva, si veda il § 9.2. 252 G. VERGANI, Meglio convien credere al corpo che all’anima, in Il piacere del corpo: D’Annunzio e lo sport, Electa, Milano 1999, pp. 14-15.
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dell’alea, ansia recordistica, velocità e misura, compiacimento agonistico.
Si comincia a distinguere tra esercizio-salute ed esercizio-prestazione, tra chi intende
praticare la ginnastica per vivere e chi vive per praticare lo sport.
Le prime iniziative fasciste in tema di educazione fisica scolastica, di
addestramento preliminare e di promozione dello sport agonistico rivelano, anche se
contraddittoriamente, una centralità nel proprio programma politico. Contrariamente
alle sue precedenti teorizzazioni pedagogiche tese a considerare in senso unitario
educazione intellettuale ed educazione morale, educazione dello spirito ed
educazione del corpo253, Gentile opta per una soluzione che assegna una prevalenza
degli sport sulla ginnastica254 e un’amministrazione attribuita, fuori dalla scuola, ad
un ente esterno255. Contrari rimangono sia i sostenitori di una educazione fisica basata
sulla ginnastica e completata dagli sport, gestita dal ministero della pubblica
istruzione, sia i fautori di un’educazione fisica a indirizzo militare, amministrata
dall’esercito.
Quella che si può chiamare la trasformazione autoritaria di una nazione non
ancora nazionalizzata passa anche attraverso la pratica sportiva: dalla traslazione, al
sistema sportivo, del modello centralistico e burocratico del sistema statale, alla
omologazione consensuale delle organizzazioni sportive alla stregua delle altre
organizzazioni fattrici di propaganda e di mobilitazione256.
253 G. GENTILE, La riforma dell’educazione. Discorsi ai maestri di Trieste, Laterza, Bari 1920. 254 Sulla nascita del movimento ginnastico si torni al § 1.3. 255 Si tratta dell’Enef istituito con r.d.l. 15 marzo 1923, n. 684. 256 Cfr. B. CORREA, Fascismo e sport, in «PI», 2 aprile 1924.
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Il regime fascista incentiva la dimensione nazionalistica e competitiva dello
sport per accelerare il processo di identificazione enfatica257, per portare a
compimento una nazionalizzazione che la guerra e la vittoria mutilata hanno lasciato
incompiuta e senza rapporto con la democrazia.
Le ragioni metodologiche e politiche sono rintracciabili nei lavori della
commissione presieduta dal generale Grazioli e insediata da Mussolini nel settembre
del 1925 per lo studio di un progetto relativo all’ordinamento dell’educazione fisica e
della preparazione militare del Paese. Le finalità pre e paramilitari risultano chiare nel
concorso ginnastico organizzato a Milano nel 1928 per celebrare il decennale della
Vittoria: sulle pedane e sulle piste si gareggia anche nel lancio delle bombe e nelle
gare d’assalto ovvero nei percorsi di guerra.
La pratica fisica e sportiva viene ormai collocata all’interno delle
organizzazioni del regime non solo nelle strutture premilitari quali la milizia
volontaria sicurezza nazionale (Mvsn)258, ma anche nell’opera nazionale dopolavoro
(Ond)259, nei fasci giovanili di combattimento (Fgc), nei gruppi universitari fascisti
(Guf)260 e nell’opera nazionale balilla (Onb)261.
257 Viva l’Italia, Annuario italiano del Giuoco del calcio, 1929, p. 15. 258 Istituita con r.d.l. 14 gennaio 1923 n. 31, la Mvsn ricevette nell’agosto 1924 compiti speciali nell’istruzione premilitare, un campo nel quale l’attività fisica aveva particolare importanza (G.A. CHIURCO, L’educazione fisica nello stato fascista. Fisiologia e patologia chirurgica dello sport, Tip. S. Bernardino, Siena 1935). L’obbligatorietà dell’istruzione premilitare per tutti i cittadini fino ai diciotto anni sarà riconosciuta solo nel 1930, mentre nel 1934 sarà affermato il concetto che «l’addestramento militare è parte integrante dell’educazione nazionale» («La scuola fascista», n. 12, 1934). 259 L’Ond, istituita con r.d.l. 1 maggio 1925 n. 582, alle dirette dipendenze del Ministero dell’economia nazionale, è presieduta da Mario Giani fino ai primi di aprile 1927. Achille Starace, commissario straordinario dell’Ond dal 1930, assegna alla pratica ginnica e sportiva un ruolo decisamente centrale rispetto all’istruzione, alla formazione e all’educazione. (Cfr. A. STARACE, L’Opera Nazionale Dopolavoro, Mondadori, Milano 1933). 260 Nell’estate del 1930 il Guf può contare 28.000 federati, mentre alla vigilia della guerra – secondo le fonti fasciste – i Guf saranno novantadue per un totale di centomila studenti. Cfr. L. LA ROVERE, Storia dei Guf, Bollati Boringhieri, Torino 2003. 261 L’Onb per l’assistenza e l’educazione fisica e morale della gioventù dagli otto ai diciotto anni (8-14 balilla, 14-18 avanguardisti), alle dirette dipendenze della Presidenza del Consiglio dei ministri, è istituita con Legge del 3 aprile 1926
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Si registra una crescita di organi e istituzioni collaterali che estendono l’attività
del Pnf non solo nel campo assistenziale, educativo, scolastico e sindacale, ma anche
in quello sportivo, al fine di formare l’“italiano nuovo” attraverso il “fascista
integrale”262.
Lo sport è ormai considerato uno strumento straordinariamente capace di
incentivare i processi di identificazione nazionale. L’immagine dinamica ed
aggressiva del popolo italiano, secondo il regime voglioso di offrire la propria
corporeità e il proprio temperamento sportivo alla politica di affermazione e di
espansione, diventa l’icona veicolata.
Attraverso le regole, la disciplina e il sacrificio – strutture portanti dell’attività
sportiva – i giovani e i cittadini sono educati a vivere e a morire per l’ideale
patriottico fascista, in una sorta di mistica nazionale.
Negli anni trenta l’Italia come Nazione Sportiva, guidata da un Mussolini che
al volante di un’Alfa Romeo, il 24 maggio 1931, ha inaugurato la pista
automobilistica dell’aeroporto di Littoria, conquista un posto di assoluto rilievo nel
concerto europeo e internazionale263.
n. 2247. Primo presidente è il carrarese Renato Ricci, che governa l’ente fino al settembre 1937. Destituito Ricci da Mussolini, nasce la Gioventù Italiana del Littorio (Gil), istituita con r.d.l. 27 ottobre 1937 n. 1839, alle dirette dipendenze del Pnf. 262 Cfr. Perché lo sport deve essere controllato dal Partito, in «RF», 19 dicembre 1926. 263 A dare un’immagine vincente dell’Italia mussoliniana non ci sono solo le vittorie della Nazionale di calcio (Roma 1934 e Parigi 1938), le vittorie ciclistiche (Girardengo, Binda, Guerra, Bartali), quelle automobilistiche (Ascari, Varzi e Nuvolari, e dal 1927 le Mille Miglia), le imprese aviatorie (Italo Balbo e F. De Pinedo) e il titolo mondiale di boxe di Primo Carnera che, prima di combattere con Jack Sharkey il 29 giugno 1933, dichiara: «So che potrò essere ricevuto dal Duce se porterò in Italia lo scettro di campione. Per realizzare questa mia aspirazione darò tutto me stesso e vincerò». (Sul punto, cfr. G.V. FANTUZ, I. MALFATTO, Mio padre Primo Carnera, Sep, Cassina de Pecchi 2002, p. 76. Cfr. anche G. GIOVANARDI, Primo Carnera mette knock-out Sharkey, «GdS», 2 luglio 1933). È l’intero sistema sportivo, come dimostrano i piazzamenti ottenuti ai Giochi olimpici tenutisi nel 1932 a Los Angeles (seconda dopo gli Stati Uniti) e nel 1936 a Berlino (terza, dopo Germania e Stati Uniti). Il transatlantico “Rex” conquista nel 1933 l’Oceano Atlantico. Il cavallo Nearco vince il Gran Premio a Parigi.
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Unica nota, per così dire, stonata sarà il volo su Roma del giovane poeta Lauro
De Bosis, decollato il 3 ottobre 1931 da Marsiglia con il suo Messerschmitt
“Pegasus” per lanciare manifestini antimussoliniani e diffondere dal cielo, sfidando il
maresciallo fascista dell’aria Italo Balbo, quelle parole di libertà che latitavano ormai
da sette anni264.
§ 5.3 Verso la Nazione belligerante
La “Nuova Italia” vagheggiata dal fascismo mussoliniano appare viva,
competitiva, vincente; non aveva più nulla a che fare con gli emigranti, i poveri, i
malati, gli affamati. Le vittorie sportive dimostrano la superiorità della nazione
fascista sulle nazioni liberali. Nasce il campionismo265 come ideologia del primato.
Un’ideologia, quella del professionismo, cui pochi – durante il regime fascista –
cercano di opporsi. Tra questi, il conte Alberto Bonacossa che, assertore della
pericolosità del professionismo «dannosissimo alla Nazione», tende a tenere distinte
l’educazione fisica per le masse dalla preparazione agonistica per i “super-atleti”
dell’olimpismo. La forza sportiva di una nazione è data – secondo il pensiero del
nobile liberale – specialmente dalla massa dei buoni atleti, non dal numero delle sue
vittorie olimpiche. Nonostante queste critiche, gli atleti vittoriosi (i “soldati dello
sport”) diventano i migliori ambasciatori politici del regime che si attribuisce per
intero il merito delle vittorie, avendo sostenuto perfino con una tombola nazionale di 264 L. DE BOSIS, Storia della mia morte, «Times», 5 ottobre 1931. 265 Cfr. F. CHISARI, Mass-Sports versus ‘Campionismo’ in Fascist Italy, in Sport and Education, pp. 280-6.
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cinque milioni la partecipazione dei Mussolini’s boys alle olimpiadi di Los
Angeles266.
La Vittoria si aggiunge alla mitologia di regime che già può contare sul Duce,
la Patria, la Famiglia e la Romanità. Perfino la sconfitta sportiva, subita il 14
novembre 1934 dalla nazionale di calcio ad opera di quella inglese, viene trasformata
dalla stampa di regime (compreso il radiocronista Niccolò Carosio) in una vittoria
morale dei “leoni di Highbury”267 sui perfidi rappresentanti di Albione.
In contrapposizione alla figura tradizionale del politico «pallido in volto, stretto
di spalle e largo di pancia»268, viene costruito il mito del Duce uomo di sport269.
Lando Ferretti racconta come Mussolini non avesse da giovane particolari attitudini o
passioni per la pratica sportiva ma, in seguito, «il suo temperamento irruente, l’amore
per tutto ciò che avesse uno sfondo agonistico, ed anche una certa dose di
esibizionismo» lo portarono a seguire incontri di boxe e a guidare automobili, a fargli
fare esperienze come cavaliere e spadaccino. Per Ferretti, dunque, «il Mussolini
sportivo nacque con il trionfo del fascismo»270. «Il suo torso è possente – si legge in
una delle tante descrizioni del gigante fra i pigmei – le braccia atletiche. Sembra fatto
per abbattere e per stritolare; e su questo rigoglio di muscoli e di nervi… noi
sentiamo che nessuno può vincerlo»271. Di qui le sue imprese nelle più svariate
discipline, esclusa la bicicletta: equitazione, sci, nuoto, scherma, motori. Di qui gli 266 «GdS», 14 febbraio 1932. 267 La gara, giocata nel mitico stadio londinese dismesso nel 2006, vide gli inglesi padroni di casa avanti per 3-0 dopo appena 12 minuti, con due reti di Brook e una di Drake, prima di essere quasi raggiunti dagli italiani, in dieci fin dal 4’ a causa dell’infortunio di Luisito Monti, con due reti di Meazza. Eroe della giornata fu il portiere italiano Ceresoli, capace anche di neutralizzare un calcio di rigore di Brook dopo appena un minuto di gioco. 268 FULCA, L’atleta parla agli atleti, «Il Ginnasta», a. I, n. 1, 1934. 269 Cfr. Mussolini e lo sport, Paladino, Mantova 1928. 270 L. FERRETTI, Il libro, p. 95 271 A. COTRONEI, Cesare gladiatore, in «PI», 28 ottobre 1934.
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appelli non solo al «cervello calcolatore e alla mente che ragiona», ma anche ai
«muscoli saldi e ai garretti di acciaio»272. Di qui la difficoltà a trovare, perfino nelle
partite a tennis a Villa Torlonia, un qualche malcapitato disposto a incrociare la
racchetta con lui che, alla vigilia del suo improvvido «Tireremo dritto», si rifiutava a
colpire la pallina di rovescio.
Ci sono, ormai, tutte le premesse perché la Nazione sportiva, che è arrivata
seconda a Los Angeles (1932) e terza Berlino (1936)273, si trasformi in Nazione
armata e di lì a poco (tra la guerra d’Africa e l’Asse) in Nazione belligerante274.
§ 5.4 Lo sport fa gli italiani
Il 25 aprile 1945 riconsegna agli italiani il calcio, che pure era stato presente,
durante i bombardamenti275, nei campi di concentramento276 e il campionato277 (che
pure si era disputato tra mille difficoltà), ma anche un sistema sportivo appesantito
dall’uso ventennale fattone dal regime e una dimensione, quella agonistica, snobbata
da gran parte dell’intellettualità che l’aveva definita un falso ideale. Di qui la fortuna
dello slogan antifascista «se lo sport è salute viva la tubercolosi» che deve aver
272 Cfr. Quarant’anni di olimpiadi moderne. 1896-1936, supplemento a «GdS», 19 luglio 1936, p. 59. 273 Sulle due edizioni olimpiche si veda il § 3.1. 274 B. ROGHI, Lo sport è un’arma, «GdS», 16 maggio 1940. 275 Cfr. «Il Secolo XIX», 10 febbraio 1941. 276 P. LEVI, La tregua, Einaudi, Torino 1963. 277 Alla ripresa, nella stagione 1945-’46, a imporsi è ancora la squadra granata, al termine di un girone finale comprendente le quattro migliori classificate dei tornei “alta Italia” e “centro–sud”. Nel 1944 si era disputato un “campionato di guerra dell’Alta Italia”, vinto dai Vigili del Fuoco di La Spezia, motivo per il quale attualmente la formazione spezzina può vantare sulle maglie uno scudetto celebrativo.
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influito sui nostri padri costituenti, se è vero che nella nostra Costituzione non c’è un
solo accenno allo sport278.
A ridare centralità nazionale al sentimento sportivo provvide il “ciclista di Dio”
col berrettino tricolore, Gino Bartali279. Vincendo il Tour del 1948 Bartali contribuì
infatti a non far precipitare la spaccatura politica e sociale conseguita all’attentato del
leader comunista Palmiro Togliatti, compiuto mercoledì 14 luglio dal venticinquenne
siciliano Antonio Pallante. Il giorno dopo l’attentato, il trentaquattrenne ciclista
italiano staccò nettamente belgi e francesi sull’Izoard e unì i tifosi divisi
politicamente.
L’Italia appena sconfitta non aveva molte risorse e approfittava di quelle rare
occasioni che, come quella bartaliana dell’estate del ’48, permetteranno
un’identificazione collettiva in positivo, o che, come quella del disastro aereo di
Superga del 4 maggio 1949, riusciranno nella tragedia a far sentire più uniti chi, l’8
settembre 1943, si era diviso e combattuto.
Il sistema sportivo post-bellico veicola a livello internazionale l’immagine di
una nazione in fase di ricostruzione. Fu Fausto Coppi280 – “Campionissimo” con la
maglia bianco celeste, primo a vincere nello stesso anno i due grandi giri – a
diffondere tale immagine; almeno fino alla sua tragica fine (2 gennaio 1960), il
quarantenne abituato a stare «solo al comando» ha alimentato una leggenda di
invincibilità. 278 Un riferimento implicito è contenuto solo nell’art. 117 dedicato alle competenze delle Regioni. 279 Il campione aveva contribuito al salvataggio di molti ebrei toscani, ai quali aveva distribuito salvacondotti nascosti nella canna della bicicletta con la quale si spostava per centinaia di chilometri dichiarandosi “in allenamento”. Cfr. M. GUGLIELMI, Un naso in salita, Rai-Eri, Roma 2002 e L. TURRINI, Bartali. L’uomo che salvò l’Italia pedalando, Mondadori, Milano 2004. 280 Un uomo solo. Vita e opere di Fausto Coppi, a cura di G. Casadio e L. Manconi, Piùlibri, Milano 1979.
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Coppi affiancato a Bartali, la Ferrari duellante con l’Alfa Romeo, la Vespa
contrapposta alla Lambretta, le squadre del campionato in lotta tra loro: tutti dualismi
dovuti, oltre alle differenze culturali e alle lotte politiche, alla volontà repubblicana di
parteggiare, di appassionarsi liberamente, di vivere nel pluralismo.
Nel primo ventennio della ricostruzione economica e del radicamento
democratico, delle migrazioni interne e del boom industriale, lo sport contribuì alle
nuove dinamiche di nazionalizzazione attraverso la passione (non esclusa quella per
la schedina del Totocalcio281) e il sentimento di appartenenza (capace di conciliare
militanze partitiche e scelte romantiche, provenienze geografiche e nuove identità)282.
Tempo libero, loisir e american way of life hanno favorito la stagione favolosa
della socialità sportiva degli anni Sessanta. Tra il 1968 (titolo europeo) e il 17 giugno
1970 (semifinale messicana) esplose una felicità di massa fatta di socialità patriottica
che portò nelle piazze bandiere tricolori, inni e simboli dell’identità nazionale, che
troverà il suo culmine nel titolo mondiale del luglio 1982, per rinnovarsi dopo
ventiquattro anni. Il primato conquistato in Spagna283 permise una nuova sineddoche:
la squadra nazionale di calcio diventa la Nazionale, e quindi quell’Italia finalmente
“tutta intera” anticipata qualche anno prima da Francesco De Gregori in Viva l’Italia
(1979).
281 Sul concorso a pronostici, retro (§ 4.2). 282 Censis, I consumatori di calcio. Miti, abitudini e attesa del “popolo” calcistico, Roma 1989. Si tratta di una ricerca commissionata dalla Figc. 283 Sul Mundial iberico si veda il § 6.3.
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La spettacolarizzazione del tifo284 per le rappresentative nazionali (dalla Ferrari
ad Azzurra e Luna Rossa nella vela), e la sua dilatazione all’esterno dei recinti
tradizionali e dei luoghi deputati, come i caroselli di automobili con i loro clacson, se
non autorizzavano eccessive estensioni del concetto di nazionalizzazione, certamente
permettevano di considerarle manifestazioni simboliche di una voglia di condividere
gli eventi non politici.
Verso l’ultimo decennio del secolo, la questione sportiva – fuoriuscendo
definitivamente dai recinti separati e dai settori riservati – si è intersecata, per un
motivo o per l’altro, con la vita nazionale, mobilitando quotidianamente passione e
intelligenza, salvo alcune espressioni critiche di alcuni intellettuali di Capalbio che,
nel 1990, decisero di isolarsi nella cittadina toscana per evitare eccessive
contaminazioni con i campionati mondiali di calcio.
Lo sport diventa più che mai uno degli strumenti definitori di una identità
nazionale progressivamente mortificata dal terrorismo, dai fenomeni mafiosi, da
“tangentopoli”285.
284 Il primo inserimento del termine in un dizionario avvenne nel 1935, nel Dizionario moderno di Alfredo PANZINI. Secondo il Dizionario etimologico della lingua italiana (Zanichelli) il termine “tifosi” sarebbe comparso in una cronaca del «Resto del Carlino» del 1929. Secondo Gramsci, venuta a mancare una vita politica, sono rinati i campanilismi, ragione per la quale bisogna distinguere il “tifo sportivo” dal “tifo campanilistico sportivo”. A. GRAMSCI, Sull’apoliticismo del popolo italiano, Quaderno 9 (1932), in Quaderni dal carcere, a cura di Valentino Gerratana, Einaudi, Torino 1977, vol. II, p. 1117. Il termine “tifo” è stato rintracciato nei primissimi anni ’20 in giornali pugliesi, che riportavano il gergo degli spalti. Qualcuno ha voluto proporre un’origine colta, dal greco typhos (fumo, vapore, stordimento, febbre). Tifo violento nel calcio, in «Lo sport fascista», n. 7, luglio 1930. Il primo libro che inserisce il termine nel titolo stesso è Tifo sportivo e i suoi effetti, Quaderni di poesia, Milano 1935, di N. PINO, medico siciliano e intellettuale futurista prima e anarchico poi. 285 Sul punto, § 6.3.
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6. La mondializzazione del “gioco più bello”
Non c’è bisogno che tu sappia sul calcio molto più di quello che sai già.
Da ragazzo non hai giocato? (Pier Paolo Pasolini)
Il calcio – le cui regole erano state definite nelle riunioni che si protrassero tra
il 26 ottobre e l’8 dicembre 1863 alla Free Mason Tavern di Londra286, dando vita
alla Football Association287 – negli anni Trenta del Novecento, è diventato un
fenomeno internazionale. Da un paio di decenni, se si eccettua la pausa bellica, si
svolgono con regolarità incontri tra le selezioni delle varie nazioni: i tempi sono
dunque maturi per organizzare una competizione che metta di fronte le varie scuole
mondiali, individuandone la gerarchia e le caratteristiche nazionali288.
§ 6.1 La coppa (di) Rimet
L’inventore della manifestazione calcistica più importante è Jules Rimet289 che
dà il nome alla coppa290, premio per la squadra “campione del mondo”, con la
286 Otto anni dopo, il 26 gennaio 1871, anche il rugby costituisce la sua Union tra i venti club londinesi, in un incontro al Pall-Mall Restaurant. Cfr. G. TOGNETTI, Rugby: da una città uno sport, Cappelli, Rocca S. Casciano 1969, p. 4. 287Secondo MELVYN BRAGG (Twelve British book that changed the world, Hodder & Stoughton, London 2006) il Book of the Rules of Association Football rientra nei «dodici libri inglesi che hanno cambiato il mondo». Della lista di Bragg fanno parte la Magna Charta (1215), The king James Bible di William Tyndale (1611), The first folio di William Shakespeare (1623), Principia matematica di Isaac Newton (1687), Patent specification for Arkwright’s spinning machine di Richard Arkwright (1769), An Inquiry into the nature and causes of the wealth of nations di Adam Smith (1776), On the abolition of the slave trade di William Wilberforce (1789), A vindication of right of the woman di Mary Wollstonecraft (1792), Experimental researches in electricy di Michael Faraday (3 voll, 1839, 1844, 1855), On the origin of species di Charles Darwin (1859) e Married Love di Marie Stopes (1918) 288 Cfr. A. WAHL, La ball au pied. Histoire du football, Gallimard, Paris, 1990-1993, tr. it. Il calcio. Una storia mondiale di C. Montrésor, Electa/Gallimard, Trieste 1994, pp. 59-61. 289 Jules Rimet (1873-1956) inizia la scalata professionale negli ambienti del cattolicesimo sociale. Iscrittosi alla Democrazia Cristiana, individua nel calcio un veicolo di emancipazione, tanto da fondare in successione la squadra del Red Star nel 1897, la Lega francese nel 1910 e la Federazione nel 1919. Nel 1921 assume la presidenza della federazione mondiale, la Fifa, da cui si dimetterà due anni prima della morte. Convinto assertore del professionismo, propugna il principio che «chi gioca al calcio deve potersi guadagnare di che vivere». 290 Statuetta di circa 4 chilogrammi di oro massiccio, alta trenta centimetri, realizzata dall’orafo parigino Abel La Fleur per effigiare la vittoria alata. Dopo l’assegnazione definitiva, avvenuta in Messico nel 1970, è stata sostituita dalla
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clausola che il trofeo sarà assegnato definitivamente alla nazionale che, per prima,
riuscirà nell’impresa di conquistarlo tre volte.
L’Italia non partecipa alla prima edizione, offesa dall’assegnazione dell’evento
a favore dell’Uruguay che, nel 1930, celebra il centenario dell’indipendenza
autodefinendosi «il padre del football perché tutti sanno che la madre è
l’Inghilterra»291. La genitrice, però, giudica superfluo confrontarsi con le squadre
delle altre nazioni che, a suo giudizio, non potranno mai raggiungere i livelli degli
inventori del calcio292. Con maglie di lana pesantissime, pantaloni lunghi fino al
ginocchio e scarpe alte per proteggere le caviglie dai pericolosissimi tacchetti
inchiodati, si arriva alla prima finalissima: si affrontano Uruguay e Argentina. Il 30
luglio lo stadio del “Centenario” di Montevideo si tramuta in una bolgia, con i tifosi
ospiti a minacciare «Argentina o muerte»: l’arbitro John Langenus, dopo aver subito
minacce e intimidazioni, pretende un’assicurazione sulla vita per fischiare l’inizio,
prima del quale stabilisce di far giocare un tempo con il pallone argentino e l’altro
con quello uruguagio. Finisce 4-2 per i padroni di casa, con Langenus a dirigere gli
ultimi minuti vicino all’uscita, nel timore di perdere il piroscafo italiano “Duilio” che
sarebbe dovuto partire un’ora dopo per l’Europa293. Il giorno seguente, in Uruguay,
viene ufficialmente proclamata la festa nazionale, mentre in Argentina si registra un
attacco fanatico all’ambasciata rivale.
celebre coppa a 18 carati realizzata dall’italiano Silvio Cazzaniga: l’originale di questo trofeo dovrà essere sempre rimesso in palio. 291 Cfr. G. BRERA, Il calcio azzurro ai Mondiali, Campironi, Milano 1974, p. 20. 292 Cfr. G. SAVOLDO, Predominio uruguaiano, in «LeN», a. VI (1989), nn. 1-2-3, pp. 56-58 e P. OGLIOTTI, A. RUSSO, Storie sacre. Dalla creazione alla fine del millennio, a cura di Romano Bretti, in «LeN», a. XV (1998), n. 1, pp. 70 ss. 293 F. PARIGI, 1930-2006 anni mondiali. Da Montevideo a Berlino, Curcu & Genovese, Trento 2006, pp. 35-6.
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L’organizzazione del mondiale l’Italia la ottiene quattro anni dopo. A volerla è
il fascismo che, per dirla con termini più moderni, concepisce l’evento come il più
efficace strumento di marketing per il regime294.
L’Italia, guidata dalla panchina dall’ex ufficiale degli alpini Vittorio Pozzo295,
vanta una formazione validissima, rafforzata dagli “oriundi” che il regime preferisce
chiamare “rimpatriati”296: «costoro, sudamericani per lo più argentini, venivano
considerati prova tangibile di come l’Italia era cambiata: un tempo, ingrata, lasciava
partire i propri figli; oggi, rinata, li riaccoglieva a braccia aperte»297. La stella è
Giuseppe Meazza, soprannominato balilla per le sue convinzioni politiche, sincere da
parte del campione ma, di certo, enfatizzate dal regime attraverso l’Eiar, l’ente
radiofonico statale che diffonde le cronache anche all’estero.
In squadra ci sono Amedeo Biavati, tre volte campione d’Italia con il Bologna,
inventore del celebre “passo doppio”, tanto apprezzato da Pasolini298, e Giovanni
Ferrari, destinato al record di calciatore italiano più titolato e onorato attraverso l’aula
magna del Centro tecnico federale di Coverciano.
Gli azzurri arrivano in finale, favoriti anche dagli arbitraggi che hanno
ignorato, nei quarti, una trattenuta al portiere Zamora in occasione del gol di Ferrari
294 Cfr. F. CHISARI, Un’organizzazione “parfaite”. Il Campionato del Mondo di Calcio del 1934 secondo la stampa di regime, in Sport e Culture, vol. II, pp. 555-568. 295 Sull’allenatore due volte campione del mondo, si veda M. GRIMALDI, Vittorio Pozzo. Storia di un italiano, Società Stampa Sportiva, Roma 2001. 296 Il primo oriundo a vestire la maglia della Nazionale italiana è stato l’argentino di Santa Fè Julio Libonatti, centravanti del Torino, in Cecoslovacchia-Italia 3-1, giocata a Praga il 28 ottobre 1926. Ma l’oriundo più noto è il calciatore-violinista Raimundo Mumo Orsi, nato a Buenos Aires nel 1901, autore di tre reti nel mondiale italiano del 1934. 297 Cfr. L. ROSSI, La coppa del Duce, in «LeN», a. VI (1989), nn. 1-2-3, pp.58-63. 298 Cfr. V. PICCIONI, Quando giocava Pasolini, Limina, Arezzo 1996, p. 22.
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alla Spagna e, in semifinale299, un fallo in area di Monti, in difesa dell’1-0,
sull’austriaco Matthias Sindelar, leader del “Wunderteam”300. Così, tra fattore campo
e favore politico, l’Italia arriva a giocarsi e ad aggiudicarsi in un sol colpo la Coppa
Rimet301 e la ben più fisicamente consistente “Coppa del Duce”, messa in palio
dall’ospitale governo e contesa in finale all’ostica Cecoslovacchia.
Gli azzurri riusciranno nell’impresa più difficile: confermarsi nella vittoria.
Due anni dopo, ai Giochi di Berlino, Vittorio Pozzo offre all’Italia la (finora unica)
medaglia d’oro olimpica calcistica302: i campioni in carica sono considerati gli
avversari da battere, non solo sportivamente, nella terza edizione del campionato
mondiale che, finalmente, Jules Rimet riesce a organizzare nella sua Francia.
Hitler aveva già invaso l’Austria, aspramente disapprovato dal morente
Gabriele d’Annunzio303: il Vate, prima di spegnersi il primo marzo 1938 a Gardone,
compone un epigramma rivolto all’odiato leader dei tedeschi, contro i quali aveva
aspramente combattuto nella grande guerra304.
Per la seconda Rimet, a Vittorio Pozzo resta il preoccupante e perentorio
monito di Mussolini: «Vincere o morire»305, che lascia ben presagire grandi onori in
299 È il 3 giugno, si gioca allo stadio San Siro di Milano: assistono 45.000 spettatori, per un incasso record di 810.000 lire. Benito Mussolini si fa fotografare mentre acquista il biglietto d’ingresso, ponendosi come esempio che però non è raccolto da molti tifosi, che saltano le recinzioni pur di assistere, senza pagare, all’importantissima partita. Cfr. G. MINA’, D. PASTORIN, Storie e miti dei Mondiali. Varela, Pelè, Maradona, Baggio e altre meraviglie, Panini, Modena 1998, p. 21. 300 Sindelar detto “Papieren” (“cartavelina”), centravanti della sua nazionale, morirà suicida il 23 gennaio 1939 dopo l’occupazione austriaca da parte della Germania nazista, avvenuta il 12 marzo 1938. 301 Dal 1980, cioè da quando si disputa in gara unica a Tokio, anche la Coppa Intercontinentale (competizione che laurea la squadra “campione del mondo per club”, contrapponendo le formazioni vincenti dei più importanti tornei di Europa e Sudamerica) è affiancata dal trofeo dello sponsor, la “Tojota Cup”. Alla competizione sono state recentemente ammesse anche le vincitrici delle coppe delle altre confederazioni. 302 Per un successivo alloro, ma di minor pregio, si dovrà attendere il bronzo ateniese del 2004. 303 La figura del Vate sportivo è delineata nel § 5.2. 304 Cfr. P. CHIARA, Vita di Gabriele d’Annunzio, Mondadori, Milano 1978, p. 463. 305 Cfr. S. MARTIN, Football and Fascism. The National Game under Mussolini, tr. it. Calcio e fascismo. Lo sport nazionale sotto Mussolini, Mondadori, Milano 2006.
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caso di successo, ma ben altra accoglienza nell’ipotesi opposta. Anche l’accoglienza
del pubblico di Marsiglia, composto da francesi ed esuli italiani, è ostile, al punto che
Pozzo deve ordinare ai suoi, in maglia nera, di ripetere un fischiatissimo saluto
romano306. Il risultato di 4-2 sull’Ungheria a favore dell’Italia nella finale è
commentato dal giornalista Paolo Monelli: «Quando l’arbitro Capdeville fischiò la
fine, gli italiani ribollirono come il fango ardente di Pozzuoli»307.
§ 6.2 Calcio ludens e tensioni sociali
Dopo che l’aggettivo mondiale si era tragicamente tradotto nei 50 milioni di
morti del secondo conflitto, riprende la competizione calcistica tra le nazioni. Il 4
novembre 1945 la Dynamo Mosca dell’Urss sbarca in Inghilterra per una serie di
partite amichevoli308. Gli alleati di guerra, non ancora nemici, bene interpretano il
confronto tra la mentalità individualistica del football britannico e quella
collettivistica, fatta di ragnatele di passaggi, del calcio sovietico. Questa diversità
diventerà ben presto uno steccato e il confronto si sublimerà nella “guerra fredda”.
Nel 1950 si gioca in Brasile, che per l’occasione costruisce lo stadio più grande
mai visto, il “Maracanà” di Rio de Janeiro, capace di oltre duecentomila spettatori.
Non manca naturalmente il politico pronto a strumentalizzare: Getulio Vargas, che si
306 Leader della squadra italiana è Giuseppe Meazza, che era stato lanciato nel calcio, all’età di diciassette anni, dall’allenatore ebreo Arpad Weisz, vincitore di due titoli italiani con il Bologna e uno con l’Inter. Weisz morirà ad Auschwitz il 31 gennaio 1944. Sul tecnico ungherese, si veda M. MARANI, Dallo scudetto ad Auschwitz, Aliberti, Bologna 2007. 307 «CorS», 20 luglio 1938. 308 D. BOWNING, Passo votchka. Moscow Dynamo in Britain 1945, Bloomsbury 1999.
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presenta come “il padre dei poveri”309, critica i finanziamenti eccessivi. Il primo
mondiale del secondo dopoguerra registra l’Inghilterra clamorosamente eliminata dai
dilettanti statunitensi. L’Italia non ha molte possibilità, decimata dall’incidente aereo
del 4 maggio 1949 in cui aveva trovato la morte il Grande Torino310, la cui
formazione coincideva quasi totalmente con quella della Nazionale. A sorpresa, nella
gara decisiva del gironcino finale, in cui ai padroni di casa basterebbe un pareggio,
l’Uruguay batte in rimonta il Brasile sicuro della vittoria, e molti tifosi carioca,
disperati, si tolgono la vita311. Segnata per sempre è anche l’esistenza di Moacyr
Barbosa, portiere cui viene ingiustamente attribuita la responsabilità dell’insuccesso e
che, con patente pirandelliana, sarà interdetto persino alla visita delle successive
nazionali brasiliane312.
Nel 1954 i Mondiali si giocano nella prospera Svizzera, risparmiata dalle
barbarie belliche dalla sua storica neutralità. In campo c’è una squadra nettamente
superiore alle altre, l’Ungheria del “colonnello” Puskas, del vero attaccante Kocsis e
del finto centravanti Hidegkuti. I magiari rappresentano anche il primo esempio del
“dilettantismo di stato”, dopo la proclamazione, avvenuta nel 1949, della Repubblica
Popolare313. L’Ungheria surclassa tutti gli avversari, compresa la Germania Ovest,
battuta nella fase preliminare con un clamoroso otto a tre, ma non nella finale. La
309 F. WEFFORT, O populismo na politica brasileira, Rio de Janeiro 1978, p.22. 310 Sulla vicenda si veda il libro fotografico di E. PRANDI, Ora e per sempre. Un film di Vincenzo Verdicchi, Il Ponte Vecchio, Cesena 2005. 311 Cfr.A TRENTO, Sicumera brasiliana, in «LeN», a. VI (1989), nn. 1-2-3, pp. 67-73. 312 D. PASTORIN, L’ultima parata di Moacyr Barbosa, Mondadori, Milano 2005, su cui L. Mastrangelo in «LeN», a. XXI (2004), n. 3, pp. 86-7. 313 Cfr. M. SINIBALDI, Peccato ungherese, in «LeN», a. VI (1989), nn. 1-2-3, pp. 74-80.
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vittoria tedesca, sospettata di doping, rivitalizza un popolo annichilito dalla guerra
nazista.
L’anno seguente la competizione calcistica a livello internazionale viene estesa
alle formazioni di club, attraverso l’introduzione della Coppa dei campioni314,
riservata alle squadre europee vincitrici dei rispettivi campionati nazionali. Nasce la
manifestazione che più di tutte sarà destinata a influire nelle relazioni, non solo
sportive, tra le nazioni del vecchio continente315.
Il Mondiale svedese del 1958 conferma la tradizione scandinava di civiltà,
accoglienza e senso sportivo. Lo svolgimento dei campionati del mondo rivela la
maturità democratica di una nazione che saprà far convivere i due momenti – il
politico e lo sportivo – senza confonderli e scadere nelle strumentalizzazioni316.
L’Italia viene eliminata nelle qualificazioni dall’Irlanda del nord e il sottosegretario
alla Presidenza del Consiglio, Giulio Andreotti, denuncia il degrado dello sport
italiano, colpevole di affidarsi a troppi calciatori oriundi e stranieri317. La Svezia
gioca davvero bene, ma ancor meglio il Brasile che, questa volta, non fallisce
l’appuntamento con la storia. Tra i funambolici carioca spicca un giovane destinato,
314 Squadra vincitrice consecutivamente delle prime cinque edizioni (saranno nove complessivamente) è il Real Madrid, guidato dalla saeta rubia Alfredo Di Stefano, nato nel 1926 a Buenos Aires e considerato uno dei massimi interpreti di ogni tempo della disciplina calcistica. Conteso tra Real Madrid e Barcellona, che ne reclamavano la legittimità del trasferimento, si stabilì che giocasse alternativamente per le due squadre, decisione che causò lo sdegnato rifiuto dei catalani e la conquista di cinque titoli di campione europeo con i madridisti. 315 Negli anni Novanta la Coppa dei Campioni sarà denominata Champions League e allargata alle squadre classificate nelle prime posizioni dei vari tornei nazionali, perdendo il carattere distintivo di esclusività per i vincitori. Nel 1960-61 viene istituita la Coppa delle Coppe: la manifestazione, riservata alle vincitrici della coppa nazionale, ma spesso giocata dalle finaliste, in caso di contemporanea affermazione nel campionato nazionale, non è mai riuscita a raggiungere gli alti livelli, tecnici e di prestigio, della Coppa dei Campioni, ed è stata soppressa, con le formazioni vincitrici delle rispettive coppe qualificate per la Coppa Uefa. Quest’ultima competizione, che porta il nome della federazione calcistica europea che va considerata come federazione intermedia tra la Fifa e le singole federazioni nazionali, ha rappresentato un luogo di confronto interessante, visto il gran numero di partecipanti e la conseguente lunghezza del cammino per raggiungere la finale. 316 Cfr. S. GIUNTINI, Didivavapelé, in «LeN», a. VI (1989), nn. 1-2-3, p. 80. 317 G. ANDREOTTI, Salviamoci in corner, in «Concretezza», 6 giugno 1957.
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oltre quarant’anni dopo, a essere eletto dalla Fifa “calciatore del secolo”: Edson
Arantes do Nascimiento, semplicemente Pelè; insieme a lui i portentosi attaccanti
Didì e Vavà, in Italia (de)cantati in un celebre motivo del Quartetto Cetra, ma
soprattutto Mané Garrincha318, poeta del calcio cui la poliomielite aveva “regalato”
una gamba più corta dell’altra, rendendone imprevedibili le finte.
Il Brasile si conferma anche nell’edizione cilena del 1962, superando la
Cecoslovacchia in finale per 3-1. L’assegnazione del massimo torneo calcistico era
stata occasione, per il paese sudamericano, di compiere l’ormai improcrastinabile
adeguamento strutturale319: ma a farla da padrone sono ancora le ragioni della politica
e la propaganda, per aprire con molto anticipo le elezioni del 1964320. La Nazionale
italiana subisce i falli degli avversari padroni di casa e le intemperanze del pubblico,
offeso per il ritratto d’arretratezza economica e sociale del Cile dipinto dalla stampa
italiana, giudicato infamante e calunnioso.
Nel 1966 il football torna a casa, in Inghilterra, per celebrare la prima e unica
vittoria di maestri ormai non più tali: per battere in finale i sempre ostici tedeschi,
però, alla squadra britannica serve un aiuto arbitrale per decretare il gol su una palla
che, dopo aver colpito la traversa, ricade a terra senza aver superato la linea321. Ai
supplementari finisce dunque quattro a due per gli inglesi, sotto gli occhi della regina.
318 Campione dalla straordinaria umanità, che dimostrerà donando molto del suo denaro ai bisognosi e morendo in miseria, Garrincha sarà ricevuto con tutta la nazionale carioca dal Governatore di Rio, che intende celebrare i campioni del mondo regalando a ciascuno una villa a Copacabana. Garrincha rifiuta, chiedendo invece al politico di liberare un passero dalla gabbia. Cfr. D. PASTORIN, Ode per Manè, Limina, Arezzo 1996. 319 Il delegato Fifa cileno Carlos Dittborn, motivando la candidatura, aveva sentenziato: «Poiché non abbiamo nulla, faremo tutto», e in effetti vengono costruiti edifici, strade, parchi pubblici. Cfr. G. PARDO, Lampi su Santiago, in «LeN», a. VI (1989), nn. 1-2-3, p. 84. 320 V. NOTARICORDA, La grande corrida, in «L’E», n. 23, 1962. 321 In questi mondiali si videro per la prima volta immagini in replay, che però non consentono di stabilire la verità sul gol fantasma.
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Per gli italiani è soprattutto il Mondiale della vergogna, della Caporetto
calcistica più inopinata e infamante, tanto da trasformare il nome della modesta
avversaria vincitrice, la Corea del nord del (presunto) dentista trentunenne Pak Doo
Ik, in espressione d’uso comune indicante una pessima e ingiustificabile figura322.
Nel 1970, in Messico, paese già bagnato dal sangue degli studenti oppositori delle
Olimpiadi del 1968 di piazza delle Tre Culture, gli azzurri trovano l’occasione di
riscattarsi vincendo la partita assurta a icona stessa del football, un condensato
perfetto delle emozioni e dei valori umani, tecnici e fisici, propri del gioco del calcio:
Italiagermaniaquattroatre323.
Il profondo sforzo, fisico e psicologico, sarà pagato dall’Italia in finale, contro
un Brasile più forte e meno provato sul piano fisico. Non cessano le polemiche per
l’utilizzo, in staffetta con l’interista Sandro Mazzola324, del milanista Gianni Rivera325
soltanto negli ultimi sei minuti della finale: sul talento milanista pesava il giudizio di
Gianni Brera326, che, sarcastico, lo aveva definito abatino327, bello a vedersi ma
fragile, privo di consistenza e mal disposto ai recuperi difensivi.
322 L. RUSSI, Corea, Corea, in «LeN», a. VI (1989), nn. 1-2-3, p. 91. 323 La commedia «Italia Germania 4 a 3», di Umberto Marino, agli inizi degli anni Novanta ha raccolto consensi rappresentando il conflitto di sentimenti di un gruppo di ragazzi attraverso l’altalena di emozioni della semifinale del campionato mondiale messicano. Il soggetto è poi divenuto cinematografico. 324 Orfano del padre Valentino (morto a Superga nel 1949), Alessandro Mazzola detto Sandro si afferma nell’Inter, prima come attaccante e poi come mezzala, vincendo quattro scudetti, due coppe dei Campioni e due Intercontinentali. Più corridore di Rivera, è stato per questa sua dote preferito al numero dieci milanista – al quale viene anteposto anche nella finale del campionato del mondo di Messico 1970 – da Gianni Brera, che considera l’interista modello di «attaccante aggiunto». G. BRERA, Il mestiere del calciatore, Mondadori, Milano 1972, p. 191. 325 Nato il 18 agosto 1943, Rivera esordisce non ancora sedicenne in serie A, con l’Alessandria, il 2 giugno 1959. Passato subito al Milan, conquista una serie importantissima di trofei, tra i quali la prima Coppa dei Campioni del calcio italiano, nel 1963, guidando i rossoneri nella finale di Wembley vinta 2-1 sul Benfica della “pantera nera” Eusebio. Sul golden boy, si legga G. RIVERA, O. DEL BUONO, Dalla Corea al Quirinale, Rizzoli, Milano 1968. La formazione umana e calcistica di Rivera nell’oratorio salesiano è illustrata al § 3.1. 326 «Gioannbrerafucarlo», come egli stesso amava chiamarsi, nasce a San Zenone Po, in provincia di Pavia, nel 1919. All’età di trent’anni diventa direttore della Gazzetta dello Sport. Ha scritto Addio bicicletta (1964), Il corpo della ragassa (1969), Incontri e direttive (1974), Storia critica del calcio italiano (1975), Il mio vescovo e le animalesse (1984). Sulla vita del giornalista lombardo, si veda P. BRERA, C. RINALDI, Gioannfucarlo, Selecta, Pavia 2001.
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La Germania del 1974, dopo le Olimpiadi insanguinate due anni prima dal
terrorismo palestinese, vuole dimostrare di saper organizzare un Mondiale
inappuntabile e senza inconvenienti. Riuscirà anche a vincerlo, pur non essendo la
squadra migliore, ma questo era già accaduto anche in Svizzera. L’Italia arriva
dilaniata da contrasti politici ed efferate violenze, come il sequestro del magistrato
Sossi da parte delle Brigate Rosse e le stragi fasciste di piazza della Loggia a Brescia
e del treno Italicus. Cattolici e laici sono ai ferri corti per il referendum sul divorzio.
Gli insuccessi calcistici della Nazionale, frutto di uno spogliatoio non amalgamato e
spesso ribelle (clamorosa l’insubordinazione del centravanti Giorgio Chinaglia alla
propria sostituzione nella partita contro Haiti), per una volta passano in secondo
piano.
Almeno fino alla finalissima di Monaco di Baviera, è il mondiale di Johan
Crujff e dell’Olanda del calcio totale, fatto di tecnica, a differenza del modello
danubiano abbinata alla velocità, e dell’intercambiabilità di posizione dei giocatori328.
Nel 1978 in Argentina, dove la giunta militare aveva preso il potere il 24 marzo
1976, il mondiale è l’occasione per accreditare all’opinione pubblica internazionale
un governo illegittimo e dittatoriale, proprio mentre si sta macchiando della strage dei
desaparecidos. Le madri di Plaza de Mayo, pur orgogliose dello svolgimento della
327 Come spiega lo stesso Brera, è un «termine settecentesco – molto vicino – per dirla schietta – al cicisbeo; un omarino fragile ed elegante, così dotato di stile da apparire manierato e, qualche volta, finto». G. BRERA, Incontri e invettive, Longanesi, Milano 1974, p. 171. 328 Cfr. L. DI NUCCI, La rivoluzione arancione, in «LeN», a. VI (1989), nn. 1-2-3, pp. 98-101.
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competizione, si rivolgono direttamente ai calciatori ospiti, per ricordare loro la realtà
tristissima del proprio paese329.
Sulla panchina dell’Italia c’è Enzo Bearzot che ha cominciato a seminare per
un grande raccolto: la sua squadra arriva alle soglie della finalissima, vinta
dall’Argentina sull’Olanda ancora bella e incompiuta, accontentandosi della finale
per il terzo e quarto posto.
§ 6.3 Corsi e ricorsi
Per competere nel mondiale spagnolo, quattro anni dopo, Bearzot vuole la
coesione e preferisce Franco Selvaggi, dal carattere gioviale e amichevole, al più
quotato ma meno conciliante centravanti Roberto Pruzzo. Il primo girone, a Vigo, è
deludente: tre pareggi, l’ultimo dei quali, con il Camerun, “sospetto” per la banalità
dell’errore che consente il gol azzurro. Si parla di Mundialgate330: la squadra si
chiude nel “silenzio-stampa”331, un isolamento dal mondo esterno praticamente
totale, visto che l’unico deputato alle interviste è il capitano Dino Zoff, friulano
329 Non dimenticate il volto triste di questo Paese, in «L’Unità», 1 giugno 1978. 330 O. BEHA, R. CHIODI, Mundialgate, Pironti, Milano 1984. 331 Cfr. M. SINIBALDI, Silenzio, si trionfa, in «LeN», a. VI (1989), nn. 1-2-3, pp. 106-110.
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taciturno ai limiti del mutismo332. La scelta iberica di silenzio accompagnerà
l’invincibile cavalcata azzurra fino al titolo.
I sei gol con cui Pablito, come l’attaccante viene chiamato alla spagnola,
conquista la classifica dei cannonieri del mondiale e il “Pallone d’Oro”333,
appartengono alla memoria della nazione sportiva. «Eroici», titola il giorno dopo il
Corriere dello Sport334. La stampa italiana, con un provvido revisionismo, cancella
tutti i giudizi fallimentari della prima fase. Il presidente della repubblica Sandro
Pertini, fino a quel momento totalmente a digiuno di calcio, festeggia i gol in piedi,
icona del made in Italy finalmente affermato nel panorama internazionale.
Nell’edizione del 1986, vinta dall’Argentina, l’Italia calcistica non si ripete,
eliminata in Messico dalla Francia. Diego Armando Maradona335 protesta
vivacemente con la Fifa per la decisione incosciente, ma lucrativa, di far giocare le
partite sotto il sole battente del mezzogiorno messicano, orario coincidente con la
prima serata televisiva europea. Il suo atteggiamento segna l’inizio di una polemica
con il governo del calcio. Nella sfida all’Inghilterra, intrisa di significati extrasportivi
per la rivalità conseguente alla vicenda bellica delle isole Falkland-Malvinas336,
332 Nell’Europeo del 2000, affrontato da commissario tecnico, risponderà con clamorose e sdegnate dimissioni alle accuse del presidente del Consiglio Berlusconi, a seguito della sconfitta in finale con la Francia patita nei tempi supplementari. 333 Concepito dal periodico “France football”, il premio viene assegnato annualmente al calciatore meglio considerato dalla critica specializzata. La prima edizione, nel 1956, è stata vinta da Stanley Matthews (1915-2000), recordman di longevità sportiva in campo fino ai 50 anni, quando venne nominato Sir dalla regina Elisabetta II. Altri tre italiani, tutti a loro modo decisivi in un mondiale, si sono aggiudicati il prestigioso riconoscimento: Gianni Rivera (1969), Roberto Baggio (1993) e Fabio Cannavaro (2006), oltre all’oriundo Omar Sivori nel 1961. 334 L’edizione del 12 luglio 1982 del quotidiano sportivo romano registra la più alta tiratura della storia dell’editoria italiana. 335 La vicenda è ricostruita nell’autobiografia Yo soy el Diego, Buenos Aires 2000, tr. it. di Alberto Bracci, Fandango, Roma 2002, pp. 103 ss. Cfr. anche C. SANNUCCI, Maradona es la locura, in «LeN», a. VI (1989), nn. 1-2-3, pp.111-2. 336 Nei mesi precedenti il Mondiale, le navi da guerra argentine e inglesi si erano affrontate in un aspro conflitto nelle acque dell’oceano Atlantico. Gli argentini consideravano le isole Malvinas naturale pertinenza, ma gli inglesi, militarmente più preparati, difesero con forza il diritto coloniale sulle (per loro) Falkland.
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condensa tutto il suo genio e la sua perfidia, segnando prima con la «mano de Dios»
e, poi, dribblando tutta la squadra avversaria, con una rete da favola decretata dalla
Fifa “gol del secolo”.
Italia ’90 vuol dire «notti magiche, inseguendo un gol»337 che, però, mancherà
al momento decisivo della semifinale con l’Argentina, giocata in una Napoli dilaniata
sentimentalmente tra l’amore patrio e la riconoscenza verso il campione che ha
elevato la squadra cittadina ai vertici nazionali e internazionali: Diego Armando
Maradona. L’insanata frattura meridione-settentrione, acuita dall’affermarsi del
fenomeno politico della Lega Nord338, si conferma ancora profonda in un’Italia che si
appresta a vivere l’ultimo decennio del Novecento tra particolarismi locali e
tangentopoli nazionali. Ancora una volta, dal nulla della panchina, spunta un
attaccante siciliano con gli occhi spiritati dopo ogni gol, Salvatore “Totò” Schillaci.
La scelta di allocare nel 1994 il torneo negli Usa è il risultato di una
convergenza d’interessi, economici e promozionali, per diffondere il calcio in quegli
States dove, però, sono altri gli sport dominanti: il baseball, il basket e l’altro
football, detto appunto americano. Per noi è il mondiale del “sacchismo”339, la nuova
filosofia calcistica che mette lo schema davanti agli uomini, lo spartito davanti agli
interpreti. Per Arrigo Sacchi i calciatori sono esecutori fungibili; è la perfezione della
tattica a essere discriminante. Propagandato come sistema altamente offensivo dal
337 Così recita il testo della canzone ufficiale, cantata dalla coppia Bennato-Nannini. 338 Movimento politico affermatosi nelle regioni del settentrione italiano agli inizi degli anni Novanta, è basato su una proposta federalista interpretata come forma di rivolta fiscale e polemica antistatalista, non scevra di venature antimeridionaliste. Sul punto si veda il disegno programmatico del movimento in G. MIGLIO, Come cambiare. Le mie riforme, Mondadori, Milano 1992. 339 Per un’analisi del “fenomeno Sacchi”, interessante è l’interpretazione di Darwin PASTORIN, Tempi supplementari, Feltrinelli, Milano 2002, p. 17.
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suo ideatore, in realtà il gioco voluto dal commissario tecnico italiano costituisce un
sistema altamente difensivista, volto a impedire all’avversario lo sviluppo di
qualunque azione340.
Nonostante l’ impostazione “collettivista-massificante”, sarà un singolo, ancora
Roberto Baggio341, con cinque gol consecutivi, a salvare gli azzurri dall’eliminazione
e a portarli in finale, dove Italia e Brasile si giocano la possibilità di arrivare in testa
alla classifica assoluta di trionfi mondiali, avendo già vinto, entrambe le nazionali, tre
titoli. Per una delle tante alchimie del calcio, a sbagliare il rigore decisivo è proprio
Baggio.
Quattro anni dopo, in Francia, c’è ancora lui, Roberto Baggio, che diventa il
primo italiano ad andare in gol in tre edizioni diverse dei mondiali, ma non è
sufficiente neppure stavolta, perché ci sono di nuovo i rigori a cancellare le speranze
degli azzurri, in questo caso a favore dei transalpini padroni di casa.
Nel 1998 vince allora la Francia sul Brasile, festeggiando con un fiume umano
che riempie le strade e i Campi Elisi; vince Zinedine Zidane, il fantasista corridore,
ma vince soprattutto Michel Platini che, da presidente del comitato organizzatore,
riesce a conseguire quel titolo che gli era sempre sfuggito da calciatore.
Nel 2002, il mondiale nippo-coreano, il primo organizzato da due paesi,
nonostante la partecipazione contemporanea delle cinque potenze del consiglio di
sicurezza dell’Onu, è condizionato da parziali direzioni di gara, figlie della politica 340 Proprio nell’edizione in cui vengono introdotti i cognomi sulle maglie degli atleti, caratterizzazione delle specifiche qualità individuali di calciatori evidentemente ognuno “unico e irripetibile”, Sacchi pretende di procedere all’omologazione. 341 Si legga Una porta nel cielo, Limina, Arezzo 2001; seconda edizione aggiornata Il sogno dopo, Limina, Arezzo 2003. Cfr.«LeN», a. XIX (2002), nn. 1-2-3, pp. 116-7. Sulla vicenda D. PASTORIN, Ti ricordi, Baggio, quel rigore?, Donzelli, Roma 1998.
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distributiva del presidente della Fifa Joseph Blatter e delle ambizioni personali del
suo vice, il coreano Chung Mong Joon.
È perciò ancora una Corea a evidenziare i limiti del calcio italiano. La nostra
squadra viene eliminata in modo illegittimo342 senza che il suo presidente federale,
Franco Carraro, faccia una piega. Dopo l’uno a zero del Nord nel 1966, c’è il due a
uno del Sud nel 2002. A Pak Doo Ik succede Ahn Jung Hwan. L’Again 1966, esposto
sugli spalti, diventa davvero Again Corea.
La finale è un inedito storico: la sfida tra l’estro brasiliano e la solidità
teutonica delle due squadre più presenti nel mondiale ma mai messe di fronte dagli
incroci di calendario. Ancora una volta, la quinta, campione è il Brasile, ma la
medaglia al collo – per la prima volta nel cerimoniale – è offerta anche all’italiano
Pierluigi Collina, scelto a dirigere la finale per meriti indiscussi.
Come già era accaduto nel 1982, l’Italia arriva al campionato del mondo
organizzato nel 2006 in Germania dilaniata da uno scandalo di proporzioni persino
maggiori di quello precedente all’esperienza spagnola343 che, per analogia con il
fenomeno di corruzione politica e amministrativa che era stato definito
“tangentopoli”, viene detto “calciopoli”344.
342 L’arbitro ecuadoregno Byron Moreno, parziale e scientifico nel penalizzare gli azzurri, due mesi dopo paragonerà gli italiani a Benito Mussolini, citando il famoso aut aut del Duce che impose alla squadra di Vittorio Pozzo un successo, quello conseguito nel 1938, senza alternative (retro § 6.1). Cfr. «GdS», 12 agosto 2002, p. 15. 343 Cfr. O. BEHA, A. DI CARO, Indagine sul calcio. Dai Mondiali del 1982 ai Mondiali del 2006. Una generazione di storie, personaggi, emozioni e bugie: un gioco appassionante trasformato in un intrigo industriale, Bur, Milano 2006. 344 Il neologismo è, quanto meno, discutibile dato che, se il primo termine voleva significare una “città delle tangenti”, nel secondo caso si tratta di un’analogia che, letteralmente, traduce semplicemente “la città del calcio”. Altra parola usata per inquadrare il fenomeno è “Moggiopoli”, dal principale dirigente implicato nella vicenda, per una lettura che, però, risulta riduttiva, trattandosi di una degenerazione sistematica e non dovuta all’azione di un solo soggetto. La questione è stata oggetto della tesi di laurea in “Storia sociale dello sport” di Franco Baldini, discussa il 6 novembre 2006 nella sede di Atri dell’Università di Teramo: Dal fair play al principio di slealtà. Ricognizione, tra storia e memoria, su lecito e illecito nel calcio italiano.
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Con una federazione commissariata, la squadra italiana si compatta nelle scelte
del commissario tecnico Marcello Lippi, che concede spazio in campo a tutti i
giocatori, con la sola eccezione del ruolo del portiere, appannaggio esclusivo di
Gianluigi Buffon.
Con il rigore finale di Fabio Grosso, l’Italia chiude il cerchio, riprendendo
simbolicamente il mondiale lasciato in casa nel 1990 alla Germania e quello perso
quattro anni dopo ai rigori, assurgendo al rango di nazione più a lungo campione del
mondo in carica345.
«Ogni partita di calcio – ha scritto un sociologo molto citato346 – costituisce un
evento simbolico piuttosto complesso. Essa è contemporaneamente: caccia rituale,
battaglia stilizzata, dimostrazione sociale, cermonia religiosa, droga sociale,
rappresentazione teatrale e grande impresa commerciale».
345 Nonostante il Brasile vanti cinque titoli contro i quattro italiani, bisogna infatti rilevare la pausa bellica tra il 1938 e il 1950. Nella finale di Berlino vincono anche due dirigenti chiamati a contribuire nella gestione di una difficile transizione politico-sportiva: Giancarlo Abete (Cultura d’impresa e governo dello sport, a c. di L. Mastrangelo, in I quaderni di «LeN», n. 2, 2002, pp. 19-40) e Gabriele Gravina. Quest’ultimo, significativamente, data il suo glossario della classica terminologia sportiva (Il senso del movimento, Esa, Pescara 2006) 9 luglio. 346 D. MORRIS, La tribù del calcio, Mondadori, Milano 1982, pp. 15 ss.
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7. Il contributo universitario
Gaudeamus igitur, iuvenes dum sumus. (Christian Wilhelm Kindleben)
La nascita del movimento sportivo universitario internazionale risale al primo
dopoguerra.
Molti studenti di varie nazionalità, che già si erano incontrati sui campi di
Joinville347 per i Giochi Interalleati348, decidono, sotto la spinta francese, di riunirsi
nel novembre 1919 a Strasburgo, nel corso del congresso della Union nationale des
associations d’étudiants de France (Unaef) per costituire la Confédération
internationale des étudiants (Cie). Il nuovo organismo, composto di sette membri349,
ha come obiettivo quello di «favorire la buona intesa tra studenti di paesi differenti»,
superando barriere e ideologie.
La Cie, fondata e presieduta per primo dal francese Jean Gerard350, può
considerarsi, sul versante universitario, l’esito di un certo clima di fraternità e
cooperazione diffuso al termine della Grande Guerra. La Cie ha sede a Bruxelles ed è
affiliata all’Istitut international de cooperation intellectuelle, organo della Società
delle nazioni. Due anni dopo il francese Jean Petitjean, in occasione del terzo
congresso della Cie a Strasburgo, getta le basi per la fondazione di una sezione
sportiva che dia vita ad una sorta di Olimpiade universitaria. Egli spera che le prime
347 Cfr. T. THERRET, Les jeux interalliés de 1919. Sport, guerre et relations internationales, L’Harmattan, Lyon 2002. 348 Nel giugno-luglio 1918 i soldati alleati, nell’imminenza della risoluzione del conflitto (l’11 novembre la Germania firmerà l’armistizio), diedero vita a una kermesse atletica nello Stadio Pershing di Joinville. Cfr. C. VEITCH, Il pallone in trincea.“Giocate! E vincete la guerra”, in «LeN», a. IV (1987), n. 3, pp. 14-20. 349 Si tratta di Belgio, Spagna, Francia, Lussemburgo, Polonia, Romania e Cecoslovacchia. 350 Collaboratori più stretti di Gerard furono il belga Marcel Baugniet, l’inglese Gordon Bagnall, il ceco Jan Kopecki e il conte polacco Jean Balinski. Cfr. XIIme Congres de la Confédération Nationale des Etudiantes, Bruxelles 1930.
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Olimpiadi universitarie si svolgano in Francia ed aprano la strada ai Giochi Olimpici
parigini del 1924.
Ma i piani transalpini vengono intralciati da un gruppo di studenti italiani351, i
quali, amareggiati per la decisione del Cio del giugno 1921 di bocciare la candidatura
olimpica di Roma, decidono di bandire per l’aprile 1922 una Olimpiade studentesca,
«per mostrare all’estero non solo l’intelligenza e la forza degli Studenti Universitari
d’Italia, ma anche come gli Italiani avrebbero saputo fare in Italia le Olimpiadi
Mondiali!»352.
§ 7.1 Mens sana in corpore sano
I goliardi romani, recuperando l’antico motto di Giovenale mens sana in
corpore sano353, prevedono non solo prove sportive, ma anche concorsi di pittura,
scultura e architettura, certami di letteratura, musica e perfino un torneo di scacchi,
vagheggiando il mito di un atleta colto, capace evidentemente di coniugare
performance fisica e attività culturali, in risposta al cliché dello studente per nulla
incline all’esercizio fisico.
In questo clima di revanche nazional-sportiva si era costituito, nel luglio 1921,
il Comitato Olimpico Studentesco Italiano (Cosi), presieduto da Corrado Petrone,
neolaureato in giurisprudenza.
351 I goliardi sono Corrado Petrone, Spartaco Orazi, Giovanni Destito, Carlo Alianello, Ettore Cervadoro, Ugo Cirani. 352 Cfr. M. IMPIGLIA, P. LANG, Goliardi in gara. I giochi mondiali universitari prima delle universiadi, in «LeN», a. XIV (1997), n. 1, p. 8. 353 Satura X, 355. Il poeta romano del I secolo d.C., nella decima satira, si sofferma sull’insensatezza delle tante brame umane, consigliando come migliore richiesta possibile alla divinità un fisico vigoroso abbinato all’equilibrio intellettivo.
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Tra le prime difficoltà da affrontare c’è l’ostilità del presidente del Coni Carlo
Montù354, che aveva indirizzato un paio di lettere al Ministro degli interni Ivanoe
Bonomi, manifestando l’imbarazzo causato dagli universitari, i quali, abusando della
qualifica di “olimpico”, avevano gettato discredito sull’assegnazione dei giochi
decoubertiniani alla Francia. Montù aveva affermato la sua disponibilità ad
appoggiare i giochi dei goliardi, a patto che fosse ritirato il poco diplomatico
aggettivo “olimpico” dal nome del loro Comitato che, nonostante le intimazioni,
decide di perseguire il suo intento.
In occasione delle prime “Olimpiadi universitarie di arte, scienza e sport”,
viene fondata anche l’Unione Nazionale Universitaria (Unu), associazione che eredita
dal Cosi i compiti di organizzazione e promozione del movimento sportivo
universitario. L’Unu guarda ben presto con favore ai metodi e alla filosofia del
governo fascista355. Ma in generale sono ancora pochi, in questi anni, gli studenti che
in Italia svolgono attività sportiva356: «Se ad uno studente – si legge su un quotidiano
– salta in testa di fare dello sport, si iscrive ad una società sportiva qualunque e, a
scuola, evita di parlare di questa passione per lo sport come di una cosa di cui debba
vergognarsi. Piuttosto ama vantare le sue avventure galanti, la sua resistenza al fumo
e al vino, o la sua abilità al biliardo e al poker»357.
354 Sulla nascita del Coni come comitato ufficiale e sulla figura del suo primo presidente cfr. § 4. 355 Il Comitato Centrale dell’Unu è così composto. Presidente onorario: principe Umberto di Savoia; presidente: Giuseppe Bottai fino al 1925 e poi l’on. Vico Pellizzari; vice-presidenti: D. Bendo Riccioni e Spartaco Orazi; amministratore: Luigi Celani; segretario generale: Vezio Orai; vice-segretari generali: Enrico De Smaele e Carlo Salvetti. 356 La città italiana con il più ampio movimento goliardico, grazie ai suoi legami con il mondo anglosassone, è Genova, dove nel novembre 1921 il figlio del presidente della Federazione Ginnastica d’Italia Zaccaria Oberti, Stefano, fonda una federazione calcistica studentesca. 357 «GdS», 28 aprile 1922.
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Il 17 aprile 1922 si svolge la cerimonia d’apertura dell’Olimpiade, il cui
programma sportivo prevede gare di atletica, boxe, canottaggio, ciclismo, ginnastica,
lotta, tiro alla fune, pallacanestro, pallavolo, pesi, scherma, sci, tennis e tiro a segno,
oltre a un gran premio motociclistico358.
A Roma convengono oltre duemila studenti italiani e diverse centinaia di
studenti stranieri: si tratta delle prime Olimpiadi internazionali studentesche, che gli
studenti (con il termine studenti si intendono sia gli universitari, sia gli iscritti agli
istituti superiori parificati) riescono a realizzare attirandosi le simpatie dei più
influenti membri dei circoli politici, oltre al supporto finanziario della famiglia reale e
a quello logistico dell’esercito359.
Con i caratteristici copricapi di velluto a punta dai vari colori e gli stendardi,
marciano per le vie della capitale confluendo al Teatro Costanzi, dove li attendono il
sindaco Valli e il professor Francesco Scaduto, rettore dell’Università di Roma.
Una decina di paesi partecipano alle gare di atletica e al torneo di calcio fino a
sabato primo maggio, quando la manifestazione si conclude con una cerimonia a
piazza di Siena nel corso della quale il conte polacco Jean Balinski, in rappresentanza
della Cie, invita gli studenti italiani a un evento sportivo internazionale in Polonia360.
358 Teatro delle competizioni sono il nuovissimo complesso sportivo della Scuola centrale militare della Farnesina, Piazza di Siena e Villa Umberto, il Tennis Club Parioli e, infine, per i cimenti acquatici, il tratto del Tevere da Ponte Margherita al galleggiante R. Canottieri Aniene. 359 Un contributo determinante lo offre l’associazione studentesca internazionale “Corda Fratres”. L’associazione, di ispirazione liberal democratica, era stata fondata nel 1898 a Torino da Efisio Giglio Tos. Cfr. A. MOLA, Corda fratres. Storia di un’associazione internazionale studentesca nell’età dei grandi conflitti, 1898-1948, Clueb, Bologna 1999. 360 «Il M», 26 aprile 1922, p. 2; 28 aprile 1922, p. 2; 1 maggio 1922, p. 3. «La prima Olimpiade Universitaria come le piante miracolose della leggenda, è sorta, rigogliosa di forme e di colori in un terreno arido e brullo. Poiché, se v’è una risultanza inconfutabile, è questa: in Italia, dove si è potuta avere una Olimpiade Universitaria, non esiste, non dico lo sport universitario, ma neppure lo sport studentesco» («GdS», 28 aprile 1922).
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La Francia, con un anno di ritardo rispetto ai desiderata di Petitjean, organizza
le sue Olimpiadi universitarie nel maggio 1923 a Parigi, dove nasce il comitato
sportivo della Cie, composto da dieci nazioni361. Il primo problema, non solo di
natura formale, che si deve subito affrontare, è la denominazione dei campionati.
Sono promosse a più riprese varie soluzioni (Intercollegiates Games, International
University Championship, Student Olympic Games), ma prevale la dizione Jeux
Universitaires Internationaux.
Le gare si svolgono dal 3 al 6 maggio nel nuovissimo Stade de la Porte Dorèe
e vedono la partecipazione di una dozzina di nazioni362: sono caratterizzate dalle
eccezionali performance dell’unico atleta statunitense, Charles Paddock. Il campione
olimpico si presenta in rappresentanza dell’organizzazione universitaria National
Collegiate Athletic Association, benché sia stato squalificato poco prima363.
La partecipazione italiana è organizzata tramite un comitato studentesco,
presieduto sempre da Corrado Petrone. Il commissario Cremonese capitana la
spedizione, composta da 16 atleti, definiti - con l’enfasi propria dei tempi, ma anche
con evidente esagerazione - «il fior fiore dei nostri giovani» che, però, raggranellano
appena tre vittorie, una delle quali nel pentathlon moderno grazie ad Adolfo Contoli.
Risultati modesti, che la neonata grancassa fascista non manca di millantare come
una «brillantissima vittoria»364.
361 I membri sono Belgio, Cecoslovacchia, Estonia, Inghilterra, Francia, Lettonia, Olanda, Polonia, Italia e Stati Uniti. 362 Stati Uniti, Italia, Cecoslovacchia, Olanda, Belgio, Bulgaria, Germania, Danimarca, Svizzera, Inghilterra, Jugoslavia e la Francia padrona di casa, che naturalmente mette in campo la squadra più consistente, formata da 127 atleti. 363 Il Paris Universitè Club sfida le ire della federazione francese, che aveva vietato le riunioni atletiche causa appunto la presenza di Paddock, il quale ricompensa tanta fiducia collezionando in tre giorni altrettanti record del mondo uguagliati (100 e 150 metri, 100 a ostacoli) e altri due battuti (75 e 200 metri). Primati che non saranno mai omologati. 364 «Il M», 8 maggio 1923, p. 4; 10 maggio 1923, p. 4; 13 maggio 1923, p. 8.
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§ 7.2 La raccomandazione mussoliniana
Non è difficile per l’Unu, presieduta ancora da Giuseppe Bottai, inglobare il
Cosi ereditando da quest’ultimo il compito di fare propaganda sportiva negli ambienti
universitari, di organizzare i campi sportivi accanto alle università e di curare la
specializzazione degli atleti. È Bottai, dunque, a compiere la prima fascistizzazione
del movimento studentesco sportivo365.
Per inaugurare la propria attività in ambito accademico, nell’aprile del 1924,
l’Unu organizza un incontro di calcio tra le rappresentative studentesche di Italia e
Inghilterra, alla presenza di Benito Mussolini, il quale aveva affermato: «non basta
avere il cervello calcolatore e la mente che ragiona: occorrono anche muscoli saldi e
garretti d’acciaio. Mi raccomando: soprattutto lo sport»366.
Al congresso Cie l’antifascista Stefano Oberti367 contesta che l’Unu sia
rappresentativa dell’intera realtà sportiva studentesca italiana: in effetti l’organismo
presieduto da Bottai, che per questa ragione si dimette, non riesce a immettersi
pienamente nel tessuto connettivo del movimento studentesco368.
Nei due anni successivi sono sciolte d’imperio le organizzazioni, più o meno
politicamente orientate, che si erano interessate di sport universitario. Le rimanenti
365 Interventista alla vigilia della prima guerra mondiale, Bottai conosce personalmente Marinetti, con cui collabora alle riviste Roma futurista e L’ardito, sostenendo l’impossibilità di ogni rapporto tra futurismo e socialismo. Si veda G. BOTTAI, Diario 1935-1944, a cura di G. B. Guerri, Rizzoli, Milano 1982 e Il fascismo come rivoluzione del capitale, a cura di M. Panicali, Cappelli, Bologna 1978. Cfr. anche J. DE GRAND, Bottai e la cultura fascista, Laterza, Roma-Bari 1978. 366 Discorso citato in Quarant’anni di Olimpiadi Moderne. 1896-1936, supplemento a «GdS», 19 luglio 1936, p. 59. 367 S. OBERTI, Un memoriale al Procuratore del Re contro i dirigenti dell’Unione Nazionale Universitaria, I.G.E., Roma, 1925. Di Oberti si veda anche Esilio a Parigi: 1922-1943 il ventennio fascista raccontato da un fuoriuscito, Lanterna, Genova, 1984. 368 «GdS», 7 maggio 1924, p. 6 e 17 settembre 1924, p. 6.
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associazioni goliardiche contribuiscono a costituire, nei vari atenei, i Gruppi
universitari fascisti369 (Guf), ognuno con un’annessa sezione sportiva. Nonostante la
chiarezza del programma, che voleva l’attività fisica estesa alla massa degli studenti,
i Guf dovranno attendere fino al 1927 per ufficializzare il proprio ruolo con il mondo
dello sport. Soltanto allora saranno raggiunti accordi con il Coni, in base ai quali «gli
studenti, cui solo si rivolge l’istituzione, possono svolgere liberamente la loro attività
sportiva»370.
Nello stesso anno, il massimo ente sportivo rivolge invito formale alle società
affiliate a concedere l’uso delle palestre e dei campi agli universitari che, se vogliono
appartenere al Guf, devono necessariamente superare le prove del “brevetto
sportivo”, concernenti atletica leggera, nuoto e tiro a segno. L’attività dei Guf è
quindi sintetizzata dal motto: «Libro e moschetto fascista perfetto», scaturito dal
gesto del Duce che, in un comizio agli universitari371, aveva sollevato un libro ed un
moschetto protendendoli verso la folla.
Al V Congresso nazionale del partito fascista (1927), il Coni aveva sottolineato
la «necessità di sfondare, nel nome del fascismo e dello sport, le bronzee porte
dell’università, e creare in ogni istituto una Casa dello Studente: se i Collegi inglesi
369 Il primo Guf era sorto il 17 marzo 1921 a Genova, e nei mesi successivi erano stati fondati i gruppi di Bologna, Pavia, Padova, Milano e Napoli. Il 21 febbraio 1922 i Guf si riuniscono in un primo convegno nazionale a Bologna, nel corso del quale è fondata la federazione nazionale universitaria fascista (Fnuf), sotto il controllo diretto del partito. Cfr. L. LA ROVERE, Storia dei Guf cit. e Il fascismo universitario dal 1920 ad oggi, in «La rivolta ideale», 30 marzo 1925. 370 Il nuovo accordo Coni-Guf, in «Il Coni», ottobre 1929, p. 6. 371 Discorso tenuto a Roma il 24 maggio 1929 «ai goliardi Fascisti, nella ricorrenza della data della nostra entrata in guerra» (B. MUSSOLINI, Ai goliardi d’Italia in Discorsi del 1929, Alpes, Milano 1930, pp. 193-7).
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hanno preparato per secoli i quadri dell’imperialismo britannico, le nostre Case dello
Studente prepareranno i quadri dell’imperialismo italiano»372.
Al fine di legittimarsi definitivamente sulla scena internazionale, il regime
mussoliniano si mostra apertissimo ad ospitare manifestazioni sportive. E così la Cie
organizza, nel 1927 a Roma, la seconda edizione dei Giochi internazionali
universitari e, nel 1928 a Cortina d’Ampezzo, la prima di quelli invernali. Il professor
Attilio Fontana e il segretario dei Guf Roberto Maltini si occupano dei giochi nella
capitale, per i quali il presidente del Coni Lando Ferretti mette a disposizione
dirigenti e tecnici delle varie federazioni, per formare le commissioni delle sei
discipline previste: atletica, nuoto, canottaggio, scherma, tennis e calcio.
Domenica 28 agosto 1927 si celebra l’apertura ufficiale dei Giochi
universitari373, secondo un cerimoniale che ricalca quello olimpico e che resterà
invariato nelle edizioni successive. L’atleta veronese Tommasi ha l’onore di leggere
il giuramento solenne: «Giuro che gli atleti goliardi che gareggeranno davanti a Voi
non mancheranno al loro onore e disputeranno le gare con la sincerità che viene dalla
loro preparazione intellettuale»374.
Gli italiani si aggiudicano l’ambito torneo di calcio con una formazione forte di
alcuni nazionali (Allemandi, Pitto, Bernardini375) sotto la guida del commissario
tecnico Rangone, grazie a un rigore concesso a due minuti dalla fine dall’arbitro
372 L. FERRETTI, Il libro, p. 110. 373 L’edizione romana vede impegnati oltre 400 atleti, in rappresentanza di 13 nazioni: Austria, Belgio, Cecoslovacchia, Danimarca, Haiti, Francia, Inghilterra, Lettonia, Polonia, Stati Uniti, Svizzera, Ungheria e Italia. 374 «Il M», 23 luglio-12 agosto 1927. 375 Tra i più grandi calciatori italiani di sempre, Fulvio Bernardini (Roma 1906-1984) nel 1931 fu escluso dalla Nazionale maggiore da Vittorio Pozzo, in quanto «troppo bravo per i compagni, in continua soggezione». Cfr. voce Bernardini in Enciclopedia Treccani Sport, Calcio, Roma 2002, pp. 622-3.
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Barlassina, parziale non meno dei giudici della scherma, che inducono a un polemico
ritiro gli spadisti francesi.
Se dal punto di vista tecnico il livello delle gare è piuttosto modesto, da quello
organizzativo l’evento risulta invece un successo per il regime: al X Congresso della
Cie è infatti eletto presidente Roberto Maltini, mentre Dino Gardini, altro ex gerarca,
ottiene la carica di tesoriere. Il neo presidente, bresciano con un passato di squadrista,
ha l’intenzione di trasformare i giochi dell’amicizia goliardica in una competizione
nazionalistica, varando il meccanismo della classifica per nazioni, contando i punti
sulla base dei primi sei classificati in ciascuna prova.
Dal 22 al 29 gennaio 1928 si svolge la prima edizione dei campionati
universitari della neve e del ghiaccio, nella stazione invernale di Cortina d’Ampezzo,
che si articolano in sette prove (fondo sedici km., discesa, slalom, salto del
trampolino, pattinaggio veloce e “di figura”, bob a due, hockey) e vedono la
partecipazione di circa cento atleti, in rappresentanza di 14 nazioni. Svizzeri e
scandinavi dominano nello sci e nel pattinaggio, ma la squadra italiana, che vanta tra
le sue fila oltre un quarto dei concorrenti, pur vincendo solo nel bob, primeggia nella
classifica per nazioni.
La terza edizione dei Giochi internazionali universitari si svolge a Parigi nel
1928.
La squadra italiana, in maglia nera e fascio littorio sul petto, sbarca in forze.
I goliardi italiani si distinguono da subito nelle specialità a loro più congeniali:
scherma, canottaggio, tennis e calcio. Il ripetuto inno Giovinezza non è certo accolto
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con favore dagli organizzatori e dal pubblico transalpino che si lascia andare a
incidenti dopo la sconfitta calcistica della sua rappresentativa ad opera dei goliardi
italiani (sempre guidati da Rangone).
Al termine, con la soddisfazione del regime che, naturalmente, non manca di
amplificare trionfalmente la notizia, l’Italia si conferma prima nella classifica a punti
davanti a Ungheria e Germania. Alcuni paesi, ritenendo snaturati i principi di sana
competizione, ottengono la sostituzione del presidente Maltini con il francese Paul
Saurin. Si decide inoltre che la classifica per nazioni avrebbe lasciato il posto a
singole graduatorie per disciplina376.
La quarta edizione dei giochi estivi universitari si svolge nel 1930 in Germania,
a Darmstad, dal primo al dieci agosto. L’atmosfera goliardica dei primi tempi ha
ceduto il passo alla logica degli interessi politici dei governi377. In questa edizione i
tedeschi mettono a punto un’organizzazione meticolosissima378 e una squadra che fa
temere al segretario generale dei Guf Maltini di perdere la leadership. L’Italia, al pari
della Germania, prende parte a tutte e sei le discipline ufficiali, e in quattro di esse
risultano primi gli schermidori, i canottieri, i tennisti Giorgio De Stefani e Sertorio e
la fortissima squadra di calcio379. Alla fine l’Italia supera la Germania nella classifica
complessiva, anticipando quello che sarebbe accaduto alle Olimpiadi di Los Angeles
due anni più tardi.
376 «GdS», 8-20 agosto 1928. 377 Cfr. C. GRATTAROLA, Un’altra tappa: Darmstadt, in «Lo sport fascista», settembre 1930. 378 Il comitato organizzatore è coordinato in prima persona dal prof. Sollberger, capo della Deutsche Studenteschaft. 379 In campo ci sono ancora Allemandi, Pitto e Bernardini, affiancati da Sallustro, Varglien, Chini, Costantino, Fasanelli, Gadaldi, Mazzoni, Foni, Piziolo, Neri, Borel.
125
Nell’anno X dell’era fascista (1931) il Guf di Torino viene incaricato di
organizzare la prima edizione dei Littoriali dello sport, della cultura e dell’arte, una
sorta di olimpiade tra atenei. Le conoscenze acquisite da Bottai negli anni iniziali
dell’organizzazione goliardica costituiscono la base per la formulazione dei Littoriali,
che sono preceduti da una capillare selezione in ciascuna università, radunando in
campo i migliori atleti dei ventisei atenei e delle due accademie militari di Modena e
Caserta. La manifestazione viene ripetuta, con crescente successo, negli anni
successivi380: particolarmente valida l’edizione del 1934 all’Arena napoleonica di
Milano, con il Guf ambrosiano che si impone su Roma e Torino. I “Littoriali”
rappresentano uno dei tipici strumenti attraverso i quali la gioventù – in particolare
durante il “sabato fascista”, introdotto nel 1934 dopo che la settimana lavorativa era
passata da 48 a 40 ore – è educata a vivere per l’ideale fascista.
Le mini-olimpiadi goliardiche sono largamente pubblicizzate allo scopo di
raggiungere, attraverso la manifestazione sportiva, la piena militarizzazione: le gare
sono perciò concepite come una «severa prova di spiriti e di muscoli nella loro
effettiva educazione di guerra»381. L’ansia primatistica contagia gli atenei, che
mettono in campo gli studenti-atleti migliori con la promessa di lauti compensi e,
ancor più gradite, agevolazioni nello studio. I partecipanti ai Littoriali aumentano
progressivamente ma non solo per motivazioni strettamente utilitaristiche o
strumentalmente accademiche. Nel 1934 vengono perciò istituiti gli Agonali, 380 La prima edizione dei Littoriali vede in gara 2.305 atleti, la seconda, svolta a Bologna l’anno successivo, 3.059, mentre rispettivamente 3.590 e 4.099 saranno i partecipanti alle due edizioni milanesi seguenti. Cfr. U. ALFASSIO GRIMALDI, M. ADDIS SABA, Cultura a passo romano. Storia e strategia del Littoriali della cultura e dell’arte, Feltrinelli, Milano 1983; G. C. MARINO, L’autarchia della cultura. Intellettuali e fascismo negli anni trenta, Editori Riuniti, Roma 1983. 381 V.E. FABBRI, Combattere, in «Libro e Moschetto», 1936, n. 5.
126
competizioni tra facoltà dello stesso ateneo, tramite i quali si intende promuovere una
vita sportiva che perduri durante l’anno accademico.
La V edizione nel 1933 dei Giochi mondiali universitari, assegnati a Torino per
il programma estivo e a Cortina per quello invernale, comprova la nuova dimensione
internazionale assunta dallo sport italiano. Trenta nazioni – in particolare
l’Inghilterra, che schiera il meglio offerto dai suoi college – cercano di strappare agli
italiani la vittoria in casa loro, ma invano, visto che i Mussolini’s boys conquistano il
successo in 21 gare su 63. L’impresa più celebrata dalla retorica di regime è quella di
Luigi Beccali (già medaglia d’oro olimpica l’anno prima a Los Angeles e prossimo
bronzo a Berlino), che eguaglia il primato del mondo382 nei 1500 metri piani e, ancora
ansimante per lo sforzo, esclama al microfono: «Ho vinto per l’Italia fascista!»383.
A Saint Moritz si svolge, dal 4 al 12 febbraio 1934, la quarta edizione dei
Giochi universitari invernali: gli italiani, se si eccettua la vittoria di Adriano
Guarnieri nella discesa libera, non brillano e, di conseguenza, la stampa di regime
ignora l’evento.
§ 7.3 Una frattura ideologica
I preparativi per la guerra d’Etiopia (primavera del 1935) aggravano di colpo i
rapporti franco-italiani e italo-britannici. Di questa atmosfera è testimonianza
eloquente il documento del XVII congresso della Cie tenutosi a Roma il 30 aprile
1935, con la presidenza del gerarca Dino Gardini. All’assemblea non prendono parte 382 La distanza è coperta in 3’49”2, tempo poi abbassato in una gara svoltasi il mese successivo all’Arena di Milano. 383 «La S», 2-11 settembre 1933.
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né i francesi, il cui presidente dichiara la sua assoluta indisponibilità a collaborare
con gli italiani, né gli austriaci, in polemica con i tedeschi.
Con la scusa dell’ingaggio dei goliardi nel conflitto etiope, l’Italia annuncia il
suo ritiro dai Giochi di Budapest, in programma dall’11 al 18 agosto 1935, mentre
modesta sarà la partecipazione alle successive gare, svoltesi dal 20 al 29 agosto del
1937 a Parigi. In Francia, la squadra di calcio viene sconfitta nella prima partita
dall’Ungheria, favorita dal direttore di gara magiaro: l’episodio costituisce
l’occasione per l’uscita “sdegnata” dell’Italia dalla Cie, subito seguita dalle nazioni
amiche Germania e Giappone.
La VI edizione dei Giochi in Ungheria e la VII in Francia vedono consumarsi,
tra il 1935 e il 1937, una frattura insanabile che allontana decisamente l’asse Italia-
Germania-Giappone-Ungheria dalle altre nazioni.
Nel maggio 1939 il Comitè Superieur della Cie, riunitosi d’urgenza ad Helsinki
di fronte alla gravissima situazione politica, ritira alla città di Vienna, ormai territorio
tedesco, la candidatura all’VIII edizione dei Giochi universitari internazionali.
Ma i tedeschi non vogliono rinunciare a ospitare le gare: si svolgono così, in
contemporanea, due edizioni dei Giochi, nel Principato di Monaco (20-29 agosto
1939) e, appunto, a Vienna (20-27 agosto 1939) dove è presente anche l’Italia.
Ciascuna delle organizzazioni rivendica il “vero” campionato: a Monaco gareggiano
una ventina di paesi384, a Vienna addirittura ventiquattro385.
384 Nel Principato monegasco gareggiano gli atleti di: Francia, Usa, Inghilterra, Scozia, Galles, Irlanda, Lussemburgo, Olanda, Danimarca, Belgio, Polonia, Svizzera, Norvegia, Albania, Brasile, India, Egitto, Finlandia, Svezia, Estonia. 385 In terra austriaca partecipano, oltre al paese organizzatore: Albania, Belgio, Danimarca, Irlanda, Norvegia, Finlandia e Svezia (presenti nelle due competizioni concorrenti, a evidenziare la loro scelta diplomatica di equilibrio), Bulgaria,
128
L’Italia, che può contare su una base di oltre centomila studenti-atleti dei
novantanove Guf, schiera una squadra di trecento elementi che si impone nella
scherma, nel tennis, nel pugilato, nel rugby, nella pallacanestro e in quattro delle gare
di atletica leggera, tra cui i quattrocento metri piani, con il futuro stilista Ottavio
Missoni che, romanamente, saluta il suo brillante tempo di 48” netti.
Il progressivo scioglimento della Cie in fazioni opposte è sintomatico non solo
del clima bellico ormai trionfante, ma anche dell’irrigidimento politico e ideologico
cui stanno andando incontro le associazioni studentesche nazionali. Ma l’esistenza di
una rete studentesca internazionale sarà importante e decisiva per la rinascita delle
organizzazioni sportive universitarie prima in esilio, poi nella resistenza e, infine,
nella ricostruzione post bellica.
Concluso il secondo conflitto mondiale, la rinascita dello sport accademico
avviene a Praga il 17 novembre 1946, nell’ambito del I Congresso internazionale
universitario. I paesi vincitori (tra cui anche l’Italia “partigiana”) danno vita alla
Union International des Étudiants (Uie) che, tra i suoi compiti, ha anche quello di
riorganizzare il movimento goliardico nelle università386 e di dare vita a una nuova
edizione dei Giochi mondiali universitari che si tiene, dal 21 al 29 agosto 1947, a
Parigi. In un primo tempo sembra certa la partecipazione di tutti i paesi del blocco
comunista ma, in realtà, si presentano solo Ungheria, Cecoslovacchia e Jugoslavia387.
Cina, Estonia, Germania, Grecia, Giappone, Iraq, Italia, Lettonia, Lituania, Portogallo, Perù, Romania, Slovacchia, Sud Africa e Ungheria. 386 Nasce, con sede a Praga, la Pesd (Physical Education and Sport Department), cioè la sezione sportiva dell’Unione internazionale studenti. 387 Gli altri stati dell’est partecipano, a Praga in agosto, a un meeting di atletica inserito nel I Festival mondiale della gioventù. A Parigi dunque si affrontano circa 800 atleti, senza i rappresentanti delle due superpotenze, che non partono perché il comitato organizzatore non intende rimborsare le spese di viaggio. In Francia gareggiano, oltre a Ungheria,
129
L’Italia schiera una squadra di 98 atleti, sotto l’egida del neonato Centro
Universitario Sportivo Italiano (Cusi)388 ma, già dalla prima giornata, il capo-
delegazione Enzo Crivelli – il quale, dopo essere stato tra i promotori, è giunto alla
vice-presidenza del Cusi – deve affrontare un delicato caso diplomatico, che spinge a
sfilare senza bandiera gli italiani, risentiti per l’accettazione da parte del comitato
organizzatore di una squadra giuliana composta da “filotitini”, poi espulsa dai giochi
a seguito di un intervento ufficiale dell’ambasciata italiana389.
Parigi ’47 segna il primo (e unico) atto del rinato movimento sportivo
universitario. I paesi occidentali aderenti alla Uie, dissenzienti riguardo al crescente
controllo politico in seno alla Pesd, si staccano dalla Uie dando vita alla Fédération
internationale du sport universitaire (Fisu) che viene fondata, il 18 dicembre 1948,
con il lussemburghese Paul Schleimer, laureato in scienze e matematica, primo
presidente. La Fisu si prefigge di diffondere la pratica sportiva in maniera apolitica e
non ideologica ed accetta tutte le organizzazioni rappresentative dei movimenti
Cecoslovacchia e Jugoslavia, Belgio, Danimarca, Lussemburgo, Principato di Monaco, Inghilterra, Italia, Scozia, Svezia, Olanda, Austria, Egitto, Nigeria, Libano, Sud Africa e Nuova Zelanda. 388 Il Cusi sorge a Padova il 19 maggio 1946. Dopo lo scioglimento dei Guf, decretato nel 1943, si era assistito nei giorni badogliani a una rinascita delle associazioni goliardiche e al sorgere di circoli cattolici e democratici universitari, cui si erano aggiunti nel ’44 quelli del Cln. Il 12-20 maggio 1946 tali gruppi si riuniscono a Perugia nel I Congresso nazionale universitario. Negli stessi giorni nasce il Cusi, che ha in Renzo Nostini il suo coordinatore e che ottiene il placet dal Coni, ma sostanzialmente non trova appoggio finanziario. Grazie al paziente lavoro diplomatico di Nostini, comunque, il Cusi riuscirà ad avere dal Governo, previo l’interessamento del capo di gabinetto alla Presidenza Giulio Andreotti, i soldi necessari alla spedizione parigina. Il problema del finanziamento, assillante per un ente privato come il Cusi, sembra risolto nel 1951 grazie all’approvazione di una legge (n. 1551, detta anche Ermini-Marchese), che consente alle università di richiedere contributi fino alla misura di 1.000 lire a ciascun studente per le attività delle organizzazioni sportive. A questo punto, però, il Cusi (tra i suoi dirigenti di primo piano, oltre a Nostini, sono da citare Ignazio Lojacono, Alberto Pettinella, Santino Melissano, Gianni Ghitti, Mauro Lais, Emanuele Scarpiello e Primo Nebiolo) deve fare i conti con la crescita delle formazioni politiche in ambito universitario, che si era materializzata da un paio d’anni nella Unuri (Unione nazionale universitaria rappresentativa italiana), schieramento democratico che aveva tra le sue fila giovanotti che rispondevano ai nomi di Marco Pannella e Bettino Craxi. «GdS», 27 agosto 1947. Nel 1951 il Cusi comincia a curare con attenzione anche la comunicazione, grazie all’iniziativa di Aldo De Martino, che fonda il giornale «Sport universitario», che fa il suo esordio in edicola il primo dicembre al prezzo di 40 lire. 389 La squadra azzurra, distintasi nel tennis e nella scherma con Edoardo e Mario Mangiarotti, si classifica al settimo posto finale.
130
universitari nazionali ed internazionali conformi a tali intendimenti, assumendo
dunque una posizione chiaramente divergente dalla politicizzata Pesd390.
Alla Fisu aderisce il Cusi: l’Italia assume il compito di organizzare a Merano,
dal 28 agosto al 4 settembre 1949, la prima settimana sportiva internazionale
universitaria, che si caratterizza per un livello tecnico e organizzativo di minor
spessore rispetto alle gare organizzate dal blocco comunista.
Il problema principale rimane la spaccatura tra Uie e Fisu: i paesi socialisti
vogliono che sia consentita la partecipazione ai Giochi anche a organizzazioni
nazionali non riconosciute dai rispettivi comitati olimpici (Ddr in contrapposizione al
Comitato olimpico tedesco, Territorio Libero di Trieste in contrapposizione al Coni,
etc.), mentre i paesi occidentali riconoscono solo le squadre nazionali universitarie,
rappresentative di ciascuno dei paesi ammessi a partecipare ai Giochi olimpici.
§ 7.4 Le Universiadi
Nel 1953 il nuovo indirizzo di politica estera dell’Urss e dei suoi alleati,
chiamato della “coesistenza pacifica”, pone le basi per un disgelo.
Dopo lunghi preliminari, viene indetta una conferenza internazionale dello
sport universitario, a Parigi, il 29 e 39 novembre del 1954, cui partecipano tutte le
nazioni aderenti sia alla Fisu che alla Uie, durante la quale le due organizzazioni
390 I paesi fondatori della Fisu sono l’Italia, il Lussemburgo, la Svizzera, il Principato di Monaco, l’Austria, la Spagna, i Paesi Bassi, la Germania, l’Egitto e la Sarre. Nel 1951 entrano Belgio e Gran Bretagna e a seguire Brasile, Cile, Argentina, Giappone.
131
trovano, su proposta italiana, la piattaforma comune per ipotizzare una edizione dei
giochi unici universitari.
Finalmente, la Fisu può annunciare l’Universiade391 di Torino, che si svolge dal
27 agosto al 6 settembre 1959, con l’impegno agonistico di 3094 atleti in
rappresentanza di 45 nazioni, «come la prima dello sport studentesco al completo».
Fino ad oggi assai poco considerata e addirittura sottovalutata dalla storiografia
contemporanea, la capacità, caratteristica degli universitari, di anticipare e inventare
dimensioni meta-politiche, costruendo al contempo una propria, originale via ludica e
agonistica, resta un capitolo ancora da indagare.
Nei regimi totalitari le associazioni sportive universitarie nazionali e
internazionali hanno rivestito per lungo tempo un duplice ruolo: positivo, in quanto i
contatti internazionali concedevano preziose possibilità di scambio e di confronto agli
studenti sottoposti al rigido controllo ideologico e all’azione repressiva delle
associazioni di appartenenza; negativo, in quanto le competizioni internazionali,
promosse dai vari organismi caduti sotto il controllo dei regimi, aprivano spazi di
propaganda ideologica e mettevano in azione meccanismi di consenso interno.
391 Il 17 settembre 1970 Primo Nebiolo, presidente della Fisu dal 1961, così ricorda le circostanze che hanno portato alla scelta dei simboli per i giochi studenteschi: «Il nome Universiade vuol dire Universo, tutto il mondo, e suona come Olimpiade, cioè la più grande manifestazione sportiva conosciuta (...), ricorda gli universitari. Il nome non suonava molto bene i primi tempi; per giorni e giorni io ed i miei amici lo pronunciammo cercando di carpirne il suono più profondo, di capire se poteva racchiudere tutto il significato che a questa manifestazione si poteva dare e che essa poteva contenere. Lentamente cominciò a piacere ed ora, a distanza di anni, pare esista da sempre, da quando è nato il mondo e da quando sono nati gli studenti universitari. Dopo il nome, la bandiera. Si prese un colore un poco amorfo, il bianco, per dare l’impressione di seguire qualche idea che non fosse quella dello sport e dell’amicizia fra i popoli. Bianca, dunque, ed una grande “U” nera, che non sapevamo dove collocare. Si decise alla fine per il centro ed a questo punto mancavano ancora i simboli dei cinque continenti. La bandiera olimpica aveva i cerchi, noi decidemmo per le stelle, cinque quanti sono i continenti e del colore di ciascun continente. Pur sembrando allora molto bella e significativa, pur essendo, io e i miei amici che mi aiutarono, degli ottimisti, allora non pensavo che avrebbe fatto tanta fortuna nel suo giro per il mondo, che sarebbe passata tra gli applausi di milioni di persone, in tanti stadi così lontani tra loro» (Le Universiadi ’70 nella parola di Nebiolo, in «Panathlon International», Milano, ottobre 1970).
132
Il processo di riunificazione che, infine, ha generato le Universiadi, pur
partendo da un impulso di natura politica – la riduzione della tensione negli anni della
“guerra fredda” – è soprattutto il prodotto di una volontà insopprimibile di ritrovare
l’unità sportiva su un podio comune: è il risultato del profondo desiderio, nell’animo
degli atleti goliardi, di potersi confrontare in un agone universale, nel quale possano
convivere i valori della pratica sportiva e dell’esperienza universitaria, trasformando
da congiunzione in copula la “e” del binomio sport è cultura.
Le Universiadi assumono cadenza biennale, con l’eccezione delle edizioni di
Torino 1970 e di Mosca 1973, caratterizzandosi per un livello tecnico crescente.
Di particolare rilevanza l’Universiade di Buffalo nel 1993, svolta in un paese
come gli Stati Uniti dove lo sport costituisce un aspetto centrale nella vita degli
atenei, essendo richiesto agli studenti-atleti il rispetto del piano di studi come
condizione di partecipazione alle competizioni interuniversitarie, direttamente
collegate ai campionati professionistici, le cui formazioni hanno priorità di scelta sui
migliori elementi del torneo accademico, in ordine di priorità volutamente opposto a
quello della graduatoria della stagione precedente, in modo da riequilibrare i valori
sportivi.
Nel 1997 l’Universiade compie un ulteriore salto di qualità, proponendosi
anche come evento mediatico: i giochi universitari, svolti in Sicilia, per la prima volta
registrano una piena copertura televisiva e una forte attenzione giornalistica, favorita
dalla brillante affermazione della squadra italiana di calcio, vincitrice della medaglia
d’oro.
133
Nel nuovo millennio le Universiadi si spostano nell’est asiatico (in Cina nel
2001 e a Daegu, Corea392, nel 2003, preludio ideale alle Olimpiadi pechinesi del
2008), dove si registra una congiuntura particolarmente favorevole sia sul piano
economico sia sul piano culturale, prima di tornare, nella versione invernale del 2006,
in quella Torino che ne era stata la prima sede.
392 Come era già accaduto per le Olimpiadi e i campionati mondiali di calcio, anche nelle Universiadi svolte in Corea si registrano episodi di direzioni di gara favorevoli agli atleti di casa ben oltre la consuetudine del cosiddetto “fattore campo”. Si torni ai § 3.3 e 6.3.
134
§ 7.5 Il diritto allo sport (come momento del diritto allo studio)
Nella primavera del 1997, in occasione delle Universiadi siciliane, la
Conferenza dei rettori italiani promosse un’indagine sullo sport nell’università.
Si trattava non solo di compiere un bilancio delle politiche legislative393 in
tema di sport e delle pratiche sportive nell’ambito universitario, ma anche di lanciare
un concetto elaborato negli ultimi tempi: quello del diritto allo sport come momento
del diritto allo studio.
Nell’Aula grande della città universitaria di Catania, il 26 agosto 1997,
all’interno del convegno intitolato «Lo sport nell’università», i Rettori, per la prima
volta, affrontavano in un’occasione pubblica la “questione sportiva”.
Dall’analisi si poteva evidenziare, in positivo: un certo sviluppo (anche se non
omogeneo sul territorio nazionale nel secondo dopoguerra) degli impianti sportivi394;
una certa capacità organizzativa dei Cus ad identificarsi con lo sport universitario;
un aumento della pratica sportiva da parte degli studenti universitari; in negativo:
una scarsità di risorse finanziarie destinate all’attività sportiva; una posizione
monopolistica di rendita nell’ambito universitario da parte dei Cus, peraltro
legittimata dalla loro tradizionale presenza negli Atenei; un’insufficiente politica di
management nei confronti dello sport universitario.
393 Con il passare del tempo alcuni interventi legislativi specifici (edilizia sportiva, ’62; comitato dello sport ’77; diritto allo studio ’91) hanno consentito uno sviluppo organico (riforma degli ordinamenti didattici, ’90) della pratica sportiva all’interno delle università. 394 Cfr. Impianti sportivi nelle università a.a. 1998-’99, Cusi, Roma 1999.
135
Ciò che, con chiarezza, appariva era che il cambiamento del modello
universitario determinato dall’avvento dell’autonomia universitaria395 e lo sviluppo
del momento sportivo nella vita dei giovani universitari rendevano necessaria
un’ampia riflessione sullo spazio e sull’organizzazione dell’attività sportiva
nell’università.
Su questi punti la Crui, sollecitata anche dal processo di ridefinizione statutaria
dei Cus, individuò tre prospettive: a) la prima riguardava il principio dell’autonomia.
Sia quella universitaria che quella sportiva, in comune, hanno l’idea di conciliare élite
e merito, masse e opportunità, record e partecipazione; b) la seconda concerneva la
necessità che, nell’ambito universitario, si apparecchiassero finalmente iniziative
didattiche, formative e scientifiche con, al centro, la realtà economica, giuridica,
sociale e culturale dello sport; c) la terza sottolineava il citato aspetto
dell’elaborazione, nell’ambito universitario, di una ridefinizione filosofica della
dialettica tra diritto allo studio e diritto allo sport.
In sintonia con la tendenza a inserire lo sport tra i diritti di cittadinanza (sport
per tutti), l’elaborazione del nuovo concetto di diritto alla pratica sportiva ha così
compiuto negli ultimi anni passi in avanti.
In altri termini, si è compreso come il diritto allo studio, sostanziato finora da
servizi come la mensa, la biblioteca, la residenzialità, i trasporti, non possa più
395 L’autonomia di ogni singola università ha determinato diverse ottiche gestionali in materia di sport. L’unico riferimento normativo di carattere nazionale è rappresentato dalla legge n. 394 del 28 giugno 1977, che permette finanziamenti centralizzati per la gestione degli impianti sportivi.
136
ignorare l’attività fisica e sportiva dell’iscritto delle università396. Questo significa
che lo sport non è, semplicemente, una manifestazione esteriore del modo di essere
giovanile, bensì l’esercizio del corpo e la competizione sono una sorta di istinto
primario che accompagnano, come si è visto, l’esistenza stessa dell’homo ludens.
L’odierna realtà è quella in cui la capacità autonoma che lo sport ha assunto,
nel corso dell’ultimo scorcio di Novecento, di coagulare energie sociali ed
economiche, oltre che di assurgere a linguaggio universale, ha raggiunto proporzioni
che le università non possono più ignorare.
Al contrario dei paesi anglosassoni397 e di quasi tutti i paesi dell’est asiatico,
l’Italia non ha ancora pienamente compreso quanto l’atleta universitario sia una
risorsa, non solo per la cultura ma anche per lo sport.
Le università partecipano oggi con piena convinzione alle iniziative in sede
europea sullo sport e la Crui progetta la realizzazione di un “libro bianco” sullo sport
nell’università, in una visione finalmente di sistema.
396 È opportuno riflettere su due dati: più dei 2/3 degli atleti sono studenti universitari; quasi l’80% degli studenti pratica attività fisica e sportiva. L. RUSSI, Lettera circolare ai Rettori in data 3 ottobre 1997. 397 Negli Stati Uniti, per l’ammissione e la permanenza al college le capacità sportive hanno un peso per lo meno uguale alle attitudini intellettuali. Già agli inizi degli anni novanta i dipartimenti “sportivi” delle università (deputati anche alla politica di promozione e di pubblicità) avevano un bilancio superiore a quello dei dipartimenti “scientifici”. Cosa che ha provocato la denuncia di Murray SPERBER, College Sport Inc.: The Athletic Department Vs. University, A. Holt, New York 1990.
137
8. L’intreccio con la politica
Come abbiamo cercato di evidenziare, l’intreccio tra sport e politica ha
registrato sempre pagine di strumentalizzazioni e di subordinazioni.
L’uso dello sport ha trovato in Europa la sua massima espansione nella prima
metà del Novecento in concomitanza con l’affermazione dei regimi totalitari. E
questo è avvenuto non solo per la Germania del Terzo Reich o per la Russia sovietica
di Stalin, ma anche per l’Ungheria di Horty, la Francia di Vichy, la Spagna di Franco,
il Portogallo di Salazar. E naturalmente l’Italia di Mussolini.
Le basi ideologiche di tale uso risiedevano, per quanto riguarda la Germania
nazista, nella linea che dalla ginnastica nazionalistica di Jahn398 arrivava al corpo
come politicum di Alfred Baeumler. Il teorico nazista, attribuendo primaria
importanza all’educazione politica del fisico (die politische Leiberserziehung),
sostituisce infatti il corpo athleticum con il corpo politicum399. Nella sua ottica, lo
sport non era divertimento ma aveva il compito di esibire la superiorità razziale.
Per quanto riguarda l’Unione Sovietica, allo sport era affidato il compito di
aggregare la vasta popolazione al fine di dimostrare la competitività, anzi la
superiorità del sistema comunista rispetto alle civiltà capitalistiche.
Tanto le ideologie di destra quanto quelle di sinistra (e non solo nelle loro
versioni totalitarie) hanno comunque utilizzato politicamente il corpo, considerato
una sorta di “variabile” in grado di servire questa o quella parte per le sue qualità di 398 Sulla figura di Friedrich Ludwig Jahn si torni al § 1.2. 399 A. BAEUMLER citato in G. FRIESE, Anspruch und Wirklichkeit des Sports im Nationalsozialismus, Verlag Ingrid Czwalina, Ahrensgurg 1974, p. 22.
138
realtà individuale ma anche sociale400. D’altra parte l’utilizzo del corpo in chiave
sociale e politica ha radici profonde nella cultura occidentale.
§ 8.1 I giochi antichi e il loro popolo
Per i Greci corpo e mente viaggiavano insieme, la forza fisica non bastava se
non era accompagnata, come in Ulisse, dall’intelligenza, non importa se a volte
perfida o senza scrupoli401. L’educazione del fisico rivestiva un ruolo centrale nella
pedagogia, in particolare spartana, che per questa ragione sarà considerata un
modello. A Sparta, come è noto, il figlio nato da una famiglia di guerrieri, all’età di
sette anni, era tolto alla madre che, dalle guerre, gli augurava di tornare “con lo scudo
o sopra lo scudo”, vincitore o cadavere.
Fino ai trent’anni anni il cittadino soldato viveva in caserma, fino ai sessanta
era considerato abile e arruolabile: un tale allenamento lo rendeva atleta di primo
piano nelle competizioni tanto che, dai quindicesimi ai cinquantesimi giochi
olimpici402 svolti nel periodo intercorrente tra il 720 e il 575 a.C., cinquantesei
vincitori sui settantuno conosciuti sono spartani i quali, contrariamente ai cittadini
400 J. HOBERMAN, Sport and Political Ideology (1984), tr. it. di M. Felice, Politica e Sport. Il corpo nelle ideologie politiche dell’800 e del 900, Il Mulino, Bologna 1988. 401«Anche se Omero» – nota P. GENTILE, Il genio della Grecia, Sansoni, Firenze 1958, p. 18 – «esalta le qualità fisiche degli eroi, Agamennone gagliardo, Menelao dalla voce forte, Aiace gigantesco, Nestore e Tideo domatori e sferzatori di cavalli, nondimeno la matura esperienza di Nestore e l’astuzia di Ulisse ricevono un onore altrettanto caloroso». 402 Cfr. C. AMPOLO, Le Olimpiadi, il mito e la politica in Così splendeva Olimpia. L’arte, gli eroi e gli déi negli antichi giochi olimpici, a c. di A. Gnoli, Mondadori, Milano 1985, pp. 45-46.
139
delle altre città-stato, permettevano, anzi consideravano molto favorevolmente
l’attività atletica praticata dalle donne403.
I principali giochi sportivi furono i quadriennali Olimpici e Pitici e i biennali
Istmici e Nemei404: costituivano il periodós, termine di per sé eloquente della
funzione di calendario delle competizioni sportive che poteva incoronare i
periodonikai, ossia i campioni che, vincendo le quattro competizioni, realizzavano il
primo Grande Slam della storia.
Nelle prime edizioni delle olimpiadi antiche si disputarono solo gare di corsa,
la più breve e veloce era lo stadion405, termine che poi, per estensione, designerà
anche tutto l’impianto a contorno della pista. Vennero progressivamente introdotti la
lotta, il pentathlon (che comprendeva lo “stadio”, il salto in lungo, il lancio del disco
e del giavellotto, la lotta), il pugilato e la versione più cruenta detta pancrazio406.
La vittoria era per i Greci la finalità da perseguire: nella concezione ellenica il
successo era un valore determinante, il secondo era semplicemente il primo degli
sconfitti407.
L’importanza dei giochi sportivi, che ben presto divennero un’occasione
irripetibile di incontro tra le diverse poleis, fu compresa dai politici più illuminati, che
403 Crf. E. LECCO, Le atletesse di Tralles, in «LeN», a. III (1986), n. 1, pp. 66 e 67. 404 Pito è l’antico nome di Delfi. Crf. L. TOSCHI, I dodici tori di Achille, in «LeN», a. XIV (1997), nn. 2-3, pp. 6 ss. 405 A Olimpia corrispondente alla distanza di 192,97 metri. 406 Il pancrazio si differenziava dal pugilato per il fatto che si combatteva non coi pugni ma a dita piegate, e per la possibilità di offendere l’avversario in qualsiasi modo, tranne che mediante l’introduzione di dita negli occhi, nella bocca e nelle orecchie. AULO GELLIO, Noctes atticae, XIII, 26 407 A. MOMIGLIANO, L’agonale di J. Burckhardt e l’«Homo ludens» di J. Huizinga, in Sesto contributo alla storia degli studi classici e del mondo antico, I, Roma 1980, pp. 323-324 (“Annali della Scuola normale superiore di Pisa” , s. 3, vol. 4, 1974, pp. 369-373). «Con ogni mossa bisogna annientare il nemico», ammoniva Pindaro (Istimica 4, 67). Secondo Quintiliano (X, 1, 61), «dei nove lirici di gran lunga il primo è Pindaro, per la magnificenza della sua ispirazione, per i pensieri, per le figure». Pindaro (520-438 a. C. circa) è autore di quattro libri di epinici, uno per competizione agonale. Sul punto si vada al § 8.1.
140
fecero promulgare leggi volte a collocare l’attività atletica in posizione strategica: si
pensi, ad esempio, a Solone, il legislatore ateniese vissuto tra il VII e il VI secolo
a.C., che istituì un premio statale di 500 dracme per i vincitori olimpici408.
Il successo agonistico, infatti, aveva significato sociale e politico profondo, in
un contesto in cui sacro e giuridico, fas e ius, non erano ancora completamente
distinti: vincere era testimonianza inequivocabile del favore divino, sia nel confronto
con le altre comunità elleniche, ma anche all’interno, segno della grandiosità e della
prosperità per i cittadini che avessero scelto di legarsi al tiranno o all’oligarchia
dominante.
La pratica sportiva si diffuse presto nell’Italia meridionale, nella magna
Grecia, in particolare a Crotone409, i cui rappresentanti riuscirono ad aggiudicarsi il
successo in venti occasioni su ventisei olimpiadi410.
I giochi atletici ebbero una rilevanza, non adeguatamente sottolineata, anche
nella parte centro settentrionale della penisola italica, nelle aree di cultura etrusca,
dove competizioni ippiche e atletiche caratterizzavano in particolare le celebrazioni
funebri411.
408 Cfr. B. GENTILI, In premio un epinicio, in «LeN», a. XII (1995), nn. 1-2-3, pp. 88 ss. 409 Cfr. F. GARCÍA ROMERO, La buona salute degli atleti di Crotone (o delle zecche): su un proverbio greco antico, in Sport e culture, vol. I, pp. 39-47. 410 Tra i migliori prodotti del vivaio della città di Crotone, spicca uno dei più forti atleti di tutti i tempi, sei volte, cinque delle quali consecutive, campione olimpico nella lotta: Milone: H. LANGENFELD, Una biografia di Milone, in Sport e culture, vol. I, pp. 67-74. L’atleta sposò una delle figlie del filosofo Pitagora: sul punto si veda PORFIRIO, Vita di Pitagora, 15. Cfr. F. GARELLO, Miracolo in magna Grecia, in «LeN», a. XVI (1999), nn. 1-2-3, pp. 26 ss. 411 Cfr. E. FRANCIOSI, Miti da smitizzare. Aspetti giuridici e disciplinari dei giochi olimpici, in «LeN», a. XXI (2004), n. 3, pp. 32-59; G. GORI, Intrattenimenti etruschi, in «LeN», a. V (1988), n. 2, pp. 6 ss.
141
I giochi romani412, avendo la funzione di celebrare gli dèi, si svolgevano in
occasione delle principali festività in calendario, aperte dalla cosiddetta pompa (la
processione nella quale venivano scortate le statue della divinità), al fine di indicare
l’appartenenza collettiva.
Di questa interrelazione culturale, sociale e politica, protagonista è il circo413,
che non è semplicemente il luogo che ospita i giochi.
Nell’arena si fronteggiano i due elementi fondamentali delle dinamiche
politiche di Roma: ovvero il leader e il suo popolo. «In questa sede il principe è
considerato primus inter pares, la sua presenza è un dovere, i giochi non sono un
regalo che egli fa ai sudditi, ma un omaggio offerto al popolo per dimostrare l’amore
che il principe prova per lui»414.
E se la costituzione repubblicana si fondava sull’endiadi tra senato e popolo
romano (Spqr), il principato cerca invece la sua legittimazione sul consenso delle
masse, che erano anch’esse popolo, ma ben diverso da quello dei comizi, inquadrato
e politicamente manipolabile con gli strumenti della demagogia415. Il popolo cui si
appoggiava il principe, ormai ludens416, era costituito dalle masse in quanto tali,
bisognose di un leader carismatico che le guidasse, ma anche che le lasciasse libere –
rectius, le facesse sentire libere – di esprimere e realizzare i propri bisogni.
412 Secondo Tito Livio (Ab Urbe Condita, VII, 3 I), i ludi furono istituiti «per scongiurare la maledizione divina». 413 La denominazione deriva dall’espressione circum enses, indicativa del percorso che i conducenti dovevano far percorrere ai propri cavalli, i quali per cambiare direzione dovevano aggirare esternamente le metae, delimitazioni poste agli estremi della pista. 414 F. GARELLO, Hilaritas populi, in «LeN», anno XV (1998), n. 2-3, pp. 22-33. 415 Descritti con lucida freddezza e assenza di scrupoli dal ciceroniano Commentariolum petitionis (64 a.C.). Cfr. F. LUCREZI, Manualetto per la campagna elettorale, Editoriale scientifica, Napoli 2001. 416 L. MASTRANGELO, Princeps ludens. Civiltà di massa, sport e autocrazia: le radici, in «LeN», anno XIX (2002), n. 2-3, pp. 68-87.
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Il processo sinergico diventa produttore e diffusore di consenso. Suo più
eccentrico interprete fu Nerone, inventore nel 59 d.C. dei primi “Giochi della
gioventù”, convocati per celebrare la rasatura della sua barba417.
Pur nelle diversità dovute alle varie epoche storiche, prima fra tutte la
condizione giuridica degli atleti, a Roma non esclusivamente, ma per la maggior
parte auctorati418, possono individuarsi analogie tra l’organizzazione pratico-sportiva
antica e quella moderna.
La prima è il rapporto squilibrato tra la disciplina trainante, oggi il calcio e
allora la gladiatura, e le “altre” attività.
L’offerta degli eventi sportivi rientrava tra i doveri dell’amministrazione
pubblica che svolgeva un ruolo, in qualche modo, analogo a quello attualmente
ricoperto dalle federazioni e dalle leghe sportive che sovrintendono
all’organizzazione e alla regolare disputa delle gare.
Si mostrava dunque, in tutta la sua evidenza, la caratterizzazione marcatamente
pubblicistica attribuita all’organizzazione dell’evento sportivo, curata direttamente
dalle istituzioni.
417 L’anno successivo volle istituire i Neronia, un certame poetico pubblico, in cui si mostravano chiaramente congiunti i due aspetti del carattere pubblico e spettacolare delle competizioni. 418 Per entrare nella familia gladiatoria era necessario sottoporsi all’auctoramentum, una particolare fattispecie di natura extragiuridica, consistente in un giuramento alla divinità chiamata a fungere da garante, prestato dall’aspirante gladiatore, in genere, ma non necessariamente schiavo, che si impegnava con la seguente formula sacrale: «iuro me uri, vinciri, verberari virgis, ferroque necari et quidquid aliud iusseris vel invitum me pati passurum». (SENECA, Ad Lucilium, XXXVII; ORAZIO, Saturae, II, 7, vv. 58-61; PETRONIO, Satyricon, 117).
143
In un primo tempo, l’organizzazione dei giochi era decretata dal Senato che indicava,
con un senatus consultum detto lucar419, la cifra di sesterzi da destinare
all’allestimento delle manifestazioni420.
Prima del combattimento gladiatorio, l’editor si assicurava che le armi da usare
fossero regolamentari con un gesto che ricorda il controllo dei tacchetti dei calciatori
da parte degli assistenti dell’arbitro prima dell’ingresso in campo421.
Era previsto anche il pareggio, quando era difficile stabilire quale dei due
antagonisti avesse effettivamente avuto la meglio. Oltre al singolare, c’erano anche
incontri “a squadre”: Caligola422 fece combattere cinque secutores contro cinque
retiarii423. I vincitori, agitando una palma simbolo della loro affermazione, si
concedevano il giro d’onore dell’anfiteatro424, inaugurando una tradizione ancor oggi
praticata.
419 La denominazione si suppone abbia origine dalla circostanza che il denaro veniva ricavato detraendolo dalle rendite dei boschi sacri, i luci, che si trovavano intorno all’Urbe. 420 L’incombenza venne poi affidata agli edili plebei e quindi agli edili curuli. La magistratura dell’edilità era preposta anche alla cura annonae, ossia alla gestione delle riserve pubbliche di grano: una dualità di mansioni che, non a caso, sottolinea il noto binomio panem et circenses, espressione originariamente neutra, indicante funzioni pubbliche entrambe di notevole rilevanza, priva delle venature di critica populistica con cui è modernamente utilizzata. In età augustea, la preparazione dei ludi fu mansione pretoria ma, essendo un compito complesso che richiedeva specifiche competenze, Claudio e Nerone istituirono la figura del direttore perpetuo, ricoperta rispettivamente dalle persone dei curatores ludorum Sulpicio Rufo (TACITO, Annales, XI, 35) e Arruzio Stella (TACITO, Annales, XIII, 22) mentre Caracalla era solito nominare, di volta in volta tra i cittadini particolarmente benestanti, un curatore privato che provvedesse agli oneri organizzativi, attingendo direttamente alle proprie sostanze. Cfr. V. SALETTA, Ludi circensi, Istituto grafico tiberino, Roma 1964, p. 45. 421 Per stabilire il risultato finale, se uno dei due antagonisti non fosse caduto ucciso o ferito gravemente, era previsto che il gladiatore in palese inferiorità potesse gettare le armi e implorare la grazia all’editor, il quale era solito lasciare la decisione al pubblico, fruitore, ma in realtà vero proprietario dei giochi, che si pronunciava non solo in base ai suoi umori ma soprattutto tenendo conto del coraggio e dell’ardore con i quali il combattente aveva dimostrato di onorare la competizione. 422 SVETONIO, Caligula, 32. 423 Le classi gladiatorie erano determinate dal tipo di armamento. La più antica era quella “sannita”, che prese il nome dalla temibile popolazione sconfitta da Roma nel 340 a.C., dotata di armatura pesante con elmo a calotta, scudo rotondo o rettangolare di grosse dimensioni, schiniere sulle gambe e gladio corto o lancia. Dal sannita, secondo SVETONIO (Caligola 30), derivò il secutor, il cui elmo è però più piccolo e arrotondato, detto anche contraretiarius, in quanto frequentemente contrapposto proprio al reziario, che è il gladiatore più caratteristico e facilmente individuabile, perché armato di rete e tridente. Cfr. F. SAVI, I gladiatori. Storia, organizzazione, iconografia, Gruppo Archeologico Romano, Roma 1980, pp. 25 ss; L. JACOBELLI, Gladiatori a Pompei, L’Erma di Bretschneider, Roma 2003, pp. 7 ss. 424 SVETONIO, Caligula, 32.
144
Le venationes, letteralmente battute di caccia, erano strettamente collegate ai
giochi gladiatori ordinari e vedevano uno o più uomini cacciare e battersi con
animali425, oltre a una serie di varianti consistenti in scontri tra bestie, magari legate
tra loro e aizzate all’aggressione violenta426.
§ 8.2 La “faziosità”
Il circo ha consentito la prodromica forma di associazionismo professionale
sportivo con la nascita delle prime società sportive della storia, le factiones, che
offrivano agli atleti alle loro dipendenze ogni tipo di supporto medico e organizzativo
e ne garantivano il miglioramento dell’efficienza attraverso l’assunzione di allenatori
e preparatori atletici, oltre che di personale preposto alla manutenzione dei carri427.
Queste società furono fondate con un esplicito fine di lucro ma erano anche in grado
di suscitare ampi processi d’identificazione che fecero nascere vere e proprie
tifoserie, caratterizzate dai colori delle rispettive squadre428.
Le analogie più intense con alcune caratterizzazioni dello sport moderno, in
particolare nella sua ultima evoluzione in show-business, si possono rinvenire nei
risvolti economici connessi all’attività sportiva, in particolare per gli straordinari
425 TITO LIVIO, Ab urbe condita, XXXIX, 22, 2. 426 MARZIALE, De spectaculis, 19. Questa disciplina si sviluppò parallelamente con l’espansione nei territori africani. Nel 58 a.C. Marco Emilio Scauro portò per la prima volta a Roma ippopotami e coccodrilli (PLINIO, Historia. Naturalis, VIII, 64 e 96), mentre nel 55 un rinoceronte inaugurò il circo di Pompeo (CASSIO DIONE, XXXIX, 38). 427 D. 3, 2, 4 (Ulpiano, libro sesto ad edictum); PLAUTO, Poenulus 1291. 428 In particolare, il bianco caratterizzava la factio alba, il rosso la russata, il verde la prasina e l’azzurro la veneta. Altre due compagini, dai colori oro (aurata) e porpora (purpurea), furono introdotte, ma con minor seguito e fortuna, da Domiziano (SVETONIO, Domitianus 7,1). Cfr. U. E. PAOLI, Vita romana, Le Monnier, Firenze 1940, pp. 219 ss.
145
guadagni degli aurighi di maggior fama e successo429. Somme consistenti
raggiungeva anche il giro delle scommesse, legali e clandestine, che ruotavano
attorno ai risultati delle corse, da cui scaturivano frequenti schiamazzi e turbamenti
per la quiete pubblica430.
L’influenza della Graecia capta431 può essere rinvenuta anche nella diffusione
dei ludi atletici, nonostante la iniziale diffidenza verso un’attività considerata
pericolosa e deviante nell’educazione dei giovani432.
Disciplina particolarmente apprezzata era la lotta, nelle due varianti dello
scontro in piedi, mirante all’atterramento dell’avversario, e nel combattimento
sdraiati a terra, più violento e meno regolamentato433.
Negli ambienti militari ebbe fortuna (nelle sue varietà che ancor oggi si
praticano: in alto, in lungo e triplo) il salto, che sviluppando agilità e forza esplosiva
risultava particolarmente adatto all’addestramento fisico dei giovani soldati434.
Come sostiene Lucrezio435, il pugilato nasce in pratica con l’uomo, essendo le
mani, assieme alle unghie e i denti, i primordiali mezzi di offesa.
La disciplina considerata più adatta per una formazione fisica completa e
armonica era il nuoto, apprezzato negli ambienti militari sia per i benefici di 429 Diverse iscrizioni attestano che “campioni” come M. Aurelio Polinice, vincitore complessivamente di 739 competizioni, ottenne tre volte premi da 40.000 sesterzi e 26 volte da 30.000, mentre l’ispanico C. Apuleio Diocle, nei suoi ventiquattro anni di carriera, vinse ben 1462 corse, totalizzando un montepremi complessivo dell’impressionante cifra di 33.863.120 sesterzi (in particolare, Cil, VI, 10048; VI ,10049). 430 GIOVENALE, Saturae, XI, 199 ss. 431 Amplificata dall’opera di Pindaro, Bacchilide e Simonide di Ceo, principali esponenti del genere letterario epinicio (letteramente “sulla vittoria”), per sua natura encomiastico, celebrativo evidentemente non solo dell’atleta vincitore, ma soprattutto della città e della fazione politica. 432 Cfr. R. FRASCA, Il corpo e la sua arte. Momenti e paradigmi di storia delle attività motorie, da Omero a P. de Coubertin, Unicopli, Milano 2006, pp. 64-5. 433 In due locali attigui alla palestra, il conisterium e l’eleotesyum, i lottatori potevano cospargersi rispettivamente di sabbia e olio o cera. 434 VEGEZIO, Epitome Rei Militaris, I, 9. 435 LUCREZIO, De Rerum Natura, III.
146
fisiologia generale, sia per il valore aggiunto che forniva ai soldati nell’ipotesi di
battaglia navale436.
Durante il principato romano si utilizzava la palla, variandone forme e
dimensioni, per giochi diversi, individuali e di squadra, sia all’aperto, sia in un
apposito ambiente al chiuso situato nelle costruzioni termali, lo sferisterio437. I
romani utilizzavano quattro tipi di palla: il follis, la palla triagonalis, la paganica e
l’harpastum (o harpasta)438.
Nella storia agonistica romana non mancano episodi di pesanti scontri tra
opposte fazioni di tifosi, il più grave dei quali si registrò a Pompei nel 59 d.C.439.
Per i giochi organizzati in grande stile dal ricco Lavinio Regolo accorsero decine di
migliaia di spettatori, anche dai centri limitrofi con i quali non erano state mai sopite
le rivalità campanilistiche. In particolare i locali pompeiani e i numerosi nocerini si
affrontarono con pietre e coltelli, e il bilancio fu di centinaia di morti e migliaia di
feriti440. Il Senato intervenne duramente, interdicendo per dieci anni l’indizione di
436 VEGEZIO, Epitome Rei Militaris, I, 10. A Roma gli sport acquatici non ebbero problemi, potendo giovarsi della diffusione di terme e piscine, pubbliche e private. PLINIO, Epistulae, II, 17, 11 e V, 6. 437 MARZIALE, Epigrammata, XIV, 163. 438 La prima, in cuoio morbido, era gonfiata ad aria e risultava perciò particolarmente leggera, dunque apprezzata dai più giovani e dalle ragazze, che se la scambiavano con le mani e gli avambracci, con dei movimenti che ricordano i passaggi della nostra pallavolo. La competizione poteva consistere anche nello sfidarsi a lanciare il follis, detto in questo caso pila velox, più in alto dell’avversario, colpendolo con le mani o con un apposito anello in legno. La palla triagonalis era più dura, ed era così denominata per la posizione a triangolo assunta dai giocatori che se la scambiavano cercando di non farla mai cadere. La paganica, piumata e di media grandezza, prendeva il nome dal fatto di essere diffusa nei villagi (pagi) e nelle periferie urbane: le sue traiettorie risultavano meno tese di quelle della pila. Infine, il gioco che registrava maggiore diffusione, e che viene comunemente individuato come l’antenato del rugby moderno, l’harpastum, con un pallone più piccolo il cui possesso era conteso da due squadre di una quindicina di giocatori. MARZIALE, Epigrammata, IV, 19: «plumea seu laxi partiris pondera follis»; MARZIALE, Epigrammata, VII, 72; MARZIALE, Epigrammata, XVI, 45; ORAZIO, Saturae, II, 2: «seu pila velox/molliter austerum studio fallente laborem»; OVIDIO, Ars Amatoria, III, v. 381. 439 TACITO, Annales, XIV, 17. 440 Cfr. D. AUGENTI, Spettacoli del Colosseo nelle cronache degli antichi, L'Erma di Bretschneider, Roma 2001, pp. 27 ss, su cui L. MASTRANGELO in «Bollettino di Studi latini», anno 32 (2002), pp. 200-201. Cfr. anche «LeN», a. XVIII (2001), nn. 1-2-3, pp. 59-61.
147
«ogni tipo di spettacolo» a Pompei: si tratta in fondo dello stesso provvedimento
attualmente adottato dalla giustizia sportiva, la squalifica del campo, la cui lunghezza
si rivelò davvero efficace nel caso pompeiano visto che, nel decennio intercorso tra la
ripresa delle gare e il seppellimento della città sotto la lava del Vesuvio il 24 agosto
79, gli spettatori campani riuscirono a distinguersi per la compostezza con cui
assistettero agli eventi agonistici.
Incidenti e violenze in concomitanza di appuntamenti sportivi continuarono
anche nella successiva età imperiale, come dimostra la nota sedizione partita
dall’ippodromo di Costantinopoli l’11 gennaio 532 d.C. – detta Nika dal grido alla
vittoria dei rivoltosi – che fu tanto devastante da trovare impreparato anche il pur
sempre avveduto Giustiniano441.
§ 8.3 L’uso strumentale
Negli anni della rivoluzione francese, per celebrare alcune ricorrenze (la caduta
di Robespierre e l’arresto di Luigi XVI) il Direttorio organizzò una serie di feste
repubblicane, allo scopo di promuovere l’entusiasmo patriottico, l’identificazione con
il corso storico, il culto dei vincitori. Durante queste feste hanno luogo gare atletiche
e giochi sportivi, subito definiti da alcuni giornali la “prima Olimpiade della
Repubblica”442. Non era la prima volta che si svolgevano dei giochi che richiamavano
441 Cfr. A. DELL’ORO, Giustiniano, cit., p. 625. 442 «Journal de Paris», dal n. 312 (30 juillet) al 328 (16 aout) e «Journal des défenseurs de la Patrie», n. 95 (31 juillet 1796).
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all’ideale olimpico della Grecia classica, ma era la prima volta che si effettuavano
con un fine di consenso.
L’evento assunse una rilevanza di primo piano in un contesto del tutto
particolare, caratterizzato dalla volontà di “scristianizzare” la società francese
privilegiando i momenti aggregativi laici e pagani e, sul piano più strettamente
politico, di restaurare i principi dell’89443.
Nella riunione del consiglio dei cinquecento tenuta il 28 termidoro si doveva
stabilire a quale organo, tra Direttorio e Assemblea legislativa, delegare la
competenza sull’organizzazione dei giochi e si doveva concordare il significato che,
ad essi, andava attribuito. Il dibattito venne aperto dalla relazione del cittadino
Chenier, che mise in relazione lo spirito olimpico e la pacificazione degli animi,
orientando l’uditorio sul principio della necessità di svolgere le competizioni
agonistiche in un’ottica di coesione del corpo sociale444.
L’obiettivo evidente era quello di vivificare la nazione, ravvivare lo spirito
pubblico, riconciliare partiti e patrioti. E se l’agognato recupero delle gare olimpiche
sarà di aiuto alla crescita dello “spirito della nazione”, i giochi, i passatempi e i
divertimenti saranno strumentalizzati in funzione politica.
Cosa che sarà palese alla fine dell’ottocento quando lo sport, non più pura
attività agonistica, comincia ad essere visto come occasione educativa o tramite di
443 Le gare si tengono nel quarto anno della Repubblica, in giorni non casuali: il 10 termidoro (28 luglio), il 23 termidoro (10 agosto), il 1 vendemmiaio (22 settembre). Il 9 e 10 termidoro dell’anno II della repubblica (27-28 luglio 1794) alcuni esponenti della Convenzione pongono fine al periodo giacobino mediante un colpo di stato. Il 10 agosto 1792 l’Assemblea legislativa, a seguito di una sollevazione popolare, deve decretare la sospensione del re, fatto prigioniero con la famiglia. Il 21 settembre 1792 la Convenzione decreta la decadenza della monarchia, sostituita dalla repubblica, e l’istituzione del nuovo calendario, che resterà in vigore fino al 1805. Cfr. A. LOMBARDO, L’olimpiade del 1796, in «LeN», a. VI (1987), n. 1, pp. 20-23. 444 Conseil des Cinq Cents. Séance du 28 Thermidor, in «Journal de Paris», n. 329, 16 agosto 1796.
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organizzazione di consenso. Il carattere politico dello sport diventa uno strumento per
trasformare l’applauso per la prestazione sportiva in acclamazione del sistema
dominante.
Lo renderà palese il fascismo che trarrà il bilancio dell’esperienza olimpica di
Amsterdam (1928): «Noi non ci chiudiamo nella formula agnostica lo sport per lo
sport, ma abbiamo il coraggio di proclamare che lo sport è per noi strumento di
propaganda e di potenza della Nazione in ogni tempo e in ogni circostanza»445.
Il discorso mussoliniano del 28 ottobre 1934 alle falangi sportive riunite in via del
Circo Massimo sarà perentorio: «Voi atleti di tutta Italia avete dei doveri particolari.
Voi dovete essere tenaci, cavallereschi, ardimentosi. Ricordatevi che quando
combattete oltre i confini, ai vostri muscoli e soprattutto al vostro spirito è affidato in
quel momento l’onore e il prestigio sportivo della nazione. Dovete quindi mettere
tutta la vostra energia, tutta la vostra volontà per raggiungere il primato nei cimenti
della terra, del mare e del cielo»446. Ferretti potrà dunque concludere con
soddisfazione: «anche nello sport trionfa la formula tutto il potere a tutto il
fascismo»447.
L’uso strumentale dello sport, come veicolo di propaganda e di diffusione delle
ideologie e dei miti, nonché come strumento per far conseguire al regime fascista un
più ampio consenso popolare, innova profondamente rispetto all’ottica liberale che
aveva faticato ad esercitare forme di controllo sullo sport.
445 «Lo Sport Fascista», 4 settembre 1928 (I), p .4. 446 Pnf, Il cittadino soldato, Libreria dello Stato, Roma 1936, p. 93. Cfr. L. RIGO, Cerchi olimpici e fasci littori, in «LeN», a. III (1986), n. 2, pp. 28-9. 447 L. FERRETTI, Il libro, p. 50.
150
Il consenso serve al processo di nazionalizzazione delle masse448 che i regimi
pongono al centro della propria strategia politica e culturale. Sia in Germania (dove
Hitler449 sostiene apertamente che lo sport resta il mezzo sociale migliore per dare
corpo all’amor patrio e allo spirito d’offesa dei cittadini della nazione tedesca) che in
Italia (dove l’occupazione partitica delle iniziative sportive risponde ad una precisa
strategia), le organizzazioni sportive diventano ben presto strumenti di ramificato
controllo sociale e di dilatazione autoritaria. L’evento sportivo diventa un evento
politico, le competizioni metafora della guerra, lo sport nazionale un modello
vincente.
La correlazione tra sport e politica si manifesta in tutta la sua evidenza in
occasione delle Olimpiadi di Berlino del 1936, che però dimostrano anche come i
tentativi di strumentalizzazione devono, in ultima analisi, cedere il passo all’uomo
agonista (Jesse Owens), in grado di imporsi nonostante i deliri di onnipotenza.
Maggiore successo ebbe la strategia di subordinazione del calcio ai fini del Terzo
Reich450
Trasformare l’applauso sportivo delle masse in un’acclamazione al sistema è
stato obiettivo lungamente perseguito451. Lo sport ha avuto spesso la funzione di
stabilizzare lo status quo attraverso l’identificazione con i campioni. Si è trattato
448 Cfr. G. MOSSE , Masses and man, tr. it. La nazionalizzazione delle masse, di L. De Felice, Il Mulino, Bologna 1975. 449 A. HITLER, Mein Kampf, Verlag Eher, Munchen 1925. 450 N. HAVERMANN, K. HILDEBRAND, Fussball unterm Hakenkreuz. Der Dfb zwischen Sport, Politik und Kommerz (Il calcio sotto la svastica. La Dbf tra sport, politica e commercio, Campus Verlag, Frankfurt am Main 2005. 451 Cfr. l’introduzione di G. E. RUSCONI a J. HOBERMAN, Sport, cit., pp. 9-17.
151
quindi di una mistificazione, più o meno evidente, più o meno gestita, che ha
riguardato non solo i regimi e i sistemi politici al potere, ma anche le opposizioni452.
Nel 1969 una guerra tra Salvador e Honduras era scoppiata a causa di una
partita di calcio453. Tre anni dopo, nel 1972 a Monaco, con «l’attacco di Settembre
Nero - scrive Reeve - non sarebbe stato mai più possibile separare dalla politica
importanti eventi sportivi»454.
A sessantaquattro anni dalle imprese dell’afroamericano vincitore di quattro
medaglie d’oro sotto gli occhi razzisti di Hitler, a Sydney i bianchi, e comunque gli
appartenenti al cosiddetto “nord” del mondo, anche se lo avessero voluto, non
avrebbero potuto più strumentalizzare la maggiore manifestazione sportiva del
mondo: dai risultati delle olimpiadi australiane, infatti, è emersa sempre più netta la
superiorità dell’Africa e dei suoi atleti. Quarant’anni prima, a Roma, l’Europa aveva
conquistato il settanta per cento delle medaglie a disposizione, ad Atlanta la
percentuale era scesa al cinquantaquattro, a Sydney il punteggio del vecchio
continente si riduceva ulteriormente, anche per la crisi dei bianchi in discipline
diverse dall’atletica, tradizionale appannaggio degli atleti africani.
Per converso, la politica ricorre sempre più volentieri allo sport e alle sue
metafore. La calcistizzazione della politica assume carattere di sistematicità con la
452 Si pensi a un leader come Palmiro Togliatti che, pure, aveva incitato gli operai a praticare educazione fisica e sportiva, il quale, nel 1947, incitò la rappresentativa dell’Unione sovietica «a vincere assolutamente» sulla squadra italiana per la maggior gloria del marxismo - leninismo. P. TOGLIATTI, Lezioni sul fascismo (1935), Editori Riuniti, Roma 1970. 453 Cfr. R. KAPUSCINSKI, Woina futbolowa, tr. it. La prima guerra del football e alte guerre fra poveri di V.Verdiani, Serra e Riva, Milano 1990. 454 S. REEVE, One Day in September. The story of the 1972. Munich Olympics massacre, a government cover-up and a covert revenge mission (2000), tr. it. di O. Gargano, Un giorno in settembre, Bompiani, Milano 2002, p. 267. Una squadra israeliana tornerà a Monaco di Baviera trent’anni dopo, nell’agosto 2002, per i campionati d’Europa di atletica leggera, conquistando la sua prima medaglia d’oro (nel salto con l’asta con Alex Averbukh) e commemorando i connazionali caduti. Cfr. «GdS», 12 agosto 2002, p. 25.
152
comparsa di “Forza Italia”, movimento guidato da Silvio Berlusconi «sceso in
campo»455.
455 L’impatto favorevole della comunicazione di carattere sportivo è stato analizzato, anticipando gli esiti della competizione elettorale, nel marzo 1994, in un seminario tenuto dal giornalista Italo Cucci su Il linguaggio della politica e l’uso delle metafore sportive, svolto nell’ambito del corso di Scienza della Politica dell’Università degli studi di Teramo. Cfr. A. NOTO, 1994 – Il linguaggio della metafora, in «LeN», a. XIII (1996), nn. 1-2-3, pp. 68-83.
153
9. Un matrimonio di interessi
§ 9.1 Le radici
È stato efficacemente definito matrimonio di interesse456 il connubio tra mezzi
di comunicazione di massa ed eventi sportivi.
La relazione ha radici antiche. Il primo “giornalista” sportivo è stato Omero,
quando ha raccontato i giochi funebri organizzati da Achille per la morte dell’amico
Patroclo457. Dopo aver adempiuto al sacro ufficio della sepoltura, il Pelide indice una
competizione sportiva: il piano comunicativo cambia radicalmente, passando
dall’austera tonalità dei versi precedenti a una descrizione di tipo quasi cronachistico.
Ulisse si vede dedicare gare atletiche dal sovrano-ospite458, Alcinoo, padre di
Nausica “dalle bianche braccia” che egli, arrivato naufrago sulla spiaggia dei Feaci,
aveva visto giocare a palla con le ancelle.
In Grecia vigeva l’usanza di celebrare le vittorie nei giochi mediante il canto
epinicio459, letteramente “intorno alla vittoria”, di norma seguito da un coro
accompagnato da musica e danza.
La Roma del primo secolo a.C. offre un’altra dimostrazione della correlazione
tra evento agonistico e comunicazione attraverso l’opera di Mecenate460, che facendo
456 G. IOZZIA, L. MINERVA, Un matrimonio d’interesse. Sport e televisione, Rai, Roma 1986. Cfr. G. NONNI, Per una storia della comunicazione sportiva, in Comunicazione e sport, a cura di A. Catolfi e G. Nonni, Quattroventi, Urbino 2006. 457 Iliade, libro XXII, vv. 346-414. 458 Odissea, libro VIII, vv. 126-322. Finite le gare, i due figli di Alcinoo, Eurialo e Laodamante, sfidano Ulisse che, dopo un iniziale rifiuto, scaglia un disco, più pesante di quello lanciato dagli antagonisti, a una distanza superiore. 459 Si torni al § 7.1. 460 Mecenate, discendente di antica nobiltà etrusca, dal 43 a.C. collabora con Ottaviano, sostenendone l’ascesa politica con sapiente arte diplomatica. Profondamente colto, incentiva con finalità encomiastiche la produzione dei maggiori poeti del tempo: Virgilio, Orazio, Properzio, Vario.
154
tesoro dell’esperienza ellenica incentiva decisamente la circolazione libraria.
Con lungimiranza e grazie alle sue sostanze, guarda a una letteratura di grande
diffusione, capace di veicolare messaggi461.
In questi secoli fisicità continua a essere anche comunicazione.
L’espressione più alta e coinvolgente della mediatizzazione diretta dell’evento
sportivo era offerta dalle naumachie, battaglie navali simulate che, per la complessità
scenica e la varietà suggestionante di situazioni contemporanee, erano in grado di
coinvolgere l’interesse di masse enormi di spettatori. La prima naumachia fu fatta
rappresentare da Cesare a Roma nel 46 a.C. in un Campo di Marte trasformato per
l’occasione in lago artificiale, nel quale si affrontarono la flotta egiziana e la fenicia.
Quarant’anni dopo fu Augusto a ripetere l’impresa, attraverso la costruzione di un
lago artificiale lungo cinquecento metri e largo trecentosessanta vicino alla riva del
Tevere, nel quale si affrontarono persiani e ateniesi.
La naumachia che destò maggior scalpore fu realizzata da Claudio a un
centinaio di chilometri dall’Urbe, nel 52 d.C., per celebrare il prosciugamento del
lago marsicano del Fucino462, con oltre diciannovemila guerrieri coinvolti nelle vesti
contrapposte di rodiesi e siciliani463.
461 «Così coloro che non erano ammessi ai salotti letterari dei ricchi, che non avevano il gusto dei buoni libri o i mezzi per acquistarli, avevano sotto gli occhi moniti d’ogni genere». R. SYME, La rivoluzione romana, tr. it. di M. Manfredi, Einaudi, Torino 1962, p. 472. 462 Cfr. A. CAMPANELLI (a cura di), Il tesoro del lago. L’archeologia del Fucino e la collezione Torlonia, Carsa, Avezzano 2001; V. BATTISTA, Memoria d’acqua, segni di terra, Amministrazione provinciale, L’Aquila 1997, p. 17. 463
TACITO, Annales, XII, 56.
155
§ 9.2 Il medium e lo sponsor
Ai nostri giorni, l’evento è diventato occasione per un medium che da diffusore
di messaggio, si è trasformato in messaggio esso stesso. La celebre affermazione di
un sociologo canadese464, il medium è il messaggio, ci ha ammonito a considerare la
totalità non solo tecnologica dello strumento della comunicazione ma anche la sua
potenza nell’influire sulle proporzioni e i ritmi dei rapporti umani. Si tratta di una
rivoluzione, sconvolgente quanto quella chirografica (scrittura) e quella
gutenberghiana (stampa).
Il rapporto simbiotico di crescita e reciproca integrazione tra sport e media,
dopo i primi tentativi465, si è evidenzato agli inizi del Novecento466 quando la carta
stampata, il medium di maggior rilievo del tempo, si fece addirittura organizzatrice e
promotrice di eventi sportivi.
Il ciclismo467 si è affermato per la peculiarità di invertire il rapporto evento-
spettatore, andando a svolgersi direttamente tra il pubblico e favorendo la comune
passione sportiva che, nelle testate promotrici, trova finalmente la sua koiné468.
464 M. MC LUHAN, The medium is the message, in Understanding media: the extensions of man, 1964, pp. 7-21, tr. it. Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore, Milano 1967. 465
Si veda Lo sport nelle copertine della “Domenica del Corriere” (1900-1912), in C. DEBONI, Lo sport. Un’epica per il nostro tempo, D’Anna, Messina 1977.
Si pensi al giornale sportivo “Sporting Life”, pubblicato sin dal 1821 in Inghilterra. 466
La nascita della bicicletta e il suo ruolo sociale e politico sono illustrati al § 2.2. 467
Le due maggiori kermesse ciclistiche nascono per iniziativa di un giornale sportivo che si sobbarca l’onore e l’onere della manifestazione: il Tour de France viene ideato dal giornalista Géo Lefèvre de «Le Velo, le journal quotidien de la vélocipéde»: il primo luglio 1903 parte la Grand Boucle, che vedrà in maglia gialla, all’arrivo sui campi Elisi, lo spazzacamino valdostano Arvier Maurice Garin, e che il suo ideatore definì «il grande tam tam annuale che risveglia per un mese intero l’interesse di una nazione». (Cfr. Allez Maurice!, Musumeci, Quart, Valle d’Aosta 1993).
468
Sei anni più tardi viene disputato il primo Giro d’Italia, vinto dal muratore Luigi Ganna, il cui primato è contraddistinto dalla maglia rosa, colore dell’organizzatrice «Gazzetta dello Sport». Sulla corsa, si veda D. MARCHESINI, L’Italia del Giro d’Italia, Il Mulino, Bologna 1996.
156
Il regime fascista, tra i primi, si giova dell’invenzione del mezzo
radiofonico469, attraverso il quale irradiare le epiche imprese dei “servitori della
patria”, di quegli atleti, “italiani nuovi”, capaci di primeggiare.
La retorica cine-giornalistica, tipica dell’istituto Luce, e l’epica radiofonica,
inaugurata il 1° gennaio 1933 da Niccolò Carosio470 allo stadio del Littorio di
Bologna per Italia-Germania (3 a 1), ben si adattano ad un linguaggio sportivo
giovane e ben disposto agli input del regime, da cui ricavano metafore militari,
contrazioni ellittiche e aggettivazioni torrenziali.
Anche il cinema471, grazie a registi come Mario Bonnard472 e Alessandro
Blasetti473, ha saputo interpretare la crescita della passione popolare verso il calcio474.
La correlazione tra lo sviluppo della pratica sportiva e la progressiva potenza
degli agenti mediatici dimostrano inequivocabilmente la dialettica indissolubile tra
questi due elementi: l’attività agonistica e gli strumenti di diffusione inglobano la
diretta proporzionalità tra la proliferazione della prima e lo sviluppo dei secondi.
Un capitolo di questa relazione dinamica è l’attenzione letteraria che nel
secondo dopoguerra viene riservata alle corse ciclistiche. Alfonso Gatto475, Anna
Maria Ortese476, Orio e GuidoVergani477, Achille Campanile478, Dino Buzzati479,
469 Nata nel 1924 con la formazione dell’Unione radiofonica italiana e trasformata a partire dal 1928 nell’Ente italiano per le audizioni radiofoniche (Eiar), la radio è subito posta sotto il controllo pubblico ed utilizzata dal regime in senso propagandistico, visto che i programmi sportivi si collocano al terzo posto nei gradimenti degli ascoltatori. Contributo dell’Italia alla storia dello sport, 3 voll., Coni, Roma 1938. 470 Su N. Carosio (1907-1984) cfr. A. BOSCO, Carosio, una voce fuori campo, Panini, Modena s.d. [1991]. 471 G. LIGUORI, A. SMARGIASSE, Ciak si gioca: calcio e tifo nel cinema italiano, Baldini & Castoldi, Milano 2000. 472 M. BONNARD, Cinque a zero (1932), in cui racconta una sonora vittoria romanista contro la Juventus avvenuta l’anno prima. Cfr. I. CUCCI, I. GERMANO, Tribuna stampa, Il Minotauro, Roma 2003, p. 61. 473 A. BLASETTI, La contessa di Parma (1937) in cui racconta la love story tra un centravanti e un’indossatrice. 474 La pittura svolge analoga funzione, come dimostra il volume Appunti allo stadio. Soccer Sketches. 90 opere sul tema del calcio nell’Arte italiana del XX secolo, a c. di M. Margozzi, Impressioni d’Arte, Roma-Seoul-Yokohama 2002. 475 Sognando di volare. Alfonso Gatto al Giro e al Tour, a c. di L. Giordano, Galleria d’Arte Il Catalogo, Salerno 1983. 476 A. M. ORTESE, La lente scura: scritti di viaggio, Marcos y Marcos, Milano 1991.
157
Giovanni Mosca480 e Indro Montanelli481, diventano suivers482. E tra loro soprattutto
Vasco Pratolini483
Il primo contatto tra calcio e televisione si ebbe già nel 1950, quando ancora
imperava la radio come medium privilegiato dell’informazione, con la trasmissione in
sede sperimentale di un incontro tra Juventus e Milan riservata a pochi locali
pubblici.
Lo sport spettacolare assume nelle Olimpiadi romane del 1960484 dimensioni
imponenti (oltre quattromila atleti per 84 nazioni), grazie all’avvento, sei anni prima,
della televisione485: venti operatori, un migliaio di giornalisti, ottantasei radiocronisti,
numerose case cinematografiche. Le olimpiadi messicane del 1968, segnando
l’avvento della trasmissione in bianco e nero via satellite, rende lo sport il primo
spettacolo globalizzato in diretta486.
477 O. E G. VERGANI, Caro Coppi, Mondadori, Milano 1995 478 A. CAMPANILE, Battista al Giro d’Italia. Intermezzo giornalistico, La Vita Felice, Milano 1996. 479 Dino Buzzati al Giro d’Italia, Mondadori, Milano 1981. 480 Gli articoli sul ciclismo di Mosca e Montanelli si trovano ora in Girardengo, a c. di M. Pastoresi, Ediciclo, Venezia 2005. 481 E’ Montanelli, in ripetuti articoli sul «CorS», a definire Bartali «il De Gasperi del ciclismo» e Coppi «il Togliatti della strada». 482 Cfr. A. BRAMBILLA, S. GIUNTINI, Scrittura e sport, Libreria Editrice Universitaria, Verona 2003, pp. 34-5 e 126-39. 483
Si torni al § 3.3. V. PRATOLINI, Cronache dal Giro d’Italia maggio-giugno 1947, Lombardi, Milano 1992.
484
Il 3 gennaio 1954 la Rai (che dal 10 aprile aggiunge la denominazione Radiotelevisione italiana) inizia una regolare programmazione in regime monopolistico, determinato da una convenzione tra stato ed ente del 1952: gli 88.128 abbonati pagano un canone annuo di duemila lire. Nel primo palinsenso c’è anche «La domenica sportiva». In realtà la Nazionale di calcio era apparsa per la prima volta il 13 dicembre 1953 (stadio Ferraris di Genova, Italia-Cecoslovacchia 3-0) in una trasmissione sperimentale.
485
I satelliti erano stati introdotti già nei mondiali in Cile dal 1962 ma erano ancora satelliti asincroni, ossia che giravano a una velocità non sincronizzata con quella della terra, permettendo solo collegamenti di pochi minuti. 486
158
Il binomio calcio-media assurge a fenomeno totalizzante coi Mondiali
messicani del 1970, per la “diretta” dell’emozionante sfida tra le nazionali italiana e
tedesca.487
Appare chiaro come, ancor più dopo l’avvento delle trasmissioni a colori delle
olimpiadi di Monaco 1972, lo sport si avvii a diventare una forma autonoma
comunicativa per eccellenza, il linguaggio universalistico e globale di una società
secolarizzata.
L’industria sportiva, dal canto suo, comprende di potersi fare pubblicità in
televisione e sugli altri mezzi senza perdere ma, anzi, guadagnando. Le riprese
televisive hanno accresciuto il valore commerciale degli avvenimenti sportivi e
quindi diventa appetibile “esserci”. D’altra parte la pubblicità sportiva di marche e
prodotti era stata la prima ad affermarsi nel mondo impenditoriale tra fine ottocento e
primo novecento, mentre la pubblicità delle corse verrà dopo la grande guerra488.
Gli anni Ottanta registrano l’avvento massiccio degli sponsor nel mondo
sportivo489. A gestire l’immagine dei protagonisti provvedono le multinazionali
d’intermediazione che vedono la possibilità mediatica di omologare linguaggio
sportivo e linguaggio spottivo, nel senso di sovrapporre (e identificare) il video al
campo di gara.
Spot e slogan (parola di origine gaelica con il significato originario di “grido di
guerra”) diventano i protagonisti della gara dentro il video e dentro lo stadio. 487
G. L. FALABRINO, Archeologia della pubblicità sportiva (1890-1914), in «Ludus», a. I (1992-1993), nn. 3-4, pp. 87-92.
Il rapporto, in prospettiva continentale, è analizzato in L. CROLLEY, D. HAND, Football, Europe and the Press, Frank Cass, London 2002. 488
F. B. ASCANI, Sport & sponsor, Rizzoli, Milano 1984. Per la distinzione giuridica tra sponsoring e mecenatismo d’enterprise, cfr. M. V. DE GIORGI, Sponsorizzazione e mecenatismo, Cedam, Padova 1988. 489
159
La televisione, unendosi (e per molti aspetti sostituendosi) agli altri mezzi di
comunicazione già da tempo operanti, ha la capacità di rendere l’evento agonistico un
presente globalizzante e globalizzato. Cresce così un nuovo pubblico (quello dei
telespettatori) svincolato dai limiti architettonici degli impianti e distante rispetto dal
luogo della competizione, che viene fruita in modo sempre più assolutizzante.
Da evento-parentesi (la partita domenicale, i mondiali e le olimpiadi ogni
quattro anni, ecc.) lo sport mediatizzato diventa strumento mediatico, l’attività fine a
se stessa è diventata attività industriale. Non conta più l’evento ma solo il racconto
dilatato (prima e dopo); protagonista non è più chi gioca ma chi, per tutta la
settimana, guarda. I novanta minuti o poco più di agone effettivo diventano se non
marginali certo incapsulati da riti e dai rumori multimediali e ripetitivi.
Da osservatore e narratore dell’evento sportivo, di cui era un surrogato, il
medium televisivo è diventato, con la moltiplicazione dei punti di osservazione e
delle tecniche di ripresa, prima l’interprete, e infine, con l’accettazione delle
pubblicitarie esigenze, il dominus mediatore e regolatore. C’è bisogno al fine di
trasformare l’atleta in eroe, non più “divino” (come per i greci) ma “divo” che,
emerso dall’anonimità della massa, si dà in pasto allo spettatore che così crede di
essere diventato sportivo.
In realtà attraverso i media lo spettatore ammira se stesso, così come attraverso
i consumatori spettatori i media alimentano il loro stesso “esserci”.
160
Il matrimonio di interessi tra comunicazione e sport diventa un indissolubile
triangolo amoroso: a loro si è aggiunto lo sponsor (dal latino spondere, che significa
garantire, promettere, obbligare) che li fa dialogare anche secondo le sue esigenze.
L’intreccio, però, può degenerare nella pervesione di uno show must go on
incapace di arrestarsi anche di fronte alla perdita di vite umane, come è accaduto il 29
maggio 1985 allo stadio Heysel di Bruxelles490.
Nell’ultimo decennio del Novecento questo processo, vista la diffusione delle
nuove tecnologie della trasmissione digitale e di internet, ha conosciuto una
escalation praticamente inarrestabile, al punto che i media, tramite i budget
pubblicitari, sono assurti al ruolo di principali finanziatori delle società sportive, alle
quali versano ingenti cifre per assicurarsi i diritti di trasmissione delle competizioni,
che sono condizionate e calendarizzate.
Il condizionamento dei media finanziatori è cresciuto al punto da suggerire (o
meglio, imporre) modifiche regolamentari in molte discipline, per aumentarne la
spettacolarità491 oltre che dettare un calendario sempre più a portata del cliente-
telespettatore (anche della pay-per-view) ma, per converso, sempre meno attento alla
fisiologia degli atleti che, d’altra parte, ritengono comunque di accettare le maggiori
sollecitazioni in virtù dei consistenti incrementi di guadagno. Il veicolo pubblicitario
490 Nonostante i gravissimi incidenti, la finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool viene ugualmente disputata. Il commento televisivo di Bruno Pizzul è riportato integralmente in Heysel ’85. Telecronaca senza immagini di una vigilia, in «LeN», a. III (1986), n. 1, pp. 26-47. 491 Si pensi al pallavolistico “rally point sistem”, allo slalom parallelo nello sci o al tennistico “tie break”, pensati per contingentare negli spazi predefiniti del palinsesto televisivo sportivo discipline “di solo punteggio”, dunque non preventivabili nella durata.
161
è diventato un vero e proprio moltiplicatore economico, così come la vera e propria
sponsorizzazione492.
Che cosa accadrà dello sport – e in particolare del calcio – a conclusione di
questo “processo di asservimento” non è facile dire. Come disse già nel 1956 Paolo
Volponi, se la partecipazione si riduce a passivo vouyerismo, il rapporto tra eventi
sportivi e realtà perderà tutte le leve della capacità critica493. Alla fine ogni evento
sportivo, oltre che diventare banale494 e modificato strutturalmente, sarà diverso da
quello analizzato – tra i primi – da un Pasolini e cantato – tra gli altri – da un Soriano
o da un Galeano. Per lo scrittore-regista friulano il calcio era esso stesso, al pari di
altri e più riconosciuti “sistemi di segni” (pittura, cinema, moda), un linguaggio non
verbale. Non strumento del medium ma esso stesso medium, discorso mimico cifrato
di ventidue fonemi-giocatori (chiamati “podemi”) e decifrati dal tifoso spettatore495.
Quest’ultimo, da sempre illuso (in- ludere) di patecipare all’azione, è diventato
colluso (co- ludere) con l’evento nel suo complesso. Perché da tifoso si è trasformato
in consumatore ormai deluso (de- ludere) che non può più intervenire nel gioco.
I due scrittori sudamericani hanno saputo bene rappresentare lo sport non solo
come medium di socialità ma anche come metafora dell’esistenza. Sia Pensare con i
piedi496 dell’argentino che Splendori e miserie del gioco del calcio497 dell’uruguagio
492 P. FACCHINETTI, Sport e pubblicità, «I problemi di Ulisse», p. 46. 493 P. VOLPONI, in «Centro sociale», 1956, 494 C. LASCH, La cultura del narcisismo, Bompiani, Milano 1981. 495 P. P. PASOLINI, Il calcio è un linguaggio con i suoi poeti e i suoi prosatori, in «Il Giorno», 3 gennaio 1971. Su Pasolini cfr. L. RUSSI, All’oratorio, in «LeN», a. I (1984), n. 1, p. 13. Con una classificazione puramente tecnico – descrittiva, Pasolini (1922–1975) distingue il calcio come poesia (un Riva “realista”, un Corso “maledetto”) dal calcio come prosa (un Rivera “prosatore poetico”). 496 O. SORIANO, Pensare con i piedi (1994) Einaudi, Torino 1995 e Fútbol, Einaudi, Torino 1998. Su Osvaldo Soriano (1943–1997) si legga anche L. RUSSI, Lilliput è salvo, cit., pp. 61-65.
162
hanno continuato a raccontare i capitoli necralgici e puri del messaggio sportivo:
l’amore per la maglia, la decadenza agonistica, la mitologia del campione, l’umanità
dello spogliatoio, la felicità dello stadio, Davide che batte Golia.
497 E. GALEANO, Futbol a sol y sombra (1995), tr. it. di Pierpaolo Marchetti, Splendori e miserie del gioco del calcio, Sperling & Kupfer, Milano 1997. Testi di Soriano e Galeano si trovano anche nelle raccolte Cuentos de fútbol, (Mondadori, Milano 2002 e 2006), assieme a racconti di Jorge VALDANO, autore anche de Il sogno di Fútbolandia, Mondadori, Milano 2003.
163
10. Nell’età della globalizzazione
§ 10.1 Una “casa comune”
Al rilancio di un movimento sportivo, finalmente scevro di condizionamenti
ideologici e di lacci politici, ha contribuito come si è visto anche l’universo
studentesco e universitario italiano nei rapporti internazionali.
La voglia di confronto agonistico, le possibilità di scambio culturale, la
capacità di inventare dimensioni ludiche collettive hanno prodotto la progressiva
costruzione di una “casa comune” tra est e ovest, tra nord e sud, fino a contribuire al
superamento della tensione della guerra fredda498 e all’abbattimento di muri e
steccati.
Negli anni Novanta, invece, sembra registrarsi una inversione di tendenza, con
le implicazioni di natura politica che lasciano il passo agli interessi degli imperi
commerciali e della comunicazione, legati in maniera sempre più intensa ai grandi
eventi sportivi, in un processo di de-ideologizzazione.
Nella misura in cui ha saputo trasformarsi progressivamente da mezzo a fine,
emancipandosi dalle strumentalizzazioni che nella storia – come abbiamo visto – ha
dovuto subire, lo sport, svincolandosi dalle ideologie, va in cerca della propria
autoreferenzialità.
Secondo la Carta europea dello sport per tutti (Bruxelles 1975) «ciascuno ha il
diritto di praticare lo sport», che deve essere promosso, incoraggiato e sostenuto dalle
risorse pubbliche come fattore dello sviluppo umano. 498 Emblematica testimonianza di quel lungo periodo di tensione è il reciproco boicottaggio delle olimpiadi di Mosca 1980 e Los Angeles 1984: a tal proposito, si torni al § 3.3.
164
Contemporaneamente ad una nazionalizzazione da qualcuno definita
imperfetta, mancata, incompiuta, ma che invece è sempre stata soltanto faticosa e
difficile499, decolla definitivamente anche il processo di internazionalizzazione dello
sport professionistico. A liberalizzare progressivamente il mercato del lavoro
sportivo, almeno a livello europeo, hanno provveduto il trattato di Roma500 e il
trattato di Maastricht501; ad eliminare gli ultimi lacci nazionalistici nell’ambito del
mercato calcistico europeo e ad adeguare il diritto commerciale alla nuova realtà
politica e istituzionale della Ue, ha provveduto da Lussemburgo, il 15 dicembre 1995,
la Corte di giustizia europea502, che ha decretato l’illegittimità delle norme restrittive
della libertà di circolazione da parte di cittadini europei professionisti del calcio.
Nel decennio post-bosmaniano si è registrata una progressiva estensione dei
principi giuridici comunitari, nel riconoscimento, attraverso la Dichiarazione di
Nizza503 sottoscritta dai capi di stato e di governo europei, della specificità dello
sport.
499 L. RUSSI, I percorsi della stella. L’idea di nazione in Italia dal 1796 al 1946, LdU, Pescara 2003. 500 Anche se la parola non è direttamente presente nel trattato istitutivo della Cee, firmato a Roma il 25 marzo 1957, al processo di definizione hanno contribuito diverse accezioni di sport: come, ad esempio, quella della Carta europea che, a metà degli anni Cinquanta, comprendeva nel termine tutte quelle «forme di attività fisica che, attraverso una partecipazione occasionale od organizzata, ha lo scopo di evidenziare o incrementare le buone condizioni fisiche e mentali, attivando relazioni sociali o ottenendo risultati in competizioni a tutti i livelli». 501 Il documento istitutivo dell’Ue è stato siglato il 7 febbraio 1992 e modificato il 2 ottobre 1997 con il successivo trattato di Amsterdam. 502 Causa C – 415/93, Union royale belge des societés de football association Aslb e altri c. J.M. Bosman e altri, sentenza della Corte di giustizia europea del 15 dicembre 1995. 503 Consiglio Europeo di Nizza, conclusioni della Presidenza, 2000, IV allegato, «Dichiarazione relativa alle caratteristiche specifiche dello sport e alle sue funzioni sociali in Europa di cui tenere conto nell’attuazione delle politiche comuni». Nel testo si sottolinea che «l’attività sportiva deve essere accessibile a tutte e a tutti, nel rispetto delle aspirazioni e delle capacità di ciascuno e nella diversità delle pratiche agonistiche o amatoriali, organizzate o individuali». Sul punto, cfr. M. COCCIA, A. DE SILVESTRI, O. FORLENZA, L. FUMAGALLI, L. MUSUMARRA, L. SELLI, Diritto dello sport, Le Monnier, Firenze 2004, p. 32.
165
«Di conseguenza, la questione non è più stabilire se lo sport abbia delle
caratteristiche specifiche o meno, bensì stabilire quali misure pratiche debbano essere
attuate per tenere conto della sua natura specifica nell’ambito del diritto europeo»504.
Tra i possibili interventi, è stata anche avanzata l’ipotesi dell’organizzazione di
un campionato europeo riservato ai maggiori club che, abbandonati i rispettivi tornei
nazionali, si dedichino a una competizione continentale settimanale nella quale le
motivazioni economiche sarebbero evidentemente prevalenti sulle rappresentatività
culturali e le identità territoriali.
§ 10.2 Dimensione europea e universo globalizzato
Ma la dimensione europea è solo un segmento dell’universo globalizzato505.
Sebbene il termine globalizzazione, inizialmente proprio del lessico geografico, sia
poi entrato nel linguaggio comune, non c’è ancora accordo sul suo significato.
A noi sembra che esso contenga il progressivo abbattimento delle frontiere e delle
distanze, sia quelle spaziali che quelle territoriali, fra collettività umane e i singoli
soggetti che la compongono. In quanto tale, esso investe non solo l’economia e il
commercio, ma anche il diritto, la politica, la cultura, l’etica506. E naturalmente anche
lo sport.
Questa apertura totale dell’attività sportiva favorisce – in mancanza di regole –
la scienza sperimentale del rendimento corporale e la sua progressiva identificazione
504 Rapporto indipendente sullo sport in Europa, a cura di. J. L. ARNAUT, 2006. 505 Secondo Max Scheler (1874-1928), filosofo tedesco, lo sport è il maggior fenomeno globale sovranazionale: Die Stellung des Menschen in Kosmos, discorso tenuto a Darmstadt. 506 Su quest’ultimo fondamentale aspetto, si veda Olimpismo: sport ed etica, «I quaderni dell’Aoni», n. 9, Roma 2006.
166
col Guinness dei primati. Il primato quale totalitarismo della vita moderna è andato
molto al di là degli aspetti astrattamente enucleabili e filosoficamente specificabili.
Il carattere “industriale” dell’attività sportiva, denunciata già negli anni Sessanta507, è
andato progressivamente dilatandosi fino a divenire strutturale.
Lo sport è diventato ideologia di se stesso508, al punto che non è mancato chi lo
ha interpretato come una, certamente non convenzionale ma efficacissima, arma anti-
umana509, al contrario di Pierre de Coubertin che, invece, lo aveva concepito come il
più appropriato antidoto alla disumanizzazione tecnologica:
«Quando si studia la storia di questo secolo – scriveva infatti il Francese,
riferendosi addirittura all’Ottocento510– si è sorpresi dal disordine morale prodotto
dalle scoperte della scienza e della tecnica applicate all’industria. La vita è sconvolta,
i popoli sentono la terra tremare sotto i piedi. Non sanno a cosa attaccarsi perché tutto
intorno ad essi cambia: e, nel loro smarrimento, come per opporre qualche resistenza
a queste forze morali che assomigliano a muraglie ciclopiche, essi ricercano tutti gli
elementi di forza morale sparsi per il mondo. Io credo che questa è la genesi
filosofica del movimento di rinascita fisica»511.
Il primato altro non è che il fratello gemello del successo. A differenza di
“arrivo” come raggiungimento di una meta designata, “successo” (da sub-cedo)
507 L. VOLPICELLI, Industrialismo e sport (antisportivo), Armando, Roma 1966, pp. 38 ss. 508 Cfr. S. FINOCCHIARO, Lo sport come ideologia: alienazione o liberazione dell’Uomo?, in Sport et idéologie. Sport and ideology, Atti del VII Congresso internazionale del Cesh, Besancon 2002, t. I, pp. 119-131. 509 R. REDEKER, Le sport contre les peuples, Berg, Paris 2002, tr. it. Lo sport contro l’uomo, Oasi–Città aperta, Troina 2003. 510 P. DE COUBERTIN, L’athlétism dans le monde moderne et les Jeux Olympiques, in ID., Discours et essais, Carl Diem Institut, Stoccarda 1966, p. 7. 511 Sul punto, cfr. A. LOMBARDO, Alle origini delle Olimpiadi moderne. Pierre de Coubertin e la democrazia, in La Comune Eredità dello Sport in Europa. Atti del 1° Seminario Europeo di Storia dello Sport, a cura di A. Krüger e A. Teja, Scuola dello sport, Roma 1997, pp. 234-7.
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contiene l’idea del “venire dopo” e, come tale, un’impossibilità di fermarsi dopo il
traguardo. Così concepito, decisamente si traduce nel primatismo, cioè nell’ideologia
dell’esaurimento dell’attività nel suo continuo superarsi. Questo processo, che sarà
indefinito fino alla sua improbabile implosione, ha bisogno di un’incessante
mitopoiesi, di una continua creazione di miti da somministrare alla passione, al tifo,
al fanatismo. Ma anche all’autoidentificazione.
Strutturatasi all’inizio del Novecento, la mitopiesi è sempre capace di
focalizzare l’esigenza individuale e collettiva attraverso record, traguardi e
vittorie.512.
L’identificazione simbolica (la dialettica noi-loro) dovrà scrivere nuove pagine,
stretta com’è ormai tra il crescente processo di internazionalizzazione dello sport
spettacolare e le strategie di nazionalizzazione di alcune squadre-azienda, fra l’uso
mediatico dell’evento sportivo e le necessità delle piccole patrie, fra l’immagine
vincente e trionfante e la voglia di partecipare comunque, fra il processo di
integrazione di appartenenze etnico-sociali diverse e la sopravvivenza di identità fatte
di municipi e campanili.
Non è possibile sostenere che lo sport globalizzato porti automaticamente alla
fratellanza fra i popoli o al superamento del razzismo, ma è certo che, chi fa
differenza razziale o nazionale, non ha mai inciso nella competizione sportiva.
512 Come comprese bene d’Annunzio con il mito di Nuvolari, al quale donò, in ammirata antitesi, «l’animale più lento del mondo», una tartaruga d’oro appositamente forgiata da Renato Brozzi, che «del pilota più veloce del mondo», oltre che più longevo, divenne segno distintivo. Cfr. F. NUVOLARI, D’Annunzio e Nuvolari. Il poeta, il pilota e la tartaruga, Byblos, Pescara 2003. Sulla sportività del Pescarese, si torni al § 5.2.
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La società globalizzata, se riuscirà a essere anche multiculturale, visto che
globalizzare non significa automaticamente uniformare, deve essere vista e vissuta
dallo sport senza la preconcetta divisione tra curva nord e curva sud, tra lato est e lato
ovest, tra scalinate ottimistiche e progressiste e tribune pessimistiche e conservatrici.
Questi atteggiamenti sono frutto di visioni che individuano nella globalizzazione o un
destino ineluttabile o una panacea, o una metamorfosi del male o la risoluzione finale.
Queste visioni hanno avuto la data tombale nell’11 settembre 2001.
Se questo è vero, ci potrà essere uno sport nella globalizzazione e non uno
sport della globalizzazione.
Canale, in senso freudiano, di energie altrimenti difficilmente gestibili,
l’universo sportivo favorisce la cultura del corpo ma, nello stesso tempo, la proietta in
una dimensione assoluta, globale e globalizzante.
Il corpo recuperato dall’ottica borghese dei secoli moderni è diventato nell’età
contemporanea istituzione sociale unificante e globalizzata.
Dall’avvento dell’ideologia borghese (tra secolarizzazione e globalizzazione) il
corpo-peccato della cultura cattolica, divenuto il corpo-lavoro dell’operaio, si è
trasformato nel corpo-battaglia delle guerre otto-novecentesche e, quindi, nel corpo-
totem, nel corpo-piacere e nel corpo-informazioni degli ultimi tempi.
Il debutto si è trasformato in replica incessante.