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Rassegna stampa settimanale n. 20/2015 ____________________________
Dal 11 maggio 2015 Al 17 maggio 2015
A cura del Dipartimento Comunicazione (C.Hoffmann – V.Vitale)
BANCHE
PRIMO PIANO 11 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore lunedì
GLI OSTACOLI PER
L’ITALIA Entro l’estate il debutto ma i modelli esteri non sono replicabili e bisogna fare i conti con regole Ue più severe sugli aiuti di Stato
«Bad bank» solo su misura
In Europa strutture e risultati diversi - Bene Spagna, Irlanda e Gb
Dalla britannica Ukar alla spagnola Sareb passando per la slovena Bamc. Ma non
mancano esperienze di “bad bank” anche in Irlanda, Austria, Germania e Francia.
Mentre il governo italiano si prepara al decollo entro l’estate dopo il via libera di
Bruxelles sulla compatibilità con le regole sugli aiuti di Stato, sono sette le soluzioni
più significative per la gestione delle sofferenze bancarie adottate in Europa negli
ultimi anni. Con formule e risultati diversi, come dimostra la ricognizione effettuata
dall’Ufficio studi di Assifact, l’Associazione italiana per il factoring.
In Germania, Gran Bretagna, Austria e Slovenia la proprietà del veicolo è in mano
pubblica, mentre negli altri tre casi l’azionariato è un mix tra pubblico e privato.
Anche gli asset ceduti dalle banche per essere rivenduti al miglior offerente e fare
cassa sono i più disparati: mutui, prestiti, derivati, ma anche partecipazioni industriali.
«In generale - spiega Alessandro Carretta, docente di Economia degli intermediari
finanziari all’Università di Tor Vergata e segretario generale di Assifact - sono
esperienze ritagliate su misura sul sistema bancario di un Paese. Si rivelano efficaci se
riescono a ristabilire la fiducia nel sistema finanziario riassorbendo gli asset tossici,
fanno ripartire l’erogazione del credito e creano una struttura effettivamente in grado
di recuperare questi crediti. Per queste ragioni i casi che sembrano aver funzionato di
più sono quelli di Spagna, Irlanda e Gran Bretagna, mentre quelli di Austria e
Slovenia sono stati i più deludenti».
Nel 2010 Londra ha creato la Ukar (Uk Asset Resolution) per gestire i mutui arretrati
di Northern Rock e Bradford&Bingley travolte dalla crisi finanziaria. L’operazione
finora è costata alle casse dello Stato 165 miliardi di euro, ma sta già portando i primi
frutti: i mutui di 27mila clienti sono stati venduti a un consorzio guidato da Jp Morgan
e sono stati rimborsati allo Stato 12 miliardi di sterline (circa 16,5 miliardi di euro). In
Irlanda, che detiene il record di sofferenze bancarie tra i sette Paesi considerati (25,3%
rispetto ai crediti erogati), la National Asset Management Agency è nata nel 2009
nell’ambito del piano di salvataggio targato Ue. Il suo mandato è «assicurare il
massimo ritorno finanziario allo Stato». Il veicolo non solo acquista crediti dalle
banche in cambio di obbligazioni del governo, ma è diventato una vera e propria
banca di sviluppo nel settore immobiliare. A oggi ha generato liquidità per 24,5
miliardi ed è stata promossa dalle agenzie di rating perché è in anticipo sulla tabella di
marcia nel rimborso dei bond governativi. In Spagna la Sareb ha potuto fare
affidamento sui fondi europei nell’ambito del piano di ricapitalizzazione delle banche
iberiche nel giugno 2012 con l’intervento dell’Esm, il Meccanismo europeo di
stabilità. Il veicolo ha già incassato 2,5 miliardi dalla vendita di 7mila asset.
Madrid e Dublino sono modelli virtuosi, che tuttavia - come ha chiarito di recente il
ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan - non sono applicabili in Italia, perché il
nostro Paese non ha chiesto alcun salvataggio europeo e la situazione delle banche
italiane non è comparabile alla loro. Un altro ostacolo all’adozione di modelli degli
altri è anche la normativa sugli aiuti di Stato, che dal 2013 è diventata più restrittiva ed
è al centro del confronto tecnico con Bruxelles. Difficile quindi immaginare oggi di
applicare un modello «alla tedesca», che è costato alle casse di Berlino ben 250
miliardi dal 2007 al 2013. Nella storia recente della Germania le “bad bank” sono due
e risalgono al 2009 - in soccorso alla banca regionale WestLb - e al 2010 per gestire i
titoli tossici di Hypo Real Estate. Si sono invece rivelate un flop le “bad bank”
austriaca Har e quella slovena Bamc, mentre l’esperienza francese, focalizzata sul
salvataggio del Crédit Lyonnais, risale al 1995 e si è chiusa nel 2006, prima dello
scoppio della crisi.
In Italia, dove a fine 2014 le sofferenze hanno raggiunto quota 183,7 miliardi, il
quadruplo rispetto al 2008, Padoan ha già preannunciato che verrà adottata una
soluzione «light». «Nel nostro Paese - conclude Carretta - a differenza delle altre
esperienze esaminate la misura non risponde infatti all’esigenza di salvare una o più
Pagina 1 di 2Il Sole 24 Ore del Lunedì
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banche, ma di liberarle da un volume di sofferenze che imbriglia la ripresa
dell’economia. A mio avviso la formula più utile sarebbe un intervento privato con
garanzia pubblica».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Pagina a cura di
Chiara Bussi
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8 CORRIERECONOMIA LUNEDÌ 11 MAGGIO 2015
L’analisi
Quella pericolosa mania dei buy-back Favoriscono investimenti mordi e fuggi, i progetti a breve dei manager e l’innovazione ne risente
Gli Usa sono il «Paeseguida» del capitalismo,ma si spera che non di-
laghi da noi la corsa delle gran-di imprese americane a restitu-ire capitale agli azionisti. Nel2014 il riacquisto di azioni, obuy-back, ha superato i 550 mi-liardi di dollari; se si aggiungo-no 350 miliardi di dividendi, lequotate han sborsato 900 mi-liardi, contro i soli 85 miliardiche han ricevuto dal mercato(fonte Bloomberg). Nel 2015dividendi e riacquisti supere-ranno i 1.000 miliardi, il 6% delPil Usa!
Così tutto il margine operati-vo delle quotate Usa torneràagli azionisti! È il contrario diquanto accadeva da noi neglianni Novanta, quando un’im-presa poteva vendere l’attivitàe non dar nulla agli azionisti, la-sciando ai gestori, magari in ci-ma a una catena di finanziarie,
la cassa da impiegare ad libi-tum. Se in quei casi gli azionistierano espropriati, oggi negliUsa essi spolpano le imprese;accomuna i due casi il conflittofra l’interesse delle imprese e quello di alcuni azionisti collusicon i dirigenti.
Cosa c’è di male, si può dire:le società sono degli azionisti, èlogico ricompensarli. Anzituttonon è detto che usare tutti imargini per ricomprare i titolifaccia l’interesse degli azionisti.
Per continuare a dar lorosoddisfazioni, le imprese devo-no investire, per svilupparenuovi prodotti e sostituire il ca-pitale fisso consumato. Se anzi-ché a preparare il domani, imargini servono ai buy-back, ilmercato perfetto sognato dagliiperliberisti dovrebbe dedurneche l’impresa non ha progettiinteressanti , deprezzandoquindi l’azione. Con ugual fon-
damento, lo stesso astrattomercato potrebbe sostenereche se l’impresa (conoscendosicome nessun altro) ricompra leazioni, lungi dal vendergliele,conviene accodarsi e comprarle.
La verità è più banale: per leimprese decidono le persone,
guardiamo alle loro motivazio-ni. Esse ricevono compensi inpiccola parte fissi e in gran par-te variabili, per lo più opzioni le-gate al corso dell’azione, in di-verse forme. Una corrente inacquisto, tanto possente daprosciugare tutti i marginiaziendali, crea una pressione al
rialzo del prezzo che gonfia icompensi dei manager. È fattodi questa materia l’infinito rial-zo di Wall Street, che trova nella(obbligata) politica monetariadel Federal Reserve System uncarburante a basso prezzo; ciòpermetterà ancora per un po’alle imprese di rimandare ilmomento della verità, indebi-tandosi per ricomprare le azio-ni!
Va anche ricordato che leimprese Usa hanno ammassatoall’estero oltre 1.000 miliardi,per non pagare le tasse a quelloZio Sam che difende letteral-mente a spada tratta i loro inte-ressi in giro per il mondo. È larottura dell’alleanza fra lo Statoe le sue imprese; in gran parted’Europa essa ancora regge, mai «disertori societari» accomu-nano la più debole delle grandinazioni europee, la nostra Italia,alla superpotenza Usa.
Il buy-back conviene agliazionisti «mordi e fuggi», madanneggia tutti gli altri: gli azio-nisti «normali», i cui orizzontitemporali superano la mez-z’ora, ma soprattutto l’impresa,tutto un mondo che intorno aquesta vive (creditori, fornitori,
dipendenti), la società nel suo insieme. Dall’impresa vienel’occupazione solo se investe,così le si nega il futuro; a suespese si realizza una perversaalleanza fra manager (che con ilbuy-back moltiplicano i com-pensi) e azionisti (che incassa-no in diretta). L’impresa diventa
quasi un minore incapace, dellacui ricchezza si appropriano, incombutta, il tutore e il gestore dipatrimoni prescelto.
Essa non è una fonte che perun po’ butta fuori soldi e poi sidissecca, né un fascio di con-tratti come taluno sostiene, maun corpo vivo, però senza pro-prio cervello: questo è «appal-tato» ad amministratori e ma-nager, che devono deciderenell’interesse suo, non dei soci.Da loro presa in ostaggio, simuta da motore di sviluppo,anche civile, in Robin Hood allarovescia. Avviene quando ilrapporto fra guadagni dei capi edei dipendenti passa da 30/1 a300/1; s’impoveriscono le clas-si medie per dare sempre piùricchezza a chi l’ha già, e potere.Perciò tali privilegiati dettanol’agenda; teleguidano la politi-ca, alimentano il mito del bigboss, dipingono un’impresa
frutto del suo titanico sforzosolitario. Dietro lo schermo di tale mito, questi agisce in con-flitto d’interesse; ad esempioquando comunica operazioniche muovono sensibilmente ilcorso dell’azione poco primadella scadenza delle opzioni.Eppure, anziché ai segnali di-storti sui mercati e ai super-profitti che ne derivano, i rego-latori dedicano occhiute atten-zioni a un day trader della grigiaperiferia londinese.
Che succede all’economia dimercato? Essa ha perso negliultimi 30 anni, per la sconfittadel suo storico nemico, la capa-cità di autoregolarsi che avevafinché questi faceva paura. L’89ha avviato una mutazione ge-netica che si stenta a vederebenigna. All’Ovest, il sistemache portava al benessere stratilarghi della popolazione si volgead arricchire chi già sta bene,impoverendo la classe media.All’Est emerge il capitalismo diStato, il peggio dei due mondi: ilcapitalismo senza briglie e l’as-senza di garanzie di libertà.L’economia di mercato, quellavera, è un’altra cosa.
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di SALVATORE BRAGANTINI
Nel corso del 2015 torneranno agli azionisti Usa 1.000 miliardi
Le aziende sono più povere, spesso a favoredei dirigenti
I grandi gruppiLe strategie
Finanza
Governance Mercoledì l’assemblea che apre alle attese degli investitori esteri
Unicredit Meno poltroneE comitati più indipendentiIl board scende a 17 componenti: fuori Cariverona, Vita confermatoIl ruolo strategico dei due vicepresidenti Palenzona e MontezemoloDI STEFANO RIGHI
Fonte: Unicredit e Borsa Italiana
Ftse Mib
gen2015
mag2015
7,0
6,5
6,0
5,5
5,0
feb mar apr
AabarLuxembourg
BlackRock
FondazioneC.RisparmioVerona, VicenzaBelluno e Ancona
Central Bankof Libya
Fondazione CassaRisparmio Torino
Carimonte Holding Mercato
5,0%
4,7%
3,4%
2,9%
79,4%
2,5%
2,1%
Giuseppe VitaPresidentedi Unicredit
La scheda
I sociIn Borsa
Due liste, due probabili vi-cepresidenti, due posti inmeno nel consiglio diamministrazione. Dopo-
domani, mercoledì 13, l’assembleadi Unicredit voterà un importantecambiamento nella governancedella principale banca italiana. Se idue massimi esponenti, l’ammini-stratore delegato Federico Ghizzo-ni per la parte operativa e il presi-dente Giuseppe Vita per la rappre-sentanza degli azionisti, sono de-stinati a una facile riconferma neirispettivi incarichi, l’Unicredit cheuscirà dall’assemblea romana saràuna società affatto diversa da quel-la di oggi. Il nuovo profilo che si in-travede alla vigilia del voto dei socilascia trasparire una banca dove ilriequilibrio dei poteri e delle fun-zioni non sarà banale, né di faccia-ta.
Meno fondazioniLe due poltrone in meno, ad
esempio, dimezzeranno il numerodei vicepresidenti, con un effettodiretto sulla rappresentatività del-le fondazioni di origine bancaria.Un taglio netto con il passato e so-prattutto con la Fondazione Cari-verona rappresentata da Paolo Bia-si. L’ente scaligero, che è stata unadelle pietre angolari nella costru-zione del gruppo bancario, escedalla stanza dei bottoni. La batta-glia condotta nei mesi scorsi ha portato a un esito infelice: Carive-rona oggi è rappresentata da un vi-cepresidente, Candido Fois, dopo-domani non avrà neppure un con-sigliere. La lista 1, che presenta 17candidati, è stata presentata da Al-lianz, Aabar, Fondazione CtTorino,Carimonte holding, Fincal (Calta-girone) e Cofimar (Maramotti) e mette assieme circa il 15 per centodel capitale non includendo la quo-ta del 3,449 per cento oggi in por-tafoglio a Cariverona. Né i veronesihanno dato corpo all’ipotesi di una
lista propria, da soli o coalizzandoaltri azionisti, visto che l’unica al-ternativa presentata è la lista 2, so-stenuta dai fondi comuni di investi-mento, che ha come unica candida-ta Lucrezia Reichlin, già oggi com-
p o n e n t e i l c o n s i g l i o d iamministrazione di Unicredit. ConReichlin avviata alla riconferma,entreranno in consiglio 16 dei 17candidati della lista 1. Sicuri Vita eGhizzoni, come pure Mohamed
Badawy Al-Husseiny in rappresen-tanza di Aabar (primo azionistadel gruppo), Manfred Bischoff, Fa-brizio Palenzona, Luca Cordero di Montezemolo e Alessandro Calta-girone.
Molte le donne, anche in osse-quio alla nuova normativa: non èricandidata Marianna Li Calzi,mentre sono confermate HenrykaBochniarz e Helga Jung e nella lista1 trovano posto anche Clara Streit,Paola Vezzani, Elena Zambon e Be-nedetta Navarra, mentre l’attualevicepresidente Vincenzo CalandraBuonaura corre per un posto daconsigliere e si fa da parte LorenzoSassoli de Bianchi.
Un ruolo chiave avranno Palen-zona e Montezemolo: con ogni pro-babilità saranno infatti loro i duevicepresidenti. Ricorrendo a unasemplificazione, Palenzona po-trebbe essere chiamato a rappre-sentare gli interessi degli azionisti
italiani — le fondazioni ma anchela coppia Caltagirone-Maramotti— mentre Montezemolo è già sta-to e potrebbe essere ancora il col-lettore delle istanze che provengo-no dagli azionisti internazionali.
FormazioneOltre alla importantissima for-
mazione della squadra di ammini-stratori, l’assemblea di dopodoma-ni, con il rinnovo delle cariche, daràanche il via ad alcune rilevanti mo-difiche organizzative che, nella so-stanza, cambieranno il modo diagire della banca di piazza Gae Au-lenti. Nei mesi scorsi infatti è statosvolto un lavoro approfondito di re-cepimento delle indicazioni dellaBanca d’Italia su alcuni aspetti del-la corporate governance, che di-verranno operative in anticipo ri-spetto alle scadenze fissate da viaNazionale.
«Unicredit si è caratterizzata per
una particolare attenzione verso leaspettative degli investitori inter-nazionali — dice Andrea Di Segni,capo del corporate advisory di So-dali, società tra i leader internazio-nali nella consulenza sulla gover-nance societaria —. Sul fronte delleremunerazioni, ad esempio, Uni-credit è stata una delle prime socie-tà a fare engagement con il merca-to, fin dal 2010. Con molta proatti-vità. Oggi ci riferiamo in particola-re al fatto che tutti i presidenti deicomitati del board dovranno essereindipendenti. È il caso di GiuseppeVita, che è un membro non esecuti-vo del consiglio di amministrazione
e che quindi, secondo anche gli au-spici della banca, potrà partecipareal comitato remunerazioni, ma nonpotrà presiederlo».
Diverse le cose che restano dafare. Se il nuovo board rispetterà leindicazioni sulle quote di genere,rimane una formazione ancoratroppo numerosa. I due posti inmeno nel consiglio di amministra-zione (da 19 a 17) sono un segnale,ma le indicazioni di Banca d’Italiasono più stringenti. È però stato av-viato un meccanismo che, con i fu-turi rinnovi, porterà ad asciugare ilboard della banca, su cui adessoancora si riflettono gli effetti delle molteplici operazioni di fusione e acquisizione che hanno portato allacostituzione di Unicredit, così comeappare oggi. L’allineamento versole aspettative della comunità finan-ziaria internazionale è però costan-temente tenuto presente. Le profes-sionalità presenti nel nuovo boardlo andranno a confermare.
@Righist© RIPRODUZIONE RISERVATA
Più donne: da 4 a 6. Quattro le esordienti: Streit, Vezzani, Zambon, Navarra
SNAPSHOT
Ibilanci 2014 degli istituti di credito italiani,da Unicredit a Intesa, hanno risentito, per la
prima volta, di un riequilibrio fiscale, per anniinvocato a gran voce dall’Abi (l’associazionedelle banche) e dall’Aibe (le banche estere).Basterebbe questo per far balzare sulla seg-giola la maggior parte di quanti vedono nellebanche la fonte di tutti i mali. Eppure, una vi-sione laica, oggettiva, dei fatti, trasforma laparola riequilibrio per quello che veramentesi intende: la correzione di una fastidiosa in-giustizia fiscale. Vediamo di cosa si tratta.Se una banca nella sua attività tipica di pre-stare del denaro si trova a confrontarsi con unpartner inadempiente, l’esito più frequente, al
netto di ogni altra possibile soluzione, è che ildenaro prestato non rientri in cassa. Denaro,per inciso, non della banca, che si trova così adover contabilizzare una perdita. Certo, inparte per causa propria, perché la bravura diun banchiere si misura — o perlomeno si mi-surava prima dell’invadenza della modellisti-ca made in Francoforte — con la capacità diconcedere «buon credito». Ma non è questo ilpunto. Il punto è che la banca non vede tor-nare indietro i soldi prestati e giustamentecontabilizza una perdita. Una perdita che, pri-ma di questa ultima riforma, consentiva diammortizzare gli effetti fiscali spalmandoli su18 anni. Diciotto anni fa era il 1997. Fra di-ciotto anni sarà il 2033 e almeno fino al 2031gli istituti di credito si porteranno appresso glieffetti fiscali di perdite emerse due anni fa.Capite bene l’impatto che questa norma hasui conti e sulla rappresentazione della veritàcontabile. Per semplificare: se perdo 18 mi-lioni in una operazione, una cosa è considera-re subito tutti i 18 milioni persi, riducendoquindi per intero l’impatto fiscale, altra scon-
tare un milione all’anno da qui all’eternità.Semplicemente una follia. Oggi, ed eccoci alriequilibrio fiscale di cui si diceva all’inizio,quell’assurdo e lunghissimo periodo — para-gonabile al raggiungimento della maggioreetà per un essere umano — è stato ridotto a5 anni: uno sconto di 156 mesi. Ma restasempre una follia dover spalmare su un arcotanto lungo perdite che, secondo il diritto e ilbuonsenso, dovrebbero rispecchiarsi nel con-to economico e nel bilancio di un solo anno,quello in cui si manifestano.La prova di tanta assurdità viene dal rove-sciamento delle ipotesi: che ne sarebbe dellecasse dello Stato se le tasse sui redditi si spalmassero su 18 anni o anche solo su 5? Ilgoverno Renzi, che sta sciogliendo molti laccidel passato, dovrebbe agire con ancora mag-gior incisività. Non per fare un favore allebanche — che non ne hanno assolutamentebisogno — ma per avvalorare la tesi che vuo-le l’Italia avviarsi a essere un Paese normale.
S. RIG.
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Se cinque annisembrano pochiper scontarele perdite
Federico GhizzoniAmministratore delegato
Fabrizio PalenzonaVicepresidente
CORRIERECONOMIA LUNEDÌ 11 MAGGIO 2015 11
Le AuthorityI controlli
Finanza
Autorità di controllo Oggi il messaggio ai mercati del presidente della Commissione. Nel 2014 sotto osservazione 505 siti web
Consob Il piano di VegasCircola più capitale?Dirottiamolo sull’ItaliaL’«effetto Bce» va sfruttato per attrarre investitoriDI STEFANIA TAMBURELLO
L’osservatorio diGiuseppe Vegas,presidente dellaConsob, in questo
momento è sicuramente unodei migliori per guardare alfuturo dell’Italia degli affari edell’economia. La recessioneè finita, ma non si sono esau-riti gli impatti negativi sul-l’occupazione, sull’anagrafedelle piccole imprese, sullaredditività delle banche. Pernon parlare della quadraturadei conti pubblici e del livellodel debito. E perché no, deiconsumi che faticano a ri-prendere.
La ricchezza finanziaria,invece, quella sì è aumentataal seguito della ripresa deicorsi azionari. Basta guarda-re come si sono comportate lefamiglie a partire dalla secon-da metà del 2014 quando ècominciata la discesa dei tassidi interesse, accentuata conl’annuncio e quindi l’avvio delQuantitative easing, cioè ilprogramma di acquisto mas-siccio di titoli pubblici, della Banca centrale europea.
Abbandonato l’investi-mento in titoli di Stato, diven-tati davvero poco attraenti
dopo la fortissima riduzionedei rendimenti, i risparmiato-ri si sono trasferiti su azioni efondi d’investimento, più re-munerativi anche se più ri-schiosi.
Certo Piazza Affari devefare i conti con la volatilità deicorsi azionari determinatadall’ipersensibilità agli eventigeopolitici — dalla crisi gre-ca a quella ucraina —, mapuò anche tracciare un con-suntivo decisamente positivoper quest’inizio 2015, vistoche l’incremento incassatosupera il 20%. E a tornare inBorsa sono stati anche gli in-vestitori stranieri, con i madein China in testa guidati dallaBanca popolare cinese.
Il messaggioForte della buona salute,
ritrovata, dei mercati finan-ziari e di quel 20% di perfor-mance positiva delle azioni,Vegas potrà nel suo tradizio-nale annuale incontro con gliinvestitori ed il mercato che sitiene oggi, lunedì, all’Expo diMilano, lanciare un messag-gio ambizioso indicando ilpercorso per dirottare il mag-gior risparmio finanziarioverso l'economia italiana.Un’economia che ha bisognodi sforzi e interventi aggiunti-
vi per dare solidità alla ripre-sa ciclica in atto.
Si tratta secondo Vegas diobiettivo che può essere per-seguito in due modi: insisten-do sulla semplificazione delleprocedure per l’ingresso nelmercato dei capitali delle im-prese medio piccole. E anchefavorendo l’impiego in Italiadel maggior risparmio rac-colto dagli intermediari fi-nanziari, in particolare esteri.
La strategia non è facile dadisegnare e realizzare, ma ilnumero uno della Consob in-sisterà sull’esigenza di non
vanificare le opportunità of-ferte ai mercati finanziari dal-la politica espansiva dellaBanca centrale europea.
In questo quadro di pro-spettive e interventi che guar-dano al futuro trovano postole trattative avviate a livellointernazionale per realizzare,dopo quella bancaria, l’unio-ne dei mercati dei capitali.
Un’iniziativa, questa, adot-tata dall’Unione Europea, maancora arretrata rispetto altragitto, ormai arrivato vici-no al traguardo, dell’unionebancaria. Ciò non toglie che
continuerà, sia a livello inter-nazionale che interno, il di-battito sulle regole e sull’ade-guamento normativo.
In particolare sta entrandonel vivo la discussione sullavigilanza: se continuare a pri-vilegiare la suddivisione ca-
denzata dal prodotto — co-m’è attualmente e com’è statoconfermato dall’approvazio-ne della direttiva SolvencyII— oppure dal soggetto emit-tente, come suggerisce, peresempio, per le assicurazionil’autorità di controllo, l’Ivass.
I risultatiNel suo discorso agli inve-
stitori e agli amministratoridelle società quotate e agli in-termediari finanziari, Vegas,ovviamente, riassumerà l’at-tività svolta dalla Commissio-ne nell’ultimo anno che ha se-gnato il sorpasso degli inve-stitori internazionali (il 61%)rispetto a quelli nazionali nel-le comunicazioni delle varia-zioni delle partecipazioni rile-vanti. E metterà in rilievo, intale quadro, anche i risultatidell’azione di vigilanza.
Un ambito, questo, in cuiacquista sempre più spazio ilcontrollo sugli scambi via In-ternet, sul cosiddetto abusivi-smo finanziario via web. Larete infatti, secondo gli ispet-tori della Consob, resta il ca-nale privilegiato di contattocon la potenziale clientela siaper l’attività di trading sia perquella di sollecitazione all’in-vestimento. Nel 2014, peresempio, gli accertamenti so-no stati 140 mentre i siti In-ternet messi sotto osservazio-ne sono stati 505.
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L’analisi
Ora il testdelle popolari:i risparmiatorivanno protettiDI NICOLA SALDUTTI
S pesso si ripete che ilmercato e la gover-
nance in Italia sono, me-diamente, più arretratiche altrove. Forse, però,anche grazie al lavorodela Consob di questi an-ni, qualcosa è cambiato.
Prendiamo le ultimeassemblee degli azionisti:fino a qualche anno fa leliste di minoranza pesa-vano in realtà molto poco.Ora, anche per effetto diuna maggiore frammen-tazione dell’azionariato,si candidano a diventareun possibile stimolo per isoci di maggioranza. E sulconsolidamento del ruolodelle minoranze, molto sideve proprio alla Com-missione di vigilanza sul-la Borsa.
Dalla privatizzazioni inpoi, soprattutto con lapresenza più consistentedegli investitori interna-zionali, Piazza Affari ècresciuta molto. Anche sein questa fase si assiste auna contraddizione: re-gole molto stringenti pergli operatori nazionali,vincoli (anche informati-vi) più morbidi per gli in-vestitori che sono basatiall’estero. Una disparità ditrattamento che in qual-che modo andrebbe su-perata. Molta strada èstata fatta anche nellatutela dei risparmiatori.
Ci sono però alcuneanomalie consistenti che,in breve tempo, dovreb-bero essere superate.L’organo di vigilanza nonè composto secondo lanormativa ormai da anni.È incompleto. Qualchegiorno fa il percorso per ilsuo completamento èentrato nel vivo, con ben158 candidature. Unomaggio alla trasparen-za, certamente, ma forseci sarà qualcosa da ag-giustare nel meccanismodi selezione dei prossimicommissari.
Seconda questione.Più una sensazione, in re-altà. La Consob ha appe-na avuto il conferimentodi una maggiore respon-sabilità nel campo dellavigilanza delle polizze as-sicurative. Un campo che,attraverso l’Ivass, rientrain qualche modo nell’areadi controllo della Bancad’Italia. Forse i prossimimesi andranno dedicati adefinire ruoli e compe-tenze alla luce dei cam-biamenti che si sono ve-rificati sui mercati finan-ziari.
Il prossimo banco diprova? La trasformazionein società per azioni dellebanche popolari. Saràuna vera rivoluzione percentinaia di migliaia diazionisti che porterà consé, inevitabilmente, lafebbre da fusioni tra gliistituti cooperativi. Unastagione nella quale lavigilanza della Consobsarà decisiva per evitareche una grande occasio-ne si trasformi in beffaper i piccoli investitori.
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Tesoro Pier Paolo Padoan, ministro delle Finanze e dell’economia
Proposte Giuseppe Vegas, presidente della Consob
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I L R I S C H I O P UÒFA R P R END E R EI L VO LO A I T U O II N V E S T I M EN T I .
O P P U R E R I D U R L I .
P E R G E S T I R LOD E V I AC C E T TA R EE N T R AMB I G L IA S P E T T I .
Il monitoraggio attento del
rischio è il fulcro del nostro
processo di investimento.
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MF
Numero 091, pag. 3 del 12/05/2015
RELAZIONE CONSOB
La proposta ue di separare retail e investment banking penalizza quelle italiane
Troppi i vincoli alle bancheVegas: l'eccessiva attenzione alla stabilità del sistema può generare nuovi rischi e innescare anche una contrazione del pil
di Francesca Gerosa
Troppi vincoli sul capitale delle banche possono essere un freno all'economia, portando a una contrazione
dell'attività produttiva. Con l'introduzione a partire dal 2017 di un'ulteriore stretta sui requisiti patrimoniali degli
istituti di credito banche (la cosiddetta Total Loss Absorbing Capacity), il presidente della Consob, Giuseppe
Vegas, ha spiegato che si «svantaggerebbe il sistema bancario italiano, perché sarebbe una
regolamentazione più onerosa per strutture di gruppo come quelle nazionali, in cui non c'è al vertice una
holding non operativa». È dunque necessaria una riflessione approfondita sull'attuale tendenza della
regolamentazione a focalizzarsi quasi esclusivamente sui profili di stabilità, trascurando gli effetti che questo
approccio può avere sulla crescita economica e sulla funzionalità stessa del sistema finanziario.
«Un'eccessiva attenzione dei regolatori europei alla stabilità può introdurre nuovi e diversi rischi nei mercati
finanziari, portando a una contrazione dell'attività produttiva», ha avvertito il numero uno della Consob.
Le imprese con un più basso merito di credito che, per effetto di regole più severe sulla stabilità, non riescono
ad accedere al credito bancario, devono rinunciare a investire o reperire risorse sul mercato. «Si potrebbe
quindi creare un meccanismo di selezione avversa che porti verso il mercato le imprese meno solvibili con il
rischio di causare una fuga degli investitori verso altri sistemi finanziari». Al contempo, la proposta europea di
separazione tra attività di banca
commerciale e banca d'investimento,
pur avendo «obiettivi pienamente
condivisibili», potrebbe tradursi in
«una condizione di svantaggio
competitivo per le banche italiane».
La proposta prevede che le banche
che superino determinate soglie
dimensionali o che siano a rilevanza
sistemica non possano effettuare operazioni di negoziazione in conto proprio su strumenti finanziari, per
evitare che i rischi da attività di trading si riflettano sulle attività di raccolta e impiego del risparmio.
Gli obiettivi per Vegas sono pienamente condivisibili ma le ricadute sui sistemi bancari nazionali vanno
valutate con estrema attenzione, tenendo conto dei costi che ne potrebbero derivare, anche alla luce delle
limitate attività di trading delle banche nazionali rispetto a quelle estere. «In caso contrario le nuove regole
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potrebbero tradursi in una condizione di svantaggio competitivo per le banche italiane». Invece la
trasformazione in spa delle maggiori banche popolari oltre a produrre un impatto positivo sugli assetti di
governance, permetterà loro un più agevole accesso al mercato dei capitali, anche in vista di possibili ulteriori
rafforzamenti patrimoniali e in funzione di nuove aggregazioni. «Il mercato bancario ne risulterà più
trasparente e competitivo», ha aggiunto. Intanto però l'esame dei bilanci condotto dalle Autorità di vigilanza
ha fatto emergere con chiarezza che l'elemento di debolezza del sistema bancario italiano è rappresentato
dall'elevato peso delle sofferenze sui crediti. Una debolezza che si è amplificata con il perdurare di una fase
ciclica negativa. «Solo un mercato che veda al suo interno un maggior equilibro tra banca e finanza può
assolvere appieno il ruolo di motore di sviluppo di un sistema economico avanzato», ha concluso Vegas.
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MF
Numero 091, pag. 14 del 12/05/2015
MERCATI
Si procede nell'ottica dell'autonomia con la chiusura delle prime 30 filiali
Veneto B avvia la dieta per la reteSi tratta di 24 sportelli della capofila e di sei della controllata Banca Apulia. Intanto Favotto annuncia che sullatrasformazione in spa e sull'eventuale aggregazione si deciderà entro l'anno
di Claudia Cervini
Visto che il risiko bancario stenta a partire, le popolari del Nord-Est procedono da sole: implementando i loro
piani industriali nell'ottica dell'autonomia. È il caso di Veneto Banca (ma non solo). Secondo quanto risulta a
MF-Milano Finanza l'istituto presieduto da Francesco Favotto sta infatti lanciando la prima fase della
riorganizzazione prevista dal piano industriale. La razionalizzazione interesserà, per cominciare, 30 sportelli
(verosimilmente quelli che non hanno raggiunto il break-even, presenti su piazze
dove ci sono concorrenti oppure di nuova apertura). Si tratta di 24 filiali di Veneto
Banca e di sei sportelli della controllata Banca Apulia. Un primo taglio di una
razionalizzazione ben più robusta che interesserà complessivamente 70 filiali e
circa 450 esuberi (il 10% della forza lavoro) per un risparmio di costi annunciato di
22 milioni di euro nel triennio 2015-2017. L'informativa alle parti sociali (Dircredito,
Fabi, Fisac, Fisac e Uilca), che ieri avrebbero dovuto avere un incontro in azienda,
poi improvvisamente rinviato, non è ancora arrivata. E secondo quanto riferito da
fonti gli stessi sindacati auspicherebbero di gestire in un'unica soluzione gli
esuberi, invece che in due tranche.
Il management è contestualmente al lavoro per traghettare la banca verso la trasformazione in spa e verso
un'eventuale aggregazione. «Entro l'anno daremo una risposta ai soci», ha dichiarato ieri Favotto a margine
dell'incontro annuale di Consob, riferendosi sia alla trasformazione in spa sia all'ipotesi di aggregazione.
Rothschild ha già raccolto le manifestazioni d'interesse e a stretto giro presenterà al cda «i numeri» delle
varie opzioni in campo. Quanto al possibile partner, Favotto ha indicato la Banca popolare di Vicenza come
l'interlocutore privilegiato tra le banche non quotate. Più criptico, invece, riguardo ai possibili partner quotati:
«Per questioni di riservatezza», ha tagliato corto.
Intanto anche la popolare vicentina ha previsto un'importante razionalizzazione della rete: 150 sportelli e 200
esuberi (si veda box in pagina) in ottica stand alone.
In Veneto Banca l'intervento sui costi si è anche reso necessario a causa dei risultati 2014. Complice una
drastica azione di pulizia, il risultato netto del gruppo ha segnato un rosso record di 968 milioni. Il patrimonio
netto si attesta oggi a 3,7 miliardi, con un common equity al 10,27%. (riproduzione riservata)
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MF
Numero 091, pag. 14 del 12/05/2015
MERCATI
Pop Vicenza, due ipotesi per la successione a Sorato
di Claudia Cervini
Le dimissioni di Samuele Sorato, amministratore delegato e dal 2008 direttore generale della Banca popolare
di Vicenza (dove milita dal lontano 2002), sono attese oggi sul tavolo del consiglio di amministrazione. Un
addio improvviso e inatteso, tanto che sono in pochi a credere che le motivazioni rispondano perlopiù a
generiche «ragioni personali». Divergenza di opinioni? Magari sul tema aggregazione o trasformazione in
spa? Forse, ma si rimane nel campo delle supposizioni. Quel che è certo è che per trovare un sostituto il
tempo stringe. La popolare vicentina si trova in un momento troppo delicato per rimanere sguarnita di un
amministratore delegato che la traghetti verso la trasformazione in spa. La banca dovrà quindi trovare un
nuovo capo azienda a stretto giro che sia gradito al top management e anche alla Banca d'Italia. I nomi che
circolano con maggiore insistenza sono due: da un lato Divo Gronchi, vecchia conoscenza del presidente
Gianni Zonin visto che prima di approdare alla direzione della Cassa di Risparmio San Miniato fu due volte
ad della popolare vicentina. Dall'altro si sta facendo largo in queste ore anche il nome di Carlo Crosara,
vicentino, classe 57, ex direttore generale di Friuladria del gruppo Cariparma. (riproduzione riservata)
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MF
Numero 091, pag. 16 del 12/05/2015
MERCATI
L'operazione fino a 3 miliardi dovrebbe partire giovedì 28 dopo l'ok di francoforte
Mps, tutto pronto per l'aumentoL'ad Viola rilancia sulla fusione. La pista delle nozze con una popolare si fa sempre più concreta, con Ubi favorita. La borsa apprezza la trimestrale superiore alle attese. Il 1° luglio arriva il Tesoro
di Luca Gualtieri
Ieri, in una giornata in cui Piazza Affari ha premiato il ritorno all'utile del Monte dei Paschi con un rialzo
dell'1,52% a 0,601 euro, i vertici della banca senese hanno definito la tempistica dell'imminente aumento di
capitale. L'operazione fino a 3 miliardi dovrebbe partire entro la fine del mese, presumibilmente giovedì 28,
come ha annunciato l'amministratore delegato Fabrizio Viola durante la conference call di presentazione dei
dati trimestrali. «Ci stiamo avviando ad attuare un aumento che dovrebbe partire a maggio», ha spiegato
Viola. «Attendiamo l'autorizzazione della Bce e faremo di tutto perché l'operazione sia coronata da successo
anche perché, dopo l'aumento, saremo in grado di aumentare il cet1 ratio sopra il livello minimo assegnato
dalla Bce pari al 10,2%». L'operazione dovrebbe chiudersi entro il mese di giugno, prima insomma che il
Tesoro riceva la propria quota in azioni, il 1° luglio, al posto del pagamento degli
interessi dei Monti bond. Nel suo intervento il cfo Bernardo Mingrone ha precisato che
il Tesoro «riceverà azioni che in occasione del bilancio abbiamo esemplificato in un
4%, sarà poco più o poco meno; ma Via Venti Settembre non parteciperà
all'emissione dei diritti, le azioni saranno consegnate dopo la conclusione
dell'aumento», ha concluso Mingrone.
Nel corso della conference call i vertici del Monte hanno poi fatto il punto anche sulle
strategie industriali della banca. Se il 2015 dovrebbe chiudersi in utile, con profitti pre provision compresi tra
1,6 e 1,8 miliardi, nel piano al 2018 è prevista una crescita media annua del
4,8% dei ricavi e un roe all'8%. «Nel 2018 Mps avrà circa 1.800 filiali contro
le 3.000 del 2012».ha spiegato Mingrone, precisando che nei prossimi tre
anni è prevista la chiusura di altri 350 sportelli, mentre 700 saranno
ristrutturati. «Sono previsti risparmi per 23 milioni di euro» con l'obiettivo «di
gestire la clientela in maniera più efficace, importando il modello banca
online Widiba e digitalizzando tutta la banca». Sul fronte della qualità del
credito, Viola ha poi precisato che nel primo trimestre la percentuale di
copertura dei crediti deteriorati è cresciuta al 49% rispetto al 41,6% dell'anno
prima e che la banca ha «rinnovato le politiche di classificazione delle
esposizioni creditizie e si aspetta un miglioramento dei costi degli npl e una
riduzione dell'esposizione», ha concluso il banchiere. Per quanto riguarda l'affaire Alexandria, Mps stima
l'attuale valore di mercato dell'esposizione verso Nomura pari a una perdita di 300 milioni. A tale proposito
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Mingrone ha spiegato che quest'anno la banca si aspetta ancora «accantonamenti corposi» per le perdite su
crediti, ma con un trend in miglioramento.
Particolare attenzione nel corso della conference call è andato al tema dell'aggregazione, ventilata in
numerose occasioni negli ultimi mesi. «Siamo aperti a fusioni e acquisizioni», ha puntualizzato Viola,
precisando che «i fondamentali della banca sono condicio sine qua non per partecipare al processo di
consolidamento del mercato. Siamo pronti a farlo». Nell'ottobre del 2014, dopo la pubblicazione del
comprehensive assessment, il cda aveva indicato Ubs e Citibank come advisor per studiare opportunità
strategiche. «Ora», ha concluso l'ad, «nel momento in cui il mercato mostra segnali di acquisizioni o fusioni,
noi ci presentiamo in condizioni migliori». Il partner favorito dal mercato resta Ubi Banca, anche sulla scia
delle dichiarazioni rilasciate nel fine settimana da Viola, che in un'intervista ha definito molto sensata
l'aggregazione del Monte con una grande popolare. (riproduzione riservata)
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MF
Numero 091, pag. 16 del 12/05/2015
MERCATI
Oggi ricapitalizzazione e statuto sul tavolo dell'Ente
di Luca Gualtieri
Banca e Fondazione Mps si alternano sulla scena della finanza senese. Dopo la trimestrale di Rocca
Salimbeni, oggi l'attenzione si sposterà su Palazzo Sansedoni, ex azionista di riferimento dell'istituto e oggi
socio al 2,5%. Secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza, alle 10,30 dovrebbe iniziare la seduta della
deputazione generale, l'organo di indirizzo dell'ente che alle 14,30 passerà il testimone alla deputazione
amministratrice. Sul tavolo dei due board ci sarà il tema dell'aumento di capitale, già introdotto in termini
molto generali nell'ultima seduta, ma oggi destinato a un approfondimento
particolare. Anche perché nel frattempo sono stati pubblicati i conti trimestrali della
banca, con un ritorno all'utile che potrebbe incidere sulle strategie del suo ex
azionista di riferimento. Se infatti Mps tornasse a essere un investimento redditizio,
per l'ente sarebbe più semplice giustificare un'adesione pro quota all'aumento.
Intanto nei giorni scorsi l'advisor Nuovo Credito Fondiario (Fonspa) avrebbe illustrato
ai vertici dell'ente le opzioni sul tavolo: l'adesione integrale pro quota (per un esborso
complessivo di 75 milioni), la sottoscrizione parziale con cessione di una parte dei
diritti di opzione, il passo indietro con la vendita totale dei diritti e la dismissione della
partecipazione prima dell'avvio dell'offerta. Per il momento le quattro strade restano ugualmente aperte e
sulla scelta dell'ente peseranno articolate considerazioni di carattere strategico, finanziario e politico, che
saranno approfondite nei prossimi giorni. Tornando al doppio vertice di oggi, sul tavolo delle due deputazioni
dovrebbe esserci anche la revisione dello statuto alla luce del protocollo Acri-Tesoro. Su questo tema
comunque non ci sarebbe particolare fretta, anche perché già oggi Palazzo Sansedoni è in linea con la
normativa. Nel frattempo nei prossimi giorni dovrebbero scadere le due clausole di lock up che vincolano Btg
Pactual al patto: quella sull'intera partecipazione e quella sul 60% delle nuove azioni sottoscritte in aumento.
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PRIMO PIANO 12 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore
L’IMPATTO «Le imprese con più bassa affidabilità non possono accedere al credito bancario per effetto delle regole più severe sulla stabilità»
Regole. «Dal 2011 a oggi la contrazione dei prestiti alle imprese è stata pari al 10%»
Affondo sui vincoli per le banche: frenano
l’economia
Troppi vincoli sul capitale delle banche possono rappresentare un freno all'economia, portando a una contrazione dell'attività produttiva. Il presidente della Consob, Giuseppe Vegas, si è soffermato a lungo su questo tema, ieri, nel corso del suo intervento all'incontro annuale con il mercato finanziario. E ha ricordato che la ricerca della stabilità ha avuto un costo, in una certa misura necessario ma di sicuro molto elevato: dal 2011 a oggi, ha detto, evidenziando la correlazione, la contrazione dei prestiti alle imprese è stata pari al 10 per cento e nello stesso periodo il Pil italiano è sceso del 4,8 per cento.Serve dunque una riflessione approfondita sull’attuale tendenza della regolamentazione a focalizzarsi quasi eclusivamente sui profili di stabilità,trascurando gli effetti che, da questo approccio, possono ricadere sulla crescita economica e sulla stabilità stessa del sistema finanziario, ha sostenuto Vegas. Che ha proseguito ricordando come «le imprese con più basso merito di credito che, per effetto di regole più severe sulla stabilità , non riescono ad accedere al credito bancario, devono rinunciare a investire ovvero reperire risorse sul mercato».Quest’ultima tendenza, secondo il presidente della Consob, potrebbe addirittura configurare un «meccanismo di selezione avversa», ovvero potrebbe avvicinare al mercato dei capitali le imprese meno solvibili«con il rischio di causare una fuga degli investitori verso altri sistemi finanziari».In tema di regolamentazione internazionale, Vegas ha affermato che, con l'introduzione a partire dal 2017 di un'ulteriore stretta sulle norme sui requisiti patrimoniali delle banche (la cosiddetta Total Loss Absorbing Capacity), «si sfavorirebbe il nostro sistema bancario, perché sarebbe una regolamentazione più onerosa per strutture di gruppo come quelle nazionali, in cui è assente al vertice una holding non operativa». Sulle banche, Vegas ha citato anche la proposta Ue di regolamento relativa alla separazione tra banca commerciale e banca di investimento che prevede che le banche che superino determinate soglie dimensionali, o comunque quelle a rilevanza sistemica, non potranno effettuare operazioni di negoziazioni in conto proprio su strumenti finanziari.«Si tratta di una riforma molto importante i cui obiettivi sono pienamente condivisibili ma le ricadute sui sistemi bancari nazionali devono essere valutate con estrema attenzione - ha dichiarato - tenendo conto dei costi che ne potrebbero derivare, anche alla luce della limitata attività di trading delle banche domestiche, in rapporto a quello dei loro concorrenti esteri». «In caso contrario - ha concluso - le nuove regole potrebbero tradursi in una condizione di svantaggio competitivo per le banche italiane».Il presidente della Consob non ha citato, ieri, altri possibili inasprimenti regolamentari che in prospettiva graveranno sul sistema creditizio italiano e che potrebbero avere effetti pesanti sulla dinamica dell’economia reale.È il caso, ad esempio, della recente proposta, attualmente in discussione presso il comitato di Basilea, che prevede, per il futuro, un aumento dell’assorbimento patrimoniale a fronte dei crediti concessi alle piccole e medie imprese (per quelle ad alta leva la ponderazione in rapporto al rischio passerebbe dall’attuale 75% addirittura al 130%, con un possibile raddoppio dell’assorbimento patrimoniale e un conseguente, più che probabile aggravio del costo del prestito).Vegas non ha parlato neanche dell’atteggiamento fin troppo duro mostrato recentemente dall’Unione europea sul tema dei Dta,(deferred tax credits) che in Italia sono rilevanti perchè le banche italiane, in base all’attuale normativa fiscale, debbono spalmare nell’arco di cinque anni le perdite su crediti( e fino a un paio d’anni fa
Pagina 1 di 2Il Sole 24 Ore
12/05/2015http://www.quotidiano.ilsole24ore.com/vetrina/edicola24web/edicola24web.html?test...
dovevano farlo addirittura su un arco di 18).Sta di fatto, però, che il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, ha colto immediatamente l'assist contenuto nell’intervento del presidente Consob e si è detto pienamente concorde con i timori espressi da Vegas, in merito alla regolamentazione del settore bancario e ai suoi effetti restrittivi sull'erogazione di credito. In Europa, ha detto Patuelli, «c'è troppa confusione sincopata di annunci e di introduzioni di norme, soprattutto riguardanti la solidità patrimoniale delle banche: da un estremismo pre-crisi che tendeva ad avere il minimo di patrimonio per le banche, ad ora che il pendolo è andato estremizzandosi nella direzione opposta» con «soglie sovrumane,sempre crescenti e mai assolutamente definite”. «È chiaro - ha concluso - che il pendolo bisogna farlo tornare in una posizione di equilibrio e stabilità».Il numero uno dell’Abi ha poi fatto il punto sul tema della bad bank:«Il Governo italiano- ha dichiarato- sta facendo grandissimi sforzi, anche per colmare le lacune dei Governi precedenti». Dal 4 novembre scorso - ha aggiunto « è nata l'Unione bancaria e la sovranità nazionale si è affievolita, quindi apprezzo quello che sta cercando di realizzare il Ministro Padoan e il Governo tutto, ma le decisioni oggi, su questo punto, sono soprattutto europee».Secondo Patuelli «a questo punto dobbiamo quindi porci l'interrogativo di quale Europa vogliamo, perchè l'Europa delle burocrazie e delle normative che si sovrappongono continuamente, rischia di portare all’asfissia i progetti di ripresa dell'economia e non di favorirli».© RIPRODUZIONE RISERVATARossella Bocciarelli
Pagina 2 di 2Il Sole 24 Ore
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PRIMO PIANO 12 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore
DIPENDENZA
RISCHIOSA Le Pmi ricorrono per l’80% del loro fabbisogno al credito bancario, una dipendenza rischiosa
L’ANALISI
Come spezzare il circolo vizioso del
bancocentrismo
Meno banca e più canali alternativi di finanziamento per le imprese. Il monito del
presidente della Consob, Giuseppe Vegas, non poteva non arrivare. Soprattutto dopo
la lunga crisi italiana che ha prostrato le imprese, colpite dal drastico calo di fatturato e
redditività, accompagnato in un circolo perverso e vizioso dalla chiusura dei rubinetti
del credito. Del resto era inevitabile. Se le condizioni dei fondamentali delle imprese
peggiorano, aumenta drasticamente per le banche il costo del rischio di prestare
denaro e a questo punto il motore di traasmissione dalla finanza all’economia reale si
inceppa clamorosamente. Ma il tema non è nuovo, è strutturale, legato allo strenuo
“bancocentrismo” del sistema imprenditoriale italiano. Non è un vezzo, riflette la
struttura imprenditoriale del Paese composto per l’80% da piccole e medie imprese.
Piccole, frammentate, spesso con poco patrimonio e (tanto debito) e un mancato
accesso al mercato dei capitali che tende a finanziare imprese con gradi di rischio più
bassi. Inevitabile appoggiarsi al sistema bancario che storicamente arriva a coprire,
come ricorda Banca d’Italia, l’80% del fabbisogno finanziario dell’universo della
piccola-media impresa italiana. Una dipendenza quasi esclusiva, foriera di gravi
conseguenze. Se la redditività, come è accaduto lungo gli anni della crisi, flette
pericolosamente allora quel vincolo di dipendenza diventa un problema non solo delle
Pmi ma delle banche. Se la possibilità, con flussi di cassa che si vanno riducendo, di
restituire interessi e capitale si affievolisce, allora il guaio si trasmetta come un virus
sui conti delle banche. Prova ne è il cumulo di crediti malati, saliti a più non posso, e
che pesano oggi per 350 miliardi nei bilanci delle banche. Come se non bastasse pesa
per l’Italia una struttura finanziaria delle imprese che, come ricorda Consob, ha una
leva finanziaria più alta del 30% rispetto alle imprese dell’area euro. Vista così la
situazione appare senza vie d’uscita. Ma la ripresa o meglio l’uscita dalla recessione,
impone che si metta benzina nel motore. Denaro che deve servire a investire sul ciclo
che riparte. Ora più che mai. Le Pmi dovrebbero abbassare il grado di rischio,
mitigando la leva, cioè capitalizzando le imprese. Le banche dovrebbero usare il Qe di
Draghi e i tassi miserrimi con cui pagano il denaro per riavviare un ciclo di nuovo
credito, anzichè investire pesantemente in titoli di Stato. E allargare le maglie nella
concessione dei prestiti, dando fiducia a chi mostra ordinativi in crescita e flussi di
cassa che ritornano. E poi c’è il capitolo degli investitori professionali. Vegas ha
ricordato che la ricchezza finanziaria privata vede l’Italia in ottima salute. Il risparmio
degli italiani finisce però sulle Borse e i bond via risparmio gestito e i fondi pensione
sono ancora gracili rispetto al mondo anglosassone. La potenza di fuoco del risparmio
che potrebbe finanziare l’economia produttiva, anzichè quella di “carta” è indubbia.
Ma finora non è entrata in circolo, immobilizzata come è sugli asset finanziari.
Occorrerebbe sbloccare anche quella. In questo libro delle buone intenzioni tutti
dovrebbero fare la propria parte. Le imprese rimpolpare il capitale di rischio, le
banche osare di più e il risparmio indirizzarsi verso il mondo produttivo. Un libro dei
sogni?
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Fabio
Pavesi
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MF
Numero 092, pag. 4 del 13/05/2015
PRIMO PIANO
L'ad del banco: Non vogliamo svendere. i valori pubblicizzati non ci entusiasmano
Saviotti frena sulla bad bank
Intanto in arrivo una cessione di npl per 250 mln. Nel trimestre Verona torna all'utile per 209 mln, e batte le attese degli analisti. Impieghi su dell'1,1%. Le fusioni? No a soluzioni troppo diluitive
di Luca Gualtieri
Anche il Banco Popolare ha battuto le attese del mercato nel primo trimestre dell'anno, segnando un ritorno
all'utile per 209 milioni rispetto ai 151 milioni stimati dagli analisti. Il risultato si confronta con la perdita da 19
milioni incassata nello stesso periodo del 2014 e con il maxi rosso da 1,8 miliardi del quarto trimestre 2014,
dovuto alle rettifiche Bce. «Dopo un sacco di tempo finalmente cominciamo a lavorare in modo più sereno,
con numeri che ci danno ragione», ha rivendicato l'amministratore delegato, Pier Francesco Saviotti, durante
la conference call. I proventi operativi sono saliti del 6,9% a 954 milioni, con commissioni nette a 422 milioni
(+13,6%), miglior performance trimestrale di sempre per il gruppo. Quest'ultimo
risultato ha beneficiato soprattutto della crescita delle commissioni dei servizi di
gestione, intermediazione e consulenza, balzate del 25% a 246,4 milioni. Notizie
interessanti arrivano anche dalla gestione credito, con una sensibile riduzione del
flusso dei deteriorati (-76,3%) e un costo del credito trimestrale annualizzato a 82
punti base in netta riduzione rispetto ai 144 punti base registrati nel primo trimestre
2014. Durante la conference call Saviotti si è soffermato proprio su questo tema,
annunciando che l'istituto ha in corso trattative per la cessione di un pacchetto di
sofferenze da 250 milioni. Più nel dettaglio l'operazione, che dovrebbe concludersi nel giro di «nel giro di
quindici giorni, un mese», consisterà in una tranche da 200 milioni di sofferenze unsecured e in altri 50
milioni di leasing. In materia di qualità del credito, Saviotti si è soffermato anche sul tema del momento, cioè
la costituzione di una bad bank di sistema, sulla quale si è mostrato alquanto
cauto. «Ognuno di noi dovrà fare le proprie considerazioni», ha incalzato il
banchiere, «ma se fosse vero quello che leggo sui giornali, io non avrei alcuna
intenzione di cedere niente di niente, perché si tratta di valori penalizzanti. Il Banco
è interessato a vendere, non a svendere», ha spiegato il banchiere, che non l'ha
mandata a dire nemmeno sul possibile intervento europeo in materia di imposte
differite attive: «Sarebbe scandaloso». Altro tema caldo del momento è quello
relativo alle aggregazioni, nelle quali Verona dovrebbe giocare un ruolo
determinante. Con un'avvertenza però: «Non sono assolutamente interessato a
fare operazioni che siano eccessivamente diluitive», ha risposto Saviotti a chi gli
faceva notare la sottovalutazione dei titoli del Banco in Borsa rispetto a quelli di alcuni competitor.
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Pagina 1 di 2Saviotti frena sulla bad bank - MilanoFinanza.it
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MF
Numero 092, pag. 5 del 13/05/2015
PRIMO PIANO
Le dimissioni sono state accettate dal board. valutazioni in corso sul successore
Pop Vicenza, l'ad Sorato lasciaTutto rinviato al cda di martedì. Si parla di rapporti logori, ma anche l'ispezione Consob potrebbe avere influito. La Bce ha abbassato il requisito Cet1 ratio minimo dall'11% al 10,3%
di Claudia Cervini
In uno dei momenti più delicati della sua storia, la Banca popolare di Vicenza (Bpvi) rimane senza timoniere.
L'amministratore delegato e direttore generale Samuele Sorato, alla guida dell'istituto nei panni di dg dal
2008 e in banca dal 2002, ha rassegnato ieri le dimissioni, accettate dal consiglio di amministrazione. Le
dimissioni, presentate per ragioni ancora da chiarire, sono state
improvvise tant'è che il board, a un giorno dalla riunione, non attendeva
alcun passo indietro ufficiale. Contrariamente alle attese nessun sostituto
è stato ancora nominato e le deleghe del consigliere delegato sono state
temporaneamente attribuite al comitato esecutivo. Tutto rinviato al
prossimo cda previsto per martedì 19. In questa fase confusa e delicata
per l'istituto è arrivata anche una buona notizia: la Bce ha infatti
comunicato che il requisito patrimoniale minimo in termini di Cet1 ratio è
stato portato al 10,3% dal precedente 11%, mentre il requisito minimo in termini di Total capital ratio è stato
mantenuto all'11%. La decisione è conseguente alle valutazioni svolte dall'Eurotower in merito al recepimento
nel bilancio 2014 delle rettifiche di valore su crediti legate all'esercizio di Aqr.
Riguardo al capitolo Sorato, la banca dovrà cooptare presto un nuovo consigliere delegato, una figura di
standing in grado di traghettarla verso la trasformazione in spa dettata dalla riforma delle banche popolari
voluta da Matteo Renzi e anche verso una sempre più probabile fusione con un'altro istituto bancario. Chi
potrebbe essere questo timoniere? Le valutazioni della banca e di Gianni Zonin sono ancora in corso e
nessuna decisione è stata ufficialmente presa. Il nome circolato con maggiore insistenza negli ultimi giorni è
quello di Divo Gronchi, 76 anni, vecchia conoscenza del presidente Gianni Zonin, visto che prima di
approdare alla direzione della Cassa di San Miniato fu per ben due volte amministratore delegato della
popolare vicentina. Tra il 2009 e il 2010, oltretutto, negoziò un primo tentativo di fusione con Veneto Banca,
poi naufragato. Un altro nome evocato in ambienti finanziari veneti è quello di Carlo Crosara, vicentino,
classe 57, ex direttore generale di Friuladria (gruppo Cariparma). Un profilo molto diverso da quello di
Gronchi sia per motivi anagrafici sia per il percorso professionale.
In molti si interrogano sulle ragioni del divorzio tra Sorato e Bpvi. Le ipotesi che si sono avvicendate sono
diverse. Rumor hanno indicato divergenze, maturate negli ultimi mesi, tra Sorato e il top mangement in
merito alla trasformazione in spa e all'eventuale fusione e comunque sottolineano un progressivo
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logoramento dei rapporti. Mentre altre fonti pongono l'accento sulla recente ispezione Consob, sui dissapori
generati tra i soci a causa del valore delle azioni e su alcune operazioni finanziarie avviate negli ultimi anni.
(riproduzione riservata)
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MF
Numero 092, pag. 5 del 13/05/2015
PRIMO PIANO
Secondo il presidente dell'Abi uniformare le regole è la condizione per garantire certezza del diritto su tutto il mercato Ue
Patuelli: avere un Tuf europeo è interesse di tutti
di Mauro Romano
È stato il primo a parlare dell'esigenza di un Testo unico europeo della banca e della finanza, un sistema di
regole che livelli finalmente il piano di gioco per permettere a tutte le banche, italiane ed estere, di disputare
la partita senza handicap fiscali o normativi. Ora che il tema lo stanno sollevando in tanti, Antonio Patuelli,
non rivendica alcuna primogenitura ed è pronto a fare fronte comune.
Domanda. Anche il presidente della Consob, Giuseppe Vegas s'è unito alla battaglia per un Tuf europeo,
senza il quale, ha detto, non ci potrà essere un vero mercato unico per la finanza e
i capitali in genere. Soddisfatto?
Risposta. Indubbiamente. Si tratta di un problema serio e non riguarda nemmeno
solo l'Italia, dove le banche soffrono ancora di una disparità di trattamento, fiscale
e non, In Europa c'è una pluralità di fonti del diritto che si stanno sovrapponendo in
forma, peraltro, spesso anche confusa.
D. Ma l'Unione bancaria non doveva risolvere ogni disparità?
R. Abbiamo passato sette mesi di sperimentazione e insieme a qualche luce ci sono state anche diverse
ombre. C'è troppa confusione sincopata di annunci ,sono state introdotte norme, non sempre adeguate,
come quelle riguardanti la solidità patrimoniale delle banche. Siamo passati dagli eccessi ante crisi, quando
alle banche si chiedeva di garantire il minimo indispensabile di patrimonio, alle richieste attuali, altrettanto
estreme, ma di senso opposto, di soglie patrimoniali sempre più alte, oltre ogni ragionevolezza, e peraltro
mai definitive.
D. Lei che cosa propone?
R. Credo che sia necessaria una riflessione generale per far tornare il pendolo in una posizione di equilibrio e
di stabilità. Ripeto, non è solo interesse dell'Italia che sia garantita la certezza del diritto europeo. La
questione è soprattutto europea. E riguarda tutti.
D. Il suo appello, però, è rivolto soprattutto al governo italiano. Ha trovato orecchie attente?
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R. Il governo italiano sta facendo grandissimi sforzi per colmare anche le lacune dei governi precedenti.
Vede, qui non è ancora chiaro a tutti che il 4 novembre scorso è nata l'Unione bancaria e la sovranità italiana
si è parzialmente affievolita. Apprezzo, quindi, quello che sta cercando di realizzare il ministro Pier Carlo
Padoan ma oggi le decisioni di questo genere sono soprattutto europee. E noi dobbiamo chiederci quale
Europa vogliamo, perché quella delle burocrazie e delle normative che si sovrappongono continuamente
rischia di portare all'asfissia i progetti di ripresa dell'economia.
D. Bisogna battere il pugno sul tavolo di Bruxelles?
R. Magari bastasse quello. Non c'è solo Bruxelles, ci sono Francoforte, Londra, Parigi, i soggetti che
producono diritto sono molti e non sempre coordinati. Con l'Unione bancaria è stato fatto un passo avanti, ma
ora c'è bisogno di uno sforzo di razionalizzazione. Così com'è l'unione bancaria ha aspetti anche di forte
contraddizione giuridica. (riproduzione riservata)
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Numero 092, pag. 14 del 13/05/2015
MERCATI
Doppio vertice con l'advisor a palazzo sansedoni, ma è ancora fumata nera
Ente Mps, volata sull'aumentoI numeri trimestrali della banca senese sono una garanzia, ma pesano i dubbi sul futuro del patto che Fonspa potrebbe essere chiamata a ridisegnare. Una commissione per la riforma statutaria
di Luca Gualtieri
La Fondazione Mps tira la volata finale per l'aumento di capitale della banca senese. Ieri, in una giornata fitta
di incontri, i due organi di governo di Palazzo Sansedoni, la deputazione generale e quella amministratrice, si
sono riuniti per discutere sul tema più caldo del momento. Secondo quanto appreso da MF-Milano Finanza, i
consiglieri della deputazione generale avrebbero incontrato i consulenti del Nuovo Credito Fondiario
nell'ultimo vertice previsto prima della ricapitalizzazione, il cui avvio è previsto per l'ultima settimana di
maggio. Nel dettaglio l'advisor avrebbe illustrato gli ultimi risultati trimestrali di Banca Mps, i contenuti della
conference call di lunedì 11 e le prospettive industriali future, elementi ritenuti
essenziali per la decisione dell'Ente. Non c'è dubbio infatti che il ritorno in utile
dell'istituto (che ha chiuso il trimestre con profitti per 72,6 milioni) sia una notizia
importante per l'azionista il quale, ragionando da investitore e non solo da socio
storico, oggi ha un motivo in più per non recidere il legame con la banca conferitaria.
Dopo la puntuale disamina dei dati e una discussione tra i consiglieri, la deputazione
generale avrebbe confermato gli indirizzi contenuti nel piano pluriennale, passando
così ufficialmente la palla a quella amministratrice. Quest'ultima si sarebbe riunita nel primo pomeriggio, in un
clima di riservatezza assoluta, anche se una decisione definitiva sarà presa soltanto nei prossimi giorni. Di
certo c'è che l'Ente dovrà muoversi in fretta perché, qualunque sia la decisione finale
(l'adesione oppure la diluizione), servirà il preventivo via libera del Tesoro. Oltretutto
le mosse della Fondazione si intrecciano con quelle del patto in cui l'ente è affiancato
da Btg Pactual e Fintech Advisory. Nei prossimi giorni dovrebbero infatti scadere le
due clausole di lock up che vincolano Btg Pactual al patto: quella sull'intera
partecipazione e quella sul 60% delle nuove azioni sottoscritte in aumento. Non è
escluso che, alla luce dei profondi cambiamenti in arrivo, Palazzo Sansedoni possa
affidare all'advisor Fonspa anche la revisione dell'architettura del patto e la sua
rimodulazione. «Sfumata la possibilità di nominare il presidente della banca», confida
a MF-Milano Finanza un'autorevole fonte senese, «per la Fondazione è
indispensabile costruire un'alleanza che possa incidere sulla governance del Monte. In caso contrario l'ente
non avrebbe alcuna ragione per investire preziose risorse finanziarie in un nuovo aumento di capitale». Il
dibattito insomma è in corso e un contributo decisivo potrebbe arrivare dal presidente Clarich. Finora il
professore si è sempre mostrato molto poco passionale sul tema, e non è un mistero il suo obiettivo di dar
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vita a un ente culturale dal portafoglio snello e ben diversificato. Il presidente però dovrà confrontarsi con i
desiderata delle due deputazioni e, più in generale, con gli umori degli enti nominanti. Questi soggetti oggi
chiedono ai vertici della Fondazione decisioni collegiali che tutelino gli interessi del territorio, per evitare
strappi e incidenti diplomatici. Con queste premesse il dibattito dei prossimi giorni potrebbe insomma
diventare molto intenso.
Nel frattempo, altro tema sul tavolo ai vertici di ieri è quello della revisione dello statuto, in linea con le
indicazioni arrivate dal recente protocollo Acri-Tesoro. La deputazione generale (che si riunirà di nuovo
venerdì 12 giugno) avrebbe infatti costituto una commissione di lavoro ad hoc per definire il processo e
sondare gli stakeholder sui temi più delicati. (riproduzione riservata)
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Numero 092, pag. 14 del 13/05/2015
MERCATI
Il dg Capobianco esce, Capuano e Togna in lizza per l'Albo dei promotori
di Andrea Giacobino
Raffaele Capuano, apprezzato segretario generale della Covip, e Tiziana Togna, brillante responsabile
divisione intermediari Consob, sono i due nomi più accreditati per assumere la carica di direttore generale
dell'Organismo per la tenuta dell'Albo dei promotori finanziari (Apf). A sorpresa, infatti, dopo sette anni nei
quali è stato il motore dell'assetto organizzativo dell'Organismo, prima sotto la presidenza di Giovanna
Giurgola Tazza e ora sotto quella di Carla Rabitti Bedogni, il dg Giuseppe Capobianco ha presentato le
dimissioni. Apf, che gestisce l'albo e gli esami di ammissione alla professione, è stato creato grazie alla
comune volontà di Abi, Anasf e Assoreti, che raggruppa le principali società di promotori. L'uscita formale di
Capobianco da Apf è prevista per il prossimo 12 luglio subito dopo l'assembla annuale dell'Organismo.
«Sento l'esigenza», ha detto Capobianco, «di cimentarmi in nuove iniziative caratterizzate da forti e innovativi
contenuti finanziari. Il passaggio avverrà con tempistiche e modalità che garantiscano una piena ed efficace
continuità nella gestione delle attività caratteristiche di Apf. Sono inoltre attesi a breve il rilascio di nuove
iniziative a favore della parità di genere e lo sviluppo della nuova campagna di comunicazione dopo quelle
del 2012 e del 2013». Il presidente Rabitti Bedogni, nel richiamare «l'esperienza e le qualità professionali, la
passione e la tenacia che il direttore ha messo a disposizione per la realizzazione di una struttura ben
organizzata, efficiente ed economicamente solida», ha sottolineato come l'Organismo sia «oggi una realtà
perfettamente adeguata ad acquisire eventuali nuove funzioni a tutela degli investitori che il legislatore
volesse attribuire». Sempre a proposito della decisione comunicata da Capobianco, è intervenuto anche il
vicepresidente di Apf, Marco Tofanelli (segretario generale di Assoreti), che ha auspicato «di avere anche in
futuro frequenti occasioni di interazione professionale, nella certezza comunque che se da un lato l'Albo e
quindi una componente istituzionale del settore perderà un brillante direttore, dall'altro il settore privato
riacquisterà un eccellente manager». La futura destinazione di Capobianco non è ancora chiara. Ma si parla
con insistenza di una carica importante in una rete di promotori. (riproduzione riservata)
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Numero 092, pag. 15 del 13/05/2015
MERCATI
Il dg mazzotti: studiamo l'operazione per sostenere le bcc del territorio
Iccrea va sul Mediocredito Friuli
L'alleanza è vicina e potrebbe vedere l'ingresso della banca di secondo livello nel capitale dell'istituto della Regione, gravato da 600 mln di crediti deteriorati lordi
di Claudia Cervini
«Siamo seriamente interessati ad allearci con Mediocredito del Friuli-Venezia Giulia, anche per sostenere la
realtà del credito cooperativo che in regione è solida e coesa e si trova a dare impulso a un tessuto
industriale vivace, ma gravato da tante difficoltà». Lo afferma parlando con MF-Milano Finanza Roberto
Mazzotti, direttore generale di Iccrea Holding, banca di secondo livello che offre prodotti e servizi alle Bcc di
tutta Italia. Mazzotti apre così ufficialmente a una possibile intesa con lo storico istituto di credito controllato
dalla Regione Friuli-Venezia Giulia e specializzato in finanziamenti al mondo dell'impresa: un tandem che
parrebbe concretizzarsi con l'ingresso di Iccrea nel capitale di Mediocredito. Come dichiarato nei giorni scorsi
dallo stesso Francesco Peroni, assessore regionale alle Finanze, «Banca Mediocredito è alla ricerca di
alleanze industriali, al fine rafforzare assetti operativi e modello di offerta al servizio delle imprese del
territorio». Secondo Peroni la strategia delle alleanze industriali è un tassello essenziale per completare quel
percorso di risanamento che è già stato avviato. E non è difficile comprenderne la necessità. Complice la
lettera pubblicata da Paolo Rumiz, firma storica del Piccolo di Trieste e inviato di Repubblica, sulle colonne
del Messaggero Veneto il Mediocredito friulano è stato in queste settimane sotto i riflettori: il giornalista ha
lanciato una sorta di j'accuse corredato da dodici domande tese a verificare lo stato di salute dei conti della
banca della regione. Nel 2014 il bilancio di Mediocredito è stato gravato da 600 milioni di crediti deteriorati
lordi (le sofferenze ammontano a 327 milioni di euro). Negli ultimi tre anni i bilanci si sono chiusi in rosso sulla
scia, spiega la Regione, della fortissima contrazione della redditività che ha interessato tanto Mediocredito
quanto il sistema bancario nel suo complesso. Hanno pesato inoltre gli incagli del sistema Veneto. Quanto
alla gestione del passato la Banca «sta procedendo a un'autonoma azione di accertamento interno, all'esito
della quale, se emergeranno responsabilità, si darà seguito alle dovute azioni lega». La redazione del piano
industriale 2014-2016, contenente le strategie per il risanamento dell'istituto, è stato approvato dal consiglio
di amministrazione della banca sin dal giugno 2013, aggiornato nel febbraio 2014 e revisionato dal nuovo
cda, nel dicembre 2014.
Iccrea ora si è fatta avanti con decisione anche se i dettagli dell'operazione non sono ancora noti. «Siamo in
una fase interlocutoria in cui ragioniamo sulla solidità dell'istituto e sui punti di debolezza», dice Mazzotti. «La
passione e l'interesse a intervenire ci sono, ma il deal non si può dire chiuso», specifica.
Quest'operazione come potrebbe intrecciarsi con l'autoriforma delle Bcc in cui Iccrea è candidata a giocare il
ruolo di capofila? «Si tratta di due percorsi distinti», spiega il dg di Iccrea. «L'autoriforma del credito
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cooperativo ci trascende e quest'operazione non impatterà sul nostro ruolo». (riproduzione riservata)
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MF
Numero 092, pag. 23 del 13/05/2015
MF NON PERFORMING LOAN
Sono parecchi i progetti che riguardano cessione di npl originati da queste banche
Bcc in manovra sulle sofferenze
Allo studio la cessione di un portafoglio da 200 milioni di una ventina di istituti dell'Emilia Romagna a un veicolo multioriginator. Kkr è al lavoro con Banca Akros su un progetto che coinvolge Bcc e popolari
di Stefania Peveraro
Una ventina di banche di credito cooperativo dell'Emilia Romagna stanno trattando con Primus Capital per la
cessione di portafogli di NPL a un unico veicolo di cartolarizzazione, cosiddetto multioriginator, che emetta
titoli asset backed. Secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza, le abs sarebbero poi sottoscritte per la
quota senior da investitori istituzionali individuati da Primus Capital e dalle stesse Bcc, che a quel punto
potrebbero deconsolidare i crediti dal bilancio e soprattutto ottenere la cosiddetta derecognition ai fini degli
accantonamenti di capitale di vigilanza, mentre la quota junior sarebbe sottoscritta dallo stesso Primus
Capital per una piccola parte e da un investitore terzo specializzato per il resto. Il tutto per un portafoglio
complessivo di circa 200 milioni di
euro e per posizioni di una decina di
milioni per banca. L'attività di
servicing (master, corporate e
special) sarebbe poi affidata alla
stessa Primus Capital. Detto questo,
resta aperta l'alternativa della
cessione pura dei singoli portafogli a
Primus Capital, nel caso in cui l'intera
operazione si riveli troppo complessa
da realizzare.
Il difficile, infatti, è coordinare un
numero di banche troppo alto che
hanno tempi e approcci di valutazione diversi. In ogni caso di progetti di questo tipo sul tavolo ce ne sono
parecchi. Per esempio Banca Akros sta lavorando con Kkr per mettere insieme il portafoglio NPL di un
gruppo di una quarantina di banche tra popolari e Bcc da girare a un veicolo di cartolarizzazione
multioriginator.
Intanto, come anticipato lo scorso 30 aprile da MF-Milano Finanza, anche Icrrea holding si prepara a
intermediare un portafoglio di 500 milioni di euro di NPL originati da una quarantina di Bcc in varie tranche.
L'idea di Iccrea è infatti quella di ritagliarsi un ruolo di advisor delle Bcc in materia, in modo tale da potersi
assicurare una fonte sicura e costante di fee.
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In pista, poi, potrebbero esserci anche altre iniziative analoghe. Cassa Centrale Banca (partecipata al 25%
da Dz Bank) tramite Centrale Credit & Real Estate Solutions psta coordinando insieme a Banca Imi una
nuova cessione di NPL per conto di una quarantina di Bcc, in base a uno schema già impostato lo scorso
anno. Si starebbe ragionando su uno stock di 450 milioni di euro nominale di crediti, superiore insomma per
dimensioni a quelli finiti sul mercato nelle due precedenti operazioni.
Sinora le banche di credito cooperativo avevano infatti condotto due cessioni di crediti in sofferenza: una, a
novembre 2014, ha coinvolto 27 Bcc e casse rurali per un valore nominale complessivo di 250 milioni; l'altra
risale al dicembre 2013 e ha riguardato 22 Bcc, per un valore nominale di 150 milioni di euro. In entrambi i
casi si è trattato di operazioni multioriginator che hanno utilizzato un unico veicolo di cartolarizzazione, con i
titoli che sono stati sottoscritti dal fondo Usa Christofferson, Robb & Company (Crc) assistito dal servicer di
credito Fbs.
Da poco, invece, Polis sgr ha lanciato il suo quinto progetto multioriginator nel settore NPL. L'sgr controllata
da UBI Banca, BPER, Pop. Sondrio, Pop. Vicenza, Sanfelice 1893 Banca Popolare, Banca Valsabbina e
Unione Fiduciaria, ha infatti lanciato lo scorso marzo il Fondo Asset Bancari V, che come i primi quattro fondi
è un veicolo misto a raccolta e ad apporto, con focus su immobili non strumentali ripossessati e crediti in
sofferenza con garanzia sottostante immobiliare. In totale si è arrivati a 32 banche coinvolte in cinque
progetti, l'ultimo dei quali ne coinvolge otto. A fine dicembre i quattro precedenti fondi avevano in gestione
185 milioni di euro di asset e ciascuna banca è stata coinvolta in media per apportare al fondo asset per 5-10
milioni di euro tra immobili e NPL.
Le operazioni multioriginator sono piuttosto complicate da organizzare, ma, spiegano gli addetti ai lavori, è
che se a una banca si chiede di cedere un volume di crediti piccolo per i suoi libri, l'operazione è quasi
sempre possibile.
Non solo. A vantaggio delle piccole operazioni, che sono anche le uniche che in Italia per ora si riescono a
fare (con pochissime eccezioni), c'è anche il fatto che in quel caso non è necessario indire una gara pubblica.
Cosa che invece accade nel caso in cui si debba cedere un portafoglio redditi importante.
In quel caso, infatti, nessun manager si prende la responsabilità della vendita senza indire una gara, il che
allunga i tempi e non solo. Se la gara mette al riparo dalle responsabilità personali, c'è un rischio contabile
non indifferente perché nel caso di asta pubblica, se alla fine si decide di non vendere, il portafoglio va
valutato a bilancio al valore dell'offerta più bassa. Cosa che non accade nel caso di operazioni private con
una singola controparte. (riproduzione riservata)
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PRIMA PAGINA 13 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore
Rush finale. Offerte tra i 2-2,1 miliardi, da Bc Partners-Cinven interesse solo per CartaSi - Vendita entro giugno
Icbpi, è corsa a due: Cvc-Permira e Bain-
Advent-ClessidraÈ gara a due per Icbpi. Nella notte di ieri sono arrivate le attese offerte vincolanti da parte delle cordate in corsa per l’acquisizione dell’Istituto centrale della banche popolari. Se è vero che, terminata la fase di due diligence, tre sono le buste giunte sul tavolo, di fatto sono solo due quelle in pole position. A quanto risulta al Sole 24 Ore, solo due cordate hanno infatti presentato una binding offer per l’intero perimetro dell’Istituto. Si tratta della cordata tra Cvc e Permira e il consorzio formato da Bain Capital, Advent e Clessidra. Entrambe le offerte vincolanti, corredate dalle necessarie garanzie finanziarie, si attesterebbero tra i 2 e 2,1 miliardi di euro. Sostanzialmente fuori dai giochi invece la cordata costituita da Bc Partners e Cinven. Questi due fondi hanno avuto meno tempo per lavorare sulla proposta visto che sono stati gli ultimi a farsi avanti in ordine temporale, e avrebbero quindi presentato un’offerta solo per una parte del business di Icbpi, quello di Cartasì. Una proposta, quella dell’ipotetico “spezzatino” di Icbpi, che non troverebbe alcun consenso tra le banche azioniste. Ora la palla passa agli istituti popolari che dovranno dare un giudizio sulle proposte, e concedere un’esclusiva. La road map prevede di definire entro maggio il nome dell’acquirente e arrivare entro giugno alla firma. A influire sulla decisione finale non sarà solo il valore economico delle offerte - che potrebbero peraltro essere soggette a ulteriori revisioni al rialzo -, ma anche la struttura del piano industriale, il grado di innovazione e di investimenti offerti. Il progetto prevede che le banche popolari rientreranno come soci di minoranza con una quota vicina al 15 per cento, condizione che sarebbe vista di buon occhio anche da Banca d’Italia, che monitora da sempre l’operazione. La cessione di Icbpi consentirebbe ai soci forti plusvalenze. Tra i principali azionisti ci sono Creval (20,4%), Banco Popolare (15,4%), Bper (8,7%), Pop.Vicenza (9,99%), Veneto Banca (9,99%), Bpm (5%), Ubi (5,1%).© RIPRODUZIONE RISERVATALuca DaviCarlo Festa
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FINANZA & MERCATI 13 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore
Credito/1. Il cda ha accettato le dimissioni «consensuali» dell’amministratore delegato, ma dietro le
quinte emerge lo scontro con il presidente Zonin
Pop Vicenza si prepara al dopo-Sorato
vicenza
Nessun respingimento. Il consiglio di amministrazione della Banca Popolare di Vicenza ha accolto ieri le
dimissioni di Samuele Sorato dalle cariche di consigliere e amministratore delegato e direttore generale
dell’istituto. Le dimissioni sono state formalizzate e presentate in assenza dell’ad, il cui decadimento lo esimeva
dalla presenza in cda. «Risoluzione consensuale», recita una nota della banca, il cui consiglio attribuisce per il
momento le deleghe operative di Sorato al Comitato esecutivo.
L’uscita del manager, 54 anni, in Popolare di Vicenza da 13 anni di cui sette come direttore generale, già ventilata
dallo scorso venerdì, è un vero terremoto per la banca vicentina e riapre le ipotesi di tensioni e malumori interni, di
divergenze con il presidente Gianni Zonin e di diversità di vedute gestionali. Complice la pressione della Bce con
gli stress test, la svalutazione delle azioni (-23%), il conseguente esposto alla procura di Vicenza da parte delle
associazioni dei consumatori e il pesante rosso del 2014 (758 milioni di perdite).
Ma le dimissioni di Sorato, che rendono più difficile il prosieguo delle operazioni di fusione e di trasformazione in
Spa, potrebbero essere legate soprattutto alle due recenti ispezioni della Bce - quella di febbraio, ancora in corso e
quella dal 13 al 17 aprile - sulle modalità degli ultimi aumenti di capitale e all’ispezione, anch’essa in corso, della
Consob, avviata il 22 aprile all’indomani dell’assemblea, sulla gestione del prezzo e del collocamento delle azioni.
Alla luce delle sibilline parole di Zonin di tre giorni fa, «chi ha sbagliato pagherà», pronunciate davanti ai sindacati,
l’uscita di scena di Sorato sembra il “sacrificio” per riconquistare credibilità davanti agli organi di vigilanza.
Ora il consiglio, che ieri ha preso tempo senza nominare un successore alla guida amministrativa della banca, deve
riprendere le redini in mano, consapevole che l’azione (e le domande) di Bce e Consob non sono finite. E
consapevole anche che nasceranno nuove tensioni a livello occupazionale, dopo l’annuncio di 200 esuberi e
dell’intenzione di chiudere 150 filiali su 654 (una su cinque).
Non c’è alcuna certezza sul successore di Sorato. Indiscrezioni davano per probabile il nome di Divo Gronchi, 76
anni, predecessore di Sorato alla guida operativa dell’istituto vicentino, già due volte amministratore delegato della
popolare, prima di andare a dirigere e risanare la Cassa di Risparmio di San Miniato a Pisa, ma soprattutto uomo di
fiducia di Gianni Zonin. Ma il cda sta valutando anche altri nomi.
Intanto, ieri il consiglio ha anche preso atto della lettera ricevuta il 7 maggio dalla Bce con cui è stato comunicato
che, valutando le rettifiche di valore su crediti legate all’esercizio di Asset quality review, il requisito patrimoniale
minimo in termini di Cet1 ratio è stato portato al 10,3% dal precedente 11%, mentre il requisito minimo in termini
di Total capital ratio è stato mantenuto all’11%.
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Katy Mandurino
Pagina 1 di 1Il Sole 24 Ore
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MF
Numero 093, pag. 4 del 14/05/2015
PRIMO PIANO
Primi accantonamenti per la risoluzione dei fallimenti degli istituti di credito
Banche, 200 mln al fondo anticrisiPer il Single resolution fund Unicredit ha registrato oneri per 91 mln, Intesa per 75, Banco Popolare per 23. Mps e Ubi attendono invece il secondo trimestre e il recepimento della direttiva Brrd in Italia
di Francesco Ninfole
Le banche italiane hanno iniziato ad accantonare contributi per oltre 200 milioni al fondo di risoluzione
europeo, che sarà chiamato a salvare istituti in crisi. Il fondo è una delle principali novità della
regolamentazione bancaria. È nato con l'obiettivo di evitare che gli Stati debbano salvare le banche in
emergenza con denaro dei contribuenti, come accaduto in molti Paesi (non in Italia). A partire dal 2016,
quando si attiverà il Single resolution mechanism (Srm), le crisi bancarie saranno
pagate innanzitutto con le risorse di azionisti e creditori, attraverso il cosiddetto bail-
in. In seguito interverrà il fondo di risoluzione, alimentato dai contributi delle banche
europee, che verseranno 55 miliardi di euro (pari all'1% dei depositi garantiti) in otto
anni. All'inizio le risorse saranno utilizzabili in gran parte a livello nazionale: in altri
termini, i contributi delle banche italiane serviranno soltanto alle eventuali crisi degli
istituti del Paese, e così via per ogni Stato. Gradualmente si passerà a un unico
fondo europeo (Srf o Single resolution fund), le cui risorse potranno essere impiegate
in tutta Europa.
Le banche italiane hanno iniziato a contabilizzare i contributi nel primo trimestre, includendoli negli
accantonamenti per oneri e rischi. Le modalità di pagamento sono state differenti tra banche, perché in Italia
non è stata ancora recepita la direttiva sul risanamento e la risoluzione delle banche (Brrd), che pure è
entrata in vigore a livello europeo da inizio 2015. Nel dettaglio, Unicredit ha accantonato 91 milioni di euro,
una cifra che corrisponde alla quota annuale nei Paesi in cui la direttiva Ue è già stata introdotta (Germania e
Austria i principali). Non sono stati invece registrati costi per quei Paesi dove la direttiva non è stata ancora
recepita: in particolare per l'Italia la banca stima costi annuali per 61 milioni. Intesa ha già accantonato oneri
per 75 milioni stimati per l'intero 2015, Banco Popolare per 23 milioni, Bpm per 8 milioni, Cariparma per 7
milioni. Le cifre finali potranno cambiare in base agli aggiornamenti delle voci di bilancio. Mps e Ubi per il
momento non hanno invece affrontato la questione: la banca senese contabilizzerà il contributo al fondo nel
secondo trimestre, mentre Ubi attende il recepimento della direttiva.
Oltre ai contributi per la risoluzione delle crisi, le banche dovranno sostenere quest'anno anche quelli per la
direttiva sugli schemi di garanzia dei depositi (Dgs), che ha l'obiettivo di armonizzare in Europa le procedure
di protezione dei depositi dei correntisti fino a 100 mila euro. La novità per le banche riguarda i contributi (pari
allo 0,8% dei depositi garantiti), che saranno ex ante, al contrario di quanto accaduto finora con il Fitd (Fondo
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Interbancario di Tutela dei Depositi). Così come la Brrd, neppure la direttiva Dsg è stata recepita in Italia (il
termine è inizio luglio): di conseguenza le banche non hanno previsto stanziamenti, anche perché il Fitd ha
comunicato che per il 2015 verranno raccolti soltanto i contributi relativi al secondo semestre. Il ritardo
nell'attuazione della Brrd «impedisce all'Italia di applicare la nuova disciplina europea», ha ricordato nei giorni
scorsi il governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco. «L'indisponibilità dei nuovi strumenti di risoluzione
potrebbe rendere problematica la gestione di eventuali dissesti con le procedure vigenti». (riproduzione
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Numero 093, pag. 8 del 14/05/2015
MERCATI
Castagna (bpm) sgombra il campo dai dubbi: aggregazioni con istituti forti
I banchieri vogliono la superpopSulla stessa lunghezza anche Vandelli (Bper), che non crede in un merger con una banca non quotata Ma prima del via alle maxi-operazioni i gruppi maggiori potrebbero aggregare le realtà più piccole
di Luca Gualtieri
La fase di riflessione iniziata subito dopo le assemblee di bilancio potrebbe non durare ancora a lungo per le
banche popolari italiane. Almeno non per tutte, se è vero che oggi il top management di molti gruppi ha le
idee sempre più chiare sulle aggregazioni in arrivo. Ieri il tema del risiko è stato al centro delle conference
call di due tra i maggiori player del sistema, la Popolare di Milano e la Popolare dell'Emilia Romagna.
Entrambi gli istituti sembrano orientati verso una fusione alla pari che, almeno nelle
intenzioni, dovrebbe realizzarsi in tempi spediti. «Non siamo attendisti, partiremo
velocemente con l'analisi delle opportunità», ha esordito il consigliere delegato di Bpm
Giuseppe Castagna durante l'incontro con la comunità finanziaria. La banca di Piazza
Meda (che non ha ancora selezionato gli advisor per l'eventuale aggregazione) è
reduce da un anno denso di prove e con i risultati del primo trimestre (utile netto di
64,3 milioni e impieghi in crescita dell'1,6%) ha confermato il suo stato di buona
salute. Ecco perché oggi il mercato guarda all'istituto come a uno dei candidati favoriti
alle aggregazioni in arrivo. Dopo l'assemblea di aprile, «finalmente serena e tranquilla, ci apprestiamo a
scendere in campo e adesso cominceremo a guardare a progetti con altre banche popolari», ha spiegato ieri
Castagna, aggiungendo che l'obiettivo «è quello di creare gruppi bancari importanti, che possano sostenere
la ripresa del Paese. Ci piacerebbe sapere se sono possibili aggregazioni con banche più forti per essere poi
poli aggreganti con altri istituti più piccoli». L'operazione
insomma dovrebbe coinvolgere i soggetti maggiori, portando
così alla nascita di quella superpopolare di cui si sussurra
ormai da mesi in ambienti finanziari. Sulla stessa lunghezza
d'onda si è espresso anche Alessandro Vandelli,
amministratore delegato della Banca Popolare dell'Emilia
Romagna (profitti . Il banchiere infatti ha escluso una fusione
con una banca non quotata, definendola «molto, molto
difficile». L'annuncio del banchiere, che sembrerebbe sgombrare il campo dalle ipotesi su un intervento nel
Nordest, corrobora lo scenario di una fusione tra uguali con istituti quotati anche per Bper. L'istituto
modenese comunque potrebbe muoversi meno rapidamente della Bpm: «Sarà necessario attendere ancora
alcuni mesi per capire se sarà possibile un merger con un'altra popolare. È un periodo di transizione», ha
spiegato il banchiere, lasciando intendere che i giochi sono ancora del tutto aperti.
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Se insomma l'intenzione è quella di dar vita a grandi poli, non è escluso che il processo aggregativo avvenga
in più tappe. Partendo magari da operazioni di taglia minore che coinvolgano istituti di piccole dimensioni, per
poi convergere nel giro di un anno verso la superpopolare. Una strategia di questo tipo del resto
permetterebbe di equilibrare i pesi dei futuri partner, potenziando la massa critica dei soggetti oggi più fragili.
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MF
Numero 093, pag. 9 del 14/05/2015
MERCATI
Presto le Fondazioni de mari, cr carrara e coop liguria rinnoveranno i patti parasociali
Banca Carige, gli enti rilancianoIl presidente Romani: vogliamo difendere la posizione in occasione dell'aumento. Per poi andare a bussare a Malacalza. Il polo diventerebbe il terzo socio col 5,5%
di Claudia Cervini
I vecchi pattisti tornano a fare cerchio intorno a Banca Carige. Questa volta con obiettivi più ambiziosi.
Nell'arco di una quindicina di giorni la Fondazione De Mari (Savona), la Fondazione Cassa di risparmio di
Carrara e Coop Liguria dovrebbero rinnovare il patto parasociale sfondando, questa volta, il muro del 5%.
Un'alleanza che per ovvie ragioni non vedrà più tra le sue fila né l'ex dominus di
Banca Carige, Giovanni Berneschi, né la famiglia Bonsignore. L'intesa, che getta le
basi per detenere un maggior peso nella governance, precederà l'aumento di capitale
fino a 850 milioni di euro il cui avvio è previsto a inizio giugno. «Valuteremo le
condizioni della ricapitalizzazione», spiega a MF-Milano Finanza l'avvocato Roberto
Romani, presidente della Fondazione De Mari. «La linea è quella di non diluirci e di
difendere la nostra posizione in Banca Carige sempre che si verifichino i
presupposti», prosegue. «Quando gli assetti azionari saranno più chiari, insieme agli
altri pattisti (Coop Liguria e la Fondazione Cr Carrara ndr), ci confronteremo col primo azionista Vittorio
Malacalza, che ha dimostrato un atteggiamento disponibile e inclusivo nell'interesse dell'azienda».
Le quote. Sull'entità della partecipazione non c'è ancora certezza. Le due fondazioni insieme ora detengono il
4% e Coop Liguria l'1,5%. Dunque il patto potrebbe sfondare il muro del 5,5%. Come riportato dal Secolo XIX
per Coop Liguria le fondazioni del territorio sarebbero gli
interlocutori ideali per stringere un patto. E, in base a quanto
appreso ieri da MF-Milano Finanza, la stipula dell'alleanza
sulla governance è alle battute finali.
Fino a oggi i vecchi pattisti esprimevano quattro consiglieri
nel board della banca su un totale di 13. Se gli assetti
azionari rimanessero quelli attuali, grazie al patto parasociale
le due fondazioni e Coop Liguria diventerebbero il terzo azionista dell'istituto dietro a Malacalza (10,5%) e
dietro ai francesi di Bpce (9,9%).
Proprio quando si pensava che le fondazioni bancarie fossero pronte a uscire di scena (almeno questo è
quello che stava per succedere alla Fondazione Carige prima di stringere il patto parasociale con Malacalza)
ecco che gli enti tornano in pista. Intenzionati, anche a sottoscrivere l'aumento che si fa sempre più vicino.
Pagina 1 di 2Banca Carige, gli enti rilanciano - MilanoFinanza.it
14/05/2015http://www.milanofinanza.it/giornali/stampa-articolo?id=1986275&access=AB
Come affermato ieri dall'amministratore delegato Piero Montani, è ragionevole pensare che la
ricapitalizzazione partirà a inizio giugno.
L'ad Montani ieri ha chiarito anche diversi punti controversi. Commentando i risultati trimestrali ha detto che
Carige è «ancora convalescente». Secondo il top manager la banca è partita con la ristrutturazione con
evidente ritardo rispetto al resto del settore, ma la rimonta è vicina. Montani ha anche sottolineato che le
offerte pervenute per l'acquisto di Banca Cesare Ponti e Creditis sono serie e che il cda deciderà con la
massima tranquillità. Mentre è arrivata ieri l'autorizzazione dell'Ivass al fondo americano Apollo per
completare l'acquisto delle attività assicurative di Carige. (riproduzione riservata)
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Numero 093, pag. 13 del 14/05/2015
MERCATI
Mps, ok all'aumento ma poi le nozze
La Banca Centrale Europea dà luce verde al Monte dei Paschi per l'aumento di capitale da 3 miliardi previsto
per la fine del mese e il rimborso dei Monti bond per un valore di 1,071 miliardi. Nella lettera di autorizzazione
Francoforte ha inoltre ribadito ancora una volta la necessità di ridurre i crediti deteriorati e di procedere
speditamente con un matrimonio. La ricapitalizzazione dovrebbe partire giovedì 28 maggio per chiudersi
presumibilmente entro il mese di giugno. Il primo luglio poi il Tesoro dovrebbe ricevere la propria quota in
azioni al posto del pagamento degli interessi dei Monti bond. Nel suo intervento alla conference call di lunedì
il cfo Bernardo Mingrone ha precisato che il Tesoro «riceverà azioni che in occasione del bilancio abbiamo
esemplificato in un 4%, sarà poco più o poco meno; ma Via Venti Settembre non parteciperà all'emissione
dei diritti, le azioni saranno consegnate dopo la conclusione dell'aumento».
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Numero 093, pag. 18 del 14/05/2015
COMMENTI & ANALISI
Contrarian
Perché intervenire subito sulla riforma delle banchepopolari
Le dichiarazioni di Pier Francesco Saviotti in occasione della trimestrale del Banco Popolare sui possibili
matrimoni del Banco, con la conferma dell'interesse per Bpm, hanno rilanciato l'argomento delle aggregazioni
e del consolidamento del settore. Intanto, prima delle possibilità di concentrazione, le dieci Popolari
sottoposte all'obbligo di trasformazione in spa dovranno programmare i tempi della trasformazione che
decorreranno dalla pubblicazione delle istruzioni della Banca d'Italia, che dovrebbe essere non lontana. L'ad
di Bper, Alessandro Vandelli, ha invece messo in evidenza le forti difficoltà di
matrimonio con una Popolare non quotata. Se gli istituti si incammineranno lungo la
strada della trasformazione e delle aggregazioni, allora si potrà ritenere chiusa la
vicenda che ha contrassegnato, per le gravi carenze nel metodo e nel merito,
l'approvazione della legge regolatrice del mutamento della natura giuridica, che tuttora
viene, però, considerata esposta a possibili rilievi sul piano della legittimità.
Recentemente il consiglio della Regione Lombardia guidata da Roberto Maroni ha
autorizzato la Giunta a presentare ricorso alla Corte Costituzionale contro la legge di
riforma che invaderebbe il campo dell'autonomia regionale in considerazione del carattere delle Popolari.
Non è chiaro come si pensa di organizzare una tale iniziativa. In base all'art. 117 della Costituzione, le
Regioni hanno una potestà legislativa concorrente con lo Stato, tra l'altro, in materia di aziende di credito a
carattere regionale. La Costituzione prevede che nelle materie a legislazione concorrente la potestà
legislativa spetta alla Regione, mentre lo Stato può intervenire solo per i principi fondamentali. Nel
presupposto, peraltro tutto da verificare, che le Popolari possano essere inquadrate nelle aziende a carattere
regionale, si tratterebbe, allora, di attivare davanti alla Consulta un conflitto di attribuzione Regione-Stato. Ma
non è facile l'inquadramento delle Popolari soggette alla trasformazione nella suddetta categoria. Altri
possibili aspetti di illegittimità sarebbero individuati nella non ricorrenza dei principi di necessità e urgenza,
alla base del decreto legge che ha disposto la trasformazione, nella lesione della libertà di iniziativa
economica, delle norme costituzionali sulla cooperazione, nonché della par condicio, e così via. In questo
caso, diversamente dal primo, si tratterebbe di arrivare alla Corte dopo avere impiantato un giudizio, per
esempio ricorrendo contro gli atti applicativi della riforma, davanti al giudice ordinario o amministrativo e, in
quella sede, sollevare la eccezione di incostituzionalità che, se accolta dal giudice perché ritenuta non
manifestamente infondata, approderebbe alla Consulta. In definitiva si tratta di un percorso per nulla agevole.
Tuttavia, anche in altre circostanze, iniziative di questo tipo sono apparse inizialmente molto complicate e di
assai dubbio esito, ma poi hanno avuto successo, come accadde con la legge che, promossa dall'allora
ministro Tremonti, avrebbe voluto trasformare le fondazioni di origine bancaria in dépendance degli enti
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locali: la Consulta la bocciò in toto. Ma al di là di queste previsioni, il caso lombardo segnala che la reattività
sul terreno anche giudiziario nei confronti della legge non si è spenta. Oggi una parola chiara su questa
tematica è necessaria, prima che le Popolari si incamminino sulla via delle aggregazioni.
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FINANZA & MERCATI 14 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore
Banche/1. Confermati Vita presidente e Ghizzoni ad - Tre vicepresidenti
UniCredit, eletto il nuovo cda I soci libici
restano con il 4,15%
ROMA
I soci libici si tengono stretta UniCredit, e viceversa. Ieri, dopo tre anni che non si
vedevano in assemblea, i rappresentanti della Banca centrale libica (che ha in mano il
2,9% della banca) e della Libyan Investment Authority (1,25%) non solo si sono
presentati all’Eur, ma - nel corso di un incontro prima dell’avvio dei lavori con il ceo
Federico Ghizzoni e il presidentre Giuseppe Vita - hanno espresso «la loro volontà e il
loro interesse per una gestione più attiva della loro partecipazione azionaria nel
capitale », come recita una nota della banca. Morale: i libici, con il loro 4,15% nel
gruppo sono e resteranno parte integrante di quel nocciolo duro di soci destinato a
dare stabilità alla banca. «Puntiamo a una stretta collaborazione», ha confermato a
Radiocor il Governatore della Banca centrale libica, Saddek Omar El Kaber, che con il
presidente della Lia, Libyan Investment Authority, Abdulrahman Benyezza, ha seguito
i lavori da una saletta.
Continua pagina33 Marco Ferrando
ROMA
Continua da pagina 31 La conferma che i legami con la Libia sono saldi arriva in un
momento di profonda evoluzione dell’azionariato di UniCredit, che vede il
ridimensionamento progressivo del peso delle Fondazioni - ieri non è passata
inosservata l’assenza di CariVerona, pronta ad alleggerire la propria quota dopo aver
rinunciato ad avere rappresentanti nel board - e la conferma della centralità dei fondi,
che non a caso ieri quando c’è stato da eleggere il board hanno votato in massa per la
lista di minoranza, quella che aveva come unico candidato Lucrezia Reichlin,
catalizzando così il 54% dei voti favorevoli (su circa il 52% del capitale della banca
presente in assemblea) contro il 46% ottenuto dalla lista di maggioranza. Nessun gesto
ostile da parte dei fondi nei confronti della banca, si fa notare da fonti vicine al mondo
degli istituzionali, ma la conferma del fatto che da BlackRock in giù tutti intendono
seguire da vicino il cammino di UniCredit, pur nell’atteggiamento tipicamente passivo
dei fondi.
Rispetto alle previsioni della vigilia, nessuna novità sulla composizione del nuovo
board. Dopo aver approvato con una maggioranza bulgara il bilancio 2014, con
relativo scrip dividend di 12 centesimi, e la riduzione da 19 a 17 componenti del
board, l’assemblea ha eletto il nuovo consiglio. Che si è riunito nel tardo pomeriggio
subito dopo la fine dei lavori e ha confermato Federico Ghizzoni nella carica di
consigliere delegato Giuseppe Vita alla presidenza. Come anticipato l’altroieri da Il
Sole 24 Ore, alla fine si è optato per tre vice presidenti: Luca Cordero di Montezemolo
(nominato anche presidente del comitato corporate governance e nomine), Fabrizio
Palenzona e Vincenzo Calandra Buonaura, cui è stato attribuito anche il ruolo di
vicario. Insieme a loro entrano nel board Mohamed Ahmed Badawy Al Husseiny,
Manfred Bischoff, Cesare Bisoni (a capo del comitato parti correlate), Hernryka
Bochniarz, Alessandro Caltagirone (presidente del comitato Remunerazione), Helga
Jung, Clara Streit, Paola Vezzani, Alexander Wolfgring (neo presidente del comitato
controlli interni e rischi), Anthony Wyand, Elena Zambon e, appunto, Lucrezia
Reichlin. I libici non hanno chiesto un posto in cda come avevano qualche anno fa
(vicepresidente era il governatore Farhat Bengdara): nessun nome infatti è stato
inserito nella lista di maggioranza per il nuovo consiglio, possibilità che con ogni
probabilità avrebbero ottenuto, ma piuttosto c’è interesse a riattivare e rafforzare le
opportunità di business nel paese, in un piano condiviso con il management.
La questione libica comunque non è stata affrontata dall’assemblea che, come
accennato, ha approvato i conti 2014 (chiusi a livello di gruppo con un utile di 2
Pagina 1 di 2Il Sole 24 Ore
14/05/2015http://www.quotidiano.ilsole24ore.com/vetrina/edicola24web/edicola24web.html?test...
miliardi di euro), la distribuzione del dividendo anche sotto forma di scrip dividend
(assegnazione di azioni) per complessivi 697 milioni di euro. Una cedola migliorato
del 20% sul 2013 ma che Ghizzoni spera di far crescere nei prossimi anni, mentre il
presidente Vita sottolinea «le scelte coraggiose» compiute negli anni scorsi per far
tornare la redditività: «Anche sul dividendo cercheremo di essere in crescita nei
prossimi anni - ha detto Ghizzoni, rispondendo alle domande di un socio in assemblea
-. Stiamo lavorando duramente giorno per giorno per riportare in alto il valore del
gruppo, il titolo ha guadagnato negli ultimi due anni il 54% e il 16% da inizio 2015».
Ghizzoni ha ricordato poi che «la possibilità di uno scrip dividend permette di
scegliere tra azioni e cash»: i soci potranno decidere nella finestra compresa tra il 19 e
il 29 maggio.
.@marcoferrando77
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Marco Ferrando
Banche/1. Confermati Vita presidente e Ghizzoni ad - Tre vicepresidenti
UniCredit, eletto il nuovo cda I soci libici restano con il 4,15%
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FINANZA & MERCATI 14 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore
AGGREGAZIONI Il vertice dell’istituto: «La nostra volontà è di poter esaminare velocemente le opportunità di integrazione»
Popolari/2. Il ceo: soprattutto se non trovassimo il partner
Bpm, Castagna: possibile la Spa prima della
fusione
Trasformarsi in Spa prima di trovare il partner con cui fondersi? Bpm non lo esclude.
A segnalarlo è lo stesso amministratore delegato della banca popolare milanese,
Giuseppe Castagna, nel corso della conference call con gli analisti. «Non escludiamo
che sia possibile una trasformazione in Spa prima della fusione, soprattutto se non
incontrassimo dei partner con cui affrontare un discorso di fusione», ha detto ieri il
manager.
L’eventuale trasformazione della denominazione societaria potrebbe insomma arrivare
ben prima della scadenza dei 18 mesi prevista a partire dalla diffusione dei
regolamenti di Banca d’Italia, attesi nelle prossime settimane. E l’eventuale
accelerazione al processo potrebbe derivare da una mancata “intesa” rapida con uno
degli altri possibili partner bancari italiani, sempre di stampo popolare. Come noto, in
pole position per un possibile merger rimane sempre il Banco Popolare, il cui a.d. Pier
Francesco Saviotti non ha mai nascosto la sua “passione” per il gruppo lombardo. Ma
i nodi da sciogliere non mancano, sia da un punto di vista degli equilibri tra le due
piazze che dei concambi. Ecco perchè i tempi, in questo caso, potrebbero essere
lunghi. Senza contare che il dialogo rimane aperto con tutte le banche popolari, tra cui
Bper, altra banca che è in manovra per formare un gruppo bancario di maggiori
dimensioni.
In questo scenario incerto, Bpm vuole insomma fare presto. E mentre quasi tutti i
competitor, dopo un’iniziale euforia, stanno provando a raffreddare gli animi di
advisor e osservatori, prevedendo tempi lunghi per l’avvio del risiko bancario, Piazza
Meda intende correre. «La nostra volontà è di poter esaminare velocemente le
opportunità di integrazione», ha aggiunto Castagna. «Ci apprestiamo a scendere in
campo. Inizieremo a guardare con attenzione quelli che possono essere i progetti di
integrazione con altre banche, in particolare popolari». Insomma nessuna volontà di
essere «attendisti». Ma in casa Bpm, per quanto nessuno pensi che si possa chiudere
«velocemente», comunque rimane il desiderio di «costruire un gruppo bancario
importante», ha aggiunto Castagna.
A non destare preoccupazione, invece, è il tema della creazione di un nocciolo duro di
azionisti in vista della trasformazione in Spa. Un tema che si porrà nel momento in cui
verrà individuato il potenziale partner per un’aggregazione. Ma per ora l’assenza di un
nucleo stabile di soci rilevanti secondo è solo «un grande vantaggio» perché «non
abbiamo nessuna particolare pressione locale».
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L. D.
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Diamo ai greci l’ultima parola
Icbpi, è corsa a due: Cvc-Permira e Bain-Advent-Clessidra
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FINANZA & MERCATI 14 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore
LO?SCENARIO Per il manager «è un periodo di transizione» e le discussioni con altre banche «sono difficili perché ognuno ha la sua idea di merger»
Popolari/3. Per l’a.d. della popolare emiliana Alessandro Vandelli l’attenzione è sempre rivolta a Lombardia e Veneto
Bper, «difficile» la fusione con non quotata
«Una fusione con una banca non quotata è molto, molto difficile». L’amministratore delegato di Bper, Alessandro Vandelli, frena sull’ipotesi di una rapida definizione di un merger con una banca non trattata su Piazza Affari. Inevitabile che il pensiero vada alle due banche popolari venete, come Pop. Vicenza e Veneto Banca in particolare, una delle banche ritenute in pole position per un possibile operazione di consolidamento con Modena. Ma Vandelli tiene a specificare che in realtà i tempi non sono ancora maturi per una qualsiasi mossa di m&a. Tanto che per Bper sarà necessario «attendere ancora alcuni mesi per capire se sarà possibile un merger con un’altra popolare. È un periodo di transizione». Del resto se è vero che nessun dossier è ufficialmente sul tavolo, è anche vero che le discussioni con altre banche «sono difficili perché ognuna ha la sua idea di merger ed è difficile trovarsi d'accordo». Sia chiaro: l’interesse della banca emiliana rimane sempre rivolto in particolare a Lombardia e Veneto, come sottolineato nei giorni scorsi dal presidente di Bper, Ettore Caselli: «Stiamo cercando di capire se si può fare un’operazione in queste regioni», ha ribadito ieri Vandelli. Nella lista del possibile partner, c’è sempre Bpm, ad esempio, «per molte ragioni». Tuttavia il manager ha sottolineato che l’importante «non è fare una fusione ma fare la fusione giusta». Anche perchè «se vedo le altre banche popolari, ognuna di loro ha alcune caratteristiche» e ogni merger «ha alcuni rischi». L’obiettivo di Bper dunque «è creare valore, non raggiungere un’altra dimensione». E se è vero che «ci sono alcuni buoni merger», è vero che «altri sarebbero solo per aumentare le dimensioni». Nel corso della conference call con gli analisti, Vandelli è anche intervenuto sul tema della bad bank. Un progetto che oramai è «molto difficile» e per cui arriveremmo troppo «in ritardo». Meglio, piuttosto, pensare a «una riforma fiscale per il sistema bancario italiano» che allinei il nostro paese agli standard europei e che aiuti a gestire i crediti anomali.Dal punto di vista borsistico, va detto che il mercato ha apprezzato i conti diffusi martedì sera. Bper ha chiuso il primo trimestre del 2015 con un utile netto di 51,7 milioni di euro, in crescita del 65,6% anno su anno. E ieri il titolo ha chiuso in rialzo dell’1,45%, contro un +0,46% del Ftse Mib.© RIPRODUZIONE RISERVATAL. D.
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MF
Numero 094, pag. 2 del 15/05/2015
PRIMO PIANO
Stop a incagli e ristrutturati. Restano le sofferenze, a cui si aggiungono inadempienze probabili ed esposizioni scadute
Banche, via alle nuove categorie di crediti deteriorati
di Francesco Ninfole
Le banche hanno adottato per la prima volta nelle trimestrali le nuove categorie di crediti deteriorati. Sono
stati abrogati incagli e ristrutturati per far posto a inadempienze probabili ed esposizioni scadute e/o
sconfinanti deteriorate. Questi ultimi due insiemi si aggiungono alle vecchie sofferenze: l'unione delle tre
categorie forma così l'aggregato delle non-performing exposures, secondo quanto previsto dagli standard
tecnici dell'Eba, introdotti in Italia dall'aggiornamento della circolare 272 di Banca d'Italia, che ha definito
anche le esposizioni oggetto di concessioni (forborne exposures).
Le indempienze probabili sono definite dalla circolare Bankitalia come «esposizioni creditizie, diverse dalle
sofferenze, per le quali la banca giudichi improbabile che, senza il ricorso ad azioni quali l'escussione delle
garanzie, il debitore adempia integralmente (in linea capitale e/o interessi) alle sue obbligazioni creditizie».
Se questa condizione non è rispettata, ma le esposizioni sono comunque scadute o sconfinate da oltre 90
giorni e per importi oltre una certa soglia di materialità (pari al 5% del totale), allora la posizione sarà inclusa
nelle esposizioni scadute e/o sconfinanti deteriorate. Le esposizioni retail possono essere considerate per
singola transazione e non per singolo debitore.
Proprio sulla disciplina dei crediti scaduti potrebbe arrivare un giro di vite dell'Eba. L'autorità bancaria
europea ha proposto di abbassare le soglie di materialità, oltre cui un credito è da considerare scaduto: nel
dettaglio, ci sarebbe una soglia assoluta (di 200 euro per i clienti retail e di 500 euro per quelli non retail) e
una relativa (2% dell'esposizione, invece dell'attuale 5%). Secondo l'Abi, questa modifica potrebbe far
aumentare i crediti scaduti delle banche tra il 75 e il 110% (si veda MF-Milano Finanza del 17 febbraio). L'Abi
ha sottolineato che «l'introduzione di una soglia assoluta molto bassa, combinata con un forte calo della
soglia relativa rispetto ai livelli applicati in Italia, avrebbe un impatto considerevole sull'ammontare e il numero
delle posizioni scadute», anche perché le nuove categorie, a causa della loro maggiore ampiezza,
includerebbero anche prestiti destinati a tornare in bonis nel giro di poco tempo («falsi positivi», in gergo
tecnico).
In attesa delle novità Eba, i cambiamenti introdotti finora hanno causato un trasferimento di crediti deteriorati
da una categoria all'altra, ma non hanno aumentato i livelli complessivi. «Le attività deteriorate al 31
dicembre 2014 rideterminate secondo le nuove definizioni introdotte dall'Eba sono risultate sostanzialmente
coerenti con le attività deteriorate determinate secondo le previgenti istruzioni Banca d'Italia», ha precisato
Unicredit. «La piena implementazione delle nuove definizioni Eba comporta un adattamento dei processi del
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credito, al momento in corso. Pertanto il perimetro delle attività deteriorate secondo le nuove definizioni si
basa sull'utilizzo delle migliori stime tempo per tempo disponibili». (riproduzione riservata)
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MF
Numero 094, pag. 12 del 15/05/2015
MERCATI
Il gruppo lombardo potrebbe riacquistare le minorities nelle controllate
Ubi al lavoro sulle partecipateDopo l'operazione con Aviva dello scorso anno, la razionalizzazione potrebbe interessare Pop Commercio e Industria, Bre e le altre banche rete e liberare capitale in vista dell'aggregazione
di Luca Gualtieri
La conferma l'ha data la voce più autorevole di Ubi Banca, cioè il consigliere delegato Victor Massiah che
durante la conference call di mercoledì 13, si è espresso con telegrafica chiarezza: «Ci stiamo lavorando».
L'istituto lombardo, considerato la punta di diamante del sistema delle popolari, potrebbe razionalizzare gli
assetti societari per semplificare la struttura del gruppo e aumentarne la forza patrimoniale. Oggi infatti in
numerose controllate ci sono quote di minoranza che per il gruppo rappresentano più
un impaccio che un'opportunità. Vi sono ad esempio il 16,2% della Popolare
Commercio e Industria, il 25,3% della Banca Regionale Europea e quote minori in
altre banche rete come la Popolare di Ancona o la Banca di Valle Camonica. Oggi
questa situazione ha poco senso da un punto di vista industriale anche perché la
normativa di Basilea 3 prevede limiti alla computabilità delle minorities nel capitale.
Ecco perché Ubi ha avviato una rivisitazione del proprio assetto societario partendo
proprio da queste quote. Lo scorso anno, ad esempio, nell'ambito della ridefinizione
degli accordi di bancassurance con Aviva, Ubi ha riacquistato le partecipazioni detenute dalla compagnia
assicurativa britannica in Popolare Commercio e Industria, Popolare Ancona e Banca Carime per 327 milioni.
Dopo quel primo passo, il processo potrebbe essere portato a conclusione nelle altre banche rete, anche se
Massiah al momento si mostra cauto: «Il board sta studiando diverse soluzioni ma è ancora presto per
prendere decisioni», ha spiegato il banchiere durante la conference call di mercoledì. Certo è che
un'operazione di questo genere
aumenterebbe la generazione di
capitale interno per il gruppo
lombardo che già oggi ha una
posizione patrimoniale di tutta
tranquillità con un common equity tier
1 phased in al 12,45%.
Resta poi da capire se una
razionalizzazione di questo genere potrebbe preludere a una fusione delle controllate in base a quel modello
di banca unica da cui finora Ubi si è tenuta alla larga. Il gruppo lombardo, infatti, ha sempre difeso il proprio
assetto federale che proprio oggi potrebbe rivelarsi particolarmente vantaggioso nell'imminente risiko
bancario. Dopo l'aggregazione però, che il mercato si aspetta entro la fine dell'anno, le strategie potrebbero
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cambiare in profondità. A quel punto infatti Ubi, o meglio la realtà che vedrà la luce dopo la fusione, potrebbe
prendere le distanze dal modello federale per razionalizzare la propria struttura societaria. È invece assai
difficile pensare che il riassetto generale possa avvenire prima dell'aggregazione, per ragioni di natura sia
industriale che politica. Al momento comunque i vertici di Ubi mantengono il massimo riserbo su quali
potrebbero essere le mosse del gruppo: «Al momento non c'è una trattativa. E da parte nostra, in questa
banca, c'è una chiara comprensione del fatto che meno del 50% delle fusioni hanno creato valore», ha
puntualizzato Massiah al termine della conference call sui conti trimestrali. (riproduzione riservata)
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MF
Numero 094, pag. 13 del 15/05/2015
MERCATI
L'operatore specializzato italiano in short list per accedere alla due diligence
Banco, Primus in lizza per gli nplVerona metterà sul mercato un pacchetto da 250 milioni in tempi rapidi. Altre operazioni in arrivo tra popolari
e bcc, in attesa che l'esecutivo decida sulla bad bank
di Luca Gualtieri
Il Banco Popolare ha riaperto il dossier dei crediti deteriorati come annunciato lunedì 11 dall'amministratore
delegato, Pier Francesco Saviotti. Durante la conference call di presentazione dei dati trimestrali il banchiere
ha infatti svelato il progetto di cedere in tempi rapidi un pacchetto da 250 milioni di non performing loan.
Secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza, lo stock sarebbe già finito nel radar di
operatori specializzati italiani ed esteri. Tra questi ci sarebbe Primus Partners, il
gruppo fondato nel 2013 dal banchiere d'affari Vincenzo Macaione (ex partner de La
Centrale Finanziaria Generale), insieme ad alcuni soci istituzionali. L'operatore
sarebbe in short list per entrare nella due diligence, che dovrebbe avviarsi nelle
prossime settimane. L'interesse di Primus Partners non è una novità visto che proprio
l'anno scorso il gruppo aveva bussato al Banco per l'acquisizione degli npl di Release,
il veicolo nel quale erano confluiti gli asset problematici della ex Italease. Alla fine
l'operazione si arenò, ma oggi le strategie dei due gruppi potrebbero intrecciarsi di nuovo. Tanto più che nel
frattempo Primus Partner ha allargato il proprio raggio di azione con l'obiettivo di dare vita a una piattaforma
istituzionale unica nel suo genere, in grado di analizzare, gestire, intermediare e acquisire crediti in
sofferenza, in particolare di tipo immobiliare.
Queste manovre dimostrano che il mercato degli npl è destinato a uscire da quella fase di immobilismo che
ha caratterizzato gli ultimi anni. Oltre al Banco, oggi si starebbero muovendo numerosi istituti di credito,
quotati e non. C'è ad esempio Veneto Banca, che potrebbe
affidare in gestione un robusto portafoglio di crediti
immobiliari. Fonti di mercato parlano di un valore nominale di
partenza compreso tra 300 e 400 milioni, anche se la stima
non trova al momento conferme ufficiali.
Altra operazione importante potrebbe avvenire nel mondo del
credito cooperativo. Come anticipato da MF-Milano Finanza,
a breve dovrebbe partire la gara per la cessione di un cospicuo pacchetto di sofferenze per un valore
nominale intorno a 400-500 milioni. Arranger e advisor dell'operazione, la prima di queste dimensioni lanciata
nel mondo del credito cooperativo, sarà Iccrea Banca che potrebbe appoggiarsi a un consulente legale
esterno. C'è poi Banca Akros (gruppo Bpm) che, a stretto contatto con Prelios, potrebbe presto dar vita a un
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veicolo in cui le popolari di medie dimensioni conferirebbero i propri crediti problematici. (riproduzione
riservata)
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MF
Numero 094, pag. 24 del 15/05/2015
COMMENTI & ANALISI
Contrarian
Montepaschi ritrova l'utile ma le sfide non sono certo finite
In attesa che entro maggio si vari l'aumento di capitale di 3 miliardi deliberato dal Monte Paschi di Siena, si è
arrivati a un punto fermo nell'iter dell'ulteriore capitalizzazione del Monte che, con rimborso altresì di 1
miliardo circa di Monti bond, avrà restituito, come l'Istituto ha tenuto a sottolineare, l'intero prestito del Tesoro
con largo anticipo sulla scadenza del 2017. Bisognerà ora vedere quando il presidente Alessandro Profumo
considererà concluso il mandato che, per esempio, potrebbe arrivare fino alla chiusura
dell'operazione. Quali che siano, nel concreto, i tempi dell'uscita, nella decisione dei
quali Profumo certamente darà priorità agli interessi dell'Istituto sia pure nella propria,
concordata, situazione transitoria, si avvicina comunque il momento in cui bisognerà
pensare alla scelta del sostituto. L'ad Fabrizio Viola, altro pilastro del risanamento
dell'istituto ora tornato all'utile, si augura che il sostituto non gli faccia rimpiangere
l'attuale presidente. Le propensioni localistiche dovrebbero essere fermamente
accantonate in una scelta del genere; del pari, ingerenze politiche, sia pure attraverso
formule nuove di spartizione che magari siano frutto dell'inventiva lottizzatrice,
andrebbero tassativamente bandite. Così come positivamente si pervenne alla individuazione, a suo tempo,
di Profumo, perché prima si pensò di rivolgersi a una personalità di rilievo nazionale, così anche ora
bisognerebbe partire da un medesimo impegno. Occorrerà agire, una volta ricostituito l'assetto di vertice,
ancora sui due versanti, della riorganizzazione interna, che ha compiuto passi importanti e muove verso la
conclusione, e dell'ipotesi di un'aggregazione che non va perseguita con una pistola alla tempia o,
comunque, perché sia scontato che lo stand alone non sia più consentito al Monte, nemmeno per una fase
transitoria . La scelta della concentrazione è certamente sul tavolo, ma va esaminata in tutti gli aspetti, non
solo quelli strettamente economici e finanziari. Non è pensabile che un'intesa con un altro istituto possa
riportare il Monte alla condizione di prima delle vicende gravi, oggi all'esame dell'Autorità giudiziaria. Ma
svellere l'istituto completamente dalle sue radici sarebbe una forzatura. È finita la vecchia senesità del Monte,
ma ciò non comporta uno sradicamento morale – oltreché effettivo – dalla zona che originariamente ne ha
fatto la fortuna. Delle ultrasecolari tradizioni vanno valorizzate, in un'intesa di concentrazione, quelle che
ritornino importanti per il mestiere del banchiere e per quei contatti sociali che tale mestiere agevolano.
Insomma, non ostacoli ma potenziamento, nella costruzione di una nuova entità con modalità che non sono
fissate a priori per tutti. Un processo del genere, piuttosto, non potrà trovare ostacoli in posizioni, come quelle
della Vigilanza centralizzata che ha fissato un termine per l'assunzione delle decisioni circa l'esposizione del
Monte nei confronti di Nomura, pur adombrando un'ipotesi di derogabilità, perché chiaramente finiscono con
l'indebolire l'istituto in un momento in cui dovrebbe essere oggetto di aspirazione una par condicio negoziale.
Insomma, per il Monte che finalmente rivede l'utile non sono finite le sfide, anche se da sostenere in una
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condizione assai meno difficile di quella che era solo qualche anno fa. È importante però che siano affrontate
con la stessa perizia e la stessa audacia.
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IMPRESA & TERRITORI 15 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore
I SEGRETARI
GENERALI Sileoni: «Consenso bulgaro» Megale: «Intesa apprezzata» Romani: «Conquiste capite, ma timori sul futuro» Masi: «Inizio promettente»
Credito. I risultati delle prime assemblee
Contratto bancari, i sì all’accordo sono oltre il
90%
Se il buongiorno si vede dal mattino, l’ipotesi di rinnovo del contratto dei bancari
raggiunta il primo aprile piace ai lavoratori. Dopo Trento, si sono espresse a favore del
contratto, con una percentuale di sì complessivamente superiore al 95%, anche
Vercelli, Alessandria, Milano, Bologna, L’Aquila, Rovereto, Cuneo, Saluzzo,
Vicenza, Monza, Arezzo, Bergamo, Brescia, Pozzuoli, Aversa, Castellammare,
Giugliano, Nocera Inferiore, Torino, Rimini. Siamo all’inizio, il fulcro sarà la
prossima settimana e quella successiva, ma rispetto alle assemblee del precedente
contratto, partite con difficoltà e conclusesi con quasi il 60% di consensi, questa volta
il clima è diverso.
L’accordo sul rinnovo del contratto piace per l’aumento economico di 85 euro pur in
un contesto di deflazione, ma anche perché è riuscito a mettere in sicurezza l’area
contrattuale e a rafforzare gli ammortizzatori sociali in uno dei momenti più difficili
della storia del settore, con le fusioni alle porte e gli esuberi da gestire. E piace molto
per quanto ha ottenuto a favore dei giovani che si vedono aumentare il salario
d’ingresso dell’8% e confermare gli incentivi per le assunzioni attraverso il fondo per
la nuova occupazione.
I segretari generali delle sigle principali sono convinti che l’esito del voto sarà molto
diverso da quello del precedente contratto. Il leader della Fabi, Lando Maria Sileoni,
dice che «le positive risposte dei lavoratori sono in linea coi contenuti dell’accordo,
che definiamo più che buono, soprattutto se consideriamo la crisi economica del
settore e quella sociale del Paese. Il nuovo contratto garantirà stabilità alle banche,
sarà un esempio virtuoso anche per altri rinnovi contrattuali, ci permetterà di gestire la
vera rivoluzione del settore, quando inizieranno le fusioni. Senza il sì al contratto, la
disapplicazione dell’architettura contrattuale nazionale diverrebbe automatica». La
preoccupazione per gli esuberi è sempre sullo sfondo. «Nessuno - avverte però Sileoni
- pensi di fare affari giocando spregiudicatamente sul numero degli esuberi».
Agostino Megale (Fisac) dice che «dalle prime assemblee si registra un consenso
molto elevato e questo è il segno che il risultato contrattuale viene apprezzato non solo
per la difesa e la riconquista del contratto ma anche per la sua capacità di avere
un’anima sociale nella tutela dei diritti e di parlare ai giovani con il linguaggio del
futuro e della speranza». Dal suo osservatorio Giulio Romani (Fiba) dice che «le
assemblee stanno procedendo bene, con un consenso convinto. Complessivamente i
lavoratori hanno capito le conquiste dei sindacati, pur permanendo le preoccupazioni
per il futuro, per le fusioni in arrivo e l’occupazione». Per Massimo Masi, segretario
generale della Uilca, «l’inizio è molto promettente. Siamo a dei livelli altissimi.
Rispetto alle difficoltà di 3 anni fa, questa tornata è molto frequentata e positiva.
Molta partecipazione, dibattito e consenso».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
C.Cas.
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IMPRESA & TERRITORI 15 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore
IN BREVE
INTEGRATIVO BPM
Fabi: riavviare il confronto
La Fabi chiede al consigliere delegato della Bpm, Giuseppe Castagna, il ripristino
della contrattazione integrativa, sospesa dal 2012. «Bpm è uno dei pochi grandi gruppi
bancari a non avere un contratto aziendale - spiega una nota sindacale -. La disdetta
unilaterale del secondo livello era stata data disposta tre anni fa dalla vecchia gestione,
targata Andrea Bonomi, quando i conti erano in rosso e i bilanci della banca erano
stati posti sotto la lente di Bankitalia, a seguito dello scandalo Ponzellini». Adesso,
però, fa notare il sindacato, la situazione finanziaria si è riassestata e il gruppo è
tornato a fare utili. «I lavoratori hanno diritto a riavere un proprio contratto integrativo
aziendale, dopo aver sostenuto pesanti sacrifici negli anni passati e aver contribuito in
maniera decisiva al rilancio della banca, come dimostra la recente trimestrale», dice
Mauro Scarin, segretario nazionale e coordinatore Fabi Bpm. Di qui la richiesta di un
incontro con le organizzazioni sindacali al più presto.
MANAGER
Hays, assunzioni
in crescita
Dopo anni di incertezza,il recruitment di middle e senior manager riparte. A dirlo
un’indagine di Hays che ha sentito 270 imprese e 1000 professionisti. Il 47% delle
imprese ha pianificato nuovi ingressi per i prossimi mesi focalizzandosi soprattutto su
profili tecnici e di middle management.
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FINANZA & MERCATI 15 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore
Bpm mio partner preferito, ma valutiamo pure Ubi e Veneto Banca. Parliamo con tutti
La disponibilità della Fondazione CariVerona a investire nel Banco mi fa molto piacere
Intervista. L’a.d. Saviotti: valutiamo Bpm, Ubi e Veneto Banca
«Banco redditizio, alleanza possibile»
VERONAGuarda con cauto ottimismo alla ripresa economica, Pier Francesco Saviotti. Spera di tornare a distribuire un dividendo. Ma nel contempo l’a.d. del Banco Popolare non nasconde le sfide del momento, da quella dei crediti deteriorati a quella delle fusioni. Un fronte, quest’ultimo, su cui intende agire «in tempi ragionevoli».Dottor Saviotti, il Pil italiano nel primo trimestre ha segnato una crescita dello
0,3%, battendo le attese. Lei ritiene che la recessione sia davvero alle spalle?
Per carattere sono cauto, e ho sempre diffidato dal fare grandi proclami. Però questa volta mi sento di dire che sì, i segnali che ci sono sono positivi, e comincio a essere moderatamente ottimista. Tutto dovrà essere confermato nei prossimi trimestri, ma c’è motivo per credere che le cose stiano andando nel verso giusto.Continua pagina 28 Luca Davi Continua da pagina 27 VERONAIl “verso giusto” potrebbe averlo preso anche il Banco dopo la maxi-perdita del
2014? Il risultato netto trimestrale di 209 milioni è andato oltre le stime.
La rete della banca ha sempre funzionato bene. Oggi questa realtà emerge chiaramente e ci consente di essere in netta controtendenza rispetto al mercato: abbiamo aumentato il margine di interesse del 4%, mentre grazie al boom del risparmio gestito le commissioni nette sono balzate del 13,6%. Il risultato della gestione operativa cresce del 22,7%, mentre i costi operativi sono sotto controllo.Sembra che da parte di famiglie e imprese la domanda di prestiti stia tornando.
Le do un dato: se in tutto il 2014 avevamo erogato 5,7 miliardi, solo nel primo trimestre 2015 abbiamo erogato 2,5 miliardi. Stiamo tornando a erogare prestiti in maniera importante a famiglie e imprese, gente del nostro territorio con cui abbiamo un rapporto pluriennale che non abbiamo mai tradito. C'è però ancora il problema dello stock dei crediti deteriorati, pari all'8% sul
totale, un dato che rimane uno dei più alti del comparto bancario.
È innegabile, il problema c'è. Ma anche in questo caso c'è una chiara inversione di tendenza. Perchè lo stock si sta riducendo, visto che è calato di 165 milioni nel trimestre. Senza contare che l'andamento dei flussi netti di ingresso a deteriorati è in contrazione del 76%. Inoltre, con gli stralci abbiamo una copertura sui crediti dubbi pari al 45,1%, mentre la copertura sulle sofferenze sale al 58,7%.La bad bank può essere una soluzione per i crediti non performing del Banco?
Tutto dipende dalle condizioni previste. Ma se, come sembra, dovessero chiedere di svalutare i crediti del 70-80% rispetto al loro valore nominale, allora ringrazio e saluto: a quei prezzi io non conferisco nulla. Anche perchè abbiamo collaterali anche di valore, e non ho alcuna intenzione di svendere i miei crediti.Che cosa pensa delle misure a cui sta lavorando il Governo, che dovrebbero
prevedere una riduzione dei tempi di recupero in caso di fallimento o la riduzione
della “spalmatura fiscale” delle perdite su crediti?
Quelle sì, possono essere un importante contributo, e le vedo con grande favore.Ipotizziamo per un attimo che il trend macro continui a migliorare, che il Pil
italiano salga come da attese e che non spuntino “cigni neri”. A quel punto, c'è
spazio per pensare di distribuire un dividendo ai soci?
Spero di sì. Qualora le previsioni macroeconomiche relative alla crescita italiana dovessero tradursi in realtà diventerebbe più concreta la possibilità di potere dare una remunerazione ai soci.Il tema caldo è quello delle fusioni. Il Banco ha sempre ribadito di voler creare un
polo bancario di dimensioni importanti. A che punto è la ricerca del partner?
Credo che in tempi ragionevoli si possa arrivare a una opportunità di aggregazione. Noi non vogliamo rimanere da soli, vogliamo aggregarci. Per questo motivo stiamo
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parlando con tutti, e sono dialoghi che stanno diventando più intensi. Però la verità è che sono ancora parole, non c'è nulla di concreto.Tuttavia c'è un nome che circola di più sul mercato, ed è quello di Bpm. Lei non
ha mai fatto mistero di vederlo come un progetto con un senso industriale.
Non ho mai fatto mistero di vedere Milano come il mio possibile partner preferito. Ma va detto che quella milanese non è l'unica alternativa sul mercato. Ubi e Veneto Banca potrebbero essere un'alternativa?
Noi parliamo con tutti: ma ribadisco che non c'è nessuna iniziativa concreta in atto. Il giorno che comunicheremo il nome del nostro advisor capirete che c'è un'opportunità seria, e che sarà possibile procedere con gli approfondimenti del caso. Fondazione Cariverona si è detta disponibile a investire in maniera sostanziosa nel
capitale della banca: come vede la creazione di un nocciolo duro di azionisti in vista
della trasformazione in Spa?
La disponibilità della Fondazione Cariverona mi fa particolarmente piacere. Le Fondazioni bancarie, le assicurazioni e gli azionisti storici di lungo corso sono fondamentali per dare vita al progetto di banca che abbiamo in mente, una banca che possa continuare a svolgere un ruolo da “popolare” ma che nello stesso tempo si adegui ai tempi della riforma. Una banca che nella nuova forma giuridica di Spa continui a supportare il territorio con fatti concreti. Questa è la natura delle banche popolari ed è un modello – anche per me che provengo da grandi banche come era Comit e come è Intesa - in cui credo fortemente..@lucaaldodavi© RIPRODUZIONE RISERVATALuca Davi
Rush finale per gli esuberi della Natuzzi
Pirelli, entro luglio parte il riassetto
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FINANZA & MERCATI 15 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore
PPP
Il «miracolo» del Credem e la lezione per i
banchieri
Le trimestrali sfornate in questi giorni dalle banche italiane dicono che gli utili sono in
crescita e il 2015 si preannuncia positivo, per la prima volta dopo 4 anni di perdite
aggregate, per il sistema bancario come ha ricordato di recente Prometeia. Ma se per
molti questo è l’anno della svolta, c’è una banca per la quale la svolta non ci sarà. Non
ci sarà solo perchè non c’è mai stata crisi. La banca è il Credem che mostra di essere
un vero unicum (positivo) nel panorama bancario. Tra le quotate principali è il solo
istituto che non ha mai chiuso un bilancio in perdita dal 2009 in poi. Anzi negli anni
della crisi ha visto gli utili quasi raddoppiare da 78 milioni del 2010 ai 151 milioni del
2014. Non c’è istituto che abbia fatto meglio. Si dirà che l’ha fatto riducendo i prestiti
e quindi il rischio credito come hanno fatto tutti. E invece no. Al contrario gli
impieghi sono saliti di ben 4 miliardi tra il 2009 e il 2014 (+23%) senza che salissero,
come è avvenuto invece per tutti ,le perdite sui crediti malati. Anche qui Credem
mostra di essere un caso unico, con rettifiche su prestiti rimaste pressochè invariate nei
5 anni della crisi bancaria. Ecco perchè ha fatto sempre utili quando tutti, chi più chi
meno, mostravano perdite. Sa di miracolo il fatto di continuare a erogare credito,
aumentandolo anzi, senza incorrere in un aumento di sofferenze e quindi svalutazioni.
Miracolo o forse solo una «sana e prudente gestione del credito», che è la prima
missione di un banchiere. Una lezione da mandare a memoria quella della banca di
Reggio Emilia. (Fa.P.)
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Milano Finanza
Numero 095, pag. 16 del 16/05/2015
TRIMESTRALI
Bilanci
Se potessi avere 1 mld al meseGli utili degli istituti quotati sono saliti nel primo trimestre a 3 mld di euro, dagli 1,9 mld di un anno fa. ValuePartners: il Quantitative easing si è fatto sentire su costo della raccolta, commissioni e profitti da trading. Giù le rettifiche sul credito
di Francesco Ninfole
Le banche italiane quotate hanno generato 3 miliardi di utili nel primo trimestre. Si tratta di un balzo
significativo rispetto a un anno fa, quando i profitti di periodo si erano fermati a 1,9 miliardi. Una crescita
momentanea o un'inversione di tendenza duratura? L'inizio dell'anno è stato caratterizzato dal Quantitative
easing (Qe) della Bce, che il presidente Mario Draghi ha annunciato il 22 gennaio: gli acquisti di titoli di Stato
previsti dal programma sono poi partiti a marzo. Ma l'effetto sui mercati e sui bilanci delle banche si è fatto
sentire già prima
della partenza
ufficiale delle
operazioni
dell'Eurosistema.
La mossa Bce era
in parte scontata
dai mercati nei
mesi precedenti,
come si poteva
osservare
dall'andamento dei
tassi sempre più
vicini allo zero. In
questo scenario i
margini da interessi
delle banche sono
limitati, ma c'è
spazio per aumenti
di commissioni e
profitti da trading,
come si è visto nei
conti trimestrali
degli istituti. Nel
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frattempo anche le
perdite per i crediti deteriorati hanno iniziato a calare, dopo le enormi svalutazioni degli anni scorsi legate alla
recessione e all'asset quality review. Per il momento il Qe sta aiutando le banche, la cui ripresa di lungo
termine resta tuttavia legata alla ripartenza dell'economia italiana.
Su 3 miliardi di profitti bancari totali a Piazza Affari, 2 miliardi sono dovuti alle maggiori otto banche, i cui conti
economici sono stati analizzati da Value Partners. Nel dettaglio Intesa Sanpaolo ha contribuito con circa un
miliardo di utili, Unicredit con circa 500 milioni, Banco Popolare con 200 milioni. «Gli effetti positivi del
Quantitative easing cominciano a vedersi nei conti delle banche: in modo diretto, attraverso l'abbassamento
del costo della raccolta; ma anche in modo indiretto, attraverso l'attività sul portafoglio titoli e l'aumento delle
commissioni», osserva Gabriele Benedetto, partner di Value Partners. «La vendita di titoli di Stato alla Bce ha
permesso di realizzare plusvalenze, che hanno fatto aumentare i profitti da negoziazione, anche se a costo di
una riduzione del margine di interesse. Per le banche è stato possibile farlo, anche perché i margini sono
stati sostenuti proprio dal minore costo del funding. La vendita dei bond governativi si è vista nei conti di
Intesa, Unicredit e Mps, non in quelli di Banco Popolare e Ubi». Peraltro le cessioni di titoli sono soltanto
all'inizio e dovrebbero proseguire nel corso dell'anno (per esempio, Unicredit ha detto che le plusvalenze
latenti su Btp sono pari a circa 2 miliardi). L'altro effetto indiretto del Qe, anch'esso destinato a proseguire nei
prossimi mesi, riguarda le commissioni, aumentate con tassi a doppia cifra per Intesa, Banco e Ubi. «I tassi
sono scesi a zero per i titoli di Stato e risk free. Di conseguenza i clienti chiedono rendimenti più elevati e si
rivolgono al risparmio gestito, che genera commissioni per gli istituti», sottolinea Benedetto. I dati Value
Partners indicano che la raccolta indiretta delle maggiori banche, che riflette la crescita dei fondi controllati
dagli istituti, è aumentata in media dell'8%, da 800 a 850 miliardi. La variazione in valore assoluto di circa 50
miliardi nel primo trimestre è stata la stessa registrata in tutto il 2014 (nelle cifre di Value Partners non sono
inclusi i dati Unicredit, che comunica solo i valori complessivi e non quelli realizzati soltanto dall'Italia).
A livello di crediti dubbi secondo Benedetto c'è stato «un timido miglioramento. I flussi di ingresso da bonis a
deteriorati sono in fase di rallentamento per tutte le banche. Banco Popolare ha persino lievemente ridotto lo
stock. Si intravede quindi una normalizzazione. Il dato va però verificato nei prossimi mesi: nel primo
trimestre storicamente le rettifiche sono minori di quelle che si contabilizzano nell'ultimo. Quest'anno, a
differenza dei precedenti, il trend sembra più sostenibile, grazie alla lieve ripresa economica e agli
accantonamenti già fatti per l'Aqr». Le rettifiche sui crediti delle otto maggiori banche nel primo trimestre 2015
sono state pari a 2,9 miliardi, il 12% in meno dei 3,3 miliardi di un anno fa. Il costo del rischio è sceso da 107
a 95 punti base.
Le perdite su crediti negli anni scorsi hanno eroso integralmente i risultati operativi delle banche. Ci si può
chiedere quindi se la crescita dei profitti di inizio 2015 (+68% rispetto all'anno scorso per i maggiori otto
istituti) possa continuare allo stesso ritmo nei prossimi mesi. «Senza la Bce i ricavi soffrirebbero. Né la
crescita del pil è tale da far calare le rettifiche in modo significativo», rileva il partner di Value Partners. «Di
conseguenza l'outlook resterà senza dubbio positivo fino a quando le misure Bce saranno attive; poi però
serviranno maggiori conferme dall'economia». Un segnale positivo in tal senso è arrivato dall'aumento dei
volumi degli impieghi totali nel primo trimestre (+1,9% per le maggiori banche, +1,6% per tutte le quotate).
Resta nel frattempo aperto il tema delle aggregazioni: per Benedetto «i giochi non sono ancora fatti, ci
potrebbero essere sorprese. Le operazioni dovrebbero partire dopo l'estate».
Il Qe proseguirà almeno fino a novembre 2016, ma il presidente Bce Mario Draghi ha assicurato che il
programma sarà prolungato se non saranno raggiunti gli obiettivi di Francoforte sull'inflazione. Non è facile
misurare con precisione le conseguenze delle misure Bce. Il Quantitative easing potrebbe far salire i profitti
ante-imposte delle banche italiane di circa 300 milioni nel 2015 e di 1,4 miliardi nel 2016, secondo una stima
di Banca d'Italia, che ha ipotizzato una flessione dei tassi a medio e a lungo termine di circa 85 punti base e
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un deprezzamento del cambio euro-dollaro pari all'11,4%. Via Nazionale ha osservato che gli acquisti di titoli
dell'Eurosistema influiscono sulla redditività degli istituti attraverso numerosi canali: la riduzione dei tassi di
interesse, il tasso di cambio dell'euro, i cambiamenti di valore dei titoli detenuti e l'aumento della domanda di
servizi di intermediazione connesso con il miglioramento del quadro macroeconomico. Secondo le
simulazioni di Bankitalia, l'effetto del Qe non sarebbe immediato sul margine di interesse: quest'ultimo «si
ridurrebbe nel 2015 a causa della diminuzione dei tassi a lungo termine, che comporterebbe una discesa dei
tassi attivi non compensata da una riduzione della remunerazione dei depositi, già prossima allo zero». Dal
2016 invece «l'aumento dei volumi di credito indotto dalla crescita economica contribuirebbe all'incremento
del margine di interesse». Per il momento la crescita dei prestiti non si è manifestata nei dati aggregati ed è
questa una delle ragioni per cui Bankitalia ha precisato che i risultati delle simulazioni sono caratterizzati da
«ampi margini di incertezza». Ma non è l'unico elemento che dovrà essere verificato nel tempo: un altro
fattore riguarda i ricavi delle banche, che secondo Bankitalia aumenterebbero nel biennio 2015-16 di circa
400 milioni per effetto soprattutto dei risultati positivi dell'attività di negoziazione in titoli. «La stima di questa
componente è caratterizzata da una particolare incertezza che riflette la decisione delle banche di vendere o
meno i titoli in portafoglio», ha precisato Via Nazionale. Tra gli altri effetti del Qe, Bankitalia ha sottolineato
che i costi operativi crescerebbero lievemente per l'aumento dei volumi intermediati. Ma soprattutto gli
accantonamenti per svalutazioni su crediti diminuirebbero di 1,5 miliardi nel biennio, grazie al calo dei tassi di
insolvenza delle imprese dovuto sia alla riduzione degli oneri del debito sia alla crescita del fatturato.
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Milano Finanza
Numero 095, pag. 19 del 16/05/2015
Banche
E adesso chi comanda?
Con i conti del primo trimestre le popolari hanno mostrato i denti al mercato e ai possibili partner. E così risulterà più difficile stabilire i rapporti di forza nelle aggregazioni in arrivo per il settore
di Luca Gualtieri
Quasi tutte hanno stupito analisti e investitori, sfornando profitti superiori alle attese e mostrando
incoraggianti segnali di recupero nella qualità del credito e negli impieghi. I conti trimestrali delle banche
popolari sono stati un segnale positivo per l'economia italiana, anche se il contributo del trading è stato
significativo. Oggi molti analisti scommettono che questo trend positivo potrebbe continuare. Gli impieghi, per
esempio, potrebbero crescere ancora, come suggeriscono gli esperti di Nomura in un
report di recente pubblicazione. Anche la qualità del credito è in miglioramento e il
lancio di soluzioni di sistema come la bad bank voluta dal governo potrebbe favorire il
recupero. Buone notizie, insomma, per le migliaia di soci e azionisti che, peraltro,
negli ultimi mesi sono stati ampiamente remunerati anche dal rally dei titoli.
Se sul fronte finanziario non c'è molto da aggiungere, il valore politico di questi risultati
è ancora tutto da decifrare, soprattutto in relazione al risiko che nei prossimi mesi
potrebbe ridisegnare la geografia del settore e, più in generale, del credito italiano. Presentandosi al tavolo
delle trattative con i conti tirati a lucido, i banchieri avranno un'arma negoziale in più per far valere le ragioni
del campanile e rivendicare un ruolo egemone nelle nuove superpopolari. Anzi, c'è chi ritiene che gli istituti
abbiano volutamente profuso i propri sforzi per chiudere trimestrali da record e condizionare così l'esito delle
trattative. Ma se tutti oggi trattano in posizione di forza sarà indubbiamente difficile costruire le alleanze del
futuro.
Si consideri, per esempio, il caso della Banca popolare di Milano e del Banco
Popolare, gli istituti candidati da oltre un anno a un matrimonio ideale. Tra le due
banche c'è una differenza dimensionale certificata dal totale attivo (49 miliardi per
Bpm e 125 per il Banco) o dalla dimensione della rete commerciale (633 filiali per
Bpm e 1.779 per il Banco). In passato si pensava che questo gap sarebbe stato
compensato dal miglior stato di salute di Piazza Meda, ma oggi questo ragionamento
non è più verosimile. Anche se la Milano continua a macinare buoni risultati (solo nell'ultima trimestrale profitti
in crescita a 67,6 milioni e prestiti aumentati dell'1,6%), il Banco si è ormai lasciato alle spalle le
problematiche del passato e oggi si presenta anch'esso in una posizione di forza. La prova? Nei primi tre
mesi dell'anno Verona è tornata all'utile con un risultato di 209 milioni, mentre il flusso dei crediti deteriorati si
è ridotto del 76,3%, con un costo del credito annualizzato a 82 punti base in netta diminuzione rispetto ai 144
punti base registrati nel primo trimestre 2014. Se insomma il matrimonio tra Bpm e Banco andasse in porto,
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sarà complicato definire i rapporti di forza tra due gruppi che, al momento, appaiono in
una situazione di assoluta parità.
Lo stesso problema potrebbe verificarsi nel caso di un'unione, meno probabile ma comunque ipotizzata da
taluni, tra la Popolare Emilia Romagna e Piazza Meda. Anche l'istituto modenese guidato da Alessandro
Vandelli è dimensionalmente più grande delle popolare milanese, con un totale attivo di quasi 61 miliardi,
mentre il patrimonio netto dei due istituti è quasi in linea: 4,55 miliardi per Bpm e 4,97 miliardi per Bper. I
risultati del primo trimestre sono stati lusinghieri per Modena, che ha segnato un utile di 51,7 milioni
(+65,6%), grazie alla crescita del margine di interesse e delle commissioni nette. Buone notizie anche sul
fronte del credito, che negli ultimi anni è stato un punto debole dell'istituto guidato da Vandelli. Nel trimestre i
flussi in ingresso a sofferenza hanno infatti registrato una sensibile riduzione, con un costo del credito
complessivo a 34 punti base (135 annualizzati) che si confronta con i 185 di fine 2014.
Questa breve panoramica sconfessa chi si aspettava un sistema a due velocità, con qualche eccellenza e
molti pachidermi in difficoltà. Forse anche per questa ragione la definizione dei nuovi assetti sta richiedendo
più tempo del previsto. Sia chiaro, che l'm&a ci sarà è certo, anche perché questa è la volontà della Banca
Centrale Europea che punta a una semplificazione del sistema bancario continentale. Quel che resta ancora
incerto sono tempi e proporzioni del fenomeno che, all'indomani della riforma Renzi-Padoan, qualcuno aveva
prefigurato come rapido e di ampio o amplissimo raggio. Da questo punto di vista le assemblee di bilancio di
aprile si sono mostrate tutt'altro che decisive e hanno anzi gettato acqua sul fuoco della speculazione. Di
fronte alle incalzanti domande dei soci, i banchieri hanno tenuto le carte ben coperte, scontentando chi si
aspettava rivelazioni sulla campagna acquisti e conferme dei molti e spesso contraddittori pour parler. E oggi,
con le trimestrali sul tavolo, le trattative potrebbero essere tutt'altro che in discesa. (riproduzione riservata)
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RISPARMIO & INVESTIMENTI 16 MAGGIO 2015Plus
BANCHE E BANCARI
A cosa servono piani d’impresa «stand alone»
NicolaBorzi
Nei giorni scorsi due tra i principali gruppi bancari del Paese, Monte dei Paschi e Popolare di Vicenza, hanno reso note rilevanti novità sui rispettivi piani industriali. Mps ha dichiarato di aver chiuso 550 filiali prima dei tempi previsti e ora nel piano prevede altre 350 chiusure per arrivare nel 2018 con 900 sportelli in meno e averne circa 1.800. Sul tema i sindacati hanno chiesto un incontro urgente al management. Quanto a Popolare di Vicenza, l’8 maggio i vertici hanno incontrato i sindacati per illustrare le novità del Piano 2015-17/19 «improntato all’autonomia», scrivono DirCredito, Fabi, Fiba/Cisl e Fisac/Cgil. «È stata evidenziata la necessità di ridurre i costi anche tramite la chiusura di 150 filiali con conseguenti esuberi per circa 200 risorse». I sindacati si riservano di «valutare più compiutamente questo progetto con particolare attenzione a ricadute occupazionali, riduzione delle filiali e prospettive delle partecipate».Entrambi i gruppi hanno presentato progetti industriali di medio periodo “stand
alone”, cioè basati della situazione attuale come se dovessero restare autonomi. Ma per entrambe le aziende l’autonomia non è più nella logica delle cose. L’interesse di Popolare Vicenza per un’aggregazione con Veneto Banca è stato più volte formulato. Anche in assemblea, l’11 aprile, il presidente Zonin ha dichiarato «spero che gli amici di Montebelluna ci pensino, abbiamo la possibilità di creare una grande banca in Veneto. Ho lanciato un messaggio chiaro, è inutile andare avanti con i complimenti senza che nessuno si decida a fare il primo passo». Quanto a Mps, al Sole 24 Ore del 10 maggio l’Ad Fabrizio Viola ha chiarito: «Ritengo un’aggregazione un’opzione industriale da realizzare». Quali sono dunque le ragioni dietro i piani “stand alone”? Le spiega lo stesso Viola: «Il piano serve a rendere la banca più solida dal punto di vista patrimoniale e finanziario, più competitiva e in grado di remunerare adeguatamente il proprio capitale. Tutto ciò consentirà alla banca di partecipare in modo attivo al processo di consolidamento che, sono convinto, interesserà l’intero sistema bancario nazionale... per allineare più velocemente la redditività del capitale al suo costo, attraverso la realizzazione di rilevanti sinergie di costo». Una prospettiva, insomma, tesa alle ragioni degli azionisti. Le altre categorie di stakeholder, clienti e dipendenti, hanno di che meditare.nicola.borzi@ilsole24ore.com© RIPRODUZIONE RISERVATA
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PRIMA PAGINA 17 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore
I CONTRIBUTI
UniCredit ha già spesato 91 milioni, Intesa 73 milioni e per Mps l’impatto sarà di 50 Ubi e Sondrio aspettano il recepimento delle direttive
Credito. Con i conti al 31 marzo accantonati i primi 197 milioni per i nuovi fondi europei, ma dal prossimo anno gli oneri saliranno
Banche, un miliardo per i salvataggi
Dal 2016 il nuovo sistema di risoluzione delle crisi - I dossier Carife e Banca
Marche
Per il momento, nei conti del primo trimestre diffusi in settimana, le principali banche italiane hanno messo da parte 197 milioni. Ma è solo una piccola fetta di quanto verrà chiesto dal prossimo anno agli istituti italiani, grandi e piccoli, per finanziare i nuovi fondi salva-banche: un miliardo, da versare ogni anno dal 2016 al 2024, secondo le stime degli addetti ai lavori.È una delle tante novità della nascente unione bancaria. Senz’altro una delle più onerose. Per gli azionisti e obbligazionisti, su cui verrà scaricato buona parte del peso in virtù del bail-in, ma anche per la parte sana del sistema bancario: perché se è vero che con le nuove regole le probabilità di intervento dei fondi salva-banche saranno decisamente inferiori alla situazione attuale (come dimostrano in Italia le diverse operazioni condotte dal Fondo interbancario di tutela dei depositi e del Fondo di garanzia delle Bcc), i nuovi strumenti dovranno essere in grado di agire in tempi strettissimi, e dunque agli istituti sarà richiesto di versare in anticipo una somma che a livello europeo ammonta a 60 miliardi, ovvero l’1% dei depositi garantiti.Dal punto di vista normativo siamo a metà del guado, visto che sia la direttiva che istituisce lo schema unico di garanzia dei depositi, (la Dgsd) sia quella che istituisce il meccanismo unico di risoluzione delle crisi bancarie (la Brrd) devono ancora essere recepite nell’ordinamento italiano, ma una data è certa, ed è il primo gennaio 2016. Con l’anno prossimo, infatti, entrerà in vigore il nuovo sistema regolatorio, ed entro quella data la banche italiane dovranno aver versato la prima della otto annualità previste entro il 2024. Dal prossimo anno ammonterà a circa un miliardo, per il 2015 invece non v’è ancora certezza. Di qui, le diverse scelte operate dai singoli istituti: UniCredit, ad esempio, nella prima trimestrale ha già inserito tra gli oneri 91 milioni destinati a finanziare il Single resolution fund; Intesa Sanpaolo, invece, tra i rischi e oneri ha compreso i 75 milioni relativi al fondo di risoluzione europeo «stimati per l’intero 2015». Anche il Banco Popolare si è portato avanti, postando nella trimestrale costi per 23 milioni, e sulla stessa linea si è mossa Bpm con una quota di 8 milioni. Altri, come Ubi e Popolare di Sondrio, aspettano che si chiarisca il quadro: «Non essendo ancora completato il quadro giuridico di riferimento, nella presente relazione trimestrale non sussistono ancora i presupposti richiesti dai principi contabili per l’iscrizione a conto economico dei contributi ai due fondi», ha scritto invece Mps nella relazione trimestrale, aggiungendo però che «sulla base delle informazioni allo stato disponibili, l’impatto economico che si prevede per l’anno 2015 è comunque stimabile in 50 milioni» per entrambi i fondi, una somma destinata a salire a quota 65 milioni dall’anno prossimo e fino al 2024. Bper, invece, per ora ha stimato che l’impatto sarà pari a 8 milioni, mentre il Credito Valtellinese l’ha quantificato in circa 10 milioni. Il quadro, analogamente ad altre questioni che riguardano il processo di integrazione del sistema bancario, per il momento dunque è denso di incognite. Tra i tanti punti di domanda, uno riguarda le banche medie e piccole, cioè quelle che si trovano al di sotto delle 120 direttamente vigilate dalla Banca Centrale europea: in caso di difficoltà, stabiliscono le direttive, non potrà scattare il meccanismo di difesa composto dai due fondi. Chi si occuperà di loro? Il quadro, ancora una volta, è incerto. Una prospettiva non irrilevante per l’Italia, dove tra le banche in amministrazione straordinaria - verosimilmente quelle più a rischio - ci sono istituti di dimensioni importanti come Cassa di risparmio di Ferrara (dove i depositi protetti sfiorano il miliardo) o Banca Marche, dove in questo caso le masse da rimborsare ai clienti supererebbero i 7
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miliardi. Così si spiega il tentativo di imbastire un salvataggio, in entrambi i casi, entro fine 2015..@marcoferrando77© RIPRODUZIONE RISERVATAMarco Ferrando
Icbpi, è corsa a due: Cvc-Permira e Bain-Advent-Clessidra
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26 Domenica 17 Maggio 2015 Corriere della Sera
Economia BancheMaroni: Popolari, via al ricorso contro la riforma«Credo che sia un atto dovuto a difesa della specificità delle banche popolari che in Lombardia rappresentano uno strumento che non può essere cancellato per favorire i grandi gruppi bancari». Così il presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni è tornato ieri sulla decisione della giunta regionale di presentare ricorso contro la riforma delle banche popolari. Secondo il governatore l’aggregazione «si può fare volontariamente ma non può avvenire per legge».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere Economia
di Giuditta Marvelli
Rendimentiall’1% netto, la mappadelle opportunità
C accia all’1% netto nelfrigo dei rendimenti.Nell’era dei tassi zero
le possibilità per parcheggiare il denaro a breve termine portando a casa un interesse decente sono molto ridotte, ma non del tutto scomparse. Corriere Economia, l’inserto economico in edicola domani con il Corriere della Sera, ha mappato i
rendimenti offerti dai principali conti di deposito online, quei salvadanai accessibili via web o via telefono, che offrono appunto interessi intorno al punto percentuale (al netto del 26% dovuto al Fisco) a chi accetta di non utilizzare il denaro depositato per almeno un anno. Si tratta di un guadagno reale, visto che l’inflazione in questo momento è praticamente inesistente. L’altra opzione da considerare è quella del massimo abbattimento dei costi sul conto corrente tradizionale, dove finiscono pensione e stipendio e da cui preleviamo denaro per la vita quotidiana.
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Aumento Mps, tre sfide per SienaRebus derivati, sconto e Profumo-bisOperazione meno penalizzante per i soci. Un «head hunter» per la successione al vertice
MILANO Dopo averlo rivoltatocome un calzino, finalmente laBanca centrale europea ha datoal Montepaschi l’ok all’aumen-to di capitale da 3 miliardi. Dal25 maggio al mercato saràchiesta una quantità di denaropari all’attuale valore di Borsadell’istituto senese. Mancanoora solo il via libera di Consob eil prezzo, che sarà fissato giove-dì dal consiglio della banca.
Dovrebbe essere l’ultima vol-ta che si chiedono soldi ai soci.La ricapitalizzazione servirà arimborsare il miliardo residuodi aiuti di Stato e per renderepiù robuste le spalle di RoccaSalimbeni. Non sarà comun-que l’uscita dal tunnel. La Bceha imposto altri due pesanti in-terventi: una gestione più inci-siva dei crediti deteriorati e, so-prattutto, il matrimonio conun’altra banca. Perché nono-stante tre anni di ristruttura-zione, secondo FrancoforteMps ha difficoltà a stare in pie-di.
Eppure passi avanti ne sonostati fatti. Praticamente tutti icrediti in default sono statiispezionati e la loro copertura ètra i livelli più alti del mercato. Icosti sono stati tagliati di 800milioni. Dopo tre anni di perdi-te il primo trimestre 2015 si èchiuso con un utile di 72,6 mi-lioni grazie al business banca-rio, segno che la macchina haripreso a girare. L’istituto gui-dato da Fabrizio Viola si è poiimpegnato a chiudere ulteriori350 filiali e a vendere 5,5 mi-liardi di crediti deteriorati, tut-to per arrivare a 800 milioni diutile nel 2018.
Sui conti pesa comunqueancora l’incognita Alexandria,il derivato con la banca giappo-nese Nomura che incide per4,7 miliardi, praticamente me-tà del patrimonio di Mps.Un’enormità. Per questo la Bceha imposto a Siena di chiuder-lo entro il 26 giugno. Ma labanca da un lato sta cercandodi ottenere da Francoforte unrinvio o una contabilizzazione
meno penalizzante del contrat-to; dall’altro tratta con i giappo-nesi per una transazione.
È questo il Montepaschi chele banche del consorzio guida-to da Ubs, Citi, Goldman Sachse Mediobanca presenterannonei prossimi giorni al mercato:«Una banca uscita dai momen-ti bui, con problemi seri maidentificati e che è stata postasu un percorso di sviluppo»,spiega uno dei protagonisti.
Rispetto a quella da 5 miliar-di di un anno fa usato per rim-borsare 3 miliardi di Montibond, la ricapitalizzazione do-vrebbe risultare meno diluitivaper gli azionisti. Bisognerà ve-dere chi sottoscriverà. Il noc-ciolo duro di soci è compostooggi dai fondi esteri Fintech(4,5%) e Btg Pactual (2%), dallafrancese Axa (3,7%) e dall’im-prenditore Alessandro Falciai(1,7%), che seguiranno l’au-
mento. La Fondazione Mps de-ve ancora decidere se impe-gnare altri 75 milioni per man-tenere il suo 2,5% o ridursi a unlivello di mera testimonianza.Il resto dovrà venire dal merca-to.
Ma la fine dell’aumento nonspegnerà i riflettori su Siena.Subito dopo ci sarà da affronta-re la scelta del nuovo presiden-te, visto che Alessandro Profu-mo ha già annunciato le dimis-sioni. Per trovare il suo sostitu-to ci sarebbe già al lavoro uncacciatore di teste. C’è già unidentikit: un esperto di banca eche abbia rapporti con la Bce, con la quale in questi mesi cisono state incomprensioni.
Tra i soci c’è però chi vorreb-be trattenere Profumo, sia per-ché il suo lavoro è stato apprez-zato, sia perché una prorogatiorenderebbe meno complessol’incastro di poltrone nella fu-tura aggregazione. Prima peròbisogna individuare con chifondersi. Il soggetto più indica-to — perché patrimonialmenterobusto — sarebbe Ubi Banca.Ma a Brescia, una volta diventa-ti spa, vogliono un’operazioneche crei valore. Le alternativeguardano all’estero o a una banca italiana controllata daun gruppo estero, come Bnl-Bnp Paribas. Un approdo co-munque andrà trovato. Lo vuo-le Francoforte.
Fabrizio Massaro© RIPRODUZIONE RISERVATA
d’Arco
Rocca Salimbeni in BorsaVenerdì
0,546 euro-3,62%
GLI AZIONISTI
SettembreLuglio Gennaio
2015
0
Novembre
2014
Marzo Maggio
Mercato87,829%
Fintech Advisory Inc4,500%
Axa Sa3,170%
Montepaschi Siena
FondazioneMonte Paschi
di Siena
2,500%
Btg PactualEurope LLp
2,001%
2,242
1,793
1,345
0,897
0,440
� La trattativa
di Rita Querzé
Atene, ultimi impegni Per Fitch resta «junk»
Sta per arrivare all’ultima mano lapartita a poker tra la Grecia da una parte e la troika dall’altra. Atene ha completato l’invio delle ultime proposte ai creditori nella speranza che i colloqui a Bruxelles possano riprendere. Così scriveva ieri il quotidiano greco «Ekathimerini». Obiettivo: sbloccare la tranche di 7,2 miliardi euro di fondi di salvataggio. Nello stesso tempo, però, il premier Greco Alexis Tsipras non ha rinunciato a segnare il campo della trattativa con una «linea rossa». «Il governo greco non supererà la sua linea rossa solo perché il tempo
incalza», ha detto il leader di Syriza. Di linea rossa ha parlato ieri anche il ministro greco delle Finanze, Yanis Varoufakis, in un’intervista con SkaiTv. Quale è la frontiera oltre la quale il governo greco non vuole infierire con nuovi tagli? Pensioni e lavoro: ecco i territori da preservare. Nelle prossime settimane, però, il governo di Atene farà i conti con una serie di scadenze da far tremare i polsi. Il tutto mentre Fitch ha confermato ieri il rating CCC dei titoli greci. In una parola: spazzatura. A maggio serviranno 1,5 miliardi per salari e pensioni. Altrettanto a giugno. Il 5 giugno il Fmi attende un rimborso da 305 milioni, il 12 giugno per 312 milioni, 573 il 16 giugno e il 19 giugno per 343 milioni. Se Atene dovesse mancare un pagamento, sarebbe considerata insolvente.
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Manager
� Alessandro Profumo, presidente del Monte dei Paschi di Siena, ha già annunciato le proprie dimissioni. Al lavoro ci sarebbero già dei cacciatori di teste per trovare un banchiere con rapporti con la Bce
� Fabrizio Viola è l’amministra-tore delegato diMps dal 2012. In precedenza è stato direttore generale di Banca Popolare di Milano e amministratoredelegato della Popolare dell’Emilia Romagna
ASSICURAZIONI
26 CORRIERECONOMIA LUNEDÌ 11 MAGGIO 2015
Idee Dopo la bocciatura del blocco della scala mobile introdotto dalla legge Fornero
Pensioni «Serve un contributoper evitare la guerra tra generazioni»Un prelievo generalizzato e crescente su tutte le rendite: gettito destinato a incentivi fiscali per favorire le assunzioni. E dare così stabilità al sistemaDI ALBERTO BRAMBILLA*
I NUMERI DEL PIANETA PENSIONI
NUMERO DI PRESTAZIONI IN PAGAMENTO
INVALIDITÀ VECCHIAIA O SUPERSTITI
ASSISTENZIALI
INDENNITARIE INAIL
NUMERO DI PENSIONATI
IMPORTO MEDIO ANNUOPRESTAZIONE (in euro)
NUMERO OCCUPATIPER PENSIONATO
23.557.98318.469.6614.281.050
827.27216.593.892
11.563
2012
23.322.27818.230.9584.285.532
805.78816.393.369
11.695
1,384 1,368
2013
di c
ui
214 miliardiLa spesa
per le pensioninel 2013
Fonte:elaborazioneItinerariprevidenziali
16.5
1
1
La sentenza della Corte costi-tuzionale che ha annullato ladeindicizzazione delle pen-sioni oltre tre volte il minimo
introdotta dalla legge Fornero, puòessere un’opportunità per ripensarea come fare per generare un miglio-re equilibrio tra pensioni e lavoro.
I punti criticiIl ragionamento si basa su alcuni
presupposti: 1) il nostro sistema previdenziale
è a ripartizione il che significa checon i contributi dei lavoratori attivisi pagano le pensioni;
2) come ogni sistema a ripartizio-ne anche il nostro sottende un pattogenerazionale cioè una garanzia cheogni generazione consentirà a quellache l’ha preceduta di percepire lapensione;
3) i tassi di occupazione nel no-stro paese sono molto bassi;
4) il cuneo fiscale è elevatissimo:siamo al primo posto per contributisociali e nelle prime 5 posizioni percarico fiscale;
5) è fuor di dubbio che tutte lepensioni calcolate con il metodo re-tributivo siano assai più generose(soprattutto perché consentivano
ampi spazi di evasione ed elusione)rispetto a quelle contributive;
6) il sistema pensionistico ora ècertamente in equilibrio ma per reg-gere nel tempo ha necessità chel’economia migliori, che ci sia piùsviluppo e maggiore occupazione.
Lo capiscono tutti che se negli an-ni della crisi abbiamo perso più diun milione di posti di lavoro signifi-ca che abbiamo 1 milione di personeche non versano più i contributi equindi il sistema soffre e va in defi-
cit, anche a causa della generositàdelle citate pensioni retributive.
Quindi ricapitolando: abbiamoscarsi livelli di occupazione dovuti anche all’eccessivo carico contributi-vo e fiscale mentre per mantenerel’apparato pensionistico/assistenzia-le occorrerebbe una maggiore occu-pazione soprattutto per la parte gio-vani (fino ai 29 anni) e per la «co-da» cioè per gli over 55, troppo gio-vani per la pensione e spesso troppocostosi per restare al lavoro. Per inci-
so nel 2013 il costo complessivo delsistema che impropriamente chia-miamo pensionistico vale 280 mi-liardi di cui i due terzi sono pensionie un terzo assistenza pura. Alla fisca-lità generale il sistema è costato circa100 miliardi.
L’ideaCosa possiamo fare? Conviene ai
pensionati pagare qualcosa di piùper garantirsi sia il patto intergene-razionale sia più semplicemente laloro pensione? La Corte costituzio-nale potrebbe avvallare un provve-dimento che si ponga l’obiettivo difavorire un aumento dell’occupazio-ne sia under sia over e quindi di ren-dere più sostenibile il bilancio pret-tamente previdenziale e quello assi-stenziale? Considerando che con ilJobs Act si sono create le premesseper un aumento dell’occupazione sipotrebbero fare due proposte:
a) prevedere che per tutte le 23,3milioni di prestazioni in pagamentol’indicizzazione ai prezzi sia pari al90%;
b) introdurre un contributo di so-lidarietà su tutte le prestazioni, an-che assistenziali, generate dal meto-do retributivo; ricordo che per i «po-veri» contributivi cioè i giovani chehanno iniziato a lavorare dal 1996
non sono più previste ne le maggio-razioni sociali né le integrazioni al minimo di cui oggi godono oltre 4,6milioni di pensionati su 16,3 milioni,un numero enorme di persone chein 65 anni di vita hanno pagato po-chi contributi e forse pochissime tas-se (che non pagano neppure oggi suqueste prestazioni) e che gravanoprevalentemente sulle giovani gene-razioni.
Il contributo sarà basso, ad esem-pio, dello 0,5% sulle pensioni fino alminimo (circa 2,5 euro al mese) perarrivare a percentuali più consistential crescere degli assegni. A secondadelle percentuali si potrebbero in-cassare tra i 5 e 7 miliardi l’anno; perfare cosa? Semplice, per creare in-centivi fiscali finalizzati sia all’assun-zione degli under 29 sia degli over55. Gli incentivi andrebbero a sosti-tuire l’attuale decontribuzione pre-vista nel Jobs Act per i prossimi 3 an-ni sulle assunzioni con il contratto atutele crescenti. Ricordo che quandovenne eliminata la decontribuzione per le regioni del Mezzogiorno a se-guito delle previsioni europee (ac-
cordo Pagliarini – Van Miert del1994) fu un disastro per il Sud. E’più che prevedibile che anche allascadenza del triennio ciò accada;non succederebbe se gli incentivi fi-scali (un’Irap positiva, cioè più assu-mi e più sconti fiscali hai) fosserostabili. Un aumento dell’occupazio-ne, avrebbe il merito di aumentare ilivelli di contribuzione e ridurre lespese per gli ammortizzatori sociali.Eliminerebbe in radice tutte le ri-chieste di sussidi (reddito minimo ecosì via) e genererebbe un circolovirtuoso (meno gente che si rifugianell’assistenza e più lavoratori). Coni 5/7 miliardi si può fare molto per l’occupazione soprattutto quella un-der, over e femminile. Credo che es-sendo un provvedimento (molto im-popolare per la politica) utile al Pae-se e gravante sull’intera collettivitàdi coloro che hanno interesse a man-tenere l’equilibrio del sistema previ-denziale (cioè la loro pensione), laConsulta potrebbe accettarlo.
*Presidente CTSItinerari Previdenziali
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Conti pubbliciL’analisi
Previdenza
L e pensioni saranno uno dei temi centrali della«Giornata nazionale della previdenza e del lavo-
ro», la più importante manifestazione dedicata alwelfare, che si apre domani in Piazza del Plebiscito aNapoli, sino al 14 maggio. «E’ l’unica occasione d’in-contro su questi temi — spiega Alberto Brambilla(nella foto), presidente di Itinerari previdenziali, cheorganizza la manifestazione —. All’estero, soprat-tutto nel Nord Europa, eventi di questo tipo sonomolto diffusi e vengono realizzati da enti pubblici». Durante la manifestazionepresso lo stand dell’Inps sarà possibile ottenere una simulazione su età di pen-sionamento e importo del vitalizio anche per chi ha più di quarant’anni, e nonrientra quindi nel servizio partito il primo maggio scorso sul sito dell’Istituto.
R. E. B.
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A Napoli la «Giornata della Previdenza»
Polizze Il convegno di zeb consulting lunedì 18 a Milano
Tra distribuzione e redditivitàsi gioca la sfida delle assicurazioniAttesi gli interventi di Focarelli (Ania) e Mucchetti (Senato)
Q uale futuro attende ilmondo delle assicu-razioni, chiamato a
confrontarsi con pressantirichieste della Vigilanza suirequisiti di capitale (le nor-mative legate a Solvency II),l’invadenza delle tecnologiedigitali e le istanze della reteagenziale su cui, per decen-ni, le compagnie grandi epiccole hanno costruito la lo-ro solidità e affidabilità?Una risposta possibile arri-verà dal convegno organiz-zato da Corriere Economiaper lunedì prossimo, 18maggio, a Milano: Le nuoveassicurazioni, tra distribu-zione e redditività.
L’incontro, aperto sia alpubblico che agli operatoriprofessionali, vedrà la parte-cipazione dei rappresentantidi tutte le maggiori compa-gnie operanti in Italia, delleassociazioni di categoria edella politica e cercherà difocalizzare il particolare mo-mento di trasformazione delsettore,. L’ultimo decennio èstato ad esempio caratteriz-zato dal decentramento dialcune attività corporate al-le agenzie, su cui gravanoanche tutta una serie diadempimenti normativi.L’introduzione ai lavori saràaffidata a Dario Focarelli, di-rettore generale dell’Ania,mentre Paolo Ciccarese eGiorgio Introvigne – rispet-tivamente managing di-rector e vice presidente-am-ministratore delegato di zebconsulting – delineeranno icontenuti di una ricerca svol-
ta sul mercato italiano dellepolizze, con particolare rife-rimento all’evoluzione delcanale agenziale per quantoriguarda la distribuzione ealle sfide presenti nel ramo
auto, dai prodotti, ai servizi,alla redditività. «L’Italia – hadetto Ciccarese – è il settimopaese al mondo per la rac-colta dei premi assicurativi,ma è stato per troppo tempo,ed in parte lo è ancora, abi-tuato a considerare lo statocome assicuratore di ultimaistanza». Una realtà ormaisbiadita, che si trova a con-frontarsi quotidianamente,come ha detto in sede di pre-sentazione Introvigne, «conuna maggiore redditivitàche si può estrarre dal setto-re, considerando i 2,5 milio-ni di sinistri che ogni anno siregistrano in Italia».
Al convegno parteciperàMassimo Mucchetti, presi-dente della commissione in-dustria del Senato, mentrealla tavola rotonda che con-cluderà i lavori partecipe-ranno Stefano Gentili (Assi-curazioni Generali), SimoneSalerni (Allianz), Franco El-lena (UnipolSai), Flavio Piva(Cattolica), Yuri Narozniak (Groupama), Francesco LaGioia (Helvetia) e MicheleMereghetti (Uniqa Italia).
Il convegno, che si terrànella sede del Corriere dellaSera, in Sala Buzzati (acces-so da via Balzan, 3 a Milanodalle 9 di lunedì prossimo),si potrà accedere previa regi-strazione che si potrà gratui-tamente ottenere telefonan-do allo 02/20400333, oppu-re scrivendo una email aCorriereEconomia_assicu-razioni@corriere.it.
R. C. E.
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Zeb L’amministrato-re delegatoGiorgio Introvigne
N ell’articolo pubblicatoil 27 aprile scorso sui
risultati trimestrali deifondi pensione negoziali idati relativi ai rendimenti2014 di Telemaco eranosbagliati.
Quelli corretti sono i se-guenti: l inea garantita4,3%, linea obbligaziona-ria 8,1%, linea bilanciata-obbligazionaria 8%, lineabilanciata 8%.
Ce ne scusiamo con gliinteressati e con i lettori.
I numeri veridi Telemaco
FINANZA & MERCATI 14 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore
LE QUOTE A oggi Malacalza ha il 10,5% di Carige; Bpce il 9,99%; Ubs il 4,72%; The Summer Trust il 2,05%; Fondazione Carige il 2%.Il 70,74% è flottante
Riassetti. Il fondo Apollo pagherà 310 milioni
Carige, via libera Ivass alle cessioni
assicurative
È arrivato ieri l’ok da Ivass al fondo americano Apollo per il completamento dell’acquisto (per 310 milioni) delle attività assicurative di Carige. E il closing è prevedibile «entro la prima decade di giugno». Ad annunciare la novità e dare i tempi dell’operazione è stato Piero Luigi Montani, ad di Banca Carige, durante il confronto, svoltosi ieri, con gli analisti. Il banchiere ha commentato la trimestrale dell’istituto di credito genovese, chiusa con una perdita di 45,3 milioni. Gli accordi con Apollo sulle assicurazioni, ha specificato, «non sono ancora stati conclusi perché erano subordinati all’autorizzazione» Ivass. Sempre Apollo ha presentato a fine aprile un’offerta vincolante per Creditis, la società di credito al consumo di Carige, messa a bilancio per un valore consolidato intorno ai 54 milioni. Per quanto riguarda un altro asset in vendita, Banca Cesare Ponti, Montani ha ricordato che «da ottobre è partito un processo, abbiamo avuto delle offerte. Sono tutte degne della massima attenzione e sono arrivate da controparti di ottimo livello. Vanno valutate e su questo deciderà il cda, con la massima tranquillità. È un momento impegnativo e delicato dobbiamo pensare ai conti del trimestre, all’aumento capitale, alla chiusura della vendita delle assicurazioni. Dobbiamo fare le cose con un po’ di calma e metodo: abbiamo bisogno di tempo per valutare le offerte».Sulla ricapitalizzazione in vista (da 850 milioni), Montani ha spiegato che «c’è ancora qualcosa da finalizzare con Consob sul Prospetto; fatto questo possiamo contare di avviare l’aumento di capitale all’inizio di giugno». Riguardo agli azionisti, l’ad ha affermato che «con l’ingresso di Malacalza Investimenti c’è stata una forte riduzione della partecipazione della Fondazione che è adesso intorno al 2%. Dopo la ricapitalizzazione ci saranno probabilmente ulteriori assestamenti». Montani ha poi spiegato di aver incontrato Malcalza: «Si è presentato lui stesso, direi molto correttamente, in banca. Ha compiuto un’operazione molto delicata, ha dato stabilità alla banca e alla Fondazione; credo che lo debbano ringraziare sia la banca sia la città». Montani ha spiegato di non conoscere, invece, Gabriele Volpi (che detiene il 2,05% di Carige con The Summer Trust) e, ha aggiunto, «non l’ho incontrato. Ma credo che non mancherà occasione se la sua volontà, come si legge sui giornali, è quella di diventare un socio importante». Quanto alla trimestrale, ha detto l’ad, «non si può pensare che una persona ancora convalescente si metta a correre a pari merito con una in perfetta salute. La banca è partita con l’attività di turnaround e siamo ancora in turnaround: siamo nella delicata curva finale prima della risalita». Ieri il titolo Carige ha chiuso a -4,95%.© RIPRODUZIONE RISERVATARaoul de Forcade
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Pagina 1 di 1Il Sole 24 Ore
14/05/2015http://www.quotidiano.ilsole24ore.com/vetrina/edicola24web/edicola24web.html?test...
IMPRESA & TERRITORI 15 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore
Per la stabilità dell’occupazione bisogna agire sul controllo dei costi
INTERVISTA LUIGI CASO CAPO DELEGAZIONE ANIA PER IL RINNOVO DEL CONTRATTO
«Assicurazioni senza tabù»
«Serve più produttività: aperti venerdì pomeriggio e mansioni flessibili»
Prima, dice Luigi Caso «bisognerà capire se il sindacato è disponibile ad accettare di rivedere i presupposti e le tematiche di riferimento per il prossimo negoziato. Solo se ciò avverrà, si potranno successivamente valutare anche gli aspetti economici». Manager di lungo corso nel settore assicurativo, di riconosciute competenze tecniche, Caso coordina i lavori della delegazione Ania per il rinnovo del contratto che riguarda 48mila lavoratori. Ieri, nel secondo incontro con i sindacati, ha presentato le istanze delle imprese. Il dubbio, dopo aver letto la piattaforma dei sindacati è che non abbiano ben compreso il contesto? La piattaforma sindacale è stata impostata senza tenere conto di quanto sottoscritto in occasione dell’ultimo rinnovo contrattuale, nel 2012, quando ci lasciammo con l’intesa che nel successivo contratto si sarebbero dovute trattare la flessibilità e l’organizzazione del lavoro, la fungibilità delle mansioni e la nuova distribuzione dell’orario di lavoro. Quindi? Dobbiamo partire da presupposti diversi rispetto a quelli dei sindacati. Quali? Il contesto economico e finanziario di riferimento è contrassegnato da fondati motivi di preoccupazione: l’andamento al ribasso dei tassi di interesse , l’instabilità geopolitica ed il prevedibile ingresso di nuovi competitors in un mercato che anche tecnologicamente sarà interessato da profondi cambiamenti. Fattori che riducono la profittabilità del settore vita e condizionano la crescita dei premi del settore danni - non auto; riguardo al ramo RC auto invece, l’aumento della competitività ed il calo della raccolta premi accrescono la pressione sulle imprese per il mantenimento di risultati tecnici positivi. Gli indicatori del vostro comparto, però, sono positivi. Ai sindacati abbiamo sottolineato che gli indicatori di mercato vanno letti con estrema attenzione e prudenza. In realtà per poter conseguire una crescita equilibrata del settore ed una sostanziale stabilità dei livelli occupazionali è sempre più necessario agire anche sul controllo dei costi e sui quei fattori che possono migliorare la produttività. Nel perseguire questo obiettivo ci sono delle priorità? Occorre snellire le procedure di confronto sindacale e procedere ad una revisione degli inquadramenti, sia riguardo al personale impiegatizio che ai quadri e ai funzionari. A che cosa si riferisce? Alla possibilità di contare, soprattutto nei casi di ristrutturazione e riorganizzazione aziendale, su una maggiore fungibilità delle mansioni ed un più flessibile impiego del personale. Un’impostazione che è in linea con le disposizioni di prossima attuazione della legge delega in materia di Jobs act, che contempla anche la possibilità di demansionamento, fermo restando l’originario livello retributivo. Chiederete modifiche sull’orario di lavoro? L’attuale orario di lavoro (37 ore settimanali) dovrà essere distribuito dal lunedì al venerdì pomeriggio . L’efficienza del settore ed una sua maggiore produttività richiedono anche questa modifica Però ci sono accordi aziendali che prevedono il lavoro il venerdì pomeriggio. Non si può demandare il tema al secondo livello? Gli accordi di cui lei parla sono casi rari ed eccezionali, raggiunti sempre con grande difficoltà ed al termine di estenuanti trattative. In realtà per l’attività del venerdì pomeriggio si fa ricorso allo straordinario.
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15/05/2015http://www.quotidiano.ilsole24ore.com/vetrina/edicola24web/edicola24web.html?test...
Ci saranno cambiamenti per chi lavora nei call center? È necessaria la ridefinizione delle attività degli addetti al call center, prevedendo meccanismi che consentano la fungibilità delle mansioni tra gli addetti ai sinistri, all’assistenza ed alla vendita a seconda delle esigenze organizzative e produttive. La nostra proposta prevede che il relativo trattamento retributivo sia proporzionalmente corrispondente alla tipologia ed alla quantità delle mansioni svolte. Per i permessi sindacali come vi regolerete? È necessaria una razionalizzazione delle attuali procedure. Ci sono altri punti importanti? Abbiamo proposto una revisione dei cosiddetti scatti automatici di anzianità per ridurne gli effetti sul costo del lavoro. Per la parte economica i sindacati hanno chiesto un incremento dell’8,50% . Che cosa sono disposte a mettere sul piatto le imprese? I sindacati hanno avanzato tale richiesta per gli impiegati amministrativi e per i produttori ma, per i call center, le richieste variano dall’11,70% al 29,70%. Si tratta di richieste eccessive che non tengono affatto conto dell’attuale quadro economico complessivo di riferimento, caratterizzato, tra l’altro, da previsioni inflattive molto basse: tra il 2014 al 2017 l’inflazione prevista è intorno al 2,9%. Sappiamo che questo rinnovo sarà complesso e delicato, ma potremo concretamente affrontare il negoziato solo se si metteranno da parte vecchi condizionamenti e convincimenti del passato, privilegiando quei fattori che possono realmente consentire una salvaguardia dei livelli occupazionali. © RIPRODUZIONE RISERVATACristina Casadei
Oggi sciopero di 24 ore, disagi in vista per il trasporto locale. A Milano autisti precettati causa Expo
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15/05/2015http://www.quotidiano.ilsole24ore.com/vetrina/edicola24web/edicola24web.html?test...
IMPRESA & TERRITORI 15 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore
I SINDACATI
Forti distanze, terreno comune tutto da
costruire
Ania risponde alla piattaforma dei sindacati che frenano le aspettative delle imprese.
Nell’incontro di ieri per il rinnovo del contratto delle assicurazioni, in una nota
unitaria, i sindacati spiegano che le imprese hanno avanzato richieste in tema di
flessibilità, fungibilità, orari di lavoro, contenimento dei costi. Con toni diversi i
sindacati hanno manifestato la loro contrarietà sull’impostazione delle imprese,
riaffermando la loro piattaforma. I segretari nazionali della Fisac Cgil, Luca Esposito e
Fulvia Busettini spiegano che «le distanze sono significative e considerevoli per cui
bisognerà lavorare per riuscire a individuare un terreno comune che consenta lo
sviluppo di una vera e propria negoziazione». Dante Barban, segretario generale della
Fna, dice di aver apprezzato l’intervento del presidente di Ania, Aldo Minucci, che ha
spiegato «la volontà di ricercare le modifiche normative necessarie per affrontare le
nuove sfide del mercato». Poi però «l’elenco delle flessibilità illustrate dal dott. Caso è
andato oltre l’impostazione del presidente ed ha abbracciato un elenco così ampio di
flessibilità da indurre la considerazione che più che un ragionamento sulle reali
necessità si trattasse di un impostazioni di classica ortodossia contrattuale». Per
Marino D’Angelo, segretario generale dello Snfia, «la trattativa nasce in salita, la
posizione dell’Ania rispetto alla piattaforma è di contrapposizione e il contratto
troverà una sua possibile risoluzione se si riuscità ad uscire da una dimensione di
contrapposizione».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
C.Cas.
Pagina 1 di 1Il Sole 24 Ore
15/05/2015http://www.quotidiano.ilsole24ore.com/vetrina/edicola24web/edicola24web.html?test...
Milano Finanza
Numero 095, pag. 29 del 16/05/2015
Intervista
Quella polizza vale oroIn tre mesi la compagnia Vita di Intesa ha riconosciuto alla banca 575 mln. Solvency farà aumentare lasolvibilità patrimoniale e l'ad Fioravanti promette ricche cedole. In investimenti alternativi 800 milioni
di Anna Messia
L'apporto al gruppo, tra utile raggiunto e commissioni pagate alla rete per distribuire le polizze, in soli tre mesi
è stato di 575 milioni. Numeri che fanno del polo assicurativo una colonna portante di Intesa Sanpaolo e
nonostante le sfide che si presentano all'orizzonte, tra Solvency II e tassi d'interesse ai minimi storici,
l'amministratore delegato di Intesa Sanpaolo Vita, Nicola Maria Fioravanti, che ha preso il timone della
compagnia lo scorso ottobre, si dice fiducioso che il contributo aumenterà. Il 2015, del resto, è partito con
sprint. I 575 milioni apportati al gruppo nel primo trimestre,
composti da 310 milioni di utile ante imposte e 265 milioni di
commissioni di distribuzione, rappresentano una crescita di
poco meno del 30% rispetto a marzo 2014, che pure era
stato un anno molto positivo. È un modello che funziona, dice
Fioravanti, perché nel gruppo Intesa Sanpaolo «c'è una
visione d'insieme sul risparmio, tra assicurazioni e asset
management per esempio, che favorisce il cliente». Ma le
sfide nei prossimi mesi, come detto, per le compagnie non
mancheranno.
Domanda. La più difficile, dottor Fioravanti, è probabilmente quella che arrivava dalle nuove regole sul
capitale Solvency II che partiranno l'1 gennaio 2016. Potreste avere bisogno di rafforzare il capitale?
Risposta. Non vedo problemi di solidità patrimoniale. Abbiamo un indice di Solvency I di oltre il 180% (ovvero
1,8 volte il minimo richiesto dal regolatore, ndr) che migliorerà con il regime di
Solvency II. E nel 2014 abbiamo pagato all'azionista un dividendo straordinario di
700 milioni di euro, realizzando allo stesso tempo un emissione subordinata di 700
milioni che si somma ai 500 milioni del 2013. Anche per quest'anno prevediamo di
distribuire all'azionista l'utile che realizzeremo grazie alla solidità del nostro capitale.
Ma Solvency II non è solo regolamentazione, è un'importante sfida per il settore e
avrà un impatto decisivo sulle strategie delle imprese.
D. Avete già iniziato a rivedere i vostri piani?
R. I nostri prodotti sono già da tempo studiati per ottimizzare la gestione del capitale
Pagina 1 di 3Quella polizza vale oro - MilanoFinanza.it
16/05/2015http://www.milanofinanza.it/giornali/stampa-articolo?id=1987015&access=AB
e da tempo lavoriamo per migliorarli ulteriormente. Per focalizzare gli effetti di Solvency II abbiamo aperto
due cantieri. Uno legato agli investimenti e adempimenti normativi, l'altro proprio alle strategie, per analizzare
per esempio il pricing e design dei prodotti o ancora l'impatto sul capitale di nuove strategie di investimento.
D. Le nuove regole, in un momento di tassi d'interesse ai minimi storici, stanno spingendo l'industria a ridurre
il peso delle gestioni separate, che hanno finora garantito ai clienti rendimenti minimi, a vantaggio delle
polizze unit linked, che investono in fondi comuni e richiedono minor assorbimento di capitale. Voi a che
punto siete?
R. Anche noi ci stiamo muovendo verso questo riequilibrio. Abbiamo lanciato una nuova polizza multiramo e
l'obiettivo, già entro l'anno, è aumentare il peso delle unit linked al 60%, riducendo al 40% quello delle polizze
tradizionali. Ma non è solo una questione di richieste di capitale. Le nuove polizze tradizionali non
riconoscono più una garanzia di rendimento minimo, ad eccezione del capitale investito, pur continuando a
offrire performance nette molto buone, superiori a quelle conseguibili da titoli di Stato a media-lunga durata.
Oggi il rendimento minimo garantito medio delle nostre gestioni tradizionali in portafoglio è inferiore all'1,5%. I
clienti, in un mercato a tassi prossimi allo zero, grazie alle unit linked, riescono a ottenere ritorni più alti. Nelle
polizze multiramo, che investono in gestioni tradizionali e fondi comuni, ai bisogni di sicurezza legati alla
garanzia del capitale uniamo anche interessanti rendimenti.
D. In questo riassetto la vostra raccolta Vita ha subito però una battuta d'arresto. Nel primo trimestre è stata
di 5 miliardi rispetto ai 5,2 miliardi dello stesso periodo 2014. Recupererete nel corso dell'anno?
R. Il budget di quest'anno prevede una crescita delle masse in gestione significative a fronte di una raccolta
che tiene conto degli eccezionali tassi di crescita rilevati dal mercato nel 2013 e 2014. Il nostro obiettivo
quest'anno è soprattutto di carattere qualitativo, come dimostra la migrazione verso le unit. Gli spazi di
sviluppo certo non mancano. Noi abbiamo un numero di clienti che è decisamente inferiore rispetto alle
potenzialità espresse dal gruppo.
D. I tassi rasoterra obbligano però anche le stesse compagnie a cercare altrove rendimenti più interessanti.
Avete individuato qualche strada alternativa?
R. In effetti stiamo valutando investimenti alternativi. Private equity, fondi immobiliari e anche credit fund.
Stiamo iniziando a muoverci e per quest'anno abbiamo previsto un commitment variabile tra 500 e 800
milioni.
D. Quali sono invece i cantieri aperti su Intesa Sanpaolo Assicura, la compagnia Danni del gruppo di cui lei è
presidente?
R. L'obiettivo, di medio termine, è aumentare l'integrazione e le sinergie con la compagnia Vita, per creare
insieme prodotti più completi, che oltre agli investimenti prevedano per esempio anche coperture Danni o
previdenziali. Intanto però stiamo arricchendo l'offerta Danni per favorire la diversificazione del portafoglio ed
evitare di essere troppo dipendenti dall'auto, legati troppo a logiche di prezzo. Dopo le polizze per la casa, la
cui raccolta è già sopra budget a fine anno offriremo una polizza salute,
D. E sull'annunciato debutto nel settore delle polizze dedicate alla pmi?
R. Ci stiamo preparando per partire entro il primo trimestre 2016, mentre per le imprese più grandi stiamo
ancora ragionando su quale sia la strada migliore tra una partnership con un broker o con un'altra compagnia
di assicurazione. (riproduzione riservata)
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PRIMA PAGINA 17 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore
INTERVISTA DAVID LOMAS BLACKROCK
«Assicurazioni italiane pronte a Solvency II,
ma cresce il rischio tassi»Se in America il mercato della gestione assicurativa è “maturo”, Europa e Italia diventano mercati interessanti per BlackRock che osserva la grande crescita che si prospetta per il settore. Tanto più ora che lo scenario economico, influenzato dai tassi bassi, e la prossima introduzione di Solvency II, imporranno una ridefinizione della tradizionale politica di asset allocation. Lo fa capire, in questo colloquio con Assicurazioni 24- Il Sole 24 Ore, David Lomas, responsabile Globale della Gestione Assicurativa di BlackRock. In vista di tutto ciò il manager garantisce però che l’Italia «è uno dei paesi meglio posizionati nella gestione del rischio di portafoglio», al pari degli Stati Uniti. Qualcosa, in ogni caso, dovrà essere rivista nella gestione dell’asset allocation. Complice il fatto che qui come nel resto d’Europa è scattata la migrazione dei denari dal reddito fisso al “private”, inteso come opportunità di investimento in beni “illiquidi”. È, in altre parole, giunto il tempo degli “investimenti reali”.Le case di investimento prevedono che l’anno in corso sarà il peggiore degli
ultimi quattro anni per il settore assicurativo, complici i bassi tassi di interesse.
Siete dello stesso avviso?
Abbiamo raccolto lo stesso tipo di segnale, il 54% degli assicuratori è preoccupato dal perdurare dei tassi bassi. Questo diventa uno stimolo a estendere e diversificare il portafoglio di rischio .In quale direzione? Molti guardano alle opportunità nel private.
Negli ultimi anni, gli investimenti nel comparto “privato” sono significativamente aumentate. Basti pensare che tre anni fa rappresentavano il 6% del totale degli asset, oggi il 26% , pari 6 mila miliardi di dollari, e in prospettiva varranno circa il 46% entro i prossimi tre anni.All’interno di questa dinamica, c'è chi sostiene che l'America sia favorita perché
ha già un portafoglio più bilanciato. Lo credete anche voi?
È difficile fare confronti di questo tipo. Posso però dire che l’Italia è già ora ben posizionata. Ha dimostrato una gran capacità di equilibrare le passività con gli attivi.Crede dunque che l’Italia e l’Europa siano pronte per Solvency II?
L’Italia, come detto, sembra avere le carte in regola. Ci sono altri paesi, come possono essere la Germania o l’Olanda che devono lavorare a un miglior equilibrio del portafoglio, soprattutto riguardo alla duration di attivi e passivi.Come si immagina la futura asset allocation di un portafoglio?
Allo stato attuale il 70-80% è investito in reddito fisso, di questi circa il 60% sono titoli di Stato. In Europa da qualche tempo si nota la costante diminuzione di questa componente a favore di una maggiore diversificazione. Che porta, peraltro, oltre le consuete forme di credito, come possono essere i classici corporate bond. Si guarda, per capirci, ai cosiddetti premi di illiquidità, ossia anziché titoli quotati si punta a asset non quotati a sostegno dell’economia reale, come può essere il supporto alle infrastrutture.Con che logica?
Questo genere di investimenti reali si allineano molto bene con le passività di lungo termine e quindi con la duration dei prodotti vita.Quanto investe BlackRock per le assicurazioni?
BlackRock ha in gestione 356 miliardi di dollari, circa l’8% della massa complessiva.Con che logica impiegate i denari che vi vengono affidati dagli assicuratori.
Rispecchia la dinamica generale, per cui circa il 60% proviene da Usa, il 30% da Europa e il 10% Asia.Che prospettive avete per il mercato italiano?
Il mercato italiano per noi è molto importante, abbiamo partnership ben strutturate e
CORRELATI
BlackRock: «Assicurazioni italiane pronte a Solvency II, ma cresce il rischio tassi»
Pagina 1 di 2Il Sole 24 Ore
17/05/2015http://www.quotidiano.ilsole24ore.com/vetrina/edicola24web/edicola24web.html?test...
vediamo prospettive di grande sviluppo. È un paese chiave.Siete azionisti rilevanti di Generali, siete soddisfatti dell’investimento fatto?
Non commentiamo le singole partecipazioni, BlackRock investe per strategia nelle grandi corporation in un’ottica di investimenti a lungo-termine.© RIPRODUZIONE RISERVATALaura Galvagni
Pagina 2 di 2Il Sole 24 Ore
17/05/2015http://www.quotidiano.ilsole24ore.com/vetrina/edicola24web/edicola24web.html?test...
BANCA D ’ITALIA
Milano Finanza
Numero 095, pag. 11 del 16/05/2015
Bankitalia
Via Nazionale o Europea?Il Governatore ha superato la boa di metà mandato mentre Palazzo Koch fa i conti con gli equilibri della Vigilanza unica. Spunti per un bilancio su scelte passate e sfide future, in attesa che parli Visco
di Angelo De Mattia
Mancano pochi giorni all'assemblea annuale della Banca d'Italia nella quale il Governatore, Ignazio Visco,
leggerà per la quarta volta le Considerazioni Finali. Visco è stato nominato al vertice per la felice decisione di
riportare, secondo una solida tradizione, la scelta del Governatore all'interno dell'Istituto, dopo la parentesi
del governatorato di Mario Draghi, che si aprì a seguito delle vicende, per alcuni aspetti ancora storicamente
da valutare, i cui insostenibili effetti giudiziari possiamo oggi vedere meglio con la conferma dell'assoluzione
piena di Antonio Fazio da parte della Cassazione per la scalata Unipol-Bnl, con la motivazione che «il fatto
non sussiste». Una riflessione si imporrebbe anche all'interno dell'Istituto di Via Nazionale. La nomina di
Visco sopravvenne dopo che infruttuosamente erano stati promossi diversi
tentativi di lottizzazione esterna abbattuti con l'appoggio del Capo dello
Stato, Giorgio Napolitano, e dopo che, per una inconcepibile, meschina
ripicca dietro la quale si vide la figura dell'allora Ministro dell'economia,
non era passata la candidatura di Fabrizio Saccomanni, allora Direttore
generale.
Per fortuna, la scelta cadde su Visco, allora Vice Direttore Generale, di cui
tutti conoscevano le elevate doti intellettuale e morali. Coerentemente con
lo habitus di autonomia proprio dell'Istituzione, ma anche di chi ne incarna l'azione, Visco è ora, nella
seconda parte del mandato, nelle condizioni migliori per incidere ancor più efficacemente con l'arte del
banchiere centrale e del Vigilante. Le banche centrali nazionali facenti parte dell'Eurosistema per lungo
tempo hanno svolto un'opera tipica da «azionisti» della Bce; i loro bilanci
non si consolidano con quello dell'Istituto di Francoforte. Poi, come era
fatale, è lentamente cominciata a manifestarsi una certa «vis attractiva» su
diverse funzioni da parte del predetto Istituto, facendo leva, di volta in
volta, sull'esigenza di armonizzazione se non di uniformità, sulle necessità
di una impostazione unitaria a (presunto) vantaggio di tutti, in ciò
esprimendosi il particolare interesse delle piccole banche centrali alle quali
non sembra vero potersi interessare, attraverso la presenza nel Consiglio
direttivo e poi nei diversi comitati e gruppi di lavoro, di funzioni delle grandi
istituzioni monetarie riportate a tendenziale uniformità.
È ovvio che, in un tal contesto, se si è preoccupati di essere accusati di eccessivo attaccamento alle
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autonomie nazionali, allora si aprono dei varchi alle posizioni di ingerenza le più spinte, che non sono fondate
su incontrastabili motivazioni sul piano dell'efficienza e dell'efficacia né considerano gli spazi di autonomia
che le banche centrali nazionali, partecipanti al capitale della Bce, debbono pur mantenere, se non se ne
intende fare delle filiali o delle filiazioni dell'Istituto di Francoforte. Agli inizi del passato decennio, fu condotta
una dura battaglia per l'assegnazione
del signoraggio e per il reddito
monetario, sulla base di un iniziale
intento della Bce, allo stato nascente,
che avrebbe voluto riservare a se
medesima il 92% dell'emissione delle
banconote, lasciando il resto alle
banche centrali nazionali. L'ipotesi fu
poi capovolta, ma se, invece, si fosse
concretizzata, larga parte
dell'autonomia finanziaria delle banche nazionali sarebbe scomparsa: chi rappresentava l'Istituto di Via
Nazionale, a cui si affiancò la Banca di Francia, non ebbe alcuna remora a sostenere una giusta posizione di
contrasto che trovava il suo fondamento nel Trattato e nello stesso statuto della Banca centrale europea.
Posizioni analoghe, sotto il profilo del risucchio di competenze, venivano sostenute nella «Torre dell'euro» a
proposito della stampa delle banconote, un'attività nella quale la Banca d'Italia eccelle non temendo raffronti
sotto il profilo della qualità. Anche queste linee non passarono. In generale, l'aspetto dei costi non può non
essere bilanciato con quello della qualità delle funzioni e dei servizi, della tempestività delle prestazioni, del
continuo miglioramento del loro esercizio, della pluralità delle competenze che vede la Banca d'Italia, per le
sue molteplici, diversificate funzioni, al primo posto.
Anche l'assetto territoriale della Banca stimolò considerazioni di non adesione a sollecitazioni al
ridimensionamento. Si era convinti che l'Istituto rappresentasse una parte dello Stato-ordinamento e che, in
specie in zone sguarnite della presenza dello Stato, fosse necessario un insediamento della Banca centrale.
Il problema si spostava, allora, verso l'attribuzione di nuovi compiti, non per evitare ridimensionamenti, ma
per sfruttare appieno il patrimonio difficilmente eguagliabile di risorse intellettuali, organizzative, strutturali,
poggianti su di una più che secolare tradizione e su molteplici prove felicemente superate. Le Sedi, poi,
avevano (e hanno) un ruolo fondamentale sul territorio.
Nelle «C.F.», come vengono chiamate le Considerazioni Finali, a proposito delle quali torneremo a scrivere
all'approssimarsi del 26 maggio, Visco, come già ha fatto in altre circostanze, informerà verosimilmente del
lavoro rilevante che la Banca svolge, nell'esercizio delle diverse funzioni le quali richiedono una preparazione
fondata sulla capillare conoscenza dell'intera area dell'euro. Sicuramente fornirà chiarimenti sui primi passi
dell'accentramento della Vigilanza bancaria a Francoforte per il controllo delle banche «europee», come
parte dell'Unione bancaria. Questo accentramento, nel quale pure si scorge, mutatis mutandis, una volontà
attrattiva anche se è fondatamente motivato dal progetto di Unione bancaria, caricato però dall'attesa
destinata alla delusione di sorti magnifiche e progressive, è quello che suscita, nella pratica che stiamo
osservando, il maggiore rimpianto, se appunto ci riferiamo alle professionalità, alle capacità, agli stili, della
situazione precedente.
Già l'operazione di trasferimento di questi compiti è avvenuta in una forma non prevista dal Trattato Ue e con
essa contrastante, dal momento che quest'ultimo ammette solo l'attribuzione alla Bce di specifici compiti di
Vigilanza prudenziale. Si è fatto ricorso a un accordo intergovernativo violando così la scelta comunitaria. Gli
atti di questa nuova Vigilanza, nata, dunque, con un peccato originale – che prima o poi sarà fatto rilevare
nelle Corti di giustizia – denotano una preoccupante inadeguatezza, mentre la babele normativa per la
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pluralità delle fonti che si intersecano e si sovrappongono accentua i pesi gravanti sull'operatività bancaria
senza alcun risultato valido.
Emerge soltanto l'ossessione degli interventi sul capitale degli istituti, come risultato di una monocultura, di
deboli radici storico – professionali, di confusione di ispirazioni e linguaggi in una con la classica attitudine del
burocrate a tutelarsi da rischi (altro che avversione al rischio da parte degli intermediari!). La Vigilanza con i
suoi organi è stata costituita presso la Bce: bisogna ricordarlo. Non è certo una monade senza porte e senza
finestre.
Sugli indirizzi di carattere generale sarebbe strano, dunque, denegare una competenza del Consiglio direttivo
della stessa Bce. E, allora, il Consiglio ritiene che questo della Vigilanza sia il mondo migliore possibile? Non
pensa che sia arrivato il momento di intervenire e di rivedere tutto ciò che è necessario modificare? Su
diversi versanti, le posizioni di Visco e di Fabio Panetta, Vice Direttore generale della Banca d'Italia e
membro del Supervisory Board, espresse con la forma attenta, cauta dei banchieri centrali, si differenziano
per alcuni importanti aspetti - a cominciare dalle dotazioni di capitale delle banche - dalla corrente vulgata
della Vigilanza centralizzata.
Le tradizioni della Vigilanza di Via Nazionale metterebbero in condizione di svolgere una funzione di guida a
chi ne è espressione, che può ben constatare l'inadeguatezza di cui si è detto. Insomma, la questione -
Vigilanza e tutto ciò che vi è connesso - dalle normative alle Authority, dalla necessità di par condicio degli
intermediari delle diverse giurisdizioni ai rapporti con la politica monetaria - è divenuta centrale. Qua e là,
comportamenti che affrontano casi italiani appaiono mossi da ingiustificabili precauzioni preventive,
ovviamente pur sempre rientranti nel margine di legittima discrezionalità. A cominciare dal presidente Mario
Draghi, sulla condizione della Vigilanza non si può assumere un atteggiamento sullo stile del «fin de non
recevoir». Ma è, questa, pure materia per il Governo italiano. La Banca d'Italia affronta questa fase, che
appare ancora di transizione, forte della sua grande tradizione, che è una ricchezza per la stessa Istituzione
e per il Paese e, come tale, va custodita e vivificata, e nella saldezza del governatorato. Non è un discorso
da «laudatores temporis acti»; semmai, è proprio di chi considererebbe ingiustificabile non una «damnatio
memoriae», che non sussiste, ma anche il solo fastidio per lo spirito della tradizione in nome di un nuovismo
nell'oscurità della prospettiva. (riproduzione riservata)
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CASSA DEPOSITI E PRESTITI
MF
Numero 094, pag. 6 del 15/05/2015
DENARO & POLITICA
Avviata la macchina per un'altra vendita straordinaria di immobili pubblici
Ancora Cdp per il mattone di StatoIniziata da pochi giorni la due diligence su un pacchetto di asset che saranno ceduti dal Demanio, tra cui alcune caserme nelle città di Roma e Milano. Ma a vendere saranno anche gli enti locali
di Luisa Leone
Nuova vendita straordinaria in vista per gli immobili pubblici. Secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza,
sono già state accese le macchine per ripetere anche nel 2015 la cessione a trattativa privata di un pacchetto
di asset del Demanio e degli enti territoriali. E anche questa volta, come per le due precedenti, l'acquirente
dovrebbe essere la Cassa Depositi e Prestiti. Tanto che pochi giorni fa sarebbe partita la due diligence sugli
immobili individuati dall'Agenzia Demanio come quelli alienabili entro la fine
dell'anno. La lista non sarebbe però molto lunga, sebbene pare comprenda pezzi
di particolare pregio per caratteristiche e ubicazione, come alcune caserme
storiche nei centri di Roma e di Milano, finora nel patrimonio del ministero della
Difesa ma che stanno per essere trasferite definitivamente al Demanio. Non solo.
Anche quest'anno, come per i due precedenti, all'operazione straordinaria
parteciperanno anche gli enti locali, che sono già stati invitati a muoversi il più
velocemente possibile, anche perché gli introiti derivanti dalle cessioni potrebbero
risultare utili a puntellare i loro bilanci, visti i tagli che hanno sopportato e che
potrebbero non essere finiti.
In quest'ottica il direttore generale del Tesoro, Vincenzo La Via, e quello dell'Agenzia del Demanio, Roberto
Reggi, hanno lanciato un vero e proprio appello agli amministratori, chiedendo di segnalare eventuali
immobili che potrebbero essere ceduti. Lo scorso aprile hanno firmato una lettera rivolta a sindaci e
presidenti di Regione e Province, ma anche direttori di Asl, Università, Casse di previdenza e altri enti,
indicando le modalità da seguire per proporre palazzi da vendere o valorizzare, e sottolineando che in tutta la
procedura si potrà contare sull'assistenza di Demanio e del Tesoro.
Una mossa preventiva, probabilmente anche in vista della vendita di fine anno, che però non sarà il solo
strumento tramite il quale si cercherà di mettere sul mercato gli asset che saranno segnalati. Per esempio si
potrà ricorrere a procedure ristrette, come previsto dalla legge di Stabilità 2014. Un'opzione non sostitutiva
ma aggiuntiva rispetto alla trattativa privata utilizzata per le vendite straordinarie a Cassa Depositi e Prestiti.
Così il Tesoro ha iniziato a muoversi anche su quest'altro fronte e ai primi di maggio ha messo in
consultazione lo schema di decreto ministeriale che individua gli operatori che potranno essere chiamati a
partecipare alle procedure ristrette. Se il testo finale rimarrà quello messo in consultazione, alle aste potranno
partecipare i soggetti più disparati: dalle fondazioni bancarie ai fondi pensione, passando ovviamente per gli
Pagina 1 di 2Ancora Cdp per il mattone di Stato - MilanoFinanza.it
15/05/2015http://www.milanofinanza.it/giornali/stampa-articolo?id=1986601&access=AB
operatori immobiliari, a partire dalle sgr, ma anche le società di costruzione e quelle alberghiere e i fondi
sovrani.
L'attivismo del ministero sul versante immobiliare è dettato probabilmente anche dalla consapevolezza da
parte del responsabile dell'Economia, Pier Carlo Padoan, e del suo staff, che per il 2015 non sarà possibile
racimolare con la sola vendita a Cdp i 500 milioni di introiti da cessioni immobiliari fissati come obiettivo
minimo dalla legge di Stabilità 2013. A fine 2014, per esempio, nonostante un grosso lavoro di scouting e il
tentativo di coinvolgere il più possibile gli enti locali, la vendita straordinaria si è fermata a quota 235 milioni.
Una cifra alla quale si è arrivati grazie all'acquisto di un pacchetto di 25 immobili, di cui 15 di proprietà dello
Stato, sette degli enti territoriali e tre di Inps, Inail e Croce Rossa. L'anno precedente si era arrivati a 500
milioni, per 40 immobili, in stragrande maggioranza dell'amministrazione centrale. Mentre quest'anno gli
asset già pronti per essere valorizzati, e che potranno quindi essere venduti dal Demanio alla Cassa con
l'operazione appena avviata, saranno verosimilmente ancora meno che a fine 2014. Senza contare che
anche Cdp non potrà continuare a lungo a gonfiare il suo portafoglio immobili, visto che dei circa 70
acquistati in questi due anni tramite il fondo Fiv (comparto Extra) di Cdp Investimenti sgr non ne è stato
ancora venduto nessuno. (riproduzione riservata)
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Milano Finanza
Numero 095, pag. 30 del 16/05/2015
Aperta la caccia a 1 mld dalle dismissioni del mattone di Stato. In campo di nuovo Cdp ma il pivot sarà
Invimit
Lo Stato prova a cavalcare l'onda del ritrovato interesse per il mattone italiano. Gli obiettivi per il 2015, in
termini di incassi da cessioni di immobili pubblici, sono decisamente ambiziosi, con l'asticella fissata a 1
miliardo di euro, il doppio dei 500 milioni che erano stati il target degli ultimi due anni, per altro mancato nel
2014, quando il ricavato si è fermato a 235 milioni. I fronti aperti sono diversi e vanno dal lavoro sulla
razionalizzazione della presenza dello Stato negli edifici pubblici (vedi il progetto
Federal Building) alle aste dedicate agli operatori specializzati, fino alla trattativa
diretta. Per quanto riguarda quest'ultima procedura, che è quella sfruttata negli ultimi
due anni per assicurarsi un minimo di introiti da cessioni immobiliari, sarà rimessa in
pista anche quest'anno, sempre con la Cassa Depositi e Prestiti come acquirente.
Come anticipato da MF-Milano Finanza di venerdì 15 maggio, la holding del Tesoro
guidata dal presidente Franco Bassanini avrebbe già avviato la due diligence su un
pacchetto di asset selezionati dal Demanio, che anche per il 2015 rivestirà il ruolo di
venditore, insieme agli enti locali, che sono stati sollecitati a partecipare alla vendita
straordinaria, che solitamente si conclude con il closing in dicembre.
Quest'anno però la lista presentata dall'Agenzia guidata dal direttore Roberto Reggi sarebbe piuttosto corta.
La Cassa, che ha già acquistato una settantina di cespiti negli ultimi due anni, infatti,
pur facendo la sua parte per puntellare il bilancio dello Stato, è pronta ad acquistare
solo immobili già pronti per essere valorizzati e quindi in ordine almeno dal punto di
vista burocratico-amministrativo. Tra i pezzi forti di quest'anno dovrebbero esserci
alcune caserme ubicate in grandi città, a partire da Roma e Milano, finora nella
disponibilità del ministero della Difesa ma che sono in procinto di passare al Demanio
e da qui, con tutta probabilità, a Cdp.
Il ministero guidato da Roberta Pinotti per altro è chiamato a svolgere un ruolo
decisamente significativo quest'anno per quanto riguarda la valorizzazione del patrimonio immobiliare, visto
che la legge di Stabilità 2015 ha fissato come obiettivo raggiungere almeno 220 milioni dalla cessione di
immobili per l'anno in corso e 100 milioni l'anno per il 2016 e 2017.
Per raggiungere l'obiettivo a gennaio 2015 sono state lanciate le prime aste per immobili residenziali (circa
700) e altre sono in programma a breve.
Pagina 1 di 3Aperta la caccia a 1 mld dalle dismissioni del mattone di Stato. In campo di nuovo C...
16/05/2015http://www.milanofinanza.it/giornali/stampa-articolo?id=1987023&access=AB
Tornando però alla vendita straordinaria di fine anno, anche gli enti locali, come accennato, sono stati allertati
per partecipare all'operazione che si sta mettendo in piedi con Cdp. Ma non solo, per le amministrazioni
territoriali e non è stato aperto anche un altro canale, quello che prevede la segnalazione al ministero
dell'Economia e al Demanio di immobili che potrebbero essere valorizzati o ceduti, perché questi possano poi
essere inseriti nelle iniziative per agevolare le dismissioni che il governo intende mettere in piedi.
Tra queste una novità che sarà avviata quest'anno (e varrà fino al 2017) è il ricorso alla procedura ristretta,
ovvero vendite con inviti a manifestare interesse per i cespiti a disposizione. Inviti che, in base al
regolamento ministeriale sul quale è appena terminata la consultazione pubblica, potranno essere inviati a
un'ampia platea di investitori: dalle sgr e le siiq ai fondi sovrani, dalle società di costruzione alle banche e alle
fondazioni bancarie, dalle aziende del settore turistiche alle assicurazioni.
Tuttavia, nonostante il Tesoro si stia muovendo per tempo e su più fronti, non ci sono troppe illusioni sul fatto
che dalla cessione di immobili da valorizzare si possano portare a casa grosse somme in fretta.
D'altronde proprio il rinnovato interesse dimostrato dagli investitori anche esteri per il mattone italiano ha
dimostrato una volta di più che gli asset appetibili sono praticamente solo quelli già a reddito. A conferma che
questo trend vale anche per gli immobili pubblici ci sono diverse operazioni chiuse negli ultimi mesi: da quella
che ha visto passare per 230 milioni un pacchetto di asset, tra cui due caserme, dal fondo Fip all'americano
Cerberus, all'acquisto dello storico Comando dei Carabinieri di Piazza del Popolo a Roma da parte della
Atlantica Real Estate di Sigieri Diaz. Lo stesso feedback per altro sarebbe venuto dal fondo sovrano di Abu
Dhabi Adia, che lo scorso 21 aprile è venuto in visita a Roma per incontri di lavoro dedicati al settore del real
estate. I rappresentanti del braccio finanziario dell'emirato avrebbero infatti dimostrato interesse per il
comparto italiano dell'immobiliare ma solo per immobili già in grado di produrre reddito.
Così, con questa consapevolezza, anche il governo si è messo al lavoro per cercare di valorizzare i suoi
immobili a reddito, concentrandosi sulla creazione di un fondo locazioni passive della pubblica
amministrazione. Il veicolo dovrebbe arrivare a 1 miliardo di euro di valore grazie al conferimento di immobili
delle province, soprattutto prefetture, caserme e altri edifici che continuerebbero a essere occupati da questi
uffici, continuando a pagare l'affitto, come già fanno. Il veicolo dovrebbe essere costituito e gestito dalla sgr
del Tesoro Invimit, ma al momento, secondo indiscrezioni la macchina si sarebbe fermata alla Ragioneria
dello Stato, che starebbe ancora valutando possibili impatti sulla finanza pubblica eventualmente derivanti dal
passaggio della proprietà degli immobili in affitto.
Questa però è solo la più recente iniziativa affidata alla società guidata dall'amministratore delegato
Elisabetta Spitz, che ha già a disposizione uno strumento pienamente attivo, il fondo di fondi i3 Core,
sottoscritto dall'Inail per circa 400 milioni. Non solo, sarebbe tutto pronto anche per il lancio del primo fondo
diretto, i3 Inail, per la valorizzazione degli immobili non strumentali dell'ente, e il gemello i3 Inps, che sarebbe
un po' più indietro ma comunque in rampa di lancio. Ancora, solo pochi giorni fa è stato pubblicato in
Gazzetta Ufficiale il decreto del ministero dell'Economia che autorizza la creazione di altri due veicoli, i cui
regolamenti sono stati approvati dal cda Invimit a fine dicembre 2014, i3 Scuole e i3 Regione Lazio. Insomma
la carne al fuoco per la sgr pubblica è davvero molta e non è un caso, visto che è proprio sulle operazioni
immobiliari che potranno essere portate a termine da Invimit che il governo conterebbe per racimolare la gran
parte del miliardo di cessioni fissato come obiettivo di fine 2015.
Per avanzare a pieno ritmo c'è però bisogno che l'azionista (al 100%) ministero dell'Economia, dopo aver
dato il suo via libera a una ricapitalizzazione da 2 milioni di euro, sciolga anche il nodo del rinnovo del cda,
scaduto con l'approvazione del bilancio 2014. Secondo indiscrezioni una prima assemblea nei giorni scorsi
avrebbe infatti approvato solo i conti 2014, non toccando la questione delle nomine, e un'altra sarebbe ora
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UNIONE EUROPEA
la Repubblica6 LUNEDÌ 11 MAGGIO 2015ECONOMIA
Le misure
I pensionati interessati
1.500 - 1.999
2.000 - 2.999
3.000 - 4.999
5.000 - 9.999
10.000 e più
CLASSE
DI IMPORTO (in euro)
NUMERO DI
PENSIONATI
INTERESSATI
2.857.069
PERDITA
(in euro)
1.138
2.247.066
707.391
201.324
11.933
Totale
Le perdite dovute alblocco della rivalutazionedelle pensioni
1.500 - 1.749
1.750 - 1.999
2.000 - 2.249
2.250 - 2.499
2.500 - 2.999
3.000 e più
CLASSE
DI IMPORTO (in euro)
6.024783
1.309
1.479
1.725
2.037
3.567
FONTE CER – SPI – CGIL
FONTE ISTAT
Bruxelles avverte Roma“Con l’incognita pensionideficit flessibile a rischio”La Commissione mette sotto monitoraggio i conti italianiIl Tesoro: “Rispetteremo i saldi del Def”. Decreto in settimana
ROBERTO PETRINI
ROMA. Pugno duro di Bruxelles sulla“grana” del blocco delle indicizzazioniprevidenziali. Fonti dell’Unione euro-pea annunciano che la Commissione èintenzionata a mettere l’Italia sotto«monitoraggio» nell’ambito delle«raccomandazioni» attese per merco-ledì. «Rispetteremo i saldi, nessunosforamento», replica il Tesoro, men-tre Palazzo Chigi prepara per venerdìil Consiglio dei ministri per varare undecreto legge. L’autrice del provvedi-mento, l’ex ministro del Lavoro ElsaFornero, intanto polemizza con la Con-sulta: «Sentenza incomprensibile».
La Commissione vuole capire l’im-patto quantitativo della decisione del-la Corte sui conti pubblici in modo pre-ciso e di conseguenza lancia un avver-timento: l’utilizzo della flessibilità dibilancio garantita dalle regole inau-gurate quest’anno, sarà condizionatoalla partita delle pensioni.
Il rinnovato pressing di Bruxelles,giunto nella giornata festiva, rende laricerca di una soluzione ancora più ur-gente. La necessità di “compensare” ilcosto del rimborso delle mancate indi-cizzazioni era stata subito affermatadalla Commissione, ma dopo la visitadi venerdì scorso di Dijsselbloem a Ro-ma, sembrò profilarsi un atteggia-mento più conciliante. Ieri l’irrigidi-mento che mette a rischio la possibi-lità dell’Italia di utilizzare la clausoladi flessibilità, concessa grazie al per-corso delle riforme, che per il 2016avrebbe consentito margini di circa 6miliardi.
Di fronte alle nuove richieste diBruxelles il governo italiano accelera.Ambienti di Palazzo Chigi annuncia-vano ieri una riunione del Consigliodei ministri per venerdì con all’ordinedel giorno il tema delle pensioni. Il Te-soro, con una nota serale, ha replicatoche l’Italia «rispetterà i saldi indicatidal Def e che il deficit-Pil resterà al 2,6per cento programmato». La questio-ne sarà dunque risolta all’interno dei
saldi del Documento, senza ricorreread ulteriore deficit, dove esistono par-ziali margini: come è noto infatti il sal-do programmatico era stato fissato adun livello più alto del tendenziale (pa-ri al 2,5 per cento) dando vita al famo-so “tesoretto” di 1,6 miliardi che a que-sto punto potrà essere utilizzato percoprire parte dei rimborsi.
Già ieri il ministro dell’Economia, in
una intervista al Messaggero, avevadescritto la situazione in termini piut-tosto seri. Aveva annunciato un de-creto per il prossimo consiglio dei mi-nistri, aveva detto che la Commissio-ne ci sta «osservando attentamente»,e aveva spiegato chiaro e tondo che sel’Italia dovesse ripristinare totalmen-te l’indicizzazione potrebbe violare si-multaneamente il vincolo del 3 percento, l’aggiustamento strutturaleverso il pareggio di bilancio e la regola
del debito. Dunque rimborso “parzia-le e selettivo”, graduato per fasce direddito tenendo conto delle pensionipiù basse nello spirito delle sentenzadella Corte.
Ora la partita si gioca sul rispettodelle regole contabili imposte daBruxelles e sulla capacità di “minimiz-zare” i costi attraverso il rimborso perfasce annunciato Padoan. Il problemaè la contabilizzazione degli 8,7 miliar-di di arretrati: se potranno essere spal-mati negli anni passati, transitandosu deficit e debito, il conto di que-st’anno potrebbe limitarsi agli 1,9 mi-liardi per i prossimi sette mesi, cifrache peraltro considera una restituzio-ne piena. Con la legge di Stabilità siprovvederebbe al 2016 e agli anni se-guenti. Si lavora intanto al meccani-smo. Non è scontata l’attuazione del-l’attuale sistema che riduce il peso del-l’indicizzazione (parte dal 100% pergli assegni fino a 1.500 euro e arriva al45% per quelli oltre i 3.000). Il dibatti-to è aperto perché ieri il sottosegreta-rio all’Economia Zanetti (Scelta civi-ca), ha chiesto che tra i criteri ci siano,oltre all’importo dell’assegno, anchegli anni di contributi.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
L’ex ministro del Lavoro,Elsa Fornero:“Incomprensibile la sentenzadella Consulta”
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la Repubblica 7LUNEDÌ 11 MAGGIO 2015
PER SAPERNE DI PIÙwww. .cedefop.europa.eu/ec.europa.eu/index_it.htm
40%
30%
20%
10%
15-19 25-29 35-39 45-49 55-5920-24 30-34 40-44 50-54 60-64 65+anni
0%
-10%
-20%
-30%
Popolazione Forza lavoro
Come cambieranno in Italia forza lavoro e popolazione tra 2013 e 2025
FONTE CEDEFOB
AL VERTICE
Il presidentedellaCommissioneUe, Jean-ClaudeJuncker e, asinistra, ilministrodell’Economia,Pier CarloPadoan
Ue: occupazione in Italiaa livello pre-crisi nel 2020prima degli altri PaesiMa c’è l’allarme giovani
LO STUDIO/LA CRESCITA DURERÀ FINO AL 2025. NUOVI POSTI SOPRATTUTTO NEI SERVIZI
ROSARIA AMATO
ROMA. La ripresa è iniziata, l’occupazione ar-ranca: un’analisi sintetica condivisa da moltivisto che diverse previsioni, a cominciare daquelle della Commissione Europea, inchioda-no il tasso di disoccupazione sopra il 12% al-meno fino a tutto il 2016. Eppure, proprio ilmercato del lavoro, guardando però un po’ piùin là nel tempo, potrebbe riservare sorprese po-sitive all’Italia: secondo le previsioni del Ce-defop (Centro europeo per lo sviluppo e la for-mazione professionale), istituto di ricerca eco-nomica della Commissione Europea con sede aSalonicco (Grecia), il numero di occupati in Ita-lia tornerà ai livelli del 2008 (precedenti allacrisi) entro il 2020, quattro-cinque anni primarispetto alla media Ue. Non solo, l’altra buonanotizia che emerge dallo studio “Italy: Skills fo-recasts to 2025”, è che non ci si limiterà a recu-perare i posti perduti: l’occupazione conti-nuerà a crescere fino al 2025 (lì le previsioni sifermano).
Il mercato del lavoro cambierà però per mol-ti aspetti: se a tornare ai livelli precrisi sarannoi numeri generali, in dettaglio la composizioneper settori sarà molto diversa. Intanto la cre-scita non si concentrerà là dove ci sono state leperdite maggiori: se ad arretrare in modo ro-busto tra il 2008 e il 2013 sono stati soprattut-to il manifatturiero e le costruzioni, ad assor-bire nuovi occupati invece tra il 2013 e il 2025saranno soprattutto i servizi finanziari e i ser-vizi in generale, la distribuzione e i trasporti. Ilmanifatturiero e le costruzioni si limiteranno
a rimanere stabili, mentre l’agricoltura per-derà occupati.
In particolare per quanto riguarda il tipo dispecializzazione richiesta ai lavoratori, gli ana-listi di Cedefop ritengono che “una quota im-portante delle possibilità di lavoro, circa il22%, sarà per i professionisti e per i tecnici spe-cializzati”. In particolare saranno molto “occu-pabili” gli esperti in scienze applicate, ma an-che i tecnici nelle professioni artistiche, gli in-gegneri, richiesti anche i professionisti nelcampo della salute, dell’economia e della Pa.Un’esigenza, quella di qualifiche medio-alte,che, a giudicare dalle previsioni, verrà colta dailavoratori, il cui livello di preparazione si alzeràin modo considerevole da qui al 2025. Se infat-ti nel 2005 le forze di lavoro si suddividevano inun 15,6% di lavoratori altamente qualificati,un 42,8% di media qualifica e un 41,6% di bas-se qualifiche (percentuali molto diverse dallemedie europee che erano rispettivamente del25,4%, 47,1% e 27,5%), nel 2025 la quota mag-giore sarà sempre riservata alle qualifiche dimedia levatura (46,7%, abbastanza in lineacon il 44,4% della Ue-28) però nel frattempo lapercentuale di lavoratori altamente qualifica-ti raddoppierà, raggiungendo il 30,8% (certosempre parecchio al di sotto della media Ue chenel frattempo avrà raggiunto il 38,8%), men-tre quella dei lavoratori poco qualificati si di-mezzerà, arrivando al 22,5% (ma nella Ue lamedia è ampiamente al di sotto, al 16,8%).
I lavoratori con qualifiche professionali di al-to livello non dovrebbero rimanere delusi: la ri-chiesta di manager e di professionisti sarà ad-dirittura più alta della media Ue, una previsio-ne che sembra suggerire un cambio di passonon solo del mercato del lavoro, ma in generedell’organizzazione e della produzione. I lavo-ratori ad alta e media qualifica in generale sa-ranno i più richiesti, mentre per quelli a bassaqualifica non si prevede alcuna espansione del-la domanda da qui al 2025, solo un modesto tas-
so di sostituzione. Però le previsioni demogra-fiche suggeriscono anche che l’Italia sarà sem-pre meno un Paese per giovani: si ridurrannodi molto i lavoratori della fascia compresa tra i30 e i 49 anni, mentre aumenteranno quelli dietà superiore a 50. E in generale le “forze di la-voro” saranno in percentuale inferiori a quelledella media Ue, proprio per via dell’invecchia-mento graduale della popolazione.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Tra i settori, l’agricoltura perderàancora occupati, mentreresteranno stabili ai valori attualimanifatturiero e costruzioni
MF
Numero 091, pag. 4 del 12/05/2015
RELAZIONE CONSOB
Nuovo messaggio alla Ue: soffocando le banche si uccide la ripresa
di Angelo De Mattia
Il tema dominante è come far sì che la finanza e il credito contribuiscano efficacemente al rilancio
dell'economia, assicurando nel contempo trasparenza, visibilità, rendicontazione e tutela dell'investitore e del
risparmiatore. Per i riflessi indubbi sui mercati, Giuseppe Vegas, nella relazione letta ieri, a Milano,
nell'auditorium dell'Expo, non ha esitato a entrare a pie' pari nella delicata questione dell'eccessiva attenzione
dei regolatori europei ai profili di stabilità delle banche, trascurando gli effetti negativi che ciò potrebbe avere -
con la richiesta di aumento delle dotazioni di capitale - sulla crescita economica e sulla funzionalità del
sistema finanziario. Di qui Vegas è passato più direttamente a concentrarsi sulla regolamentazione europea
e ha additato il rischio che le imprese non ammesse al credito per le restrizioni connesse alle misure sempre
più rigorose sul piano della stabilità si rivolgano al mercato finanziario con una selezione avversa che spinge
in tale direzione le aziende meno solvibili. Se il richiamo dell'Autorità dei mercati lo si collega, poi, al fatto che
con i crescenti vincoli dettati da una monocultura della stabilità si omette di cogliere appieno le opportunità
della politica monetaria non convenzionale, allora non si può non constatare un danno ulteriore che così si
arreca alle banche, ai mercati finanziari, all'economia, imprese e famiglie. Sarebbe doveroso, a questo punto,
un intervento diretto del governo nelle diverse sedi istituzionali, mentre la stessa Bce non dovrebbe
continuare a rimanere in una non ammissibile posizione di terzietà. Il 26 maggio seguiremo le Considerazioni
Finali di Ignazio Visco, ma, alla luce di quanto egli ha già detto su questa tematica, si può concludere che si è
determinata una linea di ampie convergenze, al di là dei toni e delle sensibilità, che esclude che tutto possa
continuare secondo l'attuale andazzo. Ma, nella relazione, sono presenti anche i temi alla stabilità in genere
collegati: dal livello delle sofferenze bancarie nel nostro sistema, alla necessità di prevedere forme alternative
di finanziamento, come il cosiddetto fondo dei fondi, fino all'applicazione del principio del ne bis in idem,
come vuole la Corte europea dei diritti dell'uomo, a proposito del regime sanzionatorio amministrativo e
penale, alla necessità di ridurre i carichi normativi per le imprese che vogliano quotarsi. Vegas, però, non ha
eluso i temi di ancor più stretta pertinenza. A proposito delle innovazioni in materia societaria, con il voto
plurimo, le modifiche alla normativa dell'Opa, la disclosure delle partecipazioni al capitale delle medie e
piccole imprese, egli non ha mancato di sollevare il problema della stratificazione delle diverse normative,
particolarmente accentuata nella materia dei controlli interni, chiedendo di riconsiderare le attribuzioni del
Consiglio di amministrazione e di reinquadrare i modelli alternativi di amministrazione e controllo, quali il
monistico e il duale. Quanto alla tutela degli investitori, Vegas enuncia una triade di misure che incidono sui
prodotti, sull'educazione finanziaria, da sviluppare, e sulla risoluzione stragiudiziale delle controversie in tema
di contratti finanziari, prevedendo l'obbligatoria adesione degli intermediari a tale procedure, a somiglianza di
quanto previsto per il modello dell'Arbitro bancario e finanziario. Quanto, poi, in specie, alla questione se
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consentire o no la vendita di prodotti a elevata rischiosità e opacità, essa viene risolta dalla Consob
anticipando la prossima normativa sulla «product intervention», contenuta nella Mifid, compilando una lista di
tali prodotti non adatti alla clientela retail. Essi potranno essere distribuiti solo adottando particolari cautele.
Gli altri due punti sui quali il Presidente della Consob ha molto insistito riguardano, il primo, la realizzazione
della «capital markets union», dopo l'avvio del progetto della banking union: una scelta irreversibile perché
uno stabile sviluppo economico non potrà mai essere conseguito da un singolo mercato finanziario. Ma qui
va osservato che, se non si determinano adeguatamente i presupposti di una tale progetto - in specie, la
parità normativa, l'unitarietà della Vigilanza, l'unicità del legislatore, l'armonizzazione fiscale e di discipline in
materia commerciale e fallimentare - si corre il rischio che alcuni paesi si vedano imporre scelte volute da
quelli più forti come sta accadendo, in buona sostanza, con la Vigilanza bancaria centralizzata. Il secondo
punto di particolare rilevanza, dopo che Vegas ha parlato della direttiva europea Transparency e poi della
proposta di regolamento volta a escludere il proprietary trading, riguarda l'idea di dare vita a un'agenzia
europea per le informazioni finanziarie sulle piccole e medie imprese. Andrebbe, in particolare, istituito un
sistema informativo pubblico attraverso il quale l'agenzia metterebbe in circolazione le informazioni
economiche e finanziarie sulle Pmi, consentendo la diffusione dell'accesso ai dati di queste imprese e
realizzando così una vetrina, dice Vegas, per quelle aziende che vogliano aprirsi al mercato dei capitali. La
sede dell'agenzia dovrebbe essere Milano che ha le energie e la capacità per diventare un polo finanziario a
livello globale. Una relazione con molti aspetti che susciteranno approfondimenti e si può dire che, anche per
la chiarezza e per l'enfasi sul versante della trasparenza e sugli investitori, i messaggi dati, al di là di qualche
aspetto, hanno colto nel segno. (riproduzione riservata)
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MF
Numero 091, pag. 6 del 12/05/2015
RELAZIONE CONSOB
Per il mercato unico dei capitali servono regole comuni e tasse uniformi
di Guido Salerno Aletta
«Come abbiamo avuto modo di constatare negli ultimi anni, la moneta, da sola, non basta»: non poteva
essere più chiaro di così Giuseppe Vegas, nello svolgere la Relazione sull'attività svolta dalla Consob nel
2014, al fine di spiegare le ragioni politiche e istituzionali che militano a favore dell'istituzione di una capital
market union europea. L'euro, che sia irreversibile o meno, non basta.
Se è vero che le tre fondamentali libertà europee sono quelle di circolazione, delle persone, delle merci e dei
capitali, è altrettanto vero che in quest'ultimo settore i singoli Stati membri hanno cercato di sfruttare a proprio
esclusivo vantaggio gli spazi di discrezionalità lasciati dal legislatore comunitario. Per un verso è venuta a
mancare una strategia comune volta a rafforzare la posizione competitiva dell'Unione verso altre aree
geografiche e per l'altro le incertezze normative hanno dato luogo ad arbitraggi tra sistemi giuridici, cui si
risponde attraverso regole sempre più dettagliate e complesse, che frenano gli investimenti esteri.
Bisogna ricominciare dalle fondamenta: l'euro è solo il tetto precario posto al di sopra di una casa comune
europea in cui ciascuno Stato ha piazzato i pilastri dove più gli conveniva. Non è casuale, infatti, che la
politica monetaria della Bce si sia dovuta muovere tra un'emergenza e l'altra, per approdare infine al Qe dei
titoli pubblici quando la tendenza alla deflazione stava per diventare inarrestabile.
La politica monetaria ha bisogno di mercati efficienti, ma soprattutto regolamentati in modo omogeneo.
Altrimenti sono le stesse regole nazionali, insieme alla corrispondente disciplina fiscale, a distorcere le
convenienze nella allocazione dei capitali. Insomma, in campo finanziario l'Europa unita ha praticato la
«competition by regulation»: l'antitesi dell'assunto, considerando che il mercato unico dei capitali è stato
disciplinato da norme finalizzate ad alterare la concorrenza.
L'auspicio di Vegas è pienamente condivisibile, purché il prospettato mercato unico dei capitali non
rappresenti un ulteriore pregiudizio per l'Italia. Occorre evitare, infatti, che il risparmio italiano, trascurando il
tradizionale deposito bancario reimpiegato sul territorio attraverso il credito, venga drenato verso impieghi
meramente finanziari e all'estero: questa sarebbe un'ennesima, inaccettabile spoliazione della ricchezza
nazionale. Se la raccolta bancaria obbligazionaria da residenti tende continuamente a scemare, mentre
aumentano la raccolta dei Fondi e gli impieghi all'estero, alle piccole e medie imprese vengono tolte anche le
briciole.
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Il secondo aspetto riguarda le politiche pubbliche a sostegno delle imprese: in Italia, l'impiego di fondi pubblici
per lo sviluppo e il sostegno naviga in un limbo di anime in pena. Come per le detrazioni fiscali, non si nega
un aiuto a nessuno: purché sia limitato e soprattutto temporaneo. Per le ristrutturazioni edilizie, si va sempre
alla proroga annuale: se si ritiene che questo debba essere un settore trainante, non si possono sollecitare i
cittadini ad affrettarsi per cogliere l'attimo fuggente. Le convenienze dell'ultimo momento creano
disorientamento: prima che si capisca davvero che cosa e quanto conviene approfittarne, l'incentivo è già
finito.
Se a livello europeo occorre costruire un mercato unico dei capitali, a livello nazionale sarebbe necessario
ricostruire un sistema trasparente delle agevolazioni e degli incentivi, territoriali, settoriali e fattoriali.
La terza questione attiene al trattamento fiscale delle rendite finanziarie: con la quantità di moneta immessa
dalle banche centrali, mai la repressione delle rendite è stata così violenta. Ma mai l'accesso al credito e al
mercato dei capitali è stato così frastagliato: si fa credito a chi non ne ha bisogno. Il problema odierno non è il
livello della tassazione, ma l'evaporarsi del provento in sé. Un mercato efficiente dei capitali deve poter
contare su prospettive stabili che in Europa, per via della crisi, non sussistono.
Ben venga, quindi, la capital market union per fare ordine in Europa. È un tassello indispensabile, di un
mosaico però ancora tutto da comporre. «Dobbiamo darci la medesima tassazione e la medesima legge»: il
vero problema non è la futuribile sovranità dell'Europa, ma l'eguaglianza dei cittadini che manca. Anche
Vegas non ha dubbi. (riproduzione riservata)
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MF
Numero 091, pag. 8 del 12/05/2015
PRIMO PIANO
Passi avanti all'eurogruppo, ma Atene non cede su previdenza e mercato del lavoro
Grecia e Ue divise sulle pensioniRestituiti con un giorno d'anticipo 750 milioni di euro al Fmi. Schaeuble: se Tsipras vuole indire un referendum faccia pure. Un modo per dire che la minaccia di uscita dall'euro è un'arma spuntata
di Marcello Bussi
Come tutti si aspettavano, l'Eurogruppo di ieri è stato interlocutorio. Ma i ministri delle Finanze dei Paesi di
Eurolandia hanno diramato un comunicato in cui dicono di avere accolto «con favore i progressi dei negoziati
e le intenzioni delle autorità greche di accelerare il lavoro con le istituzioni». Dopo aver ammonito che «non
c'è tempo da perdere, serve un accordo ben prima della scadenza del
programma a fine giugno», il Commissario Ue agli Affari economici e
finanziari, Pierre Moscovici, ha spiegato che, grazie a un cambiamento
di metodo, «ora più efficace», rispetto al confronto di poco più di due
settimane fa a Riga, «le posizioni si sono avvicinate su alcuni aspetti
come la riforma dell'Iva e la creazione di un'agenzia indipendente per la
gestione degli introiti fiscali e la strategia sulla gestione delle sofferenze
bancarie, mentre restano differenze da colmare per arrivare a un
accordo su altre questioni come le pensioni e il mercato del lavoro». Qui si gioca la vera partita. Difficile che il
governo guidato da Alexis Tsipras accetti senza battere ciglio tagli alle pensioni e un'ulteriore
deregolamentazione del mercato del lavoro perché questo sconfesserebbe del tutto il suo programma
elettorale. Una mossa a sorpresa è stata poi fatta dal ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schaeuble:
«Se il governo greco vuole fare un referendum, faccia un referendum, magari potrebbe essere la misura
giusta per lasciar decidere i greci se sono pronti ad accettare ciò che è necessario o se vogliono altro», ha
detto. Posizione poi ribadita dal presidente dell'Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem: «Sta ai politici nazionali
convocare un referendum o meno. Non sono preoccupato». Si tratta di una svolta clamorosa: nell'ottobre
2011, infatti, l'allora premier George Papandreou propose di sottoporre a referendum l'accordo fra Atene e la
Troika e dopo pochi giorni dovette dimettersi. La svolta di Schaeuble è probabilmente un modo di dire al suo
collega Yanis Varoufakis che è inutile cercare di opporsi alle richieste dell'ex Troika perché tanto ormai la
minaccia di un'uscita della Grecia dall'euro è un'arma spuntata, non fa più paura a nessuno. Al punto che
Berlino non si preoccupa più di un eventuale referendum sull'accordo con i creditori. Varoufakis ha subito
detto che il referendum «al momento non è sui nostri schermi radar», spiegando comunque che la decisione
di indirlo «spetta al premier e al presidente della Repubblica». Varoufakis ha quindi ammesso che il problema
di liquidità del governo greco è «terribilmente urgente», ma «un accordo è più vicino» e «il negoziato
continua in spirito costruttivo». Perché la situazione della liquidità non peggiori, ha sottolineato, «credo che
dovremo trovare un accordo nelle prossime due settimane». Atene ha intanto annunciato di avere ripagato al
Fmi la rata da 750 milioni di euro in scadenza oggi. (riproduzione riservata)
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Numero 091, pag. 8 del 12/05/2015
PRIMO PIANO
Domani Bruxelles è pronta a fare le pulci a Roma sull'adeguamento delle pensioni
Domani sarà una giornata importante per la Commissione Ue, che affronterà la delicata questione dei
migranti secondo la proposta Juncker, incentrata sulla redistribuzione dei rifugiati nei diversi Paesi
dell'Unione. Si spera che finalmente sia compiuto un passo avanti decisivo. Ma domani è importante anche
per la pubblicazione delle Raccomandazioni della Commissione ai partner con riferimento alla situazione
della finanza pubblica e dell'economia, al 30 aprile scorso. L'Italia dovrebbe ricevere sei raccomandazioni
specifiche relativamente a diversi settori: dai conti pubblici alle riforme di struttura. Per quel che concerne
l'impatto della sentenza della Corte costituzionale in materia di adeguamento delle pensioni, Bruxelles
monitorerebbe le decisioni adottate che, per il momento, non fanno però parte dello specifico esame della
Commissione, che si ferma al 30 aprile. Su quest'ultimo problema viene annunciata la presentazione, da
parte del governo, di un decreto legge che sarebbe sottoposto all'esame del Consiglio dei ministri venerdì
prossimo. Le reiterate dichiarazioni del ministro dell'economia, Pier Carlo Padoan, assicurano che quest'anno
non si inciderà sul deficit per il rimborso delle somme spettanti ai pensionati che, complessivamente, si fanno
ascendere, qualora si dovessero corrispondere a tutte le categorie di reddito e si comprendesse anche l'anno
in corso, a 16/17 miliardi. L'esecutivo, comunque, in una logica selettiva e progressiva, si sta orientando per
una scelta che agirebbe sulle classi di pensioni, ammettendo i rimborsi in misura decrescente fino alle
pensioni pari a sei volte il minimo, oltre non erogando alcun rimborso. Si farebbe leva sul comunicato del
presidente della Consulta che, nel ricordare che le norme bocciate dalla Corte perdono la loro validità ed
efficacia a partire dal giorno successivo alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, ha comunque precisato
che i poteri pubblici possono ovviamente disciplinare la materia secondo i principi costituzionali. Il problema,
però, è tutto qui, dunque: una normativa di tipo selettivo delle restituzioni, con uno sbarramento oltre
determinate classi di pensioni, si presta o no a ulteriori rilievi di costituzionalità? Il bilanciamento tra diritti
individuali ed esigenze della finanza pubblica, con i rispettivi agganci costituzionali, rende possibile questo
tipo di applicazione oppure esso si presta a nuovi ricorsi alla Consulta? O, addirittura, ciò è messo in conto,
ma si confida nei tempi lunghi della conclusione di una iniziativa giurisdizionale? Ovvero, ancora, si ipotizza
di stabilizzare un contributo di solidarietà per le pensioni di un certo livello o di ricalcolarle con il sistema
contributivo per erogarle secondo tale ricalcolo? In quest'ultimo caso, non si pensa alla pioggia di ricorsi che
ne conseguirebbe? Come si è accennato, il rapporto deficit/pil resterebbe al 2,6%. La Commissione Ue
potrebbe richiedere un aggiustamento del disavanzo strutturale per il 2016 pari allo 0,1%, rispetto a quello
originariamente previsto dello 0,5, con la conseguenza di un minore onere della correzione necessaria.
Questa flessibilità potrebbe, tuttavia, essere rivista, qualora la scelta sull'adeguamento delle pensioni
risultasse assai onerosa. Il famoso tesoretto sembra ormai lontano anni-luce. E non avere affrontato i
problemi del debito, della domanda e degli investimenti, ci espone a gravi rischi a ogni stormir di foglie, non
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bastando di certo la mini-flessibilità per di più sub iudice accordata dall'Europa, mentre vi sarebbe bisogno di
quella che si concreta nella golden rule, nell'esclusione, cioè, degli investimenti pubblici dal computo del
deficit, come da tempo sosteniamo su queste colonne. (riproduzione riservata)
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PRIMA PAGINA 12 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore
MERCATI E AUTHORITY
L’Europa nella «bolla» delle regole
Vegas come Schäuble? Il paragone è forse eccessivo, ma sta di fatto che tra il
presidente della Consob e il ministro delle Finanze tedesco sono emerse ieri
suggestive convergenze di vedute. Non tanto sui rischi della crisi greca, la cui deriva
finanziaria e politica sembra spaventare più noi dei tedeschi, ma su un terreno più
vasto, politicamente delicato e finanziariamente insidioso per l’Europa: l’efficacia e i
rischi della manovra Bce sulla liquidità, l’incidenza reale delle tre nuove authority
europee (Eba, Esma ed Eiopa) nella regolazione di banche, mercati finanziari e
assicurazioni, i rischi di paralisi del sistema bancario non solo per l’eccesso di regole
che ingessano il credito, ma anche per i palesi squilibri nei diversi poteri di vigilanza e
regolazione assegnati alle nuove istituzioni europee dopo la grande crisi del 2008. Più
dei tradizionali dati sulle nuove quotazioni, delle considerazioni sulla tutela del
risparmio, sulle innovazioni di governance del mercato, sulle riforme della vigilanza o
sulle carenze strutturali che ancora marginalizzano il mercato italiano dei capitali, ciò
che ha colpito di più della relazione annuale di Giuseppe Vegas al mercato finanziario
è stata l’analisi - a volte esplicita a volte meno - sulle contraddizioni e i limiti del
quadro normativo europeo post-crisi, a cui si aggiungono come corollario non
secondario le incognite crescenti sui rischi sistemici generati dall’eccesso di liquidità
generato dal Quantitative easing della Bce. Il monito sui rischi di esplosione di
pericolose bolle finanziarie per l’uso speculativo che il mercato sta facendo del denaro
facile della Bce, non è in questo senso un passaggio retorico o di circostanza da parte
di Vegas, ma un vero allarme sull’assenza di strumenti e organi di vigilanza capaci di
prevenire o intervenire sugli eccessi e le distorsioni del mercato europeo dei capitali.
Continua pagina 3 Alessandro Plateroti
Continua da pagina 1 In altre parole, se da un lato l’eccesso di regole rischia di
paralizzare l’attività creditizia delle banche - e soprattutto di quelle italiane -
ostacolando di fatto la ripresa economica, dall’altro lato la distribuzione dei poteri
regolatori tra le nuove authority europee ha mancato di fatto l’obiettivo che si
proponeva: maggiore trasparenza sull’attività di emittenti e intermediari, potere
d’intervento sull’attività dei grandi operatori finanziari. In altre parole, la tutela del
mercato e dei risparmiatori a cui si puntava con la creazione dell’Esma - l’authority
dei mercati finanziari - e soprattutto dell’Eba (vigilanza e regolazione delle banche) è
stata di fatto dimezzata o quanto meno indebolità dal ben più vasto raggio d’azione
attribuito, per esempio, al Financial Stability board: nella relazione di Vegas non è
scritto a chiare lettere, ma il giudizio sui risultati ottenuti dall’Esma è profondamente
negativo per tutti i regulator europei. Tra i margini operativi del Financial Stability
Board e del suo presidente, e quelli a disposizione dell’Esma e delle altre due
authority europee, c’è un abisso di poteri che le rende di fatto inutili e superflue, o
comunque “subalterne” a quella del sistema-Bce. La soluzione del problema, su cui
l’intera architettura normativa europea post-crisi richia di cadere, è per Vegas una e
una soltanto: l’unione europea del mercato dei capitali. Così come la nascita
dell’Unione bancaria è stata un passo-chiave per il sistema creditizio europeo, solo la
creazione di un mercato unico dei capitali può garantire una maggiore tutela del
risparmio e degli investimenti, e soprattutto l’avvio di una necessaria armonizzazione
delle diverse regole nazionali che premiano oggi alcuni paesi e ne penalizzano altri.
Vegas non è di certo Schäuble, ma i dubbi sulla governance e sul funzionamento delle
authority e delle istituzioni finanziarie europee cominciano ad essere ampiamente
condivisi.
Più che sul numero delle Ipo o sulla fine dei patti di sindacato, la relazione annuale di
Vegas stimola insomma una riflessione profonda sulla coerenza del quadro normativo
europeo, dalla distribuzione dei prodotti complessi, al market abuse, dai diversi regimi
sanzionatori alla direttiva sui requisiti patrimoniali delle banche, dalla direttiva
transparency alla proposta di regolamenti sulla separazione tra banca commerciale e
CORRELATI
Risparmio, sale la voglia di «rischio»
Vegas: rischio «bolla» dal Qe
Affondo sui vincoli per le banche: frenano l’economia
Diamo ai greci l’ultima parola
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banca d'investimento. Se si pensa che all’interno di questo quadro si gioca non solo il
futuro d’Europa, ma soprattutto il futuro delle nostre banche delle nostre imprese, la
vera sfida per l’Italia è una sola: riformarsi per crescere, cambiare per farsi acoltare.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Alessandro
Plateroti
Pagina 2 di 2Il Sole 24 Ore
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PRIMO PIANO 12 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore
LA SVOLTA «L’Italia e l’Europa hanno
un’occasione unica per fare le riforme e la capital markets union: il tempo a disposizione
non è infinito»
«Sui mercati arriva il rischio bolla»
Il presidente: l’enorme liquidità ha contribuito a innalzare i valori dei corsi
azionari
Attenzione alle bolle. A lanciare l’allarme sul rischio di quotazioni gonfiate
dall’«enorme liquidità» in circolazione è il presidente Consob, Giuseppe Vegas, in
occasione dell’incontro annuale con il mercato finanziario. Un fattore alimentato dal
quantative easing della Bce che, oltre a pilotare i tassi a minimi storici, ha anche
contribuito «a innalzare in maniera repentina i valori dei corsi azionari». Il problema
non è solo dal lato della domanda, perchè l’«eccessiva attenzione dei regolatori
europei ai profili di stabilità» può indurre le imprese con basso merito di credito -
quelle che non riescono ad avere accesso al tradizionale canale bancario - a ricorrere al
mercato per sopravvivere. «Si potrebbe quindi creare un meccanismo di selezione
avversa, che porta verso il mercato le imprese meno solvibili - ha messo in guardia
Vegas - con il rischio di causare una fuga degli investitori verso altri sistemi
finanziari».
La stretta al credito è una realtà misurabile: dal 2011 a oggi - ricorda la relazione - i
prestiti alle imprese sono calati di circa il 10%. La corsa alla quotazione invece ancora
no, anche se nel 2014 a Piazza Affari hanno esordito 26 matricole, dieci in più
dell’anno prima. Ma solo cinque sono sbarcate sul mercato principale, le altre 21 sono
invece approdate all’Aim, il listino dedicato alle piccole-piccolissime imprese, con
problemi di altro tipo (si veda altro articolo a pagina 2) perchè il sistema non è ancora
ben attrezzato per le small-cap.
La questione di fondo è un “ambiente” che tende comunque a premiare la scelta di
restare fuori dalla Borsa. C’è il problema di una «stratificazione nel tempo di norme di
varia natura», quando invece «le regole dovrebbero avere la finalità di spingere gli
imprenditori a cercare la trasparenza e a sottoporsi allo scrutinio del mercato, nella
consapevolezza che si tratta di una scelta premiante, come dimostrato da molti casi di
successo». Alcune proposte Consob, mirate a dare una risposta in questo senso, sono
state recepite nel decreto competitività del Governo: l’introduzione del voto multiplo
sulle azioni, la scelta di diverse soglie d’Opa inseribili nello statuto, le modifiche agli
obblighi di comunicazione delle partecipazioni rilevanti (ora la soglia potrebbe passare
dal 2% al 3%, restando al 5% per le pmi), le agevolazioni fiscali per le quotande.
Ma ancora non basta. L’Authority punta il dito per esempio sul «sistema complesso e
costoso dei controlli interni», «senza la possibilità di graduare la struttura
organizzativa in funzione delle dimensioni dell’impresa», e senza che questo significhi
necessariamente maggiori garanzie nella prevenzione di illeciti. Vegas elenca altri
temi che meritano una riflessione: l’applicazione dei principi contabili internazionali
alle quotate, una miglior definizione delle governance monistica e dualistica che oggi
trovano scarsa applicazione, un ripensamento del ruolo del consiglio di
amministrazione per evitare di concentrare in capo al board «le funzione di alta
amministrazione, supervisione strategica e gestione operativa, e buona parte dei
controlli, senza ripartire in modo chiaro e articolato tali funzioni tra le sue diverse
componenti».
Bene, ma quando la tavola è apparecchiata, poi occorre che qualcuno ci si sieda. «Solo
un mercato che veda al suo interno un maggior equilibrio fra banca e finanza può
assolvere appieno il ruolo di motore di sviluppo di un sistema economico avanzato»,
ha avvertito Vegas. E poichè in Italia i prestiti bancari alle imprese non finanziarie
pesano ancora per il 52% del Pil (45% nell’eurozona) contro il 4% degli Usa, la «
risposta al problema del finanziamento delle imprese non può essere che quella di
adoperarsi per realizzare un mercato più simile al modello americano».
Una risposta che per essere convincente dovrebbe essere continentale. Si è fatta
l’unione bancaria, ora è il momento di fare il mercato unico dei capitali: il 2015
potrebbe essere effettivamente l'«anno della svolta». Oggi, sostiene Vegas, l’Europa si
Pagina 1 di 2Il Sole 24 Ore
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presenta come un’area «poco attraente per gli investitori di altri continenti». E in
particolare in Italia, gli investimenti extracomunitari sono mirati all’acquisizione del
controllo, mentre è scarso l’interesse a investimenti di natura puramente finanziaria.
C’è ancora un problema di integrazione «economico-finanziaria» nell’assenza di «una
strategia comune volta a rafforzare la posizione competitiva dell’Unione verso altre
aree geografiche». Si è lasciato così spazio agli "arbitraggi” tra sistemi giuridici, con
un accavallarsi di norme dove però alla fine la Ue non dispone di «incisivi poteri di
controllo» sull’attuazione delle regole a livello nazionale. Quando invece «un sistema
di regole e di vigilanza unitari e coordinati a livello europeo», secondo il presidente
Consob, sarebbe «l’unico strumento in grado di cogliere contemporaneamente i due
obiettivi della tutela dei risparmiatori e la competitività del mercato». Ci vorrebbe
insomma un “Testo unico della finanza” europeo, e una fiscalità armonizzata sulle
rendite finanziarie. Solo così l’unione del mercato dei capitali «potrà rappresentare il
cruciale punto di passaggio verso una vera unione economica e fiscale». Che «la
moneta da sola non basta», ormai è chiaro a tutti.
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Antonella Olivieri
Pagina 2 di 2Il Sole 24 Ore
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PRIMO PIANO 12 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore
LO STATO
DELL’ECONOMIA Il netto deterioramento dei conti pubblici rende sempre più probabile un terzo programma di salvataggio
Sì di Berlino al referendum greco
Apertura del ministro delle Finanze Schäuble - Atene paga la scadenza Fmi
BRUXELLES
I creditori internazionali della Grecia hanno avvertito nuovamente ieri il paese
mediterraneo che nonostante recenti «progressi» nei colloqui in vista dell’esborso di
nuovi aiuti, il divario tra le parti rimane ancora troppo ampio per garantire ad Atene
ulteriore sostegno finanziario. La presa di posizione è giunta mentre la Germania, a
sorpresa, si è detta favorevole alla scelta di chiedere agli elettori greci di approvare la
futura intesa, peraltro ancora lontana.
«Accogliamo con soddisfazione il progresso effettuato finora – ha detto il presidente
dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem –. Al tempo stesso, più tempo e maggiori sforzi
sono necessari per ridurre il divario» tra le parti. L’uomo politico ha sottolineato che
la Grecia e i suoi creditori hanno «un interesse comune» a trovare un accordo il più
velocemente possibile. Non c’è intesa su riforma del sistema pensionistico, riforma del
mercato del lavoro, e neppure sugli obiettivi di bilancio 2015-2016.
Proprio la settimana scorsa, la Commissione ha pubblicato nuove previsioni di finanza
pubblica che mostrano in Grecia un gravissimo deterioramento del deficit e
dell’economia (si veda Il Sole 24 Ore del 6 maggio). Alla luce del cattivo andamento
dei conti pubblici circolano da tempo voci su un prossimo terzo programma di aiuti.
Ieri Dijsselbloem ha sottolineato come questa ipotesi verrà discussa solo dopo la
conclusione dell’attuale memorandum in scadenza alla fine di giugno.
I ministri delle Finanze della zona euro si sono riuniti ieri qui a Bruxelles per una
prevista riunione dell’Eurogruppo nella quale hanno ricevuto un aggiornamento dei
colloqui tra la Grecia e le tre istituzioni creditrici: il Fondo monetario internazionale,
la Banca centrale europea e la Commissione europea. L’istituto monetario fa
dipendere da un accordo la possibilità di aumentare il tetto delle emissioni di buoni del
Tesoro da parte del Governo, oggi limitato a 15 miliardi di euro.
Per ora, lo stato di avanzamento dei colloqui non sembra possa permettere alla Bce di
alzare il tetto di emissioni, una delle richieste più urgenti del governo greco. In una
conferenza stampa il ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis ha spiegato
sempre ieri che la situazione della liquidità è «urgente» – da risolvere «entro un paio
di settimane» - e ha chiesto che l’istituto monetario riveda il tetto di finanziamento del
governo per contribuire a scalfire la spirale debitoria e deflazionistica.
Finora, i partner della Grecia hanno sempre respinto in blocco l’idea di un voto
popolare su una futura intesa con i creditori, ai loro occhi fonte di incertezza sui
mercati. Berlino ha cambiato idea. «Se il governo greco crede di dover organizzare un
referendum, ebbene che lo faccia», ha spiegato ieri il ministro delle Finanze tedesco
Wolfgang Schäuble. «Potrebbe rivelarsi una misura utile per permettere al popolo
greco di decidere se è pronto ad accettare ciò che è necessario, o se vogliono qualcosa
di diverso» .
Evidentemente, la Germania vede nella possibilità di un referendum un modo per
mettere la Grecia dinanzi alle proprie responsabilità, mentre il governo del premier
Alexis Tsipras afferma pubblicamente che la sua strategia di politica economica e la
sua tattica negoziale con i creditori internazionali sono appoggiate pienamente
dall’elettorato greco. Il momento è delicato. Più passa il tempo, più il Paese è a rischio
di subire una crisi di liquidità.
I colloqui su un nuovo pacchetto di misure economiche devono servire alla Grecia per
concludere il memorandum in scadenza alla fine di giugno e strappare nuovi aiuti per
7,2 miliardi di euro. Da settimane, le trattative vanno a rilento anche per le evidenti
contraddizioni tra le richieste politiche dei creditori internazionali e gli impegni
elettorali del governo Tsipras. Ieri intanto la Grecia ha rimborsato un prestito ricevuto
a suo tempo dall’Fmi per un totale di 750 milioni di euro.
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Beda Romano
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PRIMO PIANO 12 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore
Atene. La disponibilità tedesca sulla consultazione
La Germania «vede» il bluff sull’intesa
Inaspettatamente il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, ha deciso di appoggiare l’idea lanciata qualche settimana fa dal premier greco Alexis Tsipras di tenere un referendum sull’eventuale intesa con i creditori sul debito ellenico. Un cambio di rotta di 180 gradi. Come mai Berlino ha mutato atteggiamento cinque anni dopo che il premier greco Papandreou chiedeva aiuti all’Fmi e dava inizio alla crisi greca? Tsipras ha usato la minaccia del ricorso alla consultazione popolare per spingere la ex troika a non chiedere nuove misure di austerità che non sarebbero passate al vaglio popolare. Tutti sanno che un eventuale referendum sull’accordo con i creditori, si trasformerebbe inevitabilmente in un giudizio sulla permanenza di Atene nell’euro. Oggi Schäuble ha deciso di appoggiare l’idea di Tsipras: «Se la Grecia ritiene che si deve fare un referendum, che lo faccia, forse può essere una misura giusta per permettere alla popolazione greca di dire se è pronta ad accettare le misure necessarie», ha detto ai giornalisti. Una svolta importante visto che a fine 2011 il cancelliere tedesco Angela Merkel e il presidente francese Nicolas Sarkozy al vertice di Cannes del G-8 avevano impedito all’allora premier Giorgios Papandreou di organizzare un referendum proprio sulla permanenza della Grecia nell’Eurozona. Oggi, invece, un referendum sembra non fare più paura. Tecnica negoziale? È possibile. Forse Schäuble è stanco di sentirsi sotto ricatto da parte di Tsipras e ha deciso di vedere il bluff greco, affermando che spetta ai greci decidere il loro destino. Se vogliono restare nell’euro devono accettarne le regole e i costi dell’austerità: se, invece, vogliono uscire e tornare alla dracma si accomodino. Insomma un modo per costringere alle corde Tsipras nell’accelerazione della trattativa sul fronte delle riforme sul lavoro, pensioni e privatizzazioni.Schäuble ha deciso di vedere la carta del referendum per spingere il governo Tsipras a cedere su alcuni punti della trattativa, così da non far perdere la faccia alla troika nei confronti degli altri Paesi come Spagna, Irlanda, Cipro e Portogallo, che i sacrifici li hanno fatti a costo della impopolarità.© RIPRODUZIONE RISERVATAVittorio Da Rold
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MF
Numero 092, pag. 7 del 13/05/2015
PRIMO PIANO
La grecia rimborsa 750 mln al fmi con le riserve detenute presso lo stesso fondo
Atene raschia il fondo del barile
Il Paese non sta più in piedi da solo. L'ex Troika vuole che Tsipras ceda sui tagli alle pensioni e sulla riforma del mercato del lavoro. L'ultima carta in mano al premier: lasciare gli Usa e passare alla Russia
di Marcello Bussi
La Grecia ha rimborsato al Fondo Monetario Internazionale i 750 milioni di euro in scadenza ieri usando in
larga parte le risorse del Fondo stesso. Non è uno scherzo: Atene ha fatto ricorso ai 650 milioni di riserve in
Sdr (diritti speciali di prelievo) detenute presso il Fmi, mettendoli insieme ad altri 100 milioni in contanti
raccolti tramite i trasferimenti della liquidità in eccesso degli enti locali imposti dal governo guidato da Alexis
Tsipras con un provvedimento varato qualche settimana fa. In genere le riserve presso il Fmi andrebbero
reintegrate entro un mese ma un funzionario greco ha fatto sapere di essere
«fiducioso sul fatto che il Fondo sarà flessibile, date le circostanze». Fatto sta che
Atene è ormai in una situazione di pre-default, evitato grazie al fatto che il Fmi ha
chiuso un occhio sull'utilizzo dei suoi stessi fondi. Sempre ieri Atene ha avuto un
aiutino anche dalla Bce, che ha alzato da 79,8 a 80 miliardi di euro il tetto della
liquidità d'emergenza disponibile per le banche greche. Tsipras ha ormai raschiato il
fondo del barile, e la Grecia non riesce più a stare in piedi da sola. E ieri sera, nel
corso di una riunione del consiglio di gabinetto, Tsipras ha detto che la Grecia «ha
fatto tutti i passi che doveva nei confronti dei partner europei, mostrando in pratica il
suo rispetto delle procedure, delle regole e della cornice stabilita dall'Eurozona. Ora
tocca ai nostri partner fare i passi necessari per provare in pratica il loro rispetto del mandato democratico
popolare». Si sa che l'ex Troika vuole a tutti i costi che Tsipras tagli le pensioni e riformi il mercato del lavoro,
facendogli così rimangiare le promesse elettorali. Mentre sembra che il Fmi non abbia intenzione di
partecipare al terzo programma di aiuti che sarà necessario negoziare dopo il 30 giugno. Sembra proprio che
Atene non possa fare altro che piegarsi ai voleri dell'ex Troika. A meno che non torni alla dracma,
riacquistando così la sovranità monetaria. Tsipras ha sempre detto di volere rimanere nell'euro. Ma secondo
alcune fonti di Bruxelles, i governi dei Paesi Ue penserebbero a un piano B, un pacchetto di aiuti alla Grecia
che faccia da cuscinetto nel caso in cui il Paese fosse costretto a uscire dall'euro e riduca l'impatto finanziario
della Grexit. Dalla Russia è intanto arrivato l'invito al governo di Atene a unirsi alla Banca dei Brics. Sembra
l'ultima carta rimasta in mano a Tsipras: abbandonare l'alleanza con gli Usa e passare a Mosca.
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MF
Numero 092, pag. 7 del 13/05/2015
PRIMO PIANO
Sfidare i greci al referendum è come giocare con ilfuoco
di Angelo De Mattia
Ieri si sono registrate diverse dichiarazioni sulla necessità di accelerare i negoziati tra la Grecia e le istituzioni
creditrici. Il Vice presidente della Commissione Ue, Valdis Dombrovskis, proprio citando i problemi della
liquidità, ha detto che bisogna adoperarsi per arrivare alla conclusione delle trattative che si sperava
sarebbero state concluse già a fine aprile. In precedenza, la riunione dell'Eurogruppo di lunedì ha apprezzato
i progressi nel negoziato, ma ha ritenuto necessari maggiori sforzi, e quindi più tempo, per superare le
distanze che, ora, vengono segnalate, in particolare, nelle pensioni e nel mercato del lavoro. Si alternano
posizioni ottimistiche a posizioni pessimistiche, fino alla riemersione, in quest'ultimo caso, delle ipotesi di
piani alternativi qualora si aggravino le difficoltà. Intanto, viene confermato che la Grecia ha rimborsato al
Fondo monetario internazionale il prestito di 750 milioni. Per arrivare a un approdo, i più si sintonizzano sul
mese di giugno, escludendo che in questo mese di maggio i negoziati possano raggiungere un risultato
definitivo. Ma l'onere dei rimborsi si accrescerà nei prossimi mesi e il tempo previsto a febbraio (4 mesi) per
conseguire una intesa definitiva sul cosiddetto memorandum che sblocchi finalmente il prestito di 7,2 miliardi
si è fatto breve. Tutto spingerebbe a un'accelerazione, ma non del tipo di quelle già promosse negli scorsi
mesi e puntualmente non attuate perché intraprese con rispettive riserve mentali. Tuttavia l'elemento nuovo,
di cui ieri si è continuato a parlare, è la sortita del Ministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble, che
lunedì ha aperto al referendum di cui tempo fa aveva parlato Alexis Tsipras per l'ipotesi in cui le trattative
arrivassero a una conclusione che il Governo non si sentisse in grado di sottoscrivere senza avere prima
interpellato gli elettori. È emersa subito la differenza di comportamento rispetto a quello tenuto dalla stessa
Germania quando Georges Papandreou, allora capo dell'Esecutivo ellenico, aveva minacciato di promuovere
lo svolgimento di un referendum sulla permanenza nell'euro, immediatamente attirandosi il duro contrasto di
diversi paesi dell'area della moneta unica, a cominciare dalla Germania. Allora si temeva, e a ragione
ancorché si vulnerasse l'autonoma determinazione del governo e del popolo ellenici, che il referendum
avrebbe causato gravi danni alla stessa Grecia i quali, con l'effetto di imitazione, si sarebbero riverberati sugli
altri paesi dell'area, in una fase in cui non esistevano tutte le misure e i meccanismi protettivi che dopo sono
stati introdotti. Oggi, invece, sembra che le parti si siano invertite ed è la Germania a prospettare l'iniziativa
referendaria, sia pure con l'intento di verificare se i greci siano disposti ad accettare ciò che, a detta del
Ministro germanico, è necessario fare ovvero vogliono qualcosa di diverso. A ben vedere, si tratta di un
tentativo di spiazzamento nel negoziato, compiuto per controbattere all'evocazione del referendum da parte
della delegazione ellenica la quale, ora, afferma, invece, che il ricorso a questo strumento non serve, anche
se resta in piedi la possibilità di un suo impiego. In effetti, seguire ora il consiglio di Schaeuble
significherebbe avviarsi in un percorso di cui non si conosce lo sbocco, che potrebbe essere anche quello di
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finire in un burrone: da questo punto di vista, la sollecitazione tedesca è, sì, un mezzo tattico, ma è anche
una sfida al senso di responsabilità che troppo leggermente è stata mossa. Al punto in cui siamo arrivati, non
sono ammissibili tattiche della specie, per di più praticate dall'austera Germania e con una buona dose di
trasformismo, à la Fregoli. Ora, bisogna giocare a carte scoperte, se è vero l'intento di tutti di arrivare alla
conclusione del negoziato. Le distanze, di cui ha parlato l'Eurogruppo, si annullano se si percorre l'unica
strada praticabile, quella di un compromesso sui predetti temi, le pensioni e il lavoro, nel quale entrambe le
parti rinuncino ad aspetti non secondari delle rispettive posizioni, senza ricorrere a tatticismi e a ipotesi
revansciste. Altra scelta non sussiste, se non quella di procedere con una intesa parziale subordinando lo
sblocco totale del menzionato prestito a un successivo accordo globale. E ciò, come del resto anche nel caso
di una intesa completa, richiede che, a fianco dei tecnici e dello stesso Eurogruppo, scendano in campo i
responsabili politici delle istituzioni creditrici e che la Bce, per sua natura istituzionale, quella meno legata a
tutele ed egoismi nazionali, agisca da catalizzatore di una accordo nei modi in cui le condizioni reali lo
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Numero 092, pag. 20 del 13/05/2015
COMMENTI & ANALISI
Contrarian
Ben venga una riforma europea dei controlli bancari e finanziari
Ha avuto un riflesso forse eccessivo il richiamo che lunedì 11 ha fatto il presidente della Consob, nella sua
relazione annuale, alle bolle speculative. In effetti è stato molto cauto al riguardo e, partendo dall'enorme
liquidità affluita sui mercati borsistici in conseguenza del quantitative easing della Bce che ha contribuito a
innalzare in maniera repentina il valore dei corsi azionari, ha rilevato che la crescita del rapporto prezzi/utili
potrebbe rappresentare un segnale di rischio circa la possibilità che si formino bolle. Insomma, non il monito
di cui molti hanno scritto, ma un caveat con molti condizionali. Non sta, dunque, in
questo rischio la parte più interessante della relazione di Giuseppe Vegas che, invece, è
concentrata soprattutto nella critica nei confronti della proliferazione delle norme che
disciplinano l'attività dei regolatori europei nella materia del credito e del risparmio, della
pluralità di questi soggetti, dell'enfasi eccessiva posta sulla tutela della stabilità delle
banche e, in specie, sulla crescente richiesta di aumenti delle dotazioni patrimoniali,
nella indicazione dei presupposti per una vera capital markets union, nelle misure da
affrontare per le medie e piccole imprese. Se si guarda alla superfetazione delle leggi e,
soprattutto, alla condizione di assenza di par condicio in cui si trovano le banche italiane e, poi, ai primi mesi,
incerti e confusi, della Vigilanza europea accentrata, il giudizio che se ne deve trarre è negativo. Ormai,
estendendosi le critiche anche da parte di autorità istituzionali, stupisce che si tardi ancora a porre rimedio. È
singolare che la stessa Bce consideri ciò che avviene nel braccio della Vigilanza, ossessivamente
concentrata nell'unico compito che ritiene proprio, quello della richiesta di dotazioni aggiuntive di capitale, e
non si dia carico di agire per dettare una correzione che attiene alla filosofia di fondo dell'esercizio di una
funzione cruciale. Questa, in teoria, è esercitabile con l'intento di volere conseguire la sicurezza massima in
chiave meramente burocratica oppure avendo presente la tutela della stabilità, ma in un equilibrio con l'altro
obiettivo, non meno importante: quello di fare affluire il credito all'economia. Le alte tradizioni della Vigilanza
di Bankitalia potrebbero fare scuola alle strutture corrispondenti della Bce. Optare per l'esclusivo primo
obiettivo denuncia un unilateralismo inaccettabile. A questo punto, dopo tante riflessioni ci sarebbe da
passare alle concrete realizzazioni. La parità normativa, con l'esigenza di avere un Testo unico della finanza
a livello europeo, esigenza declinabile anche per un Testo unico bancario, non può rimanere uno slogan, a
fronte del quale l'occhiutissima burocrazia brussellese si esercita nel porre ostacoli vedendo ovunque
violazioni del divieto degli aiuti di Stato e, per esempio, per quel che ci riguarda, anche nel progetto della
istituzione di una bad bank per la espulsione dai bilanci dei prestiti in sofferenza, qualora essa sia assistita da
garanzie pubbliche, che però sarebbero remunerate dai beneficiari. Il colmo è, poi, che nelle
Raccomandazioni che oggi emanerà la Commissione Ue si richiederebbe proprio la realizzazione di un
meccanismo, o qualcosa di simile, per affrontare il problema dei crediti deteriorati. La mano destra non
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saprebbe ciò che dice e fa la mano sinistra. Insomma, il tema della riforma dell'architettura europea dei
controlli bancari e finanziari e della relativa normativa è all'ordine del giorno.
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PRIMO PIANO 13 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore
Lo scambio
L’agenda e il timing delle priorità sono state decise di fatto a Bruxelles nella due
giorni dell’Eurogruppo/Ecofin dal ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan,
d’intesa con il responsabile per gli Affari economici, Pierre Moscovici, e il
vicepresidente dell’esecutivo comunitario Valdis Dombrovskis. Continua pagina? 2
di Dino Pesole
Continua da pagina 1 Si delinea una sorta di scambio, cui evidentemente il governo
non può sottrarsi: clausola di flessibilità europea da concedere grazie alle riforme (se
pienamente attuate), che per l’Italia vale uno “sconto” di 6,4 miliardi nel 2016, ma
soluzione rapida e credibile per il nodo pensioni. Soluzione rapida vuol dire decreto in
tempi ragionevolmente brevi, preferibilmente in settimana e dunque con il Consiglio
dei ministri di venerdì. Accelerazione obbligata che Matteo Renzi avrebbe volentieri
evitato.
Tempistica a parte, appare evidente che a Bruxelles Padoan è entrato nel merito con
Moscovici e Dombrovskis anche sulle ipotesi allo studio relativamente alle modalità
di restituzione delle somme a 5,5 milioni di pensionati, e sulle coperture che il
governo si accinge a individuare per un impatto sui conti del 2015 che, stando alle
ultime indicazioni, dovrebbe attestarsi attorno ai 3,5 miliardi. Da questo punto di vista,
la partita è tuttora in corso e la strada resta stretta. Non sembrano emergere obiezioni
all’utilizzo di un piccolo margine di deficit nell’anno in corso (1,6 miliardi), poiché
comunque verrebbe confermato il target che nel Def è fissato al 2,6 per cento. Si
ricorrerebbe in sostanza all’ex “tesoretto”, ricavato nello spazio tra l’obiettivo di
deficit tendenziale e deficit programmatico. Quanto all’ipotesi di utilizzare come
ulteriore forma di copertura per questa prima tranche di rimborsi parte degli incassi
attesi dal rientro dei capitali attraverso la voluntary disclosure (al momento non cifrati
dal governo), la partita appare più complessa, poiché si tratterebbe comunque di una
copertura una tantum utilizzata ex ante, prenotando incassi la cui effettiva
realizzazione potrà essere verificata solo a fine anno. Potrà soccorrere una nuova
«clausola di salvaguardia», concepita questa volta con un meccanismo inverso a
quello previsto per evitare l’aumento dell’Iva dal 2016. Qualora quei maggiori incassi
non si realizzassero in parte o in tutto, questa volta potrebbero scattare tagli automatici
alla spesa di pari importo.
Si ragiona e si tratta dunque sulle coperture, passaggio fondamentale per non rischiare
di perdere i benefici della flessibilità europea. E si procede a tappe. L’accelerazione
l’ha impressa lo stesso Padoan quando in conferenza stampa al termine dell’Ecofin ha
annunciato l’immediato ritorno a Roma «per incontrare i tecnici e poi il presidente del
Consiglio e chiudere la questione il più presto possibile». L’altro impegno che Padoan
ha assunto, anch’esso al momento invalicabile, è una sorta di clausola di garanzia: la
manovra che il governo si accinge a mettere in campo per far fronte agli effetti della
Consulta dovrà comunque garantire il rispetto di «tutti i parametri di finanza
pubblica». Lo si può fare solo spalmando il costo dei rimborsi e della conseguente
rivalutazione delle pensioni in più esercizi.
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Dino
Pesole
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PRIMO PIANO 13 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore
I «SUGGERIMENTI»
Raccomandazioni per l’Italia su tasse, lavoro, credito, servizi, reti infrastrutturali, pubblica amministrazione, innovazione e istruzione
Commissione Ue. Competitività nel mirino
Bruxelles all’Italia: sei raccomandazioni,
dialogo sulle pensioni
BRUXELLESLa Commissione europea pubblicherà oggi raccomandazioni-paese che non vogliono essere né punitive né cattedratiche. Rispetto al passato, i suggerimenti dovrebbero essere più mirati, anche nel tentativo di renderli più facili da rispettare. L’Italia riceverà un via libera complessivo sulla politica economica del governo, sia sul fronte delle riforme che su quello del bilancio, anche se il nodo pensionistico, provocato dalla recente sentenza della Corte costituzionale, non mancherà di essere citato.L’obiettivo di Bruxelles è di indirizzare, incanalare le strategie economiche nazionali per meglio accompagnare gli sforzi verso una modernizzazione degli stati membri. La Commissione europea presieduta dal presidente Jean-Claude Juncker ha scelto negli scorsi mesi di modificare l’atteggiamento di Bruxelles nei confronti dei Ventotto. Non parla più di consolidamento di bilancio, ma di responsabilità di bilancio, e l’obiettivo è di accompagnare la ripresa.L’Italia conterà con ogni probabilità sei raccomandazioni-paese, come la Francia e la Croazia. «Il numero di suggerimenti non deve essere considerato un metro per valutare se la Commissione è particolarmente critica», spiega un funzionario comunitario. «È semplicemente funzione da un lato delle promesse di riforma del governo, e dall’altro dell’ampiezza del cantiere nel processo di modernizzazione dell’economia». A differenza che in passato, si è voluto cercare sintonia tra Bruxelles e Roma.I suggerimenti all’Italia dovrebbero servire a migliorare la competitività del paese, in ritardo cronico, e riguardare tra le altre cose la tassazione (alleggerendo le imposte sul lavoro trasferendo l’imposizione sulle proprietà); il riassetto del settore creditizio (troppo spezzettato); il mercato del lavoro e la contrattazione collettiva; il mercato dei servizi; le reti infrastrutturali; l’innovazione e l’istruzione; la pubblica amministrazione (si veda il Sole 24 Ore del 7 maggio scorso).Nel suo pacchetto, la Commissione farà propri gli obiettivi di bilancio dell’Italia (2,6% del prodotto interno lordo di deficit quest’anno, 1,8% nel 2016) così come i target di aggiustamento del disavanzo strutturale (0,25% e 0,1%). Bruxelles darà il suo benestare a una riduzione limitata del deficit strutturale l’anno prossimo, applicando le nuove regole sulla flessibilità di bilancio che consentono di ridurre gli impegni di bilancio in presenza di sforzi sul fronte delle riforme.Con l’occasione, l’esecutivo comunitario sottolineerà che l’Italia ha accesso alle nuove regole sulla flessibilità di bilancio purché rispetti le sue promesse di riforma e i suoi obiettivi di deficit, alla luce anche dell’elevatissimo debito pubblico. In questo senso, Bruxelles prenderà per buone le garanzie del governo, dopo che la Consulta ha ritenuto priva di validità la scelta di abolire l’indicizzazione all’inflazione di alcune pensioni. La sentenza provocherà un aumento dei costi per l’esecutivo.Ieri ancora il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ha assicurato qui a Bruxelles che «il governo sta lavorando per una soluzione che minimizzi l’impatto sulla finanza pubblica e permetta di rispettare tutti i parametri di finanza pubblica, come scritto nel Documento economico e finanziario». Il ministro ha incontrato lunedì il vertice della Commissione per discutere della questione. «Non è stato necessario mettere l’Italia sotto pressione», ha precisato ieri un alto responsabile europeo.Tornando alla strategia più complessiva dell’esecutivo comunitario, l’obiettivo di Bruxelles è di promuovere l’investimento; riformare il mercato dei servizi e dei prodotti; permettere una responsabilità di bilancio che non pesi sulla crescita economica; e migliorare le politiche favorevoli all’occupazione. La Commissione Juncker vuole appoggiare i governi nel loro sforzo economico, e teme che un atteggiamento troppo cattedratico possa stuzzicare le tensioni nazionalistiche.© RIPRODUZIONE RISERVATABeda Romano
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PRIMO PIANO 13 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore
IL RITORNO DI
COTTARELLI Il direttore esecutivo per l’Italia conferma l’attenzione alla questione previdenziale. Petya Koeva-Brooks nuova guida della delegazione
Missione. Lunedì la «lettera» al governo. Al centro dell’analisi le prospettive del Paese e la politica di bilancio: nel mirino anche i costi delle pensioni in essere
Ispettori Fmi a Roma, spesa previdenziale sotto
la lente
ROMASono a Roma da una settimana e consegneranno al ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan la consueta “lettera” al Governo italiano non più tardi di lunedì 18 maggio. Alla guida dei super ispettori del Fondo monetario internazionale, nella loro missione annuale ex articolo IV dello statuto, questa volta c’è una donna: non sarà quindi l’economista Kenneth Kang a tirare le fila delle serrate conversazioni tenute con gli esponenti di tutti i think tank che contano, oltre che, come sempre, con quelli del Tesoro e di Banca d’Italia. Il compito spetterà invece a Petya Koeva-Brooks : grande esperta di questioni europee e di previsioni, una laurea in matematica e un Phd in economia al Massachussets Institute of Technology, toccherà a lei fare il punto sulle prospettive del nostro paese e su quelle della sua politica di bilancio. E, naturalmente, come ha chiarito ieri il direttore esecutivo per l’Italia del Fmi Carlo Cottarelli, al centro delle loro riflessioni in questo momento c’è la questione previdenza. «La missione del Fondo monetario è in corso e il tema delle pensioni è importante e viene ovviamente discusso» ha dichiarato ieri confermando che lunedì prossimo ci sarà il final statement. Per la verità già l’anno scorso in autunno Kenneth Kang osservava che nel nostro paese gli sforzi per tagliare la spesa pubblica, dai quali dipende la necessaria riduzione delle imposte, difficilmente potranno avere successo senza affrontare la spesa pensionistica e in particolare quella per le pensioni già in essere, dato che le riforme già approvate porteranno la spesa previdenziale futura ai livelli più bassi nell’area dell’euro.La sostenibilità della spesa previdenziale italiana nel lungo termine è fuori discussione, sottolineano d’altra parte al Tesoro, dove si cita il rapporto sull’invecchiamento della popolazione Ue pubblicato dalla Commissione, secondo il quale in Italia la spesa pensionistica passerà dal 15,7% del Pil nel 2013 al 15,8% nel 2040 al 13,8% nel 2060. Il rapporto afferma che da noi vi sarà un aumento della spesa previdenziale fra il 2013 e il 2040 pari allo 0,1% del Pil, mentre nell’intero arco temporale compreso fra il 2013 e il 2060 si verificherà invece un calo dell’1,9%. Sta di fatto, però, che è il breve termine, in questo momento, il problema da risolvere per l’Italia, con la necessità di minimizzare il rischio- voragine sui conti pubblici innescato dalla sentenza della Corte costituzionale. Più in generale, il punto è capire se alla luce della valutazione delle riforme strutturali(e della soluzione adottata di qui all’inizio della settimana prossima per contenere il buco di finanza pubblica) gli esperti di Washington, sin qui molto prudenti, decideranno di rivedere al rialzo le loro valutazioni sulle prospettive dello sviluppo in Italia. È la crescita, infatti, il toccasana necessario per il nostro paese, anche per avviare una discesa senza traumi dello stock del debito pubblico. Finora le previsioni di Washington vedono un incremento di prodotto dello 0,5% quest’anno e un rapporto deficit- Pil al 2,6%, mentre nel 2016 il Pil dovrebbe aumentare solo dell’1,1% .Il Def, invece, prevede, come si sa, un aumento del prodotto dello 0,7 %nel 2015 e dell’1,4% l’anno prossimo, con un deficit che per quest’anno tendeva al 2,5%. Prima della “mina”prodotta dalla Corte.© RIPRODUZIONE RISERVATA Rossella Bocciarelli
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PRIMO PIANO 13 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore
A CACCIA DI LIQUIDITÀ Il governo è pronto ad aumentare del 16% la quota da privatizzare del Porto del Pireo, attualmente fissata al 51%
L’ULTIMO RIMBORSO ALL’FMI 750 MILIONILa Grecia ha pagato ieri, ma si avvicinano nuove scadenze
IL DEBITO PUBBLICO180,2 %L’indebitamento in rapporto al Pil è cresciuto ancora
Atene attinge alle riserve Fmi
Per pagare la rata di maggio usato il denaro depositato presso il Fondo
Il governo greco ha rimborsato la rata del prestito da 750 milioni di euro dovuta ieri al Fondo monetario internazionale utilizzando però 650 milioni di euro di riserve Sdr (diritti speciali di prelievo) detenute presso lo stesso istituto di Washington, che avrebbe acconsentito a causa della grave crisi di liquidità nella quale versa Atene. È quanto hanno riferito fonti dell’esecutivo ellenico, le quali specificano che le riserve Sdr andranno ricostituite in «alcune settimane».Insomma, è stato un pagamento che ha risolto un problema ma che ne ha aperto un’altro nelle casse di Atene. Intanto il governo Tsipras ha rastrellato fondi per un totale di 600 milioni di euro dagli enti pubblici. La cifra è stata resa nota sempre dall’esecutivo ellenico in una nota facendo riferimento al decreto varato ad aprile dal premier Tsipras che ha imposto agli enti statali e locali (ma non ai fondi pensione) di trasferire le proprie riserve di liquidità alla Banca centrale della Grecia per coprire le esigenze di cassa di breve termine. Dopo l’Eurogruppo di martedì a Bruxelles che ha praticamente lasciato Atene nel limbo con la liquidità che continua a ridursi, fonti spagnole, riportate dal quotidiano El Mundo affermano che l’Fmi non sia molto disponibile a partecipare a un terzo salvataggio della Grecia. I motivi? Secondo il quotidiano spagnolo, all’Eurogruppo l’Fmi avrebbe manifestato le proprie riserve a mettere mano a nuovi aiuti, stimati in 50 miliardi, per la scarsa volontà di Atene ad attuare i correttivi richiesti e la scarsa volontà degli europei a ridurre il peso del debito greco che viaggia al 180,2% del Pil.Proprio sul tema di possibili finanziamenti alternativi ad Atene è filtrata la notizia dalla Grecia che Serghej Storchak, il vice ministro delle Finanze russo, avrebbe offerto nel corso di una telefonata lunedì ad Atene di accedere alla cosiddetta banca dei Brics, l’istituto di credito formato da Russia, Cina, Brasile, India e Sudafrica con riserve pari a 100 miliardi di dollari. L’adesione andrebbe discussa a giugno al vertice di San Pietroburgo. Il governo di Atene si è detto grato dell’offerta ma si è riservato di dare una risposta a breve. La proposta creerebbe nuova tensione tra la Grecia e i suoi alleati occidentali oltre a quella già sorta sulle sanzioni per la crisi ucraina.Anche Carlo Cottarelli, attuale direttore esecutivo per l’Italia e anche per Atene all’Fmi, è intervenuto a Roma sulla delicata questione: «C’è stato il pagamento nei confronti del Fondo Monetario e anche questo ostacolo è superato. Adesso vediamo la discussione delle prossime settimane, perché a giugno e luglio c’è in ballo l’ammontare più grosso» del prestito che la Grecia deve rimborsare al Fondo. La Bce proprio ieri ha nuovamente alzato, di 1,1 miliardi, portandolo a 80 miliardi, il tetto della liquidità di emergenza (Ela) concessa agli istituti di credito ellenici attraverso la Banca centrale greca e nello stesso tempo non ha aumentato l’haircut sui collaterali. Nonostante la boccata d’ossigeno Atene resta in difficoltà sul fronte della liquidità e ora sta cercando di allargare l’offerta per la privatizzazione del Pireo. Il governo greco chiederà questa settimana al gruppo di pretendenti in short list per la privatizzazione di presentare offerte riviste per una quota del 51% del più grande porto della Grecia: Atene prevede di offrire al vincitore un’ulteriore quota del 16% nel corso dei prossimi cinque anni. Lo ha riferito un funzionario del governo. Il precedente esecutivo conservatore della Grecia aveva stabilito di vendere una quota del 67% della Piraeus Port Authority. Il nuovo governo, guidato dal partito di sinistra Syriza salito al potere il 25 gennaio, aveva deciso di ridurre le dimensioni della partecipazione ad un’offerta per il 51 per cento. Il Consiglio dell’autorità per le privatizzazioni dovrebbe incontrarsi a breve per completare il processo di offerta che dovrebbe includere un ulteriore 16% da assegnare al vincitore dell’asta in quattro quote uguali nell’arco dei prossimi cinque anni. Cioè il 67% del Pireo.© RIPRODUZIONE RISERVATAVittorio Da Rold
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Lo scambio
Rendimenti in rialzo sui titoli di Stato
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PRIMO PIANO 13 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore
SCADENZE Il rischio di un default nelle prossime settimane è legato essenzialmente ai rimborsi dovuti alle due istituzioni sovranazionali
I rischi per Bce e Fondo
Le ultime ore hanno portato un minimo di respiro alla situazione di liquidità della Grecia, ma è un sollievo che non è destinato a durare.Continua pagina 6 di Alessandro Merli
Continua da pagina 1 dopo che, lunedì, l’Eurogruppo ha riconosciuto qualche progresso nel negoziato con Atene, il Governo ha annunciato di aver rimborsato 750 milioni di euro al Fondo monetario, evitando un pericoloso default, ma, è emerso ieri, utilizzando riserve detenute presso lo stesso Fmi. La Banca centrale europea ha inoltre concesso ieri un’ulteriore estensione, di 1,1 miliardi di euro, della liquidità di emergenza per le banche elleniche attraverso lo sportello Ela, portando il totale a 80 miliardi ed ha per ora evitato di alzare lo scarto di garanzia, il cosiddetto haircut, sulle operazioni di rifinanziamento delle banche, dando credito alle conclusioni dell’Eurogruppo. Gli istituti di credito greci restano sotto pressione: secondo cifre delle Banca centrale nazionale, nel mese di aprile, il calo dei depositi è stato di circa 7 miliardi di euro.Alla Bce vogliono evitare di staccare la spina alla Grecia mentre il negoziato politico è ancora in corso, a maggior ragione ora che dalla riunione di Bruxelles di lunedì è venuto un piccolo spiraglio. Per la verità, il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble, ha parlato ieri di «miglioramento dell’atmosfera», ma di «non molto di nuovo nella sostanza». Il consiglio Bce, che ieri ha preso la sua decisione con una consultazione telefonica, tornerà a riunirsi fisicamente il 20 maggio e rivedrà la situazione. Anche se probabilmente esiste una maggioranza per aumentare l’haircut (il che vorrebbe dire per le banche presentare maggior collaterale, di cui per ora dispongono, per ottenere gli stessi fondi), è richiesto il voto dei due terzi del consiglio e la Bce non vuole forzare la mano mentre la trattativa fra i creditori e Atene è in corso.È emerso però che per ripagare l’Fmi (si tratta del rimborso di parte del prestito concesso nel 2010, nell’ambito del primo salvataggio di Atene) il Governo greco ha dovuto fare ricorso, per circa 650 miliardi di euro, alle riserve che detiene presso il Fondo monetario stesso e che possono essere utilizzate solo in casi di estrema emergenza e devono essere poi reintegrate nel giro di qualche settimana. Con questa operazione, le riserve della Grecia presso il Fondo, che a fine marzo ammontavano a circa 700 miliardi di euro, sono quasi azzerate.Anche se nel frattempo il Governo ha ottenuto anche 600 milioni di euro dalle amministrazioni locali, la mossa dà il senso della drammatica situazione della liquidità disponibile. «La questione della liquidità è molto urgente», ha detto il ministro greco Yanis Varoufakis, ammettendo che le risorse del Governo potrebbero essere esaurite nel giro di un paio di settimane. Nel 2015, la Grecia deve ancora rimborsare all’Fmi circa 7 miliardi di euro, di cui 1,5 miliardi a giugno e altri 450 milioni a luglio. Inoltre, nei soli mesi di luglio e agosto, deve rimborsare 6,7 miliardi di euro alla Bce: si tratta della scadenza di parte dei titoli greci acquistati dall’istituto di Francoforte fra il 2010 e il 2012, in base al programma Smp per sostenere il mercato del debito dei Paesi dell’eurozona in crisi. A queste cifre devono aggiungersi i rimborsi dei Buoni del Tesoro a breve in scadenza e i pagamenti degli stipendi e delle pensioni.Il negoziato in corso è finalizzato a sbloccare 7,2 miliardi di euro che non sono ancora stati erogati dai precedenti salvataggi, ma è oramai evidente che la Grecia avrà bisogno di ulteriore soccorso esterno, sotto forma di un terzo pacchetto. Secondo indiscrezioni raccolte ieri dal giornale spagnolo “El Mundo”, il Fondo monetario sarebbe incline a non partecipare a un’ulteriore operazione a favore della Grecia. Dentro l’Fmi è da tempo palese l’insoddisfazione per una vicenda nella quale l’istituzione di Washington ha un ruolo decisionale secondario rispetto ai partner europei. Il vertice del Fondo si è inoltre trovato nel mirino degli altri azionisti,
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Sì di Berlino al referendum greco
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soprattutto i grandi Paesi emergenti, per l’esposizione eccessiva nei confronti di Atene, giudicata politicamente motivata e in violazione delle regole dell’Fmi.© RIPRODUZIONE RISERVATAAlessandroMerli
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MF
Numero 093, pag. 5 del 14/05/2015
PRIMO PIANO
Il pil nel primo trimestre diminuisce dello 0,2% dopo il -0,4% di quello precedente
La Grecia torna in recessione
Varoufakis: non sarà introdotta una moneta parallela per pagare i dipendenti pubblici. Boom delle vendite di auto (+47%) per i timori di inflazione legati al ritorno alla dracma e al sequestro dei depositi
di Marcello Bussi
La Grecia è tornata in recessione. Nei primi tre mesi dell'anno il pil è infatti diminuito dello 0,2% rispetto al
trimestre precedente, quando il calo era stato dello 0,4%. Un dato che complica ulteriormente la crisi ellenica.
Nonostante questo, i creditori della Grecia chiedono al governo guidato da Alexis Tsipras ulteriori tagli alla
spesa per circa 3 miliardi di euro entro fine anno in modo da portare il surplus primario appena sopra l'1% del
pil nel 2015, un livello che il ministro dell'Interno Nikos Voutsis ha definito «accettabile». Intanto il tempo
passa e non si fanno passi in avanti nei negoziati. E così i greci continuano a ritirare i
loro risparmi dalle banche nel timore che venga riservato loro un trattamento alla
Cipro, ovvero chiusura delle banche per diversi giorni, controllo dei movimenti di
capitale e requisizione delle somme superiori ai 100 mila euro depositate sui conti
correnti (ma per i clienti di certe banche si è andati anche sotto questa somma).
Questo sta avendo degli effetti curiosi, che rischiano di essere male interpretati, più o
meno in buona fede. Sta facendo, per esempio, scalpore il boom delle vendite di auto
in Grecia, che ad aprile sono aumentate addirittura del 47%. Aumenti simili sono stati
riscontrati l'anno scorso in Russia quando l'anno scorso si è verificato il crollo del rublo e anche a Cipro poco
prima della chiusura forzata delle banche. Si può dire che ormai sia una legge in tempi di crisi finanziaria: chi
dispone ancora di una certa quantità di risparmi ne investe
buona parte, se non tutti, per comprare in contanti dei beni
durevoli, come appunto le automobili. Il ragionamento è: ho
bisogno di un'auto e la compro subito perché domani rischio
di non potermela più permettere a causa dell'alta inflazione
(facile immaginare di quanto aumenterebbero i prezzi con un
ritorno alla dracma) o perché mi sequestrano parte dei
risparmi. Qualcuno potrà obiettare che le auto si svalutano
rapidamente, ma disporre di una vettura nuova è sempre
meglio che vedersi requisire i risparmi per ripianare i buchi delle banche. L'incertezza sul destino della Grecia
è altissima e ieri il ministro delle Finanze, Yanis Varoufakis, ha assicurato che non si sta preparando
l'introduzione di una moneta parallela all'euro per pagare i dipendenti pubblici. Voci in questo senso si erano
intensificate nei giorni scorsi. E in un'intervista al quotidiano tedesco Handelsblatt Thomas Mayer, ex capo
economista di Deutsche Bank, che già aveva proposto una moneta parallela per la Grecia nel 2012, ha detto
di avere incontrato ad Atene alla fine di aprile Tsipras e Varoufakis proprio per parlare della sua «precedente
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proposta di una moneta parallela». Come ha osservato Daniele Antonucci di Morgan Stanley, Syriza, il partito
di Tsipras, «vuole restare nell'euro, mantenere il potere e annullare il programma di salvataggio per quanto
riguarda per esempio il mercato del lavoro e le pensioni. Questa è una trinità impossibile, dovranno per forza
rinunciare a una delle sue componenti». Detta così, sembra probabile che alla fine Tsipras sarà costretto a
cedere sul fronte delle pensioni e del mercato del lavoro. (riproduzione riservata)
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PRIMO PIANO 14 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore
Ue: ok alla flessibilità per l’Italia
Ancora squilibrio eccessivo sul debito: necessari monitoraggio e misure decisive
ROMA
La Commissione europea ha presentato ieri nuove raccomandazioni-paese nelle quali
ha fatto propri gli obiettivi di bilancio e di riforma del Documento economico e
finanziario del governo italiano. Per quanto riguarda il 2016, Bruxelles ha confermato
di accettare che l’Italia riduca il deficit strutturale di appena lo 0,1% del prodotto
interno lordo, ma ha alluso al rischio che il paese non riesca a raggiungere questo
obiettivo, alla luce tra le altre cose di una crescita che potrebbe deludere.
I suggerimenti all’Italia devono servire a migliorare la competitività del paese, in
ritardo cronico, e riguardano il risanamento di bilancio; la tassazione (alleggerendo le
imposte sul lavoro «ancora eccessivamente elevate»); il riassetto del settore creditizio
(troppo spezzettato); il mercato del lavoro e la contrattazione collettiva; il mercato dei
servizi e l’ambiente economico; le reti infrastrutturali; l’innovazione e l’istruzione; la
modernizzazione della pubblica amministrazione.
A differenza che nel recente passato, le raccomandazioni di quest’anno sono
tendenzialmente in sintonia con gli impegni del governo italiano. Non per altro, il vice
presidente della Commissione europea Valdis Dombrovskis ha definito il programma
italiano «intenso e ambizioso». Beneficiando di magnanimità sul fronte della
correzione del deficit, il governo «deve continuare il proprio lavoro e adottare le
misure promesse nei campi della pubblica amministrazione, del lavoro e del fisco».
«Nel 2016, l’Italia dovrebbe migliorare il suo saldo strutturale di almeno lo 0,1% del
Pil, tenuto conto della deviazione accettata sulla base della clausola delle riforme», si
legge nel documento presentato dall’esecutivo comunitario. «Ciò detto, stando così le
cose, le previsioni della Commissione mostrano un deterioramento del Pil dello 0,2%
dal quale emerge il rischio di una qualche forma di deviazione. Di conseguenza,
ulteriori misure saranno necessarie».
Bruxelles lascia aleggiare il dubbio che l’Italia non riesca a mettere a segno un taglio
strutturale del disavanzo dello 0,1% l’anno prossimo. La presa di posizione è per certi
versi di prammatica. Si basa su differenti proiezioni economiche tra Roma e Bruxelles,
e in assenza ancora di una qualsiasi bozza di Finanziaria per l’anno prossimo: mentre
il ministero dell’Economia prevede per il 2016 un disavanzo nominale dell’1,8%, la
Commissione si basa su un deficit sempre nel 2016 del 2,0% del Pil.
Secondo Bruxelles, l’Italia deve utilizzare eventuali eccessi di bilancio (windfalls in
inglese, tesoretti) per ridurre l’indebitamento. D’altro canto, il debito continua ad
essere uno squilibrio eccessivo che richiede «misure decisive» e «monitoraggio
specifico». In una ottica italiana, l’importante è che l’esecutivo comunitario abbia
fatto propri obiettivi di finanza pubblica modesti, nonostante l’elevatissimo debito
pubblico, accettando nei fatti un risanamento più morbido in cambio di riforme più
incisive.
Per quanto riguarda la recente sentenza della Corte costituzionale, che considera priva
di validità la scelta del governo di abolire l’indicizzazione all’inflazione di alcune
pensioni, Bruxelles si attiene alle promesse di Roma di rispettare gli impegni di
bilancio. La Commissione ha chiesto ieri all’Italia di compensare «in modo
appropriato» i nuovi costi permanenti derivanti dalla sentenza in modo da mantenere il
deficit sotto al 3,0% del Pil e comunque da raggiungere il pareggio di bilancio entro i
termini previsti.
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A pag 33 Le raccomandazioni bancarie
Beda Romano
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FINANZA & MERCATI 14 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore
Credito. Bruxelles in pressing per migliorare la governance
La Ue chiede all’Italia interventi su sofferenze e
ruolo delle Fondazioni
BRUXELLES
Il riassetto del settore bancario italiano, oberato da miliardi di euro di sofferenze e
crediti inesigibili, è diventato agli occhi della Commissione europea una urgente riforma
strutturale a sé stante. Nelle sue raccomandazioni-paese pubblicate ieri, l'esecutivo
comunitario suggerisce misure precise al governo italiano con l'obiettivo di liberalizzare
il settore economico, e soprattutto di alleviarne i bilanci per rilanciare l'economia
nazionale.
Per quanto riguarda le sofferenze, Bruxelles nota che lo smaltimento degli attivi di
cattiva qualità sta avvenendo a un ritmo troppo lento, e che le vendite di queste attività
sono state limitate. «Ciò è dovuto in parte a un mercato del debito di cattiva qualità
sottoviluppato», si legge nel rapporto comunitario. Il Fondo monetario internazionale
stima che i crediti deteriorati in Italia ammontino a 300 miliardi di euro, pari al 17% dei
prestiti concessi dal settore bancario (si veda Il Sole/24 Ore del 29 aprile).
La Commissione europea chiede quindi all'Italia «misure vincolanti» entro la fine del
2015 per affrontare «le rimanenti debolezze nel governo societario delle banche».
Bruxelles si riferisce al fatto che le riforme sul ruolo delle fondazioni nelle banche
popolari e sulla situazione nelle banche coooperative sono state finora gestite con
accordi non vincolanti e scelte di natura auto-regolamentare. L'obiettivo della
Commissione è di imporre una liberalizzazione del settore creditizio.
In questa ottica va capita l'esortazione a «un’ulteriore consolidamento e
ristrutturazione» del mercato bancario. Il riassetto, secondo l'esecutivo comunitario, è
necessario «per migliorare l'efficienza dell'intermediazione finanziaria e sostenere la
ripresa economica». Secondo le ultime statistiche europee, nel 2013 l'Italia contava 611
banche, rispetto alle 579 francesi e alle 1.734 tedesche. Criticato non è solo il numero di
banche, ma anche la mancanza di logica del sistema bancario.
Le raccomandazioni della Commissione giungono in un momento particolare.
L'esecutivo comunitario sta negoziando con il governo italiano la nascita di una bad
bank in cui riversare le sofferenze bancarie in modo da alleggerire i bilanci creditizi e
consentire alle banche di rilanciare i prestiti alle società e alle famiglie. Nel contempo,
Bruxelles sta valutando se il modo in cui i crediti d'imposta sono calcolati nei bilanci
bancari italiani sia in realtà surettizi aiuti di Stato.
Su quest'ultimo aspetto, la Commissione è alle prese con una accesa discussione interna.
Da un lato c'è chi vuole difendere a tutti i costi le regole sulla libera concorrenza nel
mercato unico. Dall'altro, c'è chi teme che scelte drastiche possano comportare un
aumento dei costi per le banche e provocare nuova instabilità finanziaria. Gli ultimi
segnali, anche pubblici, lasciano intendere che quest'ultima linea di pensiero sta avendo
la meglio nelle deliberazioni della Commissione.
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Beda Romano
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MF
Numero 094, pag. 2 del 15/05/2015
PRIMO PIANO
Le scadenze date nelle raccomandazioni considerate uno sprone alle riforme
Fondazioni, la Ue detta i tempiBruxelles ha dato indicazioni che definisce più prescrittive, ma coordinate con il Paese. Le date, spiega una fonte interna alla Commissione, puntano a dare attuazione a quanto già concordato
di Andrea Pira
È tutta una questione di tempi, che la Commissione europea vorrebbe certi e rapidi. Una delle novità delle
raccomandazioni-Paese del Consiglio europeo agli Stati membri della Ue è infatti, oltre a una maggiore
specificità, l'indicazione di una scadenza temporale per la loro attuazione. In quest'ottica va letto quel «entro
la fine del 2015» che la Ue sottolinea chiedendo di introdurre
«misure vincolanti» in materia di banche e mettendo nel
mirino governance e ruolo delle fondazioni. A Bruxelles
hanno presente il protocollo di autoriforma firmato il 22 aprile
scorso dal ministero dell'Economia e dall'Acri, l'associazione
che raccoglie fondazioni e casse di risparmio presieduta da
Giuseppe Guzzetti. La firma è arrivata un mese dopo il
rapporto Paese stilato a marzo dove ancora si può leggere;
«Non vi è stato finora alcun intervento specifico di revisione del ruolo delle Fondazioni nel settore bancario
italiano». Il progetto impegna le Fondazioni a non superare la soglia del 33% per patrimonio in un unico
investimento. Il protocollo concede tre anni di tempo per l'adeguamento nel caso le partecipate siano società
quotate e cinque per le non quotate. Mentre in tema di governance le Fondazioni si impegnano, tra l'altro, ad
applicare criteri stringenti. L'intesa dà inoltre 12 mesi di tempo per l'adeguamento degli statuti al protocollo. Il
riferimento alla fine del 2015, spiega una fonte della Commissione europea, deve essere inteso come uno
sprone a portare avanti la riforma. D'altra parte, uno dei punti su cui il commissario per gli Affari Economici,
Pierre Moscovici, spinge è proprio l'adeguata attuazione delle riforme messe in cantiere, per le quali l'Italia
può usufruire della flessibilità nel rientro di bilancio. Il documento diffuso mercoledì è stato pertanto descritto
dalla Commissione come più «prescrittivo», perché dà delle scadenze, sebbene nato da un processo
«collaborativo» tra l'Europa e i governi nazionali. Ossia è stato chiesto al Paese quali aree prediligere. Nel
caso dell'Italia: scuola, lavoro e concorrenza. L'indicazione temporale resta inoltre l'unica per quanto riguarda
l'adozione di «provvedimenti per accelerare la riduzione generalizzata dei crediti deteriorati». Nei giorni scorsi
il ministro Pier Carlo Padoan si è detto convinto della possibilità di trovare un accordo con fiducioso che un
accordo con Bruxelles sulla Bad bank per la gestione delle sofferenze degli istituti, la Commissione non si
sbilancia. Le raccomandazioni non precisano infatti gli strumenti da adottare o come intervenire.
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Numero 094, pag. 2 del 15/05/2015
PRIMO PIANO
Quella Commissione distratta che ordina riforme giàfatte
di Giuliano Segre*
Nella giornata di mercoledì l'Unione Europea ha diffuso il testo della «Raccomandazione del Consiglio sul
programma nazionale di riforma dell'Italia 2015» [Com(2015) 262 final]. In esso, riepilogate nei primi nove
paragrafi le vicende del confronto Commissione-Italia e sviluppata una narrazione attenta delle politiche
attivate in Italia nel periodo ultimo, vi è una indicazione dei settori che a giudizio della Commissione
necessitano ancora di interventi importanti; fra questi al punto 18 (poi ripreso nelle raccomandazioni finali) lo
stato dei crediti bancari deteriorati. Conclusivamente poi il Consiglio raccomanda al governo e alle istituzioni
italiane di adottare nei prossimi diciotto mesi almeno sei importanti provvedimenti.
Alcuni partecipano delle scelte istituzionali della politica finanziaria e soprattutto economica: equilibrio di
bilancio, modernizzazione della PA e della giustizia civile, caratterizzazione del mercato del lavoro; crescita
della concorrenza in tutti i settori inclusi quelli pubblici. Due interventi sono invece caratterizzati proprio da
«istruzioni» specifiche: piano strategico sulla portualità e interventi di rafforzamento del capitale bancario a
ridurre il peso dei crediti deteriorati.
Su quest'ultimo punto il documento è chiaro: va rivisto «il ruolo delle fondazioni (e delle Bcc) definito
mediante accordi di autoregolamentazione di natura non vincolante». È un approfondimento che ha
dell'incredibile, poiché riecheggia toni da Piano Quinquennale – 1929 e seguenti: quello si che era vincolante,
mentre il percorso volontario di riforma di un settore, ben definito nella finanza italiana e titolare di alcune
decine di miliardi di patrimonio, non è sufficiente, poiché non è vincolante e quindi - ovviamente - andrà
regolato con la autorità della legge. Un bel passaggio per un governo sovranazionale che fa della tutela della
concorrenza la propria matrice ideale! Qui però vi è un truismo illegittimo: per ridurre i crediti deteriorati vi è
necessità di ristrutturazione del capitale bancario e perciò bisogna che in esso il ruolo delle fondazioni venga
riformato, magari per legge: ma non dovevano uscirne?
Insomma a livello europeo le Fondazioni creano proprio un fastidioso rumore di fondo e divengono parametro
di frequenti analisi e interventi. In effetti altrove non esiste un fenomeno analogo e interviene direttamente lo
Stato. Il lavoro avviato dalle Fondazioni, per quanto inverato da un protocollo con il ministero dell'Economia e
delle Finanze, non sembra sufficiente all'opinione politica e non è entrato nelle opportunità create da questo
governo. Forse addirittura il Protocollo non è giunto fino a Bruxelles: bisognerà quindi che parli la
realizzazione dei provvedimenti annunciati e su quella strada, semmai, vanno accettate quella
differenziazioni nel gruppo che mostrino a controllori disinformati la vera natura degli interventi per la società
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e per lo sviluppo che compiono in continuazione le Fondazioni più dinamiche.
*presidente Fondazione Venezia
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Numero 094, pag. 3 del 15/05/2015
PRIMO PIANO
Bruxelles recita due parti in commedia
di Angelo De Mattia
La Commissione Ue si presenta come un organo di governo e di lotta, a proposito del progetto italiano
dell'istituzione di una «bad bank» per la creazione di un mercato dei crediti bancari deteriorati. In una delle
Raccomandazioni per l'Italia, infatti, la Commissione osserva che lo smaltimento degli attivi di cattiva qualità
sta avvenendo a un ritmo troppo lento e che le vendite di queste attività sono limitate a causa di un mercato
del debito sottosviluppato. Di qui la necessità di una riforma che acceleri la dismissione dei crediti in
questione per alleggerire i bilanci degli istituti e contribuire così, con il rilancio dei prestiti, allo sviluppo
dell'economia. In sostanza, il riferimento è all'adozione di misure quale la bad bank od organismo similare
ovvero a strumentazioni giuridico-operative all'uopo funzionali. A questo punto, dal Governo italiano
bisognerebbe rispondere chiedendo se la Commissione raccomandante sia per caso la stessa (direttamente
o attraverso le sue burocrazie, come ha detto il ministro Pier Carlo Padoan) che finora sta ponendo ostacoli,
pretestuosi e formalistici, evocando il divieto di aiuti di Stato, alla istituzione di un veicolo della specie, con
l'assistenza calibrata di una garanzia pubblica da remunerare. Due parti confliggenti fra di loro ad opera dello
stesso organo non possono essere svolte; non è tollerabile. La Commissione faccia chiarezza in casa propria
prima di vestire i panni del maestro. E se non si decide a farlo, sia il Governo italiano a fare rilevare la
patente contraddittorietà di comportamento. E poi si dovrebbe pretendere che si passi al «via libera»
relativamente al progetto anzidetto, considerate le abbondanti qualificazioni, nella raccomandazione, sulla
situazione dei crediti deteriorati e sull'urgenza di provvedere con misure idonee. Ma la Commissione ha
chiesto pure che siano adottate misure vincolanti in materia di governance delle banche e, più in particolare,
per il ruolo delle Fondazioni, a proposito delle quali, è presumibile che la Commissione sia stata resa edotta
delle pregnanti misure introdotte con il Protocollo d'intesa Tesoro-Acri al quale hanno aderito sostanzialmente
tutti gli enti della categoria, sicché si attende ora il recepimento negli statuti delle norme contenute nel
Protocollo: il tutto sotto il controllo del vigilante ministero dell'Economia. Se questa informazione è stata data,
magari anche formalmente, dal Tesoro, non si capisce a cosa la Commissione intenda riferirsi, non potendosi
neppure più parlare di sola autoriforma delle Fondazioni perché, una volta introdotte negli statuti, le predette
norme sono vincolanti a tutti gli effetti. C'è, insomma, un dovere di serietà e di puntuale documentazione al
quale ottemperare prima di ammannire ricette e prescrizioni. La Commissione, poi, sollecita a un riassetto del
sistema bancario, promuovendo una nuova fase di consolidamento e di ristrutturazione. Anche in questo
caso occorrerebbe estrema chiarezza, non potendo essere il numero degli istituti il solo o il principale fattore
che sospinge, come sembra si vorrebbe, verso questa fase. Gli effetti della cosiddetta riforma delle Banche
popolari si tradurranno verosimilmente in alcune aggregazioni, dopo che saranno stati affrontati determinati
problemi connessi alla riforma stessa. Un'analoga riorganizzazione è ipotizzabile che avverrà con
l'autoriforma delle Bcc, che si spera venga tempestivamente definita, superando i contrasti che sono presenti
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anche nella categoria, ma mantenendo saldo il meglio della loro importante tradizione. Tuttavia nei rami alti
del sistema, al di là di alcuni limitati casi di possibili aggregazioni conseguenti a sostanziali ristrutturazioni
aziendali, non si riscontano i presupposti per un periodo di ristrutturazioni simile a quello promosso dalla
Banca d'Italia alla metà degli anni 90 del Novecento, non si può trattare di aggregazioni «per l'esserci», come
si sarebbe detto un tempo. L'argomento è complesso e non lo si affronta con un indirizzo dato in modo
general-generico. A maggior ragione se si declamerebbe, come pare, l'esigenza di una piena liberalizzazione
del sistema bancario, che invece, da tempo, sussiste. Pure in questo caso, c'è, allora, un problema di serietà,
anche perché la Commissione, prima di tentare di impartire indirizzi, farebbe bene a riflettere sugli ostacoli
che al sistema bancario provengono dalle sue strutture, dall'Eba o da una Vigilanza centralizzata che si sta
rivelando al di sotto delle pur non magnifiche aspettative. (riproduzione riservata)
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Numero 094, pag. 4 del 15/05/2015
PRIMO PIANO
Lunedì il trilogo si riunisce per dibattere di un nuovo capitolo del piano juncker
Braccio di ferro sui finanziamenti
Il nodo è sulla dotazione del Fondo di garanzia che sarà finanziato a danno dei progetti dedicati a infrastrutture e ricerca. La nuova proposta avanzata dalla Commissione non basta al Parlamento
di Claudia Cervini
Lunedì sarà una giornata impegnativa per i membri del trilogo (Commissione, Parlamento e Consiglio) che si
troveranno nuovamente a negoziare sul finanziamento del Fondo europeo per gli investimenti strategici (Efsi)
e in particolare sul bilancio comunitario e sulla dotazione del Fondo di garanzia: uno dei punti più controversi
di tutto il regolamento del Piano Juncker, che dovrebbe attivare investimenti per 315 miliardi in tutti i 28 paesi
dell'Ue. Nello specifico la questione ruota intorno alla dotazione del Fondo di garanzia (8 miliardi entro il
2020, pari al 50% degli obblighi totali di garanzia della Ue). Tale dotazione
(che rende possibile l'esecuzione del bilancio comunitario) sarà finanziata,
almeno sulla carta, da riduzioni degli stanziamenti per la Connecting europe
facility (infrastrutture) e per l'iniziativa Horizon 2020 (innovazione e ricerca),
per 3,3 e 2,7 miliardi rispettivamente, e per 2,11 miliardi mediante ricorso al
margine non assegnato. Il Parlamento europeo ha presentato diversi
emendamenti volti a introdurre fonti e modalità alternative di copertura. E
mercoledì 13 la Commissione ha presentato una proposta che prevede di
ridurre di 500 milioni il prelievo dai due programmi: «È positivo che la Commissione abbia presentato una
proposta per ridurre l'impatto sui due programmi, ma il Parlamento non la considera sufficiente», spiega a
MF-Milano Finanza Roberto Gualtieri (Pd), presidente della Commissione Affari Economici
all'Europarlamento, fra i protagonisti del negoziato. «Torneremo a parlarne lunedì, ma ho la sensazione che il
dibattito proseguirà anche nelle prossime sedute». Una questione che sembra ancora lontana dall'ottenere
una soluzione, tanto che non si prevede di archiviare la questione in quella seduta.
Più in generale un'intesa sul testo definitivo del regolamento sembra ancora lontana. «Il negoziato è intenso,
ma contiamo di chiudere il testo concordato a fine maggio, per farlo approdare all'assemblea plenaria a
giugno e in Gazzetta Ufficiale a luglio», dichiara Gualtieri. Il capitolo che ormai sembra in dirittura d'arrivo è
quello relativo alla governance dell'Efsi: «Siamo vicini a un accordo», conferma Gualtieri. Al di là dei
tecnicismi ancora da definire - che per l'avvio del piano sono ancora numerosi - il timore diffuso è che il
progetto di investimento europeo (in origine addirittura paragonato al ben più ingente American Recovery and
Reinvestment Act di Barack Obama) non restituisca sufficienti benefici per l'Italia: non è prevista infatti una
quota geografica di risorse per Paese, ragione per cui la penisola si teme possa rimanere ai margini. Gualtieri
non è d'accordo. «Le previsioni rimangono quelle di mobilitare investimenti superiori a 20 miliardi, sempre
che i progetti presentati siano all'altezza e quindi vengano approvati». L'Italia è in lizza con 14 progetti: dal
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piano nazionale aerospaziale (1,10 miliardi) alle bioraffinerie (0,90 miliardi), dall'accesso al credito alle pmi (2
miliardi), al piano nazionale banda ultra-larga (7,20 miliardi). «E proprio la banda ultra-larga è un banco di
prova importante per il paese: e l'operazione di finanziamento potrebbe anche registrare una buona
combinazione tra fondi privati e fondi pubblici». (riproduzione riservata)
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MF
Numero 094, pag. 4 del 15/05/2015
PRIMO PIANO
Per il presidente Bce l'allentamento quantitativo si è rivelato potente, ma è ancora troppo presto per cantar vittoria
Draghi: il Qe andrà avanti finché necessario
di Laura Ruggiero MF-DowJones
Il presidente della Bce Mario Draghi ha rassicurato sul programma di allentamento quantitativo (Qe)
ribadendo che sarà condotto a pieno e fino a quando non saranno raggiunti gli obiettivi dell'Eurotower. La
Bce ha adottato una serie di «misure non convenzionali» che si sono rivelate «potenti, più di quanto molti si
aspettassero. Tale potenza è anche dovuta al fatto che gli stimoli monetari hanno interagito con altre politiche
grazie alle quali l'economia e il settore finanziario hanno risposto meglio ai
nostri impulsi monetari», ha poi affermato Draghi, in occasione della «Michel
Camdessuss Central Banking Lecture». Il numero uno della Bce ha puntato
quindi i riflettori sull'importanza delle riforme strutturali che alcuni Paesi hanno
adottato. Di misure economiche ha parlato anche il direttore del Fmi Christine
Lagarde nell'introduzione al discorso di Draghi. Lagarde ha fatto notare che
«nonostante le ingenti e non convenzionali misure di supporto alla domanda
messe in campo negli ultimi anni, specie da parte delle banche centrali, la crisi
sta continuando ad avere effetti su crescita e lavoro: La politica monetaria da sola non è sufficiente per
crescere».
Draghi ha spiegato che serve tempo prima di poter dichiarare vittoria e che lo «stimolo di politica monetaria
resterà in atto fin quando sarà necessario per raggiungere a pieno il nostro obiettivo», che è quello di
mantenere l'indice dei prezzi al consumo poco inferiore al 2% nel medio termine. Il programma di
allentamento quantitativo della Bce è stato infatti studiato per rimanere in atto almeno fino a settembre del
2016 e comunque fino a quando non sarà raggiunto tale obiettivo. Ad ogni modo la Bce è attenta a
monitorare le conseguenze che possono avere dei tassi di interessi bassi su risparmiatori e pensionati nella
zona euro, ha spiegato Draghi. «Per i pensionati e per quelli che risparmiano in vista della pensione, i tassi di
interessi potrebbero non essere un incentivo a consumare. Potrebbero al contrario essere indotti a
risparmiare di più per compensare un tasso più lento di accumulazione» della pensione, ha spiegato il
numero uno dell'Eurotower.
Le misure dell'istituto centrale, ha aggiunto Draghi, hanno inoltre avuto un grande effetto sui prezzi degli
asset e sulla fiducia. La Banca centrale europea «sta monitorando da vicino» gli sviluppi nella zona euro, ma
«al momento i due importanti indicatori per la crescita degli squilibri finanziari - la crescita dei prezzi degli
immobili e del credito - mostrano solo deboli segnali di una svolta al rialzo e non indicano quindi squilibri
finanziari generalizzati». Ciò secondo Draghi sottolinea che, «dopo una grande crisi finanziaria, una politica
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monetaria accomodante non offusca necessariamente una posizione prudente nei confronti del rischio. Al
contrario può aiutare a produrre un prezzamento del rischio più regolare», ha precisato il numero uno della
Bce. Nella zona euro i due principali set di riforme in atto sono il meccanismo di supervisione bancaria (che
controlla che i bilanci siano in salute) e le riforme per espandere il mercato dei capitali dell'Eurozona, ha
spiegato il governatore dell'istituto centrale. In particolare «il ruolo relativamente limitato del mercato dei
capitali è stato un fattore che ha aggravato la contrazione del credito» nell'area, ha concluso.
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PRIMA PAGINA 15 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore
RIFORME E RIPRESA
La spinta della Bce e i freni della politica
Il Presidente della Banca centrale europea (Bce) Mario Draghi non poteva essere più chiaro: l’acceleratore
monetario sta funzionando. Il motore della crescita europea si è rimesso in moto. Ma esiste un freno: i politici
europei continuano a pensare in modo nazionale ed indipendente, ma le loro azioni sono interdipendenti. Per cui si
rischia di far inceppare una ripresa ancora timida ed acerba.
Draghi ha colto l’occasione di una lezione al Fondo Monetario Internazionale (Fmi) per illustrare come la nostra
banca centrale abbia affrontato la crisi macroeconomica che ha caratterizzato l’Unione, a partire dallo scorso anno.
L’economia europea è entrata in un preoccupante ristagno perché si è bloccata la cinghia di trasmissione di ogni
crescita economica: le aspettative. Il blocco della cinghia è stato molto grave, perché doppio.
Da un lato, si sono bloccate le aspettative di crescita economica. Se le aspettative di mercati ed operatori, grandi e
piccoli, imprese, famiglie e banche, sono negative, si paralizzano i meccanismi dello sviluppo. Si paralizza la
voglia di investire, di innovare e di lavorare , per cui tende a cadere la produttività. Si paralizza la voglia di
spendere, per cui cadono consumi ed investimenti. Aumenta la paura ad indebitarsi o ad essere indebitato, o ad
essere creditore di un indebitato, per cui si rafforza sia il ristagno dell’offerta che quello della domanda.
Allo stesso modo, e di conseguenza, sono progressivamente cresciute anche le aspettative di una cattiva
disinflazione. La disinflazione può essere una buona cosa, se avviene in un contesto di crescita economica: i prezzi
cadono, ma i redditi, effettivi ed attesi, aumentano, per cui l’intreccio è virtuoso. L’Europa ha invece vissuto un
circolo vizioso: le aspettative di ristagno iniziavano ad alimentare anche uno scenario di continua caduta dei prezzi,
che può alimentare un ulteriore atteggiamento depressivo; il Giappone insegna.
Ma se le aspettative sono depressive ed insieme deflazionistiche, l’Europa finisce di cadere – come è caduta – in
una trappola della liquidità.
Continua pagina 2 Donato Masciandaro
Continua da pagina 1 Tutti gli operatori aumentano la loro avversione al rischio, e volano verso la liquidità, che
tende sempre di meno a circolare, e sempre di più ad essere tesaurizzata. Tesaurizzano i consumatori, che non
consumano; tesaurizzano le imprese, che non investono, e fanno solo finanza; tesaurizzano le banche, che non
prestano.
Draghi ha ricordato come l’Europa sia caduta in una trappola della liquidità profonda, ed ha rivendicato l’azione
della Bce volta ad affrontare la grave situazione macroeconomica, senza risparmiare qualche elegante e rapida
stoccata a chi in questi mesi ha guardato con scetticismo alla possibilità che la politica monetaria possa far
qualcosa, in una trappola della liquidità. La strategia messa in campo dalla Bce si è sviluppata in tre mosse: prima
dell’estate 2014 la manovra dei tassi di interesse, fino a raggiungere il livello zero; poi, dopo l’estate, le operazioni
non convenzionali di credito alle banche; infine, con il 2015, le operazioni non convenzionali in titoli pubblici sui
mercati, la cosiddetta espansione quantitativa (Qe). L’obiettivo? Provare a raggiungerne due. Da un lato, colpire il
meccanismo delle aspettative inflazionistiche, per evitare che si consolidassero le attese di segno inverso, cioè di
disinflazione prima e di deflazione poi. Dall’altro lato, provare a contribuire a riparare il meccanismo della trappola
della liquidità, facendo cioè in modo che le operazioni non convenzionali fossero in grado di fare quello che i tassi
a zero non riuscivano ad ottenere: movimenti nei portafogli bancari e finanziari che trasmettessero l’espansione
monetaria prima ai tassi a più lungo termine, poi auspicabilmente all’economia reale.
Draghi non ha sottaciuto i rischi che le espansioni monetarie prolungate possono procurare in termini di danni al
regolare funzionamento dei mercati finanziari e reali. Ma sono rischi che rafforzano la necessità che in tempi brevi
i germogli di ripresa si trasformino in una pianta adulta e matura, attraverso il solito meccanismo: aspettative,
diffuse e robuste, non di ristagno, ma di una crescita economica stabile. Per sviluppare le aspettative di crescita
però la sola politica monetaria non serve. Occorrono le riforme strutturali, in Europa – vedi unione bancaria e
unione dei mercati dei capitali – come nei contesti nazionali. Draghi non ha citato i mittenti, ma non serve molta
fantasia a capire chi sono.
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Donato Masciandaro
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PRIMO PIANO 15 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore
IL PUNTO SULLA
CRISI GRECA A Washington il banchiere centrale ha incontrato il direttore dell’Fmi Christine Lagarde e il segretario al Tesoro Usa Jacob Lew
Draghi: Qe più efficace del previsto
Il presidente della Bce ribadisce che gli stimoli continueranno e rassicura chi teme
bolle
FRANCOFORTE
La politica monetaria della Banca centrale europea, comprese le misure non
convenzionali come l’acquisto di titoli pubblici iniziato a marzo, si sta rivelando più
efficace di quanto molti osservatori avessero previsto e non ha avuto finora le temute
ripercussioni sulla stabilità finanziaria, ha detto il presidente della Bce Mario Draghi
in un discorso a Washington, dove ha anche incontrato il direttore del Fondo
monetario, Christine Lagarde, e il segretario al Tesoro degli Stati Uniti, Jacob Lew,
per discutere il caso Grecia.
«Se un lungo periodo di bassi tassi d’interesse crea inevitabilmente una cattiva
allocazione delle risorse, questo non porta necessariamente a minacciare la stabilità
finanziaria», ha sostenuto Draghi, sottolineando che finora ci sono scarse indicazioni
di «squilibri finanziari generalizzati».
Il presidente della Bce, in un discorso all’Fmi in onore dell’ex direttore Michel
Camdessus, ha ribadito anche che la politica monetaria varata nell’ultimo anno e in
particolare il cosiddetto Quantitative easing, o Qe, «verrà messa in atto pienamente e,
in ogni caso, finché non vedremo un aggiustamento sostenuto del percorso
dell’inflazione». L’inflazione dell’eurozona, allo 0% in aprile, resta molto lontana
dell’obiettivo di stare “sotto, ma vicino al 2%”, ma alcuni economisti hanno sostenuto
che, alla luce della recente ripresa, la Bce potrebbe sospendere le operazioni di
acquisto di titoli prima della scadenza fissata del settembre 2016, una possibilità che
Draghi ha nuovamente respinto. «Dopo quasi sette anni di una serie di crisi debilitanti
– ha affermato il banchiere centrale – le imprese e le famiglie sono molto esitanti ad
assumere rischi economici. Per questo ci vorrà diverso tempo prima che possiamo
dichiarare vittoria e il nostro stimolo di politica monetaria continuerà per tutto il
tempo necessario al raggiungimento del nostro obiettivo su base continuativa».
L’uscita dalle politiche che forniscono liquidità abbondante deve essere fatta con
«molta, molta attenzione».
Molti critici del Qe hanno sollevato la possibilità che questo alimenti bolle
speculative. Draghi, pur assicurando che la Bce terrà la situazione sotto costante
monitoraggio, ha notato che per ora ci sono solo «timidi segnali» di aumenti dei prezzi
degli immobili o di crescita del credito, due elementi normalmente associati con
l’instabilità finanziaria. Il presidente della Bce ha respinto anche le critiche,
soprattutto di parte tedesca, secondo cui la politica di bassi tassi d’interesse danneggia
i risparmiatori, insistendo sui benefici che essa comporta in termini di capitale meno
caro per gli imprenditori, di minor costo dei finanziamenti per chi investe in progetti
nell’economia reale e per le famiglie.
Draghi ha ripetuto anche che l’efficacia del Qe sarà nettamente potenziata se
accompagnata da altre misure, fra cui il costante controllo dello stato di salute delle
banche, ora realizzato dalla Bce stessa, insieme alle banche centrali nazionali,
attraverso il meccanismo di vigilanza unico, e le riforme strutturali che aumentano la
fiducia nella ripresa e incoraggiano gli imprenditori a sfruttare lo stimolo monetario.
Fra le misure da realizzare, secondo il numero uno della Bce, una armonizzazione
delle regole sulle banche, che ora prevedono 150 eccezioni nazionali.
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Alessandro MerliI
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PRIMO PIANO 15 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore
LOTTA CONTRO IL
TEMPO Il portavoce del governo ha smentito l’ipotesi che venga chiesto un Eurogruppo straordinario alla fine di maggio
Emergenza liquidità. Tra luglio e agosto la Grecia deve pagare a Francoforte bond per un valore di 6,7 miliardi, il ministro propone di riscadenziarli attraverso uno swap
Varoufakis chiede un rinvio dei rimborsi Bce
La Grecia non punta a un “haircut”, una ristrutturazione per il taglio del debito, ma a una sua «ridefinizione». È quanto ha sottolineato il ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis a un evento dell’Economist ad Atene. «A luglio-agosto dovremo chiedere un prestito da 6,7 miliardi di euro ai nostri partner per ripagare i bond in scadenza del programma della Bce», ha detto spiegando che questi titoli vanno riscadenziati «attraverso uno swap», magari con l’Esm, il fondo salva-Stati. Ma, ha osservato Varoufakis con l’ennesima provocazione, «l’idea di uno swap tra la Bce e il governo greco riempie l’animo di Draghi di paura. Questo perché, come sapete, Draghi è in contrasto con la Bundesbank, che è contraria al Qe. Weidmann in particolare».Il portavoce del governo greco, Gabriel Sakellaridis, ha smentito che la Grecia potrebbe chiedere la convocazione di un Eurogruppo straordinario alla fine di maggio ma la situazione ad Atene continua a essere molto volatile dopo che l’ultima rata di rimborsi all’Fmi è stata pagata usando le riserve greche giacenti presso lo stesso Fondo.Varoufakis sa bene che la Bce ha in pancia 27 miliardi di euro di bond greci acquistati attraverso l’Smp ai tempi di Jean-Claude Trichet, di cui almeno 6,7 miliardi di euro scadono a luglio e agosto. Come fare a rispettare questa scadenza pesante per i conti greci se non arriva la tranche da 7,2 miliardi di euro ancora congelata perché non si è ancora raggiunto l’accordo sulle riforme? A febbraio Varoufakis aveva proposto di trasformare i bond detenuti dalla Bce in obbligazioni agganciate alla crescita del Paese o in bond perpetui, cioè senza scadenza, ma la reazione era stata molto fredda da parte dei creditori internazionali.Ora il ministro torna alla carica cercando di convincere l’ex troika che questi bond devono essere spostati nel tempo, cioè riscadenzati. Varoufakis ha chiarito che non firmerà un accordo che a suo avviso affosserebbe la Grecia. «Non metterò mai la mia firma in un accordo che matematicamente non aiuterà il paese», ha detto il pugnace ministro. Una frase in cui molti analisti hanno intravisto una velata minaccia di dimissioni del ministro, che al recente vertice di Riga dell’eurogruppo ha attirato su di sé le critiche di mezza Europa per le sue proposte vaghe e ambigue sulle riforme elleniche.Insomma la Grecia non punta alla prossima tranche del prestito, ma piuttosto ad un accordo con i creditori internazionali che apra una nuova strada al Paese indebitato. Il ministro ha respinto la speculazione sul rischio di un imminente default nelle prossime due settimane e ha sottolineato che dopo tre mesi di negoziati con la troika si è d’accordo su vari temi. «Siamo d’accordo che se la Grecia non si riforma, affonderà», ha aggiunto. Tuttavia, restano ancora opinioni diverse su alcuni argomenti come il mercato del lavoro e pensioni. «La priorità per il governo non è quella di fissare la prossima rata di aiuti - ha sottolineato Varoufakis- ma di lasciarsi alle spalle la trappola dell’austerità che soffoca l’economia reale e il potenziale di crescita». La Grecia cerca un accordo che ponga fine alla recessione, ha spiegato Varoufakis, senza dare la colpa alle «istituzioni» del fallimento dei colloqui degli ultimi mesi. Il ministro ha ribadito che il «carico del debito greco non è sostenibile e deve essere ristrutturato». Ma i creditori si oppongo e il braccio di ferro continua. © RIPRODUZIONE RISERVATAV.D.R.
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Grecia, lista riforme non pervenuta. Varoufakis: non firmiamo questi accordi
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Milano Finanza
Numero 095, pag. 9 del 16/05/2015
CONGIUNTURA
Intervista
Lo zero virgola non contaIl premio Nobel, Sen: in Europa siete felici se l'economia migliora di frazioni di punto. Ma dopo una recessione così profonda, causata soprattutto dalla miopia di Berlino, ci vuole altro per svoltare
di Mariangela Pira
Amartya Sen, premio Nobel per l'economia nel 1998, è stato protagonista di due giornate milanesi, nel corso
delle quali ha aderito alla Carta di Milano che in questo modo si è arricchita di una firma di assoluto prestigio.
E a margine del convegno ha parlato anche di Europa. Senza risparmiare critiche. «Non mi piacciono le
politiche della Ue, sebbene io rimanga un fan dell'unità europea. Il focus dell'Unione Europea è stato relativo
agli aspetti finanziari ma prima era necessaria un'unione
fiscale, e ancor prima quella politica. Penso questo sia stato
un errore e penso altresì che l'euro sia nato troppo presto
impedendo a ciascun Paese membro di lavorare su una
forma di meccanismo di aggiustamento».
Domanda. Qual è il suo parere sulla politica di austerità che è
stata adottata?
Risposta. L'austerità ha portato all'incentivarsi della crisi in
Europa. La risposta peggiore alla crisi è arrivata proprio dal vostro continente, rispetto a tutte le altre zone del
mondo. Perché la soluzione europea era così anti-crescita che la crisi qui ha potuto sopravvivere a lungo. E
bisogna che questo errore venga riconosciuto da tutti, perché altrimenti non si fanno le correzioni necessarie.
D.Gli ultimi dati macro parlano però di un'Europa che inizia a crescere. Qual è la sua visione relativamente ai
recenti numeri del pil?
R. Solo in Europa le persone esultano quando i numeri del pil sono positivi per frazioni di punto. Fosse
accaduto in Cina,
Brasile, India,
Messico o altrove
parlerebbero di
crescita solo in
presenza di un
+5/6%. L'Europa ha
portato le sue stime di sviluppo così in basso che se anche cresce di pochissimo è contenta. Ma
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effettivamente la situazione è ben lontana dall'essere di successo, anche quest'anno. Nel dopoguerra
l'Europa ha iniziato ad accumulare debito: c'era bisogno di creare servizi per i cittadini, un sistema sociale,
una società in cui i cittadini si sentissero sicuri. Il debito ha continuato a ingigantirsi fino ai giorni nostri e non
ha mai rappresentato un problema fino a quando l'economia è cresciuta. Poi però è subentrata la crisi. Il
mondo ha iniziato a giudicare gli Stati sulla base del loro debito e le prospettive sono cambiate.
D.Alla luce di queste considerazioni, quali sono le prospettive per l'Europa?
R. Tuttora la situazione è mesta per l'Europa. Io sono un ottimista di natura e ho sempre creduto nel potere
del ragionamento. E credo che questo potere si sia andato perdendo, perché ultimamente è stato guidato
esclusivamente da leader finanziari piuttosto che da una discussione pubblica, un pubblico scrutinio ed
esame delle politiche attuate. Penso che un tipo di democrazia nel senso pensato da John Stuart Mill e
definita government by discussion (governo per mezzo del dibattito) sia vincente. Se la ragione vince, allora
si riparte; altrimenti è durissima.
D.Qual è la sua opinione su Mario Draghi e sulle politiche della Bce?
R. È partito bene ma ha proceduto con lentezza. Draghi può di certo essere responsabile della Bce ma le
regioni che comandano sono la Germania e altri Stati del Nord molto conservativi. Essere conservativi in
politica a volte è degno di merito, in questo caso non è stato così. Ha creato una situazione dove la crisi ha
potuto mettere radici e prosperare per anni. E nessuno ha corretto ma anzi si diceva: andrà tutto bene. E
l'Europa ha avuto moltissimi problemi cercando di uscire dalla crisi.
D.Allora la colpa è della Germania e dei suoi derivati?
R. Mi limito a dire che in altre parti del mondo sono usciti molto prima dalla crisi. Ma hanno iniziato a
muoversi sul fronte della crescita molto prima che l'Europa lo facesse.
D.Qual è il suo suggerimento?
R. Seguire il sentiero tracciato per ora solo timidamentente per stimolare gli investimenti e riconoscere che
l'economia europea necessita di un approccio completamente diverso e di una ristrutturazione radicale pro
crescita.
D.Quindi una piccola speranza, un piccolo potenziale di crescita c'è se si cambiano i dogmi tedeschi?
R. Sì. L'enorme capacità di pensiero innovativo, il vostro talento e l'interazione umana europea non esiste da
nessuna parte del mondo. Per questo nutro grandi speranze. E non siate felici se il tasso di crescita è zero
virgola, oppure 1% o anche 2%. Occorre fare molto meglio di così. (riproduzione riservata)
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Milano Finanza
Numero 095, pag. 10 del 16/05/2015
CONGIUNTURA
Europa
C'è chi vuole la Brexit
La vittoria di Cameron riporta in campo le tensioni legate a una possibile uscita della Gran Bretagna dall'Unione. Un'ipotesi che Londra accarezza e che Berlino, forse, comincia a favorire
di Guido Salerno Aletta
«Se la Gran Bretagna lascerà l'Unione europea, ce ne faremo una ragione»: così, con una alzata di spalle si
sente spesso commentare la questione del referendum su cui il Premier Cameron, vincendo le elezioni, ha
ricevuto il mandato a procedere. Le questioni sul tappeto, su cui Londra chiede una riforma dei Trattati
europei come condizione per mantenere l'adesione all'Unione riguardano la disciplina dell'emigrazione ed il
trattamento assistenziale dei non cittadini. In concreto, chiede di poter procedere al rimpatrio dei cittadini
europei in cerca di lavoro che in sei mesi non siano riusciti a trovarlo; un
periodo di quattro anni prima di poter accedere alle misure di sostegno
fiscale ai redditi bassi e di non concedere i Child Benefit per i figli degli
immigrati che vivono in un altro Stato membro; di vietare l'immigrazione dagli
Stati dell'Unione che abbiano livelli di reddito e di disoccupazione
sproporzionati rispetto a quelli del Paese ospitante. Sono richieste
teoricamente di buon senso, visto che mirano ad evitare l'arbitraggio
normativo nel settore del welfare, che mal si accompagnano ad un utilizzo
assai spregiudicato della tassazione agevolata per i non residenti (non dom
status). In ogni caso, sarebbe inevitabile la rottura, perché queste richieste mettono in discussione un pilastro
fondamentale della Unione, rappresentato dalla libertà di circolazione dei cittadini.
Non è però solo una questione di soldi, come invece accadeva ai tempi in cui Margaret Thatcher reclamava
da Bruxelles «I want my money back», visto che la Gran Bretagna era una contributrice netta al bilancio
comunitario dacché riceveva ben pochi benefici dalla politica agricola decisa insieme da Francia, Germania e
Italia. Il tema del diritto al welfare inglese da parte dei cittadini comunitari si lega a quello del controllo
dell'immigrazione, argomento su cui il Premier Cameron è stato chiarissimo anche di recente, quando si è
discusso della possibilità di distribuire fra i Paesi aderenti all'Unione dei migranti che sbarcano in Italia
provenendo dai porti libici. Il sistema produttivo dell'Inghilterra, diversamente dalla Germania, dall'Italia e
dalla Francia, non ha più una vocazione forte nei settori della manifattura, caratterizzati da un'alta intensità di
forza lavoro a basso costo. Né ci sono le fragole o i pomodori da raccogliere, come accade in California, nel
Midi o nel Meridione italiano, con manodopera immigrata che magari lavora in nero, nascosta nelle
campagne. La questione del welfare nei confronti dei disoccupati, e soprattutto dei working poor (coloro che,
pur lavorando, non hanno un reddito sufficiente per vivere) si intreccia con quella del controllo
dell'immigrazione intracomunitaria e con l'accoglienza dei richiedenti asilo: sono sfide crescenti per tutti i
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governi e per la tenuta della Unione europea. Non è un caso che anche in Italia sia stato posto il tema del
reddito di cittadinanza: se mai lo si dovesse adottare, ci si dovrebbe aspettare l'arrivo di immigrati comunitari
che lo reclamerebbero.
Sbaglia quindi chi sottovaluta la rigida posizione inglese, che si innesta su un processo di progressiva
estraneazione rispetto alle politiche di convergenza adottate dall'Unione dopo la crisi. Se già l'Inghilterra non
aveva adottato l'euro, né aderito al Trattato di Schengen, di recente non ha partecipato alla costituzione del
Fondo Salvastati (Esm), né al Fiscal Compact, né alla Banking Union. Neppure va sottovalutata la recente,
improvvisa apertura manifestata dalla Germania sulla questione della distribuzione dei richiedenti asilo tra
tutti i Paesi dell'Unione, anche se su base volontaria: visto che la Gran Bretagna aveva già manifestato la
propria contrarietà a tale ipotesi, pare evidente che questo processo di volontaria cooperazione rafforzata sia
stato colto al volo, per sospingere una volta in più la Gran Bretagna in un'orbita ellittica rispetto all'Unione. La
Germania, forse, non aspetta altro.
Anche se per motivi che appaiono comunque del tutto marginali rispetto ai vantaggi innegabili ottenuti dalla
partecipazione della Gran Bretagna all'Unione europea, si sta delineando un contesto in cui questa vede un
disimpegno di Londra proprio nel momento in cui i rapporti dell'intero Occidente con la Russia si sono
raffreddati per via della annessione della Crimea. Se per un verso la presenza della Gran Bretagna
bilanciava il peso e la centralità tedesca nell'Unione, per l'altro c'è da fare i conti sia con una rinnovata
debolezza del versante meridionale di questa dopo la crisi, di cui è emblematica la situazione della Grecia,
sia con la instabilità di numerosi Paesi del Mediterraneo. E le divaricazioni non sono finite qui: è nota
l'insofferenza crescente del Fmi per la trattativa in corso tra l'Unione europea ed il governo greco per
l'erogazione della nuova tranche di aiuti senza considerare a sufficienza la questione della sostenibilità del
debito accumulato. Così, ha destato preoccupazioni a Washington l'adesione di Atene al progetto russo di far
arrivare in Europa il gas attraverso il Turkish Stream. La vicenda libica appare estremamente confusa, visto
che al Consiglio di sicurezza dell'Onu si sono tenute due distinte riunioni: la prima, l'11 maggio scorso,
introdotta dall'Alto Rappresentante europeo Mogherini, cui hanno partecipato prevalentemente i
rappresentanti degli Stati africani, con un dibattito dipanatosi sulle cause remote del fenomeno
dell'immigrazione e sulla necessità di intervenire sulle cause. Alla seconda, tenutasi il giorno successivo ed
introdotta dal procuratore del Tribunale penale internazionale che ha fatto il punto sulle violazioni umanitarie
anche da parte dell'Isil, sono intervenuti tutti i rappresentanti dei membri permanenti. La crisi umanitaria che
determina le ondate migratoria è una cosa, la crisi in Libia ben altra.
Si assiste a un ritorno allo schema bipolare, su tre distinti scacchieri: in Europa, si confrontano l'Occidente
atlantico e la Russia, per via della crisi ucraina; in Medio Oriente, sunniti e sciiti, allineati all'Arabia Saudita e
all'Iran; a livello globale, i Paesi Brics cercano convergenze, con le relazioni tra Russia e Cina che non sono
mai state migliori. La crisi ucraina ha messo la pietra tombale sul South Stream, che passerebbe invece per
la Turchia e poi per la Grecia, nuovi paesi di frontiera. Il petrolio iraniano, nel caso di una cessazione
dell'embargo, scalzerebbe sia quello saudita sia il gas russo. Intanto, il contratto di fornitura di petrolio russo
alla Cina ha fruttato cospicue anticipazioni in yuan, utilizzati per stabilizzare il rublo. C'è sempre del petrolio
dappertutto, anche in Libia.
Forse è per questo che l'Inghilterra cerca di smarcarsi dalla Unione europea: non vuole rimanere
impantanata nelle discussioni che serviranno per incorporare il Fiscal Compact, l'Esm e la Banking Union nei
Trattati europei. Ci sono troppe partite in corso da giocare in presa diretta: ambisce a tornare la piazza
finanziaria più importante, potendo contare su relazioni planetarie secolari e soprattutto sul fatto che le sue
fortune non dipendono dalla salute della sterlina, del dollaro o dell'euro. È proprio per non aver aderito alla
moneta unica europea che ha potuto evitare il contagio delle crisi di Grecia, Portogallo, Spagna ed Italia. Se
lo tenga ben stretto la Germania, che tanto ne ha beneficiato. C'è del facile populismo nelle ragioni del
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referendum sulla permanenza della Gran Bretagna nell'Unione Europea, ci sono delle consistenti ragioni di
bilancio, ma ci sono anche interessi politici e finanziari più importanti. Alla City fanno girare il denaro, quale
che sia la valuta, mentre Bruxelles è lontana e litigiosa: il costo del welfare agli immigrati comunitari è appena
una goccia, ma è quella che serve a far traboccare il vaso. (riproduzione riservata)
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PRIMO PIANO 16 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore
IL GIUDIZIO DELLA
UE La Commissione non fa sconti all’Italia sulle riforme ma prende sul serio la possibilità che quelle in corso avranno effetti positivi sui conti
FINE DELLA CRISI
Dopo i dati positivi del primo trimestre bisogna operare per iniziare a riempire la voragine con la perdita di 9 punti di Pil tra il 2007 e il 2014
CRESCITA E VINCOLI UE
La flessibilità europea e il coraggio delle
riforme
In Italia è cominciata la ripresa economica? Sarà durevole? Quanto ci vorrà per ammortizzare i danni della peggiore recessione del dopoguerra? Come si può accelerare? Queste e altre domande hanno affiancato la notizia che il Pil del primo trimestre 2015 è cresciuto dello 0,3% (come per la Germania) sul trimestre precedente e ha registrato una variazione nulla su quello corrispondente del 2014 (dopo un sequenza di segni negativi iniziata nel IV trimestre 2011). Il dato positivo va dunque registrato con soddisfazione anche perché migliore delle previsioni che davano una crescita congiunturale del Pil dello 0,2% e un calo tendenziale dello 0,2%.Da sintomi a conferme? Poter dire che la recessione è finita ci apre già alla speranza che la ripresa possa accelerare dopo un periodo che pareva non finire mai e nel quale pessimismo e rassegnazione dominavano.Continua pagina 3 di Alberto Quadrio Curzio
Continua da pagina 1 Adesso dobbiamo tutti operare perché il resto del 2015 cominci a riempire quella voragine creatasi tra il 2007 e il 2014 con la perdita di 9 punti percentuali di Pil e l’aumento 6,6 punti di disoccupazione. Altre due eredità vanno ricordate. E cioè: un’economia italiana sofferente da lustri di riforma mancate e solo in parte compensate dalla forza delle imprese e del tessuto sociale; la vulnerabilità del nostro debito pubblico che poteva essere molto meglio controllato nel passato decennio risparmiandoci così la dura stretta fiscale richiesta nella crisi dall’Europa. Queste premesse (negative) ci portano a dire che se l’Italia non ha collassato fino ad ora, allora può risalire la china ma che “tocca a noi” (come direbbe Carlo Azeglio Ciampi) agire con modalità concordate e controllate dalle Istituzioni europee che il Governo italiano deve per converso incalzare per forti politiche di investimenti e crescita. Sen ,nella conferenza di ieri alla Fondazione Edison, ha detto che senza crescita non si metterà sotto controllo il rapporto tra debito e Pil. Il che è evidente anche solo constatando che nella Uem quel rapporto è aumentato di 30 punti percentuali dal 2007 al 2014Il giudizio dell’Europa. Per l’Italia il vincolo esterno dell’Europa serve come pungolo per fare le riforme. Anche qui nei giorni scorsi abbiamo avuto una buona sorpresa. E cioè che la Commissione europea ha accettato l’impostazione del Def (Documento di economia e finanza) dove vi è una convergenza più lenta al pareggio di bilancio strutturale e quindi più flessibilità in cambio delle riforme cantierate. È vero che la Commissione raccomanda un aggiustamento di bilancio più forte prefigurando dati peggiori di quelli del Def sulla crescita e sul calo del deficit segnalando che potrebbero essere necessarie misure correttive. Non è per ora un avvertimento minaccioso come dimostra anche il fatto che la Commissione non enfatizza le conseguenze di finanza pubblica della sentenza della Corte Costituzionale sulla indicizzazione delle pensioni. È dunque fiduciosa che il Governo risolverà il problema. Noi confidiamo che ciò avvenga tagliando la spesa pubblica improduttiva e non l’istruzione sulla quale il Governo sta mettendo più risorse.La Commissione non fa però sconti all’Italia sulle riforme necessarie (la pubblica amministrazione e la semplificazione; alcuni mercati dei prodotti e dei servizi; il mercato del lavoro; la giustizia civile; l’istruzione; la riforma fiscale; la revisione della spesa) ma prende anche sul serio che quelle in corso se “attuate puntualmente”, avranno un effetto positivo sulle finanze pubbliche con un incremento del Pil reale di 1,8 punti percentuale entro il 2020.Senza soffermarci qui su tutte quelle riforme né su quelle con riferimento alla quale la Commissione segnala progressi (come per esempio l’alleggerimento dell’onere fiscale
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sul lavoro e il Jobs act), concentriamoci su un rilievo.Spese e amministrazioni pubbliche. La Commissione rileva che limitati sono i progressi per migliorare qualità e efficienza della spesa, che i risparmi sono minori di quelli previsti nel Piano Nazionale di riforme del 2014, che la spending review non è ancora parte integrale del processo di bilancio e che ciò incide negativamente sull’efficienza sistemica a lungo termine. Si segnale il gravame che l’inefficienza della macchina pubblica pone sulle imprese e che c'è ancora molto da fare in materia di ricambio del personale, mobilità e retribuzioni.Però si riconosce che passi avanti sono stati compiuti e in particolare che sono in corso sforzi per migliorare il quadro istituzionale e la qualità complessiva della pubblica amministrazione. E che è in corso un’ambiziosa riforma della Costituzione anche per chiarire la ripartizione delle competenze tra i vari livelli dell’amministrazione.Una conclusione. Nel complesso a noi sembra che, anche per l’Europa, l’Italia si stia muovendo. Qualche volta “passo dopo passo”, qualche volta “a strappi” che pure sono utili. In un Paese dove troppo spesso è accaduto che ad ogni passo in avanti ne sono seguiti due indietro ci vogliono talvolta dei passaggi coraggiosi (anche se a prima vista imprudenti) che impediscano di tornare indietro. Così fu, per esempio, il passaggio all'euro. Adesso a noi interessa che l’Italia stia ottenendo dall’Europa flessibilità in cambio delle riforme e che abbia lo status di un interlocutore rispettoso ma non acquiescente. Anche perché i banchi di prova non finiscono mai come si vedrà a proposito della “bad bank” che in qualche modo la Commissione europea auspica salvo poi impedire che la stessa sia supportata da garanzie di stato. Dunque anche l’Europa non ha sempre ragione ma proprio per questo non bisogna negare i casi dove essa l’ha.© RIPRODUZIONE RISERVATAAlberto Quadrio Curzio
L’Fmi bacchetta la Merkel: non siate egoisti e spendete in investimenti pubblici il vostro tesoretto
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COMMENTI E INCHIESTE 17 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore
IMPEGNI?DEBITORI
Atene deve pagare 11 miliardi fra giugno e agosto. Il primo pagamento critico sono gli 1,5 miliardi da versare al fondo monetario internazionale venerdì 5 giugno
INTERESSE?
RECIPROCO Dal punto di vista finanziario un’intesa sembra di mutua convenienza e i negoziatori europei sono tentati dall’accettare un accordo anche se «sporco»
GRIN O GREXIT
Tsipras e le ultime giornate di Atene
Entro dieci giorni, senza aiuti europei, le casse di Atene saranno completamente vuote. Ma già ora Alexis Tsipras si trova di fronte a una scelta disperata: può riscrivere da capo un programma di riforme che tradisca tutte le promesse elettorali; oppure può sostenere che l’onore di Syriza e la sovranità dei greci non si piegano neanche di fronte al fallimento del paese. Una cosa non potrà fare: procrastinare la decisione. Sono gli ultimi giorni di Atene: entro fine maggio le sorti della crisi greca e dell’euro saranno decise.Continua pagina 24 di Carlo Bastasin
Continua da pagina 1 la scena finale si svolgerà nella prossima e cruciale riunione dei ministri delle finanze dell’Eurogruppo. L’incontro dovrebbe tenersi tra pochi giorni a Riga, ma si sta valutando l’opzione di una convocazione di emergenza anche nei giorni successivi. Nella riunione, l’Eurogruppo giudicherà il nuovo piano di riforme che il governo di Atene dovrà presentare. Chi ha visto il testo provvisorio è molto preoccupato, conterrebbe 24 proposte diverse di aumenti di tasse, ma nessuna riforma dei mercati. Una nota interna sfuggita allo staff del Fondo monetario osserva che Tsipras ha «invertito il corso delle riforme del sistema pensionistico, del mercato del lavoro (dove progressi erano stati fatti) e della pubblica amministrazione». Il corso delle nuove politiche non è invece specificato. Inoltre mancano «riforme strutturali di politica fiscale», Un negoziatore definisce il documento greco «non in continuità col memorandum d’intesa sottoscritto dal governo Papademos nel marzo 2012», in occasione del secondo programma di assistenza tuttora in vigore. Ma solo se il nuovo memorandum passerà l’esame dell’Eurogruppo sarà possibile salvare Atene. Se all’ultimo Tsipras cambierà il piano, si procederà rapidamente con gli aiuti secondo un processo che è già stato deciso. Per prima cosa verrà prolungata di alcuni mesi la durata del secondo programma di assistenza, già protratto fino alla fine di giugno. Quindi si metteranno a disposizione risorse per nove miliardi di euro già disponibili per il Fondo di stabilità del sistema finanziario ellenico (Hfsf). I fondi erano stati bloccati a febbraio per evitare che fossero utilizzati dal nuovo governo per spese pubbliche. Ma l’Eurogruppo è pronto a revocare la propria decisione, consentendo ad Atene di utilizzare i nove miliardi per superare i propri impegni debitori più ravvicinati. Atene deve pagare 11 miliardi tra giugno e agosto. Il primo pagamento critico sono 1,5 miliardi da versare al Fondo monetario il 5 giugno. Mancare quel pagamento sarebbe il detonatore della crisi. Dal punto di vista finanziario un’intesa sembra di mutua convenienza e i negoziatori europei sono tentati dall’accettare un accordo anche se “sporco”. La Commissione per esempio ha già rinunciato alla richiesta di un surplus di bilancio del 3% per il 2016 e 2017. Ma gli ultimi documenti presentati da Atene contengono impegni e previsioni giudicati troppo poco credibili. La produzione industriale sarebbe aumentata del 5% proprio mente il paese rientrava in recessione. Nessuno può verificare le statistiche. Ai rappresentanti del Brussels Group (l’ex troika) non è più garantito l’accesso agli uffici ministeriali ad Atene. Uno dei capi missione racconta che da una settimana non riesce a mettersi in contatto telefonico con gli interlocutori greci. Qualche aspetto di procedura è stato migliorato con il commissariamento di Yanis Varoufakis, ma nella sostanza poco è cambiato: misure generiche su impianti incomprensibili. Il Fondo monetario ritiene che un accordo “sporco” su dati fittizi violerebbe il proprio mandato e sarebbe bocciato a Washington. Ma senza accordo, «non c’è possibilità che Atene ripaghi i propri impegni» e in tal caso, con un debito non sostenibile, i creditori dovranno rinunciare a parte del denaro dovuto.Ma i problemi sono anche europei e di natura politica. A Bruxelles si dà per scontato che il nuovo memorandum sarà peggiore del programma precedente, sia dal punto di
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vista degli equilibri fiscali, sia da quello delle riforme. Tuttavia un accordo “sporco” creerà problemi politici in molti paesi, tra cui Finlandia e Portogallo, che devono approvarlo. Lisbona ritiene di aver accettato sacrifici più severi di quelli di Atene e il governo si sta scontrando con il Fondo monetario per non aver compensato misure fiscali bocciate dalla corte costituzionale. Dopo le recenti elezioni, la posizione di Helsinki è influenzata dal partito anti-euro che ha già chiesto l’uscita della Grecia. Ma un accordo troppo generoso con Atene metterebbe in imbarazzo soprattutto Angela Merkel che finirebbe per garantire a Tsipras quello che aveva negato ad Antonis Samaras, ex premier greco e leader di Nuova Democrazia, un partito che fa parte dello stesso gruppo parlamentare europeo di quello della cancelliera. Merkel dovrebbe presentarsi al Bundestag e spiegare per quale ragione dopo sette anni di intransigenza ora si è piegata a un governo ostile alla linea europea propria e degli altri governi. Il vicepresidente della frazione Cdu-Csu Hans-Peter Friedrich ha già dichiarato di preferire l’uscita della Grecia. Alla cancelleria si stima con preoccupazione il numero dei parlamentari della coalizione che voterebbero contro un terzo pacchetto di aiuti alla Grecia. Merkel inoltre per la prima volta ha visto calare il proprio consenso sotto l’attacco dell’alleato socialdemocratico per la vicenda delle intercettazioni dei servizi segreti. Tuttavia, a chi le parla nella sede della cancelleria, Merkel assicura di essere pronta a difendere al Bundestag un accordo su Atene anche se carente. Sa che se Atene uscisse dall’euro, sarebbe un giudizio tombale sull’intera sua strategia nella gestione della crisi. Anche in questo caso apparentemente la scelta meno dolorosa sarebbe di cedere ad Atene. Ma a un secondo sguardo si capisce che non è così. Appena approvato un accordo troppo debole, bisognerebbe rifare i conti sulle necessità finanziarie future di Atene tenendo conto di un’economia che è tornata in recessione e di un governo che potrebbe continuare a revocare le riforme in futuro. Si calcola che sarà necessario immettere nel terzo programma di assistenza decine di miliardi di in più. Si calcola tra 20 e 50 miliardi di euro che i creditori dovranno aggiungere entro il 2017. Il debito greco, già ora considerato insostenibile, aumenterà di cifre equivalenti.In tal caso il Fondo monetario non accetterebbe di partecipare al terzo programma di aiuti senza un haircut, un taglio del debito del 10-20%. Taglio che però non graverebbe sui crediti del Fondo che ha uno status di creditore privilegiato, ma che invece peserebbe interamente sulle tasche dei contribuenti dei paesi dell’euro attraverso l’Esm, il meccanismo di stabilità europeo. Ma nemmeno questa opzione è scontata. Nel caso di un haircut sui titoli del debito greco, per la Banca centrale europea sarebbe molto difficile giustificare il proseguimento delle operazioni di finanziamento delle banche greche a fronte di un collaterale (titoli pubblici dati in garanzia) non sicuro. Il governing council della Bce si è già diviso sulla necessità di penalizzare i titoli greci accettabili come collaterale nelle operazioni di erogazione di liquidità di emergenza. Solo venerdì il presidente della Bundesbank, influente nel board della Bce, è tornato a lanciare messaggi di aperta ostilità a un eccesso di tolleranza nei confronti di Atene. Non è un caso che Varoufakis abbia riaperto lo scontro con la Bce sostenendo che anch’essa dovrebbe trasferire i propri crediti verso la Grecia (in realtà bonds) all’Esm o accettare un allungamento delle scadenze e una riduzione dei tassi d’interesse. L’ufficio legale della Bce tuttavia ha escluso l’opzione di un reprofiling dei crediti greci, perché rappresenterebbe una violazione del divieto di finanziamento monetario di uno Stato stabilito dall’art.123 dei Trattati europei.Ma qual è l’alternativa? In caso di mancato accordo all’Eurogruppo, il governo greco non sarebbe in grado di pagare la prossima tranche di debito verso il Fondo monetario. Se questo succedesse e se il direttore generale, Christine Lagarde, informasse il consiglio esecutivo del mancato pagamento, Atene violerebbe non solo gli accordi con Washington, ma anche il contratto sui prestiti già emessi dall’Esm che prevedono in tal caso (art.9 par.1) che il fondo di stabilità possa dichiarare il default greco. La decisione se farlo o meno, verrebbe presa dai funzionari del Tesoro membri esecutivi dell’Esm, i quali sarebbero chiamati a riportare la decisione ai Parlamenti nazionali proprio quando emergeranno le cifre sugli onerosi aiuti futuri ad Atene. È possibile che alcuni parlamenti preferiscano soluzioni traumatiche. A quel punto la Bce non potrebbe garantire liquidità di emergenza per più di due settimane, durante le quali Atene dovrebbe imporre controlli di capitale e forse emettere propri mezzi di
vendite sui Bund
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pagamento, diversi dall’euro. La fine è facilmente immaginabile.© RIPRODUZIONE RISERVATACarlo Bastasin
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COMMENTI E INCHIESTE 17 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore
GLI ONERI DELLA VIGILANZA
La banca paga i conti della compliance
Nei giorni scorsi la Bce ha annunciato che i contributi imputati al sistema bancario
dell’area euro per i costi di vigilanza prudenziale del settore ammontano in totale a
326 milioni per i soli due anni 2014-2015. In una nota, la Bce ha tenuto a precisare
che questo importo è rappresentato per 30 milioni dai costi sopportati negli ultimi due
mesi del 2014, quando la Bce ha assunto le funzioni operative di vigilanza, e per 296
milioni a titolo di anticipo sulle spese per l’intero 2015. Chi è più grande paga di più
(l’89% delle spese saranno coperte dalle 123 banche definite significative e vigilate
direttamente dalla Bce, il resto da quelle più piccole), ma per tutti c’è qualcosa in più
da pagare rispetto al passato. Ed è solo una delle tante voci: oltre alla Bce, infatti, ci
sono tutte le altre Authority che vigilano sulle banche, e poi i regolatori nazionali e gli
altri extra-europei, non a caso UniCredit, da sola, ha messo 1.300 persone a vegliare
sulla compliance. Ben vengano i controlli, purché non si confonda il fine con i mezzi:
le regole, e quindi la compliance, sono efficaci solo se rendono più solide ed efficienti
le banche.
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VARIE
PRIMO PIANO 11 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore lunedì
LA RIFORMA MONTI-
FORNERO Il blocco dell’adeguamento all’inflazione è stato cassato anche perché incide sui valori meno alti mentre in passato si era intervenuti per fasce
IL CONTRIBUTO 2000-
2002 Il prelievo sui trattamenti più cospicui superò il vaglio della Corte in quanto valutato prestazione patrimoniale e non imposizione tributaria
Tagli alle pensioni, sempre più arduo l’esame alla
Consulta
Maggiore severità rispetto agli anni 90
La Corte costituzionale diventa via via più diffidente nel valutare gli interventi in materia di
pensioni. E, come si è visto con le sentenze 70 del 2015 e 116 del 2013 - con le bocciature
delle ultime due operazioni a largo raggio messe in atto per recuperare risorse intervenendo
sull’importo degli assegni - si orienta più facilmente verso le censure. Nel dettaglio, le ultime
disposizioni a non superare l’esame della Consulta sono state il blocco dell’adeguamento
all’inflazione per gli anni 2012-2013 introdotto a fine 2011 dal governo Monti e il contributo
di solidarietà per il periodo 2011-2014 previsto dal decreto legge 98/2011.
Bocciature...
Nel primo caso, i giudici hanno evidenziato che, a differenza di casi precedenti, il blocco
riguarda due anni invece di uno e incide, per tutto il loro importo, anche sugli assegni di
valore meno elevato (tutti quelli sopra tre volte il minimo), mentre in passato si era
intervenuti per fasce, quindi solo sulla parte eccedente un determinato ammontare. Inoltre
l’intervento è motivato genericamente con la situazione finanziaria contingente.
Nella sentenza si fa ampio riferimento a una precedente decisione, la 316/2010, riguardante
il blocco della perequazione avvenuto nel 2008 per gli importi pensionistici superiori a otto
volte il minimo. Tale decisione non era stata censurata perché il sacrificio richiesto a una
categoria di pensionati serviva per evitare aggravi ad altri pensionati, si concentrava sui più
ricchi e comunque la Costituzione non obbliga a un adeguamento annuale degli importi. In
quell’occasione, inoltre, era stato evidenziato che frequenti interventi sulla perequazione o il
suo blocco avrebbero portato a superare gli invalicabili principi di ragionevolezza e
proporzionalità perché sarebbe venuta meno la difesa del potere d’acquisto delle pensioni.
Cosa che è accaduta, secondo la Corte, con il Dl 201/2011.
...e promozioni
Ma la sentenza 70/2015 fa riferimento anche alla 349 del 1985 con cui si erano già sollevati
dubbi sulla legittimità di misure che riducessero in modo notevole e definitivo la garanzia di
adeguatezza della pensione senza avere una «imperativa motivazione di interesse generale».
Nel dettaglio, però, la decisione 349/1985 non bocciò l’estensione agli iscritti alle gestioni
speciali di un sistema di perequazione più penalizzante già in vigore per la gestione
principale. Questo perché, secondo i giudici, con tale decisione si rese omogeneo il
trattamento dei pensionati in un periodo difficile e perché il sistema fu comunque sostituito
“solo” sei anni dopo e con l’aggiunta di una parziale compensazione del mancato incremento
patrimoniale che si era verificato nel frattempo.
Il blocco della perequazione per il solo 1998 degli importi superiori a cinque volte il minimo,
invece, ha ricevuto il via libera perché, hanno scritto i giudici nell’ordinanza 256/2001,
l’adeguatezza e la proporzionalità delle pensioni devono fare i conti con le risorse disponibili
e il blocco si inserisce in una manovra correttiva messa in atto per rispettare gli equilibri di
bilancio. In tale occasione non è stato fatto alcun riferimento all’obbligo di legare il
provvedimento a una finalità solidaristica in ambito previdenziale, mettendo solo la palese
irrazionalità quale limite alla discrezionalità del legislatore nello stabilire la misura degli
importi delle pensioni.
Limiti alla «solidarietà»
La finalità solidaristica è una delle ragioni che ha consentito al contributo di solidarietà,
introdotto nel triennio 2000-02 sugli importi oltre il massimale, di superare il vaglio della
Corte costituzionale, unito al fatto che insisteva sui trattamenti più elevati. In tale occasione
(ordinanza 22/2003) venne precisato anche che il prelievo è una prestazione patrimoniale e
in quanto tale non rientra nell’ambito dell’articolo 53 della Costituzione che riguarda
l’imposizione tributaria in senso stretto.
Con la sentenza 116/2013, invece, si è bocciato il contributo di solidarietà sulla quota di
pensione oltre i 90mila euro annui per il periodo 2011-2014 perché le pensioni sono
considerate una retribuzione differita e quello che in tale occasione è stato considerato un
prelievo tributario maggiore sui pensionati rispetto ad altre categorie di titolari di reddito è
stato ritenuto incostituzionale.
L’elevato numero di sentenze che si sono susseguite nel tempo rende arduo individuare una
linea di lettura univoca. Tuttavia sembra potersi affermare che se nel 1997 (sentenza 211) la
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Corte ammetteva la possibilità addirittura di ridurre l’ammontare delle pensioni già in essere
per far fronte alla necessità dell’equilibrio di bilancio senza ulteriori particolari motivazioni e
accortezze, negli ultimi anni gli interventi in materia previdenziale sono ammessi solo a
fronte del rispetto di vincoli più stringenti. Tra questi il contenimento dell’efficacia
temporale del provvedimento, la tutela dei trattamenti di valore più contenuto, la previsione
di un “reimpiego” in ambito previdenziale delle risorse derivanti dal prelievo sugli assegni.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Pagina a cura di
Matteo Prioschi
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CORRIERECONOMIA LUNEDÌ 11 MAGGIO 2015 11
Le AuthorityI controlli
Finanza
Autorità di controllo Oggi il messaggio ai mercati del presidente della Commissione. Nel 2014 sotto osservazione 505 siti web
Consob Il piano di VegasCircola più capitale?Dirottiamolo sull’ItaliaL’«effetto Bce» va sfruttato per attrarre investitoriDI STEFANIA TAMBURELLO
L’osservatorio diGiuseppe Vegas,presidente dellaConsob, in questo
momento è sicuramente unodei migliori per guardare alfuturo dell’Italia degli affari edell’economia. La recessioneè finita, ma non si sono esau-riti gli impatti negativi sul-l’occupazione, sull’anagrafedelle piccole imprese, sullaredditività delle banche. Pernon parlare della quadraturadei conti pubblici e del livellodel debito. E perché no, deiconsumi che faticano a ri-prendere.
La ricchezza finanziaria,invece, quella sì è aumentataal seguito della ripresa deicorsi azionari. Basta guarda-re come si sono comportate lefamiglie a partire dalla secon-da metà del 2014 quando ècominciata la discesa dei tassidi interesse, accentuata conl’annuncio e quindi l’avvio delQuantitative easing, cioè ilprogramma di acquisto mas-siccio di titoli pubblici, della Banca centrale europea.
Abbandonato l’investi-mento in titoli di Stato, diven-tati davvero poco attraenti
dopo la fortissima riduzionedei rendimenti, i risparmiato-ri si sono trasferiti su azioni efondi d’investimento, più re-munerativi anche se più ri-schiosi.
Certo Piazza Affari devefare i conti con la volatilità deicorsi azionari determinatadall’ipersensibilità agli eventigeopolitici — dalla crisi gre-ca a quella ucraina —, mapuò anche tracciare un con-suntivo decisamente positivoper quest’inizio 2015, vistoche l’incremento incassatosupera il 20%. E a tornare inBorsa sono stati anche gli in-vestitori stranieri, con i madein China in testa guidati dallaBanca popolare cinese.
Il messaggioForte della buona salute,
ritrovata, dei mercati finan-ziari e di quel 20% di perfor-mance positiva delle azioni,Vegas potrà nel suo tradizio-nale annuale incontro con gliinvestitori ed il mercato che sitiene oggi, lunedì, all’Expo diMilano, lanciare un messag-gio ambizioso indicando ilpercorso per dirottare il mag-gior risparmio finanziarioverso l'economia italiana.Un’economia che ha bisognodi sforzi e interventi aggiunti-
vi per dare solidità alla ripre-sa ciclica in atto.
Si tratta secondo Vegas diobiettivo che può essere per-seguito in due modi: insisten-do sulla semplificazione delleprocedure per l’ingresso nelmercato dei capitali delle im-prese medio piccole. E anchefavorendo l’impiego in Italiadel maggior risparmio rac-colto dagli intermediari fi-nanziari, in particolare esteri.
La strategia non è facile dadisegnare e realizzare, ma ilnumero uno della Consob in-sisterà sull’esigenza di non
vanificare le opportunità of-ferte ai mercati finanziari dal-la politica espansiva dellaBanca centrale europea.
In questo quadro di pro-spettive e interventi che guar-dano al futuro trovano postole trattative avviate a livellointernazionale per realizzare,dopo quella bancaria, l’unio-ne dei mercati dei capitali.
Un’iniziativa, questa, adot-tata dall’Unione Europea, maancora arretrata rispetto altragitto, ormai arrivato vici-no al traguardo, dell’unionebancaria. Ciò non toglie che
continuerà, sia a livello inter-nazionale che interno, il di-battito sulle regole e sull’ade-guamento normativo.
In particolare sta entrandonel vivo la discussione sullavigilanza: se continuare a pri-vilegiare la suddivisione ca-
denzata dal prodotto — co-m’è attualmente e com’è statoconfermato dall’approvazio-ne della direttiva SolvencyII— oppure dal soggetto emit-tente, come suggerisce, peresempio, per le assicurazionil’autorità di controllo, l’Ivass.
I risultatiNel suo discorso agli inve-
stitori e agli amministratoridelle società quotate e agli in-termediari finanziari, Vegas,ovviamente, riassumerà l’at-tività svolta dalla Commissio-ne nell’ultimo anno che ha se-gnato il sorpasso degli inve-stitori internazionali (il 61%)rispetto a quelli nazionali nel-le comunicazioni delle varia-zioni delle partecipazioni rile-vanti. E metterà in rilievo, intale quadro, anche i risultatidell’azione di vigilanza.
Un ambito, questo, in cuiacquista sempre più spazio ilcontrollo sugli scambi via In-ternet, sul cosiddetto abusivi-smo finanziario via web. Larete infatti, secondo gli ispet-tori della Consob, resta il ca-nale privilegiato di contattocon la potenziale clientela siaper l’attività di trading sia perquella di sollecitazione all’in-vestimento. Nel 2014, peresempio, gli accertamenti so-no stati 140 mentre i siti In-ternet messi sotto osservazio-ne sono stati 505.
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L’analisi
Ora il testdelle popolari:i risparmiatorivanno protettiDI NICOLA SALDUTTI
S pesso si ripete che ilmercato e la gover-
nance in Italia sono, me-diamente, più arretratiche altrove. Forse, però,anche grazie al lavorodela Consob di questi an-ni, qualcosa è cambiato.
Prendiamo le ultimeassemblee degli azionisti:fino a qualche anno fa leliste di minoranza pesa-vano in realtà molto poco.Ora, anche per effetto diuna maggiore frammen-tazione dell’azionariato,si candidano a diventareun possibile stimolo per isoci di maggioranza. E sulconsolidamento del ruolodelle minoranze, molto sideve proprio alla Com-missione di vigilanza sul-la Borsa.
Dalla privatizzazioni inpoi, soprattutto con lapresenza più consistentedegli investitori interna-zionali, Piazza Affari ècresciuta molto. Anche sein questa fase si assiste auna contraddizione: re-gole molto stringenti pergli operatori nazionali,vincoli (anche informati-vi) più morbidi per gli in-vestitori che sono basatiall’estero. Una disparità ditrattamento che in qual-che modo andrebbe su-perata. Molta strada èstata fatta anche nellatutela dei risparmiatori.
Ci sono però alcuneanomalie consistenti che,in breve tempo, dovreb-bero essere superate.L’organo di vigilanza nonè composto secondo lanormativa ormai da anni.È incompleto. Qualchegiorno fa il percorso per ilsuo completamento èentrato nel vivo, con ben158 candidature. Unomaggio alla trasparen-za, certamente, ma forseci sarà qualcosa da ag-giustare nel meccanismodi selezione dei prossimicommissari.
Seconda questione.Più una sensazione, in re-altà. La Consob ha appe-na avuto il conferimentodi una maggiore respon-sabilità nel campo dellavigilanza delle polizze as-sicurative. Un campo che,attraverso l’Ivass, rientrain qualche modo nell’areadi controllo della Bancad’Italia. Forse i prossimimesi andranno dedicati adefinire ruoli e compe-tenze alla luce dei cam-biamenti che si sono ve-rificati sui mercati finan-ziari.
Il prossimo banco diprova? La trasformazionein società per azioni dellebanche popolari. Saràuna vera rivoluzione percentinaia di migliaia diazionisti che porterà consé, inevitabilmente, lafebbre da fusioni tra gliistituti cooperativi. Unastagione nella quale lavigilanza della Consobsarà decisiva per evitareche una grande occasio-ne si trasformi in beffaper i piccoli investitori.
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Tesoro Pier Paolo Padoan, ministro delle Finanze e dell’economia
Proposte Giuseppe Vegas, presidente della Consob
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Fonte : Carmignac Gestion al 31/12/2014. Carmignac Patrimoine è un fondo comune d’investimento di diritto francese, gestito da Carmignac Gestion (AutorizzazioneAMF n. GP 97-08). Tale OICR non è a capitale garantito e l’orizzonte temporale minimo consigliato per l’investimento è di 3 anni. Le performance passate non sonoun’indicazione delle performance future. Le spese sono comprese nelle performance. Alcuni soggetti o paesi potrebbero subire restrizioni di accesso ai Fondi. I rischie le spese sono descritti nel KIID (documento contenente le informazioni chiave per gli investitori). I prospetti, il KIID e i rapporti di gestione annui del Fondo sonodisponibili sul sito www.carmignac.it e su semplice richiesta presso la Società di Gestione. Il KIID deve essere rimesso al sottoscrittore prima della sottoscrizione.
I L R I S C H I O P UÒFA R P R END E R EI L VO LO A I T U O II N V E S T I M EN T I .
O P P U R E R I D U R L I .
P E R G E S T I R LOD E V I AC C E T TA R EE N T R AMB I G L IA S P E T T I .
Il monitoraggio attento del
rischio è il fulcro del nostro
processo di investimento.
Non è dissociabile dalla
ricerca della performance.
Ma solo un occhio esercitato
al paradosso può leggere nel
suo cuore volubile.
Solamente mediante questa
contraddizione essenziale
possiamo sfruttare le
potenzialità del rischio e
controllarne le minaccie.
E’ così che il Fondo Patrimoine,
fiore all’occhiello della
gamma Carmignac, ha potuto
realizzare una performance
annualizzata dell’8,6% durante
i 25 anni dal lancio.
Cosa che non tutti possono
gestire, a quanto pare. Per
ulteriori informazioni, contattate
il vostro Consulente Finanziario.
carmignac.it
26 CORRIERECONOMIA LUNEDÌ 11 MAGGIO 2015
Idee Dopo la bocciatura del blocco della scala mobile introdotto dalla legge Fornero
Pensioni «Serve un contributoper evitare la guerra tra generazioni»Un prelievo generalizzato e crescente su tutte le rendite: gettito destinato a incentivi fiscali per favorire le assunzioni. E dare così stabilità al sistemaDI ALBERTO BRAMBILLA*
I NUMERI DEL PIANETA PENSIONI
NUMERO DI PRESTAZIONI IN PAGAMENTO
INVALIDITÀ VECCHIAIA O SUPERSTITI
ASSISTENZIALI
INDENNITARIE INAIL
NUMERO DI PENSIONATI
IMPORTO MEDIO ANNUOPRESTAZIONE (in euro)
NUMERO OCCUPATIPER PENSIONATO
23.557.98318.469.6614.281.050
827.27216.593.892
11.563
2012
23.322.27818.230.9584.285.532
805.78816.393.369
11.695
1,384 1,368
2013
di c
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214 miliardiLa spesa
per le pensioninel 2013
Fonte:elaborazioneItinerariprevidenziali
16.5
1
1
La sentenza della Corte costi-tuzionale che ha annullato ladeindicizzazione delle pen-sioni oltre tre volte il minimo
introdotta dalla legge Fornero, puòessere un’opportunità per ripensarea come fare per generare un miglio-re equilibrio tra pensioni e lavoro.
I punti criticiIl ragionamento si basa su alcuni
presupposti: 1) il nostro sistema previdenziale
è a ripartizione il che significa checon i contributi dei lavoratori attivisi pagano le pensioni;
2) come ogni sistema a ripartizio-ne anche il nostro sottende un pattogenerazionale cioè una garanzia cheogni generazione consentirà a quellache l’ha preceduta di percepire lapensione;
3) i tassi di occupazione nel no-stro paese sono molto bassi;
4) il cuneo fiscale è elevatissimo:siamo al primo posto per contributisociali e nelle prime 5 posizioni percarico fiscale;
5) è fuor di dubbio che tutte lepensioni calcolate con il metodo re-tributivo siano assai più generose(soprattutto perché consentivano
ampi spazi di evasione ed elusione)rispetto a quelle contributive;
6) il sistema pensionistico ora ècertamente in equilibrio ma per reg-gere nel tempo ha necessità chel’economia migliori, che ci sia piùsviluppo e maggiore occupazione.
Lo capiscono tutti che se negli an-ni della crisi abbiamo perso più diun milione di posti di lavoro signifi-ca che abbiamo 1 milione di personeche non versano più i contributi equindi il sistema soffre e va in defi-
cit, anche a causa della generositàdelle citate pensioni retributive.
Quindi ricapitolando: abbiamoscarsi livelli di occupazione dovuti anche all’eccessivo carico contributi-vo e fiscale mentre per mantenerel’apparato pensionistico/assistenzia-le occorrerebbe una maggiore occu-pazione soprattutto per la parte gio-vani (fino ai 29 anni) e per la «co-da» cioè per gli over 55, troppo gio-vani per la pensione e spesso troppocostosi per restare al lavoro. Per inci-
so nel 2013 il costo complessivo delsistema che impropriamente chia-miamo pensionistico vale 280 mi-liardi di cui i due terzi sono pensionie un terzo assistenza pura. Alla fisca-lità generale il sistema è costato circa100 miliardi.
L’ideaCosa possiamo fare? Conviene ai
pensionati pagare qualcosa di piùper garantirsi sia il patto intergene-razionale sia più semplicemente laloro pensione? La Corte costituzio-nale potrebbe avvallare un provve-dimento che si ponga l’obiettivo difavorire un aumento dell’occupazio-ne sia under sia over e quindi di ren-dere più sostenibile il bilancio pret-tamente previdenziale e quello assi-stenziale? Considerando che con ilJobs Act si sono create le premesseper un aumento dell’occupazione sipotrebbero fare due proposte:
a) prevedere che per tutte le 23,3milioni di prestazioni in pagamentol’indicizzazione ai prezzi sia pari al90%;
b) introdurre un contributo di so-lidarietà su tutte le prestazioni, an-che assistenziali, generate dal meto-do retributivo; ricordo che per i «po-veri» contributivi cioè i giovani chehanno iniziato a lavorare dal 1996
non sono più previste ne le maggio-razioni sociali né le integrazioni al minimo di cui oggi godono oltre 4,6milioni di pensionati su 16,3 milioni,un numero enorme di persone chein 65 anni di vita hanno pagato po-chi contributi e forse pochissime tas-se (che non pagano neppure oggi suqueste prestazioni) e che gravanoprevalentemente sulle giovani gene-razioni.
Il contributo sarà basso, ad esem-pio, dello 0,5% sulle pensioni fino alminimo (circa 2,5 euro al mese) perarrivare a percentuali più consistential crescere degli assegni. A secondadelle percentuali si potrebbero in-cassare tra i 5 e 7 miliardi l’anno; perfare cosa? Semplice, per creare in-centivi fiscali finalizzati sia all’assun-zione degli under 29 sia degli over55. Gli incentivi andrebbero a sosti-tuire l’attuale decontribuzione pre-vista nel Jobs Act per i prossimi 3 an-ni sulle assunzioni con il contratto atutele crescenti. Ricordo che quandovenne eliminata la decontribuzione per le regioni del Mezzogiorno a se-guito delle previsioni europee (ac-
cordo Pagliarini – Van Miert del1994) fu un disastro per il Sud. E’più che prevedibile che anche allascadenza del triennio ciò accada;non succederebbe se gli incentivi fi-scali (un’Irap positiva, cioè più assu-mi e più sconti fiscali hai) fosserostabili. Un aumento dell’occupazio-ne, avrebbe il merito di aumentare ilivelli di contribuzione e ridurre lespese per gli ammortizzatori sociali.Eliminerebbe in radice tutte le ri-chieste di sussidi (reddito minimo ecosì via) e genererebbe un circolovirtuoso (meno gente che si rifugianell’assistenza e più lavoratori). Coni 5/7 miliardi si può fare molto per l’occupazione soprattutto quella un-der, over e femminile. Credo che es-sendo un provvedimento (molto im-popolare per la politica) utile al Pae-se e gravante sull’intera collettivitàdi coloro che hanno interesse a man-tenere l’equilibrio del sistema previ-denziale (cioè la loro pensione), laConsulta potrebbe accettarlo.
*Presidente CTSItinerari Previdenziali
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Conti pubbliciL’analisi
Previdenza
L e pensioni saranno uno dei temi centrali della«Giornata nazionale della previdenza e del lavo-
ro», la più importante manifestazione dedicata alwelfare, che si apre domani in Piazza del Plebiscito aNapoli, sino al 14 maggio. «E’ l’unica occasione d’in-contro su questi temi — spiega Alberto Brambilla(nella foto), presidente di Itinerari previdenziali, cheorganizza la manifestazione —. All’estero, soprat-tutto nel Nord Europa, eventi di questo tipo sonomolto diffusi e vengono realizzati da enti pubblici». Durante la manifestazionepresso lo stand dell’Inps sarà possibile ottenere una simulazione su età di pen-sionamento e importo del vitalizio anche per chi ha più di quarant’anni, e nonrientra quindi nel servizio partito il primo maggio scorso sul sito dell’Istituto.
R. E. B.
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A Napoli la «Giornata della Previdenza»
Polizze Il convegno di zeb consulting lunedì 18 a Milano
Tra distribuzione e redditivitàsi gioca la sfida delle assicurazioniAttesi gli interventi di Focarelli (Ania) e Mucchetti (Senato)
Q uale futuro attende ilmondo delle assicu-razioni, chiamato a
confrontarsi con pressantirichieste della Vigilanza suirequisiti di capitale (le nor-mative legate a Solvency II),l’invadenza delle tecnologiedigitali e le istanze della reteagenziale su cui, per decen-ni, le compagnie grandi epiccole hanno costruito la lo-ro solidità e affidabilità?Una risposta possibile arri-verà dal convegno organiz-zato da Corriere Economiaper lunedì prossimo, 18maggio, a Milano: Le nuoveassicurazioni, tra distribu-zione e redditività.
L’incontro, aperto sia alpubblico che agli operatoriprofessionali, vedrà la parte-cipazione dei rappresentantidi tutte le maggiori compa-gnie operanti in Italia, delleassociazioni di categoria edella politica e cercherà difocalizzare il particolare mo-mento di trasformazione delsettore,. L’ultimo decennio èstato ad esempio caratteriz-zato dal decentramento dialcune attività corporate al-le agenzie, su cui gravanoanche tutta una serie diadempimenti normativi.L’introduzione ai lavori saràaffidata a Dario Focarelli, di-rettore generale dell’Ania,mentre Paolo Ciccarese eGiorgio Introvigne – rispet-tivamente managing di-rector e vice presidente-am-ministratore delegato di zebconsulting – delineeranno icontenuti di una ricerca svol-
ta sul mercato italiano dellepolizze, con particolare rife-rimento all’evoluzione delcanale agenziale per quantoriguarda la distribuzione ealle sfide presenti nel ramo
auto, dai prodotti, ai servizi,alla redditività. «L’Italia – hadetto Ciccarese – è il settimopaese al mondo per la rac-colta dei premi assicurativi,ma è stato per troppo tempo,ed in parte lo è ancora, abi-tuato a considerare lo statocome assicuratore di ultimaistanza». Una realtà ormaisbiadita, che si trova a con-frontarsi quotidianamente,come ha detto in sede di pre-sentazione Introvigne, «conuna maggiore redditivitàche si può estrarre dal setto-re, considerando i 2,5 milio-ni di sinistri che ogni anno siregistrano in Italia».
Al convegno parteciperàMassimo Mucchetti, presi-dente della commissione in-dustria del Senato, mentrealla tavola rotonda che con-cluderà i lavori partecipe-ranno Stefano Gentili (Assi-curazioni Generali), SimoneSalerni (Allianz), Franco El-lena (UnipolSai), Flavio Piva(Cattolica), Yuri Narozniak (Groupama), Francesco LaGioia (Helvetia) e MicheleMereghetti (Uniqa Italia).
Il convegno, che si terrànella sede del Corriere dellaSera, in Sala Buzzati (acces-so da via Balzan, 3 a Milanodalle 9 di lunedì prossimo),si potrà accedere previa regi-strazione che si potrà gratui-tamente ottenere telefonan-do allo 02/20400333, oppu-re scrivendo una email aCorriereEconomia_assicu-razioni@corriere.it.
R. C. E.
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Zeb L’amministrato-re delegatoGiorgio Introvigne
N ell’articolo pubblicatoil 27 aprile scorso sui
risultati trimestrali deifondi pensione negoziali idati relativi ai rendimenti2014 di Telemaco eranosbagliati.
Quelli corretti sono i se-guenti: l inea garantita4,3%, linea obbligaziona-ria 8,1%, linea bilanciata-obbligazionaria 8%, lineabilanciata 8%.
Ce ne scusiamo con gliinteressati e con i lettori.
I numeri veridi Telemaco
MF
Numero 091, pag. 6 del 12/05/2015
RELAZIONE CONSOB
Nel 2014 aumentata la partecipazione delle famiglie ai mercati finanziari
Gli italiani tornano a investire
Il numero uno di Consob avverte: il peso crescente del mercato sull'impiego del risparmio obbliga a rafforzarne la tutela
di Roberta Castellarin
Gli italiani tornano a investire. Non sono tornati ai livelli del 2007, alla vigilia della lunga crisi iniziata nel 2008
con il fallimento di Lehman Brother, ma comunque si recupera terreno. È quanto emerge dalla relazione
annuale presentata ieri dalla Consob. Nella sezione dedicata agli investimenti delle famiglie italiane si scopre
che nel 2014 la loro partecipazione ai mercati finanziari è aumentata al 48 dal 41% del 2013. L'aumento è
dovuto soprattutto alla crescita della
quota di investitori retail che in
portafoglio ha almeno un'attività
rischiosa (azioni, bond, quote di fondi
e polizze vita) al 32% a fine 2014
(contro il 26% del 2013), pur
mantenendosi al di sotto dei valori del
2007 (38%). In particolare un ruolo
fondamentale lo hanno avuto i
prodotti di risparmio gestito, che
stanno vivendo un momento d'oro in
Italia (il trend prosegue anche nel
2015). Si legge nella relazione: «La
partecipazione è cresciuta in misura
più rilevante nei fondi e nelle Sicav
(dal 6% nel 2013 al 9% nel 2014). I
titoli di Stato e le obbligazioni bancarie italiane restano, tuttavia, i prodotti più diffusi, con una quota di famiglie
che investono in tali prodotti pari rispettivamente al 13 e al 10%. Rimane, invece, sostanzialmente stabile il
tasso di partecipazione rilevato per le azioni quotate italiane (3,5%)». Quindi nonostante il rally che ha fatto
crescere il Ftse Mib dai minimi del 2012 dell'88% gli investitori italiani fanno fatica ad aumentare il peso delle
azioni nei loro portafogli, preferiscono affidarsi invece a prodotti del risparmio gestito. Come emerge dai
numeri della relazione. La quota di attività finanziarie rappresentata da prodotti del risparmio gestito (fondi,
sicav e gestioni patrimoniali) è cresciuta di 3 punti percentuali (dal 13 al 16%), attestandosi su livelli superiori
a quelli rilevati per le obbligazioni e per i titoli di Stato (13% circa). La quota di ricchezza allocata in azioni
(5%), polizze assicurative e fondi pensionistici integrativi (4%) si mantiene bassa rispetto a quella rilevata
negli altri Paesi europei. Coerentemente con la crescita della diffusione degli strumenti finanziari rischiosi, si
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riduce la quota media di ricchezza detenuta sotto forma di depositi e risparmio postale (dal 51 al 48% nel
2014). In particolare la relazione sottolinea che circa il 70% delle famiglie italiane sembra disposto a investire
i risparmi in prodotti finanziari, sempre che garantiscano la protezione del capitale o un rendimento minimo;
la seconda condizione, indicata da circa il 40% delle famiglie, è che le commissioni siano basse. La fiducia
nel consulente è tra le motivazioni principali per il 37% circa degli investitori retail, sebbene solo il 24% circa
si dichiari interessato alla consulenza.
Per quanto riguarda poi l'impiego del risparmio, la Consob vuole tutelare di più i risparmiatori che oggi si
vedono offrire spesso prodotti complessi e ad alto rischio. «Il passaggio da un sistema finanziario imperniato
sulle banche a uno in cui i mercati hanno un ruolo crescente, impone un rafforzamento della tutela dei
risparmiatori». Lo ha affermato il presidente della Consob, Giuseppe Vegas, nel tradizionale discorso alla
comunità finanziaria, aggiungendo che «occorre riformare l'attuale sistema di risoluzione stragiudiziale delle
controversie in materia di contratti finanziari, secondo il modello dell'arbitro bancario e finanziario, incentrato
sull'adesione obbligatoria degli intermediari. Il recepimento della Mifid 2 potrebbe essere occasione per
procedere in tale direzione». (riproduzione riservata)
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PRIMO PIANO 12 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore
GIULIANO POLETTI
«La soluzione sarà presa collegialmente in Consiglio dei ministri, sarà equa, coerente con la sentenza e sostenibile per i conti»
Pensioni, rimborsi in due tappe
Verso un decreto venerdì - Perde quota l’ipotesi di penalizzazione dei baby
pensionati
romaSubito l’adeguamento delle pensioni oltre tre volte il minimo sulla nuova base dell’indicizzazione ottenuta con il recupero degli anni 2012 e 2013 (4,2 punti di inflazione in termini cumulati) e pagamenti degli arretrati decisi tra qualche mese e a rate, dopo l’assestamento di bilancio e rispettando in ogni caso l’obiettivo di un deficit/Pil nominale non oltre il 2,6% a fine anno. I rimborsi potrebbero dunque essere effettuati in due tappe, con un criterio di gradualità e tenendo conto delle fasce di reddito utilizzando il famoso “tesoretto” del 2015, ottenuto dal differenziale tra deficit tendenziale e programmatico. Resta questo lo schema entro cui sarà definito il decreto legge sulle pensioni che dovrebbe essere varato venerdì, un’ipotesi che ieri fonti dell’Economia continuavano a dare per «molto plausibile» ma non ancora certa. I tecnici governativi lavorano alla composizione dell’intervento in contatto con i colleghi dell’Inps. Allo stato sarebbe uscita di scena l’ipotesi di un progressività dei rimborsi basata anche sul calcolo dei contributi versati, per esempio con una penalizzazione delle baby pensioni. Perché si introdurrebbe con questa strada un’ulteriore distinzione tra diversi trattamenti capace di portare fuori dal sentiero segnato dalla sentenza n. 70 della Consulta. Ma nulla è ancora del tutto escluso o deciso (siamo nel novero delle ipotesi) e il calcolo dei rimborsi progressivi anche sulla base dei contributi versati resta la richiesta del sottosegretario Enrico Zanetti, segretario di Scelta civica. Così come è ancora da fissare l’asticella dei rimborsi: si oscillerebbe tra i 3,3 miliardi e i 4,5 miliardi, al netto dell’effetto Irpef, immaginando come coperture le maggiori entrate tributarie che potrebbero determinarsi in corso d’anno. Molto lontano, dunque, da un esborso pari a un punto di Pil se si applicasse in maniera piatta la sentenza. Ieri il ministro Pier Carlo Padoan ha ripetuto a Bruxelles che si troverà una soluzione «in armonia con i dettami della sentenza della Corte costituzionale e che rispetterà i parametri che stanno già nel Def». Mentre il collega Giuliano Poletti, intervistato a Radio Vaticana, ha chiarito che la decisione finale «equa, coerente con la sentenza e sostenibile per i conti pubblici» sarà assunta con una valutazione collegiale del Consiglio dei ministri: «Cosa faremo lo comunicheremo nel momento in cui saranno state fatte tutte le analisi, con tutte le simulazioni del caso, perché la materia è complessa e peraltro non riguarda solo il passato» ma «anche i trascinamenti che questa situazione produrrà in prospettiva futura». È ancora da confermare un’informativa del Governo sull’impatto della sentenza sulle pensioni e di quella di febbraio sulla Robin tax in commissione Bilancio al Senato per la giornata di domani.Nel decreto pensioni potrebbe entrare anche la norma attesa in Inps per far scattare l’allineamento dei pagamenti di tutte le prestazioni il primo del mese: l’operazione riguarda circa due milioni di pensionati che oggi ricevono l’assegno il 10 del mese per effetto di una norma introdotta dalla legge di Stabilità. Lo spostamento di date produrrà per l’Istituto un aggravio in termini di interessi che verrà completamente compensato con una riduzione dei costi per i bonifici - come da intesa con banche e Poste - su un flusso di cassa mensile di circa 4 miliardi.Prima di adottare una decisione bisognerebbe prima ascoltare i sindacati e il Parlamento, ha detto ieri il presidente della Commissione Lavoro, Cesare Damiano. «Sulle pensioni - ha detto la segretaria dello Spi Cgil, Carla Cantone - siamo ancora in attesa di essere ricevuti dal ministro Poletti. La sentenza deve essere applicata, ma siamo disponibili a ragionare su una gradualità, anche lunga, per quanto riguarda gli arretrati».Un’ipotesi, quella prospettata dalla Cantone, che ha più di un precedente in Inps. Il più importante, che riguardava la doppia integrazione al minimo adottata per rispettare
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una doppia sentenza della Consulta a metà degli anni Novanta, fece scattare un rimborso a rate durato più di cinque anni.Oggi intanto i parlamentari della Lega Nord saranno in presidio davanti al ministero dell’Economia per chiedere il rispetto immediato della sentenza della Consulta. Sarà presente anche Matteo Salvini.© RIPRODUZIONE RISERVATADavide Colombo
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PRIMO PIANO 12 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore
IL?NODO?DEI?TAGLI
Parte di coperture dell’operazione rimborso con nuove strette sulla spesa (con clausole di salvaguardia)
L’ANALISI
Una soluzione in progress rispettando i numeri
del Def
La strada dei rimborsi selettivi e scaglionati, che il governo sembra deciso a perseguire per far fronte agli effetti della sentenza della Consulta, vista da Bruxelles può anche non sollevare obiezioni di sorta. A patto che si rispettino gli impegni appena inviati alla Commissione europea sul versante del deficit, condizione ritenuta essenziale per spuntare la clausola di flessibilità sulle riforme. Strada stretta dunque, dall’esito tutt’altro che scontato. Non a caso, nel ribadire l’apertura di credito nei confronti dello «sforzo in atto» verso incisive riforme strutturali, passo fondamentale per riconoscere uno “sconto” nel 2016 nel taglio del deficit strutturale che vale 6,4 miliardi, con le raccomandazioni che domani verranno rivolte all’Italia la Commissione ribadirà che l’imminente decisione del governo sull’indicizzazione delle pensioni dovrà trovare adeguata copertura. La trattativa è in corso. A Roma come a Bruxelles si ha la piena consapevolezza che la restituzione integrale delle somme a poco meno di 6 milioni di pensionati, concentrata peraltro nell’anno in corso, comporterebbe l’automatico sforamento del tetto massimo del 3% nel rapporto deficit/pil. Poiché il governo – stando a quanto sostiene il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan - punta a utilizzare solo lo 0,1% di maggior deficit (1,6 miliardi) per il 2015 (l’ex tesoretto), mantenendo di conseguenza inalterato il target del 2,6% indicato del Def, l’interrogativo è come far fronte agli 8,7 miliardi che servirebbero per sanare integralmente il pregresso. Certo la strada della restituzione calibrata per fasce di reddito e scaglionata in più tappe renderebbe meno oneroso l’impatto immediato della manovra, tenendo conto del maggior gettito Irpef che deriverebbe dalle ritenute applicate alle somme restituite ai pensionati. Poi si procederà per passi successivi fino alla legge di stabilità di ottobre, per individuare la copertura a regime per le tranche 2016 e 2017 (7 miliardi). Se così non fosse e senza un ulteriore margine di deficit, la copertura non potrebbe che essere affidata a contestuali tagli alla spesa corrente (magari con acclusa un’altra clausola di salvaguardia). Operazione tecnicamente fattibile, se non fosse che realizzare anche 2 o 3 miliardi di tagli a metà anno è impresa assai ardua. Si dovrebbe replicare la prassi dei tagli lineari, con tutte le conseguenze del caso (anche in termini di impatto recessivo sull’economia). Viceversa non resterebbe che ricorrere a incrementi del prelievo fiscale, ma la strada appare preclusa da ragioni sia elettorali (l’imminente appuntamento con le amministrative) sia prettamente economiche (la ripresa ancora fragile). Ecco perchè la matassa è difficile da dipanare. È vero che se qualificata come «una tantum», la restituzione delle somme relativamente al pregresso non peserebbe sul deficit strutturale, salvando con ciò l’obiettivo (che Bruxelles dovrebbe confermare domani nelle sue «raccomandazioni-paese») a ridurre il target di solo lo 0,1% del Pil nel 2016. È altresì vero che quella somma transiterebbe comunque sul deficit nominale. Da qui la decisione di limitare al massimo gli effetti sul saldo 2015. Del resto, ben si comprende la resistenza del governo a rivedere alcuni dei principali target di finanza pubblica a poche settimane dalla loro ufficializzazione nei documenti programmatici inviati a Bruxelles. Soprattutto quando si è ancora in pendenza del via libera da parte della Commissione Ue alla clausola di flessibilità sulle riforme. Lo si potrebbe fare allora a settembre, con la Nota di aggiornamento del Def, senza sforare il tetto del 3 per cento. Si finirebbe altrimenti in procedura d’infrazione per disavanzo eccessivo, perdendo con ciò il «dividendo da riforme» e ogni altra flessibilità prevista dal braccio preventivo del Patto di stabilità.© RIPRODUZIONE RISERVATADinoPesole
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PRIMO PIANO 12 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore
Gli effetti. Con qualsiasi meccanismo, lo sforzo si concentrerà sulle pensioni sotto i 2.700 euro lordi
(1.900 netti)
Il 75% della spesa per gli assegni più leggeriMILANO
Dopo la visita europea del ministro Padoan, il Governo ha qualche giorno di tempo
per trovare il modo di rimborsare i pensionati per la mancata indicizzazione dei loro
assegni, imboccando la via stretta che passa tra le esigenze della Costituzione e quelle
del bilancio pubblico. Lo stesso ministro dell’Economia ha prospettato una soluzione
“progressiva”, anche per limitare i danni ed evitare di sforare i parametri Ue, ma
qualsiasi soluzione adotterà il Governo un dato è chiaro: il 75% dello sforzo servirà a
rifondere per le mancate indicizzazioni le pensioni che non superano i 2.700 euro
lordi, che al netto significano poco più di 1.900 euro al mese (il livello esatto dipende
dalle addizionali locali).
L’indicazione emerge chiara dalla “piramide delle pensioni” disegnata dalle banche
dati dell’Inps. I grafici qui a fianco mostrano la situazione al 2012, anno in cui è
intervenuto il congelamento per la rivalutazione degli assegni superiori a tre volte il
trattamento minimo, e gli effetti che l’indicizzazione ex post potrebbe portare agli
assegni a seconda del meccanismo che sarà scelto.
Per chi fa i conti con il bilancio pubblico, però, il dato chiave è quello della
distribuzione degli assegni per fascia di importo: le pensioni sopra i 5mila euro lordi al
mese, che hanno animato in questi giorni il dibattito sui rimborsi e sulla tenuta del
patto generazionale, sono meno di 25 ogni 10mila assegni. Il tema, insomma, è
decisivo sul piano politico, ma meno centrale su quello economico: da questo punto di
vista, più importanti saranno le decisioni su quanto rimborsare subito, in quanto tempo
spalmare lo sforzo finanziario e come contabilizzarlo alla luce delle regole
comunitarie.
La prova arriva dalla tabella in basso relativa all’ipotesi, di fatto già smentita dal
Governo, di un indennizzo integrale per tutti. In termini pro capire, com’è ovvio, è
questa la scelta che garantirebbe l’indennizzo maggiore alle pensioni più pesante, ma
anche in questo caso il 75% dei rimborsi finirebbe ai titolari di assegni che non
superano i 2.700 euro lordi al mese. Ancora più evidente sarebbe lo schiacciamento
verso il basso se si decidesse di adottare in modo retroattivo il meccanismo introdotto
dal Governo Letta a partire dal 2014, che lima l’indicizzazione al crescere del valore
della pensione: in questo caso, applicando lo stesso sistema anche per ricalcolare la
mancata indicizzazione nel 2012 e 2013, l’87,1% delle risorse finirebbe alle pensioni
che si attestano sotto i 2.700 euro lordi mensili.
Tutte le indicazioni, del resto, concordano nel suggerire che dal decreto in cantiere
uscirà proprio una soluzione in linea con il meccanismo introdotto da Letta: il
Governo ha ricordato in questi giorni i principi di «progressività e temporaneità» che
sembrano accolti dalla Corte, anche se un nuovo giudizio costituzionale pende anche
su questo sistema a scalini (si veda Il Sole 24 Ore di sabato scorso). In ogni caso, è il
“buco” alle rivalutazioni del 2012 e del 2013 a generare gran parte della spesa, con un
effetto domino negli anni successivi: nei due anni disciplinati dalla regola più rigida
della manovra Monti, infatti, il tasso di indicizzazione (riservato alle pensioni fino a
tre volte il minimo) è stato rispettivamente del 2,7 e del 3%, mentre il raffreddamento
dell’inflazione lo ha portato all’1,2% per il 2014 e allo 0,3% provvisorio di
quest’anno. Questa discesa ha ovviamente ridotto gli effetti degli scalini previsti dalla
manovra 2014, ma ovviamente la rivalutazione che si deciderà di assicurare per gli
anni precedenti determinerà a cascata anche la spesa relativa ai periodi successivi.
gianni.trovati@ilsole24ore.com
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Gianni Trovati
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MF
Numero 092, pag. 9 del 13/05/2015
DENARO & POLITICA
Pensioni, il governo chiede tempo
di Andrea Pira
Il governo prende tempo per trovare una soluzione al nodo dei rimborsi delle pensioni stabilito dalla sentenza
della Consulta sulla legge Fornero. Ieri sia il premier Matteo Renzi sia il ministro dell'Economia, Pier Carlo
Padoan, hanno rassicurato la Commissione europea sul fatto che tutto sarà fatto nel rispetto dei parametri
comunitari. Ieri intanto da Bruxelles è arrivata la notizia che l'Italia è considerata «eleggibile» per richiedere
l'applicazione della clausola delle riforme per il 2016, che darà maggiore flessibilità nell'aggiustamento di
bilancio. La lente europea sui conti pubblici è però soltanto una delle variabili che Palazzo Chigi deve tenere
in considerazione. L'altra è la scadenza elettorale delle amministrative del 31 maggio. «La sentenza della
Consulta non dice che bisogna pagare domani tutto. Dice che il governo può intervenire, ma sappia che se
interviene in quel modo è incostituzionale», ha spiegato Renzi riferendosi alla pronuncia sulla mancata
indicizzazione delle pensioni decisa per il 2012 e 2013. «Stiamo ancora studiando le carte perché vogliamo
evitare errori. E soprattutto vogliamo evitare di sparare cifre a casaccio». Il tema è stato al centro dell'incontro
in serata con Padoan, che ieri avrebbe dovuto essere ascoltato in audizione al Senato. Dal canto loro le
opposizioni premono per un intervento immediato. Il governo «non ha alcuna intenzione di intervenire in tema
di pensioni», ha detto il leader della Lega, Matteo Salvini, che ha manifestato davanti al ministero
dell'Economia al grido di «restituite il malloppo». Sulla stessa linea Forza Italia che chiede di rispettare la
sentenza «senza se e senza ma». E oggi alla commissione bicamerale sull'Anagrafe Tributaria toccherà al
presidente dell'Inps, Tito Boeri, rispondere su come si intende applicare la sentenza. (riproduzione riservata)
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MF
Numero 092, pag. 20 del 13/05/2015
COMMENTI & ANALISI
È tempo di ricalcolare i diritti pensionistici in base ai diritti maturati con i contributi
di Paolo Savona
La sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittimo il mancato recupero dell'inflazione per le
pensioni, provvedimento del governo Monti, ha riaperto un dibattito che dura da decenni sulla possibilità che
il sistema pensionistico italiano basato sulla ripartizione - incrociandosi con l'invecchiamento della
popolazione e la riduzione dei contributi che in gran parte lo finanziano - possa reggere nel lungo termine
date le ristrettezze della finanza pubblica. Il maggiore quotidiano economico italiano si chiede se vogliamo
buone pensioni o conti in ordine e uno stimato analista, Giuliano Cazzola, respinge la proposta di ricalcolare
le pensioni dovute su basi contributive. In generale il tema è ancora affrontato sulla base di un astratto
problema di giustizia sociale, dove vale lo scellerato patto tra elettori ed eletti che induce ad affrontarlo in
modo confuso con la redistribuzione dei redditi in forma palese e della ricchezza in forma mascherata.
È possibile fare un po' d'ordine? Negli Usa una ricerca ha accertato che un'alta percentuale di elettori riceve
dallo Stato un valore in termini di prestazioni ricevute, maggiore delle tasse che paga. Il blocco politico di
interessi creatosi intorno a questi privilegi inficia il funzionamento della democrazia. Anche l'Italia dispone di
questi dati, ma essi non vengono resi pubblici in quanto dimostrano che una larga maggioranza degli elettori
si trova in un'analoga situazione, cioè le tasse che paga sono inferiori al valore dei servizi che riceve. È da
qui che si deve partire. Il ricalcolo delle pensioni in base ai contributi versati è doveroso, perché il cittadino
deve sapere quali oneri carica sulla collettività per regolarsi su quale sia la sua posizione nei confronti della
società, sia per moderarsi nell'utilizzo dei servizi che lo Stato gli rende, sia per pretendere che essi siano
prodotti in modo efficiente. Tutte conoscenze che devono orientare l'elettore. Poiché si fa strada l'ipotesi di
concedere un salario di cittadinanza sotto la spinta dell'opposizione, assecondata dalla maggioranza per fini
elettorali, il calcolo di costi e benefici complessivi di ciascun individuo verso la collettività è il solo modo per
ricollocare il problema della giustizia sociale su basi più eque e sostenibili di quelle attuali. Su quasi ogni
aspetto della vita sociale si sovrappone il carico di una redistribuzione dei redditi, facendo perdere cognizione
della portata quantitativa della progressività delle imposte. Nel settore sanitario non è raro il caso in cui il
ticket richiesto supera il valore del farmaco o della prestazione, ma si potrebbero fare ben altri esempi. Il
problema tocca pesantemente la riconduzione del sistema pensionistico su basi sostenibili perché, di fronte a
uno Stato che alleggerisce quest'onere per dedicarsi a risolvere problemi ben più importanti, come l'istruzione
e le infrastrutture, si deve creare un habitat favorevole alla creazione di un sistema pensionistico privato.
Cosa che oggi non solo non si permette, ma si grava di oneri crescenti, dato che gli accumuli di ricchezza
sono ritenuti un simbolo di disuguaglianza da tassare, spesso in forme occulte, come le imposizioni su redditi
presunti. Franco Modigliani vinse il premio Nobel per aver completato la teoria economica neoclassica con
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l'interpretazione dell'offerta di risparmio nota con l'ipotesi del ciclo vitale. Essa trovò conferma sul piano
empirico anche in Italia, dove i risparmi accumulati nel corso del ciclo vitale del lavoro di un individuo erano
usati nella fase finale della vita, in sostituzione o a integrazione della pensione pubblica. Chi era cosciente di
tale necessità e ha provveduto a un piano privato di accumulo di risparmio dopo aver assolto agli obblighi
fiscali, si è trovato nella duplice morsa di uno Stato che in due modi si è sostituito a lui nel godere i benefici
della sua ricchezza: azzerando i rendimenti finanziari e tassando la ricchezza immobiliare a prescindere
dall'esistenza di una rendita effettiva. Ironicamente, sollecitai il governo a intraprendere un'azione di revoca
del premio Nobel a Modigliani per aver trascurato la tassazione (cosa già accaduta con il teorema Modigliani-
Miller sull'indifferenza della leva finanziaria ai fini del valore di mercato di un'impresa).
Il problema dell'onere pensionistico non può più essere risolto con trattamenti discriminatori che rendono lo
Stato il più efferato violatore di contratti, dopo esserne il più severo giudice nel richiederne il rispetto,
soprattutto se ne è diretto beneficiario. Occorre ricalcolare i diritti pensionistici accumulati con i contributi e
semplificare le varie forme di tassazione progressiva per evidenziare su base individuale l'esistenza di una
tassa sul reddito negativa, soprattutto se si vuole applicare un reddito di cittadinanza che non può
prescindere da tale conoscenza. E va consentito l'accumulo in esenzione fiscale di un ammontare massimo
prefissato di risparmi, i cui redditi integrino la pensione, come accade nei paesi civili. (riproduzione riservata)
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PRIMO PIANO 13 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore
LE CONDIZIONI Per almeno 5 anni dovranno mantenere tra i loro asset titoli di infrastrutture turistiche, culturali, ambientali, idriche, stradali
Fondi pensione, al via gli sconti fiscali
Padoan ha firmato il decreto: credito d’imposta annuo di 80 milioni se investono a
medio-lungo termine
Dopo lunghi mesi di gestazione ha visto la luce il decreto che offre uno sconto fiscale
ai fondi pensione e alle Casse previdenziali che investano nell’economia reale. Il
ministro Pier Carlo Padoan ha firmato martedì scorso il provvedimento che permette a
questi investitori istituzionali di ottenere un credito di imposta, per un valore annuo di
80 milioni di euro, in caso di allocazione di una porzione delle loro risorse in azioni,
obbligazioni o quote di organismi collettivi del risparmio, con un obiettivo di medio-
lungo termine. Per almeno 5 anni fondi pensione e Casse dovranno mantenere tra i
loro asset titoli di un ampio ventaglio di settori produttivi: «infrastrutture turistiche,
culturali, ambientali, idriche, stradali, ferroviarie, portuali, aeroportuali, sanitarie,
immobiliari pubbliche non residenziali, delle telecomunicazioni, comprese quelle
digitali, e della produzione e trasporto di energia». Un ventaglio in alcuni punti
allargato rispetto alle bozze del decreto circolate nei mesi scorsi (vedi Il Sole 24 Ore
del 26 marzo), alle infrastrutture turistiche, culturali e ambientali, oltre agli immobili
pubblici non residenziali; sono invece uscite dall’universo investibile le aziende in
crisi e dissesto finanziario.
La misura attua quanto stabilito dalla legge di Stabilità 2015, che aveva innalzato
l’imposizione fiscale sui rendimenti annui di questi soggetti, fatta eccezione per il pro
quota relativo ai titoli di Stato dei paesi Ocse (fermi al 12,5%). Il beneficio fiscale si
sostanzia in una riduzione dell’aliquota versata sul rendimento annuo delle gestioni
per le Casse dal 26 al 20% mentre per i fondi pensione dal 20 all’11%. Dal punto di
vista operativo i soggetti istituzionali dovranno versare all’Agenzia delle entrate
l’ammontare fiscale “pieno”, chiedendo successivamente di ottenere il credito di
imposta corrispondente comunicandolo tramite modello F24 all’Agenzia. Le
eccedenze rispetto al plafond di 80 milioni di euro annui, secondo quanto previsto
dall’art.5 comma 2 del decreto, verranno decurtate percentualmente (pro quota) tra
tutti i soggetti che ne avranno fatto richiesta.
Se su molti punti il testo finale del decreto ha fatto passi in avanti - il citato
allargamento del ventaglio investibile - in altri i passi in avanti sono stati limitati.
L’art. 2 al comma 2 il decreto dà tempo a fondi e Casse solo 30 giorni per reinvestire i
titoli eventualmente scaduti prima della soglia dei 5 anni minimi (in una precedente
versione del testo si parlava di 10 anni per alcuni titoli). Ancor più delicato il tema dei
controlli in materia fiscale, che si vanno a innescare con procedure burocratiche
aggiuntive su una materia peraltro già vigilata da un’Authority preposta, come la
Covip. La formula utilizzata («L’agenzia delle entrate può acquisire il parere del
Dipartimento delle Finanze») lascia trasparire la difficoltà di inserire automatismi
nell’articolazione di dialogo tra il Dipartimento del Mef e l’Agenzia nell’erogazione
del credito di imposta. Il bicchiere è mezzo vuoto agli occhi di chi sperava che il
plafond potesse essere innalzato: da anni fondi pensione e Casse studiano il modo
migliore per veicolare parte degli asset in portafoglio nell’economia reale, stimato in
almeno 2/3 miliardi l’anno. Il dialogo con l’esecutivo era prossimo a sortire una
soluzione idonea l’autunno scorso; naufragato poi con l’aumento della tassazione
imposto con la legge di Stabilità.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Marco lo Conte
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PRIMO PIANO 13 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore
LE TUTELE IN GIOCO
Scarpetta (Ocse): se si interviene sugli adeguamenti per far fronte agli squilibri finanziari vanno protette le pensioni più basse per limitare gli effetti sociali
La spesa previdenziale. L’Italia non è l’unico Stato ad aver utilizzato il congelamento temporaneo delle pensioni per fronteggiare la crisi finanziaria
Indicizzazione sacrificata ai conti in 10 Paesi
Ocse
ROMAL’Italia non è l’unico paese occidentale in cui le leve della riduzione (o del differimento) dell’indicizzazione delle pensioni sono state utilizzate per mitigare la spesa. Basta uno sguardo all’ultimo rapporto dell’Ocse sulla previdenza per scoprire che in almeno altri dieci paesi dell’area, negli ultimi anni, i meccanismi di perequazione sono stati toccati, ridotti o temporaneamente congelati. La ragione è sempre la stessa: tenere bassa la traiettoria di una spesa in costante crescita (dal 9,5% del Pil nella media del 2015 si passerà all’11,7% nel 2050) e l’Italia si trova purtroppo nella parte alta della curva, nonostante le grandi riforme degli anni Novanta e quelle che ne sono seguite.Gli interventi, adottati durante la crisi per far fronte alla necessità di ridurre i forti squilibri di bilancio, sono stati dei più vari. Tutti calibrati per tenere conto sia delle esigenze di sostenibilità finanziaria dei sistemi previdenziali sia della dovuta protezione del potere di acquisto di pensioni che, grazie all’allungamento dell’aspettativa di vita, hanno durate sempre più significative. Vediamo qualche esempio recente indicato come significativo nel Pension Outlook Ocse 2014. In Francia dall’anno scorso l’adeguamento delle prestazioni all’indice dei prezzi scatta in ottobre e non più in aprile, come avveniva prima, per le pensioni che sono sopra i 1200 euro al mese, mentre in Grecia il congelamento delle indicizzazioni è iniziato nel 2011 e dovrebbe concludersi quest’anno, sempre ammesso che il Governo Tsipras trovi le risorse per far ripartire gli adeguamenti automatici sia pure in un contesto di quasi deflazione. Anche in Giappone dovrebbe concludersi quest’anno il temporaneo congelamento delle pensioni adottato durante la crisi, mentre in altri Paesi gli interventi sono stati di più lungo termine, con la scelta (già fatta in Italia nel 1992) di indicizzare le pensioni non più ai salari ma ai prezzi o a coefficienti che contengono un mix di inflazione e salari. È il caso dell’Ungheria (dal 2012) o della Repubblica di Slovenia (dal 2013 al 2017) mentre in Australia è previsto il passaggio all’indicizzazione sull’inflazione e non più sugli stipendi a partire dal 2017. In Finlandia per quest’anno l’indicizzazione è stata temperata, passando da un fattore dell’1% a uno dello 0,4%, ed un “fattore di riduzione” degli adeguamenti è stato introdotto anche in Lussemburgo nel 2013 e in Polonia nel 2012 mentre meccanismi di riduzione degli adeguamenti per le pensioni di vecchiaia e invalidità sono stati varati nella Repubblica Ceca nel 2012 per una durata prevista fino alla fine del 2015. In Spagna, infine, l’indicizzazione è stata calibrata anche sulla base dei contributi versati ed ogni cinque anni, a partire dal 2019, gli assegni saranno adeguati anche sulla base dell’aspettativa di vita.Abbiamo chiesto a Stefano Scarpetta, a capo della direzione Ocse per il mercato del lavoro e la spesa sociale, se si possono immaginare soluzioni definitive di ancoraggio delle pensioni vigenti all’inflazione come, in casi come il nostro, sono stati già introdotti per la valorizzazione dei montanti contributivi (all’andamento del Pil e all’aspettativa di vita nei coefficienti di trasformazione). «È importante - risponde Scarpetta - dare certezza a tutti i contribuenti circa i meccanismi di indicizzazione ed adeguamento delle pensioni, che siano basati sia sull’andamento economico del Paese che dell’evoluzione delle aspettative di vita. Ciò detto, nei paesi fortemente colpiti dalla crisi economica abbiamo registrato degli interventi sull’adeguamento delle pensioni per far fronte ai forti squilibri di finanza pubblica: in questi contesti, sicuramente difficili, è importante proteggere le pensioni più basse per limitare gli effetti sociali di queste misure».È il tema che si riproporrà in Italia una volta superato lo scoglio della sentenza della Corte costituzionale. L’attuale schema di indicizzazione, introdotto con la legge di
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Stabilità del Governo Letta, scade nel 2016. Funziona così: indicizzazione al 100% del costo vita sulla quota di pensione fino a 3 volte il minimo (fino a 1.502,64 euro lordi mensili nel 2015); 95% sulla quota di pensione compresa tra 3 e 4 volte il minimo (tra 1.502,64 e 2.003,52 euro ); 75% sulla quota di pensione compresa tra 4 e 5 volte il minimo (tra 2.003,52 e 2.504,40); 50% sulla quota di pensione superiore a 5 volte il minimo (tra 2.504,40 e 3,005,28 nel 2015); 45% le pensioni di importo superiore a 6 volte il minimo (3.005,58).Dal 2017 si tornerà, salvo diverse scelte del Governo Renzi, al vecchio schema di indicizzazione al 100% del costo vita sulla quota di pensione fino a 3 volte il trattamento minimo; il 90% sulla quota di pensione compresa tra 3 e 5 volte il trattamento minimo; il 75% sulla quota superiore a 5 volte il trattamento minimo..@columbus63© RIPRODUZIONE RISERVATADavide Colombo
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PRIMO PIANO 13 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore
LE?COPERTURE Per quest’anno risorse dal tesoretto e dalla voluntary disclosure. Ma con una blindatura sotto forma di clausola di salvaguardia
Pensioni, subito rimborsi per 3-3,5 miliardi
Venerdì o martedì il decreto - Indicizzazione a scalare, tetto a 2.500-3.500 euro
lordi
ROMAUn rimborso parziale per circa 3-3,5 miliardi nel solo 2015. È quello che dovrebbe prevedere il decreto legge pensioni. Che il Governo conta di varare venerdì, o al più tardi martedì prossimo, per dare applicazione alla sentenza della Corte costituzionale. L’operazione complessiva di restituzione delle mancate rivalutazioni del 2012 e 2013 avverrà con gradualità e per fasce di reddito e dovrebbe concludersi con una coda di rimborsi successivi differiti in più anni a venire. Il tutto per un esborso complessivo di 4-4,8 miliardi. Come detto il rimborso avverrà con un decalage: meno soldi al salire delle fasce di reddito pensionistico con un tetto di fatto ai 2.500-3.500 euro lordi al mese. Ogni fascia di reddito dovrebbe avere un suo adeguamento lineare senza effetto trascinamento su quella successiva, secondo le ipotesi allo studio.Per quest’anno la copertura dovrebbe arrivare in grande parte dal “tesoretto” da 1,6 miliardi e dalle maggiori entrate attese dalla voluntary disclosure. Ma è molto probabile che l’intervento verrà affiancato da una clausola di salvaguardia: in caso di margini fiscali non sufficienti scatterebbero tagli di spesa. In ogni caso per quest’anno il deficit nominale programmatico si attesterà al 2,6%, come ha ripetuto il ministro Pier Carlo Padoan ieri a Bruxelles. Il ministro dell’Economia ha assicurato che la soluzione verrà adottata entro un paio di giorni: «Mi congratulo per la grande fantasia con cui sono state ipotizzate dalla stampa cifre e soluzioni» ha ironizzato, chiedendo di aspettare le decisioni «per non allarmare i pensionati». Una soluzione, ha spiegato, che sarà trovata «nel rispetto pieno dei principi che hanno condotto alla sentenza. Il Governo sta lavorando per una soluzione che minimizzi l’impatto sulla finanza pubblica e permetta di rispettare tutti i parametri di finanza pubblica come scritto nel Def».In mattinata Matteo Renzi aveva a sua volta assicurato che non cambieranno i saldi «e comunque ci manterremo nelle regole Ue». Il premier aveva dato l’impressione che per il varo del decreto i tempi non sarebbero stati immediati: «Ci prenderemo il tempo necessario per evitare di fare degli errori come chi ci ha preceduto», aveva detto, aggiungendo che la sentenza «non dice che bisogna pagare domani mattina tutto». Poi però il confronto con Bruxelles deve aver cambiato schema e convinto anche Palazzo Chigi a seguire i tempi dettati da Padoan, che con Renzi ieri sera ha avuto una lunga riunione dopo i tavoli tecnici all’Economia.Il ministro martedì riferirà in Parlamento, ma già oggi, con ogni probabilità con il viceministro Enrico Morando, è previsto un primo confronto in Senato alla commissione Bilancio. Ieri proprio Morando ha ricevuto al ministero di via XX Settembre una delegazione di parlamentari leghisti capitanata da Matteo Salvini. Al termine dell’incontro il leader della Lega ha detto: «Stanno cercando 20 miliardi ma non per tutti mentre per quanto ci riguarda ci sono 6 milioni di pensionati da risarcire con tanto di scuse». Una richiesta, quella del rimborso totale per tutti che arriva anche da Forza Italia. Dalla maggioranza c’è invece chi, come il sottosegretario all’Economia, Enrico Zanetti (Sc), continua a pensare che non si debba correre: «L’Europa si dia una calmata». In molti, anche nella maggioranza, continuano a ritenere difficile il varo del decreto venerdì, quando il Consiglio dei ministri potrebbe fare un primo giro di tavolo sulla questione. Dal fronte sindacale, la leader della Cgil, Susanna Camusso, chiede un confronto con il Governo prima che venga adottata qualsiasi soluzione. Di sicuro se il decreto venisse varato venerdì all’Inps servirebbe almeno un mese per rendere operativi i rimborsi, che quindi potrebbero arrivare da luglio, quando, sempre per effetto dello stesso provvedimento, dovrebbe scattare anche l’allineamento di tutti i pagamenti previdenziali al 1° del mese (oggi alcuni sono pagati il 10 del mese).
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Un’innovazione messa a punto dal presidente Tito Boeri che ha già chiuso un’intesa (a costo zero) con banche e Poste.© RIPRODUZIONE RISERVATADavide ColomboMarco Rogari
Pagina 2 di 2Il Sole 24 Ore
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MF
Numero 093, pag. 2 del 14/05/2015
PRIMO PIANO
Intanto la Ue dà un sì condizionato al piano
Padoan: è il segno di svolta
di Antonio Satta
Quello 0,3% in più sul pil del primo trimestre è il segnale che il governo attendeva, tanto più che, come ha
spiegato l'Istat, il dato è dovuto soprattutto alla ripresa della domanda interna. Non a caso il ministro
dell'Economia Pier Carlo Padoan non ha mancato di segnare immediatamente il punto e a caldo ha
esclamato: «Il dato sul prodotto interno diffuso oggi dall'Istat è superiore alle nostre aspettative. È presto per
cantare vittoria, ma questo dato è il segnale della svolta impressa all'economia dalle politiche del governo.
Con il mix di riduzione delle tasse, sostegno ai consumi, stimolo agli investimenti e
riforme strutturali», ha detto ancora il ministro, «abbiamo creato le condizioni per
cogliere la finestra di opportunità determinata dal Qe e dal calo del prezzo del
petrolio. Non dimentichiamo che le decisioni della Bce e quelle sulla flessibilità della
Commissione sono state rese possibili dall'atteggiamento responsabile dei singoli
Stati nella gestione dei bilanci e in una programmazione finanziaria in equilibrio tra
risanamento e sostegno a crescita e occupazione». Un quadro roseo che però non
nasconde le ombre e le insidie che ancora pesano sull'economia, come l'inflazione
che continua per il quarto mese consecutivo a segnare un meno su base annuo.
Sempre l'Istat ha infatti segnalato ieri che nel mese di aprile l'inflazione è salita dello 0,2% rispetto al mese
precedente, ma continua a registrare un -0,1% su base annua. Fenomeno dovuto all'ampia diminuzione dei
prezzi dei Beni energetici (-6,4%; era -6,5% a marzo), alla quale si sommano, ad aprile, i cali tendenziali dei
prezzi dei servizi relativi ai trasporti (-0,6 da +0,5% di marzo), dei servizi relativi all'abitazione (-0,2 da -0,1%
del mese precedente) e di quelli relativi alle comunicazioni (-0,1 da +1% di marzo). Ieri però era il giorno del
bicchiere mezzo pieno e così anche il via libera condizionato dell'Unione Europea al piano economico del
governo è stato classificato fra le notizie positive. Il documento della Commissione con le raccomandazioni ai
Paesi membri ha ribadito che l'Italia, assieme a Bulgaria, Francia, Croazia e Portogallo, rimane classificata
fra i Paesi con «eccessivi squilibri» macroeconomici, ma non corre il rischio di una procedura di deficit
eccessivo e ha incassato anche alcuni giudizi positivi sul piano di riforma «ambizioso». Non che questo abbia
impedito alla Commissione Ue di spedire a via XX Settembre e a Palazzo Chigi ben sei raccomandazioni, a
partire dall'accelerazione delle privatizzazioni, ma c'è anche la richiesta di varare tutti i decreti della Delega
fiscale entro settembre 2015. Un altro punto dolente riguarda le banche e la loro governance. La
Commissione in particolare ha messo nel mirino il ruolo delle fondazioni, oltre che il peso considerato
eccessivo dei crediti deteriorati, ma per quanto riguarda fondazioni e governance i problemi dovrebbero
essere superati dal protocollo firmato dall'Acri e dal governo, oltre che dai nuovi poteri, anche di rimozione
dei vertici bancari, affidati a Bankitalia. Quanto al debito pubblico il giudizio resta sospeso, Bruxelles vuole
Pagina 1 di 2Padoan: è il segno di svolta - MilanoFinanza.it
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sapere prima come il governo intende risolvere il problema delle pensioni, dopo l'intervento a gamba tesa
della Consulta. Non a caso da via XX Settembre filtra la notizia che il governo scioglierà lunedì i nodi riguardo
la platea dei pensionati che verranno rimborsati e le conseguenti coperture di spesa. (riproduzione riservata)
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MF
Numero 093, pag. 18 del 14/05/2015
COMMENTI & ANALISI
Si decida in fretta sulle pensioni congelate da Monti. O addio uscita dalla recessione
di Angelo de Mattia
La decisione della Corte Costituzionale sulla legge in materia di limiti alla rivalutazione delle pensioni
continua a far discutere per l'impatto sui conti pubblici e l'osservanza dei parametri europei. Alla tesi
estremistica secondo la quale la Consulta non potrebbe pronunciarsi su misure della specie adottate da
governo e Parlamento, che, come ha ricordato Sabino Cassese, si traduce nell'assurdo di non volere che la
Consulta svolga la funzione cui è preposta, si affianca l'altra, molto più ragionevole, del commento del merito
delle decisioni. Si può condividere o no una pronuncia della Consulta, esecutivo o Parlamento possono
intervenire o meno, dopo la bocciatura di una legge, per disciplinare diversamente la materia, ma fa parte del
gioco democratico e di 200 anni di costituzionalismo, ai quali Cassese ha fatto riferimento, che un organo
supremo abbia il potere di valutare la conformità delle leggi alla Costituzione. Il fatto è che la querelle sulla
pronuncia della Corte ha fatto passare in secondo piano l'origine di questa vicenda, che è la decisione del
governo Monti di bloccare la rivalutazione senza porsi affatto il problema della legittimità costituzionale di una
tale previsione, pur in presenza di molti interventi che attiravano l'attenzione sul rischio di incostituzionalità. È
paradossale ora che si critichi la Corte e nulla si dica per il grave azzardo di quel governo, che non si può
giustificare con l'eccezionalità del momento e con il pericolo dell'arrivo in Italia della Troika, perché altre
misure di pari efficacia erano pur sempre adottabili. In passato, la Consulta aveva in qualche modo
subordinato la materia dei diritti acquisiti che toccassero l'equilibrio finanziario dello Stato all'osservanza delle
compatibilità di bilancio. Da un po' di tempo si avvertono invece i segnali che nel bilanciamento tra valori e
diritti, tutti costituzionalmente protetti, non si attribuisce la priorità alle esigenze dei conti pubblici. Una linea
non certo arbitraria, visto che è necessario contemperare il soddisfacimento di opposte esigenze, non
collocabili in un ordine gerarchico.
Ribadita dunque la correttezza assoluta della Consulta, pur in presenza di una votazione chiusa sul filo di
lana con il voto decisivo del presidente, bisogna guardare avanti. Da un lato, la vicenda riporta alla piena
attualità il grave ritardo nella nomina dei giudici della Corte che, con le dimissioni dell'attuale Capo dello
Stato, Sergio Mattarella, sono diventati tre. Dall'altro, fornisce lo spunto a introdurre la dissenting opinion, in
modo da affermare la trasparenza sulle decisioni adottate con riferimento ai voti espressi dai singoli giudici.
Poi occorre provvedere tempestivamente con l'emanazione del programmato decreto per stabilire modi e
limiti della rivalutazione delle pensioni e dell'eventuale individuazione delle fasce di beneficiari. Ieri ci sono
state forse eccessive dimostrazioni di giubilo per la crescita del pil dello 0,3% nel primo trimestre 2015, che
pone fine a 13 variazioni negative, e quindi fa venir meno la recessione. Si è parlato di punto di svolta; il
ministro del Tesoro, Pier Carlo Padoan ha detto che l'Italia è riuscita a cogliere la finestra di opportunità data
Pagina 1 di 2Si decida in fretta sulle pensioni congelate da Monti. O addio uscita dalla recessione...
14/05/2015http://www.milanofinanza.it/giornali/stampa-articolo?id=1986321&access=AB
dal Quantitative easing e dal prezzo del petrolio. Il Tesoro ha dichiarato che l'aumento del prodotto dello
0,7% nell'anno è ora a portata di mano. Vi è motivo per una certa soddisfazione anche perché il dato va oltre
le attese, ma non bisogna strafare: tutto ancora è sub iudice e ciò non va dimenticato prima di parlare di vera
svolta, in presenza di una previsione sul pil annuo non certo soddisfacente.
Il dato dovrebbe essere assunto, invece, come stimolo a intensificare non solo il processo di riforma, ma
anche ad adottare misure a sostegno della domanda aggregata. Per ora dovremmo continuare a dire hirundo
non facit ver, pur essendo già in primavera. Ma tutto ciò impone, affinché non si danneggi un clima che
davvero potrebbe farsi meno pesante, di provvedere subito al decreto che dovrà disciplinare le conseguenze
della decisione della Consulta. Non sarà facile soddisfare i pensionati (tutti o solo una parte) e nel contempo
tutelare i conti pubblici, e rispettare le regole di Bruxelles mantenendo margini di sicurezza sul deficit e
rispettando gli obiettivi di medio termine, come è stato detto dalla Commissione Ue, nonché dando seguito
alle raccomandazioni di quest'ultima, con particolare riferimento a riforma del Fisco e privatizzazioni. Eppure
di una decisione tempestiva c'è bisogno perché il rinvio, in una dannata ipotesi, a dopo le elezioni regionali,
avrebbe l'effetto di offuscare questo clima migliore che si può determinare, sia pure senza eccessi, dopo il
dato Istat. (riproduzione riservata)
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PRIMO PIANO 14 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore
Il Pil torna positivo: +0,3% nei primi tre mesi
Spinta da industria e agricoltura, domanda interna in ripresa - Squinzi: dato
positivo, non entusiasmante
ROMAL’Istat certifica: l’attività produttiva è tornata a crescere in Italia e nel primo trimestre del 2015 ha messo a segno un incremento dello 0,3 per cento. Si tratta di una cifra che supera lievemente le attese di consenso (si pensava a un +0,2% trimestrale), anche quelle relative alla dinamica tendenziale del prodotto. Il Pil ha smesso di decrescere su base annua e nei dodici mesi la variazione è pari a zero mentre le aspettative degli esperti erano per un meno 0,2 per cento. La notizia è da salutare come un passaggio importante, perché si tratta del primo dato positivo dopo cinque trimestri e perché l’aumento registrato dal prodotto nel primo scorcio del 2015 (non particolarmente brillante, in linea con la crescita tedesca e molto al di sotto delle performance francese e spagnola) rappresenta tuttavia per il nostro paese un massimo da ben quattro anni.Cauta la valutazione del presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi: «È un dato positivo, non è entusiasmante, comunque c’è un’inversione di tendenza» ha dichiarato, lasciando la riunione di Assonime. Alla domanda se l’Italia si possa ritenere definitivamente fuori dalla recessione, il leader degli industriali ha risposto: «Questo mi sembra allargarsi un po’» ma ha convenuto che il dato «fa ben sperare».Comincia dunque a ricomporsi la prolungata divergenza fra i sintomi di schiarita congiunturale, puntualmente segnalati anche per l’Italia dalle indagini qualitative, e i dati statistici oggettivi, a lungo deludenti. Per conoscere in dettaglio quali siano stati i driver di questo recupero occorrerà attendere la seconda pubblicazione Istat alla fine di maggio. Ieri, nella sua stima-flash l’istituto ha tuttavia segnalato che la ripresa deriva da una crescita del valore aggiunto nell’agricoltura e nell’industria (comprese le costruzioni), mentre si è verificata una sostanziale stazionarietà nel settore dei servizi. Il traino per l’economia, insomma, sembra essere in questo momento la manifattura, che comincia a rispondere positivamente agli effetti positivi del mini-euro, del basso prezzo dell’energia e della politica monetaria ultra accomodante decisa a Francoforte dalla Bce di Mario Draghi. «Il rialzo del Pil - spiega Sergio De Nardis, chief
economist di Nomisma - si è realizzato nonostante un contributo negativo delle esportazioni nette e grazie al positivo andamento della domanda interna. Quando si avranno i dati completi - aggiunge - occorrerà verificare quanto il rimbalzo delle scorte, scese costantemente nei trimestri precedenti, abbia sostenuto il Pil in gennaio- marzo». Se questo rimbalzo fosse forte, è il sottinteso, la spinta al recupero nel secondo trimestre potrebbe anche affievolirsi.C’è però chi, come Fabio Fois, economista di Barclays research, ritiene che, scorte o non scorte, la ripresa terrà il ritmo anche nel resto dell’anno, perché sarà guidata da una combinazione di domanda interna ed estera e perché a prevalere, sul lato domestico, sarà il recupero dei consumi più che quello degli investimenti. Le famiglie, sostiene l’analista, beneficeranno di un un reddito disponibile reale accresciuto, della stabilizzazione del mercato del lavoro e dell’intonazione non restrittiva della politica di bilancio. Una linea di ragionamento, quest’ultima, pienamente rivendicata dal ministro dell’Economia: «Il dato sul Pil diffuso dall’Istat è superiore alle nostre aspettative e rende ancora più a portata di mano il raggiungimento dell’obiettivo di crescita dello 0,7% nel 2015, indicato del Def. È presto per cantare vittoria, ma questo è il segnale della svolta impressa all’economia dalle politiche del Governo» ha commentato ieri Pier Carlo Padoan. Che ha aggiunto: «Con il mix di riduzione delle tasse, sostegno ai consumi, stimolo agli investimenti e riforme strutturali abbiamo creato le condizioni per cogliere la finestra di opportunità determinata dal Qe e dal calo del prezzo del petrolio. Non dimentichiamo - ha concluso Padoan - che le decisioni della Bce e quelle sulla flessibilità della Commissione europea sono state rese possibili dall’atteggiamento responsabile dei singoli stati nella gestione dei
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bilanci e in una programmazione finanziaria in equilibrio tra risanamento e sostegno a crescita e occupazione».© RIPRODUZIONE RISERVATARossella Bocciarelli
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PRIMO PIANO 14 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore
La spesa delle famiglie. A tirare le vendite gli alimentari, bene gli smartphone
Mini-ripresa per i consumi
MILANOPiccoli segnali, a macchia di leopardo ma continui: per i consumi l’aria è iniziata a cambiare già dallo scorso dicembre. Siamo fuori dal tunnel della crisi? Sì, secondo Iri, che monitora le vendite di grocery (50 miliardi) nella grande distribuzione. La società americana registra, nel primo trimestre, una crescita delle vendite nelle catene commerciali del 2,8% a valore e del 2,9% a volume. Anche l’Istat nelle sue rilevazioni sul commercio al dettaglio ha segnalato un mini-balzo dello 0,7% tendenziale nel primo bimestre del 2015. A tirare le vendite (sia pure dai livelli depressi degli ultimi anni) secondo Istat sono soprattutto gli alimentari: +0,2% nel trimestre dicembre-febbraio con un’accelerazione a +1,4% nel bimestre gennaio-febbraio. Il non food fa più fatica: +0,2% nel bimestre, con elettrodomestici e apparecchi elettronici (in particolare gli smartphone) che guadagnano circa un punto percentuale, seguiti da arredamento (+0,7%) e abbigliamento (con uno striminzito +0,2%). La mini ripresa dei consumi però non ha fatto ripartire i prezzi che rimangono in sostanziale deflazione(vedi servizio a pagina 11): produttori e commercianti preferiscono mantenere viva la domanda attraverso continue campagne di promozioni, sottocosto e bonus, accontentandosi (per ora) dei margini all’osso ma mantenendo le quote di mercato. La ripresa durerà? «Credo proprio di sì - risponde Giorgio Santambrogio, ad della catena commerciale VéGé (1.600 punti vendita e circa 3 miliardi di fatturato) - Il peggio è passato: si sente meno sfiducia rispetto al passato e questo è importantissimo per chi fa il nostro mestiere. Infatti siamo tanto convinti della sostenibilità della ripresa che abbiamo deciso di cambiare strategia promozionale. E cercare di recuperare qualcosa sui margini».Anche Giuseppe Ferro, ad di La Molisana propende decisamente per la ripresa. «È cambiato molto anche solo rispetto a un anno fa - sostiene l’imprenditore - I consumatori sono decisamente più fiduciosi e le stesse banche sono molto più propositive, anche grazie ai soldi della Bce». L’unica nota stonata del mercato italiano della pasta è che nel primo quadrimestre ha perso l’1,9% (in compenso tira l’export), ma La Molisana ha guadagnato il 30% a volume. La musica non cambia nel comparto dell’elettronica di consumo. Da dicembre «assistiamo a una positiva inversione di tendenza, in via di consolidamento – osserva Davide Rossi, dg di Aires (raccoglie i Big 5 Media World, Unieuro, Trony, Expert ed Euronics cioè il 70% di un mercato che vale 10 miliardi)-. Vanno benissimo gli smartphone, peccato però che i consumatori qualche volta abbiano fatto a meno di acquistare i mini tablet. Bene i piccoli elettrodomestici, spinti dalle trasmissioni televisive dedicate alla cucina; al palo invece l’audiovideo». Dunque la crisi della domanda è stata superata? «Arriviamo da oltre tre anni di difficoltà - conclude Rossi - e per ritornare ai livelli del 2010 ci vorrà ancora molto tempo».© RIPRODUZIONE RISERVATAEmanuele Scarci
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PRIMO PIANO 14 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore
IN?PARLAMENTO
Morando: per la Corte troppi due anni di blocco e la mancata progressività. Poletti: a pagare non saranno le generazioni future
Dopo la sentenza. Decreto legge lunedì, si cercano risorse per 2-3 miliardi per il 2015
Pensioni, ora il governo pensa al rimborso di
un solo anno
ROMA
Un rimborso in due tappe per rispondere alla sentenza della Corte costituzionale e nel
rispetto dell’equilibrio di bilancio. Il nodo della mancata rivalutazione delle pensioni
superiori a 1.486 euro lordi verrà sciolto con ogni probabilità dal Consiglio dei
ministri di lunedì per decreto legge. Una norma d’urgenza per restituire parte
dell’indicizzazione perduta nel biennio 2012 e 2013 con un criterio di progressività
basato sulle fasce di reddito pensionistico che potrebbe essere molto simile al décalage
varato con la legge di stabilità 2014 del governo Letta. Ma con l’introduzione di un
tetto attorno ai 3.000-3.200 euro lordi oltre il quale il blocco potrebbe esser
confermato.
Per conoscere lo schema preciso dell’intervento bisognerà aspettare ancora qualche
giorno ma il sentiero sarebbe segnato. Con l’ipotesi, nuova tra le diverse sul tavolo, di
rimborsare uno solo dei due anni bloccati dal “Salva Italia” (il 2012 e il 2013) per
ridurre ulteriormente l’impatto sui conti e con il ricalcolo delle indicizzazioni del 2014
e 2015. Le risorse da reperire sarebbero in calo rispetto a quanto ipotizzato finora:?
2-2,8 miliardi netti per l’anno in corso, cui potrebbe aggiungersi un altro miliardo
sugli anni a seguire con rimborsi rateizzati, da definire con la prossima legge di
Stabilità. L’intervento, che impatta come una tantum sul deficit nominale dell’anno in
corso (resterà al 2,6% programmato) verrebbe coperto utilizzando gli accantonamenti
di bilancio per un importo equivalente a 1,6 miliardi (la differenza tra deficit
tendenziale e programmatico)e contando sulle maggiori entrate che si
determinerebbero con la voluntary disclosure. Ma entrambe queste fonti di copertura
avranno comunque bisogno di una clausola di salvaguardia perché saranno verificate
solo in sede di assestamento.
Ma il fronte delle coperture sarebbe ancora apertissimo. E la soluzione che verrà
individuata sarà letta con grande attenzione a Bruxelles, poiché da essa dipenderà la
decisione di redigere o meno un rapporto sul debito pubblico italiano ai sensi
dell’articolo 126.3 del Trattato, come ha affermato ieri il commissario Ue agli Affari
economici, Pierre Moscovici. Un rilievo registrato dal ministero dell’Economia con
una nota di soddisfazione per i giudizi contenuti nella raccomandazioni e nella quale si
fa notare come «la Commissione ritiene conforme alla regola del debito l’impegno del
governo a raggiungere l’obiettivo di medio termine, ossia il pareggio di bilancio
strutturale, nel 2017, e ad implementare le riforme per migliorare le performance del
Paese in termini di sviluppo, competitività e creazione di posti di lavoro». Mentre sul
problema dell’adeguamento delle pensioni all’inflazione «il governo - prosegue la
nota - ha già affermato l’intenzione di presentare a breve una soluzione rispettosa del
dettato della Consulta e in linea con gli obiettivi di bilancio indicati nel Def».
Sulla questione ieri mattina il premier Matteo Renzi e il ministro all’Economia Pier
Carlo Padoan hanno avuto un nuovo confronto, al termine del quale è stato deciso di
convocare il Consiglio di lunedì ma senza indicare alcun ordine del giorno. Oggi è
probabile che il pre-consiglio fissi gli aspetti tecnici delle soluzioni possibili in attesa
della decisione politica.
Intanto sulla sentenza della Consulta il Governo ha fatto le sue prime comunicazioni
in Parlamento. La prima con il vicemimistro all’Economia, Enrico Morando, in
commissione Bilancio del Senato. La seconda nel question time con il ministro
Giuliano Poletti alla Camera.
Faremo presto e bene, ha affermato Morando, secondo il quale la Consulta ha indicato
due ragioni di illegittimità: «La temporaneità, perché due anni erano troppi, e la
mancata progressività» dello stop all’indicizzazione. Sarebbe dunque escluso, secondo
questa lettura, che la Corte chieda il rimborso per tutti i pensionati interessati. «Non
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c’è il problema della data delle elezioni» per varare il decreto, ha detto il ministro
della Lavoro alla Camera, l’obiettivo è di «arrivare molto prima alla decisione».
Poletti ha soprattutto assicurato che la sentenza sarà applicata rispettando i principi di
«equità e senza scaricare ulteriori pesi sulle future generazioni».
Una linea di equità che è stata sollecitata anche dal presidente dell’Inps Tito Boeri
che, dopo aver confermato come l’Istituto sia pronto per far partire gli adeguamenti,
ha auspicato una decisione «improntata sull’equità non solo tra chi ha più e meno, ma
anche da chi è chiamato a dare di più e domani avrà di meno», ha detto in audizione
nella commissione sull’Anagrafe tributaria. Anche l’ex commissario straordinario
dell’Inps, Tiziano Treu, ha suggerito la strada della solidarietà sostenendo che si
dovrebbe togliere qualcosa «alle pensioni ricche per sostenere quelle povere».
Secondo Treu vanno riviste le pensioni calcolate con il metodo retributivo e quelle che
beneficiano ancora di rendimenti più alti della media come quelle erogate da molti
fondi speciali «calcolando un prelievo di solidarietà sulla differenza» tra contributi
versati e prestazione.
Dalle opposizioni continuano ad arrivare richieste di rimborsi integrali (Fratelli
d’Italia annuncia una class action all’Inps) mentre Cesare Damiano (Pd) è tornato a
chiedere un incontro tra Governo e parti sociali prima del varo del decreto.
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Davide Colombo
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NORME E TRIBUTI 14 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore
Welfare. Le settimane di contributi già utilizzate non sono valide per il nuovo ammortizzatore
I requisiti Aspi riducono la Naspi
Domanda solo online ed entro 68 giorni dalla perdita dell’impiego
La durata della Naspi è svincolata dal requisito anagrafico degli interessati ed è
invece rapportata alla storia contributiva del lavoratore, meccanismo questo che
privilegia chi vanta più significative anzianità contributive.
L’arco temporale di spettanza – corrispondente a un numero di settimane pari alla
metà di quelle oggetto di contribuzione negli ultimi quattro anni – non può
ricomprendere, tuttavia, i periodi contributivi che hanno già dato luogo a erogazione,
in favore del medesimo soggetto, di altre prestazioni di disoccupazione, anche se fruite
in unica soluzione in forma anticipata. Ne deriva, dunque, che i periodi contributivi
precedenti la prestazione di cui hanno costituito la base di calcolo devono essere
esclusi ai fini della durata.
Tuttavia, dato che le precedenti forme di tutela (disoccupazione ordinaria e Aspi) non
ragguagliavano le rispettive durate alla contribuzione pregressa, nella circolare
94/2015 l’Inps illustra un’articolata serie di criteri per determinare i periodi oggetto di
esclusione ai fini della Naspi. Ad esempio, nell’ipotesi in cui un lavoratore – nei 4
anni che precedono l’inizio del periodo di disoccupazione per cui richiede la Naspi -
abbia percepito integralmente l’Aspi, vengono escluse dal computo dei contributi utili
per la nuova prestazione (Naspi) le settimane di durata teorica dell’indennità già
goduta che non possono comunque essere inferiore a 52 (requisito minimo di accesso
all’Aspi). Al contrario, se il soggetto ha fruito parzialmente delle prestazioni Dso e
Aspi, il numero di settimane da escludere si riduce in funzione della minore durata.
Non sono esclusi i periodi contributivi che hanno dato luogo a indennità di
disoccupazione ordinaria con requisiti ridotti e alla mini Aspi 2012; di contro, le
settimane di percezione delle indennità di disoccupazione mini Aspi (dal 2013)
vengono raddoppiate e tolte dal periodo di durata della Naspi.
Sempre riguardo alla durata, si ricorda che per gli eventi di disoccupazione verificatisi
dal 1° gennaio 2017, la nuova assicurazione sociale per l’impiego non potrà eccedere
le 78 settimane.
Per quanto riguarda l’importo della prestazione, valgono gli stessi principi dell’Aspi,
ma va rilevato che – contrariamente, a quest’ultima, in cui operavano a regime due
riduzioni (entrambe del 15% rispettivamente dopo sei e dopo dodici mesi di fruizione)
- la Naspi si riduce del 3% mensile dal primo giorno del quarto mese di fruizione.
Le istruzioni operative dell’Inps confermano che la domanda di Naspi deve essere
presentata esclusivamente in via telematica. Il termine di trasmissione è fissato, a pena
di decadenza, in sessantotto giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro. A tale
scopo l’istituto ricorda che nel caso di maternità indennizzabile, iniziata entro i
sessantotto giorni dalla data di cessazione del rapporto di lavoro, il termine di invio
della domanda si sospende per tutta la durata dell’evento di maternità. Anche per la
malattia, l’infortunio e malattia professionale indennizzati, è prevista la sospensione
del termine sino alla fine degli eventi ma solo per i rapporti a tempo indeterminato. Se
tali eventi sono iniziati prima della conclusione del rapporto di lavoro, il termine per la
trasmissione della domanda decorre dalla fine dei periodi indennizzati.
In caso di controversia rileva, invece, la data di definizione della vertenza sindacale o
quella di notifica della sentenza giudiziaria. Se al lavoratore è stata erogata l’indennità
sostitutiva di preavviso (Isp), il termine di inoltro della domanda di Naspi decorre
dalla fine del periodo (espresso in giorni) coperto dall’Isp. Il licenziamento per giusta
causa riduce il termine di prestazione ai 30 giorni successivi alla data di cessazione.
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Antonino Cannioto
Giuseppe Maccarone
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PRIMO PIANO 15 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore
IMPATTO SUI CONTI
La maggior spesa una tantum aumenta il deficit nominale, serve l’ok di Bruxelles per sterilizzare l’impatto sul deficit strutturale
Rapporto Pisauro. Con i rimborsi integrali si va oltre 3mila euro
Upb: con la sentenza sulle pensioni a rischio la
regola della spesa
roma
La partita più difficile per il Governo si gioca in gran parte nel campo della spending
review, sosteneva il 24 aprile scorso il presidente dell’Ufficio parlamentare di
Bilancio, Giuseppe Pisauro, intervistato dal Sole-24 Ore. Una valutazione che, dopo la
sentenza della Consulta sulle pensioni, assume ora i toni più forti utilizzati nel
Rapporto sulla programmazione di bilancio pubblicato ieri. Il documento offre una
valutazione del Def che è quella uscita nel corso delle audizioni parlamentari ma
contiene un capitolo finale tutto dedicato agli effetti della sentenza sulle pensioni.
Secondo l’Upb in assenza di interventi compensativi l’intero impatto (rimborso degli
arretrati e nuove indicizzazioni a regime) entrerebbe nell’aggregato di spesa
monitorato secondo i criteri contabili europei provocandone una «deviazione
significativa rispetto a quanto previsto dalle regole» per l’anno 2015. Nell’analisi, che
è svolta in attesa di conoscere quante risorse il Governo deciderà di mettere in campo
con il decreto, si fa anche notare che le regole sulla spesa non tengono conto né del
carattere temporaneo dei pagamenti imprevisti né dell’aumento delle entrate Irpef che
si determinerebbe con i rimborsi pensionistici, con la conseguenza «che il
soddisfacimento della stessa regola diventa più gravoso».
L’Upb ha fatto anche qualche calcolo sull’entità dei rimborsi potenziali per alcuni
pensionati tipo (nel caso di restituzione piena dell’indicizzazione perduta nel 2012 e
nel 2013) utilizzando il meccanismo di perequazione pre-riforma Fornero, vale a dire
il più oneroso per i conti pubblici. Ne deriva che per i trattamenti pari a 3,5 volte le
pensioni minime (1.639 euro nel 2011) il cumulo degli arretrati per il triennio 2012-
2014 equivarrebbe a circa 3mila euro, mentre dal 2015 la maggiorazione annua
sarebbe attorno ai 1.230 euro. La maggiore spesa impatterà come una tantum
sull’indebitamento netto del 2015 e potrebbe essere esclusa dal calcolo del saldo
strutturale, per alcune sue componenti, con il via libera della Commissione europea.
Mentre tutti i rimborsi, registrati con il criterio di cassa, impatterebbero anno dopo
anno sul debito pubblico.
Il rapporto dell’Upb dedica una lunga analisi critica alla nuova spending review
annunciata dal Governo per il 2016 con interventi per 0,45 punti di Pil (circa 7
miliardi) che, secondo l’Esecutivo, facendo leva anche su altre misure collaterali
potrebbero arrivare a 0,6 punti di Pil (circa 10 miliardi). L’Ufficio parlamentare di
Bilancio mostra più di una perplessità ed esprime diversi rilievi sulla strategia decisa
dal Governo che prevede una razionalizzazione della spesa agendo su uffici territoriali
dello Stato, partecipate, immobili pubblici, centralizzazione degli acquisti, adozione
dei costi e dei fabbisogni standard e riordino degli incentivi alle imprese. Per l’Upb, in
particolare, c’è «il rischio di duplicazioni dei risparmi attesi tra diverse aree di
intervento correttivo indicate nel Pnr», a cominciare da quelle relative «ai costi
standard, i trasferimenti alle imprese e la razionalizzazione delle società partecipate
(sul trasporto pubblico locale e regionale)». Proprio i settori su cui il nuovo
commissario alla spending, Yoram Gutgeld, sta lavorando insieme a Roberto Perotti.
Non solo. Secondo l'Upb un «analogo rischio di sovrapposizione vi è tra gli interventi
di contenimento della spesa per consumi intermedi o per le locazioni e, ancora una
volta, l’applicazione dei fabbisogni standard».
Non mancano poi alcune raccomandazioni. A partire dall’esigenza di verificare lo
stato di attuazione dei provvedimenti già adottati e dalla «necessità di considerare che
le voci di spesa richiamate nel Def sono quelle più facilmente aggredibili e pertanto
sono state maggiormente interessate da precedenti misure di correzione che hanno
ristretto gli spazi di intervento futuri». L’Upb, infine, tiene a ricordare che le revisioni
di spesa «necessitano di processi di riorganizzazione complessi che si possono
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realizzare, con gradualità nel medio periodo, in contrasto con le esigenze di
reperimento di risorse fin dal primo anno che emergono dal quadro programmatico del
Def».
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Davide Colombo
Marco Rogari
siate egoisti e spendete in investimenti pubblici il vostro tesoretto
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PRIMO PIANO 15 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore
INTERVENTI A
LUNGO TERMINE La riforma Fornero ha anteposto gli interessi a lungo termine ai vantaggi politici più immediati
L’ANALISI
Anche se frutto di urgenze la riforma non va
demolita
La riforma delle pensioni in Italia ha reso il sistema previdenziale più semplice, equo, sostenibile e trasparente. È una strategia su cui costruire, non va demolita. Non è il caso di entrare nel merito della sentenza della Corte costituzionale. Ma bisogna tenere presente che se è stata l’urgenza delle pressioni economiche a far scattare l’intervento, il problema alla radice è a lungo termine e la riforma ha agito su entrambi i fronti. Secondo il recente rapporto Ocse, l’Italia sta invecchiando rapidamente, con un tasso di fecondità ben al di sotto della media e una speranza di vita tra le più alte dell’Ocse. Così, il rapporto tra la popolazione di oltre 65 anni e quella in età attiva (il cosiddetto indice di dipendenza degli anziani) è sceso da 4,2 nel 1980 a 2,8 nel 2014, e stando alle proiezioni nel 2050 toccherà l’1,5. Ma c’è un altro problema nell’immediato. Nel 2011, la spesa per le pensioni era il 9% del Pil, tra le più alte dell’Ocse (solo Spagna e Grecia spendono di più) e 1,75 volte la media Ocse del 5,2%. In Germania era del 6,9% e in Svezia 6,2%. Questo costo elevato è in parte dovuto ai pre-pensionamenti. L’età pensionabile effettiva in Italia è una delle più basse dell’Ocse e la partecipazione al mercato del lavoro della popolazione tra i 55 e i 64 anni resta relativamente bassa nonostante un aumento dal 27,7% nel 2000 al 40,4% nel 2012.La riforma del governo tecnocratico di Monti puntava a riavvicinare la spesa pubblica in generale, e quella pensionistica in particolare, alla media Ocse. I cambiamenti hanno dato inizio a una riforma generale. Tra le principali misure c’erano: 1) l’accelerazione delle riforme degli anni ’90, la cui attuazione è stata lenta per questioni politiche; 2) l’innalzamento dell’età pensionabile; 3) l’avvio del processo di parificazione dell’età pensionabile per uomini e donne; 4) il miglioramento dei meccanismi di adeguamento in futuro.Due domande sorgono spontanee: era l’unica direzione possibile per le riforme? E sono state delle buone riforme? In teoria, i politici avevano solo tre risposte possibili da combinare per far fronte al calo dell’indice di dipendenza degli anziani. Potevano: 1) aumentare la spesa pensionistica per coprire i costi extra. Se quell’aumento è finanziato interamente dai contributi, significa che la spesa pensionistica più alta viene finanziata dai lavoratori;2) ridurre gli assegni mensili medi per evitare un corrispettivo aumento della spesa pensionistica. In tal caso, il costo di adeguamento va a ricadere sul tenore di vita dei futuri pensionati;3) innalzare l’età della pensione (senza un corrispondente aumento delle pensioni) per tenere a bada l’aumento della spesa. Anche in tal caso il costo di adeguamento ricade sui futuri pensionati, ma non sul tenore di vita, bensì con una minore durata della pensione.Un buon programma dovrebbe avere due caratteristiche: la prima, probabilmente userà più di uno di questi strumenti e possibilmente tutti e tre; la seconda, scandirà il processo di ristrutturazione in modo graduale e prevedibile; le pensioni dovrebbero garantire una pianificazione a lungo termine, perciò è meglio evitare ogni scossone a breve termine. Se i politici ignoreranno i futuri problemi prevedibili (e previsti), vi saranno due effetti indesiderati: la spesa pensionistica aumenterà più del dovuto e una crisi finirà per portare a una riforma dall’oggi all’indomani.Gli effetti congiunti della crisi economica del 2008 e di quella dell’eurozona sono stati uno stress test troppo pesante per l’Italia che aveva bisogno di riforme rapide e profonde. L’elevata spesa pensionistica era dovuta a un accesso generoso ai trattamenti, a un aggiustamento inadeguato all’aumento della speranza di vita e a riforme incomplete. A concorrere alla spesa elevata sono stati i contributi più alti dell’Ocse (33% nel 2012 rispetto alla media del 19,6%).
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Un problema grave si è trascinato per tanti anni ed è stato rinviato ai governi futuri, per poi toccare in eredità al ministro del Lavoro Elsa Fornero, del governo Monti tra novembre 2011 e aprile 2013. Le principali riforme Monti-Fornero prevedevano tutte e tre le risposte di cui sopra. Gli elevati tassi contributivi hanno precluso la risposta 1, tranne che per i lavoratori autonomi che si sono ritrovati contributi più alti. Perciò il problema andava affrontato perlopiù combinando la risposta 2 (assegni mensili inferiori) alla 3 (posticipazione dell’accesso ai trattamenti pensionistici). È bene chiarire che non ci sono altre risposte possibili.La risposta 2 prevedeva misure per ridurre gli assegni mensili accelerando l’attuazione di riforme già legiferate, insieme a un aggiustamento automatico dei livelli del trattamento alla speranza di vita, adeguandoli alla storia contributiva di una persona. La risposta 3 (ritardare l’accesso al sistema previdenziale) prevedeva l’elevazione dell’età pensionabile a 66 anni nel 2012 per uomini e donne dipendenti pubblici e per tutte le donne dal 2018 e l’aggancio dell’età pensionabile alla speranza di vita a partire dal 2013, con conseguenti aggiornamenti automatici.È opinione comune che elevare l’età pensionabile aggravi la disoccupazione giovanile. La teoria e gli esempi internazionali dimostrano come tale argomentazione sia sbagliata. Se fosse vera, i Paesi dove si va in pensione più tardi avrebbero tassi di disoccupazione giovanile più alti, cosa che non avviene.Una riforma da applicare in fretta non può non incorrere in delicati problemi di transizione. Per l’Italia la situazione degli esodati – i lavoratori che hanno lasciato il posto di lavoro con la prospettiva di andare in pensione nel giro di pochi anni – ha sollevato un problema particolare. L’Inps aveva detto al Governo che il numero di lavoratori coinvolti sarebbe stato esiguo. Di fronte al grande numero di esodati (le stime variano da 65mila e 350mila) il governo Monti ha trovato una soluzione per 130mila, e nel 2014 la legge ne ha tutelati degli altri. Con il senno di poi, il Governo avrebbe dovuto muoversi più in fretta una volta capita la vera entità del problema. Ciò detto, in futuro, qualunque aggiustamento per risolvere questo problema non dovrebbe minare la tanto sudata sostenibilità.Se alcune delle riforme hanno avuto scarsi effetti sulla spesa pensionistica, hanno però migliorato il sistema previdenziale in altri modi, in particolare i suoi vincoli con il mercato del lavoro, compresa una maggiore semplificazione e trasparenza, una migliore flessibilità su quando andare in pensione, e un’armonizzazione delle regole per uomini e donne, A livello strategico, queste riforme era giuste e indispensabili. Erano giuste perché hanno avvicinato l’Italia alle best practice internazionali – riforme nella direzione giusta anche in assenza di una crisi fiscale. Anche se l’Italia aveva già avviato un’intraprendente riforma delle pensioni, non era andata abbastanza avanti o non abbastanza in fretta. Le riforme erano indispensabili anche per ragioni fiscali. In un mondo ideale sarebbero state introdotte gradualmente nei decenni precedenti. Poi, nel 2011 il problema è diventato troppo grave e urgente per avviare una riforma graduale. C’è una tensione intrinseca tra l’orizzonte a lungo termine delle buone pensioni e le pressioni a breve dei politici. Le riforme Fornero hanno anteposto gli interessi a lungo termine ai vantaggi politici immediati. Così oltre a essere giuste, sono state anche coraggiose.(Traduzione di Francesca Novajra)Nicholas Barr insegna Economia pubblica alla London School of Economics; Peter Diamond è Institute Professor Emeritus al MIT di Boston e nel 2010 ha vinto il premio Nobel per l'economia© RIPRODUZIONE RISERVATANicholas Barre Peter Diamond
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PRIMO PIANO 15 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore
Jobs act. Alla Camera
Commissione, ok a decreti su contratti e tempi
vita-lavoro
La commissione Lavoro della Camera ha dato ieri parere positivo ai decreti legislativi
del Jobs act sulle tipologie contrattuali e sulla conciliazione vita lavoro. Hanno votato
contro Sel e M5S. Renata Polverini (Fi) ha votato a favore. Hanno invece votato
contro Sergio Pizzolante di Area popolare e Walter Rizzetto (Alternativa libera). Il
decreto legislativo sul riordino delle tipologie contrattuali e sulla revisione della
disciplina delle mansioni – che a breve arriverà, insieme alle norme sulla
conciliazione, in Consiglio dei ministri per l’approvazione definitiva – prevede tra
l’altro il superamento dei contratti di collaborazione a progetto e dell’associazione in
partecipazione. Si punta sul lavoro subordinato. Dal primo gennaio 2016, si legge nel
testo del decreto, «ai rapporti di collaborazione personali con contenuto ripetitivo ed
etero-organizzati dal datore di lavoro saranno applicate le norme del lavoro
subordinato». Per i voucher il tetto annuo per il lavoratore passa da 5.000 a 7.000
euro. Per quanto riguarda le mansioni, invece, si prevede che, nei casi di
ristrutturazione o riorganizzazione aziendale e negli altri individuati dai contratti
collettivi, l’impresa potrà modificare le mansioni del lavoratore anche sul livello di
inquadramento inferiore, senza modificare il trattamento economico, fatta eccezione
per quello accessorio. Nell’altro schema di decreto sulla conciliazione dei tempi di
vita e di lavoro ci sono anche interventi a sostegno della maternità ed in particolare
sull’utilizzo del congedo parentale facoltativo (sei mesi nel complesso): per usufruire
di quello non retribuito si allunga il tempo fino ai 12 anni di età del bambino (adesso
l'età massima è 8 anni) e fino a 6 anni (contro i 3 attuali) per quello che è retribuito
parzialmente (al 30%). Sulle tipologie contrattuali, Cesare Damiano, il presidente
della commissione Lavoro della Camera ha comunque precisato: «la commissione
chiede al governo di apportare alcune modifiche: la facoltà del lavoratore di farsi
assistere da un rappresentante sindacale in tutti i casi nei quali si preveda la
stipulazione di accordi presso le commissioni di certificazione. L’innalzamento delle
sanzioni pecuniarie a carico dell’impresa nel caso di superamento del limite
percentuale del 20% dei contratti a termine in rapporto all’organico complessivo».
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PRIMA PAGINA 16 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore
WELFARE E CRESCITA
La Consulta e l’illusione di «diritti» senza fine
Le sentenze della Corte costituzionale vanno accolte sempre con grande rispetto. E l’ultima pronuncia che boccia la tassa sul fumo elettronico ha molte ragioni al suo arco. Ma è difficile non condividere le perplessità arrivate da più parti sulla sentenza spacca-conti che ha spazzato via lo stop all’indicizzazione delle pensioni. Se in quell’occasione gli stessi giudici si sono divisi sei a sei sulla decisione, evidentemente non c’era un diritto così assoluto da tutelare. E le ragioni che imponevano alla Corte la bocciatura di una norma che vale tra i 13 e i 19 miliardi non dovevano essere così inderogabili da mettere a rischio la tenuta del bilancio pubblico, come ancora ieri hanno osservato gli analisti di Standard & Poor’s.Sembra quasi che una parte dei giudici costituzionali viva in mondo tutto suo, a prescindere dalla realtà, dai vincoli europei in cui è inserita l’Italia, dai cambiamenti strutturali che nell’ultimo decennio sta affrontando il Paese. Un problema che non riguarda certo solo la Corte costituzionale, ma anche le élite politiche e sindacali, e i tanti che difendono rendite di posizione anacronistiche.In Italia troppe tutele vengono equiparate a diritti assoluti, troppe garanzie sono difese come diritti intangibili. Andrebbero invece trattate semplicemente per quello che sono: tutele e garanzie che sono utili, vanno benissimo, ma solo fino a quando c’è una compatibilità economica che le renda possibili. Quello delle pensioni è il caso più eclatante. Diritti “acquisiti” si dice. Ma in che epoca? Quando con il babyboom la popolazione passava dai 45 milioni del dopoguerra ai 57 milioni del 2000? Quando gli occupati crescevano a tempo indeterminato e con loro aumentava progressivamente il monte contributivo? Quando la speranza di vita si fermava a 69 anni (nel ’71) e non a 82 come oggi? Quelle cifre rendevano “sostenibile” un sistema pensionistico che oggi non è più sostenibile e rendevano “sostenibili” trattamenti che oggi non sono più sostenibili. Trattamenti, tutele, appunto, non diritti.Continua pagina 4 Fabrizio Forquet Continua da pagina 1 Trattamenti da rivedere e aggiornare continuamente al cambio del contesto economico. Altrimenti i diritti presunti di alcuni diventano la disperazione di altri, condannati a non trovare lavoro e a non avere alcuna pensione. Ma non è certo solo un problema di pensioni. Dopo anni di Pil in continua ascesa, l’Italia negli anni 70 si è potuta dare il servizio sanitario pubblico più universale dell’Occidente. Un fiore all’occhiello (per molti versi, non tutti) del nostro welfare. Ma non più sostenibile nella sua universalità con il saldo di entrate e uscite che il settore pubblico oggi si ritrova. A meno di non affossare definitivamente il sistema produttivo con un livello di tassazione inaccettabile. Il nuovo contesto economico, evidentemente, impone anche qui di superare la teoria dei diritti intoccabili e di avviare una serena discussione sulla riduzione del perimetro dello Stato, aprendo a forme di copertura assicurativa per le fasce di reddito più elevate.Anche il dibattito sulla scuola, a ben vedere, ha a che fare con tutto questo. Perché davanti alle nuove domande cui dovrebbe rispondere il mondo dell’istruzione, si pretende di difendere un vecchio modo di lavorare, senza valutazione e riconoscimento del merito, facendosi scudo di presunti diritti, diritti di alcuni (la parte più sindacalizzata degli insegnanti) a discapito di altri (gli studenti). Dimenticando, peraltro, completamente i doveri, come quello di non fissare uno sciopero nel giorno dei test di valutazione Invalsi o di non bloccare gli scrutini. È un problema culturale che va ben oltre una sentenza, sbagliata, della Corte costituzionale. Ha a che fare con l’illusione italiana delle aspettative crescenti, con l’equivoco dell’espansione continua e illimitata di quelle tutele che erroneamente chiamiamo diritti o, peggio, diritti acquisiti. Una vera e propria ideologia cresciuta quando l’Italia, Paese nato povero, si è progressivamente arricchita negli anni del dopoguerra. Sembrava un’espansione senza fine, alla quale era giusto associare un’espansione senza limiti delle tutele e dei trattamenti economici. Poi quella crescita si è bloccata. Ma una parte importante delle élite politiche, sindacali, culturali, ma anche della sua popolazione, ha preferito non vedere e vivere nell’illusione
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dell’espansione sempre e comunque. Si sono così respinte le riforme e, con esse, ci si è rifiutati di fare i conti con la realtà. La sentenza della Corte costituzionale sull’indicizzazione delle pensioni è anche questo..@FabrizioForquet© RIPRODUZIONE RISERVATAFabrizioForquet
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PRIMO PIANO 16 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore
CONTRATTI DA
DEFINIRE Allo studio l’eliminazione del riferimento al principio del «contenuto ripetitivo» della collaborazione per configurare la subordinazione
Lavoro. Cambio incarichi solo nella stessa categoria
Jobs act, modifiche in arrivo su mansioni e
collaborazioni
ROMA
Mansioni, collaborazioni, part-time e apprendistato. Ricevuti i pareri (non vincolanti)
delle commissioni di Camera e Senato, i tecnici di Palazzo Chigi e ministero del Lavoro
stanno ragionando su possibili correzioni da apportare al Dlgs sul riordino delle
tipologie contrattuali che, assieme all’altro Dlgs sulla conciliazione vita-lavoro,
potrebbe arrivare sul tavolo del Consiglio dei ministri dell’ultima settimana di maggio
per l’ok definitivo (non è del tutto escluso uno slittamento ai primi di giugno, dopo le
elezioni regionali).
Da quanto si apprende, si starebbe pensando a un chiarimento della norma che consente
di modificare, anche unilateralmente, le mansioni dei lavoratori. L’attuale formulazione
della disposizione consentirebbe spostamenti da impiegato a operaio (perché viene
meno il concetto di equivalenza delle mansioni). Per evitare questo “salto all’indietro”
ritenuto troppo brusco l’esecutivo starebbe pensando di specificare che il mutamento
dell’incarico debba comunque avvenire «all’interno della categoria professionale».
Verrà fatto salvo il riferimento al mantenimento della retribuzione.
I tecnici stanno riflettendo, poi, se correggere l’articolo 47 del Dlgs di riordino dei
contratti che introduce la presunzione assoluta di subordinazione, dal 1° gennaio 2016,
per le collaborazioni caratterizzate da «prestazioni di lavoro esclusivamente personali,
continuative, di contenuto ripetitivo, e le cui modalità di esecuzione sono organizzate
dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro». L’ipotesi allo
studio è quella di eliminare il riferimento al principio del «contenuto ripetitivo» della
collaborazione. «Vogliamo accogliere le osservazioni parlamentari - spiega il
responsabile economico del Pd, Filippo Taddei - estendendo il concetto di lavoro
subordinato». Oggi, in base all’attuale formulazione della norma, una prestazione
eterorganizzata ma di contenuto non ripetitivo non cadrebbe nella presunzione di
subordinazione. Con l’eliminazione dalla ripetitività, tutte le collaborazioni
eterorganizzate potrebbero diventare subordinate. L’intervento non piace alle imprese
che spingono per mantenere il riferimento alla ripetitività, da affiancare però al requisito
della natura meramente esecutiva dell’attività svolta (per evitare caos interpretativi).
L’articolo 47 subirebbe anche un’altra modifica. Nel testo originario ci sono quattro
ipotesi per le quali non scatta la presunzione di subordinazione: se la collaborazione è
frutto di un accordo collettivo stipulato dalle associazioni (anche di categoria) più
rappresentative; se è prestata nell’ambito di professioni intellettuali che richiedono
iscrizioni in albi professionali; nei casi di componenti di organi di amministrazione e
controllo delle società; per le prestazioni sportive dilettantistiche riconosciute dal Coni.
A queste quattro eccezioni se ne aggiungerebbe una quinta: le collaborazioni
“certificate” nelle sedi previste per legge. Qui, inoltre, si vorrebbe consentire alle parti
di farsi rappresentare dai sindacati. «L’utilizzo della certificazione è una novità
interessante - spiega Arturo Maresca, ordinario di diritto del Lavoro alla Sapienza di
Roma -. Attenzione però: queste sedi non hanno bisogno di ulteriore assistenza
sindacale perché sono già garanti e soggetti terzi».
Sul part-time l’ipotesi sul tappeto è quella di accorpare in un’unica fattispecie le
clausole elastiche di modifica dell’orario di lavoro (per uniformare la disciplina).
Correttivi in vista pure sull’apprendistato: dopo aver cancellato il riferimento al sistema
duale nel Ddl Buona Scuola, il Dlgs di riordino dei contratti confermerebbe la
sperimentazione dell’ex ministro Carrozza negli istituti tecnici e professionali,
abbassando l’età (si discute se a 15 o a 14 anni - oggi il limite è 17 anni).
Il contratto a termine non dovrebbe subire modifiche: il governo sembra intenzionato a
non accogliere la richiesta delle imprese di ripristinare, cioè, la possibilità di derogare,
con accordi aziendali, al divieto di ricorrere al rapporto a termine, alla somministrazione
e al lavoro intermittente, nelle unità produttive “in crisi” (il disco rosso viene motivato
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dalla possibilità di utilizzare il nuovo contratto a tempo indeterminato “a tutele
crescenti”).
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G. Pog.
Cl. T.
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PRIMO PIANO 16 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore
S&P tiene fermo il giudizio sull’Italia
I negativi dati Usa rafforzano l’euro e fanno scivolare le Borse: Francoforte
-0,98%
Dopo la favorevole sorpresa del Pil cresciuto dello 0,3% nel primo trimestre, l’Italia
incassa la conferma del rating e incoraggianti commenti da parte di Standard &
Poor’s. L’agenzia americana di valutazione ieri sera ha mantenuto invariata (a “BBB-”
con prospettive «stabili») la pagella dell’Italia, esprimendo però nel comunicato
stampa un giudizio favorevole sulla recente legislazione del Governo Renzi: il rating -
scrive infatti S&P - è sostenuto da «varie importanti riforme, tra le quali quelle del
mercato del lavoro, delle banche popolari e della legge elettorale». Sui conti pubblici
pesa la tegola della sentenza della Corte costituzionale sulle pensioni (si veda articolo
a fianco), ma a giudizio di S&P l’Italia è avviata sulla strada della timida crescita
economica. Nel 2015 il Pil aumenterà dello 0,4% e negli anni successivi accelererà
all’1%. Insomma: la svolta c’è, sebbene non sufficiente da migliorare la “BBB-”.
Per quanto valgano le previsioni di un’agenzia di rating, come quelle di tutti gli
economisti, l’analisi di Standard & Poor’s mette l’accento su una questione cruciale
per i mercati finanziari: la crescita economica. Parlando dell’Italia, S&P sottolinea da
un lato che «la ripresa nel 2015 c’è» ma dall’altro che «è in gran parte guidata da
fattori esterni». L’Italia (come del resto tutta Europa) beneficia infatti della recente
debolezza dell’euro e del calo del prezzo del petrolio. Ed è proprio questo il problema
su cui i mercati finanziari si stanno interrogando da tempo: il fatto che la crescita
economica, non solo italiana, sia “eterodiretta” dall’andamento del tasso di cambio. Se
l’euro si deprezza ne beneficia l’Europa ma soffrono gli Usa, se invece a calare è il
dollaro accade il contrario. Questo è il problema: in un mondo economicamente
fragile, i mercati si stanno rendendo conto che il gioco dei cambi rischia di essere a
somma zero.
La giornata di ieri sulle Borse è stata emblematica. In mattinata i listini europei erano
tutti positivi. L’euro perdeva quota nei confronti del dollaro (arrivando fino a 1,1324
alle 14) e la serenità dominava. Poi, alle 15,15, è arrivata la prima doccia fredda: dagli
Stati Uniti è arrivato un deludente dato sulla produzione industriale, calata dello 0,3%
ad aprile (quinto ribasso consecutivo) contro attese di un +0,2%. Poi, alle 16, la
seconda doccia fredda: anche l’indice dell’Università del Michigan sulla fiducia dei
consumatori Usa è inaspettatamente crollato da 95,9 di aprile a 88,6 di maggio.
Ebbene: questo ha provocato uno shock valutario, facendo crollare le Borse europee.
Ma non Wall Street.
I due indicatori confermano infatti che l’economia americana sta rallentando, anche a
causa del rafforzamento nell’ultimo anno del dollaro. Questo significa che la Fed ha
meno fretta ad alzare i tassi d’interesse Usa. E questo, a sua volta, ha l’effetto di
invertire rotta alle valute e di indebolire un po’ il dollaro. Infatti così è stato: subito
dopo i dati, l’euro si è impennato nei confronti del biglietto verde, passando da 1,1324
a 1,1451 delle 17,30. Questo ha pesato sulle Borse europee: se la moneta unica si
rafforza, infatti, l’Europa fatica a crescere. E le aziende maggiormente esportatrici
(soprattutto le tedesche) soffrono: così il movimento delle valute ha dato uno schiaffo
alla Borsa di Francoforte (che ha chiuso in calo dello 0,98%, con uno scostamento
rispetto ai massimi di giornata di -2,14%). Ma il segno meno ha toccato tutti: Milano
-0,32%, Madrid -0,71%, Parigi -0,71%. Invariata per gran parte della seduta, seppur
debole, Wall Street, che invece beneficia del ribasso del dollaro. Mors tua, vita mea
dicevano i latini. Oggi lo dicono i mercati.
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Morya Longo
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PRIMO PIANO 16 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore
LA LENTE DEGLI
ANALISTI S&P registra i passi avanti fatti dal Paese, ma sa che non bastano: l’Italia deve diventare più competitiva
L’ANALISI
Per ottenere la promozione bisogna crescere
senza aiuti
Come prevedibile, Standard & Poor’s - la più severa delle grandi quattro agenzie di
rating internazionali - ha confermato l’outlook stabile e la “BBB-” dell’Italia. A un
solo gradino di distanza dal baratro dei rating speculativi, quello di S&P’s rimane, tra
tutti, il voto più basso sul rischio-Paese italiano. A distanza di soli cinque mesi dalla
sua ultima “rating action” sull’Italia (il declassamento dalla BBB alla BBB- e la
promozione delle prospettive da negative a stabili dello scorso dicembre) era
prevedibile che questa agenzia di rating non sarebbe tornata già sui suoi passi, nel
bene o nel male. Verrebbe da chiedersi tuttavia come mai l’andamento dell’economia,
dei conti pubblici e delle politiche del Governo Renzi - soprattutto le riforme
strutturali già fatte e quelle in arrivo - non siano risultate sufficientemente forti o
convincenti, tanto da conquistare fin da ora il miglioramento delle prospettive da
stabili a positive, che è il primo passo verso l’aumento del rating. L’Italia è uscita
dalla recessione e se cresce poco quest’anno crescerà di più nel 2016-2017, i conti
pubblici in termini di deficit e avanzo primario sono sotto controllo e persino il
debito/Pil è vicino al picco massimo in quanto tutte le proiezioni puntano a un trend in
discesa, sia pur lenta.
Gli esperti della valutazione del rating sovrano di S&P’s hanno tenuto conto di tutti
questi miglioramenti ma non sono apparsi convinti che l’Italia sia già arrivata al suo
giro di boa. Insomma, questo non basta per risalire la china del rating.
S&P’s sottolinea come la ripresa economica in Italia sia avviata ma che dipenda
ancora principalmente da «fattori esterni» come la crescita dell’eurozona, la
svalutazione dell’euro, il declino del prezzo del petrolio. Le previsioni di S&P’s sono
inferiori a quelle del governo: 0,4% nel 2015, 1% nel 2016-2017 perchè resta da
vedere se l’impeto di questo primo trimestre 2015, migliore del previsto, verrà
mantenuto. Quel che serve, è la tesi , è una ripresa di migliore qualità, più made-in-
Italy. E qui S&P’s sottolinea la «debolezza» della performance del Pil reale e
nominale, l’«erosione della competitività» che mina la sostenibilità dei conti pubblici.
«Prevediamo un graduale ritorno della fiducia dei consumatori e dei consumi grazie a
un aumento del potere d’acquisto con inflazione bassa, tassazione sul reddito più
leggera, miglioramento sull’occupazione», riconosce S&P’s, che vede positivamente
la riforma del mercato del lavoro ma teme che l’impatto benefico sarà «lento» in
mancanza di misure aggiuntive a favore di investimenti e business. Altrettanto
positivo è il giudizio su altre riforme, quella della legge elettorale, che renderà più
efficiente il processo legislativo, delle banche popolari, della giustizia e della
burocrazia. Ma per queste ultime i «progressi appaiono lenti». S&P’s continua a
puntare il dito accusatore sui soliti freni alla crescita italiana: le rigidità dei costi che
pesano sulla redditività del settore privato e dunque sugli investimenti. «Il taglio del
cuneo fiscale è un passo nella giusta direzione per recuperare la competitività» ma non
basta. Serve più credito all’economia e alle PMI (e qui bene la riforma delle popolari).
Ma il vero nodo, ai fini del rating, sono i conti pubblici, il debito/Pil. Il Governo deve
fare di più per aumentare il Pil e diminuire il debito. Secondo l’agenzia di rating
occorre maggiore risolutezza nell’implementazione della spending review,
«l’approccio è divenuto meno rigoroso». E sul fronte del deficit, «il Governo potrebbe
non centrare i suoi obiettivi sempre più ambiziosi» in un contesto di bassa inflazione.
Il buco sulle pensioni non aiuta, naturalmente. «Il consolidamento di bilancio del 2015
ci sembra basato più sulla riduzione degli interessi che sul miglioramento del saldo
primario”, con la sentenza della Consulta sulle pensioni che «complica il
conseguimento degli obiettivi di bilancio». La sentenza aumenta i costi fiscali,
ammonisce, e andranno trovate le giuste coperture se gli obiettivi di bilancio vorranno
essere rispettati pienamente senza far scattare l’aumento dell’Iva dannoso per le
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prospettive della ripresa economica. S&P’s riconosce nel complesso al Governo Renzi
di trovarsi sulla strada giusta, ma camminando troppo lentamente e non facendo
abbastanza per stabilizzare il debito/Pil. Magra consolazione: le famiglie italiane, poco
indebitate e risparmiatrici, per S&P’s potranno assorbire eventuali ulteriori aumenti
del debito pubblico.
.@isa_bufacchi
isabella.bufacchi@ilsole24ore.com
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Isabella
Bufacchi
chi rischia di più a causa dei tassi bassi
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NORME E TRIBUTI 16 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore
Licenziamenti. Ordinanza Tribunale di Lucca
Il dipendente malato obbligato a favorire la
pronta guarigione
Il 17 marzo scorso è stata depositata un’interessante ordinanza del Tribunale di Lucca
che, in applicazione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori nella formulazione
introdotta dalla legge 92/12, ha dichiarato risolto il rapporto di lavoro tra le parti ma,
ritenendo la sanzione espulsiva sproporzionata rispetto all’addebito contestato, ha
condannato la società datrice di lavoro a versare al lavoratore un’indennità risarcitoria
di 18 mensilità.
La vicenda prende le mosse dall’assenza per malattia (11 giorni) di un dipendente
dovuta ad «atralgia» al polso sinistro e ad una «contusione» alla mano sinistra.
La società, venuta a conoscenza che la condotta del dipendente durante l’assenza non
assicurava una pronta guarigione, raccoglieva prove a mezzo di investigatori privati e,
formulata la contestazione disciplinare, irrogava il licenziamento.
Il giudizio che ne è seguito ha visto l’espletamento di una Ctu medica, che ha
confermato come il continuo sollevamento di pesi con la mano sinistra da parte del
lavoratore, durante il periodo di malattia, si fosse risolto in una condotta non consona
«alle comuni prescrizioni mediche per determinare una pronta guarigione in casi
similari».
Il Tribunale ha anzitutto riconosciuto come legittimi gli accertamenti investigativi
disposti dalla società, atteso che erano diretti a verificare «l’eventuale violazione del
dovere del lavoratore di non pregiudicare la guarigione» (Cass. n. 6263/2001).
Aderendo alle conclusioni del Ctu, poi, il Giudice ha osservato che «le attività
eseguite» dal lavoratore «anche se di “routine” (…) ed effettuate saltuariamente»
avevano comportato «un particolare impegno della regione anatomica infortunata»: sì
che la condotta del lavoratore era risultata contraria al dovere di favorire una pronta e
corretta guarigione, venendosi così a configurare la violazione dei principi primari di
diligenza, fedeltà e collaborazione, con conseguente legittimità del recesso del datore
di lavoro (Cass. 21253/12).
Il Tribunale, tuttavia, ha ritenuto che «avuto riguardo alla concreta gravità dei fatti e,
in particolare, alla durata dell’assenza dal lavoro ed alle attività svolte (comunque
attinenti alla vita quotidiana “familiare”) la sanzione espulsiva appare obiettivamente
sproporzionata».
Certo è che l’indennità risarcitoria pari a 18 mensilità che la società è stata condannata
a corrispondere al lavoratore non è di poco conto, se si pensa che la misura massima
prevista è pari a 24.
Nel calcolare siffatto risarcimento, peraltro, il Tribunale sembrerebbe aver precorso i
tempi, avendo ben presente quanto oggi disposto dall’articolo 3, primo comma, del
Dlgs 3/15, inapplicabile ratione temporis al caso in esame: infatti, secondo la riforma
introdotta dal Jobs Act, qualora il fatto posto a fondamento del licenziamento
disciplinare sussista, ma la sanzione espulsiva venga ritenuta sproporzionata dal
giudice, l’indennità risarcitoria è stabilita in un importo pari «a due mensilità (…) per
ogni anno di servizio», fino a un massimo di ventiquattro. Nel caso di specie il
lavoratore aveva un'anzianità di servizio pari a nove anni: il che conduce esattamente
alle 18 mensilità da versare.
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Angelo Zambelli
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SOMMARIO 16 MAGGIO 2015Plus
Quello che sta accadendo sulla restituzione degli adeguamenti pensionistici congelati
dal governo Monti è la prova evidente che il tema previdenziale dominerà i prossimi
anni. Il peso politico dei pensionati sarà determinante. Se ora alcune scelte vengono
tirate in lungo, in presenza di consultazioni locali e di possibili reazioni dell’elettorato,
possiamo già immaginare quale sarà la sensibilità nell’Italia investita a pieno dallo
squilibrio demografico.
Il 20% della popolazione ha più di 65 anni: il gran lavoro di decenni ha permesso la
casa di proprietà, i risparmi consentono investimenti e l’aiuto ai figli. In virtù di un
percorso lavorativo più lineare e trattamenti, in moltissimi casi, rafforzati dal sistema
di calcolo retributivo.
Su oltre 14 milioni di pensioni previdenziali 12,4 milioni sono calcolate con il sistema
retributivo, quindi collegate alla retribuzione percepita in un arco di tempo, 403mila
con il sistema contributivo (sulla base del versato) e 1,2 milioni con il sistema misto.
» pag 3 © RIPRODUZIONE RISERVATA
Paolo Zucca
L’allungamento delle attese di vita (nel 2013 la media delle donne era di 84,6 anni e
quella dell’uomo sfiorava gli 80 anni), la previdenza complementare e le tante opzioni
assicurative-sanitarie rafforzeranno la rilevanza (sociale, commerciale e politica) di
una fascia crescente di italiani. Che, sempre come dato medio, non potranno più essere
descritti solo come “i poveri pensionati”.
Le proiezioni fissano a oltre 61 milioni gli italiani residenti nel 2065 (stima Istat) con
un’età media di poco meno di 50 anni rispetto ai 43 attuali. La previsione include
l’inserimento di circa 12 milioni di nuovi italiani, frutto dell’attività migratoria.
Gli ultra65enni, vedremo a quella data quanti saranno già pensionati, dovrebbero
rappresentare nel 2043 circa il 32% della popolazione.Un terzo degli italiani, ex
lavoratori attentissimi che saranno in grado di informarsi tempestivamente con
Internet, sapranno confrontare i trattamenti, le capacità di gestione e tanto altro.
Sapranno far valere i propri diritti.
L’invidiabile primato di longevità (dietro al Giappone e pochi altri) potrà essere
gestito senza strappi, e senza eccessive penalizzazioni per le prossime generazioni,
tanto più saranno chiare e definite le regole del gioco. Servirà un’economia in salute.
«Negli ultimi 20 anni -ha detto il presidente dell’Inps, Tito Boeri - abbiamo avuto un
atteggiamento d’ignavia di Stato, per cui i decisori politici non hanno voluto informare
i cittadini sul significato e le implicazioni del cambiamento da retributivo a
contributivo. I contribuenti per anni hanno continuato a sovrastimare le pensioni
future».
Vale la pena di valutare i trattamenti attesi sul portale dell’Inps su “La mia
pensione” (si è partiti per scaglioni di età, serve il Pin) che è parte importante di una
campagna di educazione finanziaria (vedi anche a pagina 22). La copertina di questa
settimana può aiutare le scelte. — P.Zu.
paolo.zucca@ilsole24ore.com
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PRIMO PIANO 17 MAGGIO 2015Il Sole 24 Ore
RIMBORSI E PLATEA
Ipotesi rivalutazioni con il decalage valido dal 2014-2016 e uno stop a 3mila euro. Resterebbe escluso meno di un milione di pensionati
Pensioni, decreto pronto ma è probabile il
rinvioroma
Un testo pronto c’è, ma non è detto che verrà approvato domani. Il decreto con cui il
Governo intende rispondere alla sentenza di incostituzionalità del blocco delle
pensioni superiori a 1.486 euro lordi nel biennio 2012-2013 potrebbe essere esaminato
ma poi rinviato a una data successiva. E non è da escludere che questa data cada anche
prima delle elezioni amministrative, come si ipotizza a palazzo Chigi. «Al momento
non c’è nessuna decisione» ha detto ieri il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti.
Mentre il sottosegretario all’Economia, Enrico Zanetti, ha auspicato un provvedimento
in più tappe: «Lunedì le linee guida e, più avanti, il decreto. Meglio prendersi più
tempo per costruire una gradualità dei rimborsi, che tenga conto non solo dell’assegno
ma anche dei contributi versati». Questa sera dovrebbero riunirsi nuovamente i tecnici
che lavorando al dossier tra ministero dell’Economia, ministero del Lavoro e palazzo
Chigi.
Lo schema del provvedimento dovrebbe partire da una retrodatazione al 2012 del
meccanismo di perequazione introdotto dal Governo Letta per il 2014-2016. Magari
con qualche ritocco sulle soglie. Per i pensionati sopra le tre volte il minimo
scatterebbe in ricalcolo con indicizzazioni parziali e decrescenti al salire dell’assegno
fino a una soglia (probabilmente attorno a 3mila euro lordi, cioè sei volte il minimo)
oltre la quale verrebbe riconosciuta una quota fissa minima. In pratica meno di un
milione di pensionati non verrebbe così rimborsato se non simbolicamente.
Secondo questo meccanismo la rivalutazione non sarebbe su scaglioni ma sull’intera
pensione: se per esempio si decide un’indicizzazione al 90% fino a 2mila euro questa
sarebbe sull’intero assegno e non solo sulla parte eccedente i 1.486 euro, fermo
restando il 100% per chi si ferma a questa soglia. Un modo per risparmiare il più
possibile sui ricalcoli del dovuto per il passato garantendo quella progressività e
adeguatezza chiesta dalla Corte. E potrebbe anche esserci la scelta di rimborsare solo
uno dei due anni bloccati. Si vedrà. Come si vedrà se ci sarà o meno un rateo dei
rimborsi. Di sicuro, secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio nel caso dell’ipotesi
estrema di rimborso integrale degli arretrati, c’è il rischio beffa fiscale per lo Stato:
l’aliquota media applicata sui rimborsi scenderebbe dal 30%, che è l’aliquota
marginale applicata anno per anno sulle indicizzazioni, al 19% di aliquota media sul
rimborso nel caso del “pensionato tipo” con un assegno di 3,5 volte il minimo.
Ieri per una restituzione integrale degli arretrati perduti s’è espresso il deputato M5S
Luigi Di Maio, secondo il quale «se non applichiamo il dettato della Corte rischiamo
di trovarci con migliaia di ricorsi che creeranno ancora di più una voragine nei nostri
conti pubblici». Una linea che coincide con quella di Fi, Lega e Fratelli d’Italia; questi
ultimi hanno messo a disposizione dei pensionati che vorranno far ricorso «un pool di
legali gratuito». Sulle pensioni «ereditiamo purtroppo gli errori fatti da altri in passato,
non ci sottraiamo a dover restituire i soldi che sono un diritto per i cittadini ma
cerchiamo di tenere però sotto controllo i conti pubblici, anche perché gli errori non
possono essere pagati dai cittadini» ha invece ribadito la vicesegretaria del Pd, Debora
Serracchiani.
I margini di finanza pubblica sono noti e strettissimi: il ministro Pier Carlo Padoan ha
fatto capire che la traiettoria dell’indebitamento netto nominale (su cui impatta la
sentenza) non cambierà e a fine anno verrà rispettato il 2,6% programmato. Si
dovrebbero quindi mettere in campo non più di 2 miliardi, più altri 600 milioni a
regime, una maggior spesa una tantum che verrebbe coperta con il “tesoretto” e altri
interventi di mini-spending forse vincolati a una clausola di salvaguardia.
Tornando ai contenuti del decreto, se questo venisse invece approvato subito, l’Inps
potrebbe essere in grado di far partire i rimborsi con gli assegni in pagamento in luglio
o in agosto perchè prima, per la tecnostruttura, sarebbe impervio garantire i ricalcoli.
In agosto tutte le prestazioni verrebbero poi versate il 1° del mese, come annunciato
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dal presidente Tito Boeri. Nel dl ci sarà infatti la norma che consente l’allineamento (a
costo zero per le casse Inps) che riguarda circa 4,2 miliardi di prestazioni, sui 20
miliardi in pagamento mensilmente, che finora scattavano il 10 del mese. Altro
contenuto possibile del decreto è la sterilizzazione del tasso di capitalizzazione
negativo che s’è determinato nel 2014 per la rivalutazione dei montanti contributivi. Si
trattava di un richiesta sollevata nei brevi mesi della gestione commissariale di Tiziano
Treu. Il coefficiente indicato lo scorso 27 ottobre da ministero del Lavoro e Istat è
risultato per la prima volta negativo (-0,1927 per cento) a causa della dinamica a sua
volta negativa della media quinquennale del Pil della lunga crisi. Applicando quel
coefficiente anziché valorizzare il “salvadanaio previdenziale” di ogni contribuente,
per la prima volta dalla riforma Dini ne sarebbe risultata una limatura. Che invece il
decreto annullerà.
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Davide Colombo
«Azienda Italia pigra, sfrutti più il Qe»
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8 Domenica 17 Maggio 2015 Corriere della Sera
Primo piano Previdenza e Fisco
Pensioni, spunta l’ipotesi «minima»Rimborsi tra 2,5 e 3,5 miliardiIl premier decide in queste ore se chiudere subito la partita delle rivalutazioni
Il calcolo della rivalutazione*tra parentesi l’importo al netto dell’IrpefQuanto entrerà in tasca
Calcolo del rimborso al lordo e al netto dell’Irpef (tra parentesi) per cinque importi di pensionemensile lorda
Dovutoper il 2012
Dovuto per il 2013
PENSIONE RIMBORSO
1.677 (1.376)
1.846 (1.477)
2.173 (1.739)
2.327 (1.792)
2.691 (2.005)
1.500
1.700
2.000
2.200
2.500
IMPORTO
a dicembre 2011
Fino a 1.406 euro
Da 1.406 a 2.342 euro
Oltre 2.342 euro
a dicembre 2012
Fino a 1.433 euro
Da 1.433 a 2.405 euro
Oltre 2.405 euro
Come è stata
+2,7% (100% Istat)
+2,43% (90% Istat)
+1,025% (75% Istat)
+3% (100% Istat)
+2,7% (90% Istat)
+2,25% (75% Istat)
+2,7% (100% Istat)
0
0
+3% (100% Istat)
0
0
RIVALUTAZIONE
Come doveva essere
di Enrico Marro
Perché un rinviopotrebbe esserecontroproducente
� Il commento
S ulle pensioni, prima sichiude la partita meglio è. Se è vero che
i tecnici del governo hanno messo nero su bianco diverse ipotesi per rispondere alla sentenza della Consulta sulla rivalutazione degli assegni, perché aspettare e non approvare già domani il decreto legge? Un rinvio lascerebbe nell’incertezza milioni di pensionati e partirebbe una valanga di ricorsi. Certo, può servire qualche giorno per rifinire il provvedimento. Ma a che servirebbe andare oltre le elezioni regionali del 31 maggio? I cittadini hanno capito perfettamente che il governo non darà tutto a tutti. Le condizioni del bilancio pubblico e i vincoli europei non lo consentono. Il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, lo ha già anticipato. Spetterà al presidente del Consiglio, Matteo Renzi, spiegarlo compiutamente agli italiani. Anche se la norma bocciata è del governo Monti, è questo esecutivo che ha la responsabilità di rimediare. Un rinvio a data da destinarsi potrebbe essere perfino controproducente. Su 23,4 milioni di pensioni in pagamento nel 2012, quelle non indicizzate, perché superiori a tre volte il minimo, sono state quattro milioni.
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La vicenda
� I tecnici del ministero dell’Economia, guidato da Pier Carlo Padoan (foto) hanno tempo fino a domani per trovare una copertura per la partita della rivalutazione delle pensioni dopo la sentenza della Corte costituzionale. Diverse le ipotesi allo studio
� Se non ci riusciranno il Consiglio dei ministri avvierà l’esame del provvedimento senza però approvare il decreto legge
ROMA Matteo Renzi decideràtra questa sera e domani matti-na se chiudere domani stessola partita sulla rivalutazionedelle pensioni, dopo la senten-za della Corte costituzionale. Ilministero dell’Economia hamesso a punto alcune soluzio-ni tecniche, con l’obiettivo di«minimizzare» l’impatto dellasentenza sui conti pubblici.Nonostante la Corte abbia boc-ciato il blocco dell’indicizzazio-ne deciso dal governo Montiper il 2012-2013 per gli assegnisuperiori a 3 volte il minimo(1.443 euro lordi nel 2012), nonverrà restituito tutto il mancatoadeguamento a tutti gli aventidiritto.
Nel 2012, secondo i dati delCasellario centrale Inps, su untotale di 23,4 milioni di pensio-ni in pagamento, solo 4 milionierano superiori a tre volte il mi-nimo e quindi non sono stateindicizzate. Un’ipotesi tra quel-le messe a punto dai tecniciprevede di escludere dalla re-stituzione degli arretrati matu-rati le pensioni superiori a 5volte il minimo (2.405 euro nel2012), che erano circa un milio-ne. Il rimborso sui restanti 3milioni di assegni, quelli fra tree cinque volte il minimo, avver-rebbe con un meccanismo ascalare, che si azzererebbe alsuperamento delle 5 volte ilminimo. Si potrebbe in questomodo limitare la spesa per gliarretrati fra 2,5 e 3,5 miliardi, aseconda di quanto si accentua il meccanismo a scalare.
Le altre ipotesi sono tuttemolto più costose. In particola-re quelle che prevedono l’ade-
guamento per fasce d’importo.Significherebbe cioè garantiresempre e comunque il 100%dell’adeguamento all’inflazio-ne per gli importi fino a 1.443euro anche per le pensioni piùricche, e poi ridurre l’indicizza-zione fino ad azzerarla per gliimporti superiori a cinque vol-te il minimo. Con questo siste-ma per fasce, che la Corte costi-tuzionale nelle motivazionidella sentenza 70 giudica piùequo, verrebbero però rivaluta-te, sia pure parzialmente, tuttele pensioni almeno sugli im-porti fino a 2.405 euro. Con l’al-tro sistema, invece, che si ap-plica al trattamento complessi-vo, sarebbero rimborsate ap-
punto solo le pensioni fra tre ecinque volte il minimo, senzatrascinamenti su quelle di im-porto maggiore.
C’è da dire che questa solu-zione, anche se consentirebbedi minimizzare il costo rispettoagli 11 miliardi di mancata indi-cizzazione stimati dallo stessogoverno, si esporrebbe al ri-schio di una nuova bocciaturadavanti alla Consulta.
Proprio per questo i tecnicidel ministero dell’Economia equelli di Palazzo Chigi conti-nuano gli approfondimenti pertrovare la quadratura del cer-chio. Se non ci riusciranno en-tro domani, il Consiglio dei mi-nistri avvierà l’esame del prov-vedimento ma non approverà ildecreto legge, che potrebbe es-sere rinviato al successivo Con-siglio dei ministri. O addirittu-ra a dopo le elezioni regionalidel 31 maggio. Una scelta, que-st’ultima, caldeggiata da alcuniconsiglieri del presidente delConsiglio, per evitare ripercus-sioni negative nel voto. Renzi,però, potrebbe sorprenderetutti, approvare il decreto espiegare che, fuori dall’adegua-mento, restano solo un milio-ne di pensioni su 23,4 milioni.Difficile dire, nonostante laCorte, che non si tratti delle piùricche. «Noi faremo la nostraparte, ovviamente interpretan-do la sentenza», dice DeboraSerracchiani, vicesegretario del Pd. Ma Luigi Di Maio delMovimento 5 Stelle avverte:«Se si aggira la sentenza, parti-ranno migliaia di ricorsi».
Enr. Ma.© RIPRODUZIONE RISERVATA
Quattro milioniNel 2012 su 23,4 milioni di pensioni sono state 4 milioni quelle non rivalutate
I pagamentiArretrati a scalare agli assegni tra 1.443 euro e 2.405 euro lordi (da 3 a 5 volte il minimo)
19,3milioni
Il numero di pensioni nel 2012 comprese nella soglia fino a tre volte il minimo, pari a 149,7 miliardi di euro
5volte il minimo La soglia oltre la quale il governo sta valutando di non garantire l’indicizzazione (2.405 euro di pensione)
3milioni
Gli assegni pensionistici che hanno un valore compreso tra le tre e le cinque volte il minimo
Il calcolo
L’allarme della Cgia sullo scatto Iva: 16 miliardi di nuove imposte nel 2016 Se c’è un rischio che in Italia non sembra mai passare di moda è quello di nuove tasse. A lanciare l’allarme ieri è stata la Cgia di Mestre secondo cui potrebbe costare 16 miliardi nel 2016 lo scatto dell’aumento dell’Iva e il taglio delle deduzioni e delledetrazioni fiscali. Infatti, oltre a dover trovare nel 2015 lerisorse per rimborsare i pensionati (si parla di un importo minimo oscillante tra i 2,5 e i 3 mld) e per far fronteall’eventuale bocciatura da parte dell’Ue dei nuovi regimi di fatturazione (split payment
ed estensione del reverse charge alla grande distribuzione, che ci costringerebbero ad un aumento delle entrate pari a 1,7 miliardi), il governo Renzi dovrà individuare per la Cgia altri 16 miliardi di euro nel taglio della spesa. In caso contrario, dal 2016 scatterà la clausola di salvaguardia che innalzerà le aliquoteIva e ridurrà le detrazioni e agevolazioni fiscali in capo ai contribuenti italiani, con un conseguente aumento delle imposte per questi ultimi.
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la Repubblica2 DOMENICA 17 MAGGIO 2015ECONOMIA
Il caso pensioni
Rimborsi, il governo acceleradecreto prossima settimanaoggi vertice a Palazzo Chigitre miliardi da restituireRenzi intenzionato a non aspettare le elezioni regionaliVerso il recupero pieno fino a 1500 euro, poi gli scaglioni
GOFFREDO DE MARCHISROBERTO MANIA
ROMA. «Non siamo la vecchia poli-tica. Dobbiamo prenderci le no-stre responsabilità. Dobbiamodecidere e lo faremo». Queste pa-role del premier Matteo Renzi inuna riunione ristretta a PalazzoChigi fanno capire che il governonon aspetterà che si svolgano leprossime elezioni regionali (il 31maggio) per approvare il decretocon lo scopo di depotenziare gli ef-fetti della sentenza della CorteCostituzionale sulle pensioni.Senza decreto salterebbero i con-ti pubblici: un buco di oltre 10 mi-liardi di euro, quasi un punto diPil. Gradualmente e parzialmen-te si dovrà trovare una soluzioneper restituire ai pensionati il man-cato adeguamento all’inflazionedeciso dal decreto “Salva Italia”del governo Monti. E Palazzo Chi-gi vuole che questa decisione ar-rivi entro la prossima settimana.
Stasera ci sarà una riunionetecnica (ministeri, Ragioneria,Inps) a Palazzo Chigi. Servirà apreparare il Consiglio dei ministridi domani. E una riunione tecnicaconvocata di domenica sera di-mostra che già domani si potreb-be arrivare ad una decisione. L’i-potesi non è più da escludere an-che se ancora ieri veniva data dadiverse fonti come assai improba-bile. In ogni caso Renzi intendeavere in mano domani mattina iltesto del possibile decreto legge.Ha chiesto personalmente ai tec-nici di restare a Roma e definiretutti i dettagli.
Il vertice tra i tecnici dovrebbesciogliere i vari nodi (finanziari enormativi) e passare poi il testi-mone alla politica. Dunque a Ren-zi che non può non avere messo inconto che in ogni caso “l’affairepensioni” gli sottrarrà voti alleprossime regionali: da chi verràescluso dal rimborso, nel caso diun decreto prima del 31 maggio;da chi sospetterà conseguenzenegative nel caso di un rinvio del-la decisione. Renzi sembra ormaiaver sciolto questo dilemma poli-tico, mentre il suo ministro del-l’Economia, Pier Carlo Padoan,che martedì illustrerà alle com-missioni parlamentari l’orienta-mento del governo, ha imboccatofin dall’inizio la strada di una de-cisione rapida. L’ha garantita an-che ai commissari di Bruxellesquando ha incassato il via liberaeuropeo sul piano triennale ita-liano per il risanamento finanzia-rio.
D’altra parte questa è una par-tita che si gioca su più fronti: poli-tico, economico, sociale. Le pen-sioni, come spesso è già accaduto,
diventano la cartina di tornasoleper valutare la capacità decisio-nale di un governo, la propria at-titudine alla mediazione, oppurela malcelata tentazione di ricer-care il consenso a breve anzichél’equità tra generazioni diverse.Anche per Renzi questo è il conte-sto.
I margini dal punto di vista fi-nanziario sono molto stretti. Il mi-nistro Padoan ha assicurato allaCommissione europea che l’im-patto della sentenza della Consul-ta conti pubblici sarà ridotto il piùpossibile. E certo, il ministro, nonintende su questo compromette-re il rapporto di fiducia costruitonell’ultimo anno con Bruxelles. Di
più: in un contesto economico in-ternazionale favorevole (bassocosto del petrolio, cambio euro-dollaro favorevole e mercati ric-chi di liquidità) e in una fase nellaquale i segnali di ripresa domesti-ca cominciano a convergere (Pil econsumi in crescita, aumento del-la richiesta di mutui, incremento
delle immatricolazioni di autonuove) è opportuno togliere il pri-ma possibile dal tavolo la tegoladelle pensioni per concentrarsisugli interventi espansivi.
Il governo pensa che debbanoessere risarciti i pensionati cheappartengono alle fasce di reddi-to più basso. Renzi questo l’ha det-
to esplicitamente. Gli altri do-vranno capire che il sacrificio cheviene loro richiesto è dentro unalogica di solidarietà intergenera-zionale. Negli anni della lunga re-cessione i pensionati (come i la-voratori stabili del pubblico im-piego) non hanno perso il proprioreddito, diversamente dalle mi-gliaia di lavoratori privati che si
sono trovati senza occupazione.Chi resterà fuori dall’operazione-restituzione comunque non per-derà un euro rispetto a quanto ri-ceve ora.
L’operazione sarà dunque fat-ta di mini-rimborsi e per alcune fa-sce reddituali, venendo incontroanche alle indicazioni della Con-sulta. Sembra assodato il limite dicosto: non più di tre miliardi di eu-ro, per la cui copertura arriveràanche il famoso “tesoretto” fruttodella differenza tra il deficit pro-grammatico e quello tendenzia-le. Ci sarà anche un tetto relativoall’importo: 5-6 volte il tratta-mento pensionistico minimo, pa-ri a circa 2.500-3.000 euro lordi almese. Oltre, quindi, non si rice-verà nulla. La Corte stessa ha ac-cettato nel passato di escludere lepensioni pari a 8 volte il tratta-mento minimo. Il meccanismo in-dividuato prevede una forma didecalage: fino a 1.500 euro il re-cupero dell’inflazione sarà totale,oltre scenderà progressivamen-te.
Sul tavolo, infine, c’è anche unmeccanismo meno costoso manon proprio coerente con la sen-tenza della Corte Costituzionale:rimborso sul reddito complessivodei pensionati tra 1.500 e 3.000euro con percentuali basse (sipartirebbe dal 50 per cento) e pro-gressivamente discendenti con ilcrescere del reddito.
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Numero di pensionati per importo di pensioni
1.405,00- 1.499,99
Classi pensioni per importo mensile lordo(in euro)
Pensioni(numero)
1.500,00- 1.749,99
1.750,00- 1.999,99
2.000,00- 2.249,99
2.250,00- 2.499,99
2.500,00- 2.999,99
da 3.000
549.731
1.267.056
810.272
677.261
502.325
568.518
679.797
TOTALE 5.054.960FONTE UFFICIO STUDI CGIA SU DATI ISTAT
5 MILIONI
Sono oltre cinquemilioni i pensionatiche hanno dirittoalla restituzionedella mancataindicizzazione degliassegni in seguitoalla sentenza dellaConsulta
Il premier: «Non siamo lavecchia politicaDobbiamo prenderci lenostre responsabilità»
Fissato probabilmentein 3 mila euro il tettooltre il quale non verràriconosciuto nulla
AL TIMONE
Il ministro dell’EconomiaPadoan e il premier Renzi
GRADUALITÀ
Per chi si trova inuna soglia tra i1500 e i 3000 eurosi sta decidendo lapercentuale dirimborso conl’obiettivo di tenereal minimo l’esborsoper lo Stato
COSTO COMPLESSIVO
L’intero decretonon dovrebbesuperare laspesa di 3 miliarditutti ascrivibili al2015 e creandoprobabilmentenuovo deficit
RIMBORSO PIENO
Per le pensioni finoda tre volte ilminimo, fino a1500 euro al mesel’indicizzazionedovrebbe esserericonosciuta inpieno e restituitaentro quest’anno
RIMBORSO PARZIALE
Rispettare lasentenza dellaConsulta nonsignifica restituiretutto a tutti: lastessa Corte ha inpassato condivisoun tetto allarivalutazione
I PUNTI
la Repubblica 3DOMENICA 17 MAGGIO 2015
PER SAPERNE DI PIÙwww.tesoro.itwww.palazzochigi.it
LE TAPPE
“Prevedibileondata di ricorsise i risarcimentisaranno parziali”
GUIDO CARELLA (MANAGERITALIA)
ROSARIA AMATO
ROMA. Manageritalia ha promosso con Feder-manager il ricorso alla Corte Costituzionale:«Non accettiamo che ci sia un ulteriore inter-vento parziale e non universale», dice il presi-dente Guido Carella.
Quindi se il decreto del governo andasseinvece proprio in questa direzione, voi sie-te pronti a un nuovo ricorso?«Noi ci prepariamo a far valere i nostri diritti,
e aspettiamo di avere giustizia per tutti i 5 mi-lioni di pensionati colpiti dal provvedimento».
Non accetterete dunque un rimborso concriteri progressivi?«La progressività c’è già nelle aliquote e nelle
norme di rivalutazione delle pensioni. Nel 2010la Corte Costituzionale aveva rigettato il ricorsocontro il blocco del 2008, invitando però il gover-no a non reiterare quel tipo di intervento. E inve-ce si è scelto ancora una volta di utilizzare le pen-sioni per fare cassa, e non certo per promuovereun’azione di equa ridistribuzione, che dovrebbeinvece rispondere ai due principi di universalitàe progressività richiamati dalla Consulta».
Quindi voi accettereste invece un contri-buto che avesse l’obiettivo di un’equa di-stribuzione?«Al momento è una questione secondaria. In-
tanto riteniamo che debbano essere riconosciu-ti i diritti costituzionali. Se venissero riconosciu-ti solo parzialmente non ci sarebbe neanche bi-sogno di un nuovo ricorso da parte nostra, per-ché si attiveranno centinaia di ricorsi individua-li con aggravio doppio per lo Stato».
Ha letto in questi giorni gli interventi cheinvitano i pensionati a desistere in nomedella solidarietà tra generazioni?«Quale messaggio diamo ai nostri giovani, vo-
gliamo anestetizzarli ulteriormente offrendo lo-ro magari un reddito minimo di cittadinanza oun reddito minimo garantito? Si vuole far cre-dere loro che migliorare nella scala sociale è unpeccato, una colpa grave che ha come conse-guenza la persecuzione da parte del fisco».
E le conseguenze di questa sentenza sulbilancio dello Stato?«Secondo noi ci sono ambiti in cui è più con-
creto cogliere queste opportunità: la lotta all’e-vasione e il freno alla spesa pubblica. Quando tut-ti questi interventi verranno avviati saremo di-sponibili a fare la nostra parte».
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IL RICORRENTE
Guido Carella è ilpresidente diManageritalia, checon Federmanagerha fatto ricorso
“Ridare tuttoai redditi bassima la soluzionesia concertata”
CARLA CANTONE (SPI CGIL)
ROMA. «Sono molto arrabbiata», dice Carla Can-tone, segretario generale dello Spi, il sindacatodei pensionati della Cgil con tre milioni di iscrit-ti. «Perché bisogna smetterla con questa cam-pagna denigratoria nei confronti dei pensiona-ti. Chi oggi prende una pensione se l’è guada-gnata con anni di lavoro, non gliel’ha regalatanessuno. Le pensioni non sono illegali, non sononé vitalizi né super pensioni d’oro».
Dietro questo suo sfogo c’è l’idea di chie-dere il completo recupero dell’indicizza-zione mancata a favore dei pensionati?«Non sono così matta! Intanto c’è un disordi-
ne totale su questa materia. Tutti leggiamo leinformazioni che appaiono sui giornali, ma il go-verno non ha mai fornito indicazioni precise. Noicontinuiamo a chiedere un tavolo di confronto.Se venisse Renzi gli farebbe soltanto bene allasalute. Se non ci si parla, se non ci si ascolta, sicrea solo confusione».
Lei cosa direbbe a Renzi?«Mi farebbe piacere sapere che cosa hanno
fatto con i sedici miliardi che hanno tolto in quat-tro anni dalle tasche dei pensionati».
Perché, secondo lei cosa ci hanno fatto?«Ci hanno coperto i buchi dei conti pubblici.
Hanno fatto cassa con i soldi dei pensionati. Lacosa più facile perché i pensionati non possononemmeno scioperare».
Ma lei è d’accordo su un intervento che re-stituisca il mancato adeguamento al co-sto della vita soprattutto ai pensionatidelle fasce più basse?«Guardi, il mio problema non sono tanto gli ar-
retrati. La cosa più importante è ripristinare il di-ritto alla difesa del potere d’acquisto dei pensio-nati. Lo sa che i pensionati hanno perso oltre il 30per cento del loro potere d’acquisto negli ultimidiciotto anni?».
Dunque rinuncereste agli arretrati?«No. Dico che non siamo contrari a un inter-
vento legislativo che differenzi anche temporal-mente la restituzione in base al reddito. Ritengoche chi percepisce un assegno cinque o sei volteil minimo possa anche aspettare».
Cosa dice, allora, a chi come i Cinque Stel-le minaccia un’ondata di ricorsi se non cisarà la restituzione integrale?«Dico anche a loro di abbassare i toni. Che pro-
vino a ragionare con la testa. Questa è gente chepensa di essere sempre in campagna elettorale».
(r. ma.)
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LA SINDACALISTA
Carla Cantone è ilsegretario generale
dello Spi, ilsindacato dei
pensionati Cgil
1IL VERTICE DEI TECNICI
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La richiesta di Renziè di avere una bozzadel decreto già nelConsiglio dei ministriAnche se ladecisione finalepotrebbere slittare diqualche giorno o allaprossima settimana
3LE ELEZIONI REGIONALI
L’indicazione politicache sta emergendoda Palazzo Chigi è diapprovare il decretolegge prima delleelezioni regionali del31 maggio perevitarecomplicazioni conl’Ue e la Consulta