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MAGAZINEn.221 / 204 MAGGIO 2020
Intel, ecco i processori desktop di decima generazione 20
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DJI Mavic 2 Air Degno erede
Vlogging Kit di Joby Perfetto per youtuber
IN PROVA IN QUESTO NUMERO
Google Meet è gratis per tutti E resterà gratis per sempre L’accesso alla soluzione premium di videoconferenza è ora aperto a tutti. Google assicura: i dati non verranno usati per la pubblicità né saranno venduti 18
Droni, il nuovo regolamento europeo Dal 1 luglio 2020 entra in vigore il nuovo regolamento europeo per l’utilizzo di droni per uso ricreativo e professionale. Tanti i cambiamenti, tra cui l’obbligo dell’attestato e di immatricolazione per i droni sopra i 250 g
Diritti TV Serie A: la Lega vuole i soldi, Sky e DAZN vogliono trattare
Immuni, perché così non servirà Immuni, perché così non servirà L’app Immuni utilizzerà il modello decentralizzato proposto da Google e Apple e si spera che arrivi entro maggio. Ma se non si verificano alcune condizioni fondamentali, non darà i risultati sperati. I dati, i calcoli e il ragionamento ci spiegano perché
iPhone SE 2020 Senza rivali
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Huawei Mate X Acquisto consapevole
La quarantena spinge l’Italia alla pirateria
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Smartphone Huawei Smartphone Huawei senza servizi Google senza servizi Google 50 cose da sapere50 cose da sapere4141
Sonos Radio, gratis per i clienti. Come ascoltare le stazioni in Italia
Fase 2 e nuova Fase 2 e nuova mobilità: a Milano mobilità: a Milano si parte davverosi parte davvero
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MAGAZINEn.221 / 204 MAGGIO 2020
MERCATO Lo conferma Vittorio Colao al Corriere della Sera. L’auspicio è che arrivi entro maggio
Immuni: anche l’Italia sceglie Apple e Google Vince il modello decentralizzatoL’app Immuni utilizzerà il modello decentralizzato proposto dai due giganti della Silicon Valley
di Paolo CENTOFANTI
È Vittorio Colao, in un’intervista al
Corriere della Sera, a sciogliere la
riserva: Immuni utilizzerà le nuove
API sviluppate in collaborazione da Ap-
ple e Google. Non solo, l’app italiana di
contact tracing seguirà il modello decen-
tralizzato, in modo tale da garantire il più
alto livello di privacy dei dati. Nell’inter-
vista di Aldo Cazzullo, il manager scelto
dal Governo per progettare la riapertura
del paese dice:
“Non è stato scelto il sistema centraliz-
zato, che manteneva l’identità di tutti i
contatti. E’ stata scelta l’altra soluzione,
quella Apple-Google. I contatti stanno
solo sui telefonini delle persone. Quan-
do scopro di essere contagiato, sono
io che metto dentro un codice, che ri-
lascia una serie di codici alle persone
con cui sono entrato in contatto. Tutto
avviene in modo anonimo: l’individuo
viene informato dal sistema, ma il si-
stema non sa chi sono i due; la privacy
dei due individui è mantenuta. Nessu-
no conosce l’altro.”
I criteri per la realizzazione dell’app sono
contenuti in un decreto legge che verrà
discusso nel prossimo Consiglio dei Mi-
nistri e di cui è circolata una bozza. Tra
le novità, c’è la norma che richiede che
tutti i dati raccolti dal sistema vengano
cancellati alla fine dell’emergenza e
comunque non oltre la fine del 2020.
l sistema prevederà sì una piattaforma
centralizzata, ma unicamente per il sal-
vataggio degli identificativi dei dispositi-
vi legati a persone che sono state certi-
ficate contagiate dalle autorità sanitarie.
Ciò sarà necessario per permettere al-
l’app installata su tutti gli altri dispositivi
di poter confrontare tale identificativo
con la lista di quelli con cui si è venuti
in contatto e che risiederà localmente
sugli smartphone. Nessun dato per-
sonale o di posizione verrà scambiato
come parte di questo processo. Altra
indicazione inserita nel decreto è che
l’infrastruttura di supporto all’applica-
zione Immuni risieda su server italiani
e potrà essere gestita unicamente da
amministrazioni nazionali o enti di pro-
prietà pubblica. Rimane la domanda sui
tempi, cioè quando potremo scaricare
Immuni e quando il sistema sarà fun-
zionante. Colao nell’intervista dice solo
una cosa: “È importante lanciarla en-
tro la fine di maggio; se quest’estate
l’avremo tutti o quasi, bene; altrimenti
servirà a poco.”
di Sergio DONATO
VESA (Video Electronics Standards
Association) ha rilasciato la ver-
sione “Alt Mode” per lo standard
Display Port 2.0 che permetterà la piena
funzionalità di Display Port 2.0 attraverso
un connettore USB-C e l’interoperabilità
con USB 4. La modalità Alt Mode consen-
tirà di trasmettere fino a 80 Gbps di dati
video Display Port attraverso un connet-
tore USB-C, avendo a disposizione tutte
e 4 le corsie di trasmissione dello stan-
dard. L’Alt Mode per l’USB-C non è una
novità di oggi. Già nel 2014 esisteva per
la Display Port, ma quando quest’ultima
era entrata da pochi giorni, nella versione
MERCATO VESA annuncia di aver rilasciato la modalità Alt Mode per lo standard Display Port 2.0
VESA annuncia: USB 4 e i connettori USB-C accetteranno i segnali Display Port 2.0La modalità permetterà ai dati DP 2.0 di viaggiare su cavi USB-C. Avrà la compatibilità con USB4
1.3. Nella sua compatibilità con
il prossimo USB 4, la Display
Port 2.0 Alt Mode sarà però
costretta a perdere un po’ di
velocità per strada, dato che
USB 4 raggiunge una velocità
massima di 40 Gbps utilizzan-
do la trasmissione simultanea
tramite USB SuperSpeed con
cavi a “doppia corsia”. Poiché i cavi USB
4 non hanno ancora uno standard, non è
da escludere che potranno veicolare an-
ch’essi i dati video grezzi di Display Port
2.0 usando le 4 corsie in una sola direzio-
ne, riuscendo così a raggiungere gli 80
Gbps dello standard Display Port 2.0. In
quel caso, USB 4 sarebbe anche capace
di gestire segnali 8K a 60 Hz in HDR. Uno
dei vantaggi di avere lo standard Display
Port 2.0 su USB 4 sarà dato proprio dal
contenimento del tipo di cavetteria. I pri-
mi prodotti che incorporano Display Port
Alt Mode 2.0 appariranno nel 2021.
MediaWorld riapre altri 25 negozi in tutta Italia, anche a Milano. Ecco quali sonoRiaprono altri punti vendita MediaWorld in tutta Italia, sempre nel rispetto delle attuali limitazioni previste, come il distanziamento da clienti e personale e la necessità di recarsi in negozio da soli di Massimiliano DI MARCO
Agli 11 punti vendita Mediaworld che erano stati già riaperti, l’azien-da ne ha aggiunti altri 25, in tutta l’Italia. La catena di elettronica pro-segue la graduale ripresa dell’atti-vità ordinaria, seppur nel rispetto di quelle limitazioni a cui dovremo abituarci per i prossimi mesi, anche oltre la “fase 2”. Nello specifico, Mediaworld ha riaperto i negozi di: Alessandria, Ancona, Arese, Bari, Bologna, Cinisello Balsamo, Ferra-ra, Gallarate, Lecce, Lecco, Lodi, Mi-lano Piazza Lodi, Milano Rubattino, Milano Via Troya, Modena, Perugia, Roma Fiumicino, Roma C.C. Prima-vera, Rozzano, Sassari, Savignano sul Rubicone, Tavagnacco, Torino, Treviso e Trieste. La lista completa è disponibile sul sito ufficiale, con gli orari di apertura. La riapertura dei negozi è subordinata a una serie di misure decise dall’azienda per rispettare le restrizioni previste in tutta Italia durante l’emergenza sanitaria. Per esempio, i clienti non dovranno visitare il negozio se presentano raffreddore o febbre e devono essere da soli, dovranno mantenere le distanze di sicurezza dal personale e dagli altri clienti. In-fine, viene chiesto di toccare solo i prodotti effettivamente necessari all’acquisto.
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MAGAZINEn.221 / 204 MAGGIO 2020
di Gianfranco GIARDINA
N on è disfattismo, ma realismo. I dati, i calcoli e il
ragionamento ci dicono che l’app Immuni, con al-
tissima probabilità non servirà a nulla, si tratta di
tempo e risorse persi, per lo meno se il contesto resterà
questo. Ecco perché.
Perché l’app Immuni potrebbe essere importantissimaSe avessimo una capacità diagnostica totale, ovvero-
sia fossimo in grado di fare il tampone a tutta la po-
polazione nel giro di poco tempo, l’app Immuni, come
anche qualsiasi altra app di contact tracing, non ser-
virebbe a nulla. Infatti sapremmo immediatamente chi
sono i positivi, anche tra gli asintomatici, potremmo
impostare per loro strategie ferree di isolamento e in
un mese il Covid-19 sarebbe storia.
Invece - lo sappiamo - la capacità diagnostica è molto
limitata, tanto che i tamponi spesso non vengono fatti
neppure ai plurisintomatici o ai conviventi di positivi
certificati; nelle RSA sono arrivati solo da qualche
giorno. Certo, si sta lavorando (più lentamente del ne-
cessario) al potenziamento delle capacità di laborato-
rio, ma non c’è dubbio che, soprattutto in vista della
fase 2, non ci saranno tamponi per tutti, neppure fra
qualche mese. L’app Immuni potrebbe e dovrebbe
essere uno strumento prezioso per selezionare chi è
più meritevole di fare il tampone, soprattutto per iden-
tificare i pericolosi asintomatici, invece di fare esami
a campione alla popolazione senza un vero criterio.
Avrebbe la precedenza chi ha avuto anche un fugace
contatto con una persona rivelatasi positiva, contatto
certificato dall’app. E quindi con una certa probabili-
tà di essere diventato anch’esso positivo. In questo
modo la speranza di circoscrivere velocemente la
linea di contagio e quindi eventuali focolai diviene
molto più alta. Quindi, almeno dal punto di vista teo-
rico, si tratta di una strada non solo promettente, ma
anche doverosa da perseguire. Tanto più che, come
abbiamo spiegato in molti altri articoli (la cui lettura
gioverebbe a tanti opinionisti), con l’architettura ano-
nimizzante pensata da Apple e Google, i rischi per la
privacy sono trascurabili se non addirittura nulli.
Perché l’app Immuni non sarà affatto determinante: lo certifica il calcolo delle probabilitàCi sia concessa un po’ di matematica e l’applicazione
facile del calcolo delle probabilità. Lo scopo è deter-
minare la probabilità che un contatto tra un sano e
un positivo (che scoprirà di esserlo nelle ore succes-
sive) venga correttamente rilevata dall’app Immuni
e segnalata al presunto sano così da dar luogo a un
approfondimento diagnostico. Una probabilità è nor-
malmente indicata con una percentuale dallo 0% al
100%, ovverosia da un numero tra 0 e 1.
0% uguale ad evento impossibile, 100% uguale ad
evento certo; e in mezzo tutta la gradualità delle pro-
babilità. Se il fatto che un evento si verifichi dipende
da più eventi indipendenti tra loro, la probabilità com-
posta si calcola moltiplicando le probabilità dei singoli
eventi. Il classico esempio è il lancio di due dadi: la
probabilità che esca 6 su un dado è ovviamente 1/6,
ovverosia circa il 16% (pari a 0,16). Ma la probabilità
che tirando due dadi escano due 6 è molto più bassa,
ovverosia 1/6 x 1/6. Il risultato è 0,027, cioè il 2,7%.
Dato che le probabilità sono sempre numeri tra zero
e uno, la catena di moltiplicazioni delle probabilità
composte non fa che diminuire il prodotto, ovverosia
la probabilità dell’evento congiunto.
Nel nostro caso, l’evento in questione è che un sano
riceva una notifica dopo essere stato a contatto con
un altro individuo infetto. Questa segnalazione - che
è poi l’obiettivo di Immuni - è dipendente da almeno
quattro altri eventi che devono verificarsi contempo-
raneamente; in mancanza anche di un solo evento, la
segnalazione non arriva e il contatto potenzialmente
contagioso non viene notificato. Il primo, evidente, è
che l’app sia caricata e funzionante sullo smarphone
MERCATO Il calcolo delle probabilità ci dice inequivocabilmente che se non si verificano certe condizioni, Immuni nasce morta
App Immuni: con queste premesse, è inutile Meglio cambiare passo o lasciar perdere Dovrebbe aumentare il numero di tamponi fatti e diventare obbligatorio il consenso alla condivisione del dato da parte dei positivi
della persona che verrà diagnosticata come positiva;
il secondo è che anche il sano sia nella medesima
condizione; è poi condizione necessaria che il malato
venga diagnosticato ufficialmente: senza un tampone
il contatto potenzialmente infettivo non potrebbe es-
sere segnalato dall’app e quindi non scatenerebbe la
catena di notifiche; e infine ci vuole l’assenso da parte
del positivo a comunicare al sistema il proprio mutato
stato di salute: il cittadino, infatti, dopo le pressioni
dei movimenti di tutela alla privacy, sarà libero di de-
cidere se tenere la propria positività al tampone per
sé o se mettere questa informazione, pur totalmente
anonima, a favore del sistema e della collettività.
Quindi, per tornare ai termini più formali, potremmo
calcolare la probabilità che un contatto a rischio ven-
ga correttamente segnalato come:
Ptot = Pi x Pi x Pd x Pc
dove
Ptot è la probabilità che il contatto a rischio venga
segnalato da Immuni
Pi è la probabilità che un cittadino abbia l’app corret-
tamente installata e funzionante (nel prodotto è ripor-
tata due volte perché l’app deve averla installata sia
l’utente ammalato che il potenziale contagiato)
Pd è la probabilità “diagnostica”, ovverosia che venga
effettuato sul positivo un tampone che ne ufficializzi
la malattia, in mancanza del quale il contatto a rischio
non verrà mai a galla
Pc è la probabilità che venga dato il consenso alla
segue a pagina 04
App ImmuniEcco perché così non servirà a nulla
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MAGAZINEn.221 / 204 MAGGIO 2020
divulgazione anonima del dato in caso di positività
Proviamo a fare qualche ipotesi. Pariamo da uno
scenario assolutamente ottimistico: ipotizziamo che
il 50% della popolazione si doti dell’app e la attivi,
un’ipotesi certo non scontata; supponiamo che il 50%
dei positivi riceva tempestiva diagnosi ufficiale con
tampone, anche questa ipotesi azzardata; ipotizziamo
infine che il consenso alla divulgazione venga dato
nel 100% dei casi, decisamente irrealistico, soprattut-
to con il clima di scetticismo nei confronti della riser-
vatezza del dato che si è creato.
Quindi:
Ptot (ottimistico) = 0,5 x 0,5 x 0,5 x 1 = 0,125
Nel nostro scenario ottimistico, quindi, la probabilità
combinata degli eventi è pari al 12,5%, ovverosia solo
il 12,5% dei contatti a rischio verrebbe correttamen-
te notificata. Questo vuol dire che, anche in questo
caso idilliaco, 87 casi su 100 di contatti a rischio non
verrebbero catturati dall’app Immuni. Spostiamoci ora
in un caso pessimistico: ipotizziamo che l’app venga
caricata dal 25% della popolazione (che poi è il target
indicato in queste ore dalla Ministra Paola Pisano);
supponiamo anche che la diagnosi certificata venga
fatta nel 20% dei casi di positività, un limite giudicato
credibile dagli esperti, tenendo conto degli asintoma-
tici e dei moltissimi a casa in autoquarantena fiducia-
ria senza tampone; infine ipotizziamo che il 50% dei
positivi certificati dia il consenso alla divulgazione del
dato.
Quindi:
Ptot (pessimistico) = 0,25 x 0,25 x 0,2 x 0,5 = 0,0063
In questo scenario la probabilità che un contatto a
rischio venga segnalato precipita allo 0,63%. Questo
significa che solo un caso ogni 160 contatti a rischio
verrebbe realmente segnalato. Gli altri si perderebbe-
ro e non sarebbero in alcun modo recuperabili. Un
caso su 160 è sempre meglio di zero casi su 160, ma
si tratta pur sempre di un goccia nell’oceano.
La situazione reale poi è probabilmente ancora peg-
giore in considerazione del fatto che l’app Immuni ri-
leva un contatto solo se si mantiene una distanza di
due metri per 15 minuti consecutivi: è evidente che ci
siano condizioni di possibile contagio assolutamente
concrete (per esempio 10 minuti in una metropolitana
piena oltre il livello di guardia) che non rientrano nella
casistica rilevata da Immuni. Se aggiungessimo anche
questa probabilità al nostro calcolo, l’efficacia di Im-
muni precipiterebbe ulteriormente.
Ovviamente ognuno può applicare il medesimo mo-
dello con le percentuali che ritiene più appropriate:
difficilmente il risultato, utilizzando valori realistici,
porterà a percentuali di successo soddisfacenti. Anzi,
provate a proporre nei commenti il vostro scenario
più credibile: pronti a discuterne.
E allora Immuni non ha alcun senso?L’app Immuni avrebbe molto senso, ma solo a con-
dizione di riuscire a portare più possibile vicino a 1
tutte le probabilità degli eventi indipendenti che ne
determinano l’efficacia. Come? Beh, innanzitutto in-
centivando l’impiego dell’app per esempio con faci-
litazioni al movimento dei cittadini che la impiegano;
eliminando l’obbligo dell’autocertificazione per chi
può esibire l’app funzionante e attiva. Oppure garan-
tendo l’accesso in tempi rapidi all’ambito tampone a
tutti coloro che ricevo-
no una segnalazione di
possibile contagio tra-
mite Immuni. Insomma,
per aumentare il fattore
Pi è indispensabile fare
un ottimo marketing di
questa app, che deve
andare oltre la campa-
gna pubblicitaria e il
solito accorato appello
al senso civico.
Si può e si deve lavora-
re anche sul parametro Pd, ovverosia la capacità di
fare tamponi al maggior numero di persone. L’aiuto
dei test sierologici rapidi, da questo punto di vista,
è poco significativo perché gli anticorpi si muovono
sensibilmente dopo 10-15 giorni dal contagio e quindi
qualsiasi notifica sarebbe tardiva per Immuni. Se ne
deduce che la capacità di fare tamponi va aumentata
esponenzialmente anche nei prossimi mesi, cosa che
non emerge dai discorsi dei politici. Senza tamponi
per le prime diagnosi e per inseguire le linee di con-
tagio l’app non servirà a nulla.
Infine bisognerebbe agire anche sul fattore Pc, ovve-
ro quello del consenso alla divulgazione anonima del
dato. Da questo punto di vista la soluzione è sempli-
ce: il consenso andrebbe semplicemente reso obbli-
gatorio, per legge. Non si viola alcuna norma sulla pri-
vacy, né formalmente né tantomeno sostanzialmente.
Se il Governo si è piegato alle richieste di chi voleva
che la comunicazione fosse legata all’assenso del
malato, è probabilmente solo per mettere a tacere le
polemiche; anche se equivale a mettere le ganasce a
Immuni, impedendole di funzionare adeguatamente.
La privacy usata male può far male. Anche alla privacyBen lungi voler sottovalutare l’importanza della pri-
vacy, ma tante polemiche tra quelle che si stanno svi-
luppando attorno all’app Immuni come “rischio per la
riservatezza” spesso sono alimentate da questioni più
formali che altro. Se poi uniamo a questo, la ridda di
fake news più o meno volontarie che stanno circolan-
do, è evidente che Immuni venga ammazzata in culla,
senza alcuna colpa peraltro. Il meccanismo di anoni-
mizzazione messo a punto da Apple e Google sem-
bra veramente il minore dei mali, anche rispetto ad
altre architetture prospettate nelle scorse settimane.
Ma soprattutto, Immuni sembra molto meglio, anche
in tema di privacy, rispetto alle attività di contenimen-
to del contagio “tradizionali”. Infatti senza Immuni, la
privacy diventa del tutto aleatoria, con tutti i contatti
noti del positivo che vengono allertati “a mano”, spes-
so venendo a conoscenza direttamente del nome e
cognome del potenziale “untore”. Certo, non c’è al-
cun meccanismo massivo, ma in un mondo senza app
Immuni, la privacy, ammesso che sia un valore sacro
almeno tanto quanto la salute pubblica, è giornalmen-
te molto più violata. Non considerare questo aspetto,
vuol dire voler condurre una battaglia contro Immuni
“a prescindere”.
MERCATO
App Immuni: con queste premesse, è totalmente inutilesegue Da pagina 03
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MAGAZINEn.221 / 204 MAGGIO 2020
di Roberto PEZZALI
I l sistema proposto da Apple e Google per aiutare le
organizzazioni sanitarie e i governi a fronteggiare il
COVID-19 con la tecnologia migliora ancora. Lo ab-
biamo scritto più volte in queste settimane: non solo
senza l’appoggio di Apple e Google non è possibile
realizzare una applicazione efficiente e funzionante,
ma la soluzione proposta, anche come protocolli di
sicurezza e protezione dei dati era è in assoluto quel-
la più sicura.
Ora lo è ancora di più, perché ora sono state pub-
blicate le linee guida riviste dell’intero sistema, con
miglioramenti per quanto riguarda la privacy, la sicu-
rezza e soprattutto l’accuratezza del sistema.
Nelle settimane successive all’annuncio da parte di
Apple e Google, nonostante il sistema sia stato giudi-
cato da molti idoneo e sufficientemente sicuro sotto
il profilo della privacy, esistevano alcuni elementi che
potevano, in condizioni particolarissime e comunque
rare, permettere l’identificazione di una persona. Ora,
con gli ultimi aggiustamenti, è praticamente impossi-
bile farlo.
Due novità: privacy migliorata e più certezza sui contattiLe novità riguardano due aspetti: il primo guarda agli
utenti e alle loro giuste preoccupazioni legate alla
privacy, il secondo riguarda gli sviluppatori, con una
serie di librerie pensate per rendere più facile il loro
lavoro e più efficienti le applicazioni che verranno rea-
lizzate. Un punto quest’ultimo delicatissimo, perché la
maggior parte delle soluzioni presenti fino ad oggi
non hanno raggiunto il loro obiettivo anche per limiti
tecnici, erano soluzioni pensate per altro e adattate
ad uno scopo.
Ma partiamo dalla privacy, che è l’aspetto che sta a
tutti più a cuore: nella prima versione della soluzione
proposta dai due colossi la generazione della chia-
ve usava una “master key” sul dispositivo associata
a quelle che venivano definite “Daily Tracing Key”,
ovvero chiavi giornaliere che scadevano ogni 24 ore
usate a loro volta per codificare i messaggi trasmessi.
Queste chiavi ora spariscono, esistono solo Tempo-
rary Tracing Keys generate in modo totalmente casua-
le con scadenza anche lei casuale. Cambia anche il
protocollo di cifratura, si userà l’Advanced Encryption
Standard: tutti i calcoli, è bene ricordarlo, sono fatti
sugli smartphone e non escono dagli smartphone, e
l’AES è molto più efficiente. Gli smartphone moderni
dispongono di un encoder hardware per questo tipo
di codifica, e il tutto si traduce in un risparmio energe-
tico e in una maggiore efficienza. Il dispositivo deve
infatti codificare ogni messaggio che invia.
La terza novità in tema di privacy e sicurezza è la co-
difica anche dei dati aggiuntivi inviati con la trasmis-
sione bluetooth. Quando si trasmette un dato tramite
bluetooth, oltre al dato, che era già criptato, venivano
anche trasmesse anche altre informazioni addizionali
come ad esempio la potenza di trasmissione e il pro-
tocollo utilizzato da quello specifico smartphone.
Informazioni comunque casuali, che potevano però
diventare una sorta di traccia per cercare di identifi-
care una persona in un gruppo. Casi remoti, appunto,
ma questa volta ogni aspetto è stato considerato e
quindi questi dati vengono anche loro codificati.
Le modifiche fatte rendono assolutamente impossi-
bile collegare un messaggio inviato allo smartphone
che lo ha inviato.
La potenza di trasmissione per la certezza di un contatto sicuroCi sono novità anche per chi deve realizzare applica-
zioni, nel caso dell’Italia Bending Spoons con la sua
app Immuni. Una di questo è fondamentale: tra i dati
che uno smartphone emette è stato aggiunto il livello
di segnale dello smartphone che lo ha trasmesso. I
sistemi di contact tracing prevedono lo smartphone
ascolti quello che gli smartphone vicini dicono, ma gli
smartphone non sono tutti uguali. Ci sono smartphone
con antenne migliori, altri con antenne peggiori. Due
smartphone top di gamma potrebbero scambiarsi un
messaggio con un ottimo livello di segnale stando a
3 metri di distanza, mentre due smartphone “vecchi”
per raggiungere un tale livello devono avvicinarsi
ad un metro. Nella prima versione delle specifiche,
quelle rilasciate il 10 aprile, lo sviluppatore poteva sa-
pere solo se lo smartphone su cui è stata installata
l’app “ha sentito bene”, ma non poteva avere idea se
questo aveva sentito bene perché l’altro smartphone
era vicino o se perché aveva urlato più forte. Ora ha
entrambi i dati, e combinandoli si può ottenere una
rilevazione precisa della distanza a prescindere dalla
marca o dal modello del telefono.
L’accuratezza del “contatto” è fondamentale, le ap-
MERCATO Le nuove linee guida con cui Apple e Google perfezionano la loro piattaforma per creare applicazioni di contenimento del virus
Coronavirus e piattaforme di notifica dei contagi Il sistema di Apple e Google è ora più sicuro e preciso La soluzione, anche come protocolli di sicurezza e protezione dei dati, è in assoluto quella più sicura. Alternative? Nessuna
plicazioni ruotano tutto attorno a questo dato senza
il quale si rischiano falsi positivi rendendo tutto il si-
stema inutile. Gli sviluppatori potranno anche gestire
in modo automatico la potenza di trasmissione e la
durata del contatto: questo permetterà alle autorità
sanitarie di personalizzare le applicazioni a seconda
di quelli che a loro avviso sono i parametri da consi-
derare, ovvero quale dev’essere la distanza minima
per considerare un contatto e quanto deve durare
questo contatto. Due persone che si incrociano per
strada, anche se una è positiva, non darà origine ad
un contatto, una persona seduta di fianco in treno
ad un positivo per 2 ore probabilmente si. Infine, al-
tro dato utile, ci sarà per gli sviluppatori la possibilità
di calcolare, sempre sul telefono dell’utente, i giorni
che sono passati dall’ultimo possibile contatto. Così
facendo le app potranno anche fornire indicazioni utili
su come comportarsi.
Arriva per gli sviluppatori, per gli utenti a metà maggioÈ bene ricordare ancora una volta che Apple e Google
non faranno applicazioni, e infatti in questa release 1.1
di specifiche la parola “Contact Tracing” sparisce. Si
parla di “Exposure Notification”, ed è una piattaforma
creata e pensata solo per assistere le autorità sani-
tarie. Le librerie verranno rese disponibili solo alle
aziende che stanno lavorando con un’incarico delle
autorità sanitarie o di un Governo.
Il rilascio, almeno in beta, verrà fatto la settimana pros-
sima: chi sta lavorando alle app potrà iniziare ad inte-
grare la piattaforma all’interno della sua soluzione. Il
rilascio per gli utenti è previsto a metà maggio, quindi
le app non saranno pronte prima. Google supporterà
tutti gli smartphone a partire da Android 6, e l’aggior-
namento avverrà tramite Play Services, mentre Apple
supporterà tutti gli iPhone degli ultimi 4 anni, quindi a
partire dall’iPhone 7. Servirà un update di iOS.
Se il tracciamento si deve fare questa è l’unica solu-
zione possibile. Per decine di motivi.
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MAGAZINEn.221 / 204 MAGGIO 2020
di Paolo CENTOFANTI
L ’Italia ha voglia di fase 2, di allentamento della stret-
ta e di ritorno alla normalità. Ma il rischio di ritrovarsi
dentro l’abisso è dietro l’angolo: la comunità scienti-
fica continua a ripeterci che senza misure di controllo e
tracciamento dei contagi, il coronavirus può riprendere
a diffondersi in un battibaleno. Eppure c’è chi parla di
presunta dittatura sanitaria e tutti, dalle istituzioni ai com-
mentatori si premurano a sottolineare che l’installazione
di Immuni, il progetto di applicazione per il contact tra-
cing scelto dal Governo, sarà solo su base volontaria.
Non bastano le rassicurazioni sul fatto che la tecno-
logia non consente di tracciare le persone, ma solo i
contatti tra dispositivi (anonimizzati per giunta): si ha
paura di imporre uno strumento che sarà invece una
delle armi essenziali per la convivenza con il virus e il
suo contenimento.
Sembra che ci sia la paura di dire ai cittadini, che
quotidianamente rinunciano senza problemi alla loro
privacy e cedono dati di ogni tipo ad aziende come
Google o Facebook - perché “tanto non ho nulla da
nascondere” - che se Immuni non sarà obbligatoria
e non verrà installata sul più grande numero possi-
bile di smartphone in circolazione, non servirà a un
bel niente e il caso di Singapore è lì a dimostrarcelo
proprio in questi giorni.
Se n’è parlato molto: Corea del Sud e Taiwan sono
riusciti a contenere l’epidemia, anche in presenza
di focolai importanti come nel caso di Daegu, sen-
za imporre alcun lockdown. Ci sono riusciti perché
dopo l’esperienza della SARS sono state fatte del-
le rinunce alla privacy pur di tenere sotto-controllo
la catena dei contatti e di conseguenza dei contagi
in caso di epidemia. Entrambi i Paesi, seppure con
modalità diverse, hanno una cosa in comune: il si-
stema di tracciamento dei contatti è stato imposto e
applicato a tutti e in modo ancora più ferreo per i so-
spetti contagiati. La verità è che questo approccio ha
MERCATO A Singapore il Coronavirus è fuori controllo per diversi motivi tra cui e app di tracciamento solo su base volontaria
L’app Immuni dovrebbe essere obbligatoria Altrimenti il rischio è di finire come SingaporeIn Italia possiamo sperare di fare meglio della città stato modello? La parola obbligo però non dovrebbe essere un tabù
funzionato e i due paesi sono riusciti a tenere sotto
controllo l’epidemia senza i sacrifici enormi che sta
affrontando l’Italia.
Non è necessario arrivare agli estremi di Taiwan, che
tiene sotto stretta sorveglianza la sua cittadinanza
tramite il cellulare, e se non ne hai uno il Governo
“gentilmente” te ne fa dono. Basta solo far sì che
il sistema di tracciamento dei contatti, come quello
scelto dall’Italia e assolutamente rispettoso della pri-
vacy, sia applicato e utilizzato da tutti in modo tale
che le autorità sanitarie possano ricostruire in modo
efficace e puntuale le catene dei contagi quando si
verificano. Individuare celermente e isolare i conta-
giati è l’unico modo per evitare una nuova epidemia
e nuove restrizioni.
Veniamo a Singapore. La città stato, presa spesso a
modello per la sua efficienza e la disciplina dei suoi
abitanti, ha messo in campo nelle fasi iniziali una
massiccia operazione di contact tracing interamen-
te manuale, per poi introdurre un’app seguendo lo
stesso approccio che si appresta a seguire l’Italia:
un’applicazione da installare su base volontaria.
Risultato: si stima che il 20% dei cittadini di Singapo-
re l’abbia scaricata, il che vuol dire che gli effettivi
utilizzatori potrebbero essere anche di meno. Con
queste percentuali, la probabilità che due cittadini di
Singapore che si incontrano abbiano entrambi l’app
installata e che quindi il loro contatto possa essere
registrato è del 4% (0.20x0.20=0.04), troppo poco
perché si riesca a ricostruire una possibile catena
dei contagi in modo automatico.
Oggi Singapore è di fatto un focalio, con crescita
esponenziale, scatenata pare dei pochi controlli sui
lavoratori immigrati, con un sistema di contact tra-
cing zoppo, non in grado di aiutare le autorità sani-
tarie ad investigare i troppi nuovi casi, e la necessità
di imporre il lockdown. E stiamo parlando di Singa-
pore, paese con meno di 6 milioni di abitanti. Sia-
mo sicuri che assecondare la diffidenza dei cittadini
verso un’applicazione imposta dall’alto sia la strada
giusta? L’Italia certo non è sola in questo: il carattere
di volontarietà dell’app di tracciamento dei contatti
compare trai i requisiti citati nelle linee guide
pubblicate dalla Commissione Europea. Ma sia-
mo onesti: è stato chiesto ai cittadini italiani di
chiudersi in casa, a molti di rinunciare al lavoro
che dà loro da vivere, è stato tolta persino la
possibilità di dare un ultimo saluto ai propri cari
portati via dal Virus.
La vita sociale del paese è stata sconvolta e ora
il problema è installare un’applicazione il cui
scopo è proprio quello di evitare che tutto ciò si
ripeta di nuovo? L’Italia ha bisogno del contact
tracing, ha bisogno che funzioni, che sia effica-
ce e quindi capillare. Convincere gli italiani ad
utilizzarlo fa parte dell’equazione. Ma l’obbligo
non deve essere un tabù. Installare un’app
come Immuni sembra un piccolo prezzo da pa-
gare dopo tutti questi sacrifici.
La curva dei nuovi contagi della Corea del Sud. Fon-
te: Statista
La curva dei nuovi contagi di Singapore. Fonte: Statista
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MAGAZINEn.221 / 204 MAGGIO 2020
Vietati maxi-eventi in Germania: IFA 2020 non si terrà dal vivoIFA 2020 si farà, ma non si terrà come al solito a causa del divieto, in vigore in Germania fino al 24 ottobre 2020, di tenere eventi con oltre 5.000 partecipanti. Lo hanno annunciato gli organizzatori con una nota sul sito ufficiale, confermando un’ipotesi che ormai pareva scontata. L’evento, assicurano gli organizzatori, si terrà comunque nella forma di un “nuovo e innovativo concept”. IFA 2020 era prevista dal 4 al 9 settembre e, al momento, non si sa se tali date resteranno immutate. Gi organizzatori avevano già iniziato a lavorare su diversi scenari nel caso in cui sarebbe stato impossibile aprire le porte dell’evento. “La pianificazione è in una fase avanzata per un concept che permetterà a IFA di svolgere il suo ruolo chiave per l’intera industria come fiera globale per l’innovazione tecnologica e come importante momento di aggregazione per marchi, produttori, rivenditori e media”.
di Sergio DONATO
L a quarantena da coronavirus si dimo-
stra terreno fertile per l’aumento della
pirateria, con l’Italia che guida la non
invidiabile classifica dei Paesi che hanno
registrato un incremento dell’accesso ai
siti di film pirata.
A dare il triste annuncio è MUSO, società
britannica che ogni giorno raccoglie i dati
di miliardi di violazioni da parte della pira-
teria allo scopo aiutare le aziende di intrat-
tenimento. MUSO ha prodotto un grafico
che illustra l’aumento delle visite ai siti di
pirateria cinematografica comparando,
per il 2020, l’ultima settimana di febbraio
con l’ultima settimana di marzo. L’Italia è
davanti a tutti, con ben il 66% di incre-
mento rispetto a febbraio. Segue l’India
a poche lunghezze di distanza, 62%. Sul
podio ci finisce anche la Spagna, con un
più mite aumento del 50%.Gli altri Paesi
scendono gradualmente ma non si allon-
tanano troppo dalla Spagna, con il Regno
Unito e gli USA al 43% e al 41%. Stesso in-
cremento anche per la Francia, mentre la
Germania stampa un incremento del 36%.
Solo il 17% per la Russia. Per questi dati
bisogna però anche considerare la par-
tenza della quarantena diversa per Pae-
se, con la Russia, per esempio, che l’ha
cominciata alla fine di marzo. L’Italia è pri-
ma anche nell’aumento del traffico verso
i siti di pirateria informatica, quindi del sof-
tware. Un 41% fatto segnare dal Belpaese,
seguito dal 32% dei vicini spagnoli. La pi-
rateria televisiva è cresciuta molto meno,
rispetto a cinema e software, soprattutto
perché questo tipo di accessi è legato a
doppio filo con gli eventi sportivi, ridotti al
lumicino in questo periodo storico, se non
azzerati del tutto. Infatti, MUSO ha rilevato
un calo del 49,10% nelle visite globali ai
siti che trasmettono illegalmente le diret-
te sportive.
MERCATO L’Italia è prima in classifica tra i Paesi che accedono ai siti pirata durante l’epidemia
La quarantena spinge l’Italia alla pirateria L’aumento è del 62% per i contenuti cinematografici. Pirateria informatica aumentata del 42%
Estratto dai quotidiani onlinewww.DDAY.it
Registrazione Tribunale di Milanon. 416 del 28 settembre 2009
e
www.DMOVE.itRegistrazione Tribunale di Milano
n. 308 del’8 novembre 2017
direttore responsabileGianfranco Giardina
editingMaria Chiara Candiago
EditoreScripta Manent Servizi Editoriali srl
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Per informazionidday@dday.it
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MAGAZINE
MAGAZINE
di Paolo CENTOFANTI
Anno su anno, le connessioni fisse in
solo rame in Italia sono diminuite del
21,6% nel 2019 (-2,5 milioni di linee),
scendendo così a una percentuale del
47,2% rispetto alle altre tecnologie dispo-
nibili. A crescere di più sono le connessio-
ni interamente in fibra ottica, la cosiddetta
FTTH (Fiber to the Home), con un deciso
+43,3% anno su anno. È la fotografia rea-
lizzata da AGCOM tramite l’Osservatorio sulle Comunicazioni, che nel primo rap-
porto del 2020 fotografa una situazione sì
in forte mutamento, ma con ancora alcune
costanti: è TIM l’incontrastato leader della
telefonia fissa, con una quota di mercato
“bulgara” del 46,5% e con il più vicino in-
seguitore, Vodafone, solo al 15,3%.
Anche se gli accessi in FTTH costituisco-
no ancora solo il 6,2% del totale, le cose
stanno cambiando. Se andiamo infatti a
vedere come sono le quote di mercato in
base alla velocità delle linee contrattua-
lizzate, emergono dati e tendenze molto
interessanti. L’ex compagnia telefonica di
Stato, infatti, detiene il 50,6% di quota di
mercato nelle linee con velocità inferiori
MERCATO I dati dell’Osservatorio sulle Comunicazioni dell’AGCOM evidenziano il calo delle linee fisse
Telefonia fissa: il rame scende sotto il 50%Il mercato continua a essere dominato da TIM, che però perde terreno nella banda ultra larga
ai 30 Megabit/s, un seg-
mento comunque anco-
ra in crescita del 4,4%, in
cui rientrano sicuramen-
te tutte le linee ADSL.
Ma nei due segmenti
per velocità tra i 30 e i
100 Mbit/s e superiore
ai 100 Mbit/s, notiamo in questo grafico come
la partita sia decisamente più aperta.
TIM perde quote di mercato sull’FTTC,
grazie al maggior focus anche degli altri
operatori sulle linee fibra mista rame e
l’abbandono dell’ADSL, mentre nella fet-
ta sopra i 100 Mbit/s, dove sicuramente
sono comprese anche le linee FTTH e si
registra un’importante crescita del 36,9%
nel numero di accessi con questa velo-
cità, anche Fastweb appare più in diffi-
coltà, con un -3,4%: forse la partnership
con TIM, che vede Fastweb promuovere
l’FTTC rispetto all’FTTH di Open Fiber uti-
lizzata dagli altri operatori, non sta dando
i frutti sperati. Nel 2019 le linee fisse, in-
cluse quelle solo voce, sono diminuite di
695.000 unità, mentre sono aumentate
di 401.000 le linee fisse Internet, dati che
non includono evidentemente gli effetti
delle misure di contenimento dell’epide-
mia. Passando alla telefonia mobile, sono
solo 92.000 le SIM in più attivate nel
2019 rispetto al 2018, una crescita però
sostenuta solo dalle SIM per comunica-
zioni machine-to-machine o solo dati: le
SIM con offerte voce hanno visto un calo
del 3,8%. Il mercato della telefonia mobile
è, come si vede dai numeri, decisamen-
te più equilibrato, con WINDTRE che nel
2019 è stato il primo operatore mobile in
Italia per quota di mercato se conside-
riamo solo le SIM “human”. Iliad ha rag-
giunto nel 2019 una quota di mercato del
6,6% secondo i dati AGCOM.
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MAGAZINEn.221 / 204 MAGGIO 2020
di Gianfranco GIARDINA
Caro sindaco Sala, cari assessori Cocco e Granelli,
Ho letto con attenzione il documento “Milano 2020 - Strategia di adattamento”. Un buon punto di
partenza che, già dal sottotitolo, si dichiara aperto ai
contributi della città (ci sarà una form online a questo
scopo sin da lunedì 27 aprile, ndr). E noi proveremo a
dare il nostro.
Nel documento ci sono molte lodevoli dichiarazioni di
intenti, ma non leggo le vere strategie di implemen-
tazione per ottenere gli obiettivi preposti, che imma-
gino siano allo studio. Il tema più problematico per
una città come Milano - la mia città - è quello relativo
alla mobilità. Nella situazione in cui siamo, con ancora
molti decessi e 250 nuovi casi ieri solo nel comune
di Milano, lo scenario più concreto è che chi potrà
continuare a lavorare da casa, cercherà di farlo; chi
dovrà invece muoversi, tenderà a privilegiare l’auto o
comunque i mezzi privati. La spinta sulle biciclette a
pedalata assistita e sui monopattini è una buona idea,
ma destinata a depotenziarsi molto con la pioggia o
i primi freddi autunnali, quando molto probabilmente
il virus, sovrapposto all’influenza stagionale, tornerà a
farsi sentire forte. Quello che i cittadini auspicano è di
non andare incontro a eccessivi disincentivi all’utilizzo
della propria auto, almeno in questo frangente com-
plicato: nel piano del Comune non emerge molto da
questo punto di vista.
In questo panorama, la riapertura non può che corri-
spondere anche a un ritorno più importante all’utiliz-
zo dei mezzi pubblici, prima fra tutti la metropolitana.
Utilizzo che non potrà essere di massa, se si vogliono
rispettare i parametri di distanziamento sociale. Leg-
go da organi di stampa (non nel documento del Co-
mune) che si sta pensando a tornelli contapersone;
leggo che le persone dovrebbero spontaneamente
attenersi a cerchi di distanziamento disegnati sul pa-
vimento e occupare i sedili a posti alterni. Lo faranno
certamente se il numero delle persone sui mezzi sarà
sufficientemente basso, ma il sistema salterà se il nu-
mero dovesse superare un certo limite. Certo, si spera
che le strategie di differenziazione degli orari lavora-
tivi possa favorire un ammorbidimento degli orari di
punta. Ma si può veramente contare solo sugli auspici
dell’amministrazione e sul senso civico di tutti?
E se per i mezzi di superficie il problema sembra
meno grave (se non c’è posto a sufficienza, le perso-
ne dovrebbero stare giù, all’aperto e opportunamente
distanziate), non si capisce come si potrebbe gestire
con metodi tradizionali la situazione in metropolitana.
Filtrare in banchina il numero di persone che possono
salire su un vagone creerebbe assembramenti molto
pericolosi negli ambienti chiusi della stazione. Farlo
prima dei tornelli di ingresso, causerebbe inevitabile
MERCATO Il direttore di DDAY.it invia una lettera aperta al sindaco di Milano Beppe Sala e agli assessori alla trasformazione digitale
“Mezzi pubblici: per la fase 2 si usi la tecnologia non solo ordinanze”. Lettera al sindaco SalaNon si metta la salute dei milanesi nelle mani del buon senso. Si metta in campo la tecnologia, che c’è che può fare la differenza
assembramento prima della barriera. Contingentare
gli ingressi fuori dalle rampe di discesa in metropo-
litana significherebbe, oltre che un numero enorme
di “vigilantes”, altre file, forse lunghissime. E le file -
come osserva anche il documento del Comune - sono
da evitarsi il più possibile. Tra l’altro un filtro a monte
della stazione, o comunque prima della banchina, non
consente un vero controllo dei flussi, perché non si
può prevedere con precisione quale direzione pren-
da un viaggiatore o, nelle stazioni di interscambio,
addirittura quale linea. A seconda dei momenti delle
giornata, potrebbero trovarsi direzioni vuote e dire-
zioni eccessivamente piene, oltre i margini di sicurez-
za, senza la possibilità di far altro che bloccare anche
i viaggiatori verso le direttrici scariche.
Leggiamo di alleggerimento del peso sul trasporto
pubblico, ma non vediamo traccia nel documento del
necessario aumento delle corse, senza il quale ci sarà
comunque eccessiva pressione sui mezzi pubblici o, in
alternativa sul traffico veicolare.
Il nostro appello è quello di affidarsi alla tecnologia,
l’unica che può evitare assembramenti a qualsiasi livello
attorno o dentro i mezzi pubblici. Il documento del Co-
mune fa lodevolmente riferimento ad applicazioni per
la gestione delle code e strumenti di heat-mapping. Fa
riferimento, anche - ma solo per quello che riguarda gli
uffici comunali - all’utilizzo dell’app uFirst per la gestione
delle code virutali. Il managing director di uFirst, da noi intervistato, sul tema specifico ha detto purtroppo che
non è stato ancora pensata l’applicazione della loro app
all’utilizzo sui mezzi pubblici.
Noi pensiamo che, seppure sia complesso, l’unica cosa
che garantisca sicurezza sia un biglietto a prenotazione
da acquistare e redimere su smartphone, magari sul-
l’app di ATM se personalizzabile in tal senso; oppure,
in emergenza, anche attraverso un’app di prenotazioni
di terze parti adattata allo scopo. Una prenotazione che
indichi non solo l’orario di ingresso ma anche la stazione
di partenza e quella di arrivo. In questo modo il sistema
potrebbe ottimizzare il carico e garantire alla cittadi-
nanza di organizzarsi per evitare attese all’ingresso sui
mezzi pubblici incompatibili con le esigenze di sposta-
mento. Attese che, se non gestite, si trasformerebbero
in pochi giorni in un aumento esponenziale dell’utilizzo
delle auto private.
Ovviamente un sistema di prenotazione potrebbe ave-
re delle vie prioritarie per le categorie (non troppe, per
favore) che devono spostarsi velocemente, come il per-
sonale sanitario o quello di polizia, per esempio. Certo,
i mezzi pubblici, così facendo, sarebbero preclusi a chi
non ha uno smartphone: si tratta davvero di una spa-
ruta minoranza, un effetto collaterale tollerabile per la
tutela della salute della collettività. Fermo restando che,
proprio come accade con uFirst, le persone senza app
o senza smartphone, potrebbero prenotare il proprio bi-
glietto direttamente in stazione e riceverlo via SMS. Si usi
poi il personale che non sarebbe impiegato nel controllo
delle file e degli accessi, per controlli frequenti sulla pre-
notazione durante gli spostamenti, visto che comunque
del personale atto a controllare il mantenimento della
distanza sociale sarà comunque necessario. O meglio
ancora si vincoli il QRCode del titolo di viaggio all’orario
e alla stazione di ingresso prevista, così da utilizzare per
l’accesso condizionato, i tornelli attuali.
Queste sono poco più di spunti redatti velocemente: si
pensino metodi migliori, che sicuramente ci saranno. Ma
questa volta si vada oltre le ordinanze e la repressione
o le accorate richieste di collaborazione. Si metta in
campo davvero la tecnologia che c’è che può fare la dif-
ferenza: se non lo fa ATM, certamente la municipalizzata
dei trasporti pubblici più avanzata in Italia, non lo può
fare nessuno. Non si metta la salute dei milanesi zelanti
nelle mani del supposto buon senso e senso civico degli
altri cittadini. Sul quale nessuno, neppure lei sindaco e i
suoi assessori, potete mettere la mano sul fuoco.
Un cordiale saluto e un augurio sincero di buon lavoro,
in questo difficile frangente.
Gianfranco Giardina
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MAGAZINEn.221 / 204 MAGGIO 2020
di Paolo CENTOFANTI
È ormai chiaro che fino a quando non ci sarà un vac-
cino efficace per il coronavirus, la nostra vita sociale
cambierà profondamente. Anche quando verranno
allentate le misure messe in atto per contenere l’epide-
mia, quella che viene definita la fase 2, ci saranno al-
cune regole che dovranno essere rispettate per evitare
di rivedere una crescita esponenziale dei contagi, prima
tra tutte evitare l’assembramento di persone, specie nei
luoghi chiusi. Questo vuol dire ad esempio per i negozi
di ogni ordine e grado ingressi contingentati. Limitare
gli accessi vuol dire però automaticamente il crearsi di
code fuori, che si traduce in assembramenti, perdite di
tempo, frustrazione. La tecnologia però ci viene in aiuto
e contingentare gli accessi in modo intelligente è possi-
bile con tante soluzioni che si stanno affacciando anche
sul mercato italiano.
La coda si fa a casa o in ufficio con lo smartphoneIl primo esempio e già noto ai lettori regolari di DDay.it è
naturalmente quello di uFirst, start-up che è stata tra le
prime ad adattarsi all’emergenza Covid-19 e a proporre
una soluzione per aziende e consumatori.
L’approccio di uFirst, condiviso anche da altre start-up
come Qoda, è quello di virtualizzare la coda, in modo in-
clusivo rispetto a chi non ha uno smartphone, spostando
il tempo di attesa lontano dal punto vendita, sportello o
ufficio pubblico che sia. Il concetto è simile a quello del
classico bigliettino da staccare per il proprio turno, con
la differenza che il numero lo si prende virtualmente via
app o via web e ci si mette in fila da remoto. Quando si
avvicinerà il proprio turno, si riceverà una notifica sullo
smartphone o un SMS che avvertirà che è giunto il mo-
mento di recarsi nel luogo selezionato. La fila è una sola
e vale anche per chi decide di recarsi direttamente in
negozio: il tempo di attesa varia solo in funzione dal nu-
mero che si riceve e chi per primo prende il numero per
prima entra, che sia in fila fisicamente davanti al negozio
o che abbia aspettato altrove.
Qoda al momento è disponibile come web app, raggiun-
gibile all’indirizzo qoda.app e funziona allo stesso modo
di ufirst. In entrambi i casi è possibile prenotare il posto
anche in loco fotografando un QR Code e per chi non
è dotato né di smartphone né di cellulare, l’esercente
potrà prendere il numero per il cliente e consegnarglielo
via SMS o in forma cartacea. Il punto importante di que-
sto modello è che la coda è unica.
Lato esercente, implementare il sistema è molto sem-
plice sia per uFirst che Qoda: si fa tutto via web o app
e basta stampare e rendere ben visibile il QR Code per
le prenotazioni in loco. Occorrerà evidentemente pre-
vedere un servizio di concierge per assistere chi ha
meno dimestichezza con la tecnologia o non è dotato di
dispositivi. A questi servizi stanno aderendo sia piccoli
imprenditori (tabaccherie, panifici, farmacie, etc.) che la
grande distribuzione, con partnership importanti come
Esselunga (ufirst) e Carrefour (Qoda).
Oppure si prenota il proprio slot nella fascia oraria che si preferisceUn’altra soluzione disponibile in Italia è quella realizzata
da ROIALTY srl, del gruppo Maps spa, ZeroCoda. Deri-
vata da un servizio di prenotazioni in ambito sanitario,
ZeroCoda funziona più che come una gestione della
coda, come un vero e proprio servizio di prenotazione
del proprio ingresso in un determinato giorno e orario.
L’approccio di ZeroCoda è infatti quello di eliminare la
coda piuttosto che governarla, dando gli strumenti al-
l’esercente per organizzare la propria giornata: gli slot
possono essere ad esempio orari e andranno specificati
i posti massimi disponibili in ogni fascia. Quando è rag-
giunto il numero massimo, quello slot non sarà più pre-
notabile. L’esercente avrà la facoltà di riservare dei posti
per chi non utilizza il servizio e si presenta direttamente
in loco, su cui avranno comunque precedenza coloro
che hanno prenotato il proprio turno, oppure potranno
aiutare i clienti a prenotare uno slot sulla piattaforma
anche se non sono dotati di smartphone o cellulare.
L’obiettivo di questo approccio è quello di incentivare il
ricorso alla piattaforma al fine di eliminare le code, mo-
tivo per cui gli utenti ZeroCoda avranno la precedenza.
Soluzione simile quella scelta da Coop, i cui associati
hanno introdotto in via sperimentale in alcuni supermer-
cati il servizio Cod@Casa, realizzato in collaborazione
con Sopra Steria e SalesForce. anche in questo caso il
concetto è quello di prenotare l’ingresso su fascia oraria,
con slot che offrono però un numero limitato di ingressi.
Il servizio è disponibile via web app e consente, previa
registrazione, di prenotare da casa il proprio turno nel-
la fascia oraria preferita. Una volta ricevuta la conferma
della prenotazione, basta presentarsi sul supermercato
all’orario concordato per entrare senza fila. Alternativa-
mente, è possibile prenotare il primo turno disponibile
quando ci si trova già in prossimità del supermercato.
Coop garantisce che sarà possibile entrare anche senza
aver utilizzato il servizio Cod@Casa. Ci sono due opzio-
ni, come per il servizio ZeroCoda: chiedere al personale
MERCATO Una cosa è già certa: nella fase 2 bisognerà continuare a mantenere la distanza ed evitare gli assembramenti
Come evitare di fare lunghe code nei negoziEcco tutte le soluzioni già disponibili in Italia Per i negozi di ogni ordine e grado bisognerà contingentare gli accessi ma anche evitare le code. Le soluzioni ci sono, eccole
di prenotare per il primo turno disponibile su Cod@Casa,
oppure mettersi in fila nella coda “normale” e aspettare
pazientemente il proprio turno, sapendo però che chi ha
prenotato ha la precedenza. Cod@Casa è attualmente
in sperimentazione in selezionati supermercati di Coop Lombardia, Coop Liguria e Coop Alleanza 3.0, mentre
UniCoopFirenze ha adottato la sua soluzione indipen-
dente chiamata Salt@LaFila, ma con modalità del tutto
simili a quelle di Cod@Casa.
Quale modalità risulterà più efficiente?Quale dei due approcci fin qui visti è il migliore? La rispo-
sta non è facile, tant’è che le principali catene che hanno
adottato una soluzione di questo o quell’altro tipo, stan-
no ancora sperimentando su un numero ridotto di punti
vendita. Per il modello a prenotazione dello slot orario,
una funzione che comunque il consumatore chiede,
ci sono due ordini di problemi: il bisogno di avere una
doppia coda, per gestire chi si presenta senza l’utilizzo
del servizio da una parte, con mal di pancia dei clienti
annesso, e il fatto che una percentuale X di utenti preno-
tati probabilmente non si presenterà all’appuntamento,
creando così inefficienze nell’allocazione degli slot.
D’altro canto, come il modello a coda unica non è ap-
plicabile a tutte le realtà, visto che studi professionali o
attività come estetisti o parrucchieri, sono già abituati
a lavorare su appuntamento, viceversa piccole realtà
come panettieri, piccole botteghe di alimentari e farma-
cie potrebbero lavorare meglio con il concetto di coda,
ma avranno bisogno di personale in più per gestire chi
non si adegua (per volontà o ragioni anagrafiche) alle
modalità di accesso “digitali”, con conseguenti costi, an-
che se va detto il problema di contigentare gli accessi
rimane comunque. Inoltre la fila virtuale non si vede fuo-
ri dal negozio, ma potrebbe innervosire chi si trova ad
aver davanti 50 persone, anche quando sul posto non
c’è nessuno.
Una cosa è certa, accontentare tutti è impossibile, ma
bisognerà adattarsi se vogliamo superare questo mo-
mento difficile e ognuno dovrà rinunciare a qualcosa.
Cambiare le abitudini e iniziare a utilizzare servizi come
questi, in fondo, è poca cosa rispetto all’obiettivo finale,
debellare il virus.
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MAGAZINEn.221 / 204 MAGGIO 2020
di R. Pezzali, F. Aquini, G. Giardina
Sono ormai quattro gli smartphone Huawei sen-
za Google Mobile Services. E a questi inizia ad
aggiungersi anche Honor. Se il Mate XS, da noi
provato, è uno smartphone comunque di nicchia, per il
costo e per il form factor, prodotti come il P40 Lite o il
nuovo Honor 9X Pro sono smartphone caratterizzati da
un ottimo rapporto qualità prezzo se si guarda all’hard-
ware, smartphone “popolari”. Ma sono pure senza Goo-
gle, e non tutti oggi hanno ancora compreso a pieno
quanto pesa questa mancanza.
In assenza di una idea ben precisa sono nate in questi
mesi miti e leggende, come ad esempio che con uno
smartphone senza servizi Google non funzionano i so-
cial network, non si può avere Whatsapp o non si hanno
aggiornamenti. O, per vedere il lato totalmente opposto,
che si può usare uno smartphone privo di servizi Goo-
gle come si usano tutti gli altri smartphone, cosa questa
al momento non vera. La realtà è una via di mezzo, e
abbiamo deciso di tenere questa super “FAQ” con tut-
te le domande che possono venire in mente sui servizi
Huawei che ci sono venute in mente, che andremo ad
abbinare ad ogni prova di dispositivo privo di servizi
Google che uscirà aggiornandolo se ci dovessero es-
sere cambiamenti. Perché, è bene ricordarlo, tutto è in
evoluzione: i Huawei Mobile Services e le applicazioni
che vediamo oggi sono il lavoro di pochi mesi, circa da
settembre dello scorso anno, quando Huawei si è resa
conto che la situazione con Google dovuta alle restri-
zioni del governo Usa non si sarebbe risolta tanto ve-
locemente. E Huawei ha lavorato tanto in questi mesi,
soprattutto a livello locale.
Oggi ogni persona utilizza lo smartphone in modo di-
verso, non c’è un bianco o un nero. Ma leggendo le ri-
sposte a queste domande, e inquadrando la situazione
nel proprio stile di utilizzo, ogni persona può capire se il
MOBILE Gli smartphone Huawei senza servizi Google sono sempre di più.E a questi si aggiungono anche alcuni modelli Honor
Smartphone Huawei senza servizi GoogleEcco 50 domande e risposte utili da sapereL’assenza dei GMS ha scatenato leggende, ecco la guida con tutto quello che bisogna sapere su Huawei, Google e Mobile Services
“no Google” può diventare una soluzione interessante,
anche in ottica privacy, o se proprio è una cosa che non
fa per lui.
INSTALLAZIONE DEL DISPOSITIVOPosso migrare i dati dal mio vecchio iPhone?Si, con l’applicazione Phone Clone, disponibile sia per
iOS che per Android, basta inquadrare il codice gene-
rato dal nuovo smartphone Huawei per iniziare la fase
di trasferimento dei dati. In questo modo si possono tra-
sferire i contatti, gli appuntamenti del calendario, foto e
video. Non verranno trasferite le applicazioni.
Posso migrare i dati dal mio vecchio smartphone Android?Si, esattamente come per iOS, basta scaricare l’app sul
vecchio telefono Android per accoppiare i due disposi-
tivi al volo. La differenza è che da un telefono Android
possono essere clonate molti più dati, come i documen-
ti e le applicazioni presenti. Da segnalare che verranno
trasferite TUTTE le applicazioni presenti sul vecchio
telefono, e fatta eccezione per le app che usano e si
appoggiano ad alcuni componenti di Google come le
Mappe o l’autenticazione le applicazioni funzioneranno
senza problemi. Dalle prove che abbiamo fatto il 75%
circa delle applicazioni importate dal vecchio telefono
Android con servizi Google al nuovo telefono Huawei
senza servizi Google funzionerà.
Posso sincronizzare la mia rubrica dei contatti nel cloud?Il cloud di Huawei funziona in maniera molto simile a
iCloud di Apple: accedendo dal sito web https://cloud.
huawei.com/ col proprio account, si possono gestire da
browser i contatti, le note, le foto, le registrazioni audio,
l’archiviazione dei file e il “trova telefono”. Nella sezio-
ne relativa ai contatti è possibile importare i contatti in
formato standard vcf, che è possibile esportare da qual-
siasi altro servizio di sincronizzazione dei contatti come
quello di Google, Apple, Microsoft, ecc.
Come faccio a trasferire gli appuntamenti che avevo nel calendario?Uno dei pochi sistemi più semplici e efficaci per utilizza-
re il calendario di Google che si era abituati a consultare
sul vecchio smartphone Android è quello di utilizzare
Outlook di Microsoft come client di posta. L’app è dispo-
nibile sugli store alternativi e permette la configurazione
di un account Google tramite autenticazione web. Basta
assicurarsi di avere installato anche Chrome, il browser
di Google. Oltre alle email di Gmail, Outlook include un
calendario perfettamente sincronizzato con Google Ca-
lendar, risolvendo in un colpo solo il problema di email e
calendario per chi usa un account Google.
Esiste una funzione per ritrovare il mio dispositivo se lo perdo o se me lo rubano?Huawei dispone della funzione “Trova Telefono”, che è
accessibile tramite browser all’indirizzo cloud.huawei.
com. Per attivarlo sul dispositivo che si desidera monito-
rare, basta andare su Impostazioni > Accesso a HUAWEI
ID > Cloud e attivare “Trova telefono”. Il sistema funziona
in modo del tutto simile a quello di Apple o Google: una
volta attivata la localizzazione, nel caso di smartphone
smarrito, autenticandosi sul portale https://cloud.huawei.
com/ si potrà accedere alla cronologia degli spostamen-
ti, bloccare lo smartphone da remoto oppure cancellare
interamente il contenuto.
Come faccio a spostare tutti i preferiti di internet dal mio vecchio telefono?Purtroppo, ad oggi, se si vuole usare il browser Huawei
importare i preferiti da un browser all’altro è un’opera-
zione molto complicata, se non impossibile. Un sistema
ufficiale non esiste. Pur potendo installare Chrome, in-
fatti, non si può effettuare il login con il proprio account,
passaggio fondamentale per poter accedere ai propri
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siti preferiti. Tuttavia se al posto di usare il browser
Huawei si installa Firefox (o Edge), che funziona benis-
simo ed è un browser eccellente, si può usare Firefox
Sync, la funzione che permette la sincronizzazione tra
diversi dispositivi di cronologia, password e bookmarks.
Se si apre Firefox da Desktop e si importano in Firefox
i bookmarks di Chrome, o di Microsoft Edge, tramite
Firefox Sync tutti i preferiti verranno automaticamente
sincronizzati anche con i browser sullo smartphone.
Posso accedere alla mia posta Gmail?Accedere a Gmail è possibile senza troppi problemi tra-
mite Browser, se si vuole utilizzare la maggior parte di
funzionalità tipiche di Gmail. Oppure si può configurare
la propria Gmail direttamente sul client Email di Huawei.
Ovviamente non sarà disponibile la funzione push, ma
configurando il controllo delle email automatico ogni 15
minuti non se ne dovrebbe sentire troppo la mancanza.
I migliori client di eMail disponibili per Android funziona-
no senza alcun problema:
Blue Mail: funziona
Microsoft Outlook: funziona
Esiste un sistema di backup?Il backup di uno smartphone Huawei può essere fatto
in due modi: nel cloud, sfruttando Huawei Cloud e abi-
litando il backup dalle impostazioni. Oppure in locale,
sfruttando HiSuite, un’applicazione disponibile sia per
Windows che per Mac, con la quale sincronizzare file e
foto col computer e effettuare backup locali.
Lo smartphone verrà aggiornato?Uno smartphone Huawei con HMS riceverà ogni mese
tutti gli aggiornamenti di sicurezza come ogni smar-
tphone Android. Huawei è molto attenta nel rilascio
degli update. Sotto questo profilo non devono esserci
preoccupazioni.
L’aggiornamento del sistema operativo è una cosa
totalmente diversa, ma anche per questo non dovreb-
bero sussistere grossi problemi. La EMUI di Huawei è
basata su Android e ha una sua roadmap di sviluppo,
che prevede aggiornamenti globali come se fosse un
sistema operativo dedicato. Quando uscirà Android 11,
a settembre, verrà rilasciata la versione modificata da
Huawei EMUI 11 e verrà resa disponibili sui dispositivi
compatibili.
Devo fare qualche account particolare?Per sfruttare le funzioni di sincronizzazione nel cloud
di contatti, note, impostazioni dello smartphone, pas-
sword Wi-Fi e foto, è necessario creare uno HuaweiID,
un account unico con cui sarà possibile accedere a tutti
i servizi di Huawei, compreso AppGallery, lo store per
scaricare le applicazioni in maniera nativa e ufficiale.
C’è un’applicazione per la salute?Huawei ha la propria app dedicata alla salute. Si chiama
Huawei Health e permette di fare tutto quello che fanno
le altre con qualche piccola aggiunta. Huawei infatti ha
dalla sua il vantaggio di poter contare su diversi dispo-
sitivi indossabili a catalogo (smartwatch, sportwatch e
fitband), quindi l’app non funziona solo da collettore di
dati biometrici (come il contapassi, la frequenza cardia-
ca, il peso o il sonno), ma funziona come una completa
app di monitoraggio dell’attività fisica, in grado di moni-
torare corsa all’interno e all’esterno, passeggiata, peda-
lata e allenamento. Il tutto raccogliendo i dati anche dai
wearable di casa.
INSTALLAZIONE DELLE APPLICAZIONIPosso installare i servizi Google?Esistono diversi metodi per provare a installare in modo
“non ufficiale” i servizi di Google. Ma è una soluzione
che non suggeriamo di percorrere per diversi motivi. Il
primo è che non è autorizzato, sarebbe come installare
software senza averne la licenza d’uso e il secondo è
che i metodi non sono tutti sicuri e certificati, si corre
un rischio a livello di sicurezza. I dispositivi senza servizi
Google nascono per essere usati senza e così dovreb-
bero essere utilizzati.
Posso scaricare le app dal Play Store di Google?No, il Play Store di Google non è disponibile e non fun-
ziona neppure se viene scaricato da store “alternativi”.
Dove posso scaricare le app?AppGallery è lo store ufficiale delle applicazioni Huawei.
Il numero delle applicazioni presenti è in crescita anche
se quasi sicuramente non riuscirà mai a soddisfare le
esigenze di tutti, mancano molte applicazioni. Per sop-
perire alle mancanze esistono altri store alternativi, e tra
questi suggeriamo sicuramente Amazon AppStore, che
oltre ad avere le app di Amazon ha anche un catalogo
ricchissimo di giochi e di applicazione multimediali.
Esistono poi una serie di altri posti dove reperire app,
ma ci sentiamo di suggerirne solo uno, ApkPure. Qui è
possibile trovare il 90% delle applicazioni gratuite dispo-
nibili per Android, c’è un client completo, gestisce gli ag-
giornamenti delle app e non richiede autenticazione.
Le app sono sicure o rischio qualcosa?Le app scaricate da AppGallery, da Amazon AppStore o
da ApkPure sono sicure. I primi due sono Store ufficiali
e le app vengono controllate periodicamente. Si deve
tenere presente, tuttavia, che niente al giorno d’oggi è
sicuro al 100%, e anche Google ha avuto sul suo store
diversi problemi di malware e sicurezza.
ApkPure è un discorso a parte: è un repository di app
gestito da terzi, ma le applicazioni sono esattamente
le stesse presenti su Play Store: la verifica della firma
digitale tra i file permette di avere la certezza al 100%
che l’app non sia stata modificata rispetto a quella che
si scarica usando il Play Store di Google. Quindi anche
ApkPure è sicuro al 100%.
Si possono acquistare applicazioni?Huawei AppGallery permette l’acquisto di applicazioni
a pagamento. Al momento, però, abbiamo trovato solo
qualche applicazione “premium”, soprattutto giochi.
Le altre app disponibili, quasi la totalità, sono gratuite
con pubblicità oppure hanno in-app purchase, ovvero
la possibilità di acquistare la versione a pagamento dal-
l’app gratuita una volta installata.
Se ho già acquistato app per Android posso usarle?Se le applicazioni erano sul vecchio smartphone e sono
state migrate con Phone Clone potrebbero funzionare
nella versione completa. Nel caso di applicazioni dove
è stato fatto un acquisto in-app usando l’account di
Google non sarà possibile ripristinare l’acquisto. Caso
diverso invece per i sistemi dotati di un account diverso,
come ad esempio i giochi: se una persona ha acquistato
oggetti su Fortnite li troverà anche installando Fortnite
su un nuovo smartphone Google. E lo stesso vale anche
per le alter piattaforme svincolate dall’account Google,
con un proprio sistema di acquisto e transazione.
Posso usare in qualche modo le applicazioni di Google?Le applicazioni di Google che dispongono di versione
“web”, praticamente il 90%, possono essere utilizzata
nella loro versione mobile da browser. E può anche es-
sere creato un collegamento per accedere facilmente a
questa versione. Queste versioni hanno tuttavia alcuni
limiti: Youtube, ad esempio, non permette di caricare i
video proprio perché Google non ha previsto questa
possibilità quando si usa YouTube tramite browser.
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Le 50 cose da sapere sugli smartphone Huawei senza servizi Googlesegue Da pagina 10
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Si può ovviare alla cosa, richiedendo la versione “de-
sktop”: in questa modalità Drive, YouTube e tutte le app
hanno piene funzionalità. Ma l’interfaccia a schermo è
piccola e molto difficile da gestire, è più una soluzione
per Tablet che per Smartphone.
INTERNET E SOCIALQuali app posso usare per fare videochiamate e videoconferenze?Su questo fronte non c’è che l’imbarazzo della scelta.
Una delle app più popolari del momento, Zoom, è di-
sponibile dal sito ufficiale, esattamente come Whatsapp,
e permette comunque le chiamate video facili e veloci.
Senza considerare tutti i social che permettono di fare
dirette o chiamate video come Facebook Messenger.
Quest’ultima però, come la popolare Skype, va scaricata
dagli appstore alternativi come o ApkPure. A breve ar-
riverà anche la soluzione integrata di Huawei chiamata.
MeeTime. Ecco il dettaglio di quello che funziona e di
quello che invece al momento non funziona:
Skype: funziona
Facebook Messenger: funziona
Google Duo: non funziona
Microsoft Teams: funziona
Zoom: funziona
Cisco Webex: funziona
Ci sono giochi adatti ai ragazzi?L’offerta di giochi su AppGallery è davvero vasta. Trova-
re app dedicate ai più giovani è semplice: basta entrare
nella sezione Giochi e scrivere nella ricerca “bambini”,
oppure selezionare “Categorie” ed entrare direttamen-
te nella categoria “Bambini” per trovare decine di app
dedicate ai più piccoli.
Bisogna però fare attenzione a cosa si scarica.
Essendo un app store abbastanza recente, è normale il
prolificare di app finte, false, che tentano di ingannare
l’utente imitando lo stile o il nome di app ufficiali. Anche
se queste fake-app sono presenti su tutti gli store, biso-
gna fare particolare attenzione a quelle per i bambini,
che possono nascondere qualche sorpresa spiacevole.
Posso usare il browser Chrome? Che alternative ci sonoOvviamente Chrome non è preinstallato su uno smar-
tphone HMS, dato che si tratta del browser facente par-
te della suite Google. Ma in realtà si può tranquillamente
installare il browser Google semplicemente da APKPu-
re. Ovviamente, però, non è possibile fare login con il
proprio account Google e importare quindi preferiti e
preferenze da altre installazioni di Chrome; le funzioni
di browser sono però complete.
Le alternative sono diverse: innanzitutto il browser prein-
stallato in HMS. Si chiama semplicemente “browser” e
permette di fare login con il proprio account Huawei e
mantenere allineati preferiti, password e cronologia.
Non mancano poi altri browser, come per esempio l’ot-
timo Kiwi Browser, una specie di clone di Chrome, scari-
cabile direttamente dall’AppGallery ufficiale. Per quanto
riguarda il browser noti ecco invece cosa funziona e
cosa no.
Firefox: funziona
Microsoft Edge: funziona
Chrome: funziona ma senza login
DuckDuckGo: funziona
Brave Browser: funziona
Funziona Facebook?
L’app di Facebook non si trova all’interno dell’AppGalle-
ry ufficiale, anche se vi si può trovare una sorta di “meta-
app”: si tratta di un puntatore a una APK di Facebook
ufficiale e perfettamente funzionante (la meta-app si
chiama Facebook Official Link). Si installa e si ha così via
libera sul social di Mark Zuckerberg.
Funziona Whatsapp?Anche WhatsApp, come molte altre app importanti, è
disponibile su AppGallery tramite un link al sito ufficiale,
dove sarà possibile installare l’ultima versione della po-
polare applicazione di messaggistica.
Posso trasferire le mie chat di Whatsapp da un altro telefono Android?Come sa bene chi è già passato da iOS a Android o
viceversa, WhatsApp di base fa il backup delle chat su
iCloud nel caso di iOS e Google Drive nel caso di An-
droid. C’è però un’altra possibilità che WhatsApp stessa
cita sul proprio sito ufficiale. Consiste nel fare un backup
locale dal vecchio telefono Android, basta deseleziona-
re il backup su Google Drive, e trasferire il backup sul
nuovo smartphone Huawei. In seguito, dopo aver pulito
completamente la cronologia delle conversazioni sul
nuovo smartphone, sarà possibile ripristinare il backup
locale.
Funziona Instagram?Instagram non è disponibile, almeno per ora, sull’app
store ufficiale di Huawei. È possibile però recuperarlo
da Amazon AppStore dove si può trovare l’ultima ver-
sione perfettamente funzionante.
LE ALTERNATIVE ALLE APP DI GOOGLEPosso usare Google Maps? E che alternative ci sono?Ovviamente uno smartphone HMS non arriva con Goo-
gle Maps precaricato, come gli altri Android. Ma non è
un grosso problema caricarlo. La versione di Google
Maps disponibile su Aptoide appare essere stabile su
device HMS e funziona egregiamente.
Ovviamente non si può fare login con il proprio account
Google, ma nel caso specifico di questa app, non ci
pare un grande problema.
Ci sono in ogni caso delle ottime alternative, a partire
da Maps.me: questa app eccellente è disponibile diret-
tamente nell’AppGallery Huawei e funziona molto bene,
con tanto di possibilità di scaricare le mappe in locale,
cosa molto utile se si va in aree fuori dal roaming zero o
se comunque non si vogliono consumare dati dal piano
mobile. Sempre nel’AppGallery ufficiale c’è HERE WeGo,
molto ben funzionante. Per gli appassionati wazer c’è
anche Waze, che va scaricata dal market APKPure ed è
completamente funzionante. Per i movimenti con i mez-
zi pubblici, anche Movit funziona bene ed è disponibile
direttamente nell’AppGallery ufficiale.
Posso usare Youtube? E quali sono le alternative?Youtube, come altri servizi Google, non è disponibile
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Le 50 cose da sapere sugli smartphone Huawei senza servizi Googlesegue Da pagina 11
A sinistra Maps.me; a destra una schermata da HERE, la app di mappe che fu di Nokia.
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come app nell’AppGallery ufficiale e non è funzionante
sugli smartphone HMS. Ma il servizio Youtube è per-
fettamente funzionante nel browser. Per chi trovasse
scomodo l’utilizzo nel browser, ci sono anche soluzioni
più furbe. Un esempio è l’app Video For Youtube che si
può scaricare dallo store di Amazon: di fatto si presenta
come un’app ma non fa altro che incapsulare all’interno
dell’app la navigazione Web di YouTube. Il risultato è as-
solutamente credibile ed è anche possibile autenticarsi
con un account Google.
Ci sono anche delle app specifiche per tenere YouTube
attivo in overlay, utili per ascoltare la musica dal servizio
di streaming Google, mentre si fa dell’altro: noi abbia-
mo provato Youtube background player che si trova
nell’AppGallery e, malgrado qualche pubblicità di trop-
po funziona correttamente (anche se una volta caricata
cambia nome in Minimizer for Youtube).
Ma forse la migliore app in assoluto da questo punto di
vista è YouTube Vanced, che è anche meglio dell’app
originale di Google: funziona in background e senza
pubblicità, e funziona anche la funzione chromecast per
interfacciarsi a TV e chiavette compatibili.
Dove posso salvare le fotografie nel cloud senza Google Photo?Gli smartphone Huawei possono sincronizzare auto-
maticamente la libreria di foto con il cloud Huawei. Per
farlo basta abilitare la sincronizzazione dall’App Galleria,
oppure dalle impostazioni, all’interno del menù dedicato
a Huawei Cloud. Lo spazio occupato andrà a erodere i
5GB totali forniti gratuitamente, che saranno espandibili
successivamente tramite l’acquisto di tagli aggiuntivi da
50GB, 200GB o 2TB.
Oltre al servizio di Huawei, integrato direttamente al-
l’interno del sistema, si possono utilizzare sempre i ser-
vizi di terze parti che permettono di sincronizzare nel
cloud le foto e i video della propria galleria. Parliamo di
OneDrive di Microsoft, Dropbox, Amazon Photo oppu-
re Flickr. Servizi che permettono di avere foto e video
sincronizzate istantaneamente e che offrono, chi più chi
meno, spazio gratuito espandibile a pagamento. Tutte
le app citate sono disponibile su store di terze parti e
funzionano.
Dove posso salvare i file in cloud senza Google Drive?L’alternativa ufficiale di Huawei si chiama Huawei Drive
e offre 5GB di spazio gratuito per memorizzare qualsia-
si tipo di documento. Si può accedere sia da web che,
molto più semplicemente, dall’app Gestione File, che
gestisce sia i file locali che nel cloud. Anche nel caso
della sincronizzazione dei documenti nel cloud, oltre alla
soluzione Huawei, si possono utilizzare quelle fornite da
terzi come OneDrive di Microsoft, DropBox e Amazon
Cloud Drive. Ma ce ne sono tanti altri, sempre disponibili
sugli store di terze parti, come Box, Mega e molti altri.
C’è una alternativa a Google Play Giochi per memorizzare i progressi?Il servizio di Google che memorizza i progressi dei gio-
chi e i punteggi mettendo in competizione i giocatori tra
loro, è parte integrante del Play Store di Google. Pertan-
to è difficile trovare un’alternativa di terze parti. Almeno
fino a quando Huawei non deciderà di proporre un’al-
ternativa fatta in casa.
FRUIZIONE DEI CONTENUTIPosso ascoltare la musica in streaming?Sul sistema HMS di Huawei la musica non manca di
certo. I più popolari servizi di musica in streaming sono
disponibili senza difficoltà, senza escludere neppure
Google Music, che è possibile utilizzare tramite browser.
Per chi però preferisce l’app, ed è facile capirne il moti-
vo, si può optare per Tidal, presente nello store ufficiale
di Huawei, così come Spotify, che è presente in App-
Gallery con un link per scaricare il file apk da apkpure.
com. Sfogliando gli app store di terzi, infine, non manca
nemmeno l’alternativa americana di Apple Music. C’è
anche la soluzione Huawei, ovvero Huawei Music: i bra-
ni presenti sono praticamente gli stessi degli altri servizi
di streaming.
Ecco il dettaglio di quello che funziona e di quello che
invece al momento non funziona:
Spotify: funziona
Deezer: funziona
Tidal: funziona
Google Music: non funziona
Youtube Music: non funziona
Apple Music: funziona
C’è un’app per ascoltare i podcast?
Oltre alla già citata Spotify, che da qualche mese include
una ricca libreria di podcast, su AppGallery c’è un’ampia
scelta di app dedicate all’ascolto di podcast. Come Dee-
zer, Podcast Go, Castbox e Podcast Addict.
Posso ascoltare gli audiolibri?Per tutti quelli che amano ascoltare un audiolibro men-
tre svolgono faccende in casa o lavano la macchina, su
AppGallery di Huawei è presente Storytel, un servizio in
abbonamento che offre un ottimo assortimento di au-
diolibri in italiano. Per Audible invece, il servizio di audio-
libri in abbonamento di Amazon, è necessario rivolgersi
agli app store di terze parti.
Su Amazon AppStore è possibile scaricare senza diffi-
coltà Audible che, oltre a un’ottima scelta di audiolibri in
italiano, ha anche una buona quantità di esclusive.
C’è un’applicazione per leggere libri in formato eBook?Anche chi ama leggere sullo smarpthone o sul tablet ha
solo l’imbarazzo della scelta. Sono moltissime le app su
AppGallery che consentono di leggere gli ebook in tutti
i formati, senza dimenticarsi che Google Libri, da brow-
ser, è facilmente utilizzabile senza particolari limitazioni.
Ma se è a Kindle di Amazon che siete legati, allora non
rimane che scaricare la versione dell’applicazione su
Amazon AppStore.
Posso ascoltare la radio?La radio resta ancora l’intrattenimento preferito, so-
prattutto quando si è in mobilità. Su uno smartphone
Huawei HMS la radio si ascolta in streaming, grazie alle
tante app disponibili sull’AppGallery Huawei. Come per
esempio l’app di Radio 105 o quella di Virgin Radio.
Ma ancora più completa e comoda è l’app Radio FM: si
tratta di una directory di radio da tutto il mondo, orga-
nizzate per paese. Le emittenti italiane disponibili sono
oltre 1300. Meno bene fa l’app Radio (la prima listata cer-
cando “radio” nell’AppGallery, funzioni simili) che però
è caratterizzata da formati pubblicitari eccessivamente
invasivi. Si possono comunque caricare anche le app
ufficiali delle diverse emittenti, anche se non listate in
AppGallery. Per esempio su APKPure è facile trovare
app di tutte le principali radio, perfettamente funzionanti
(qui sotto Radio Deejay e Radio 24).
Funziona Netflix?La situazione di Netflix è un po’ ingarbugliata. Infatti non
su tutti i device HMS funzionano correttamente le build
di Netflix facilmente reperibili. Per il P40 Pro e il P40 Lite
Netflix funziona senza alcun problema scaricandolo da
ApkPure, mentre su un Mate 30 l’unica versione stabile
e funzionante che abbiamo trovato, non è reperibile su
un market ma solo a questo link. Va detto che que-
sta versione, però, non riceve stream in HD ma solo in
standard definition perché manca la certificazione dei
sistemi di protezione DRM. Al momento sui dispositivi
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Le 50 cose da sapere sugli smartphone Huawei senza servizi Googlesegue Da pagina 12
A sinistra Waze, a destra un itinerario con i mezzi pubblici calcolato con Movit.
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Huawei i servizi in streaming vanno in SD e non in alta
definizione.
Funziona Amazon Prime Video?Sì, funziona bene e va scaricata dall’appstore Ama-
zon.
Funziona Disney+?L’app di Disney+ non è disponibile nello store ufficiale
Huawei, ma si trova correntemente in altri store. L’ab-
biamo scaricata da Aptoide e funziona correttamente.
Posso usare RaiPlay? E Mediaset Play?RaiPlay funziona perfettamente ed è direttamente
disponibile nell’appGallery ufficiale. Mediaset Play,
come app, invece non è compatibile, ma può essere
fruita con successo via Web.
Funziona Chromecast?Chromecast è una piattaforma che fa parte del siste-
ma Google e non dovrebbe funzionare senza i Google
Play Services, tuttavia alcune applicazioni come You-
tube Vanced gestiscono anche Chromecast.
BANCHE E PAGAMENTIFunzionano le app della banca?Sono molte le app bancarie disponibili dopo il
download dagli app store alternativi. Alcune di queste
sono presenti anche su AppGallery con un link che ri-
porta all’home banking in versione web, per altre biso-
gna rivolgersi al consueto file apk da installare. Fatto
questo, l’operatività sarà completa. Non è sicuro che
tutte le app funzionino, ma per quelle che noi abbiamo
provato non abbiamo avuto problemi di sorta.
Se le banche hanno poi già implementato all’interno
dell’applicazione il protocollo PSD2 voluto dall’Unio-
ne Europea da una sola app delle banche è possibile
controllare i conti presenti su altre banche. Utilizzando
ad esempio l’app di Banca Sella, che funziona, trami-
te PSD2 si possono controllare anche gli altri conti di
altre banche come Unicredit. Non è ancora attiva la
parte dispositiva, ma arriverà a breve.
Tra quelli testati e risultati funzionanti sono i seguenti:
CheBanca - funziona
Intesa - non funziona
BNL - funziona
Fineco - funziona
Webank - funziona
Widiba - funziona
Mediolanum - funziona
MPS - funziona
In qualche caso, come per l’app di Sella, viene visua-
lizzato un messaggio di errore per la mancanza dei
Google Play Services, ma poi si riesce a utilizzare l’app
senza grosse difficoltà. Intesa invece, utilizzando l’apk
da AppToide, smette immediatamente di funzionare.
Posso memorizzare biglietti e carte fedeltà sullo smartphone?Chi è abituato a utilizzare un wallet digitale sul proprio
smartphone può stare tranquillo: anche se ancora pri-
vo della funzione Huawei Pay, che permette di memo-
rizzare una carta di credito e pagare direttamente con
lo smartphone, Huawei wallet permette di memorizza-
re al proprio interno biglietti e carte fedeltà. L’app non
è preinstallata e va aggiunta tramite App gallery.
In alternativa è disponibile su App gallery anche la po-
polare Stocard che, oltre a memorizzare le carte fedel-
tà, propone le offerte dei principali negozi della zona.
Si può accedere alle app della banca via web?Se la banca mette a disposizione un home banking
in versione web anche da smartphone, allora non c’è
alcun motivo per cui non debba funzionare su uno
smartphone con sistema HMS. Anzi, alcune di queste,
come Unicredit, Sella o Hype, sono disponibili diretta-
mente su App Gallery con un link alla versione web.
UNO SGUARDO AL FUTUROCosa può cambiare in futuro?La situazione sicuramente è destinata a migliorare,
con un numero di applicazioni sempre maggiori pub-
blicate su AppGallery. Che deve necessariamente es-
sere migliorato. Potrebbero arrivare anche le app di
Google: nessuno impedisce a Google di pubblicare le
applicazioni del suo ecosistema, come Google Drive o
Google Maps, su uno store diverso dal suo. Lo ha già
fatto per iOS, potrebbe farlo anche per Huawei. Trat-
tandosi di app gratuite non si andrebbe a infrangere
alcun divieto da parte dell’Amministrazione Usa.
La cosa certa è che Huawei andrà comunque avanti
con la sua strategia, che è molto simile a quella di Ap-
ple: costruire un ecosistema di servizi legati al suo ac-
count, al HuaweiID, e non all’account di Google come
invece accade sugli altri smartphone Android. Alcuni
pezzi già ci sono, come il Cloud, il Backup, il Trova
Telefono, altri devono ancora arrivare. Come abbiamo
scritto tutto questo è il frutto del lavoro di soli 6 mesi.
Quali saranno i principali limiti che incontrerò?Il vero limite di questa soluzione è l’attesa per le app:
si deve aspettare che vengano caricate. Il 70% delle
applicazioni, se scaricate da ApkPure, ma su ApkPure
non vengono caricate subito. Esce un nuovo gadget
connesso? C’è l’app per iOS e per PlayStore, ma non
si trova subito su ApkPure o su AppGallery.
Esce una nuova app, come ad esempio quella per i
pagamenti della pubblica amministrazione uscita nei
giorni scorsi? C’è l’app per iOS e per PlayStore, ma
non c’è subito per Huawei. Applicazione che è anche
compatibile, l’abbiamo provata, ma gli sviluppatori
non hanno pensato di caricarla anche su AppGallery.
E’ un meccanismo che si deve oliare: mentre con il
Play Store si ha la certezza che ogni applicazione in
uscita, sia un servizio o l’app per gestire un prodotto,
sarà presente, questa certezza con AppGallery ancora
non c’è. Ma le cose stanno cambiando: AllertaLOM è
disponibile da oggi, e le app istituzionali che usciran-
no nell’ambito dell’emergenza Covid saranno a breve
disponibile.
Lo posso comprare senza problemi?La risposta a questa domanda crediamo di averla data
con tutte le domande poste sopra. Ogni persona,
come abbiamo detto, usa lo smartphone in modo di-
verso. C’è chi potrebbe considerare limitante la neces-
sità di cercare le app in diversi store, o di non essere
certo che il 100% delle app funzionino, e c’è chi invece
potrebbe usare lo smartphone senza alcun problema
perché l’utilizzo che ne fa non è così intenso.
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MAGAZINEn.221 / 204 MAGGIO 2020
di Roberto PEZZALI
M otorola punta in alto, e torna nel segmento pre-
mium. Aveva sfondato il muro dei 1000 euro
con Motorola RAZR, ma era uno smartphone
particolare con lo schermo pieghevole, abbatte nuova-
mente la barriera dei 1000 con Edge+, 1.199 euro per la
precisione. Tanto, tantissimo per un brand che ha una
storia gloriosa ma negli ultimi anni ha lavorato solo nel
segmento fascia media.
Motorola edge+ ha però tutto quello che oggi si chiede
ad uno smartphone di fascia alta: è compatibile con le
reti 5G e, grazie alla progettazione americana, è com-
patibile anche con il millimiter Wave.
Edge+ si basa sul processore Qualcomm Snapdragon
865, ha 12 GB di memoria DDR5 e 256GB di memoria
UFS 3.0. La parte modem (single SIM) è quella proba-
bilmente più curata, la progettazione degli smartphone
Motorola viene ancora fatta nei laboratori di Chicago e
questo ha spinto l’azienda a creare uno smartphone 5G
compatibile sia con le reti sub6 sia con le reti mmWave.
Lo schermo è da 6.7”, un AMOLED FHD+ con frequenza
di refresh che raggiunge i 90 Hz, e il nome Edge deriva
proprio dallo schermo che oltre ad essere un tirato 21:9
è anche curvato ai bordi.
Motorola parla di larghezza contenuta, uno smartphone
21:9 curvo ai bordi è necessariamente molto stretto, e
questo dovrebbe agevolare l’ergonomia. Detestiamo
gli schermi curvi, ma secondo l’azienda grazie a Edge
Touch lo schermo curvo diventa un modo nuovo per
interagire con il dispositivo: il passaggio tra un’app e
un’altra e la gestione delle notifiche vengono gestite
toccando i bordi. Bordi che funzionano anche come
sistema di notifica: a telefono spento si illuminano per
mostrare lo stato di carica della batteria, le chiamate in
arrivo, le sveglie e appunto le notifiche.
Motorola ha pure pensato di usare il bordo superio-
re per aggiungere pulsanti da gioco touch usando lo
smartphone ruotato di 90°, un po’ come i trigger dei
gamepad da gioco.
Dovrebbe essere molto curato l’audio: si parla di “tec-
nologia fornita da Waves, premiata con il Technical
GRAMMY Award, nata in studi di registrazione e utiliz-
zata da ingegneri del suono, produttori di musica e di
film” e promette di “portare le performance acustiche
di livello professionale direttamente sugli altoparlanti di
uno smartphone, come mai fatto prima d’ora”. Una pro-
va dirà quanto è fumo e quanto è arrosto.
Il reparto fotocamere è composto da tre sensori: il
principale è il 108 megapixel Samsung, obiettivo f/1.8,
0.8μm per pixel, pixel binning a 1.6um e 1/1.33” di dimen-
sioni. Lo stesso sensore usato sul Mi 10 Pro Xiaomi, un
sensore stabilizzato, che riprende anche video a 6K
e 30 fps: Motorola ha probabilmente rinunciato all’8K
per aggiungere un po’ di stabilizzazione elettronica. Il
secondo obiettivo è il super wide con macro, 16 mega-
pixel (f/2.2, 1.0μm): l’angolo di campo è di 117°, dovrebbe
essere un 15mm circa. C’è poi il tele, 8 megapixel, f/2.4,
1.0μm come pixel size e 85 mm equivalenti, un 3x. Oltre
al 6K, sul fronte video, Motorola promette una stabiliz-
zazione impeccabile e una modalità video portrait che
aggiunge l’effetto bokeh ai video. Grandissima la bat-
teria, 5000 mAh, con ricarica wireless e ricarica rapida
a filo. Tra le altre caratteristiche si segnalano il Wi-fi 6,
la presenza del jack audio, la camera frontale da 25MP
(f/2.0, 0.9μm) anche lei quad pixel e il sensore Time of
Flight, sul retro.Le dimensioni sono pari a 161.1 x 71.4 x
9.6mm, il peso di 200 grammi; la scocca, vetro e allu-
minio, è waterproof ma da nessuna parte si cita l’IP68,
solo un generico “Water Repellent Design”.
Il sistema operativo è Android 10 stock arricchita con
MY UX, che assicura una minima personalizzazione
senza però stravolgere l’esperienza di Android. Moto-
rola edge+ sarà disponibile in Italia da maggio a partire
da 1.199,99 € in due colorazioni.
C’è anche la versione “light” da 699 euroPer chi si è spaventato di fronte al prezzo del flagship
Motorola riserva una versione non “+”: Motorola edge
è un dispositivo 5G sempre con schermo da 6.7” ma
con processore Snapdragon 765 e modem sempre
5G, ma sub6 (niente mmWave). Più piccola la batte-
ria, 4500 mAh, e ridimensionato il segmento imaging,
con un obiettivo principale da 64 MP, un sensore ul-
tra-grandangolare da 16MP e un teleobiettivo da 8MP.
Il wide è lo stesso del “+”, il tele è invece un 2x. Moto-
rola edge sarà disponibile in Italia sempre da maggio,
ma costerà 699,99 €.
MOBILE Motorola annuncia il top di gamma Edge+, sarà 5G e ha tutto quello che ci si aspetta da un telefono di altissimo livello
Motorola Edge+ ha tutto, ma costa 1.199 euroMotorola punta in alto e torna nel segmento premium. Edge+ non solo è compatibile 5G ma anche con il millimiter Wave
Sopra e a sinistra, alcuni scatti che ci ha fornito l’azien-da.
clicca per l’ingrandimento
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MAGAZINEn.221 / 204 MAGGIO 2020
di Sergio DONATO
U n’app per dispositivi mobili che ag-
grega le radio da ascoltare non è
una novità assoluta, ma il 28 apri-
le è nata Radioplayer Italia: voluta dalla
società che raccoglie la quasi totalità del
sistema radiofonico italiano, e che di fat-
to diventa la prima app “certificata” dagli
editori radiofonici. La società è la PER,
Player Editori Radio, che aggrega Rai
Radio, i grandi network privati e le as-
sociazioni dell’emittenza locale, e che
ha scelto Radioplayer Worldwide per
la realizzazione tecnica della prima app
gestita dalle emittenti radio italiane.
Radioplayer non richiede registrazione
all’utente che la installa, mentre, per
quanto riguarda la privacy, rileva ciò che
viene ascoltato per migliorare
l’esperienza d’uso e per con-
dividere i dati di ascolto anoni-
mizzati. Promette però di non
condividere o vendere alcun
dato a terze parti. Diverso è il
caso delle singole stazioni che
potrebbero avere regolamenti
privacy diversi. L’app è gratui-
ta ed è già disponibile per Android e
iOS. Radioplayer è un’app semplice che
accoglie l’utente con una pagina quasi
bianca perché la scheda “Live” si popo-
lerà solo dopo che l’utente avrà iniziato
a indicare le sue stazioni preferite trova-
te con la scheda “Cerca”. Esiste anche
la possibilità di ascoltare i “Podcast”
delle radio. L’app sarà estesa progres-
sivamente a tutti i dispositivi connessi e
piattaforme smart-speaker come Amazon
Echo, Sonos, Bose, Google Assistant. Lo
streaming dall’app agli altoparlanti Goo-
gle Home è già funzionante, così come
quelle verso Chromecast Video.Inoltre,
Radioplayer verrà integrata anche in Ap-
ple CarPlay, Android Auto, Airplay, Apple
Watch, Android Wear, e con tutte le inter-
facce radio accessibili da cruscotti touch
e a comando vocale.
MOBILE L’ultimo nato della serie P40 è la versione ulteriormente alleggerita del P40 Lite
Huawei P40 Lite E ora è ufficiale Tripla fotocamera con AI a 199 euroOltre alla tripla fotocamera, ha display da 6.39 pollici, interfaccia EMUI 9.1. Arriverà a fine mese
di Gaetano MERO
S i allarga la famiglia di smartphone
Huawei della serie P40 con il nuovo
P40 Lite E, versione ulteriormente
alleggerita del P40 Lite lanciato circa un
mese fa. Il dispositivo si presenta con un
generoso display IPS LCD da 6,39 polli-
ci con risoluzione HD+ di 1560x720, con
rapporto corpo-schermo del 90% e inter-
rotto da un foro in alto a sinistra di soli 4,5
mm per ospitare la fotocamera frontale. Il
telaio presenta una finitura riflettente che
genera un particolare gioco di luci con-
ferendo allo smartphone un look curato.
Grande attenzione al comparto multime-
diale: Huawei P40 Lite E vanta una tripla
fotocamera posteriore che include un
sensore principale da 48MP con obiettivo
ad ampia apertura f/1,8, una fotocamera
ultra grandangolare da 8MP che supporta
un campo visivo di 120 gradi e una depth
assist camera da 2MP per simulare la pro-
fondità di campo. Il dispositivo è inoltre
dotato della modalità AI Scene Recogni-
tion, che consente alle fotocamere poste-
MOBILE Gli editori radiofonici hanno presentato la prima app che aggrega le radio nazionali
Radioplayer Italia, l’app che aggrega le radio italiane La prima app certificata dagli editori radiofoniciL’app è gestita dalle emittenti italiane, si estenderà anche agli smart-speaker e all’automotive
riori di riconoscere oltre 500 scenari e di
applicare miglioramenti personalizzati in
tempo reale. Presente l’acquisizione vi-
deo a 480 fps che consentirà agli utenti
di realizzare video in slow-motion a 1/16
della velocità normale. Anche la fotoca-
mera frontale da 8MP è integra l’AI e sup-
porta la funzionalità Face Unlock 2.0 per
lo sblocco rapido del dispositivo. Il cuore
del P40 Lite E è costituito dal processo-
re Kirin 710F corredato da 4GB di RAM
e 64GB dedicati all’archiviazione interna
espandibili con microSD fino a 512GB. A
bordo presente inoltre una batteria da
4000 mAh con supporto alla tecnologia
di risparmio energetico potenziata da in-
telligenza artificiale proprietaria.
Da segnalare la presenza del lettore
portaschede con 3 slot di cui due dedi-
cati alle SIM e uno per l’espansione della
memoria, il lettore di impronte posto sul
retro e il jack da 3,5mm. L’interfaccia con
cui P40 Lite E debutterà sul mercato è
l’EMUI nella versione 9.1, ricordiamo che
il dispositivo non integra i servizi Google
ma utilizza i Huawei Mobile Services
(HMS) e include HUAWEI AppGallery,
lo store di applicazioni proprietario del-
l’azienda Huawei P40 Lite E sarà ven-
duto nelle colorazioni Midnight Black e
Aurora Blue al prezzo di 199 euro a par-
tire da fine aprile. In omaggio 15GB da
utilizzare per archiviare foto, video e file
personali su Huawei Cloud, e un mese di
VIP Membership da utilizzare per il nuovo
servizio Huawei Music.
LG Velvet ufficiale. Il futuro ha un sapore un po’ retroLG annuncia il nuovo Velvet e la nuova design line degli smartphone di fascia medio alta. Restano alcuni elementi del passato, come il tanto odiato “gotch” di Roberto PEZZALI
LG Velvet è lo smartphone Dual Screen che secondo LG apre un nuovo capitolo nella storia degli smartphone dell’azienda coreana. LG ha rivisto interamente il design: si passa ai bordi curvi e alle cor-nici sottili, accompagnati sul retro da scocche cangianti e da una disposizione delle fotocamere a goccia. Presenti alcuni richiami al passato: il notch, o gotch, ricorda un po’ i canoni stilistici degli anni scorsi. Avremmo preferito avere una soluzione con la camera in-tegrata nel display, e un secondo display privo di orpelli. LG Vel-vet non sarà piccolo: 6.8” FHD+, 20.5:9. La camera principale è un sensore da 48 MP, affiancata da un ultra-grandangolo da 8MP e da un sensore di profondità da 5MP. La fotocamera frontale è una 16 MP. Anche LG Velvet, come V60, pos-siede la funzione Voice Bokeh e la modalità ASMR, con due microfo-ni integrati. LG ha puntato sul più economico Snapdragon 765 Qual-comm, affiancato da un modem Snapdragon X52 5G di seconda generazione, assistito da 6 GB di RAM. Lo storage integrato è di 128 GB espandibili fino a 2 TB con mi-croSD, il sensore fingerprint è sotto il display, la batteria da 4300 mAh e non mancano la resistenza ad acqua a polvere IP68, lo speaker stereo e il jack audio. LG Velvet sarà disponibile in Corea del Sud a partire da maggio e a seguire in Europa, compresa l’Italia.
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MAGAZINEn.221 / 204 MAGGIO 2020
di Sergio DONATO
I l nome è semplicissimo, anche se non è dei migliori
per i criteri di ricerca: si chiama “IO”, ed è l’app che ha
l’obiettivo di facilitare l’accesso dei cittadini ai servizi
digitali della Pubblica Amministrazione, compresi i diritti
garantiti dagli stessi servizi. In questi giorni, l’app è en-
trata nella fase open beta ed è disponibile per Android
e iOS. L’abbiamo provata. IO è nata insieme al proget-
to omonimo raggiungibile al sito io.italia.it. L’app è stata
ideata e sviluppata dal Team per la Trasformazione Digi-
tale, e oggi è gestita da PagoPA S.p.A.
Chi c’è dietro IODue righe velocissime per affrescare la storia dietro a IO.
Il Team per la Trasformazione Digitale è nato a settembre
del 2016 con lo scopo di semplificare i servizi per i citta-
dini attraverso l’utilizzo di prodotti digitali. Oggi, il Team
e i suoi progetti sono confluiti nei lavori del Ministro per
l’Innovazione Tecnologia e la Digitalizzazione.
PagoPA, che invece gestisce l’app IO, è una società per
azioni partecipata interamente dallo Stato italiano, nata
nell’estate del 2019 dopo tre anni di lavoro. È stata pen-
sata per diffondere i pagamenti digitali dei servizi pubbli-
ci all’interno di un’unica piattaforma.
Un’app semplice, ma serve uno SPID o una CIEIO è un progetto concepito come open source, basata
su processi di sviluppo aperti e collaborativi. Tutto il codi-
ce delle componenti, tutta la documentazione, le discus-
sioni e gli strumenti di sviluppo sono pubblici così come
l’interfaccia progettata con i kit proposti da designers.
italia.it. L’utilizzo dell’app è molto semplice. È scaricabile
per Android e iOS sui rispettivi store, ma manca ancora
per i servizi HMS di Huawei: non è presente nemmeno
su ApkPure. A causa della scelta del nome (che sta per
“Input/Output”), la ricerca di “IO” potrebbe non puntare
all’app. È consigliabile aggiungere ai termini di ricerca
“app servizi pubblici” oppure cercare attraverso lo svi-
luppatore indicato negli store, quindi “PagoPA”.
Una volta aperta, l’app ci chiede se vogliamo accede-
re a essa tramite un profilo SPID (il Sistema Pubblico di
APP WORLD IO, l’app dei servizi pubblici è entrata in versione open-beta. Ne abbiamo approfittato per capire come funziona
IO, l’app italiana dei servizi pubblici. L’abbiamo provataEcco i vantaggi che dà un’app che accentra i servizi e i pagamenti delle amministrazioni locali e nazionali sui dispositivi mobili
Identità Digitale) o una CIE, ovvero
una Carta d’Identità Elettronica. Nel
caso della CIE, ci viene poi chiesto il
pin della carta consegnatoci dall’uffi-
cio anagrafe del nostro comune. Per
lo SPID, invece, dobbiamo indicare
l’”identity provider” a cui ci siamo re-
gistrati per la gestione del suo profilo.
Il successivo inserimento di utente
e password assegnati, con i relativi
passi di verifica, daranno l’accesso
all’app vera e propria. O ci mostra an-
che il regolamento sulla privacy, a cui
non potevamo non dare una scorsa.
Nulla di strano (ovviamente). Segnalia-
mo che IO dichiara di usare strumenti di tracciamento
automatico per raccogliere dati relativi alle azioni com-
piute all’interno dell’app e al dispositivo utilizzato. I dati
vengono usati solo per finalità di assistenza e statistica,
e sono “anonimizzati”. IO non raccoglie informazioni bio-
metriche dell’utilizzatore, ma può solo sapere se il citta-
dino sta usando o meno un sistema di riconoscimento
biometrico.
Un collettore di notifiche dalle Amministrazioni PubblicheL’app si divide in quattro schede principali: Messaggi,
Pagamenti, Servizi e Profilo. Si viene accolti dalla sche-
da Messaggi, nella quale sono mostrati quelli ricevuti, in
scadenza e gli archiviati. In questa scheda confluiranno
tutte le comunicazioni delle amministrazioni pubbliche.
È quindi necessario indicare i Servizi ai quali ci si vuole
“iscrivere”. Sono divisi in Locali e Nazionali e, al momen-
to, identificano IO più che altro come un’app “passiva”
che accoglie i messaggi delle amministrazioni, invece
di proporsi come strumento di input per richiedere un
servizio particolare. Tra i servizi Nazionali, per adesso è
presente solo l’ACI; per la quale è possibile ricevere un
promemoria sulla scadenza del Bollo Auto e procedere
al suo pagamento, oppure una notifica sulla disponibilità
del certificato di proprietà digitale, o un riepilogo dei vei-
coli intestati all’utente e registrati al PRA.
Tra i servizi Locali ci sono solo poche amministrazioni
comunali tra cui scegliere da un menu a scorrimento
con campo di ricerca. Ne abbiamo contate solo undici.
Naturalmente, i servizi offerti sono diversi a seconda di
ciò che la relativa amministrazione comunale ha scelto
di implementare all’interno dell’app. Si va da avvisi per
la scadenza della TARI a quello per il pagamento del-
la mensa scolastica. Ma ci sono anche notifiche per le
sanzioni al codice della strada, attraverso le quali è poi
possibile pagare anche la multa, e avvisi per la scadenza
della carta d’identità.
Per qualunque di questi servizi, non è però possibile usa-
re l’app per dare il via a una procedura di registrazione
o ottenimento del servizio stesso. Per esempio, non è
possibile iscrivere un figlio a scuola attraverso IO, oppu-
re non è possibile chiedere un certificato di residenza
all’anagrafe del proprio Comune. È chiaro che si tratta
di servizi che richiederebbero una digitalizzazione e una
verifica dei documenti che ancora non esiste nel nostro
Paese, ma è importante evidenziare che, per adesso, IO
ha come obiettivo principale quello di accentrare le noti-
fiche delle Amministrazioni ed, eventualmente, facilitare
il pagamento dei servizi.
La scheda Pagamenti serve appunto a questo. È possibi-
le aggiungere un metodo di pagamento, che per l’open
beta è limitato alla Carta di credito con una commissione
massima di 1,50 euro. A breve dovrebbero arrivare an-
che Satispay, Postepay, Bancomat Pay e PayPal. A guar-
dare la roadmap di IO, i nuovi metodi sono previsti pro-
prio ad aprile. La scheda Profilo accoglie le informazioni
e le eventuali modifiche che il cittadino vuole apportare
al proprio account. Alcune sono pilotate dallo SPID o
dalla CIE e non possono essere cambiate. Servono solo
da promemoria. Altre impostazioni consentono piccole
personalizzazioni, come l’abilitazione del riconoscimen-
to biometrico, o l’inoltro dei messaggi dell’app anche via
mail. Per quanto riguarda la sicurezza e il riconoscimento
biometrico, indipendentemente da ciò che si sta facen-
do, dopo 30 secondi di inattività, IO chiede di nuovo
l’inserimento del pin di sblocco per accedere a essa, o
l’uso dello strumento biometrico se questo è stato scelto
dall’utente come metodo di accesso.
La strada è quella giustaIO quindi si presenta come un’app semplice che ha an-
cora pochi Comuni tra cui scegliere - ma considerando
lo stato di open beta è più che normale – e che sembra
concentrarsi più sull’”output” che sull’”input” del proprio
nome. È un collettore di messaggi ed eventuali pagamenti
di servizi. Sarebbe bello, un domani, non dover accede-
re al sito dell’ACI per inserire i dati della scadenza della
propria patente per ottenere un promemoria. Dovrebbe
pensarci IO, affinché si limiti non solo lo spostamento fisi-
co dei cittadini nei vari uffici ma anche quello virtuale nei
vari siti delle amministrazioni. A giudicare dai prossimi
aggiornamenti, la strada finale dovrebbe essere proprio
questa, o comunque un sentiero con più diramazioni. In
futuro, IO mira infatti a “ottenere certificati, notifiche e atti
pubblici, da conservare nel proprio smartphone” dando
anche la possibilità di avere a disposizione i propri docu-
menti personali in formato digitale, per esempio il codice
fiscale, la patente o la tessera sanitaria.
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MAGAZINEn.221 / 204 MAGGIO 2020
di Sergio DONATO
F acebook ha deciso di potenziare le
sue piattaforme di messagistica lan-
ciando Messenger Rooms, che potrà
ospitare fino a 50 persone nella stessa
stanza, e dando a WhatsApp la capacità
di includere fino a 8 persone nelle chia-
mate e video di gruppo. In un solo colpo,
Facebook fa compiere un salto importan-
te a Messenger e WhatsApp.
Si parte da Messenger Rooms, un ser-
vizio di videochiamate di gruppo che
consente di creare una Stanza virtuale
direttamente da Messenger o Face-
book e invitare chiunque a unirsi, anche
chi non possiede un account Facebook.
Sarà sufficiente aprire una Stanza su
Facebook e condividerla attraverso la
propria bacheca. Le Stanze create non
hanno limiti di tempo e presto potran-
no ospitare fino a 50 persone. Inoltre,
SOCIAL MEDIA E WEB Facebook fa compiere un salto importante a Messenger e WhatsApp
WhatsApp apre alle chat fino a 8 partecipantiSu Messenger ci sarà spazio fino a 50 personeLe dirette e le videochiamate sono più che raddoppiate nei Paesi colpiti dalla pandemia
se amici o i membri di un
gruppo aprono delle Stanze
è possibile accedere sia da
smartphone sia dal pc, sen-
za scaricare app o plug-in.
La persona che crea la stan-
za può scegliere chi può ve-
derla e chi può partecipare
e può rimuovere gli ospiti in
qualsiasi momento. Come
per altri contenuti, sarà possibile segna-
lare una Stanza o se si ritiene che abbia
violato gli standard della comunità di
Facebook. Queste segnalazione non in-
cluderanno l’audio o il video della Stan-
za. WhatsApp invece potrà accogliere
fino a 8 persone, sia che si tratti di chia-
mate semplici sia che la comunicazione
con altri utenti avvenga tramite video-
chiamata. Viene garantita la crittogra-
fia end-to-end che impedisce a coloro
che non sono nel gruppo di ascoltare o
leggere le conversazioni private, da cui
viene esclusa la stessa WhatsApp.
Messenger Rooms sta iniziando il suo
test in Italia già in questi giorni, con del-
le funzionalità aggiuntive (come il limite
massimo delle 50 persone in chat) che
saranno integrate nel corso dei prossimi
mesi. Per gli otto partecipanti di What-
sApp, invece Facebook non indica alcu-
na data, nemmeno generica.
Paghi il ristorante in anticipo per aiutare la riapertura. Ecco i “dining bond” di The ForkAccedendo a The Fork è possibile comprare del credito da spendere quando riaprirà il nostro ristorante preferito. Un modo facile e veloce di finanziare i ristoratori colpiti dalla crisi di Pasquale AGIZZA
Comprare ora un voucher prepa-gato, che garantirà un credito da sfruttare appena riapriranno i risto-ranti. È questa l’operazione “Sal-viamo i ristoranti” lanciata da The Fork, la piattaforma di Tripadvisor dedicata alla prenotazione online nei ristoranti. Il funzionamento è semplice e ricorda il meccanismo delle obbligazioni finanziarie. Si sceglie il ristorante preferito dalla sezione dedicata sulla pagina ini-ziale dell’applicazione, si acquista un voucher prepagato della cifra che vogliamo e questa cifra diven-terà credito da spendere in futuro, quando il ristorante riprenderà a lavorare. Il vantaggio? Il ristorante prende già i soldi del futuro con-sumo, permettendo all’attività di avere un primo gettito di liquidità.The Fork precisa che la somma finanziata sarà accreditata intera-mente al ristoratore, senza com-missioni per l’applicazione o gli intermediari finanziari. “L’obiettivo ha dichiarato Almir Ambeskovic, dirigente della piattaforma - è duplice: da un lato i ristoranti rie-scono a raccogliere liquidità in at-tesa di riaprire, dall’altra gli utenti possono sostenere i propri locali del cuore, con un pensiero rivolto al futuro”.
di Roberto PEZZALI
Google Cloud ha annunciato di aver
reso Google Meet gratis. Come
Gmail, come Google Drive, come
le altre soluzioni di Google che tutti usa-
no senza necessariamente pagare un ac-
count aziendale.
L’accesso alla soluzione premium di video-
conferenza era fino ad oggi vincolata ad
un abbonamento G Suite Business o ad
un account educational ma Google, per
recuperare strada su Meet che in questo
periodo di pandemia ha fatto registrare
numeri interessanti, ha scelto di aprirla a
tutti. A partire da maggio chiunque potrà
accedere a Google Meet per organizzare
una conferenza, e avrà accesso a quasi
tutte le funzionalità della versione a paga-
mento. Si potrà condividere lo schermo,
ci saranno i sottotitoli in tempo reale e il
sistema di machine learning che filtra i
rumori indesiderati. Mancheranno alcune
cose, come ad esempio la possibilità di
registrare una conferenza, e ci sarà qual-
che limite: i meeting non potranno durare
più di un’ora. Limite che non sarà presen-
te durante la pandemia, ma che verrà
impostato a partire dal
30 di settembre. Fino
ad allora non ci saran-
no limiti di durata.
Per accedere a Goo-
gle Meet servirà solo
un account Google,
e i potranno usare o
il browser (per Chro-
me non serve alcun
plugin) oppure le applicazioni per iOS e
Android. Cosa cambia per chi è già clien-
te G Suite? Assolutamente nulla, avran-
no sempre accesso a Google Meet con
qualche funzionalità in più, come appun-
to la registrazione, e lo stesso vale per
gli utenti che hanno accesso a G Suite
per l’Educazione. Le aziende che vo-
gliono usare Meet con qualche opzione
avanzata, come la possibilità di aggiun-
gere un numero di telefono Voip per far
partecipare le persone tramite telefono,
possono aderire ad un nuovo piano G
Suite “light” chiamata Essentials, che in-
clude oltre a Meet anche Google Drive,
Google Docs e Google Slides per creare
contenuti. Perché scegliere Google Meet
SOCIAL MEDIA E WEB Google Meet è gratis per tutti, come Gmail: arriverà a inizio maggio
Google Meet è gratis per tutti. Per sempreInizialmente non avrà limitazioni nella durata dei meeting. Google: nessun dato venduto a terzi
e non Zoom o Jitsi? Secondo Google la
sua soluzione è più sicura e protetta. Ol-
tre ai controlli di moderazione completi,
Google non permette l’accesso ai mee-
ting ad utenti anonimi, meeting che sono
criptati in transito e criptati anche quando
vengono registrati. L’azienda ha chiarito
che i dati di Meet non vengono usati per
la pubblicità e non vengono venduti ad
aziende terze.
Google Meet gratis sarà disponibile in
roll-out graduale, che richiederà un po’
di giorni. Per accedere basta andare su
meet.google.com: anche se non è ancora
disponibile, ci si può registrare per esse-
re avvisati quando la soluzione sarà attiva
anche in Italia.
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MAGAZINEn.221 / 204 MAGGIO 2020
di Massimiliano DI MARCO
I giornali gratis su Telegram sono spari-
ti? Purtroppo, no, nonostante la Fede-
razione Italiana Editori Giornali (FIEG)
abbia festeggiato la mossa dell’Autorità
per le Garanzie nelle Comunicazioni
(AGCOM). Quest’ultima ha annunciato
di aver rimosso 7 canali degli 8 segnalati
dalla FIEG; eppure, il più grande è anco-
ra lì: ha solo cambiato nome, continua a
condividere giornali in digitale senza esi-
tazione e raccoglie decine di migliaia di
iscritti. Ciò nonostante, secondo il presi-dente della FIEG, Andrea Riffeser Monti,
è “una decisione che soddisfa le legittime
richieste degli editori di chiusura”.
La FIEG aveva chiesto ad AGCOM la
sospensione di Telegram. L’Autorità,
pur avendo soddisfatto (sulla carta) la
richiesta di bloccare alcuni canali per
violazione del diritto d’autore, è stata
netta: non si può fare. Mancano le nor-
me europee per una simile operazione
e, inoltre, il blocco indiscriminato “appa-
re sprovvisto del necessario requisito”.
AGCOM ha sottolineato, inoltre, che oc-
SOCIAL MEDIA E WEB AGCOM ha rimosso molti canali che piratavano giornali e riviste. Uno di questi, però, è ancora molto attivo
FIEG esulta, ma le edicole pirata ci sono ancora AGCOM: “Telegram ha risposto. Non era mai successo”Basta un cambio di nome e il canale pirata è di nuovo operativo trasferendo i membri della versione precedente nel “nuovo” canale
correrebbe una modifica normativa che
“consenta di considerare stabiliti in Italia
[...] gli operatori che offrono servizi della
società dell’informazione nel territorio
italiano utilizzando risorse nazionali di
numerazione”. Sebbene AGCOM abbia,
quindi, provveduto a rimuovere tali ca-
nali, questi sono ancora lì e sono opera-
tivi. Allora ci si chiede quale sia l’anello
debole della catena: gli utenti non sono
stati banditi da Telegram e, quindi,
hanno cambiato nome al canale? Agli
amministratori è stato semplicemente
chiesto di rimuovere i contenuti senza
bloccare il canale? Telegram ha collabo-
rato in modo blando e superficiale?
AGCOM ha fatto sapere a DDAY.it che
Telegram ha collaborato con l’Autorità
durante questa operazione: non era
mai successo prima. Ciò è accaduto,
secondo quanto appreso, anche con
il supporto di Apple e di Google. Gli
utenti non sono però stati banditi: non
basta una violazione affinché gli ammi-
nistratori dei canali vengano cacciati dal
servizio. Servono molteplici violazioni
affinché Telegram intervenga con un
ban definitivo.
Ciò significa che nonostante un utente
abbia condiviso centinaia di giornali e
riviste illegali, non è sufficiente per un
ban: deve essere recidivo.
A giudicare dalla situazione attuale,
infatti, sembra che uno dei precedenti
canali, quello che raccoglieva il maggior
numero di iscritti, abbia semplicemente
cambiato il nome e il link di accesso al
canale. Perché? In questo modo, il ca-
nale pirata non è stato colpito dal prov-
vedimento dell’Autorità, può continuare
a operare e, in più, tutti i membri della
versione precedente vengono automa-
ticamente trasferiti nel “nuovo” canale.
Resta in auge, invece, un canale “fantoc-
cio” con il vecchio nome e con nessuno
contenuto pirata. AGCOM ha fatto sape-
re che questo caso è stato il frutto di una
svista e nelle prossime ore provvederà a
colpire anche questo canale. Gli ammi-
nistratori dei canali Telegram possono,
infatti, cambiare il nome al canale e agire
persino sul link di accesso a esso senza
che i loro membri ne siano notificati. Il
canale resta attivo, i contenuti pure, ma il
nome e il link di riferimento sono diversi.
Come se bastasse cambiare una vetrina
di un negozio per non essere più ricono-
scibili, ma mentre i clienti sono all’interno
che fanno acquisti.
Chiedere la sola rimozione del contenu-
to su Telegram, insomma, non serve a
granché: cambiare il nome e il link di un
canale richiede pochi secondi. È persino
più semplice di creare un nuovo dominio
per un sito web che propone streaming e
download di serie TV e film illegali.
La lotta ai canali pirata di Telegram, che
forniscono link non solo a giornali e rivi-
ste, ma anche a serie TV e film in strea-
ming illegale, è quindi persa a prescinde-
re? Difficile dirlo, ma senz’altro i proclami
di queste ore sembrano essere molto
esagerati. I canali rimossi erano proba-
bilmente già stati svuotati e i loro iscritti
spostati su altri lidi. I giornali gratis su
Telegram non sono spariti, nonostante le
esultazione della FIEG. La collaborazione
attiva di Telegram, però, apre nuovi sce-
nari nella lotta alla pirateria.
di Riccardo DANZO
N onostante l’attuale situazione di
emergenza mondiale, Facebook
ha chiuso il primo trimestre del
2020 ancora in forte crescita.
Secondo i dati rilasciati dall’azienda,
infatti, il social network ha nuovamente
registrato un aumento dei suoi utenti
complessivi, raggiungendo così un tota-
le di 2.6 miliardi di persone iscritte alla
piattaforma. Vale a dire oltre una perso-
na su tre in tutto il mondo.
I ricavi trimestrali, inoltre, sono saliti a
17,7 miliardi di dollari, segnando così un
aumento del 17% rispetto allo scorso
anno. Come previsto dagli investitori,
tuttavia, il tasso di crescita dei ricavi
ha inevitabilmente iniziato a rallentare
rispetto al +25% registrato durante il pri-
mo trimestre del 2019.
Riguardo all’attuale emergenza corona-
SOCIAL MEDIA E WEB Oltre 2.6 miliardi di persone iscritte, crescono gli utenti attivi mensilmente
Più di 1 persona su 3 nel mondo è iscritta a FacebookMa l’azienda avvisa: “Le entrate pubblicitarie caleranno drasticamente nei prossimi trimestri”
virus, in una lettera agli
azionisti, Facebook ha
dichiarato: “Il nostro
business verrà influen-
zato dal COVID-19 e,
come tutte le aziende,
stiamo affrontando un
periodo di incertezza
senza precedenti nelle
nostre prospettive di
crescita”.
Cosi come altri colossi della tecnolo-
gia, infatti, Facebook sarà costretta ad
affrontare un significativo calo delle en-
trare pubblicitarie nell’immediato futuro
a causa del COVID-19.
Oltre ad una crescita complessiva dei
suoi utenti, Facebook ha registrato anche
un aumento dell’11% dei suoi utenti attivi
mensilmente rispetto allo scorso anno.
Nel 2019, infatti, gli utenti attivi ogni mese
erano 1,562 miliardi mentre nel primo
trimestre del 2020 sono saliti a 1,734 mi-
liardi. Per quanto riguarda Instagram, Fa-
cebook ha preferito non rilasciare alcun
dato economico. Secondo Bloomberg,
tuttavia, Instagram rappresenta il 28% dei
ricavi dell’azienda, ovvero circa 20 miliar-
di di dollari.
Dopo l’annuncio dei dati del primo tri-
mestre del 2020, a conferma dei buoni
risultati ottenuti dall’azienda, il titolo di
Facebook è salito di circa l’8%, toccando i
210 dollari per azione.
torna al sommario 20
MAGAZINEn.221 / 204 MAGGIO 2020
di Sergio DONATO
Sottile, leggerissimo ma potente.
Sempre connesso, e con una bat-
teria che può durare più di 20 ore.
Sono queste le caratteristiche principali di
Samsung Galaxy Book S, la soluzione del-
l’azienda coreana con processore ARM,
finalmente disponibile anche in Italia.
L’aspetto più interessante del portatile è il
processore ARM Snapdragon 8CX, la so-
luzione a 7nm pensata per contrastare le
CPU Intel ultra low voltage. Abbiamo già provato il processore qualche tempo fa,
evidenziando gli ottimi dati per quel che
riguarda prestazioni ed autonomia. Sam-
sung dichiara infatti un’autonomia fino a
25 ore di riproduzione video, con presta-
zioni assimilabili a quelle di un processore
x86. In questo articolo abbiamo poi rac-
colto alcune considerazioni sull’utilizzo di
un processore ARM in ambito PC, soprat-
tutto con applicazioni native. Snapdragon
8CX, oltre che lunga durata
significa anche computer
sempre connesso. Grazie
al modem LTE e la predi-
sposizione per una nano
SIM, infatti, Samsung Galaxy
Book S può connettersi al
4G, rimando online anche
in mancanza di connessione
Wi-Fi. Il resto della scheda
tecnica parla di un display da 13,3 pollici
con multitouch a 10 tocchi, 8GB di RAM
LPDDR4X, e 256 GB di memoria interna,
che può essere estesa fino a 1TB grazie
allo slot microSD. Il comparto audio è sta-
to sviluppato in collaborazione con AKG,
e la batteria (che come detto promette
un’autonomia da record) ha una capacità
di 42Wh. Particolarmente interessanti poi
le caratteristiche costruttive. A spiccare è
il peso, con la bilancia che si ferma sotto
il chilogrammo (961 grammi per la preci-
sione). Per ottenere questo risultato Sam-
sung ha utilizzato un particolare tipo di al-
luminio anodizzato, molto resistente oltre
che leggero. Da sottolineare che Galaxy
Book S utilizzerà la versione completa di
Windows 10, e grazie all’applicazione “Il
mio Telefono” di Windows sarà possibile
collegare facilmente PC e smartphone
Samsung, condividendo foto, messaggi e
notifiche. Il Galaxy Book S è già disponibi-
le sul sito ufficiale di Samsung, ed è com-
mercializzato al prezzo suggerito di 1099
euro, nella colorazione Earthy Brown.
PC Intel ha annunciato la nuova serie S di processori desktop di decima generazione.
Intel, processori desktop di 10 generazione L’azienda: “I più veloci al mondo per giocare” La serie S Intel core si spinge fino a 5.3 Ghz, e predilige la potenza dei singoli core al numero
di Roberto PEZZALI
“Le applicazioni e i giochi ottimiz-
zati per sfruttare a pieno tutti i
core di un processore sono an-
cora pochissime. La maggior parte dei
giochi e delle applicazioni sfruttano an-
cora un solo core, al massimo due”. Così
Intel apre la presentazione dei processori
desktop Core di decima generazione, la
serie S, aggiungendo che ci troviamo di
fronte ai processori per gaming più po-
tenti al mondo.
Una famiglia completa, che parte dal
Core i9 10900K per arrivare al modelli
Core i3. Il modello di punta, 10 core e 20
threads, arriva fino a 5.3 Ghz utilizzando
lntel Thermal Velocità Boost, la tecnolo-
gia già introdotta sui processori mobile
di decima generazione che permette di
portare per un breve periodo il clock di
un solo core ad una velocità elevatissima,
5.3 Ghz appunto. Disponibili sia in versio-
ne con grafica integrata sia in versione
PC Arriva in Italia il Galaxy Book S, il notebook con processore ARM Snapdragon 8CX
Samsung Galaxy Book S in Italia a 1099 euro Processore Snapdragon e 25 ore di autonomiaSchermo da 13,3 pollici touch, connessione LTE e meno di un chilo di peso, a 1099 euro
sbloccata, i processori di decima gene-
razione per sistemi desktop portano in
dote anche qualche altra novità, come il
supporto alle memorie DDR4 2933, una
versione totalmente rinnovata della Intel
Extreme Tuning Utility per l’overclock e la
nuova Intel Turbo Boost Max Technology
3.0, che identifica i due migliori core all’in-
terno del processore e li utilizza quando
si tratta di dover fornire le migliori pre-
stazioni possibili in modalità single core
e dual core. Intel ci ha distribuito alcuni
benchmark fatti in diversi ambiti, soprat-
tutto giochi ma anche editing video, e
questo grafico riassume un po’ quelli
che sono gli incrementi fatti misurare in
ambito di prestazioni se paragoniamo
la scorsa generazione di processori de-
sktop con la nuova. Nessun accenno ad
eventuali benchmark comparativi con le
soluzioni AMD Ryzen 9, che invece fanno
del numero di core il loro punto di forza,
serviranno prove indipendenti. I prezzi al
pubblico non sono ancora ufficiali.
Canon EOS Webcam Utility trasforma le fotocamere Canon in webcam USBCanon spiazza tutti. Sarà possibile usare le macchine fotografiche EOS DSLR, mirrorless e le PowerShot come webcam USB di Sergio DONATO
Canon ha tirato fuori l’uovo di Colombo e si è inventata la solu-zione che in molti aspettavano da anni. Ha realizzato un pezzetto di software che consente di usare al-cune macchine fotografiche EOS o PowerShot come webcam USB.Il software si chiama Canon EOS Webcam Utility. È ancora in versio-ne beta ed è compatibile con un numero selezionato di macchine a lenti intercambiabili e con alcuni modelli di PowerShot Canon. Nel-l’elenco ci sono le 5DS, la 6D, la 7D, ma anche la 80D e 90D. Così come le Rebel e anche le mirror-less R, RP, M6 II, M50 e M200. Tra le PowerShot, troviamo la G5X II, la G7X III e la SH70 HS. Canon EOS Webcam Utility è anche semplicis-sima. Si scarica, si installa, si accen-de la macchina fotografica, si rego-la l’esposizione, la si collega al PC con un cavo USB e a quel punto il software usato per le conferenze o le videochiamate riesce a ricono-scerla come una webcam USB. La soluzione di Canon di sicuro forni-sce uno strumento in più a chi ha un dispositivo tecnologico a cui af-fidare un uso nuovo. Per adesso, la beta di Canon EOS Webcam Utility è disponibile solo negli Stati Uniti e per i sistemi Windows 10, ma Ca-non dice che le versioni per altri si-stemi operativi potrebbero essere disponibili più avanti.
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MAGAZINEn.221 / 204 MAGGIO 2020
di Pasquale AGIZZA
Sony ufficializza la nuova serie di
televisori Full Array LED HDR, de-
nominata XH95. Presentata in
cinque tagli diversi, da 85 a 49 pollici, è
già disponibile sul sito ufficiale dell’azien-
da giapponese. Per quel che riguarda
le caratteristiche tecniche partiamo dal
pannello, che utilizza la tecnologia esclu-
siva Triluminos. Con essa i televisori Sony
possono ampliare lo spettro cromatico e,
grazie alla possibilità di produrre più gra-
dazioni di rosso, verde e blu, riprodurre
più colori rispetto ad altri modelli.
La retroilluminazione del pannello è di
tipo Full Array con oscuramento a zone
gestito dalla tecnologia X-tendend Dy-
namic Range. Il produttore giapponese
promette un contrasto 6 volte superiore
rispetto ai suoi precedenti modelli LED.
I televisori vantano, poi, la compatibilità
con gli standard Dolby Vision e Dolby
Atmos. Ad esaltare le prestazioni dello
schermo, oltre la tecnologia Triluminos, ci
TV E VIDEO Svelata la gamma Full Array LED XH95. Già disponibile sul sito, presenta 5 tagli diversi
I TV LED Sony XH95 arrivano nei negozi Prezzi a partire da 1399 euroI tagli partono da un 85” per finire ad un 49”. Tanta tecnologia e design con cornici molto sottili
sono anche le modalità Netflix Calibrated
Mode, che migliora la qualità dei contenu-
ti del provider video, e la modalità IMAX
che amplifica effetti visivi e sonori per av-
vicinarsi all’esperienza cinematografica.
Sony pone, poi, particolare enfasi sulla
tecnologia X-Wide Angle, che dalla ver-
sione da 55 pollici in su, genera colori
realistici e vividi da qualsiasi angolazione,
preservando meglio i toni e la luminosità
anche quando guardiamo il televisore da
una posizione più laterale.
Il processore è l’X1 Ultimate. I televisori sono compatibili con Chromecast ed Apple AirPlay 2Passando al processore, il cuore dei nuo-
vi TV Sony è l’X1 Ultimate, processore top
di gamma per quel che riguarda il settore
televisivo. Oltre ad assicurare immagini ni-
tide e luminose, X1 Ultimate consentirà di
utilizzare la modalità Sound-from-Picture
Reality, che dà la sensazione che il suono
provenga direttamente dallo schermo.
Tutti i televisori sono poi dotati di Am-
bient Optimization, il sistema che regola
la luminosità in base alla luce presente,
aumentandola in automatico se la stanza
è particolarmente luminosa o riducendola
se è buia. Fra le altre funzioni abbiamo le
opzioni di comando vocale (sempre dal
modello 55 pollici in su), la compatibilità
con Google Home e i dispositivi Alexa, e
la possibilità di condividere i propri con-
tenuti da qualunque smartphone grazie a
Chromecast e AirPlay 2.
Il nuovo design Immersive Edge riduce al minimo le cornici. Prezzi da 1399 euroIn chiusura, un’occhiata al design. Sony
lancia il nuovo design denominato Im-
mersive Edge che propone superfici a
filo ed un’estetica elegante con cornici
molto ridotte, soprattutto sul modello da
85 pollici. Come detto, la serie XH95 Full
Array propone cinque diversi tagli già
disponibili sul sito ufficiale dell’azienda
giapponese. Nello specifico avremo un
modello da 85 pollici con prezzo consi-
gliato di 4499 euro, un modello da 75 pol-
lici con prezzo di 3499 euro, un modello
da 65 pollici a 1999 euro, un modello da
55 pollici con prezzo di 1699 ed, infine,
un modello da 49 pollici (che perde però
alcune delle caratteristiche migliori della
serie) ad un prezzo di 1399 euro.
Apple Music debutta su Smart TV Samsung. Per i nuovi utenti 3 mesi gratisSamsung ha annunciato l’arrivo di Apple Music sui televisori smart dal 2018 in poi. È la prima volta che l’applicazione di Apple raggiunge i televisori. E per i nuovi abbonati c’è una prova gratuita di tre mesi di Pasquale AGIZZA
Buone notizie per i possessori di TV Samsung. Grazie all’accordo siglato con Apple, Apple Music sbarca sulle smart TV del produt-tore coreano. L’applicazione è già disponibile sullo store di Samsung ed è compatibile con tutti i TV pro-dotti dal 2018 in poi. Dal punto di vista grafico, l’app è molto simile a quella disponibile su Apple TV e garantisce l’accesso completo a tutti i dati di Apple Music, compre-se le playlist, i video e le stazioni radio selezionate.Samsung è stato già il primo pro-duttore a prevedere la compatibili-tà dei propri TV con l’applicazione Apple Tv e anche fra i primi a offri-re la compatibilità con AirPlay 2 in passato. Grazie a questo sistema era già possibile portare i contenu-ti di Apple Music sul televisore, ma l’arrivo dell’applicazione dedicata rende indipendenti i Tv dai dispo-sitivi da cui fare streaming. Per la prima volta sarà dunque possibile abbonarsi ad Apple Music senza possedere un dispositivo Apple. Chiudiamo, poi, con una promozio-ne. Per celebrare l’arrivo di Apple Music sui suoi dispositivi, Samsung regala tre mesi di abbonamento gratuito a chi apre un nuovo ac-count direttamente dal televisore.
TV E VIDEO Dolby Vision diventerà lo standard de facto?
Aumentano film Fox in Dolby VisionHDR10+ perde uno dei fondatori?
di Paolo CENTOFANTI
N on possiamo parlare di una battaglia
di formati, ma la rivalità tra le due prin-
cipali tecnologie HDR, Dolby Vision e
HDR10+, è comunque palpabile. Il primo è il
formato che di fatto ha inventato l’HDR ap-
plicato all’home video (e non solo). Il secon-
do è stato promosso da Samsung, insieme a
Panasonic e l’allora 20th Century Fox (oggi
20th Century Studios), come soluzione meno vincolante di quella di Dolby ed evoluzio-
ne dell’HDR10. A un anno e mezzo però dal lancio dell’iniziativa, 20th Century Studios,
che dovrebbe essere il principale sponsor della tecnologia, almeno tra i grandi pro-
duttori cinematografici, pubblica sempre più titoli in Dolby Vision e meno in HDR10+. Il
cambio di banderuola sembrerebbe essere dettato dall’acquisizione da parte di Disney
dello studio cinematografico, con l’intenzione di uniformare le politiche di pubblicazione
dei suoi titoli: Disney ha infatti dato ampio spazio ai formati Dolby Vision e Dolby Atmos
nelle sue uscite in home video. Fox, insieme a Panasonic e Samsung hanno fondato
una joint venture apposita per la promozione del formato, HDR10+ Technologies LLC,
che è gratuito per i produttori di hardware e i creatori di contenuti, e proprio il licensing
è probabilmente alla base del “conflitto”: a differenza di Panasonic, che supporta ambo
le tecnologie, Samsung non ha mai avuto intenzione di supportare la tecnologia video
di Dolby e di pagare le licenze. Che il nuovo corso le faccia cambiare idea
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MAGAZINEn.221 / 204 MAGGIO 2020
di Gianfranco GIARDINA
I dati parlano chiaro: i sistemi Sonos
sono utilizzati per il 50% del tempo
per l’ascolto radiofonico. Radio in
streaming, ovviamente, ma pur sempre
radio. Per questo motivo, a partire dal 21
aprile, Sonos lancia una nuova sezione
della propria app, che si chiama appunto
Sonos Radio. Si tratta in buona sostan-
za di un ripensamento della centralità
della radio nell’utilizzo dei sistemi audio
multiroom: prima c’era il tab “stazioni”
nella finestra di ricerca e la directory di
TuneIn. Ora compare una vera e propria
sezione “Sonos Radio” che non solo
mette insieme tutte le 60mila stazioni
listate in TuneIn e i podcast di iHear-
thRadio, ma aggiunge anche una serie
non trascurabile di stazioni in streaming
originali, create da Sonos e distribuite in
esclusiva ai propri utenti.
Sonos diventa editore radiofonicoIn pratica, per la prima volta, Sonos non
solo fa da tramite ma diventa a tutti gli
effetti editore. Per questo Sonos ha
creato dei veri e propri studi radiofonici
all’interno del negozio flagship di New
York e ha chiesto ad artisti importanti
di curare addirittura il proprio canale
radiofonico, facendo personalmente la
selezione dei contenuti. I primi tre cana-
li che verranno attivati vedono coinvolti
in prima persona Thom Yorke, celebre
frontman dei Radiohead (la prima sta-
zione attivata); arriveranno presto anche
David Byrne, fondatore dei Talking Hea-
ds, e la chitarrista e cantante di colore
Brittany Howard. Si tratta di canali radio
la cui selezione è fatta direttamente da-
gli artisti e quindi si tratta di una ghiotta
occasione per tutti i fan per “sintonizzar-
si” sulla lunghezza d’onda mentale dei
propri beniamini. I canali non saranno
probabilmente “eterni”, ma a rotazio-
ne verranno coinvolti altri artisti, di cui
però ancora non si conosce il nome.
Alle stazioni temporanee curate dagli
artisti celebri (che si trovano nella sotto-
sezione “Sonos Presents”) si aggiunge
anche Sonos Sound System: si tratta di
una stazione radio in streaming, priva di
pubblicità e realizzata negli studi di New
York, che miscelerà musica di uscita re-
cente con grandi classici. Sonos Sound
System non sarà però una sequenza di
canzoni, poco più di una playlist, ma una
vera e propria emittente, con deejay e
anche programmi parlati, con racconti di
dietro le quinte e “ore” (ogni mercoledì)
dedicate a un artista presente in studio
o collegato telematicamente: in lista
Angel Olsen, JPEGMAFIA, Phoebe Brid-
gers, Jeff Parker (Tortoise) e Vagabon.
Ci sono anche più di 30 Sonos Stations... Ma non finisce qui: Sonos ha allestito
anche le cosiddette Sonos Stations: si
tratta più di 30 canali tematici curati da
persone umane e non da intelligenza
artificiale, questa volta supportati dalla
presenza di annunci pubblicitari (ma
non sappiamo ancora con che frequen-
za e se saranno localizzati per nazione).
Molto interessante è la tecnologia di
gestione audio dei canali Sonos, che è
realizzata in collaborazione con Super
Hi-Fi: si tratta di un sistema di gestione
e livellamento dei vari contributi basata
su intelligenza artificiale, che fa sì che
l’ascolto sia sempre piacevole e livellato
passando da una canzone all’altra, agli
spot pubblicitari, agli intermezzi parlati.
... e 60mila stazioni dal mondo. Il tutto gratisA tutto questo panorama di stazioni
radio Sonos, si aggiunge ovviamen-
te anche tutta la lista delle emittenti
internazionali listate da TuneIn, ma
in un’interfaccia coerente e integrata
con il resto. L’accesso a Sonos Radio è
concesso a tutti gli utenti Sonos: basta
semplicemente aggiornare l’app con
l’ultima versione che sarà resa disponi-
bile in queste ore.
Non ci sono limitazioni e questo servizio
è accessibile anche ai possessori degli
apparecchi Sonos più vecchi, di cui è
stato annunciato qualche mese fa la
fine del supporto di funzioni future.
Quanto ai tempi, la sezione Sonos Ra-
dio è già disponibile anche in Italia ma i
canali Sonos sono esplicitamente distri-
buiti nel menù princiale per il momento
solo nei paesi anglofoni (Stati Uniti, Ca-
nada, UK, Irlanda, e Australia) ma presto
dovrebbero arrivare anche da noi. Già
ora, se si si cerca fra le stazioni “Sonos”
esce ed è ascoltabile il canale originale
Sonos Sound System; allo stesso modo
se si cercano i nomi delle singole sta-
zioni tematiche (vedi l’immagine con
tutte le miniature), vengono listate nel
tab stazioni e sono anch’esse funzio-
nanti. Il ritardo è quindi probabilmente
dovuto a una questione di localizzazio-
ne delle descrizioni del canali più che
a una questione di diritti. I tempi quindi
per vedere la nuova sezione Sonos Ra-
dio del tutto popolata anche in Italia non
dovrebbero essere lunghi.
Ultima cosa, certamente non trascura-
bile: Sonos Radio è gratuito per tutti i
clienti Sonos.
HI-FI E HOME CINEMA Con l’aggiornamento dell’app Sonos, debutta la nuova sezione Sonos Radio
Nasce Sonos Radio, gratis per i clienti SonosNuova interfaccia e tante stazioni originali Riorganizzazione delle 60mila emittenti in streaming e tanti nuovi veri canali radio originali
Gamma OLED e LCD 2020 Panasonic: l’HZ2000 parte da 2999 euroPrime indicazioni di prezzo della nuova gamma di TV Panasonic. L’OLED top di gamma HZ2000 partirà da 2999 €, scendendo sotto la soglia psicologica dei 3000 € di Paolo CENTOFANTINon abbiamo ancora i prezzi uffi-ciali italiani, ma dall’Olanda arriva-no le prime indicazioni sul listino della line up 2020 di TV OLED e LCD di Panasonic e ci sono alcu-ne belle sorprese. Il top di gamma OLED HZ2000, che sostituisce il GZ2000 dello scorso anno, vede infatti un significativo taglio del prezzo di listino, con un prezzo di partenza di 2999 euro per il 55 pollici, contro i 3499 dello scorso anno a parità di taglio. Il 65 polli-ci passa invece dai 4499,99 euro del GZ2000 ai 3799 euro del-l’HZ2000. La sforbiciata al listino è inferiore per gli altri modelli ma co-munque c’è. Per quanto riguarda i mercati di Paesi Bassi e del Belgio, i prezzi della gamma OLED saran-no i seguenti (i codici sono quelli dei Paesi Bassi):TX-65HZW2004: 3.799 euroTX-55HZW2004: 2.999 euroTX-65HZT1506: 2.999 euroTX-55HZT1506: 2.299 euroTX-65HZW1004: 2.699 euroTX-55HZW1004: 1.999 euroPubblicati anche i prezzi degli LCD:TX-43HXW944: 899 euroTX-49HXW944: 1.099 euroTX-55HXW944: 1.199 euroTX-65HXW944: 1.599 euroTX-43HXW904: 799 euroTX-49HXW904: 999 euroTX-55HXW904: 1.099 euroTX-65HXW904: 1.499 euroTX-40HXW804: 749 euroTX-50HXW804: 899 euroTX-58HXW804: 999 euroTX-65HXW804: 1.399 euroPanasonic Italia deve ancora an-nunciare i prezzi ufficiali italiani.
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MAGAZINEn.221 / 204 MAGGIO 2020
di Paolo CENTOFANTI
Sonos ha lanciato il 21 aprile il nuovo servizio
Sonos Radio, che combina una nuova directory
di web radio internazionali, fornite da provider
come TuneIn, con un’offerta di nuovi canali tematici
curati dal team redazionale del produttore california-
no. Come molti utenti ci hanno segnalato però, se la
nuova sezione Sonos Radio è regolarmente compar-
sa con l’ultimo aggiornamento dell’applicazione, la
sezione delle oltre 30 stazioni radio di Sonos in Italia
non compare, così come non sono elencate le stazioni
curate dagli artisti. Sonos ufficialmente ha annunciato
che le nuove stazioni sono inizialmente disponibili nei
paesi anglosassoni: Stati Uniti, Regno Unito, Irlanda,
Australia e Nuova Zelanda. Ma in realtà le stazioni
sono disponibili ovunque, semplicemente non sono
elencate, forse per mancanza di localizzazione delle
descrizioni. Vediamo come ascoltarle.
I canali tematici di Sonos Radio, come trovarli Sonos ha creato 36 canali radio tematici, che coprono
diversi generi con una proposta musicale davvero va-
ria e per tutti i gusti e soprattutto gratuita.
Questi canali dovrebbero essere accessibili nella se-
zione Sonos Stations, che però in Italia non è dispo-
nibile. Ma anche se non sono elencati sono in realtà
accessibili anche nel nostro paese, basta cercarli ma-
nualmente nella sezione ricerca dell’app Sonos. Stes-
so discorso per la prime radio curate da artisti, come
In the Absence Thereof... di Thom Yorke e The En-
cyclopedia of Brittany di Brittany Howard. Il “trucco” è
quello di utilizzare esattamente il nome della stazione.
Purtroppo non basta cercare Sonos come termine, in
quanto nel nome delle radio il brand non compare.
Basta comunque andare nella sezione “cerca”, sele-
zionare nella barra di navigazione “stazioni” e quindi
immettere il nome della radio che stiamo cercando.
Nell’esempio sopra riportato, cercando la Sonos Sta-
tion Punk Riot, la vediamo subito comparire come
primo risultato nella sotto sezione Sonos Radio della
ricerca. Chiaramente cercare ogni volta la stazione di
interesse, anche se compare nelle ricerche recenti, è
scomodo. Ma premendo sull’icona con i tre pallini è
possibile salvarla tra i propri preferiti, per accedervi
rapidamente dalla sezione il mio Sonos.
Le principali radio tematiche curate da SonosL’unico limite è che non abbiamo accesso alla descri-
zione della radio, per cui bisogna affidarsi un po’ all’in-
terpretazione del nome per capirne il tipo di program-
mazione. Alcuni nomi delle stazioni sono intuitivi (da
Blues Masters non possiamo che aspettarci dei classici
del Blues), ma altri nomi sono un po’ troppo fantasiosi
(Sunset Fuzz ad esempio). Alle stazioni tematiche si ag-
giunge poi il canale principale di Sonos Radio, Sonos
Sound System, dedicato alle novità del momento e che
HI-FI E HOME CINEMA Sonos ha lanciato Sonos Radio, ma gli oltre 30 canali tematici per ora non compaiono sull’app italiana
Come ascoltare in Italia le Sonos Stations Le stazioni tematiche sono disponibili ovunque, solo non sono elencate, forse per mancanza di localizzazione delle descrizioni
ospiterà artisti del calibro di Angel Olsen, Jarvis Coc-
ker, Phoebe Bridgers, solo per citarne alcuni. Sulla ver-
sione degli Stati Uniti del sito di Sonos, fortunatamente
compare anche la descrizione dei canali principali, che
qui riportiamo tradotta in italiano:
Sonos Sound System: scopri la stazione firmata So-
nos, per ascoltare le nuove uscite, immergerti nei
classici e scoprire i racconti dietro la musica;
Punk Radio: metti al massimo il rock and roll potente,
sfacciato, anti-convenzionale che ha creato una sot-
tocultura tenace;
Rap Game: immergiti nel rap con la musica delle ico-
ne di ieri e i fenomeni di successo di oggi;
Rare Grooves: ritrovati funk, R&B e classici soul degli
anni ‘70, che vi faranno chiedere come mai questi tor-
mentoni si siano persi nella storia;
Alternative Energy: rivivi i giorni della camicia di fla-
nella, con i riff pesanti, i suoni grezzi del grunge, del-
l’alternative e dell’hard rock dagli anni ‘80 a oggi;
80s Flash: balla e scatenati con il meglio della new
wave, glam rock ed hair metal degli anni ‘80;
Blues Masters: vivi il blues più profondo, da rare regi-
strazioni di archivio fino alle performance dei moderni
innovatori;
Concert Hall: attraversa la storia delle migliori compo-
sizioni, dalle sinfonie d’orchestra del Barocco all’Ope-
ra italiana;
Country Outlaws: vai oltre le luci splendenti di
Nashville, per scoprire il meglio della contro-cultura
della musica country, dagli anni ‘70 ad oggi;
Cruise Control: rilassati e goditi un flusso continuo di
successi soft e yacht rock che hanno definito l’easy
listining dagli anni ‘70 ad oggi;
Global Pulse: esplora i ritmi, le melodie e i generi che
muovono il mondo, inclusi l’highlife west africano,
l’hip hop iraniano e altro ancora;
Hot Country: dai una mossa ai tuoi stivali con questa
raccolta di ballate prime in classifica e canzoni balla-
bili dagli anni ‘90 a oggi;
Sunset Fuzz: immergiti in una miscela unica di indie
pop sognante e psichedelico, ispirato dal sole e la
nebbia del sud della California;
Hip-Hop Archive: rivivi l’era d’oro dell’hip hop con i
versi e gli MC che hanno immortalato il genere e lo
spirito del tempo;
La Movida: balla al ritmo della migliore musica lati-
na, inclusi reggaeton, salsa, pop, tango, rock e altro
ancora;
Main Stream: riscopri le più grandi star e più amati
successi contemporanei per adulti dagli anni ‘70 ad
oggi;
New Lords of Metal: sperimenta la potenza dello
speed metal, del death metal, doom metal, djent,
gothic, Celtic, sludge, psych, crust, e tutte le altre mu-
tazioni;
Pindrop Electronic: Sintonizzati su un mix di house,
techno, experimental, dubstep, grime, e altro, che tra-
scende i confini tecnici e sonici.
torna al sommario 25
MAGAZINEn.221 / 204 MAGGIO 2020
di Paolo CENTOFANTI
I l primo luglio 2020 è una data molto importante per
gli appassionati: entrerà infatti in vigore il nuovo rego-
lamento europeo relativo a quelli che siamo abituati
a chiamare droni o più precisamente Sistemi Aeromo-
bili a Pilotaggio Remoto o SAPR nel linguaggio tecnico
dell’ENAC, e Unmanned Aircraft System o UAS secondo
la definizione europea. Si tratta di un passaggio epo-
cale, che trasferisce buona parte della normativa sotto
l’ombrello dell’EASA (European Union Aviation Safety
Agency), armonizzando i regolamenti sull’intero terri-
torio dell’Unione Europea, e che introduce significativi
cambiamenti sui doveri di chi possiede e vuole utilizza-
re un drone, abolendo la distinzione tra uso ricreativo
e professionale, ma anche allargando l’area di opera-
tività negli scenari d’uso a basso rischio. Sulla spinta
dell’emergenza Covid-19, alcuni paesi membri stanno
richiedendo all’Unione Europea di spostare la data di
entrata in vigore al 1 gennaio 2021, rinvio che non è an-
cora stato confermato ufficialmente, ma la sostanza del
regolamento non cambia. Scopriamo tutti i dettagli.
La nuova classificazioneL’aspetto più importante è che sparisce la distinzione
tra uso ricreativo o ludico e professionale a cui ci aveva
abituato l’ENAC: l’utilizzo dei droni verrà ora classifica-
to unicamente in base al fattore di rischio e alla classe
del velivolo, la cui definizione avviene in prima misura
in base al peso. La stragrande maggioranza degli utilizzi
ricreativi, rientrano nella nuova categoria Open, che pre-
vede tre sottocategorie definite A1, A2 e A3, ognuna con
le sue restrizioni all’operatività e alla classe del velivolo
impiegabile, ma per le quali non è richiesta un’autoriz-
zazione specifica per far volare il proprio drone. La con-
seguenza di ciò è che per le operazioni a rischio basso,
sarà finalmente possibile far volare alcuni droni anche
in area urbana, senza più il vincolo della distanza dei
150 metri previsti dalla normativa vigente, ma sempre
chiaramente rispettando le regole sugli spazi aerei, che
continueranno ad essere definiti e presidiati dagli enti
VIDEO CREATIVO Dal 1 luglio 2020 entra in vigore il regolamento europeo per l’utilizzo di droni per uso ricreativo e professionale
Droni, la guida al nuovo regolamento europeoTanti cambiamenti in arrivo, primi tra tutti l’obbligo dell’attestato e di immatricolazione per tutti i droni sopra i 250 grammi
nazionali. La categoria Open è accessibile, in particola-
re, se vengono rispettati tutti i seguenti requisiti:
-massa massima al decollo inferiore ai 25 Kg;
mantenimento della distanza di sicurezza dalle persone
e rispetto del divieto assoluto di sorvolo degli assembra-
menti di persone;
-volo esclusivamente in visibilità diretta del drone (VLOS,
visible line of sight);
-quota massima di 120 metri dalla superficie;
-divieto di trasporto di merci pericolose;
Se fino a oggi il regolamento ENAC distingueva, per l’uti-
lizzo di droni in attività non critiche, i velivoli con peso
compreso il carico sotto i 250 grammi e uguale o su-
periore a 250 grammi (e fino a 25 Kg), il nuovo regola-
mento europeo raggruppa i velivoli nelle classi C0 (<250
grammi), C1 (<900 grammi), C2 (<4 kg) e C3 (<25 kg).
In base alla classe del velivolo e alla categoria Open ci
sono obblighi e regole diverse. Dalla classe C1 in sù, tutti
droni dovranno anche essere dotati di un transponder,
che trasmetta durante tutto il volo dati come l’identificati-
vo del velivolo, la posizione e la rotta. I droni immessi sul
mercato per essere conformi dovranno essere dotati di
un bollino CE e del simbolo della classe di appartenen-
za, come quello relativo alla classe C1:
L’obbligo di immatricolazione e dell’Attestato di CompetenzaDi base, come oggi, per droni di peso a terra inferiore ai
250 grammi non sarà obbligatorio avere un attestato di
competenza o immatricolare se stessi ed il drone, ope-
razione che in Italia va fatta in via esclusiva sulla piatta-
forma D-Flight. C’è però una norma sibillina: se il drone è
“dotato di un sensore in grado di rilevare dati personali”,
allora l’immatricolazione è obbligatoria, a meno che non
sia classificato come giocattolo adatto fino ai 14 anni di
età. Tradotto, se ha una fotocamera o un microfono, an-
che sotto i 250 grammi il drone e il suo pilota andranno
registrati sul portale D-Flight, per ottenere il QR code
univoco da applicare sul velivolo. Sopra i 250 grammi è
sempre obbligatoria la registrazione su D-Flight. Come
da normativa vigente, è inoltre sempre obbligatoria la
sottoscrizione di un’assicurazione per la responsabilità
civile, indipendentemente dalla classe del velivolo, an-
che su suolo privato. Dalla classe C1 in su, cioè per droni
con massa uguale o superiore ai 250 grammi essenzial-
mente, invece, è anche obbligatorio effettuare il corso
online per acquisire l’Attestato di Competenza, al fine di
certificare che il pilota abbia conoscenze di base su temi
come la sicurezza aerea, le limitazioni dello spazio ae-
reo, regolamentazione aeronautica, GDPR e gli obblighi
assicurativi. Su questo punto l’ENAC si è già adeguato e
già dal 1 marzo è possibile effettuare l’esame online per
conseguire l’attestato, che avrà durata 5 anni e che dal
1 luglio sarà obbligatorio. Per ottenerlo, basta scaricare
il materiale didattico, studiarlo e quindi effettuare il test
online, che prevede 40 domande a scelta multipla sui
vari argomenti trattati.
Cosa posso e non posso fare con il mio droneCome detto, dal primo luglio 2020 entrerà in vigore la
nuova classificazione, con le categorie A1, A2 e A3. A se-
conda della classe del proprio velivolo si potrà operare il
drone in una di queste categorie aperte che prevedono
alcune limitazioni, specie riguardo alla possibilità di av-
vicinarsi e sorvolare le persone inconsapevoli, in pratica
passanti e altre persone non direttamente coinvolte in
eventuali riprese o altre attività effettuate con il drone.
Le persone invece coinvolte, come assistenti o soggetti
partecipi delle riprese, devono essere informati sull’ope-
segue a pagina 26
Il DJI Mavic 2 Pro, con i suoi 907 grammi potrà essere utilizzato fino al 1 luglio 2022 per ope-razioni in categoria A2, con doppio esame per il pilota. Finito il periodo transitorio potrà essere utilizzato solo con distanza di sicurezza di 150 metri dalle aree abitate.
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MAGAZINEn.221 / 204 MAGGIO 2020
VIDEO CREATIVO
Droni, la guida al nuovo regolamento europeosegue Da pagina 25
ratività dell’attività e aver dato il loro consenso esplicito.
Nel dettaglio, le operazioni di volo Open vengono così
classificate:
-Categoria A1, Droni C0 (<250g): sarà possibile operare
il velivolo anche sorvolando persone non coinvolte, ma
mai assembramenti, nel rispetto della quota massima
dei 120 metri e in visibilità ottica. Se il drone è dotato di
modalità Follow Me, quando in uso il pilota deve tenere
una distanza massima di 50 metri;
-Categoria A1, Droni C1 (<900g): rispetto alla classe C0,
è obbligatorio l’attestato di competenza per l’operatore
e occorre evitare il sorvolo delle persone non coinvolte.
Se si verifica questa eventualità, il pilota deve cercare di
ridurre il più possibile il tempo di sorvolo. I droni classe
C1 devono essere inoltre dotati di transponder;
-Categoria A2, Droni C2 (<4kg): rispetto alla categoria
A1, sarà possibile operare velivoli di classe C2 rispet-
tando però una distanza orizzontale di sicurezza di 30
metri dalle persone non coinvolte. Il pilota potrà ridurre
la distanza fino a 5 metri di distanza a patto di mante-
nere una velocità massima di 3 metri/s. La modalità a
velocità limitata a 3 m/s è un requisito essenziale dei
droni di classe C2. Non solo è obbligatorio l’attestato di
competenza del pilota, ma si richiede anche di certifica-
re l’addestramento pratico e un ulteriore esame teorico
su meteorologia, prestazioni di volo dei droni e misure
di attenuazione dei rischi a terra. In assenza di questo
secondo attestato, si potrà volare solo in categoria A3;
-Categoria A3, Droni C2, C3 e C4 (<25kg): rispetto all’A2
vengono introdotte ulteriori limitazioni. Non è permesso
operare il drone in spazi dove sono presenti persone
non coinvolte. Occorre mantenere la distanza di sicurez-
za orizzontale di 150 metri da “zone residenziali, com-
merciali, industriali o ricreative”. E naturalmente il pilota
deve aver completato l’esame e aver ottenuto l’attestato
di competenza.
Come faccio a sapere la classe di appartenenza del mio “vecchio” drone? Cosa cambia?I droni prodotti e distribuiti in conformità con il nuovo
regolamento europeo, oltre ad avere il nuovo bollino
CE previsto dalla normativa, dovranno anche riportare il
logo della classe di appartenenza (C0, C1, ecc.). Il rego-
lamento prevede giustamente un periodo transitorio per
tutti i modelli di droni immessi sul mercato prima dell’en-
trata in vigore delle nuove regole, sprovvisti di marchio
CE e valido fino al 1 luglio 2022. Come è possibile dun-
que sapere quali categorie di operazioni sono concesse
con droni che non seguono la nuova classificazione? La
norma fino all’1 luglio 2022 stabilisce quanto segue:
-I droni con peso al decollo inferiore ai 250 grammi po-
tranno essere utilizzati in operazioni di categoria A1 C0;
-I droni con massa al decollo inferiore ai 500 grammi po-
tranno operare secondo i requisiti della categoria A1 C1,
quindi con obbligo di attestato;
I droni con massa compresa tra 500 grammi e 2 chili
potranno operare secondi i requisiti della categoria A2,
ma con una distanza minima di 50 metri dalle persone,
anziché 30 metri e con l’obbligo del doppio attestato;
I droni con massa tra i 2 e i 25 chilogrammi potranno
operare solo in categoria A3 e con l’obbligo di attestato
di competenza.
Il DJI Mavic 2 Pro, con i suoi 907 grammi potrà essere
utilizzato fino al 1 luglio 2022 per operazioni in catego-
ria A2, con doppio esame per il pilota. Finito il periodo
transitorio potrà essere utilizzato solo con distanza di
sicurezza di 150 metri dalle aree abitate. Alla fine del
regime transitorio, tutti i droni prodotti prima del primo
luglio 2022 e non aderenti ai requisiti del nuovo rego-
lamento, ricadranno necessariamente in uno dei due
seguenti casi:
-I droni con peso al decollo inferiore ai 250 grammi po-
tranno essere utilizzati in operazioni di categoria A1 C0;
-I droni con peso uguale o superiore ai 250 grammi e
fino a 25 Kg potranno essere utilizzati in operazioni di
categoria A3.
Sostanzialmente, a partire dall’1 luglio 2022, tutti i droni
non conformi al nuovo regolamento, non potranno es-
sere utilizzati in prossimità di persone non coinvolte e
si dovrà tenere la distanza di 150 metri da zone abitate
e fabbricati: in pratica continueranno a valere le norme
oggi in vigore e non si potrà beneficiare delle concessio-
ni offerte dal regolamento europeo.
Come conseguire l’attestato di competenzaIn attesa che si possa tornare all’area aperta e riprende-
re a far volare i nostri droni, si può approfittare di queste
settimane per studiare e preparare l’esame per ottenere
l’attestato per pilotare i droni con peso uguale o superio-
re ai 250 grammi, o di peso inferiore con videocamera.
Il materiale didattico è disponibile in PDF a questo in-dirizzo. L’esame può essere svolto online sul portale ap-
posito allestito da ENAC registrandosi qui. Per accedere
occorre essere in possesso dell’identità digitale SPID.
I candidati potranno effettuare due tentativi al giorno. In
caso di insuccesso dovranno aspettare due giorni prima
di poter ripetere il test. Nel caso di 6 insuccessi consecu-
tivi, si potrà accedere nuovamente all’esame solo dopo
30 giorni. Il costo dell’esame è di 31 euro e il pagamento
avviene solo a test superato. L’esame è composto da 40
domande, con un punteggio massimo complessivo di
80 punti. Per poter superare l’esame occorre totalizzare
almeno 60 punti.
di Roberto PEZZALI
L a nuova EOS R5 sta per riscrivere
nuovamente il settore video delle
mirrorless, alzando l’asticella ad un
livello dove nessuno si era ancor spinto.
Della EOS R5 sapevamo che sarebbe
stata in grado di registrare video anche
in 8K, tuttavia i dettagli che arrivano nelle
ultime ore, diramati da Canon, ci mettono
davanti ad una macchina professionale
che può competere in molti aspetti con
mostri sacri della ripresa video come le
Arri, le RED e le Sony. La registrazione
video a 8K sarà infatti su scheda interna,
e sarà possibile sia in formato RAW fino
a 29.97 fps sia in formato 4:2:2 a 10-bit
Canon Log (H.265) o 4:2:2 10-bit HDR
PQ (H.265), quindi a gamma dinamica
estesa. Più che l’8K è interessante però
la ripresa 4K HFR, ovvero a frame rate
elevato, quello che dovrebbe diventare
lo standard per molti documentari o per
eventi sportive, funzione questa che
solo alcune videocamere professionali
hanno. La EOS R5 registrerà video in 4K
fino a 119.88 fps in 4:2:2 10-bit Canon Log
(H.265)/4:2:2 o in 10-bit HDR PQ (H.265).
Usando un registratore 4K esterno, come
un Atomos, si potrà registrare video 4K
fino a 59.94 fps. Non ci sarà crop del
sensore, sia in modalità 4K sia in moda-
lità 8K: utilizzando le modalità 8K RAW
e 8K/4K DCI verrà utilizzato interamen-
te il sensore, mentre
usando la modalità Full
HD ci sarà un minimo
ritaglio dovuto alle pro-
porzioni. Altro dati inte-
ressante è la presenza
del sistema di messa a
fuoco Dual Pixel in tutte
le modalità di registra-
zione, sia 8K che 4K,
così come della regi-
strazione Canon Log, quindi un file da la-
vorare poi aggiungendo una LUT in fase
di post produzione. Per la prima volta su
una Canon, poi, sarà presente anche la
stabilizzazione a 5 assi sul sensore, che
lavorerà comunque con la stabilizzazione
VIDEO CREATIVO Canon ha diramato ulteriori informazioni sulla EOS R5, che sta per riscrivere il settore video delle mirrorless
Canon EOS R5, mirrorless con RAW 8K e 4K a 120 fps Le specifiche tecniche lasciano a bocca apertaUna fotocamera che, solo dal punto di vista video, stupisce: sulla carta riesce a fare cose che neppure le RED riescono a fare
presente sulle lenti Canon stabilizzate.
Nei mesi scorsi Canon ci aveva detto
che sarebbe stata una fotocamera con
due slot per le card di memoria: oggi
sappiamo che uno slot è per le card
CFexpress e uno per le SD UHS-II.
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MAGAZINEn.221 / 204 MAGGIO 2020
Cambiano i prezzi di Now Tv: HD sempre incluso, ma non da PC e smartphoneL’offerta di Sky in streaming si modifica con un nuovo listino, in vigore il 27 maggio per vecchi e nuovi clienti. Arriva il pass Kids e tutti i programmi potranno essere visti su due schermi in contemporanea di Pasquale AGIZZA
Now TV modifica la propria offer-ta, con un nuovo listino e una rior-ganizzazione dei pacchetti dal 27 maggio. Tutti i pass includeranno l’alta definizione e daranno la pos-sibilità di accedere alla program-mazione di Sky con due dispositivi in contemporanea (tranne il pac-chetto Sport). L’offerta di Now TV sarà composta dal Pass Cinema, a 9,99 euro al mese, dal Pass Enter-tainment, che comprende le serie TV, anch’esso a 9,99 euro e che può essere abbinato al Cinema per un costo di 14,99 euro al mese, dal nuovo Pass Kids che proporrà, a 3,99 euro al mese, una selezione di contenuti per i più piccoli, e il pass Sport, con Super HD, a 29,99 euro al mese. Tutti i pass includeranno l’alta definizione e sarà possibile visualizzare la programmazione di Cinema, Entertainment e Kids su due schermi in contemporanea. L’alta definizione non è disponibile da PC, smartphone o tablet. Inoltre alcuni canali che fanno parte dei pass non sono disponibili in alta risoluzione. Per chi è già cliente Now Tv non ci sarà nessun costo aggiuntivo. L’offerta si modificherà in automatico e gratuitamente.
di Massimiliano DI MARCO
I l contratto per i diritti TV della stagio-
ne 2019/2020 della Serie A deve es-
sere rispettato senza se e senza ma.
Ecco la posizione della Lega sull’even-
tualità che i licenziatari dei diritti, cioè
Sky, Dazn e Img (per l’estero), possano
chiedere di non pagare la quota in sca-
denza. Sul piatto ci sono 220 milioni da
pagare il 1 maggio, di cui 130 milioni solo
da Sky. La notizia è stata riportata inizial-
mente da Repubblica, ma DDAY ha potu-
to verificarne la veridicità. La Lega Serie
A è compatta: nessuna esclusione per il
pagamento dei diritti TV per la stagione
in corso. C’è maggiore apertura, invece,
per quel che riguarda un possibile scon-
to per la prossima stagione. Insomma,
i club hanno fatto i propri conti con il
budget stagionale previsto dall’incasso
per i diritti TV concessi a Sky, DAZN e
Img: senza di essi, ritengono le società,
verrebbero meno le fondamenta econo-
miche necessarie per il sostentamento
aziendale. L’eventuale mancanza di un
incasso dai diritti televisivi, infatti, si ag-
giungerebbe, per esempio, alle perdite
degli introiti dagli stadi.
Sky pressa per uno sconto. DAZN chiede una proroga della rataNaturalmente, la pensano diversamente
le pay TV, in considerazione che nessu-
na partita di Serie A viene trasmessa dal
9 marzo, cioè da quando il campionato
è stato bloccato poiché le misure restrit-
tive in vigore per il coronavirus hanno
condotto alla decisione di sospendere
la competizione. Per tale ragione, Sky
aveva avanzato la proposta di scontare
il pagamento per la prossima stagione,
con una forbice tra i 100 e i 190 milioni di
euro. In totale, Sky paga alla Lega Serie
A 750 milioni di euro l’anno. Nell’ultima
assemblea di Lega è stata confermata
la volontà, da parte di tutte e venti le
società, di portare a termine la stagione
“qualora il Governo ne consenta lo svol-
gimento, nel pieno rispetto delle norme
a tutela della salute e della sicurezza”.
Una fonte vicina a DAZN ha conferma-
to che si stanno svolgendo una serie
di conversazioni confidenziali e private
finalizzate, in puro spirito di collabora-
zione, a individuare la migliore soluzio-
ne possibile per ribilanciare la situazio-
ne, alla luce dell’impatto sul business
e sull’intero mercato che due mesi di
sospensione del campionato di calcio
hanno avuto. Per tale ragione, DAZN
ha chiesto una proroga al pagamento
dell’ultima rata, cioè quella prevista per
i primi giorni di maggio. La trattativa tra
le due parti (la Lega e le pay TV) resta
quindi aperta, sebbene la Lega Serie
A sembra aver posto di fronte a sé un
muro invalicabile, almeno per i paga-
menti relativi all’attuale stagione. La
partita (almeno questa) va avanti.
ENTERTAINMENT Risultati Spotify del primo trimestre 2020
Gli utenti Spotify ai tempi del virus Abbonati +31% rispetto al 2019
di Alessandro CUCCA
Come era facile prevedere, Spo-
tify, così come altri servizi di in-
trattenimento via streaming, ha
incrementato il giro di affari in questi
tempi di pandemia. In questo primo
trimestre del 2020 infatti, gli abbonati
di Spotify sono saliti fino a raggiun-
gere il totale di 130 milioni nel mon-
do (+31% rispetto allo scorso anno),
consolidando in questo modo la sua posizione di leader, nel mercato dello streaming
musicale, di fronte ad Apple e Amazon. Gli introiti di Spotify sono generati dal giusto mix
tra quote di abbonamento e proventi pubblicitari derivanti dagli annunci mostrati ai non
abbonati. Se in questo periodo Spotify ha perso qualcosa sul fatturato pubblicitario, ha
recuperato sul totale grazie all’aumento a doppia cifra degli abbonati, realizzando un
incremento del 22% rispetto all’anno precedente, anche se di pochissimo inferiore alle
previsioni degli analisti.Nelle ultime settimane di marzo, Spotify ha visto crescere il suo
utilizzo da casa, dove in tanti adesso sono costretti a restare e lavorare, contro un calo
significativo degli accessi alla piattaforma da mobile. Chi ha usufruito di Spotify da casa
inoltre, lo ha fatto sempre di più tramite una console, sia Xbox sia PlayStation. Per il tri-
mestre che verrà, quello che si conclude a fine giungo, Spotify si aspetta di raggiungere
una quota di abbonati tra 133 e 138 milioni, mentre gli analisti prevedono di tagliare il
traguardo dei 136, 5 milioni di iscritti totali. Questo risultato porterebbe i ricavi totali a in
un intervallo tra 1,75 e 1,95 milioni di euro, contro i 2,02 attesi.
ENTERTAINMENT La Lega Serie A chiede che il contratto sia rispettato senza ulteriori discussioni
Scontro sui diritti TV della Serie A La Lega vuole i soldi, Sky e DAZN trattareLe pay TV chiedono di trattare perché dal 9 marzo non è stata trasmessa alcuna partita di campionato
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MAGAZINEn.221 / 204 MAGGIO 2020
Amazon Prime Video: adesso si possono anche acquistare e noleggiare filmAmazon lancia anche in Italia lo store per il noleggio e l’acquisto di film tramite Prime Video. In catalogo le novità cinematografiche Disney, Warner, NBCUniversal, Sony, Paramount, Lionsgate, Rai Cinema e Medusa Film di Paolo CENTOFANTI
Amazon ha annunciato l’estensio-ne anche all’Italia del servizio di noleggio e acquisto di film tramite Prime Video. Lo store di video on demand, che era già disponibile negli Stati Uniti, Regno Unito, Ger-mania e Giappone, va ad affianca-re l’offerta in streaming in abbona-mento, aggiungendo il catalogo delle ultime novità cinematografi-che. Le modalità sono praticamen-te le medesime degli altri servizi di video on demand: noleggio con diritto di visione di 48 ore e 30 giorni per iniziare la prima riprodu-zione, acquisto per poter vedere per sempre il film e aggiungerlo alla propria libreria. I film potranno essere riprodotti con tutti i disposi-tivi per cui è disponibile l’app Pri-me Video e occorrerà un account Amazon per poter effettuare l’ac-quisto, che potrà avvenire via web o in app su Android, Smart TV e dispositivi Fire TV. Niente acquisto in app per il momento in Italia su dispositivi iOS, anche se questa possibilità è stata aggiunta per Sta-ti Uniti, Regno Unito e Germania.Nel catalogo non sono disponibi-li serie TV. I film sono disponibili apparentemente solo in full HD, quindi niente 4K, ma quanto meno in HDR.
di Gaetano MERO
L e principali associazioni dell’industria
cinematografica hanno firmato una
lettera comune indirizzata all’Unio-
ne Europea per chiedere un intervento
urgente a contenimento dell’impatto
economico e sociale della pandemia sul-
l’intero settore. Il comparto cinematogra-
fico e audiovisivo, rappresentato da APA,
ANAC, ANICA, EPC, Europa Cinemas,
FAPAV, FIAPF, IVF, MPA, UNIC, Univideo
e 100 Autori, si appella dunque a Bruxel-
les per un intervento in grado di salvare il
futuro del settore fortemente penalizzato
dall’impatto del lockdown e dal distan-
ziamento sociale in vigore nei Paesi del-
l’Unione Europea. “Riteniamo necessario
un intervento immediato da parte delle
Autorità” si legge nella missiva. “Senza un
forte impegno europeo, il settore rischia
di non poter superare l’impatto di questa
crisi senza precedenti”.
Già persi 5 miliardi di dollari nel mondoSecondo le prime stime effettuate, il set-
tore nel mese di marzo ha già segnato
una perdita a livello globale di 5 miliardi di dollari. Cifra chiaramente destinata a
salire fino alla riapertura delle sale, che
rimane tuttora senza una data certa.
Tra i fattori che preoccupano le associa-
zioni c’è anche il tempo: “L’impatto deva-
stante della pandemia sull’industria non si
fermerà quando si riprenderà la vita di tut-
ti i giorni, piuttosto, potrebbe dimostrarsi
molto più profondo di quanto avessimo
immaginato. I suoi effetti continueranno a
farsi sentire in profondità nel tempo”. Le
proposte alternative sono state avanzate
principalmente dalle piattaforme strea-
ming, che hanno iniziato ad offrire da
qualche settimana la visione in antepri-ma assoluta di alcuni titoli sostituendosi
di fatto al cinema. Un impegno che tut-
tavia le associazioni ritengono non suffi-
ciente, al fine di riprendere investimenti e
produzioni interrotte, e che necessita un
forte sostegno da parte delle istituzioni.
Le associazioni di categoria si appellano
inoltre all’utilità dello mezzo cinematogra-
fico il quale “potrà rappresentare un va-
lido canale per i dibattiti e le discussioni
che nasceranno attorno al post-Covid-19
e che saranno essenziali per le democra-
zie europee al termine dell’emergenza”.
ENTERTAINMENT Il settore si rivolge all’Unione Europea per un urgente intervento a propria tutela
Coronavirus, il cinema si appella all’UE “Chiediamo un intervento urgente”Perdita globale di 5 miliardi di dollari. “Impatto devastante sull’industria dell’intrattenimento”
di Alessandro CUCCA
Come già riportato, WhatsApp ave-
va cambiato le regole per i mes-
saggi considerati “virali”, limitando
l’inoltro al massimo a una chat per volta.
WhatsApp considera “virali” quei mes-
saggi inoltrati più di 5 volte e su questi
applica i limiti di cui sopra, impendendo
che da un certo momento in poi questi
vengano mandati a più di una persona
per volta. I risultati di questo cambio di
impostazione non hanno tardato ad ar-
rivare, e oggi WhatsApp è in grado di
annunciare una riduzione del 70% dei
messaggi virali scambiati tramite la sua
piattaforma.
Limiti di questo tipo esistono dal 2018
e sono stati testati in maniera diversa in
vari paesi. In India, per esempio, all’inizio
il limite di successivi inoltri era di 5 per-
sone e questo portò all’epoca a un calo
del 25% della diffusione di messaggi vi-
rali. Con l’estensione di limiti simili a tutti
gli utenti del mondo siamo giunti oggi ai
risultati appena dichiarati.
Ovviamente, grazie alla cifratura dei
messaggi, WhatsApp non può dire con
certezza quanto questo calo di diffusio-
ne riguardi i messaggi illegali e di false
informazioni, ma si limita a osservare
un generico calo del traffico di messag-
gi scambiati, ipotizzando che l’impatto
maggiore riguardi proprio quel genere
di contenuti, a salvaguardia delle con-
versazioni private e personali.
APP WORLD WhatsApp ha dichiarato di aver visto ridurre il traffico dei messaggi “virali”
Stretta sui messaggi virali su WhatsApp calo del 70%Aver limitato il numero di inoltri possibili a una chat per volta, ha dato i risultati attesi
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MAGAZINEn.221 / 204 MAGGIO 2020
di Sergio DONATO
U na tecnologia apripista, una diversa filosofia
di piega, e un sistema operativo da ricostruire.
Mate XS è il pieghevole di Huawei che fa del
coraggio la sua caratteristica migliore, anche per il
mondo che si è trovato intorno nel momento in cui è
stato sviluppato e poi distribuito: la messa al bando
americana e la pandemia da coronavirus, come se
uno schermo pieghevole, che rende il Mate XS uno
smartphone costosissimo da 2.599 euro, non fosse
già abbastanza. Lo abbiamo stressato per bene, il
pieghevole all’avanguardia di Huawei, scovandone i
punti deboli e quelli di forza.
I punti cardine del Mate XS da avere ben chiariIl Huawei Mate XS ha uno schermo da 8” in polime-
ro plastico che si piega, e non un display che si apre.
Sebbene sia di fatto la stessa cosa, la sottile differenza
nel concetto di piega identifica la filosofia seguita da
Huawei per realizzare il suo pieghevole.
Lo schermo da 8” è “teso” e piegandosi verso l’ester-
no si aggancia a un sistema di blocco meccanico
posto sul retro. Il display non è contenuto e protet-
to da un ipotetico libro che si chiude, come avviene
per il Galaxy Fold di Samsung, ma l’esatto opposto.
Lo schermo è la copertina di un libro immaginario, e
quando si preme il meccanismo di sgancio si apre con
un piccolo scatto. Sta poi al proprietario completare
l’apertura dello schermo usando le due mani, fino a
raggiungere l’estensione completa di 8”. Il Mate XS
ha un sistema operativo basato su Android 10 e con
interfaccia grafica EMUI. Come sappiamo, non si tratta
dell’Android in salsa Google con i relativi servizi GMS
(Google Mobile Services): il Mate XS si serve degli
HMS (Huawei Mobile Services), con un l’App Gallery
al posto del Play Store. Un punto da tenere bene a
mente, e che per forza di cose è uno dei principali nel-
la valutazione complessiva del pieghevole Huawei.
Quella che potete leggere dopo è la recensione lega-
ta al prodotto: tutte le considerazioni legate al sistema
TEST Huawei Mate XS arriva da noi nella versione migliore del pieghevole Huawei. Il Mate XS è l’acquisto consapevole per eccellenza
Huawei Mate XS. La forza è nello schermo pieghevole Ma il prezzo spaventa: 2599 euroMate XS deve convivere con 3 nodi indistricabili: il prezzo, i casi d’uso e la mancanza delle Google Apps. Un coraggio apprezzabile
operativo le abbiamo raggruppate in una lunghissima
guida con tutte le formazioni necessarie, in piena tra-
sparenza.
Com’è fatto il Huawei Mate XSIl pieghevole di Huawei arrivato in Italia è una evolu-
zione della prima versione, mai commercializzata nel
Belpaese e conosciuta semplicemente con il nome di
Huawei Mate. Il Mate XS ha una cerniera più robusta,
una chiusura meccanica posteriore migliorata e anche
uno schermo più curato, soprattutto nella piega cen-
trale. Lo schermo è un OLED composto da due strati
di polimeri (un poliimmide di tipo aerospaziale) attac-
cati al telaio con una “colla mobile”, lo strato superiore
scorre su quello inferiore per facilitare la piega e dare
flessibilità allo schermo. Lo schermo è “soffice”. Non
è gommoso, ma senza dubbio non ha la durezza del
vetro. Nell’uso quotidiano, questa caratteristica non
ha alcuno svantaggio. Solo il suono è leggermente più
ovattato rispetto a un equivalente in vetro, specie se lo
schermo viene picchiettato con l’unghia.
Aprendosi in due sezioni che naturalmente restano
unite, il Mate XS ha uno spessore che cambia se le
sezioni sono ripiegate o completamente estese. Lo
spessore più piccolo è di 5,4 mm, quello più grande
Huawei Mate XSUNA PIEGA A CARO PREZZO 2599,00 €
Mate XS è la sua piega. Lo smartphone pieghevole di Huawei punta tutto sulla sua caratteristica speciale e al momento unica nel panorama degli smartphone: quella piega verso l’esterno che segue una filosofia opposta rispetto all’unico rivale al momento sul mercato, il Galaxy Fold.La scelta è giusta, in questo modo lo smartphone, anche da piegato, offre al proprio utente uno schermo che egli avrebbe trovato anche in un prodotto non pieghevole. Almeno per il suo utilizzo. La resistenza è un altro paio di maniche e solo il tempo può essere un recensore affidabile.Ma il Mate XS risulta sempre utilizzabile, e se si ha necessità dello schermo più grande, lo si apre. Non si è quindi “costretti” a farlo: in questo modo lo schermo da 8” diventa davvero una possibilità in più. Certo, è sostanzialmente più fragile, ma non nella cerniera, che invece sembra pronta a fronteggiare qualsiasi difficoltà e, per il momento, senza scricchiolii.In questo scenario bellissimo fanno da contrasto due antagonisti: la mancanza delle Google Apps, o meglio, dei servizi GMS di Google, e il prezzo. Con la prima, a patto di essere utenti consapevoli, si riesce a convivere, pur rinunciando a tutto ciò che è legato alla “cronologia” di un profilo Google con anche le varie personalizzazioni: perché molte app made in Google funzionano senza problemi. Il prezzo, invece, che per forza di cose deve tenere conto anche della mancanza dei servizi Google, è altissimo. 2.599 euro è il costo di una tecnologia apripista che però devo anche lottare con i denti per trovare la sua nuova via software. Queste due limitazioni sono il prezzo che questa volta è il Mate XS a dover pagare. Ci è piaciuto però il coraggio di Huawei, e la voglia di provare a fare le cose per bene “nonostante tutto”, e di indicare una strada nuova e inesplorata nel mondo dei dispositivi mobili.
Qualità Longevità Design Semplicità D-Factor Prezzo
8 7 9 7 9 67.6COSA CI PIACE COSA NON CI PIACEFilosofia di piega esterna. Utile solo quando serveCerniera resistenteAdattabilità delle app a schermo aperto
Qualche dubbio sulla durata dello schermo in polimeroSoftware delle fotocamere non ancora perfettoMancanza dei servizi Google
lab
video
segue a pagina 30
torna al sommario 30
MAGAZINEn.221 / 204 MAGGIO 2020
di 11 mm. In ogni caso, anche quando è aperto, il Mate
XS ha sempre lo spessore più grande rappresentato
dalla “barra verticale” posteriore che ospita le fotoca-
mere e il meccanismo di chiusura, e che funge anche
da comoda “maniglia” per il suo trasporto o il suo
utilizzo. Sulla falsariga delle maniglie delle macchine
fotografiche, per rendere l’idea. Sul bordo destro c’è il
sensore d’impronte a sfioramento, che può essere an-
che premuto per l’accensione del telefono o per altre
funzioni, e il bilanciere del volume. Sul bordo superio-
re c’è il cassetto per le due SIM. Su quello inferiore ci
sono l’altoparlante mono, i microfoni e la porta USB-C
per connettere il Mate XS al PC oppure per ricaricarlo
con il cavo e il caricabatterie in dotazione: un 65W con
SuperCharge che porta la batteria dal 5% al 90% in
soli 30 minuti. La batteria è una coppia di due celle da
2.250 mAh l’una per un totale di 4.500 mAh.
Sul bordo sinistro non c’è “niente” quando il Mate XS
è aperto, a parte l’aggancio per la chiusura meccanica.
Quando invece è chiuso, il bordo ovviamente diven-
ta la sezione nera dello schermo piegato, che perde
qualsiasi funzione tattile.
Dentro c’è un nuovo processore rispetto alla prima
versione Mate. Nell’XS c’è un octa-core Kirin 990 con
modem 5G e GPU Mali-G76 a 16 core. Il telefono ha 8
GB di RAM e ben 512 GB di spazio per l’archiviazione.
Le fotocamere posteriori meritano un discorso a parte,
e per adesso diciamo che sono quattro e hanno uno
sviluppo verticale. Il sensore principale è lo stesso 40
MP visto sul P30 Pro, che può diventare da 10 MP in
modalità “binned” e che si abbina a un’ottica da 27
mm f/1.8. Poi c’è l’ultra-grandangolare da 17 mm f/2.2
da 16 MP, il teleobiettivo da 8 MP che gestisce le focali
81 mm e 135 mm con apertura f/2.4 e che ha la stabi-
lizzazione OIS; e infine c’è la camera con sensore ToF
per la mappa di profondità.
Una custodia che diventa una parte imprescindibile del Mate XSAbbiamo dunque imparato che lo schermo del Mate
Xs si piega in fuori, non in dentro. Quando è piegato,
la parte anteriore equivale a uno display di 6,6” con
risoluzione 2480 x 1148 pixel, e quella posteriore a uno
di 6,38” con risoluzione di 2480 x 892 pixel. Quando
è aperto, lo schermo da 8” ha ovviamente una risolu-
zione che somma le due orizzontali, quindi diventa da
2480 x 2200 pixel.
Già dal diverso numero di pixel utilizzabili quando sono
ripiegati, si capisce che i due schermi (che di fatto è
sempre e solo uno: teniamolo sempre in considerazio-
ne) hanno fattori di forma diversi. Quello posteriore è
molto più stretto e lungo e, da chiuso, viene usato pra-
ticamente solo per i selfie e per una funzione specifica
dell’app della fotocamera (che permette di far vedere
al soggetto ripreso come verrà in foto).
In realtà, lo schermo posteriore svolge un lavoro du-
rissimo e inusuale per un qualsiasi altro display, alme-
no con questa costanza. Diventa inevitabilmente la
superficie su cui poggia il telefono per la gran parte
del tempo.
Non ci sono altri spessori - per esempio sul montante
verticale che ospita le fotocamere - quindi lo scher-
mo posteriore incontrerà la superficie dura di mobili,
TEST
Huawei Mate XSsegue Da pagina 29
scrivanie o tavoli. Il polimero di plastica che serve da
schermo è in sostanza ciò che in altri telefoni è un re-
tro di vetro super resistente che di solito fronteggia
il rischio di graffi e piccoli urti. La custodia, fornita in
dotazione, deve quindi essere considerata come una
parte fondamentale del Mate XS e del suo aspetto, ed è
il motivo principale per cui compare spesso nelle foto a
corredo di questa recensione. Il non usarla è una scelta,
ma il suo impiego diventa quasi un obbligo.
Si tratta di una cornice in materiale plastico dotata di
adesivi che abbraccia tutto il Mate XS. È ingegnerizzata
molto bene e lo spessore aggiuntivo, contrariamente
alle nostre aspettative, non si nota tantissimo: tranne
che per gli unici punti in gomma in corrispondenza dei
due perni delle cerniere. Sono l’unica nota stonata. Stan-
no quasi sempre al loro posto, ma la formazioni di certe
gobbette sono inevitabili e capita di ritrovarsi a spingerle
in giù con il pollice.
Con la cover montata, il retro del Mate XS poggia sui
bordi della custodia stessa e lo schermo posteriore è
molto più al sicuro da abrasioni e attriti vari e inevitabili.
All’inizio avevamo pensato che le linguette di plastica
della cover fossero protezioni, in realtà sono adesivi: la
cover è talmente sottile che è fatta di profili incollati al
telefono. Una volta montata, la cover non può essere
più tolta. Bisogna però specificare che nella confezione
dello smartphone Huawei ha inserito un foglietto di istru-
zione che lo indica con chiarezza.
La cover protegge un po’ dagli urti ma non è risolutiva: lo
schermo resta sempre un polimero plastico e abbiamo
già notato, nel corso della nostra recensione, la compar-
sa di alcuni piccoli segni sullo schermo posteriore.
Le possibilità offerta da uno schermo pieghevoleInutile girarci intorno, è lapalissiano. Il Mate XS lo si
compra per lo schermo pieghevole e per l’uso che
se ne vuole fare. Oppure, per attirare l’attenzione. La-
sciamo da parte quest’ultima possibilità, che non porta
argomenti alla recensione e vediamo più da vicino co-
m’è interagire con lo schermo pieghevole da 8”.
La prima cosa da mettere in evidenza è che per aprirlo
e chiuderlo completamente servono due mani. Certo,
in caso di emergenza si può fare l’una o l’altra cosa
servendosi di un supporto rigido momentaneo: anche
una gamba, o il bordo di un tavolo.
Per chiuderlo è sufficiente fare una leggera pressio-
ne sui bordi e completare il movimento fino a rag-
segue a pagina 31
torna al sommario 31
MAGAZINEn.221 / 204 MAGGIO 2020
giungere il meccanismo di blocco posto sul retro. Per
aprirlo bisogna premere lo stesso meccanismo, e lo
schermo fa uno scatto che lo porta a sollevarsi di circa
45° in un attimo. Se lo si lascia stare, arriva lentamente
fino a un angolo di 90°: a quel punto serve l’interven-
to della persona per completare l’apertura. Quando
è acceso, lo schermo, che sia aperto o chiuso, ha un
tenue “color shifting” virato al verde quando viene in-
clinato in qualsiasi direzione anche solo di 10°, ma è
talmente contenuto che non disturba. L’uso del touch
non incontra problemi nella convivenza con la natura
pieghevole dello schermo. È sempre molto reattivo.
Qualche leggera difficoltà la si trova sul bordo sinistro,
quando il Mate XS è chiuso, e si provano a compiere
lavori di precisione, come lo spostamento del cursore
per l’inserimento del testo in un punto specifico. Ma
è un problema comune alla struttura curva, e che si
può presentare anche in smartphone tradizionali con
questa infelice soluzione.
Quando il Mate XS è aperto e viene utilizzato, la piega
centrale (o la zona che l’aveva ospitata da chiuso) non
dà problemi. Non è visibile alcuna deformazione del
display, specie se si naviga su pagine o si usano app
con sfondi molto luminosi. Al tatto si avverte un cam-
bio di uniformità solo con la digitazione a scorrimento,
quando si passa col dito nella zona centrale.
La cerniera non fa rumori strani e appare molto robu-
sta. Dopo i timori iniziali, l’apertura e la chiusura dello
schermo risulta naturale e offre una certa sicurezza.
Nel senso che dopo pochissimo tempo sparisce la
paura di danneggiare il dispositivo, che sembra co-
struito per affrontare dure battaglie.
Non abbiamo mai avuto difficoltà nell’adattamento
grafico delle app al passaggio da schermo chiuso a
schermo aperto o viceversa. Quelle di Huawei nate
insieme al telefono o installabili dall’App Gallery han-
no qualche accortezza grafica in più, ma anche quel-
le installate attraverso APKPure si sono comportate
sempre benissimo. Un esempio su tutti, Maps di Goo-
gle. Di certo, non un’app dei servizi HMS, che però
funziona e si adatta senza problemi. Naturalmente, lo
schermo da 8” consente anche la convivenza in mul-
tifinestra di due app, ma divise solo verticalmente, più
una fluttuante. Non tutte le app possono sfruttare il
multischermo al momento, ma è ipotizzabile che col
tempo saranno sempre di più. Tuttavia, le combina-
zioni provate ci hanno sempre soddisfatto. Per esem-
pio, Office da una parte e il browser dall’altra (di tutti i
browser provati, solo Chrome ed Edge non supporta-
no il multifinestra, mentre Brave, DuckDuckGo e Fire-
fox – ma solo se è la prima app a essere aperta – si
adattano senza problemi); oppure Lightroom e l’app
Galleria.
In molti casi, come quest’ultimo, è possibile trascinare
i contenuti di testo o multimediali con il dito da un’app
all’altra.
Una delle possibilità più intriganti offerte dal Mate
XS e dal suo schermo pieghevole è apparentemente
quella più banale: la visione delle foto appena scatta-
TEST
Huawei Mate XSsegue Da pagina 30
te ed eventualmente il loro editing.
Guardare una foto su uno schermo portatile di dimen-
sioni generose non è nulla di nuovo, ovviamente, ma
in questo caso si ha la mobilità di uno smartphone
e la capacità di ingrandirne lo schermo al bisogno
per rivedere la foto fresca di scatto. La sensazione
è senz’altro positiva, e le persone a cui lo abbiamo
mostrato hanno sempre reagito con un’espressione
di stupore. Non solo per lo schermo pieghevole, ma
per la foto da poter vedere in dimensioni maggiori ri-
spetto al solito e con le stesse condizioni di scatto,
cioè con uno smartphone.
Le fotocamere, buone ma con un software da rivedereI più attenti se ne saranno accorti, ma non è stata citata la
camera selfie tra le caratteristiche del Mate XS. Sempli-
ce, i selfie godono delle camere “posteriori” e della loro
qualità, dato che vengono scattati quando lo schermo
è chiuso. Se si prova a fare un selfie quando è aperto, il
Mate XS ci chiede di essere chiuso e di essere girato.
Quindi, si attiva lo schermo posteriore, più lungo e stret-
to, e si è pronti per il selfie. Tuttavia, il telefono rimane
completamente funzionante. Se arrivano, notifiche, se si
Ultragrandangolare 16 MP 17 mm
segue a pagina 32
Grandangolare 10 MP 27 mm
10 MP 40 MP
torna al sommario 32
MAGAZINEn.221 / 204 MAGGIO 2020
vuole navigare, se ci chiama qualcuno, possiamo usare
il Mate XS anche attraverso lo schermo posteriore. Tut-
te le gesture sono attive. Le fotocamere hanno lenti
LEICA Vario Summilux-H con aperture da f/1.8 a f/2.4
e con focali da 17 mm a 80 mm. Questo fa immediata-
mente sospettare che il 5x, che equivale a una focale
di 135 mm, sia uno zoom ibrido.
Il Mate XS, in modalità “Foto” può scattare in fatti con
quattro livelli di zoom: Ampio, che sfrutta il sensore
da 16 MP e ha una focale di 17 mm: 1x, che identifica
la camera principale con sensore binned da 40 MP e
focale da 27 mm; 3x, usato dal sensore da 8 MP per
il teleobiettivo da 81 mm; e poi c’è il 5x, che arriva
appunto a 135 mm grazie all’aiuto di un’interpolazione
digitale. In ogni caso, tutti gli scatti con il teleobiettivo
da 8 MP (3x o 5x) hanno un risoluzione di 10 MP. Signi-
fica che il Mate XS, per coerenza con le impostazioni
indicate nel menu, porta comunque la risoluzione di
scatto a 10 MP con un’interpolazione. È una pratica
già vista ai tempi del P30 Pro.
Il Mate XS non è un camera-phone, ma di certo non
poteva lasciare indietro il reparto fotografico, con-
siderando anche il suo costo. Le lenti LEICA sono
ottime, il sensore principale è molto probabilmente
quello da 40 MP del P30 Pro (e non quello del Mate
30 Pro), ma il software a corredo in alcuni casi risul-
ta un po’ ingolfato. Soprattutto negli scatti tele 5x, si
può essere testimoni di una indecisione dell’autofo-
cus, che in realtà sembra una titubanza del Mate XS
nell’applicare anche a schermo l’interpolazione per
la focale da 135 mm. Negli scatti con poca luce (sen-
za la modalità Notte) il Mate XS non si trova a suo
agio. I contorni possono apparire impastati. Inoltre,
può capitare un leggerissimo ritardo tra il momento
della pressione del tasto e lo scatto vero e proprio
della foto. Però, in interni mediamente illuminati da
luce solare il Mate XS recupera punti e porta a casa
delle buone foto.
Quando invece di luce ce n’è abbastanza, il Mate XS
si comporta molto bene con tutte le ottiche. Solo uno
zoom più approfondito rivela un po’ di impastamento
dei dettagli più complessi; ma la visione a schermo
dello scatto appena fatto di solito è sempre soddi-
sfacente. Gli scatti a “tutto sensore”, quindi da 40 MP,
TEST
Huawei Mate XSsegue Da pagina 31
cedono qualcosa alla gamma dinamica perché non
possono avvantaggiarsi della modalità binned come
per la risoluzione da 10 MP, cioè quando il sensore da
40 MP “rinuncia” a parte dei suoi pixel per recuperare
luminosità sulle ombre e sulle luci. È un compromes-
so già visto: se si vuole una risoluzione superiore bi-
sogna dire addio a una luminosità più uniforme, ma
che a volte può apparire anche più artificiale.
Di notte le cose non vanno benissimo, o meglio, i
risultati sono sufficienti solo quando gli scenari not-
turni hanno un po’ di luce artificiale a corredo. L’astro-
fotografia a mano libera è sconsigliata, perché le foto
risultano impastate. Il Mate XS purtroppo non pre-
vede altra funzionalità per gli scatti notturni se non
quella del “conto alla rovescia mentre si tiene fermo
lo smartphone”. Invece di proporre una soluzione di
rapidi scatti a diverse sensibilità da ricomporre, sce-
glie quindi (apparentemente) solo il tempo di posa
lungo, con risultati che possono essere anche diversi
a seconda dello scenario di scatto.
In modalità Pro, lo smartphone è capace di acquisire
immagini RAW in formato DNG. È possibile sceglie-
re la risoluzione delle foto, ma essa si riferisce ai file
JPG dello stesso scatto creato insieme al RAW, che
invece sarà sempre e soltanto da 40 MP se si usa lo
zoom 1x. Altrimenti si avranno 8 MP per il 3x e 16 MP
per l’ultra grandangolare, valori che per forza di cose
devono seguire pedissequamente la dimensione dei
relativi sensori dietro le ottiche.
RAW non molto prestanti, purtroppo. La luminosità è
complessivamente più bassa, e i sensore, non appli-
cando alcun processo ai dati ottenuti, mostrano foto
poco nitide che devono essere corrette in fase di
sviluppo. I video si comportano decisamente bene.
Risoluzioni da 720p a 16:9 4K, passando per tutte le
1080p con rapporto d’aspetto di 16:9, 19,5:9 e 21:9.
Tutte stabilizzate e senza crop, 4K compreso, che può
acquisire filmati anche a 60 fps.
Com’è usare il Mate XSIl Mate XS sconta un po’ il peso, 300 grammi, e la sua
forma quando è chiuso. 11 mm si sentono in tasca, e
poggiato sulla scrivania appare come un bel panetto.
Tuttavia, nell’uso quotidiano la cosa che più colpisce
è che il passaggio alle due dimensioni dello schermo
avviene sempre in modo naturale, e non si è mai trat-
tenuti dal volerlo fare. Se l’attività lo rende necessario,
il Mate XS si apre e si chiude volentieri e senza proble-
mi. La ricezione è sempre stata molto buona, compresa
quella del segnale Wi-Fi. Nessun perdita di connessio-
ne. Lo schermo principale da chiuso, non ha ovviamen-
te notch o hole-punch di sorta perché le fotocamere
sono tutte dietro e, per mantenere una linea più pulita
possibile, in Huawei hanno destinato la capsula aurico-
lare a una sottilissima linea forata. L’audio in capsula è
buono a patto che non si alzi troppo il volume, perché
altrimenti la voce dell’interlocutore risulta un po’ trop-
po gracchiante. Dall’altra parte ci hanno sentito sem-
pre molto bene. L’audio dell’altoparlante monofonico
è potentissimo, con le basse frequenze che vengono
fagocitate dalle alte se però si esagera con il volume.
Le cuffie in dotazione sono nella media e non hanno
stupito per qualità particolari. La batteria da 4.500 mAh
divisa in due celle (una per ogni sezione verticale del
Mate XS) si comporta benissimo. Porta a fine giornata
con molta tranquillità. Con un uso accorto si possono
raggiungere anche i due giorni di utilizzo. Ci riserviamo
però di fare il test batteria DDAY per aver dati molto più
precisi. Arriverà nelle prossime settimane.
Il Mate XS non scalda, se non leggermente quando è
in carica. Ma nell’uso quotidiano non si sono avvertiti
fastidi legati alle temperature. Huawei dichiara che per
il raffreddamento del Mate XS si è servita di una solu-
zione basata su una grafite flessibile che, al contempo,
deve seguire la natura pieghevole e la dissipazione bi-
lanciata del calore per i due settori uniti dalla cerniera.
torna al sommario 33
MAGAZINEn.221 / 204 MAGGIO 2020
di Roberto PEZZALI
i Phone SE, Special Edition. Dopo mesi di smartphone
con prezzi da capogiro, anche più di 1.000 euro, tro-
varsi davanti ad uno smartphone con la mela incisa
sul retro e un prezzo di listino di 499 euro fa sorridere.
Come fa sorridere anche il fatto che questo smartpho-
ne ha all’interno un processore che è più potente di
quello usato oggi da smartphone che costano pratica-
mente il doppio, l’A13 Bionic.
Tuttavia qui non è solo questione di potenza: avere a
bordo un processore A13, lo stesso dell’iPhone 11 Pro,
vuole anche dire avere la garanzia di uno smartphone
che verrà aggiornato per almeno 5 anni. Apple con il
nuovo iPhone offre concretezza: l’abito non fa il mona-
co. Niente schermi curvi giganti e niente tripla camera,
ma dimensioni compatte, ricarica wireless, protezione
dall’acqua e un corpo costruito con la solita maniacale
attenzione ai dettagli di Apple. E, forse l’aspetto più im-
portante, iOS a bordo con la certezza di aggiornamenti
costanti sotto il profilo della sicurezza e delle funziona-
lità. Ci troviamo davanti a quello che è in assoluto uno
dei prodotti più importanti di Apple negli ultimi anni:
l’iPhone SE è uno smartphone speciale, non esce ogni
anno ma esce solo quando Apple si rende conto che
ci sono tantissime persone legate al suo ecosistema
che hanno ancora in tasca modelli vecchi, iPhone 6,
iPhone 6S, iPhone 7. Persone che vorrebbero anche
cambiarlo, ma non vogliono (o non possono) spendere
quello che viene chiesto oggi da Apple per un iPhone
XR o per un iPhone 11 e non hanno alcuna intenzione
di prendere in considerazione Android.
Tuttavia, rispetto al primo iPhone SE, l’edizione 2020
potrebbe attrarre anche tantissime persone che da
anni usano Android, e che oggi, anche volendo, non
potrebbero comprare un prodotto simile con Android
per un semplice motivo. Non esiste. Nessun altro
produttore, infatti, ha pensato di realizzare uno smar-
tphone compatto, con un’ottima fotocamera, lo stesso
processore usato sui top di gamma, uno schermo di
qualità e la ricarica wireless; se dovesse esistere, poi,
non avrebbe 5 anni di aggiornamenti garantiti.
Tutto a 499 euro, che non sono pochi ma sembrano
pochi in un mondo di prezzi impazziti: con i 1.199 euro
chiesti da Motorola per il suo edge+ oggi una persona
TEST iPhone SE è oggi lo smartphone più piccolo e potente sul mercato: impossibile trovare un prodotto così compatto con questa qualità
Apple iPhone SE 2020, recensione. Senza rivaliApple guarda alla sostanza e anche il prezzo sorride: 499 euro. Non poco, ma se guardiamo al resto del mondo, neppure troppo
può comprarsi un iPhone SE, 499 euro, un iPad, 389
euro e un Apple Watch 3rd gen (o un paio di AirPods)
risparmiando pure qualcosa.
Come ci siamo trovati con il nuovo iPhone? Passare da un iPhone 11 ad un iPhone SE può essere
un po’ traumatico, come può esserlo anche passare
all’iPhone SE da un qualsiasi smartphone Android mo-
derno. Nonostante lo smartphone non sia piccolissimo,
i 4.7” di schermo lo sono. Il design, lo sappiamo, è lo
stesso di iPhone 8, un sandwich di alluminio e vetro
con abbondanti cornici sopra e sotto lo schermo. Nien-
te FaceID, si torna al Touch ID, niente notch, lo schermo
è meravigliosamente rettangolare con gli spigoli vivi.
Qualcuno potrebbe dire che si poteva fare lo schermo
più grande o che si potevano ridurre le cornici, in realtà
il prezzo basso, 399$ negli States, si può raggiungere
iPhone SE 2020UN PRODOTTO UNICO. CHE POTREBBE FARE SCUOLA 499,00 €Un prodotto come l’iPhone SE non esiste. Piccolo, completo e potente, tutto quello che molti vorrebbero da uno smartphone. Il primo iPhone SE ha venduto tanto, ma non è stato per Apple uno smartphone da numeri record: questa nuova edizione, complice anche l’aumento delle dimensioni degli schermi degli smartphone e dei prezzi, potrebbe avere molto più successo, anche in relazione alla complicata situazione economica che porterà ad una recessione globale.E potrebbe anche fare scuola, spingendo tanti produttori di smartphone Android a cambiare l’approccio scalare dove il meglio va solo sul top di gamma, e poi si scende progressivamente: l’iPhone SE insegna che ci sono alcune cose, come il miglior processore, la protezione IP67, la ricarica wireless e tutta la parte di rete che non possono essere elemento discriminante. Per creare la gamma si può lavorare sul design, sui materiali, sullo schermo e sulle fotocamere. Alla domanda “come va l’iPhone SE” si potrebbe rispondere “E’ un iPhone”, e trattandosi di un prodotto rivolto soprattuto a chi viene dal mondo Apple e vuole restare nel mondo Apple queste tre parole bastano e avanzano. E’ veloce, velocissimo, ha un ecosistema integrato sempre più completo e aperto, ha una fotocamera eccellente se inserita nella sua fascia di prezzo, è solido, robusto, compatto. Cosa manca? Una modalità notte per la fotocamera, sarebbe servita. Ma per il resto ha tutto quello che serve per rendere felice un utente Apple di vecchia data, e per incuriosire anche chi ha sempre usato fino ad oggi Android. Prezzo incluso.
Qualità Longevità Design Semplicità D-Factor Prezzo
9 10 7 9 7 98.8COSA CI PIACE COSA NON CI PIACEPrestazioni eccellenti e costruzioni impeccabileFotocamera e autonomia migliori di quanto ci si potesse aspettareSicurezza di tanti anni di aggiornamento
Uno smartphone con vistose cornici ai tempi degli smart-phone full screenPer qualcuno lo schermo potrebbe essere troppo piccoloAssenza modalità notte sulle foto
segue a pagina 34
iPhone SE 2020La recensione completa
lab
video
lab
video
torna al sommario 34
MAGAZINEn.221 / 204 MAGGIO 2020
solo con una ottimizzazione del processo produttivo.
L’iPhone SE non è identico all’iPhone 8 all’interno, cam-
biano le antenne, cambia la circuitazione, cambiano
diverse cose, ma ci sono elementi che Apple ha potuto
riutilizzare con piccoli accorgimenti o modifiche, senza
dover rivedere tutto il processo produttivo. Dell’iPhone
8 esisteva anche una variante Plus da 5.5” per chi vo-
leva uno schermo più grande, ma ci saremmo trovati di
fronte ad un prodotto molto vicino come prezzo e con-
cetto all’iPhone XR, non avrebbe avuto molto senso.
La dimensione dello schermo è forse l’unico elemen-
to da valutare con attenzione: per qualcuno potrebbe
essere troppo piccolo, per altri il fatto che sia piccolo
potrebbe essere un vantaggio enorme. Per tutti coloro
che non hanno un iPhone recente non cambia assolu-
tamente nulla: si trovano davanti ad un design e ad uno
schermo a cui sono abituati, familiare.
Ed è forse anche l’abitudine nel vedere in giro ancora
tanti iPhone di vecchia generazione che non fa sem-
brare l’iPhone SE particolarmente vecchio: è vero, è un
design riciclato, cornici così grandi non dovrebbero più
vedersi nel 2020, ma ci sono ancora milioni di persone
con un telefono simile in mano.
Lo schermo è il classico LCD Retina che Apple ha
usato per l’iPhone 8: identico, nella risoluzione, nel
trattamento oleofobico e con il True Tone che adatta
il punto di bianco alla luce ambientale. La risoluzione
si 1334×750 pixel è più che adeguata alle dimensioni
dello schermo, e il pannello wide color risulta perfetta-
mente visibile anche all’aperto. Basta aprire una foto,
o un video in formato 16:9 per farci ricordare quanto
era bello godersi un contenuto senza notch di mezzo,
o fori sullo schermo. I pixel ci sono tutti, dal primo al-
l’ultimo. Niente da dire sotto il profilo costruttivo: solita
attenzione maniacale ai dettagli, ottimo bilanciamento
dei pesi e maneggevolezza, niente IP68, ma l’IP67 ba-
sta per salvare lo smartphone se cade nel lavandino
pieno d’acqua e resta li qualche minuto. Il retro è in
vetro, c’è la ricarica wireless, manca il jack audio, non è
una novità per noi ma potrebbe esserlo per chi aveva
un iPhone con jack e magari si era comprato un bel
paio di cuffie a filo. Nella confezione non c’è l’adatta-
tore, ma ci sono le EarPods on cavo lightning. L’iPhone
SE 2020 supporta la ricarica rapida, ma il caricatore in
TEST
iPhone SE 2020segue Da pagina 33
dotazione è quello storico da 5 watt. Non sappiamo
se è una scelta legata al risparmio della batteria o al
risparmio di qualche euro.
Potenza da vendere con uno schermo così piccoloIl processore è lo stesso dell’iPhone 11 Pro, ma ha
davanti uno schermo con un a risoluzione più bassa.
Questo vuol dire che inevitabilmente in ogni condizioni
i contenuti hanno una risoluzione di rendering più bas-
sa che si traduce in un vantaggio. Anche il quantitativo
di memoria non eccessivo alla fine, se consideriamo la
risoluzione è più che adeguato. L’impressione, usando-
lo, è di trovarsi davanti ad uno smartphone che è una
scheggia in ogni condizione possibile. Se si effettuano
una serie di benchmark si nota come le prestazioni non
superino quelle dell’iPhone 11 Pro: crediamo che Apple
abbia abbassato leggermente la frequenza di clock
massima per poter gestire meglio il carico termico di un
dispositivo che ha comunque una scocca più piccola.
O, non sarebbe così drammatico, per non avere il pro-
dotto da 499 euro con prestazioni, a livello di numeri,
superiori a quelle del prodotto flagship, l’iPhone 11 Pro.
Come abbiamo scritto in apertura l’iPhone SE 2020 è
più veloce in determinate situazioni dello Snapdragon
865 usato sui top di gamma Android e non di poco: se
prendiamo ad esempio la velocità in ambito javascript,
fondamentale oggi con la maggior parte dei siti web
che si sta trasformando in Single Page Application,
l’iPhone SE va quasi il doppio.
Uno smartphone di questo tipo può durare anche più
di 5 anni, per il semplice fatto che ormai è difficile che
possa arrivare su smartphone un applicativo, anche
negli anni a venire, capace di mettere in crisi un pro-
cessore moderno come questo A13.
Il sensore dell’iPhone XS, ma una fotocamera decisamente migliorataSull’iPhone SE non c’è la fotocamera di iPhone 11 Pro
o di iPhone XS, c’è lo stesso sensore dell’iPhone 8. Un
sensore singolo, da 12 megapixel e 28 mm di focale
equivalente con apertura f/1.8. Manca ovviamente il su-
per wide dell’iPhone 11, mentre c’è l’eccellente modalità
ritratto che viene eseguita con un solo obiettivo come
su iPhone 11 e su iPhone XR. La modalità ritratto è com-
pleta, permette di regolare la profondità di campo e di
simulare le luci studio come su tutti gli altri modelli.
L’uso del processore A13 ha permesso a Apple di
abilitare una serie di funzioni avanzate presenti sugli
smartphone più recenti, come lo Smart HDR avanzato,
che risolve i problemi di sovraesposizione sulle foto
con forte gamma dinamica e il semantico rendering,
segue a pagina 35
I NOSTRI SCATTI DI PROVA clicca per l’ingrandimento
Qui sopra un ritratto, a sinistra la foto dell’iPhone SE e a destra quella di iPhone 11 Pro.
Qui sopra, una foto scattata praticamente al buio, a sinistra la foto dell’iPhone SE e a destra quella di iPhone 11 Pro.
torna al sommario 35
MAGAZINEn.221 / 204 MAGGIO 2020
che migliora a separazione degli oggetti della scena
regolando l’esposizione e la nitidezza su diversi piani.
In molte condizioni di luce le foto fatte con iPhone SE
sono decisamente migliori di quelle fatte con un iPho-
ne 8, soprattutto quando c’è forte luce ambientale: la
separazione permette di avere una maggiore leggi-
bilità del cielo, che riesce a mantenere anche la sua
colorazione azzurra senza risultare troppo slavato o
TEST
iPhone SE 2020segue Da pagina 34
sbiadito come poteva invece capitare con iPhone 8 se
non si regolava perfettamente l’esposizione.
Mancano due cose: manca la modalità notte e manca
la modalità di scatto Deep Fusion.Limiti questi legati
non tanto alla volontà di Apple di castrare lo smartpho-
ne per non renderlo troppo simile ad iPhone 11, ma
semplicemente dovuti ad un fatto tecnico: il sensore
usato non ha quel quantitativo di DRAM necessario per
memorizzare una sequenza di frame molto ravvicinati,
quelli che servono alle due modalità per funzionare.
Ricordiamo che entrambe le modalità infatti realizzano
tantissimi scatti consecutivi e poi li allineano addizio-
nando alcuni segmenti. Di Deep Fusion non si percepi-
sce molto la mancanza, della modalità notte si
sente un po’ di più perché sulle foto con poca
luce si torna un po’ indietro. Sono rumorose,
troppo: avessero usato il sensore dell’iPhone
XS forse si riusciva a recuperare qualcosa, è un
po’ più grosso, ma con il sensore di iPhone 8 le
foto di notte escono esattamente come iPhone
8. Quelle scattate con un iPhone 11 sono tutta
un’altra storia.
Che la scelta di Apple sia legata più ad un fatto
tecnico lo si capisce anche dalla modalità vi-
deo, dove è presente (e non c’era su iPhone 8)
la ripresa a gamma dinamica estesa per i video
fino a 30 fps, che affianca la ripresa 4K a 60p.
Ad oggi nessuno ha ancora raggiunto la resa
video che si riesce ad ottenere con un iPhone
a livello di bilanciamento e tenuta dinamica, e l’iPhone
SE 2020 dal suo “piccolo” riesce a restituire un risulta-
to che, se guardiamo proprio al modo in cui viene resa
la scena, ha un solo rivale, l’iPhone 11.
E’ piccolo ma la batteria non delude. C’è anche Wi-fi 6La parte di rete è stata interamente rivista: manca l’Ul-
tra Wide Band presente sui modelli più recenti ma c’è
il modem LTE aggiornato con connettività wireless Wi-
Fi 6. iPhone SE è già pronto per le reti wi-fi di nuova
generazione, quelle che dovrebbero funzionare me-
glio in ambienti particolarmente affollati e con un alta
concentrazione di dispositivi. L’audio è nello standard,
e la stessa cosa si può dire per lo speaker integrato:
modesto, ma niente di più. Ottima qualità telefonica,
buona ricezione. L’aspetto che forse più interessa è
l’autonomia: nonostante la batteria piccina l’autonomia
non è affatto male: non ci si può aspettare di fare due
giorni, si fanno dalle 3.4 alle 4.5 ore di schermo acce-
so. Si arriva tranquillamente fino a sera, forse anche
di più se pensiamo che questo smartphone è rivolto
ad un utilizzatore che non ha sentito la necessità, fino
ad oggi, di cambiare un telefono comunque vecchio,
quindi con una batteria non nuova e sicuramente meno
efficiente di questo. L’iPhone SE è il tipico telefono di
una persona che si alza la mattina, usa il telefono con
moderazione, torna a casa la sera e prima di andare a
dormire lo mette sul comodino a ricaricare.
di Roberto FAGGIANO
I lettori più attenti e appassionati si
erano già chiesti che diffusori fos-
sero quelli raffigurati nelle foto che
Yamaha aveva diffuso in occasione del
lancio dei nuovi amplificatori A-S 1200,
2200 e 3200. Anche noi avevamo se-
tacciato tutti i siti Yamaha mondiali, dal
Giappone in poi, senza trovare riscontri
salvo notare la somiglianza con i diffu-
sori top di gamma NS-5000.
Dopo pochi giorni ecco svelata la presti-
giosa novità: si tratta dei diffusori da scaf-
fale NS-3000, un due vie strettamente
derivato dal modello top di gamma dal
quale prendono il tweeter che si unisce
a un nuovo midwoofer in un cabinet più
compatto e destinato a quegli appassio-
nati che non hanno problemi di spesa ma
solo di spazio. La somiglianza con i diffu-
sori top di gamma infatti non è solo nella
costruzione e nella finitura perché anche
il prezzo di listino si annuncia inarrivabi-
le: circa 8.000 euro la coppia, mettendo
questi ambiziosi diffusori in concorrenza
con mostri sacri del settore che portano
i nomi di Dynaudio, Spendor, Harbeth,
Focal, Pro AC e altri. Certo Yamaha non
ha complessi di inferiorità in materia e gli
audiofili più anziani ricorderanno come
l’unico diffusore giapponese che si pote-
va prendere in considerazione negli anni
70 era proprio Yamaha, ma il confronto ri-
mane davvero ambizioso. Ma veniamo al
nuovo arrivato per vedere cosa nasconde
al suo interno per giustificare un prezzo
così elevato. Il pezzo forte è probabilmen-
te il tweeter, un componente con cupola
da 30 mm in Zylon, uno speciale materia-
le sintetico che ha eccellenti caratteristi-
che di velocità di risposta, assimilabili al
berillio ma senza gli svantaggi di delica-
tezza e tossicità di quel materiale. Anche
il midwoofer da 16 cm ha il diaframma in
Zylon e lavora in accordo reflex con sfo-
go sul lato posteriore. I due componenti
sono tagliati alla frequenza di 2.800 Hz
da un crossover semplice ma che utilizza
componenti altamente selezionati come
i condensatori MCap Supreme Evo della
tedesca Mundorf; l’impedenza di carico
è fissata al valore medio di 6 Ohm con
minimo a 4,6 Ohm. La potenza richiesta
è indicata a 60 watt con tenuta massima
fino a 120 watt con una sensibilità di 87
dB. Le dimensioni sono compatte ma non
proprio da libreria: in dettaglio l’NS-3000
misura 244 × 394 × 326 mm (L x A x P) e
inoltre l’accordo reflex posteriore impone
il giusto spazio libero rispetto alla parete
posteriore; Yamaha ha già previsto un
apposito stand metallico per la migliore
collocazione in ambiente.
Tornando al tweeter è da notare lo spe-
ciale condotto posteriore per eliminare
ogni rischio di risonanza che possa com-
HI FI E HOME CINEMA Importante ingresso nella gamma dei diffusori Yamaha: l’NS-3000 riprende molte soluzioni dei top di gamma 5000
Yamaha NS-3000, il diffusore bookshelf che non ti aspettiIl diffusore è più facilmente collocabile in ambiente rispetto al 5000. Il prezzo sarà comunque superiore agli 8.000 euro la coppia
promettere la qualità sonora. Molto cu-
rato anche il mobile, dove ogni dettaglio
è studiato in funzione di aumentarne
la rigidità, con accurate analisi al laser
che possono evidenziare la pur minima
risonanza anche nelle condizioni più
gravose. All’interno del mobile il classico
materiale fonoassorbente è stato sosti-
tuito da un piccolo modulo progettato
appositamente che funge da smorzatore
acustico. Il nuovo esponente della linea
di diffusori Natural Sound dovrebbe es-
sere disponibile entro l’estate su preno-
tazione nella sola finitura laccata nera.
torna al sommario 36
MAGAZINEn.221 / 204 MAGGIO 2020
di Roberto PEZZALI
I l Mavic Air è stato per anni il drone più apprezzato
di DJI: leggero, compatto e con un ottimo rappor-
to qualità prezzo. DJI ha rinnovato nel tempo pri-
ma il “Pro”, poi è toccato al piccolo Spark, sostituito
dall’eccellente DJI Mini, e ha lasciato per ultimo l’Air.
Una scelta questa che ha permesso di mettere all’in-
terno del drone tutto quello che gli utenti desidera-
vano senza far salire troppo il prezzo, con un drone
che si posiziona a metà tra il DJI Mini e il DJI Mavic
Pro: l’Air di seconda generazione costa 849 euro
nella versione semplice e 1049 euro nella versione
Fly More Combo, che aggiunge oltre a due batterie
addizionali e alla custodia anche i filtri ND, decisa-
mente utili.
Al Mavic Air gli utenti chiedevano soprattutto due
cose: migliore autonomia e una connessione più sta-
bile, perché se è vero che esistono delle normative
che impediscono di far volare il drone dove si vuole
è anche vero che un segnale più stabile tra teleco-
mando e drone garantisce un livello di sicurezza in
più. E DJI ha dato entrambe: sulla carta promette 34
minuti di autonomia, poi vedremo che sono un po’
meno, e soprattutto ha aggiunto la tecnologia tra-
smissiva OcuSync 2.0, la stessa del Mavic 2 Pro. Usa
sempre i 2.4 Ghz e I 5.8 Ghz come il Wi-fi del Mavic
Air, ma grazie ad un sistema particolare di gestione
dell’emissione, con un raggio preciso direzionato
verso il drone, riesce a garantire una migliore stabili-
tà e a portare la distanza massima raggiungibile a 10
km secondo il produttore in modalità FCC e a 6 km in
modalità CE. Ricordiamo che i droni sono pensati per
auto-regolarsi in base alle leggi nazionali sulle fre-
quenze, e quando vola in un paese Europeo il Mavic
Air 2 userà la normativa CE. La distanza massima che
siamo riusciti a raggiungere, ma ne parliamo poco
più sotto, è di tuttavia ben inferiore a quella dichiara-
ta dal produttore. A queste due novità si aggiungono
anche un nuovo telecomando e una rinnovata sezio-
ne fotografica, con un sensore più grand capace di
registrare video 4K a 60p e la possibilità, in futuro
con un aggiornamento, di registrare Hyperlapse in
8K. Stiamo facendo volare il Mavic Air 2 da più di una
settimana, e conosciamo bene il Mavic Air vecchio
modello, che ci ha tenuto compagnia per anni. Ecco
come ci siamo trovati con il nuovo Air 2.
TEST DJI rinnova il Mavic Air, uno dei suoi droni più apprezzati. E lo fa toccando le corde che più interessano agli utenti
DJI Mavic 2 Air, la recensione. Degno eredeAutonomia quasi raddoppiata, raggio di utilizzo esteso e fotocamera, che per la prima volta su un drone DJI arriva a 4K e 60 fps
Leggerissimo, ma non si può dire che sia piccoloCon il rinnovamento del Mavic Air DJI ha finalmente
allineato il design della sua gamma di droni: Mini, Air
2 e Pro 2 condividono ora la stessa linea e la stessa
finitura. Per dare un’idea di quanto DJI abbia lavora-
to per poter tenere il nome “Air” si possono usare le
dimensioni: il vecchio Air misurava 168x83x49 mm,
Mavic 2 Pro misura 214x91x84 mm mentre il nuovo
Mavic Air 2, righello alla mano, 180x97x84 mm.
Esatto, è grande quanto il Mavic 2 Pro, ballano pochi
centimetri, ma la differenza di peso è enorme: 430
grammi per il vecchio Air, 905 grammi per il Pro e
570 grammi per l’Air 2.
Il peso, lo sappiamo, è fondamentale in un drone, è
legato al regolamento, e per questo vi rimandiamo al
paragrafo più sotto dove vi spieghiamo cosa si può
fare oggi con il Mavic Air 2 e cose si deve fare per
poterlo guidare.
Dei 570 grammi di peso 200 sono solo di batteria,
una grossa batteria al litio da 40.42 Wh: grazie ad
una batteria così capiente e ad un peso comunque
contenuto DJI è riuscita a creare un drone che può
stare in aria per più di mezz’ora. E l’ha fatto senza
troppi compromessi qualitativi perché costruttiva-
Mavic Air 2IL PERFETTO EREDE DEL DRONE DJI PIÙ APPREZZATO 849,00 €
MDJI è leader nel mercato dei droni, e la qualità dei suoi prodotti non di discute. Il Mavic Air 2 ha tutto quello che si poteva chiedere ad un nuovo drone DJI, e con l’aggiunta delle foto notturne, dell’OcuSync e del sistema di follow me avanzato sembra il drone perfetto. Trovare difetti non è facilissimo, sempre se non si considera il prezzo un difetto: 1.049 euro se consideriamo la Fly more combo, ma non considerarla sarebbe folle. Costa comunque come il vecchio Mini, non un euro di più.. Certo, è più grosso del vecchio Air ma dura anche molto di più, quan-do si ingrandisce una batteria c’è poco da fare, e offre tanto in più rispetto al modello precedente. La presenza di un sensore a 48 megapixel permette anche uno zoom loseless in post produzione utilissimo, e il sistema di machine learning per il follow me è migliorato tantissimo. Una sola cosa non fa, almeno così ci ha detto DJI e non abbiamo potuto provare: non compensa l’altitudine sull’inseguimento, quindi neppure questo drone, come gli altri, riesce a seguire uno sciatore che scende da una pista da sci. Riesce a seguire solo se il pendio non è ripidissimo. C’è ovviamente la questione legislativa, che non abbiamo incluso nei giudizi: ogni persona saprà valutare se conviene acquistarlo in base a quello che deve e può fare.Il DJI Mavic Air 2 è in ogni caso un drone eccellente. Il degno erede di un modello comunque apprezzatissimo.
Qualità Longevità Design Semplicità D-Factor Prezzo
9 9 8 6 9 88.4
COSA CI PIACE COSA NON CI PIACEAutonomia di 30 minutiSezione video e foto completamente rinnovataSistema OcuSync 2.0 per segnale più stabile
Non è piccolo come il vecchio Air e non sta in tascaIl follow me non compensa l’altitudineI video la sera vengono molto sottoesposti
lab
video
segue a pagina 37
Mavic Air 2La videoprova
torna al sommario 37
MAGAZINEn.221 / 204 MAGGIO 2020
TEST
DJI Mavic 2 Airsegue Da pagina 36
mente sembra di trovarsi tra le mani un piccolo “Pro”:
scocca in lega nella parte bassa, giunzioni robuste e
una cura maniacale dei dettagli.
La parte frontale è occupata come sempre dal gim-
bal cardanico, ma la particolare struttura permette al
gimbal di portare l’inquadratura anche verso l’alto,
offrendo una possibilità in più. Ci sono i sensori per il
sistema anti collisione: due sul frontale, rilevano osta-
coli a circa 40 cm, due sul retro e due sotto, di fianco
ai quali c’è anche un ulteriore sensore Time Of Flight.
Quest’ultimo viene usato in fase di atterraggio, per
avere non solo la distanza ma anche una mappatura
3D della zona su cui si sta atterrando, quindi la certez-
za che ci sia un piano.
Nella parte bassa DJI ha inserito anche la luce LED
ausiliaria, che può essere gestita direttamente dal te-
lecomando: la luce di navigazione è obbligatoria per i
voli in scarsa condizione di luminosità.
I bracci si piegano come sugli altri modelli, anche
se una volta chiuso il Mavic Air 2 non raggiunge la
compattezza e le dimensioni del primo Air: i propulso-
ri sono più grossi, e forse è più comodo toglierli per
riporli. DJI ci ha fornito la versione liscia, che non ha
una custodia per riporre il drone: non sappiamo se
nella versione con custodia si riesca a mettere via il
drone senza staccare le eliche (basta un click) o se si
possano tenere le eliche collegate. Insieme al Mavic
Air 2 arriva anche un nuovo telecomando, può gran-
de ma anche più ergonomico. La novità è l’alloggia-
mento per lo smartphone nella parte alta, spariscono
le due chele inferiori e c’è un unico blocco superiore
che funziona sia come antenna sia come ferma-scher-
mo.
Il cavo per collegare gli smartphone, Lightning per
Apple e USB Type C per tutti gli altri, è nascosto con
il telecomando “chiuso” e non disturba più di tanto.
C’è uno speaker sul retro per inviare messaggi chiari
a chi sta usando il drone, i tasti sono ben organizzati
e l’ergonomia è buona. Al centro il selettore per le
modalità a tre vie, normale, sport e ripresa video,
sopra i due classici joystick e sul retro i trigger per
le funzioni di base e per gestire il gimbal. C’è anche
un tasto multifunzione programmabile. Spariscono le
antenne orientabili, che creavano un po’ di difficoltà
negli utenti che non capivano come metterle: è tutto
integrato, e questo vuol dire che la posizione in cui
teniamo il telecomando incide anche sulla massima
distanza raggiunta. Se lo si tiene piatto si riduce leg-
germente la portata.
Hyperlapse a 8K, modalità foto notturna e per la prima volta 4K a 60pCon il Mavic Air abbiamo all’attivo circa un centinaio
di voli, e la fotocamera l’abbiamo sempre trovata un
ottimo compromesso tra dimensioni e qualità. Il Mavic
Air 2 la migliora ulteriormente, e qualcuno potrebbe
apprezzare le novità sempre con la consapevolezza
che ci troviamo davanti ad un drone più amatoriale
che professionale, e che se si vogliono fare video al
tramonto è decisamente meglio affidarsi al sensore
I NOSTRI SCATTI DI PROVAclicca per l’ingrandimento
segue a pagina 38
torna al sommario 38
MAGAZINEn.221 / 204 MAGGIO 2020
da 1” del Mavic Pro 2. Il sensore all’interno del Mavic
Air 2 è quel Sony da 1/2” che viene usato su moltissi-
mi smartphone di fascia media, l’IMX568 Sony.
Un sensore da 48 megapixel che può lavorare a riso-
luzione nativa o in modalità “binned” a 12 megapixel,
e per la prima volta DJI inserisce nel Mavic Air un po’
di fotografia computazionale: chi non vuole scattare
a 48 megapixel può sfruttare il riconoscimento sce-
ne con ottimizzazione automatica o, ancora meglio,
HyperLight, una sorta di modalità notte che somma
più fotogrammi in un’unica foto. Presente anche la
possibilità di scattare foto ma soprattutto di ripren-
dere video HDR, trattandosi di un drone che scatta
fotografie in cielo, dove c’è una fortissima differenza
di dinamica, l’HDR integrato è un’ottima cosa.
Ci sono anche due primizie, assenti sugli altri modelli:
il Mavic Air 2 è il primo drone DJI capace di ripren-
dere in 4K a 60 fps con 120 Mbps di bitrate. I video
di paesaggi solitamente vengono accelerati, ma in
modalità follow me e per la ripresa sportiva avere un
frame rate elevato può essere davvero importante.
I video possono essere compressi in MP4 o in HEVC,
la memoria interna è di 8 GB ma c’è uno slot laterale
per una microSD fino a 256 GB. Non è in dotazione,
ed è un acquisto consigliato. C’è anche una ripresa
8K, una modalità Hyperlapse che crea filmati 8K da
foto a 48 megapixel scattate in successione. Nel mo-
mento in cui abbiamo provato il Mavic Air 2 questa
funzionalità era tuttavia assente, uscirà con un ag-
giornamento software a metà maggio.
Volo, autonomia, distanza e sicurezzaPartiamo con i volo vero e proprio. Le eliche del
Mavic Air 2 sono più grandi di quelle del Mavic Air,
e sono piuttosto rumorose. Il ronzio drone si sente
chiaramente anche a 100 metri sopra la nostra testa,
anche di più se siamo in un posto tranquillo.
L’autonomia dipende molto dalla presenza di vento
e dal tipo di guida, ma dopo un po’ di voli possiamo
dire che si arriva senza problemi e senza troppi rischi
a 27/28 minuti, tenendosi qualche minuto di margine.
E usandolo anche qualche minuto in modalità “sport”.
In determinate condizioni favorevoli si spunta forse
un minuto in più, ma l’autonomia resta comunque
condizionata da come lo si utilizza e dalla presenza
di vento. Un discorso simile si può fare anche per la
distanza che si può raggiungere: nel nostro caso ab-
biamo perso segnale a 2.2 km, per poi riagganciarlo
a 1.9 km quando il drone è tornato in totale autono-
mia verso la base. Va molto più lontano del Mavic Air
2, ma trattandosi di segnali radio ci sono tantissime
variabili che possono disturbare il segnale.
Anche con la piena visibilità del drone, quindi senza
ostacoli, in una zona con forti interferenze elettroma-
gnetiche la portata si riduce parecchio: usando il tele-
comando nel cortile di casa non siamo riusciti ad anda-
re oltre 400 metri, in un campo senza niente attorno 2
km senza problemi. Siamo certi che se andassimo in
una zona con un livello di inquinamento elettromagne-
tico bassissimo si potrebbero sorpassare i 3 km sen-
za problemi, tipo in montagna. La sensibilità, avendo
usato spesso il Mavic Air vecchio modello, è che la di-
stanza massima raggiungibile decisamente superiore,
almeno 2 volte se non 3.
Ad assistere durante il volo ci sono diversi sistemi,
come un rinnovato APAS 3.0 (Advanced Pilot Assistan-
ce System che utilizza i sensori per evitare le collisioni.
Nel nostro caso specifico l’abbiamo utilizzato abbinan-
dolo al follow me senza alcun problema. Ci sarebbe
anche una funzione chiamata AirSense: permette di
visualizzare mentre si pilota il drone sullo schermo
anche i radiofari degli altri velivoli, come aerei ed eli-
cotteri. Purtroppo, a causa della mancanza di alcuni
componenti causata dalla crisi epidemica in corso, DJI
ci ha fatto sapere che tutte le unità di Mavic Air 2 con
sistema AirSense ADS-B saranno inizialmente vendute
in Usa. Sul mercato Europeo arriveranno inizialmente
modelli sprovvisti di questo sensore, che non potrà
essere aggiunto successivamente. I due modelli sono
identici, cambia solo questo dettaglio. Una scelta do-
vuta al fatto che al momento la regolamentazione Usa
è molto più stringente mentre in Europa non c’è ob-
bligo di una soluzione simile: i modelli con ADS-B in
Europa arriveranno in estate.
La stessa app di DJI Mini con qualche cosa in piùL’app per far volare il Mavic Air è la stessa del DJI
Mini, DJI Flight. Integra tutto quello che serve, non
solo la parte di pilotaggio e registrazione ma anche
una sezione di editing, sebbene sia preferibile fare
editing con un PC, soprattutto se si è scelto di regi-
strare i video in modalità Cine-Like, più gamma dina-
mica ma anche la necessità di una color correction.
Oltre alla ripresa libera ci sono due modalità di ri-
presa assistita: QuickShots e FocusTrack. La prima la
conosciamo, permette di creare scene pronte usan-
do il movimento del gimbal sincronizzato con il movi-
mento del drone. Farle a mano sarebbe impossibile.
Le scene sono le stesse degli altri modelli, Rocket,
Circle, Dronie, Helix, Boomerang e Asteroid.
Più interessante FocusTrack, ovvero l’intera suite di
opzioni assistite per agganciare un soggetto con il
machine learning: ActiveTrack 3.0 segue un sogget-
to automaticamente evitando gli ostacoli, Spotlight 2
tiene agganciato un soggetto con la camera mentre
si muove il drone liberamente mentre Point of Inte-
rest traccia un percorso automatico per girare attor-
no ad un soggetto e riprenderlo.
Cosa serve per poter pilotare il Mavic 2 AirCon un peso a terra di 570 grammi, quindi superio-
re alla soglia dei 250 grammi, il Mavic Air 2 richiede
secondo l’attuale regolamento ENAC l’Attestato di Pi-
lota APR (Operazioni non Critiche), conseguibile con
apposito test online, e l’immatricolazione sul portale
D-Flight, dove si potrà ottenere il QR code da appli-
care sul drone. Ricordiamo che fino al 1 luglio 2020, il
drone potrà comunque essere utilizzato unicamente a
una distanza di almeno 150 metri da aree popolate e
fabbricati e comunque mantenendo una distanza oriz-
zontale di sicurezza di 50 metri da persone estranee
e a una distanza massima che garantisca sempre la
visibilità diretta del drone. È inoltre obbligatoria un’as-
sicurazione per la responsabilità civile e non si deve in
nessun caso superare una quota di volo di 120 metri.
Dal 1 luglio o, in caso di rinvio, dall’entrata in vigore del
nuovo regolamento europeo, e fino al 1 luglio 2022, il
Mavic Air 2 potrà volare nelle categorie Open A2 e A3.
Per la categoria A2, che prevede la possibilità di vo-
lare anche in prossimità di passanti mantenendo una
distanza di sicurezza orizzontale di 50 metri, riducibile
a 5 metri mantenendo una velocità massima di 3 me-
tri/s, servirà però un attestato integrativo oltre a quello
base. Dal 1 luglio è inoltre obbligatorio il transponder.
Da segnalare che allo scoccare del 1 luglio 2022, sarà
concesso unicamente il volo in categoria A3, che di
fatto ristabilisce le stesse limitazioni oggi in vigore con
il regolamento ENAC: distanza di 150 metri dai luoghi
abitati, divieto di sorvolo dei passanti e distanza di si-
curezza di 50 metri.
TEST
DJI Mavic 2 Airsegue Da pagina 37
torna al sommario 39
MAGAZINEn.221 / 204 MAGGIO 2020
di Gianfranco GIARDINA
Sono moltissimi gli italiani chiusi in casa e sono
tanti quelli che telelavorano o che comunicano
con gli amici, interagendo non solo con le vide-
conferenze ma anche con messaggi video, girati ge-
neralmente con lo smartphone e altri mezzi di fortuna.
Pensiamo per esempio ai manager, i professionisti,
agli insegnanti soprattutto; quelli scolastici ma anche
coloro che fanno corsi di ogni tipo e si sono trovati a
dover “tele-insegnare” o a cercare nuovi sbocchi (e
follower) sulla rete non potendo più fare aule fisiche.
Ma anche a tutti i giovani aspiranti youtuber, costret-
ti a “creare” tra le quattro mura di casa. Per queste
tipologie di utenti, e per molte altre, Joby ha messo
a punto un kit davvero interessante. Si tratta del Goril-
lapod Mobile Vlogging Kit, un insieme di tre prodotti
riuniti in un’unica confezione e pensati per adattarsi
perfettamente l’uno all’altro e tutti e tre insieme alle
esigenze di chi deve girare un video in prima persona
con uno smartphone.
Tre prodotti in uno: treppiede con bracci laterali, luce e microfonoIl Joby Gorillapod Mobile Vlogging Kit è commercializ-
zato in una scatola unica ma si tratta, in poche parole,
del bundle di tre prodotti disponibili anche separata-
mente. La confezione è ordinata e compatta, anche
se si sente la mancanza di una borsina che possa con-
tenere tutti gli elementi: non è comodo riporli nella
scatola originale dopo ogni utilizzo. Quella disponibile
nel kit è piccola ed è pensata per i cavetti e i piccoli
accessori. Come dice il nome stesso, uno degli ele-
menti principali di questo kit è un treppiede tascabile
Gorillapod, capace di fare da supporto da tavolo, di
agganciarsi a pali e ringhiere e di trasformarsi anche
in rig a mano, per video selfie in movimento.
Sulle tre gambe del Gorillapod si innesta a vite un
blocco per lo smartphone, capace tra l’altro di ruota-
re di 90 gradi per chi volesse fare video in formato
verticale.
Al giogo centrale del supporto per lo smartphone, si
possono inserire, con innesto a vite, altri due bracci
TEST In prova l’interessante kit che Joby ha realizzato per i video-creativi che girano video con il proprio smartphone
Abbiamo provato il kit Vlogging Kit di Joby La “scatola degli attrezzi” del perfetto youtuberTreppiede superversatile, luce LED a batteria e microfono direzionale. Tutto quanto serve per girare ottimi video anche a casa
Gorillapod che sono in dotazione. Questi due bracci
(che sembrano davvero le braccia di un “omino” go-
rillapod) sono terminati con una testa filettata per af-
francarvi eventuali accessori. Uno di questi accessori
è già in dotazione nel kit: è il faretto Beamo Mini. Si
tratta di un potente LED sempre di produzione Joby,
veramente compatto (un cubetto di circa 5 cm di lato)
ospitato in un solido chassis metallico, che funge an-
che da sistema di dissipazione del calore. Il Beamo
Mini è alimentato da una batteria ricaricabile ed è
completamente stagno, può anche essere esposto
all’acqua e immerso fino a 30 metri. Si ricarica tramite
USB-C e ha una forte calamita nella parte posterio-
re che permette anche di affrancarlo a una qualsiasi
superficie ferromagnetica. Tra le altre cose, il Beamo
Mini è anche Bluetooth: tramite questo sistema co-
munica con lo smartphone e l’intensità del faretto
(che può anche essere regolata dai pulsanti in cinque
step) può essere impostata in maniera fine operando
direttamente sulla app di Joby.
L’app myJoby, nello specifico, permette di fare riprese
fotografiche e video, anche in slow motion, proprio
come fosse una qualsiasi app di ripresa foto-video;
ma, sulla stessa schermata di ripresa, offre un curso-
re di regolazione dell’intensità della luce. In questo
modo si può regolare il livello preferito vedendo im-
mediatamente sullo schermo il risultato finale.
Sempre tramite l’app è possibile salvare delle scene
da richiamare al bisogno.
Esiste anche un altro modello di faretto Joby: è il Bea-
mo (non mini) che aggiunge un po’ di potenza lumino-
sa in più e soprattutto la possibilità, oltre all’USB-C, di
ricarica anche in induzione. Infatti basta appoggiare il
“cubetto” su un piatto di ricarica a induzione per re-
stituire al Beamo l’energia consumata. Nel caso in cui
si equipaggiasse il kit con una seconda Beamo (che
sia mini o no) è possibile controllare entrambe le luci
dall’app, impostando intensità diverse o propenden-
do per un controllo comune.
lab
video
segue a pagina 40
Joby Gorillapod Vlogging KitLa video-recensione
torna al sommario 40
MAGAZINEn.221 / 204 MAGGIO 2020
Ma non finisce qui: il kit si completa anche con Wavo,
un microfono direzionale da innestare nella slitta so-
pra il ferma smartphone o in alternativa su uno dei
due bracci laterali. Si tratta di un microfono Joby, non
propriamente un fucile (è molto compatto) ma che
ricorda modelli di grande successo come di Rode
spesso utilizzati sopra le mirrorless. Un grande valore
aggiunto viene dal generoso sistema di protezione
contro il vento (il cosiddetto “deadcat”) di produzione
Rycote (anch’essa azienda del gruppo Vitec) che ha
curato anche la sospensione antivibrazioni in gomma.
Questa configurazione è perfetta sia per una parlata
ravvicinata, nel caso si riprenda in soggettiva con il
microfono girato verso l’operatore, utilizzando la ca-
mera posteriore, che per una ripresa in videoselfie.
Il microfono ha in dotazione diversi cavetti: quello
più classico esce in minijack tripolare adatto per uno
smartphone, ovviamente dotato di porta minijack
(quella delle cuffie, per intenderci). C’è poi un adatta-
tore da minijack a Lightning per il collegamento a un
iPhone e un cavetto per un ingresso microfonico stan-
dard, come quello in dotazione alle fotocamere. Sep-
pure il Vlogging kit sia pensato per chi riprende con
smartphone, il Wavo, come anche il Beamo Mini, può
essere utilizzato anche con successo anche una foto-
camera. Per utilizzare gli smartphone Android senza
uscita cuffia serve invece un adattatore USB-minijack
di terze parti che, volendo, si poteva anche decidere
di integrare nel bundle.
La prova pratica: un kit che risolve mille situazioniIl Gorillapod Mobile Vlogging Kit è una soluzione tut-
to-in-uno per risolvere la maggior parte dei problemi
di chi realizza video amatoriali a casa propria. E non
solo, visto che stiamo assistendo di questi tempi a fil-
mati realizzati da inviati e ospiti di diverse trasmissioni
TV che non raggiungono neppure lontanamente la
qualità facilmente ottenibile con l’utilizzo del kit Joby.
Un prodotto decisamente facile da usare e comodo.
Il primo fattore ci compatibilità con i nostri ambienti
domestici è la compattezza: il kit Joby si smonta fa-
cilmente e diventa molto piccolo, ci sta in un qualsiasi
cassetto. L’utilizzo più classico è quello da tavolo: stop
alle webcam “basse”, integrate nei monitor dei lap-
TEST
Joby Gorillapod Vlogging Kitsegue Da pagina 39
top. Il Gorillapod è alto quanto basta per riprendere
il soggetto al livello del viso. La luce aggiuntiva è un
toccasana per ammorbidire le ombre troppo dure e
spesso, visto anche la distanza ravvicinata, si utilizza
a intensità molto bassa.
La durata della batteria è molto generosa: abbiamo
ampiamente superato l’ora di accensione attorno alla
mezza potenza senza riuscire a scaricarla. La Beamo
Mini non permette regolazioni in temperatura di colore:
oltre all’intensità, l’unico intervento possibile è quello di
posizionare un piccolo diffusore in silicone in dotazio-
ne, per ammorbidire le ombre. Va detto però che il tipo
di luce appare decisamente ottimizzato per l’incarnato:
i volti non risultano mai “lividi” come accade con alcuni
LED di bassa qualità. Se un difetto dobbiamo trovarlo,
sta proprio nel piccolo diffusore che, senza un fermo
in silicone sul posteriore, finisce per saltare via molto
facilmente. Tanto che nei frangenti della prova, l’ab-
biamo perso e ritrovato per almeno tre o quattro volte:
e ora va bene perché siamo in casa, ma in esterna il
rischio di lasciarlo per strada è altissimo. I due brac-
cetti laterali possono servire anche per affrancare altri
apparecchi, oltre alle Beamo: noi abbiamo provato con
una action cam per avere, oltre allo smartphone, un
secondo punto di vista più grandangolare (la prova è
nel video). Ma qui poi la fantasia dell’autore può met-
terci del suo: l’innesto a vite è standard e può ospitare
anche altri accessori, anche per esempio un secondo
smartphone, con opportuno morsetto, per esempio
per avere a portata di occhio un copione. Molto co-
modo anche l’utlizzo “a mano”: radunando al centro
le tre gambe del treppiede, il Gorillapod offre un grip
perfetto per la mano e il peso molto contenuto fa si
che non ci si stanchi affatto. Il microfono Wavo offre
una risposta molto “gentile”: il deadcat con il quale è
rivestito non solo elimina il vento ma cancella anche le
basse frequenze dello spostamento d’aria nelle labiali,
garantendo un’intellegibilità molto alta e una sorta di
compressione naturale, senza picchi, cosa ottima se si
pensa che generalmente nel tipo di filmati che si realiz-
za con questo kit non è mai prevista una postproduzio-
ne audio. Molto apprezzata, poi, la modularità del kit: di
fatto si tratta veramente di tre prodotti perfettamente
compatibili tra loro ma utilizzabili anche separatamen-
te. Il faretto Beamo per esempio può essere utilizzato
su una fotocamera. Lo stesso kit senza microfono può
essere impiegato non solo per girare un video ma per
partecipare a una classica videoconferenza: la camera
dello smartphone è sicuramente meglio di quella delle
webcam integrate nei PC e il treppiede lo tiene all’al-
tezza giusta. Tra i controlli avanzati, anche la possibilità
di realizzare un effetto stroboscopico delle luci a fre-
quenza impostabile dall’utente, per video creativi. Da
rivedere invece l’usabilità del cursore che permette di
regolare l’intensità in tempo reale: difficilissimo da “piz-
zicare”, ha generato (almeno nella versione per iPho-
ne) molti falsi tap, soprattutto se si sta girando e l’app
riconosce un volto.
Per il kit servono 199 euro, ma si può risparmiare sul sito JobyVeniamo al prezzo: il kit può sembrare caro, 199 euro
di listino. Si tratta di 10 euro in meno rispetto all’acqui-
sto dei componenti separati (99,95 il Gorillapod con i
suoi componenti accessori, 69,95 la luce Beamo Mini
e 39,95 il Wavo Mobile).
Ma c’è, almeno al momento in cui scriviamo, un modo
un po’ bizzaro per risparmiare, e non poco: infatti il
sito Joby fa uno sconto speciale, a chi compra alme-
no tre prodotti, e quello che costa meno è regalato.
In questo modo, acquistando i tre prodotti separati
invece del kit si arriva a una cifra di circa 169 euro.
A questo punto, chi volesse utilizzare un kit simile
ma con certezza di poter innestare per esempio uno
mirrorless, il consiglio potrebbe essere quello di so-
stituire il gorillapod di base con uno più sostenuto:
con una fotocamera intorno al mezzo chilogrammo,
il Gorillapod inserito nel Mobile Vlogging Kit è un po’
leggero e potrebbe sbilanciarsi. Perfetto invece per
qualsiasi smartphone.
L’utilizzo dell’app myJoby è facile e intuitivo. Permette tra l’altro la possibilità di memorizzare alcune scene, ovverosia configurazioni delle luci per intensità, che è facile richiamare al bisogno, per ricreare sempre le stesse condizioni.
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MAGAZINEn.54 / 204 MAGGIO 2020
di M. ZOCCHI
G iusto una settimana fa è stato anti-cipato il piano della città di Milano
per supportare la mobilità privata
nella fase 2 della ripartenza, dopo la
crisi per Covid-19. Con i mezzi pubblici
che soffriranno del tipico sovraffolla-
mento, l’amministrazione sta spingendo
per convincere i cittadini a non river-
sarsi in strada con le proprie auto, ma
piuttosto scegliere altri mezzi più soste-
nibili e molto meno ingombranti, come
bici, eBike e monopattini. Il tutto con i
dovuti adeguamenti della viabilità. Ora
arrivano le prime immagini dei lavori in
corso, qualche giorno prima delle libe-
ralizzazioni, che mostrano il progetto
in atto proprio come pianificato, cosa
che in molti ritenevano impossibile. Lo
sottolinea Pierfrancesco Maran, Asses-
sore all’Urbanistica di Milano sul suo
profilo Facebook. Allo scopo di man-
tenere il distanziamento sociale, l’area
pedonale, normalmente rappresentata
di marciapiedi, viene allargata alla zona
della carreggiata riservata solitamente
URBAN MOBILITY L’amministrazione è già partita con un progetto di modifica della viabilità
Fase 2, a Milano si parte. Ecco il progettoNuove piste ciclabili e più spazio ad aree pedonali allargate alla carreggiata riservata ai parcheggi
ai parcheggi. Si prosegue poi con una
parte della strada occupata da una pi-
sta ciclabile, a sua volta separata, da
una doppia linea, da una seconda zona
pedonale, per permettere la discesa
dai veicoli parcheggiati praticamente al
centro della vecchia viabilità; in questo
modo si evita che l’apertura delle portie-
re possa mettere a rischio i ciclisti.
Nel post di Maran si fa riferimento a
Corso Venezia, parte del percorso che
collega Sesto San Giovanni al centro
della città. Nelle ore successiva alla
pubblicazione, il profilo è stato innon-
dato di commenti, sia negativi, di chi
accusa di voler paralizzare Milano, sia
positivi, di chi finalmente vede uno spi-
raglio per somigliare maggiormente alle
grandi città del nord Europa.
In un post successivo, Maran ha anche condiviso un documento con diver-
se linee guida per altri interventi, che
riguarderanno anche incroci, piazze e
altri spazi pubblici, tutti con lo scopo
di favorire un diverso tipo di trasporto.
Secondo gli schemi proposti, subiranno
un trattamento simile, con nuove aree
pedonali e ciclabili, anche Corso Bue-
nos Aires, Viale Monza, Via Sardegna,
Via Buonarroti e Viale Zara.
di M. DI MARCO
Alla chiamata della micromobilità
per la fase 2, Helbiz risponde pre-
sente e, anzi, l’ad Salvatore Palella
preannuncia un ampliamento del parco
mezzi a disposizione: 2.000 in più entro
la fine di giugno per un totale che arriv-
erà, fra monopattini e bici elettriche, a
8.000 mezzi in Italia. “La micromobilità
- evidenzia Palella - sarà fondamentale
per il rilancio, tanto in Italia quanto negli
Stati Uniti”, dove ha sede Helbiz. I mezzi
pubblici saranno contingentati. Una situ-
azione che, specialmente nelle grandi
città, porterà le persone a usare mezzi al-
ternativi per spostarsi e fra questi grande
spazio sarà dato ai monopattini e alle bici
elettriche. Il ministro per i Trasporti, Paola
De Micheli, vuole proporre un buono di
200 euro per le persone che torneranno
a lavoro e avranno bisogno di spostarsi in
qualche modo. Un incentivo sufficiente?
“Noi non vendiamo il mezzo e nessuno
MOBILITÀ SOSTENIBILE La micromobilità elettrica sarà centrale per gli spostamenti nella fase 2
Helbiz: “Entro giugno 2.000 mezzi in più in Italia”Helbiz non ha mai fermato il servizio ma si prepara per affrontare le sfide dei prossimi mesi
dei nostri utenti spende più di 50 euro al
mese nel servizio” fa notare Palella. “Dal
4 maggio attiveremo un abbonamento
speciale. Ci interessa avere nuovi utenti
anziché puntare solo sui ricavi, soprat-
tutto perché ci stiamo quotando in borsa
e il mercato americano premia la crescita
delle startup”. I mezzi di micromobilità
saranno usati da centinaia di persone
nella fase 2 e un aspetto centrale sarà la
sanificazione. I monopattini e le bici elet-
triche di Helbiz subiranno un trattamento
speciale ogni settimana e quotidiana-
mente, quando vengono riportati in sede
per la ricarica, viene applicata una pulizia.
“Abbiamo posticipato di 6 mesi il lancio
della batteria ricaricabile sui monopattini
per questo motivo. Ci viene più comodo
pulirlo quando è sotto carica” specifica
Palella. “Invitiamo comunque chi usa i
mezzi di micromobilità a usare i guanti”.
Helbiz sta anche sperimentando con me-
todi più efficienti di sanificazione diretta
dei mezzi senza che debbano essere ri-
portati in sede, ma per ora non c’è ancora
nulla di definitivo.
Il Ministro De Micheli: “nel prossimo decreto, incentivi per l’acquisto di monopattini elettrici”. Confermati quelli per eBikeIl Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti De Micheli ha rivelato alcuni dettagli per la fase 2i di M. ZOCCHI
In un’intervista pubblicata sul Corriere della Sera, il Ministro delle Infrastrutture e dei Traspor-ti Paola De Micheli ha rivelato alcune regole e novità che sono in fase di definizione per la ripar-tenza. A margine delle indicazio-ni su come ci si dovrà spostare con treni, aerei e mezzi pubblici, la De Micheli è entrata nel det-taglio della mobilità privata urba-na. Confermata la possibilità di progetti rapidi e provvisori (come quello di Milano), tramite la modi-fica del Codice della Strada.La parte forse più interessante è quella che riguarda i mono-pattini elettrici, che per la prima volta vengono considerati come mezzi sdoganati per la massa, tanto che il Ministro anticipa che nel prossimo decreto ci saran-no degli incentivi per favorirne l’acquisto. Non ci sono dettagli e specifiche di questi incentivi, ma dalle parole dell’Onorevole sembra sia ormai cosa decisa. Parlando di incentivi, la De Mi-cheli ha anche confermato quelli per bici e eBike di cui avevamo già parlato.
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MAGAZINEn.54 / 204 MAGGIO 2020
di Massimiliano DI MARCO
L a mobilità è una delle principali incognite dell’or-
mai imminente “fase 2”: i mezzi pubblici saranno
contingentati ed è probabile che tante persone,
soprattutto nei principali capoluoghi, sfrutteranno moda-
lità alternative per ovviare a questo rallentamento della
viabilità pubblica. Uno di questi è il car sharing e Share
Now è uno degli attori principali, poiché è attiva a Mi-
lano, Roma e Torino. Conta 700mila utenti e un parco
auto complessivo di circa 3.000 veicoli, di cui circa la
metà soltanto nel capoluogo lombardo. Share Now è
nato dalla fusione di Car 2 Go e DriveNow. Per prova-
re a delineare cosa succederà nella fase 2, quali siano
le aspettative di Share Now e quali, inoltre, gli scenari
futuri, abbiamo intervistato Andrea Leverano, Regional
Operations Director South West di Share Now.
DMOVE.IT: Per la sharing economy, la fase 2 è un’op-portunità o va temuta?Andrea Leverano: “Sicuramente è una grande oppor-
tunità, ma non bisogna affrontarla con leggerezza.
L’opportunità richiede impegno. Bisogna definire qual
è il nostro posizionamento di mercato, un mercato che
sarà nuovo per tutti: da una parte, vedrà maggiore
attenzione sulla sicurezza e dall’altra avrà anche una
connotazione economica, sociale e, se vogliamo, psico-
logica nuova per tutti. Noi abbiamo vari punti di forza.
Per esperienza, siamo vicini all’auto privata. Con il car
sharing il distanziamento sociale si esprime meglio che
su un mezzo pubblico, anche grazie allo strumento di-
gitale. Poi si aggiunge l’aspetto economico: noi siamo
un’alternativa vantaggiosa per chi non può o non vuole
usare l’auto privata per spostarsi ma, allo stesso tempo,
ha bisogno di un servizio che ha un livello di sicurezza e
qualità importante”.
DMOVE.IT: Da quel che sappiamo oggi, i mezzi pub-blici saranno più contingentati. Nelle principali città, la sharing economy può sostenere l’afflusso di così tanti nuovi utenti? Non si rischia che la domanda superi di gran lunga l’offerta?Leverano: “Potremmo anche augurarcelo (ride). Noi sia-
mo pronti a fare la nostra parte nella mobilità urbana e
farla in una logica in cui lo sharing può offrire un’espe-
rienza che si sposa bene con le nuove esigenze, anche
nell’ottica di doversi spostare in modo più gestibile e
sicuro.Noi lavoriamo attraverso bandi pubblici e siamo
costantemente in contatto con le amministrazioni. Ci
piacerebbe capire come possiamo essere più efficaci
in questa fase 2 e in che modo servizi come il nostro
possano essere sostenuti anche dal lato degli utenti e
come potrebbero essere agevolati.”
DMOVE.IT: Vi aspettate o auspicate, quindi, incentivi pubblici per l’uso dei servizi di car sharing nelle mag-
MOBILITÀ SOSTENIBILE Nella fase 2, i mezzi pubblici saranno contingentati. sarà fondamentale l’adozione di modalità alternative
Fase 2, il car sharing sosterrà la domanda? Leverano (Share Now): “Una grande opportunità”Per Andrea Leverano, Regional Operations Director SW di Share Now, il car sharing “è un’opportunità, ma serve impegno”
giori città?Leverano: “L’attenzione è soprattutto su come regolar-
ci dal punto di vista della sicurezza e della vita di tutti
i giorni. Sì, ben vengano forme di incentivo dirette al
nostro potenziale cliente per accedere a servizi come
il nostro.”
DMOVE.IT: Vista la situazione, pensate di aumentare il parco auto?Leverano: “Non nascondo che in questa situazione, a
causa del forte calo del fatturato in queste settimane,
stiamo cercando di contenere al massimo i costi. Stiamo
programmando e cercando di capire cosa potremmo
fare se la domanda dovesse crescere in modo espo-
nenziale. Aggiungere ulteriori auto non è un processo
rapido e non ci vorrebbero pochi giorni”.
DMOVE.IT: Tanti utenti scopriranno per la prima volta il car sharing. Sono utenti che torneranno alle vecchie abitudini una volta tornata la normalità oppure una volta scoperto il servizio resteranno?Leverano: “Chi prova Share Now generalmente, salvo
situazioni negative rare, rimane fedele al servizio. Sono
dell’idea che se tutti ci muoveremo bene, sarà un’op-
portunità che ci consentirà di creare una customer base
ancora più allargata. Il periodo di transizione non sarà
brevissimo e prima di pensare di comprare un’auto, se
quello è il paragone, passerà ancora del tempo”.
DMOVE.IT: La potenza di questa situazione, inedita e anomala, potrebbe accelerare la trasformazione che
già era in atto. Leverano: “Secondo me sì. Ovviamente,
nessuno ha la sfera di cristallo, però se vogliamo essere
positivi, e secondo me dobbiamo esserlo, riprenderemo
con una nuova consapevolezza, diretta e indiretta, per
operare in modo più efficiente e di qualità”.
DMOVE.IT: È probabile che gli utenti saranno più ac-corti verso gli oggetti altrui, fra cui le auto. Share Now valuterà la disinfezione regolare dei mezzi o comun-que sta valutando ulteriori misure? Leverano: “Noi di base abbiamo aumentato di quattro
volte il livello di pulizia dei veicoli. Effettuiamo una di-
sinfezione ogni volta che un nostro operatore deve la-
sciare il veicolo. Ora stiamo ragionando se vale la pena
affiancare ulteriori alternative, come fornire strumenti
precauzionali nell’auto, anche se storicamente prefe-
riamo non farlo per tanti motivi. Ogni auto viene usata
mediamente 8-10 volte al giorno e potrebbero crearsi
troppi rifiuti. Bisognerà capire, poi, la logica culturale
del Paese: molti si autotuteleranno, con mascherine e
guanti propri, e avranno degli strumenti che li porteran-
no a essere più attenti”.
DMOVE.IT: Se molte persone non potranno rivolgersi ai mezzi pubblici e inizieranno a usare un’auto, non si rischia di intasare il traffico che in città come Milano e Roma è già complesso da gestire?Leverano: “Il vantaggio dello sharing è che, essendo
questa auto usata più volte durante la giornata, l’uso
del mezzo è più efficiente. Il traffico è generato soprat-
tutto dalle auto parcheggiate e inutilizzate. Se l’alterna-
tiva è l’auto privata, il car sharing è molto più sostenibile
e favorevole a un traffico più fluido”.
DMOVE.IT: Avete valutato o state valutando di colla-borare con servizi di condivisione, come il noleggio di monopattini, per creare un percorso più fluido per l’utente?Leverano: “Noi facciamo parte della Now Family che
oltre a Share Now include anche Free Now (l’ex-MyTaxi,
ndr). All’interno di quest’ultimo è attivo, per esempio a
Torino, un servizio di noleggio monopattino”.
Andrea Leverano è Regional Operations Director South West di Share Now.
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MAGAZINEn.54 / 204 MAGGIO 2020
di Massimiliano ZOCCHI
L e automobili a idrogeno in realtà
sono vetture a celle di combustibile,
alimentate da idrogeno, che genera-
no energia elettrica che mette in funzio-
ne dei comuni motori elettrici. Sebbene
si possa in pochi minuti immagazzinare
una grande quantità di vettore energe-
tico (l’idrogeno appunto) ci sono diversi
risvolti negativi, come la difficoltà di pro-
duzione e stoccaggio del prezioso gas,
oltre al costo di produzione dei veicoli.
Sembra che sia proprio quest’ultimo
punto ad aver convinto Mercedes-Benz
a rinunciare allo sviluppo dell’auto a idro-
geno, bloccando la produzione della GLC
F-Cell, l’unica fuel cell del gruppo, per
altro mai andata realmente in vendita. Il
progetto era nato in collaborazione con
Ford e Nissan, che tuttavia non si sono
mai spinte fino alla produzione reale,
mentre Mercedes negli anni ha assem-
blato qualche centinaio di vetture, tutte
utilizzate per scopi promozionali o come
AUTO IBRIDA Mercedes interromperà lo sviluppo di vetture a celle a combustibile a idrogeno
La lenta morte delle auto a idrogeno Anche Mercedes abbandona lo sviluppoTra i motivi ad aver convinto la casa, la difficoltà di produzione e stoccaggio del prezioso gas
test car. Il capo della ricerca di Daimler,
Markus Schäfer, ha dichiarato che “le
fuel cell funzionano bene. È solo una
questione di costi e produzione di sca-
la. Abbiamo bisogno di grandi volumi”,
chiarendo una volta per tutte lo svantag-
gio produttivo di questa tecnologia, che
si porta appresso tutto il powertrain di
un’auto elettrica normale (batteria com-
presa) oltre all’alimentazione a idrogeno,
con tutti i relativi problemi produttivi, di
spazio e di costi.
L’addio di Mercedes all’idrogeno di som-
ma ai già annunciati addii di Honda, che
per tanti anni invece ci aveva puntato
fortemente, e Volkswagen (ne avevamo parlato qui), che è inoltre l’azienda che
ha realizzato lo schema qui sopra. Par-
tendo da pari energia da fonti rinnovabili,
utilizzando un’auto elettrica finiscono in
reale movimento su strada circa il 70-
90% dell’energia iniziale, mentre con
l’idrogeno, a causa di tutte le perdite del-
la catena, solo il 25-35%.
Restano a bordo della “nave idrogeno”
solo BMW, Hyundai e Toyota, i cui pro-
getti sembrano però avere un futuro tut-
t’altro che roseo.
di Massimiliano ZOCCHI
I l 27 aprile sarà il gran giorno per la
Xpeng P7, la “smart electric sport se-
dan” come la definisce l’azienda, una
berlina elettrica di produzione cinese che
in pratica sfida l’impossibile: offrire tanta
autonomia e tecnologia di livello pre-
mium, a un prezzo mai visto.
Spesso la P7 viene identificata come “Clo-
ne Tesla”, non tanto per l’aspetto estetico,
quanto più per il modello di sviluppo se-
guito, che include anche una causa lega-
le intentata da Tesla stessa, per furto di
codice sorgente del sistema Autopilot.
Problemi legali a parte, se la Xpeng P7
dovesse portare su strada davvero quello
che promette sarebbe clamoroso. L’auto,
secondo l’azienda, è in grado di viaggiare
in guida autonoma di livello 3, in autostra-
da, in città e durante i parcheggi. Questo
AUTO ELETTRICA L’azienda cinese è pronta a lanciare la sua sedan sportiva elettrica il 27 aprile
Xpeng P7, il clone Tesla con guida autonoma livello 3 L’equipaggiamento è davvero “da paura”L’auto fa il pieno di tecnologia e promette tanta autonomia, e costa metà di una Tesla
grazie a un insieme di
componenti tecnolo-
giche di prim’ordine:
13 videocamere, 12
sensori a ultrasuoni,
5 radar e una video-
camera interna all’abi-
tacolo. Il tutto prende
il nome di Xpilot ed è
controllato dal SOC
Nvidia Drive AGX. Dicevamo anche del-
l’autonomia, che secondo i dati sarebbe
di 700 km, anche se secondo il ciclo di
omologazione NEDC. Questi parametri
non vengono più usati in Europa, prefe-
rendo il più severo WLTP, ma resta in ogni
caso un range di tutto rispetto, che po-
trebbe arrivare a 500 km nella vita reale.
Gli interni non potevano che essere in li-
nea con il resto dell’auto, con stile minimal
ma tecnologico, e con l’ormai immancabi-
le display centrale a comandare la scena.
Diversamente da Tesla però quest’ultimo
è in posizione orizzontale. E ovviamente il
sistema è in grado di ricevere aggiorna-
menti OTA. Il prezzo promesso è forse la
parte che stupisce più di tutte: la versione
base costerà solo l’equivalente di circa
31.000 euro, mentre la top di gamma arri-
verà a circa 49.000 euro.
BMW X5 xDrive45e. Una batteria da record per 100 km di autonomia “full electric”La batteria della BMW X5 xDrive45e può garantire 24 kWh lordi, che portano l’autonomia solo elettrica della nuova ibrida plug-in a quasi 100 Km di S. DONATO
L’ibrida plug-in BMW X5 xDrive45e aveva fatto parlare di sé al lancio per la sua batteria da record da 24 kWh lordi. Al momento, la ver-sione è solo una: la Business. La X5 xDrive45e è dunque propulsa dalla combinazione di un motore a benzina 6 cilindri BMW TwinPower da 210 kW e un motore elettrico eDrive da 83 kW massimi, per una potenza complessiva dichiarata di 290 kW (394 CV), e una coppia di 600 nm. La grande batteria da 24 kWh lordi, che diventano 21,5 kWh netti, può permettere alla X5 xDri-ve45e un’autonomia che va dagli 86 ai 97 km con la sola propulsio-ne elettrica. Grazie all’ibridazione del motore, i consumi di carburan-te sono compresi tra 2 e 1,7 l per 100 Km con emissioni di CO2 per la propulsione combinata che van-no da 47 a 39 g/km.La trazione è a quattro ruote mo-trici con cambio automatico, e i viaggi della X5 si avvantaggiano della strategia di funzionamento predittiva, che utilizza i dati di na-vigazione per calcolare tratti di percorso più adatti all’impiego del motore elettrico o per caricare la batteria. Prezzo di partenza 86.150 euro, per il quale è possibile sce-gliere cerchi da 19” e fino a 22”, e a cui si possono abbinare i pacchetti Comfort e Innovation.
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MAGAZINEn.54 / 204 MAGGIO 2020
di Massimiliano ZOCCHI
N ella progressiva elettrificazione del-
la flotta, Land Rover lancia le nuove
versioni PHEV di Range Rover
Evoque e Land Rover Discovery Sport, le
prime ibride plug-in costruite sulla nuova
piattaforma PTA. Non si tratta di semplici
adattamenti delle vetture endotermiche
già esistenti, ma di una seria riprogettazi-
one per ottenere il meglio dalla motoriz-
zazione PHEV.
Entrambe le vetture sono marchiate
P300e, e montano il motore benzina
Ingenium a 3 cilindri da 1.5 litri, con 200
CV di potenza e cambio automatico a o
rapporti. In accoppiata troviamo il motore
elettrico montato sull’asse posteriore, con
ulteriori 109 CV (80 kW). Il powertrain elet-
trico è supportato da una batteria al litio
da 15 kWh, situata sotto i sedili posteriori
e che quindi non ruba spazio all’abitabili-
tà dell’abitacolo. La batteria è composta
da 84 celle prismatiche, assemblate in
sette blocchi da 50 Ah, con una pro-
tezione d’acciaio spessa 6 mm. Come
AUTO IBRIDA Arrivano le versioni PHEV di Range Rover Evoque e Land Rover Discovery Sport
Land Rover Evoque e Discovery Sport Versione plug-in con ricarica fast DCLe auto sono le prime ibride plug-in con ricarica fast e oltre 60 km di autonomia elettrica
tutte le vetture PHEV, anche Evoque e
Discovery Sport hanno una modalità di
guida 100% elettrica, che permette di per-
correre a zero emissioni rispettivamente
66 e 62 km. Di conseguenza i consumi
secondo il ciclo WLTP sono al top della
categoria; Evoque registra un consumo
di 1.4L/100km, con emissioni di CO2 pari
a 32g/km, mentre Discovery Sport di fer-
ma a 1.6L/100km e 36g/km. Le modalità di
guida selezionabili sono tre. Con l’Hybrid
Mode la potenza dei motori è gestita au-
tomaticamente e si adatta alle situazioni
di guida e al livello di carica della batte-
ria. Inserendo i dati di navigazioni nella
strumentazione di bordo, il sistema incro-
cia i dati del percorso per massimizzare
l’efficienza del viaggio. Si passa poi alla
modalità EV, che ovviamente abilita la
marcia in solo elettrico, per arrivare infine
alla Save Mode, che dà priorità al motore
a combustione per mantenere la batteria
a un dato livello di carica, così da poterla
sfruttare in un secondo momento.
Ma dove Land Rover ha davvero fatto la
differenza è nel sistema di ricarica. Per la
prima volta (escludendo il particolare pro-
getto della Mitsubishi Outlander) abbia-
mo anche la ricarica fast per due vetture
plug-in. Sia Evoque che Discovery Sport
PHEV infatti hanno il connettore Combo
CCS, che permette la ricarica fino a 32 kW
nelle colonnine DC compatibili. Questo si
traduce in una carica da 0% a 80% in soli
30 minuti. Nel caso non sia disponibile un
connettore CCS, è possibile anche ricari-
care in corrente alternata, con presa Tipo
2, a 7 kW di potenza, con tempi quindi di
circa 1 ora e 24 minuti.
I proprietari hanno anche a disposizione
l’app InControl Remote, con cui tenere
sott’occhio lo stato di carica del veicolo,
programmare sessioni di ricarica a un de-
terminato orario e precondizionare la tem-
peratura della batteria e dell’abitacolo. In
questo modo l’energia usata in questo
passaggio deriverà dalla rete elettrica,
senza influire sull’autonomia di viaggio.
È già possibile configurare Range Rover
Evoque PHEV e Land Rover Discovery
Sport PHEV anche sul sito italiano. Per
la Evoque, la motorizzazione PHEV è ab-
binabile alla serie base e alla R-Dynamic,
con i rispettivi costi a partire da 53.000
euro e 55.450 euro. Per quanto riguarda
Discovery Sport valgono gli stessi ab-
binamenti, con prezzi a partire da 51.500
euro e 53.800 euro.
DMOVE Il primo trimestre ha fatto segnare ancora profitti
Tesla stupisce: ma quali perdite Anche con Covid arrivano i profitti
di M. ZOCCHI
All’inizio del mese abbiamo sco-
perto come Tesla sia riuscita a contenere i danni a livello
produttivo, nonostante il blocco della
fabbrica l’ultima settimana di marzo.
C’era quindi curiosità per sapere se
le oltre 88.000 auto prodotte avreb-
bero portato a numeri soddisfacenti
a livello finanziario. Gli analisti erano
concordi nel quantificare in poco più di 6 miliardi di dollari i ricavi per il primo trime-
stre, con una perdita per azione di circa 0.32 dollari. Oggi, come atteso, è arrivata la
comunicazione ufficiale da parte di Tesla, che ha riportato 5,985 miliardi di ricavo,
e incredibilmente ha mantenuto i profitti, anche se di poco, con un segno positivo
di 0.09 ad azione. In definitiva quindi Tesla è arrivata corta per quanto riguarda i
ricavi ma, nonostante la mancanza di quasi 30.000 consegne, è riuscita ad evitare
un nuovo segno rosso nei conti. L’azienda riporta inoltre che prevede, ovviamente,
un Q2 negativo, come sarà per molta parte dell’industria automotive, ma pensa di
poter passare indenne dalla bufera, grazie a una solida posizione di liquidità, con
circa 8 miliardi di dollari nelle casse.
Elon Musk è impazzito? Dichiara che le azioni Tesla costano troppo e vende tutti i suoi averiElon Musk ha postato il 1 maggio una serie di Tweet che hanno lasciato molti senza parole. Il titolo Tesla in borsa è crollato di M. ZOCCHI
Elon Musk ci ha abituato a dichia-razioni spesso al limite, sempre tramite Twitter, situazione che in passato gli ha causato anche qual-che guaio con le autorità finan-ziarie americane. Ma quello che è successo il 1 maggio ha dell’in-credibile, con il CEO di Tesla che ha realizzato una serie di strani Tweet, che si sono poi tradotti in una perdita consistente del titolo in Borsa. Il primo post ha messo subito in allarme fan ed investitori, con Musk che si dice pronto a ven-dere tutto ciò che è in suo posses-so, ed arrivare a non possedere nemmeno una casa. Ovviamente la dichiarazione ha destato preoc-cupazione, ipotizzando difficoltà finanziarie per le sue aziende (tra le quali ci sono anche SpaceX e Boring Company), tanto da costrin-gerlo ad ottenere liquidità extra. Tesla però ha una solida posizio-ne con oltre 8 miliardi di dollari in liquidità. La mossa peggiore però è arrivata dopo, con un commen-to sul prezzo delle azioni Tesla, ritenuto al momento troppo alto. Difficile comprendere il perché di una dichiarazione simile, dato che il titolo nelle scorse settimane ha avuto una valutazione anche mol-to più alta.
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MAGAZINEn.54 / 204 MAGGIO 2020
di Massimiliano DI MARCO
L a Formula E è ferma a causa del coronavirus e allora
la competizione si è spostata online. Da alcune set-
timane, i piloti del torneo stanno gareggiando attra-
verso il gioco simulativo rFactor 2, in una competizione
videoludica amichevole finalizzata anche alla raccolta
di fondi da dare, poi, in beneficienza. I piloti corrono da
casa e le gare virtuali vengono trasmesse in streaming.
Il torneo è stato chiamato Race at Home Challenge.
Abbiamo potuto parlare del torneo videoludico e, più in
generale, del futuro della Formula E con James Calado,
pilota del Panasonic Jaguar Racing Team.
DMOVE.IT: Nella prima gara del torneo esport sei an-dato piuttosto male, eliminato a pochi giri dall’inizio. Cos’è andato storto?James Calado: “Stiamo soltanto provando a divertirci.
Sono andato a sbattere parecchie volte, però è stato
divertente. Spero di riuscire a finire la prossima corsa.
L’equipaggiamento fa una grande differenza: il mio è in
un garage e non è certo l’ideale. Nella prima gara, quel-
la di prova a Monaco, i danni al veicolo erano bassi, al
25%. Allora tutti abbiamo giocato cercando di andare
il più velocemente possibile, facendo poca attenzione
ai muri. A Hong Kong è stata una gara più bilanciata,
perché i danni sono stati aumentati all’80%. Quindi do-
vevamo evitare i muri. È stato un grosso miglioramento,
nella gara in generale, rispetto al test di Monaco”.
DMOVE.IT: Cosa ne pensi del torneo?Calado: “Non è realistico, è troppo diverso dalla realtà.
Però il beneficio è che i circuiti, invece, sono molto fedeli.
Per esempio, non conoscevo ancora il tracciato di Hong
Kong e per le ragioni che sai non correremo lì. Quindi è
stato un vantaggio poter già studiare il circuito”.
DMOVE.IT: Il fatto che né l’auto né i danni che subi-sce siano reali ha modificato il tuo stile di guida? Eri più aggressivo di quanto saresti stato nella realtà, per esempio?”Calado: “Guidiamo in modo diverso perché non c’è al-
cuna pressione. Vogliamo solo divertici. Abbiamo per-
sino un canale Discord (piattaforma di messaggistica
pensata per i videogiocatori, ndr). Quindi sì, sicuramen-
te ha cambiato il mio modo di guidare”.
DMOVE.IT: La prima lacuna di un simulatore rispetto a guidare un’auto vera?Calado: “Dobbiamo distinguere tra il simulatore che ab-
biamo a casa noi piloti, cioè quello su cui stiamo giocan-
do ora, e quello disponibile in sede. Il simulatore in casa
è standard, non hai la sensazione di cosa stia facendo
l’auto. È pur sempre un videogioco, anche se di alto li-
vello. Quelli in fabbrica, invece, sono molto più vicini alla
realtà. Se fai un errore, hai le stesse reazioni che avresti
MOTORSPORT La Formula E è ferma, ma con i videogiochi i piloti continuano a correre. Calado: “Non è come correre in pista”
James Calado: “Giochiamo online per divertirci La Formula E è il futuro, ma mi mancano le termiche”“La Formula E? È il futuro del motorsport. Le persone devono capire che non si può pensare sempre al passato”
nella realtà. Ci sono comunque delle differenze rilevan-
ti: non possiamo simulare propriamente la forza G, per
esempio, e anche il fatto di non sentire l’aria fresca ma
di essere di una stanza chiusa incide molto.
In un simulatore, inoltre, possono capitare bug. Con una
configurazione appropriata, in ogni caso, ciò che fai in
un simulatore è ciò che faresti nella realtà e viceversa.
Sono molto vicini alla realtà”.
DMOVE.IT: Come vedi le auto a idrogeno?Calado: “Le auto della Formula E usano le batterie al
litio, ma anche il litio è una risorsa che prima o poi è de-
stinata a finire e quindi punteremo sull’acqua. Ho visto
un prototipo delle auto a idrogeno. La strada da fare è
ancora lunga e per ora conviene puntare sull’elettrico.
Sarà interessante capire come si sviluppa”.
DMOVE.IT: Il campionato è fermo, e non è stato faci-le per te. Quali sono state le principali difficoltà?Calado: “Le altre categorie in cui ho gareggiato erano
junior. Qua siamo al massimo livello competitivo e io
sono stato praticamente catapultato dentro. Non è que-
stione di velocità, ma di conoscere la tecnologia. Quelli
della Formula E sono tracciati urbani e io sono abitua-
to ai Grand Prix. Il fatto di non poter provare molto un
circuito prima della gara in Formula E, poi, influenza di
più i neofiti rispetto agli altri tornei a cui ho partecipato.
Quando la quarantena sarà finita, vedremo un bel mi-
glioramento perché potrò tornare a parlare direttamen-
te con gli ingegneri, capire quali sono i miei problemi e
puntare al podio”.
DMOVE.IT: Ti manca qualcosa delle auto da F1?Calado: “Sicuramente mi manca il suono e l’effetto che
ti fa stare sul sedile di un’auto del genere, le vibrazioni.
Però mi piace la direzione che stiamo seguendo con le
auto elettriche”.
DMOVE.IT: Com’è il tuo rapporto con Mitch Evans?Calado: “Mitch? Lo conosco da un po’. Lui è più giovane
di me, ma mi sta aiutando molto perché a sua volta sa
quanto sia difficile iniziare in Formula E. Sto imparando
tanto da lui.”
DMOVE.IT: Pensi che ci sia qualcosa in particolare che, a oggi, sta limitando la visibilità della Formula E agli occhi del grande pubblico?Calado: “Le persone devono capire che non possiamo
sempre restare nel passato. La Formula E è il futuro del
motorsport. Mi mancano le vibrazioni che hai sul sedile e
la potenza delle auto termiche, certo. Allo stesso tempo,
penso però che con la Formula E riusciamo a realizzare
delle ottime corse. Siamo attirando appassionati anche
per questo. E poi è bello poter correre fra le città”.
Cosa cambieresti della Formula E?Calado: “Preferirei avere un po’ più di potenza. Inoltre,
adoro i circuiti attuali, ma penso che con l’aumento
della velocità delle auto dovremo pensare ad allar-
gare i circuiti”.
Per chiudere, quali sono state le differenze tra le gare di endurance e la Formula E?Calado: “L’endurance è tutta passione. Bisogna esse-
re un gran giocatore di squadra, perché non lo fai
solo per te stesso: l’auto deve essere in buono stato
dall’inizio alla fine. Detto ciò, Le Mans è ormai una
gara di velocità. Dopo l’incidente che ho avuto nel
2014, ho realizzato che dovevo iniziare a lavorare
meglio con gli altri. Come ciò è successo, ho iniziato
a vincere. Per la Formula E sono dovuto ritornare al-
l’atteggiamento che avevo prima, essere aggressivo
e individualista”.
Da sinistra, James Calado e Mitch Evans, piloti del Jaguar Panasonic Racing Team di Formula E.
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MAGAZINEn.54 / 204 MAGGIO 2020
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D a pochissimo è possibile, anche sul sito italiano,
configurare Range Rover Evoque e Land Rover Discovery Sport in versione PHEV, ovvero ibri-
de plug-in. Non si tratta di una prima volta assoluta per
la casa inglese, ma è la prima volta in cui questa ope-
razione viene fatta sulla nuova piattaforma PTA (Pre-
mium Transverse Architecture). Abbiamo così colto
l’occasione per fare due chiacchiere (a distanza) con
Craig Hargreaves, Senior Powertrain Engineer dei
modelli Land Rover PHEV. Qui di seguito vi riportiamo
la nostra intervista, in cui abbiamo cercato di toccare
qualche punto che non fosse già stato approfondito
dai normali comunicati stampa.
DMOVE.it: Craig, si tratta in buona sostanza di una prima esperienza per voi, com’è nato il progetto?Craig Hargreaves: “Volevamo creare una vettura
ibrida plug-in che potesse integrare al meglio le nuo-
ve tecnologie, ma al tempo stesso che potesse man-
tenere anche lo spirito distintivo delle auto del nostro
marchio. Un grosso aiuto è arrivato dalla piattaforma
PTA, perché fin da quando è stata introdotta, è sta-
ta pensata per ospitare anche una soluzione ibrida
plug-in, e il motore a tre cilindri 1.5. Anche per la bat-
teria abbiamo volutamente scelto la posizione bassa
sul pianale, il che ci ha permesso di non modificare
le attitudini fuori strada dei nostri veicoli, anzi, abbas-
sando il baricentro abbiamo anche potuto spingere
sulle caratteristiche dinamiche di guida. Il tutto poi si
è completato con la massima flessibilità possibile nel
sistema di ricarica, per il quale siamo uno dei primi
costruttori ad inserire la ricarica fast DC in
una ibrida”.
DMOVE.it: In realtà hai anticipato la mia prossima domanda. Se non sbaglio siete i primi con la ricarica fast Combo CCS in una PHEV, come siete arrivati a questa scelta?Hargreaves: “La batteria che siamo riusciti
ad alloggiare, da 15 kWh, insieme all’effi-
ciente motore elettrico, permette di offrire ai
clienti fino a 66 km di autonomia completa-
mente elettrica. Per questo noi pensiamo di
offrire un’auto che quotidianamente possa
essere utilizzata come una elettrica pura, e
la ricarica DC fast permette anche tratte un
po’ più lunghe, come quelle intorno alle cit-
tà, con una sosta breve come quella di una
pausa caffè. È veramente un punto di forza
di queste nuove auto secondo noi.”
DMOVE.it: Come sai Jaguar (che fa parte
AUTO IBRIDA Land Rover ha appena lanciato Evoque e Discovery Sport in versione PHEV, già configurabili anche sul sito italiano
I segreti delle ibride plug-in di Land Rover Parla Craig Hargreaves, ingegnere del powertrainAbbiamo potuto fare quattro chiacchiere con il responsabile dello sviluppo powertrain dei modelli Land Rover PHEV
di Jaguar Land Rover) partecipa al campionato di Formula E. Utilizzate uno scambio di dati con il team per lo sviluppo dei motori elettrici?Hargreaves: “Ovviamente abbiamo una stretta colla-
borazione con il nostro team di Formula E, e siamo
sempre alla ricerca di opportunità per sfruttare lo svi-
luppo portato avanti nel campionato. Tuttavia la dif-
ferenza tecnologica tra la Formula E e un SUV plug-in
è abbastanza elevata e c’è una quantità limitata di
trasferimento all’interno di questi prodotti, ma posso
assicurarti che la collaborazione tra il team e il nostro
gruppo di ingegneri è molto forte, e condividiamo in-
formazioni ogni volta che possiamo, soprattutto sui
sistemi di controllo. Inoltre condividiamo anche alcu-
ne location dei test.”
DMOVE.it: So che hai lavorato spesso anche su mo-tori diesel ed altri, così voglio chiederti se pensi ci sia ancora spazio per migliorare questi motori, op-pure i PHEV sono l’unica possibilità?
Hargreaves: “Jaguar Land Rover come costruttore
cerca costantemente di portare il meglio della tecno-
logia ai suoi clienti, ma sappiamo anche che non tutte
le tecnologie sono adatte a tutti i clienti, così cerchia-
mo di offrire un range il più ampio possibile per la
scelta dei motori. Chiaramente le migliorie possibili
sui motori a combustione sono minori rispetto a quel-
le permesse dal sistema plug-in, ma come molti altri
costruttori abbiamo ancora programmi per continua-
re a migliorare i nostri motori endotermici”.
DMOVE.it: L’unità elettrica in queste nuove auto è situata direttamente sull’asse posteriore. Come mai questo cambiamento rispetto alle scelte pregresse, dove era invece all’interno del cambio?Hargreaves: “Questa è davvero un’ottima doman-
da e in realtà ci riporta in parte al discorso iniziale.
Avevamo un certa quantità di punti cardine in questo
progetto, e volevamo offrire una Land Rover PHEV
ma senza nessun compromesso. Il motore sull’asse
posteriore ci ha permesso di liberare spazio
nella parte centrale, così da avere una bat-
teria più generosa, ma soprattutto evitando
l’ingombro che ci avrebbe invece costretto
a sacrificare, ad esempio, spazio nell’abita-
colo. Inoltre il motore direttamente sull’asse,
senza meccanica di trasmissione, permette
di aumentare l’efficienza generale di tutto il
powertrain.
Le mosse di Jaguar Land Rover sono state
quindi ben studiate, con lo scopo primario
di offrire una vera Land Rover ma con una
nuova tecnologia. Speriamo di poter quindi
testare dal vivo le nuove vetture, non appe-
na la situazione globale si sarà normalizza-
ta, e nel frattempo vi rimandiamo al nostro
articolo di presentazione, con tutte le carat-
teristiche e i prezzi, nonché alle singole gal-
lerie fotografiche, con i dettagli della ricarica
e dell’infotainment di Range Rover Evoque
PHEV e Land Rover Discovery Sport PHEV”.
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MAGAZINEn.54 / 204 MAGGIO 2020
di Massimiliano ZOCCHI
Attualmente in Formula E ci sono 12
squadre, tra le quali ci sono nume-
rose case costruttrici che hanno
scelto questo nuovo campionato per far-
si spazio nel mondo delle competizioni a
zero emissioni. Gli ultimi arrivi, in ordine
di tempo, sono Nissan (che ha preso il
posto della cugina Renault), Porsche e
Mercedes, entrambe con team ufficiali.
Tuttavia, a parte la sponsorizzazione
di Geox nel team Dragon, dall’addio di
Jarno Trulli manca una vera e propria
presenza italiana. In un momento di scel-
te importanti, FCA ha scelto la via della
Formula 1 per Alfa Romeo, lasciando solo
voci su una possibile partecipazione fu-
tura di Maserati, intenta in un piano di
elettrificazione della flotta. Ferrari ovvia-
mente per ora resta alla finestra, e quin-
di all’Italia chi ci penserà? Chi potrebbe
se non Gianfranco Pizzuto, imprendi-
tore altoatesino e italianissimo, già tra
i fondatori della Fisker Automotive, poi
rilevata da un altro gruppo e diventata
MOTORSPORT Gianfranco Pizzuto prepara l’ennesima avventura nel settore dell’elettrico
Formula E, Ferrari e Maserati latitano? Al team italiano di ci pensa qualcun altroSono bastati 2 giorni per arrivare al piano ufficiale per fondare la Scuderia-E Formula E Tea
Karma Automotive. Da allora Pizzuto non
ha mai abbandonato la passione per la
trazione elettrica, occupandosi tramite la
sua “Scuderia-E” di importare le Fiat 500
elettriche dagli Stati Uniti, migliorarne le
caratteristiche tecniche, e rivenderle. Più
di recente è stato anche EV Ambassador
per Jaguar, facendo da testimonial della
Jaguar I-Pace. Lo abbiamo letteralmente
provocato, chiedendogli se non avesse
mai pensato a una squadra di Formula
E italiana, sfruttando tutta la sua enorme
rete di conoscenze. Sono bastati due
giorni per arrivare da un’ipotesi al piano
ufficiale per fondare la Scuderia-E For-
mula E Team. Il primo ad essere coin-
volto nel progetto è stato Mark Lander,
proprietario dell’azienda turca Imecar,
esperta di motori elettrici, batterie, e
conversioni da mezzi endotermici. Di fat-
to quindi la squadra sarebbe italo-turca,
come dimostra la bandiera della Turchia
riprodotta nella pinna posteriore del ren-
dering della monoposto Gen2 EVO. In
pochi giorni sui social network (special-
mente Linkedin) sono piovute candida-
ture di ogni livello, da ingegneri, ad av-
vocati, fino addirittura ex team principal
con già esperienza in Formula E.
“È fantastico vedere quanto interesse
ha suscitato la possibilità di questo
nuovo team italo-turco”, scrive sul suo
profilo lo stesso Pizzuto, con la stampa,
italiana e internazionale, che si è subi-
to interessata alla vicenda. Come ab-biamo scritto di recente in un nostro articolo, le cifre per mettere in piedi un
team di Formula E non sono proibitive,
anche se comunque consistenti, così è
partita la ricerca di partner e sponsor,
con la speranza di poter partecipare
alla stagione 2021-2022.
“È dura oggi, con la crisi Covid-19, an-
dare a bussare alla porta di un’azienda
automotive, per questo stiamo cercan-
do più che altro di muoverci in settori
alternativi, che non abbiano risentito
troppo delle mancate vendite e dei lock-
down”, è questa in sostanza la strategia
per cercare di concretizzare il piano. Re-
sta infine lo scoglio del numero massimo
di squadre da statuto della Formula E,
ovvero 12, quota già raggiunta. Pare però
che le squadre di NIO e di Dragon siano
aperte a sostanziose compartecipazioni
o vendita totale del team, e che la cosa
sia già arrivata alle orecchie del CEO di
Formula E Alejandro Agag...
Opel svela la nuova Mokka La versione elettrica arriverà per primaDopo la Opel Corsa-e e la plug-in Grandland X, la casa tedesca prosegue verso l’elettrificazione, con la nuova Mokka, ora in fase di test di M. ZOCCHI
Opel presenta la nuova Mokka, an-che se per ora ancora esticamente camuffata, e la novità non è solo il nome, che perde la X. Il piccolo SUV sarà disponibile anche in ver-sione elettrica, che sarà inoltre la prima ad arrivare sul mercato. La vettura è già pronta, ed entra ora in fase di test con gli ingegneri Opel, e secondo la tabella di marcia do-vrebbe andare in produzione di massa nel quarto trimestre 2020, per avere le consegne per l’inizio del 2021. Dalle poche immagini diffuse si può solo intuire qualcosa sulle forme generali, e ovviamente per ora non è trapelata nessuna specifica tecnica. Un’ipotesi è che Opel, ora parte del Gruppo PSA, possa fare una scelta simile a Peu-geot, che ha condiviso tecnologia e caratteristiche con la e-208 e la e-2008. Allo stesso modo quindi il brand potrebbe aver trasportato il powertrain della Corsa-e su questa nuova Mokka. Si tratta però solo di speculazioni. Il CEO Opel Michael Lohscheller si è così espresso:“PQuesta seconda generazione mostra tutto ciò che Opel rap-presenta oggi e rappresenterà in futuro, cambiando la percezione del nostro brand. I nostri ingegneri hanno ancora del lavoro impor-tante da fare, ma non vedo l’ora di presentare presto il nuovo Opel Mokka”.
DMOVE Approvato il prolungamento degli accordi fino al 2025
Formula E a Roma, la sindaca Raggi conferma l’accordo fino al 2025
di M. ZOCCHI
L o scorso 4 aprile si sarebbe do-
vuto tenere l’ePrix di Formula E
a Roma, purtroppo annullato a
causa dell’epidemia di Covid-19. Era
praticamente certo che non si sareb-
be trattata dell’ultima occasione per
vedere le monoposto elettriche nella
nostra capitale, e infatti oggi il Sinda-
co Virginia Raggi, sulla sua pagina
Facebook ha confermato il prolunga-
mento degli accordi con la Formula
E. La Giunta Capitolina ha approvato
l’estensione fino al 2025, con la possibilità di vedere quindi almeno altre 5 gare,
per le strade del quartiere Eur, a detta di moti piloti probabilmente il miglior tracciato
di tutto il campionato. Secondo la Raggi gli ePrix di Roma rappresentano un’impor-
tante opportunità per la città, per ottenere investimenti nel territorio. Queste le sue esatte parole.Durante le scorse edizioni eravamo ovviamente presenti e potete fare un salto al-
l’indietro con la nostra gallery dai box, oppure vedere il tracciato tramite il simu-latore, o ancora la nostra intervista con uno dei vincitori, Mitch Evans.
Formation Duo, il primo sistema di altoparlanti senza fili per lo streaming che riesce a fornire la fedeltà "cablata" in modalità wireless,
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MAGAZINEn.54 / 204 MAGGIO 2020
di Massimiliano ZOCCHI
VanMoof presenta ufficialmente le
sue nuove eBike S3 e X3. Il mar-
chio ha fatto scuola con il suo de-
sign minimal ma estremamente distinti-
vo, e i nuovi prodotti non si discostano
dallo stesso stile che ne ha decretato il
successo mondiale.
La differenza più grande delle nuove
eBike è il prezzo, letteralmente crolla-
to rispetto ai primi modelli. Le VanMoof
infatti costavano 3.398 dollari, mentre
ora entrambi i modelli possono essere
acquistati a soli 1.998 dollari. Secondo
l’azienda la forbice di prezzo è dovuta
alla loro crescita, passando da “bou-
tique company” ad una realtà ben più
strutturata, con una catena di approvvi-
gionamento matura e negozi in tutto il
mondo. Il nuovo motore delle VanMoof
è migliorato sotto tutti i punti di vista,
essendo più potente, più silenzioso e
più piccolo. La potenza è di 350 W nella
BICI ELETTRICA Ecco le attese S3 e X3 di VanMoof, eBike dal design che ha fatto scuola
VanMoof presenta le nuove eBike S3 e X3 Migliorano le specifiche e il prezzo scendeLa novità è che ora il prezzo è crollato rispetto ai primi modelli: da 3.398 a 1.998 dollari
versione americana, bloccata a 250 W
per l’Europa, con una coppia massima
di 59 Nm. Entrambi i modelli, S3 e X3
hanno il cambio automatico a quattro
rapporti gestito elettronicamente, con
la marcia giusta inserita in base a velo-
cità e inclinazione. Con l’app per smar-
tphone l’utente può impostare i punti di
cambio anche diversamente dalle im-
postazioni di fabbrica. La batteria è da
504 Wh, e l’eBike integra anche il Blue-
tooth e il GPS. La S3 e la X3 hanno le
stesse specifiche e si differenziano solo
per la geometria e la taglia. La VanMoof
S3 monta ruote da 29”, mentre la X3 ha
il tubo orizzontale che incrocia l’obliquo
più in basso e monta ruote da 24”, il
che ne cambia completamente l’aspet-
to, anche se mantiene il design tipico
VanMoof. I due modelli possono essere
pre-ordinati sul sito dedicato, con con-
segne a partire da maggio.
di Massimiliano ZOCCHI
Come ormai noto, l’Unione Euro-
pea ha abbassato notevolmen-
te i limiti di emissioni inquinanti
consentiti per i costruttori di auto, così
da spingerli verso mezzi sempre meno
inquinanti. Risulta quindi ovvio che per
rientrare nei limiti del 2020, e in quelli
AUTO ELETTRICA Il ritmo di vendita delle auto ecologiche non è abbastanza alto e le case rischiano multe severe dall’UE
Si vendono poche auto elettriche, le case rischiano multe FCA e Volkswagen le peggiori, Toyota meno a rischio Toyota, che nei suoi spot si fa beffe delle auto elettriche, sembra essere l’unica che riuscirà ad evitare le multe, o quasi
ancora più severi dei prossimi anni, le
auto elettriche siano la soluzione miglio-
re, poiché in grado di abbassare drasti-
camente la media, su cui poi si basa la
rilevazione finale. Quello che si scopre
però in un report di PA Consulting, è che
i 13 principali costruttori, al ritmo attuale
di vendita, non riusciranno a centrare i
loro obiettivi, rischiando multe
per un totale di 14.5 miliardi di
euro. Le auto elettriche insom-
ma stanno accelerando sul
fronte delle vendite anno su
anno, ma non abbastanza da
coprire e compensare le emis-
sioni del resto della gamma,
sempre più piena di SUV con
prestazioni non accettabili sul
fronte della sostenibilità am-
bientale. Il report sottolinea poi quella
che potrebbe essere una vera e propria
beffa per molti costruttori: Toyota, che
nei suoi spot si fa beffe delle auto elet-
triche, sembra essere l’unica che riusci-
rà ad evitare le multe, o quasi.
Come si vede dalla tabella 1, il costrut-
tore giapponese, secondo le previsioni
di PA, sarebbe di pochissimo sopra la
soglia per evitare le sanzioni, con emis-
sioni medie per il 2021 di 95.1 grammi di
CO2 per km, contro i 94.9 prefissati. Se
questo lieve ritardo dovesse rimanere,
significherebbe per Toyota pagare la
misera cifra di 18 milioni di euro alla UE.
Ma come ha raggiunto questo status? Il
merito è delle vetture ibride, da sempre
cavallo di battaglia di Toyota, e che ora
hanno contagiato anche il settore dei
SUV, permettendo quindi di mantenere
la media più bassa dei concorrenti.
Tra i principali costruttori, spiccano in
senso negativo FCA e Volkswagen.
Fiat-Chrysler, che si appresta a lancia-
re la nuova 500 elettrica, ha un target
di 92.8 grammi, ma a questi ritmi arri-
verebbe solo a 119.8, rischiando quindi
quasi 2 miliardi e mezzo di sanzione. Fa
peggio Volkswagen, che al contrario di
FCA ha una schiera di auto elettriche
pronte ad arrivare sul mercato, ma che
ancora non sono entrate nella fase di
vendita vera e propria. La casa tedesca
al ritmo odierno arriverebbe a 109.3
grammi di CO2, contro i 96.6 necessari
per evitare multe. Rischia quindi di do-
ver pagare 4.5 miliardi.
Difficile dire se la situazione resterà
effettivamente quella fotografata dal re-
port. Le case sono certamente coscienti
del problema, e siamo sicuri che intensi-
ficheranno le politiche interne per spin-
gere le vendite delle auto elettriche ed
ibride. Del resto la cosa risulta già evi-
dente dalle campagne pubblicitarie, in
Tv e su altri mezzi di informazione, mai
così piene di auto elettrificate come in
questo periodo.
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