CARLO FELICE MANARA Raccolta di materiali per il corso ... e societa/Scienza... · ... ma che oggi...

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CARLO FELICE MANARA Raccolta di materiali per il corso Problemi religiosi posti dalla filosofia della scienza, tenuto per il ciclo di specializzazione della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, Milano, negli anni accademici 1976-77, 1977-78, 1978-79. PARTE PRIMA Indice degli argomenti. 

1. Sommario del Corso. P. 2 2. Bibliografia. P. 3 3. Introduzione e programma. P. 4 – 9 4. Diario delle prime due lezioni. P. 10 – 11 5. Definizione di Scienza. P.12 – 15 6. Sul problema dei gradi di astrazione della classificazione del sapere. P. 16 ‐ 17  7. Causa. P. 18 8. Concetto di legge. P. 19  9. Paralogismi fisicistici. P. 19 ‐ 21 10. Bibliografia e riferimenti. P. 22 ‐ 25 11. Agostino. P. 26 12. Logica. Definizione implicita. P. 26 13. Esistenzialismo. P. 29 

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SOMMARIO DEL CORSO. I - Considerazioni preliminari sul problema della definizione della scienza. La dottrina classica dei gradi di astrazione. La rivoluzione rinascimentale del sapere. Il metodo sperimentale e la matematizzazione della scienza. Scienza della natura e scienze dell’uomo. Il procedimento ciclico tipico della scienza dalla osservazione alla osservazione attraverso la enunciazione di ipotesi e la deduzione. Alcuni problemi fondamentali: intersoggettività ed obbiettività. II - Il significato della matematizzazione galileiana. La matematica come linguaggio della scienza della natura: l’osservazione tradotta in numeri, attraverso la misura, la deduzione ridotta al calcolo. Le teorie fisiche ed i modelli; validità, verità ed adeguatezza di una teoria fisica. Le leggi fisiche, la loro geometrizzazione e algebrizzazione. La definizione operativa degli enti della fisica. Preliminari sulla relatività ristretta e generale e sulla geometrizzazione del cronotopo. III - L'evoluzione della matematica negli ultimi secoli. La crisi della geometria euclidea ed il nuovo assetto della geometria. Il programma di Erlangen e la classificazione delle geometrie. La definizione implicita e la struttura assiomatica. I problemi logici che nascono dal nuovo assetto della geometria e dal metodo assiomatico in generale. La matematica come quadro ideale del sapere scientifico. IV - I problemi logici della matematica moderna. La teoria degli insiemi classica e le sue aporie. I paradossi classici. L'aritmetica. L’algebra di Boole e l'algebrizzazione della logica. Sintassi e semantica. La “Beweistheorie", i problemi fondamentali dei sistemi formali ed i teoremi di Gödel. V - La razionalità scientifica ed i problemi della certezza, della verità, dei valori. Il posto della scienza nel mondo di oggi ed il peso della cosiddetta mentalità scientifica. Lo scientismo ed i limiti della scienza. Il realismo radicale ed implicito della scienza. I problemi delle relazioni tra il sapere scientifico e le altre forme di sapere.

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FACTEOL / BIBLIOGRAFIA ARISTOTELE - Organon: Categorie, Dell'espressione. Primi analitici. Secondi analitici. PATRICK SUPPFS - Axiomatic Set Theory (D. Van Nostrand, 1960) UGO SPIRITO - Dal Mito alla scienza. Firenze, 1966 DOMENICO COSTANTINI - Fondamenti del calcolo delle probabilità. Milano, 1970 B. W. BETH - I fondamenti logici della matematica E. CASARI - Lineamenti di logica matematica E. CASARI - Questioni di filosofia della matematica L. GEYMONAT - Filosofia e filosofia della scienza A. PASQUINELLI- Nuovi principi di epistemologia W. V. O. QUINE - Manuale di logica E. NAGEL - La·struttura della scienza. Collana Feltrinelli di filosofia della scienza diretta da L. Geymonat. E. W. BETH- Formal methods. An introduction to symbolic logic. Dordrecht, 1962 J. DOPP - Mogiques construites par une méthode de déduction naturelle. Louvain, 1962 I.M. BOCHENSKI - Die zeitgenossichen Denkmethoden. Bern, 1954

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FACTEOL./ INTRODUZIONE E PROGRAMMA /1 1 - Il compito di presentare i problemi della scienza moderna nei confronti della religione può sembrare talmente superiore alle forze di un uomo da scoraggiare chiunque. Tanto più quando colui che se lo assume non è un filosofo né un teologo, ma semplicemente un matematico che ha riflettuto qualche poco sulla propria scienza e sul posto che la scienza ha nella mentalità dell'uomo di oggi. Tuttavia il fatto di aver accettato di portare questo peso non va preso come testimonianza di redenzione da parte di chi scrive; semplicemente questa accettazione vuole essere uno stimolo allo studio di certi problemi che si possono dire fondamentali per la mentalità odierna e per il posto che la scienza occupa nel nostro mondo. Questo è infatti uno dei nodi principali che affliggono l’uomo di oggi ed insieme lo stimolano ad una superbia ben poco giustificata. A partire da un illuminismo che diede uno degli esempi più clamorosi di manipolazione della scienza e della opinione, la scienza si è presentata da almeno due secoli come l'unico mezzo di salvazione dell'uomo, l'unico strumento di progresso e di libertà per l'uomo. Quale sia questo progresso e questa libertà è talvolta oggetto di amare considerazioni per chi si soffermi a meditare quanta e quale schiavitù incombe sull'uomo di oggi e quanti e quali strumenti per tale schiavitù la scienza potrebbe fornire. La chimica può fornire i mezzi per avvelenare tutte le acque e tutta l'aria, la farmacologia può fornire dei farmaci che annullano e stravolgono la personalità dell’uomo; la psicologia può fornire dei mezzi per far propaganda alle idee più pazze e per convincere delle proposizioni più assurde le masse, la teoria della informazione può sollevare delle ondate di propaganda che sono molto più temibili delle epidemie che nei secoli andati devastavano porzioni intere della crosta terrestre. L’elettronica può fornire i mezzi per schedare l'uomo in modo che nulla della sua vita, del suo comportamento, del suo passato sia nascosto e dimenticato; la genetica può manipolare le cellule basi dei viventi e presumere di creare delle nuove specie e delle nuove razze; la fisica può scatenare delle energie tali da distruggere in poche frazioni di secondo tutto il pianeta e comunque avvelenare l’ambiente per migliaia di anni avvenire. Tutte queste possibilità che si offrono alla volontà non retta dell’uomo e che conseguono al dominio sulla natura che è frutto della conoscenza scientifica derivano dalla scienza modernamente intesa e quindi dalla rivoluzione che è iniziata sostanzialmente con il Rinascimento. 2 - La opportunità di analizzare e di studiare la scienza di oggi non scaturisce soltanto dal potere distruttivo che questa ha ottenuto; tale opportunità nasce anche dal fatto che il potere che la scienza ha non si manifesta soltanto nelle apocalittiche distruzioni di cui sarebbe capace, ma si realizza quotidianamente in tutta la nostra vita, in modo che si potrebbe veramente dire, senza paura di essere smentiti, che l'uomo moderno non saprebbe sopravvivere fisicamente più di qualche giornata se gli mancassero i sussidi che gli sono forniti dalla scienza. Nessuno oggi saprebbe vivere senza la casa, senza l’illuminazione, senza gli alimenti che non sono più genuini ma elaborati, senza la organizzazione, senza le medicine, senza i vestiti che sono procurati dalla tecnica la quale è in strettissimo collegamento con la scienza. Si potrebbe infatti asserire senza ombra di dubbio che una delle caratteristiche della nostra società è proprio questa dipendenza dalla scienza che fa sì che ciò che una volta, nelle civiltà classiche, era opera dell’ingegno artigianale, oggi sia strettamente legato alla conoscenza scientifica della natura e delle sue leggi. Una osservazione, anche superficiale, ci conduce facilmente a questa conclusione. Pensiamo ai farmaci, che una volta erano forniti dalla natura e che oggi sono frutto di una elaborazione scientifica che coinvolge la biologia molecolare, la biologia generale, la chimica biologica, la chimica organica, la organizzazione industriale e non so quante altre scienze. Pensiamo alla costruzione delle case e delle strade, che già i Romani conoscevano e facevano egregiamente, ma che oggi sono di dominio della scienza delle costruzioni, della scienza dei trasporti, dell’urbanistica, ecc. Pensiamo al problema del vestirsi, che una volta era risolto con le fibre tessili naturali e che oggi diventa un compito della chimica, della organizzazione industriale, della psicologia, della sociologia; al problema fondamentale dell’alimentazione che oggi è risolto con tutta la tecnica scientifica della agricoltura intensiva, dell'allevamento organizzato del bestiame, della conservazione degli alimenti, ecc. In conclusione si potrebbe dire che il vivere umano, almeno nei paesi che si dicono civilizzati, ma oggi sempre di più anche negli altri, non dipende più dall'ingegno spicciolo e - si direbbe - artigianale che faceva risolvere i problemi a piccola scala nelle generazioni che ci hanno preceduto. Oggi questi problemi sono affidati alla conoscenza scientifica e ad una tecnica che è in contatto sempre più stretto con questa, tanto che non si può facilmente dire quando finisca una ed incominci l'altra. La scienza ha quindi preso possesso della

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nostra vita e delle nostre opinioni, in modo tale che le dottrine politiche che vogliono imporsi come totalitarismi, come soluzioni dei problemi di tutto l'uomo e di tutti i suoi destini, si presentano come dottrine “scientifiche” dell'uomo. Non è quindi azzardato il dire che se si vuole comprendere l'uomo di oggi, se si vuole capire la sua maniera di pensare e di agire, occorre capire quale sia lo spirito informatore della scienza moderna, quale sia il fondamento su cui si basa il suo metodo e la sorgente da cui nascono le sue procedure. Questa scienza che ci aiuta in tutti i momenti della nostra vita materiale, ma che insieme ci tiene prigionieri dei suoi servizi, che è stata presentata come liberatrice dell'uomo dalla paura e dalla fatica, ma della quale si è tante volte proclamato il fallimento, è certamente uno dei protagonisti del mondo di oggi e quindi va conosciuta almeno nelle sue linee fondamentali. 3 - Abbiamo detto che la scienza è stata presentata come fondamento di libertà per l'uomo. Questa impostazione è stata tipica dell'illuminismo enciclopedista ed è stata ripresa da tutti i movimenti che ad esso si ispirano e dalle filosofie che hanno voluto fare una lotta contro quelli che consideravano i ceppi intellettuali e materiali dell'uomo. La libertà di cui l'illuminismo voleva caricare la scienza doveva essere anzitutto libertà intellettuale; in polemica contro una visione religiosa del mondo e dell'uomo questa concezione illuministica vedeva nella ignoranza il dominio di visioni religiose e quindi nella scienza, nella conoscenza delle cause e delle leggi la massima dimensione liberatrice dalla paura di cose non conosciute. Prendendo a paradigma la paura che il selvaggio ha del temporale, perché il lampo ed il tuono di cui ignora le origini gli si presentano come manifestazioni di poteri sovrumani che egli non può controllare e quindi può soltanto pensare di rendere favorevoli con la preghiera, questa visione della scienza si presenta come liberatoria nel senso psicologico del termine. Cose analoghe sono state ripetute a proposito delle comete e di altri fenomeni celesti, come pure a proposito di avvenimenti naturali calamitosi, epidemie, maremoti, terremoti, ecc. Sappiamo bene che una certa polemica anticlericale di stampo illuminista faceva risalire l'origine dell'atteggiamento religioso nell’uomo al terrore ed alla ignoranza delle cause dei fenomeni naturali. Il che può contenere una parte di verità, ed in nome di quella parte di verità la concezione della scienza come liberatrice della mente dell'uomo dalla superstizione, intesa come spiegazione delle cose terrificanti con volontà superiori e magari cattive, ha trovato il suo motivo ed il suo successo. Non è da trascurarsi il fatto che questa impostazione ha radici molto profonde, da Socrate che faceva coincidere la virtù con la conoscenza, in polemica con la teologia dei suoi tempi, alla illusione della psicanalisi, che vorrebbe liberare l'uomo dalle tensioni interne semplicemente rivelando all’uomo stesso le radici di queste tensioni e facendogli prendere conoscenza di esse alle loro origini. Ma vi è anche un'altra accezione nella quale la scienza è stata concepita come liberatoria dell'uomo, ed è l'accezione che porta a considerare la scienza come sostegno della tecnica e quindi guida allo sfruttamento delle forze della natura. Il fatto che per sopravvivere occorra anche la fatica fisica, o come minimo l’impiego della forza fisica del nostro corpo, ha portato certe concezioni dell'uomo a pensare che la liberazione dell'uomo dal bisogno materiale e dalla fatica fisica fosse anche ipso facto l'origine della liberazione dall’ingiustizia, dalla oppressione, dalla schiavitù materiale. Il senso di queste concezioni è dato da quell'autore il quale dichiarava che per la liberazione degli schiavi della civiltà antica aveva fatto molto più di tutto il cristianesimo l'inventore del collare per i cavalli. Infatti nella civiltà greca e latina primitiva i cavalli venivano aggiogati in modo che ogni sforzo di trazione li metteva in pericolo di strozzarsi; di conseguenza i padroni dovevano nutrire degli schiavi come sorgente di lavoro a buon mercato. L’invenzione del collare per il cavallo ha permesso di sfruttare questo animale come origine di forza fisica e quindi di lavoro in quantità notevole, rendendo quindi possibile l'affrancamento degli schiavi. Non vi è bisogno di sottolineare quanto successo abbia oggi questa visione della scienza, che ne mette in risalto la dimensione liberatrice soltanto dalla fatica fisica e dominatrice della natura asservita all'uomo; il quale è giustificato nel coltivare la scienza soltanto perché questa serve ad asservire la natura e quindi a cambiare il mondo. La storia recente e contemporanea dice quali pericoli vi siano nel tentativo di cambiare il mondo su misura per l’uomo, e quanto di stoltezza vi sia nel cercare scientemente di ignorare la dimensione etica e morale dei problemi che riguardano il dominio della natura e delle forze di cui possiamo disporre. 4 - Vale la pena di avvertire subito che con il presentare queste concezioni che sinteticamente vengono indicate come "scientismo" noi non abbiamo in alcun modo preteso di disconoscere il carattere liberatorio della scienza e non abbiamo alcuna intenzione di instaurare un giudizio manicheo del mondo di oggi, giudizio nel quale la scienza faccia la parte di accusata dei mali nei quali siamo immersi. La sola cosa che abbiamo voluto presentare è che la scienza ovviamente da sola non costituisce redenzione dei mali umani;

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ma ciò non vuole dire che non sia un bene. Soltanto vorremmo che non fosse considerata come il bene unico possibile Naturalmente, detto questo, riteniamo che sia urgente anche l'avvertire che occorre guardarsi dall'eccesso opposto, il quale potrebbe consistere nel cercare di asservire direttamente ed immediatamente la scienza ad una apologia della fede, con il cercare di dirottare le conoscenze scientifiche alla immediata dimostrazione della esistenza di un ordine, di un Ordinatore, di un Creatore, di un Dio personale ed infinitamente intelligente. Anche questi sono argomenti che abbiamo letto molte e forse troppe volte e che non fanno certo progredire l’umanità nella

direzione di un possesso equilibrato del patrimonio che possiede e dell'uso equilibrato della facoltà di ragionare.

A. Mazzotta. Perplessità di Tommaso

Come vedremo, analizzeremo in seguito i procedimenti della scienza e le categorie di cui questa si serve; anche se la categoria di causa, che soffrì classica polemica da Hume e dall’empirismo del secolo XVIII è stata recentemente rivalutata, resta pur sempre vero che la causa metafisica di cui la tradizione scolastica si serve per dimostrare con la ragione la esistenza di un Creatore e di un Ordinatore non è la causa di cui si serve la fisica per cercare le spiegazioni dei fenomeni. Nel seguito si troverà forse eccessiva la insistenza con la quale qui ci siamo limitati a parlare sempre di "spiegazione", piuttosto che di "ricerca di cause" oppure più esplicitamente di "conoscenza". Abbiamo cercato di utilizzare un vocabolo che appare neutro e sfumato, appositamente per non utilizzare un vocabolo che ha un significato tecnico oppure sul quale si sono attizzate polemiche e discussioni secolari. Questo perché abbiamo cercato di descrivere con questo termine "spiegazione" la tendenza dell’uomo a cercare le "ragioni" delle cose, quali che siano i livelli ai quali tali ragioni vengono cercate, e quindi quale che sia la distanza alla quale la sorgente delle cose viene localizzata. Pensiamo che si possa accettare questo che è piuttosto un principio pratico che un assioma filosofico; principio pratico che è confermato dal comportamento quotidiano di ciascuno di noi, nelle circostanze più banali e comuni ed è stato il comportamento dell’umanità davanti ai grandi problemi: l'uomo cerca le ragioni, cerca di spiegarsi le cose. La tendenza umana è quella di poter dire: "Le cose stanno così e così per questa e per questa ragione". Che la spiegazione sia giusta o sbagliata nel caso concreto non ci interessa ora; ci interessa il fatto che l'uomo cerca questa spiegazione e la cerca a vari livelli, che in se stesso non appare tranquillo del solo accadere delle cose, ma che vuole qualche cosa di più, vuole che le cose siano in qualche modo inserite in un ordine, in una concatenazione che è più logica che temporale. 5 - Tutto questo ci potrebbe portare a concludere che l’attività scientifica è naturale all'uomo e che quindi la scienza costituisce un fenomeno comune a tutti i popoli ed a tutte le epoche. Ma qui sta appunto la specificità della problematica che vorremmo cercare di analizzare un poco. La ricerca della spiegazione, abbiamo detto, è una costante del comportamento umano; ma questa spiegazione, ripetiamo, può essere cercata a vari livelli e quindi potremmo cercare di individuare delle epoche nelle quali i diversi livelli caratterizzano il modo di cercare la spiegazione delle cose. Per esempio si può pensare che presso il popolo ebraico, il quale aveva una coscienza molto acuta dei suoi rapporti con Dio, per il fatto stesso di avere avuto una vocazione speciale da parte di Dio di testimonianza e di attesa del Messia, la spiegazione delle cose e delle vicende, anche storiche, era sempre data ad un livello che potremmo chiamare teologico. Questo non significa affatto che la spiegazione fosse irrazionale oppure inesistente, come certo positivismo desidererebbe dimostrare, ma significa soltanto che la spiegazione è tenuta ad un livello che la mentalità scientifica di oggi rifiuta in modo radicale. Presso altri popoli dell'antichità, che avevano una teologia meno razionale e presso i quali la religione ha ceduto presto alla critica razionalistica (pensiamo ai Greci ed ai Romani), [Vedere Bergson – Les deux sources de la morale et de la réligion] la spiegazione a livello scientifico è stata più volentieri ricercata con le sole forze della ragione. Ma non dobbiamo dimenticare che questa spiegazione, a questo livello, seppure con l'intervento della presenza divina, ha costituito una tentazione costante anche per il popolo eletto. Valga per tutti l'esempio di

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Giobbe, che nel suo dialogo con gli amici si trova proprio di fronte a questa mentalità di spiegazione razionale di fatti umani. Gli amici gli vogliono dimostrare che è lui il responsabile dei suoi mali, perché ha trascurato certe cerimonie, perché ha tenuto una condotta che non è consona a quella di razionalità (alla scala umana) che gli uomini devono avere con Dio. Lo stesso fecero i discepoli con il Cristo davanti al cieco nato (Citazione di Giovanni – citare il libro di Giobbe e rivederlo) quando cercarono nella condotta di lui o dei suoi genitori la ragione (alla scala umana) della disgrazia che gli era accaduta. Questi episodi (scelti tra tantissimi altri; e la tragedia greca quanti motivi ci potrebbe presentare) ci servono per il momento per renderci certi di due cose: da una parte la tendenza comune ad ogni uomo di cercare la ragione delle cose; dall'altra l’esistenza di un nocciolo che non può essere raggiunto dalla ragione umana, di una realtà che sfugge ad

ogni tentativo di razionalizzarla, di un elemento che ci si presenta come superiore durante la storia, ma anche di diritto

superiore per l'uomo sic et simpliciter, nella realtà della vita che ci circonda. Questo elemento potrebbe essere chiamato dolore con un nome che ha un significato universale e che ha posto dei problemi ad ogni uomo che pensa; potrebbe essere chiamato male ed avrebbe una certa qualifica superpersonale che lo distacca dalla percezione e dalla esperienza del singolo.

A. Mazzotta. Incredulità di Tommaso

È tuttavia un elemento non eliminabile dalla storia del singolo e della umanità, che sfugge alle spiegazioni razionali e che d'altra parte si presenta con la stessa dolorosa immediatezza della esperienza concreta, della percezione del singolare contingente. Singolare della cui contingenza abbiamo la sicurezza, perché sappiamo bene che potrebbe essere e non essere, essere così oppure in modo diverso, ma che tuttavia ci coinvolge in modo talmente diretto e personale che non può essere ignorato. Questo singolare contingente e pure presente e reale, talvolta di una realtà che ci ferisce più da vicino di ogni fenomeno che è oggetto di scienza, è proprio ciò che sfugge alla scienza. Questo fatto era già stato enunciato dalla filosofia classica la quale affermava che "De singularibus non datur scientia", ma è provato da ciascuno di noi quotidianamente, nella vita di tutti i giorni nella quale incontriamo ad ogni passo delle cose "che non si spiegano". 6 - Si potrebbe pensare che la esistenza del dolore e delle cose “che non si spiegano”, e che pure interessano all’uomo più di ogni altra, sia soltanto un residuo di irrazionalità che è lasciato in un mondo ed in una storia e che è destinato a diventare completamente razionale e quindi spiegabile in se stesso, indipendentemente dalla ricerca di una Causa superiore o di un Ordine che trascende ogni contingente. Tuttavia la storia dell'uomo di ogni tempo dimostra che questo residuo non razionalizzabile risulta essere sempre presente, quale che sia il sistema di spiegazione che viene adottato per il mondo e per l'uomo. Si manifestano qui a questo punto due tendenze diverse ed irriducibili: secondo l'una la riduzione del margine di irrazionalità è un fatto naturale e quindi la spiegazione :religiosa della realtà umana e storica è destinata a diventare sempre meno importante e sempre più trascurabile. Secondo l'altra la dimensione del dolore e della irrazionalità non è eliminabile con interventi umani e quindi questa dimensione del contingente del dolore, del non spiegabile con cause umane, è destinata a rimanere ed a perpetuarsi nella storia e nella vita dell'uomo. Basti a provare questa tesi la enumerazione dei disastri che una scienza non diretta dalla carità e dalla ragione potrebbe portare alla umanità intera. Oggi stesso potremmo essere sterminati tutti quanti siamo sulla terra da una decisione di un solo uomo, nelle mani del quale la scienza ha messo questo potere e la cui regola di condotta non può chiaramente essere dettata dalla sola scienza. Saranno ragioni “umanitarie”, saranno considerazioni di “etica”, saranno considerazioni di convenienza e di “contratto sociale”, ma certamente non saranno ragioni puramente scientifiche che potranno portare alla moderazione, alla necessità di un accordo, alla accettazione della esistenza degli altri.

In altre parole saranno considerazioni che hanno un aspetto razionale, ma coinvolgono anche un aspetto, e forse il principale, di scelta, di considerazione di valori, di rispetto verso l'uomo in quanto tale e non solo oggetto di scienza. Tutto questo vorrebbe portare alla conclusione che il comportamento umano, e soprattutto la ricerca di un equilibrio, di una serenità, di un rimedio al male, è sì oggetto di ragione ma non soltanto di ragione scientifica. E che, in altre parole, il dominio della scienza pura non esaurisce il dominio del sapere

 

 

umano e in particolare neppure del sapere razionale. A priori la libertà dell’uomo non consiste nel chiudersi nel sapere scientifico con una specie di cecità verso ogni altra possibile forma di cognizione razionale, ma anche e soprattutto nella apertura ad ogni forma di sapere, che possa in qualche modo fargli capire il mondo in cui vive e la propria vita, i propri destini e il proprio fine. 7 - Il discorso che abbiamo iniziato conduce in modo spontaneo al problema della classificazione del sapere umano e quindi anche in particolare della classificazione delle scienze. Sappiamo bene che secondo qualche tesi oggi la scienza sta vivendo una crisi di identità che la conduce a concludere sulla incertezza dei propri e metodi e dei propri destini. Questa responsabilità eccessiva che la scienza si pone sulle spalle quando vorrebbe essere una sapienza, cioè esaurire tutto il sapere umano, diventa invece un equilibrio se la scienza accetta di far parte di un sapere umano che tuttavia è integrato in varie dimensioni ed in varie .direzioni. Sappiamo che la scienza medioevale aveva distinto tre gradi di sapere: scienza, filosofia, teologia e che valutava l’edificio del sapere umano secondo questa classificazione. Classificazione che del resto aveva una giustificazione obbiettiva, nel senso che i tre gradi erano determinati dall’interesse dell’essere in particolare in tutte le sue realizzazioni (scienza), oppure dall’interesse centrato sull’essere in quanto tale (filosofia), oppure infine dall’interesse centrato su Dio che si manifesta liberamente nella storia umana attraverso la Rivelazione e la Redenzione (teologia). Ritorneremo in seguito sul problema della classificazione del sapere, perché pensiamo che uno dei problemi principali per l’uomo di oggi sia proprio quello di potersi guardare intorno con una bussola, che gli faccia intravvedere almeno la direzione principale e la vera natura del suo interesse. Anche questo è un impegno razionale ma non soltanto scientifico, nel senso che è un impegno (quello di trovar un centro alla propria vita) che anche gli uomini possono assolvere e che invece gli scienziati possono anche fallire. Perché si tratta di un impegno di tutto l’uomo, in cui la parte razionale di questi è interessata sì, ma non in modo esclusivo e predominante. Si ripete spesso da molte parti che il tempo delle Summae medievali è passato e che non potrà ritornare. Sarebbe da domandarsi se questa affermazione ha un significato e quale sia. Effettivamente non potremmo oggi pensare di poter raccogliere tutto il sapere umano in pochi volumi; anche le imprese delle enciclopedie si rivelano spesso deludenti, perché richiedono continui aggiornamenti e manifestano in ogni campo i propri limiti. Ovviamente quindi una Summa che contenga tutto il sapere, tecnicamente e specificamente esposto è oggi non facilmente pensabile. Ma ciò non significa che sia una domanda sciocca o priva di senso cercare una gerarchia, cercare una direzione principale, porsi le domande che la sapienza si è sempre posta da quando l’uomo ragiona, e cioè se valga la pena di guadagnare tutto il mondo e perdere la propria anima.

A. Mazzotta. Tommaso vede

Ed intendiamo col perdere la propria anima il perdere l’identità di uomini, il diventare schiavi della ricerca invece che padroni, il diventare servi delle proprie passioni sì da dimenticare i propri fratelli, il diventare delle macchine al servizio della conquista del potere economico e politico, dell'onore dell’uomo, del piacere dei sensi, della durata puramente temporale, quando è ben chiaro che la vita dell’uomo non sta nelle sue mani e che può essere recisa la tela della nostra vita "Come da un tessitore" (Giobbe ma anche le parche della mitologia greca) che agisce secondo una ragione superiore alla nostra di cui noi vediamo soltanto i riflessi.

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NdR Sui temi oggetto degli Appunti del Corso si possono consultare gli inediti di Carlo Felice Manara scritti molti anni dopo, e riportati nel Sito. (1994) Osservazioni sulla filosofia del senso comune. (Osservazioni in margine a un convegno di Docenti).

(2002) Note sull'ambito della conoscenza scientifica. (Appunti a margine di un articolo su Einstein).

(2003) Riflessioni sulla causalità (Appunti).

(2003) Tipi di conoscenza: la conoscenza coinvolgente. (Appunti e approfondimenti).

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FACTEOL./ DIARIO DELLE PRIME DUE LEZIONI 1 - martedì 26 ottobre 1976: Prima lezione: Introduzione generale del corso. Il perché del corso: importanza di fatto della scienza nella società moderna, importanza pretesa della scienza nella nostra società.

a) Importanza di fatto. Influenza clamorosa della scienza. Risultati della tecnica: fisica, chimica, cibernetica, farmacologia, medicina, psicologia, ecc. Influenza sottile: prestigio della scienza e tendenza ad influenzare tutto il modo di pensare e di ragionare. Importanza anche morale della scienza: carattere ascetico della ricerca scientifica ed impegno materiale e finanziario.

b) Importanza pretesa della scienza. Dalla scienza allo scientismo e dalla scienza alla dottrina omnicomprensiva, che si presenta come unica rivendicazione della libertà. 1 - Libertà dalla paura, con la spiegazione delle cause dei fenomeni che in altri tempi erano considerati di origine misteriosa. 2 - Libertà dalla fatica materiale, con lo sfruttamento delle energie naturali; impostazione tipicamente enciclopedista. 3 - Liberazione dalle angosce interiori; carattere tipicamente illuministico della psicanalisi. 4 - Liberazione dall'ignoranza sulla origine dell'uomo, sui caratteri della società, sullo sviluppo futuro dell’umanità; pretesa del marxismo di essere una spiegazione ‘scientifica’ dell'uomo e della società. Conseguenze di queste pretese: lo scientismo che si presenta come dottrina di redenzione, anzi come la sola possibile dottrina di redenzione dell'uomo. "Ceci tuera cela" di Notre Dame de Paris. Il nuovo Vangelo dell’umanità: Victor Hugo ( Les misérables 63 pag. 24). “…..i 4 evangelisti del progresso: Diderot che marcia verso la bellezza, Voltaire verso la verità, Turgot verso l'utilità, Rousseau verso la giustizia………” Queste cose oggi ci fanno sorridere, ma si potrebbe dire che ogni generazione realizza a suo modo il detto di Mt. XXIV – 24 “..... surgent pseudochristi et pseudoprophetae et dabunt signa magna et prodigia ut in errorem inducantur (si fieri potest) etiam electi ……..” Conviene quindi analizzare la natura ed i procedimenti di questa scienza che ha sul mondo moderno tanta influenza e tante pretese. Due pericoli: a) il complesso di inferiorità nei riguardi della scienza; questo complesso accrediterebbe la pretesa

non giustificata della scienza di farsi unica ed esclusiva dottrina salvifica dell'uomo. b) La apologia che si potrebbe dire 'facile'. Questa apologia è sbrigativamente sintetizzata da un

sillogismo del tipo del seguente : La scienza dimostra la esistenza di un ordine dell'Universo; ma l'ordine nell'Universo dimostra l'esistenza di Dio (Cfr. S. Th.), dunque la scienza dimostra l’esistenza di Dio. A nostro parere il cammino da percorrere è molto più lungo, e l'analisi di questo cammino formerà, almeno in parte, il contenuto del nostro corso. 2 - Martedì 26 ottobre 1976: Seconda lezione. Dopo di aver giustificato in qualche modo l’esistenza del nostro corso, entriamo nel merito. La prima questione che si presenta è quella che riguarda la definizione del concetto di scienza. Rinunciamo a darne una definizione a priori; questa porterebbe a una posizione che potrebbe essere considerata come convenzionalista: ‘chiamiamo scienza questo e questo’. Anche se il procedimento è utilizzato nelle scienze che adottano il linguaggio comune per il loro vocabolario tecnico, non ci pare il caso di utilizzare questo procedimento, ma piuttosto crediamo bene di analizzare il fenomeno scienza per poter cercare di dare un significato, anche se generico, sfumato e talvolta analogico, al termine.

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Si potrebbe osservare che l'uomo tende ad avere una certezza nelle proprie conoscenze: questa certezza è diversa dalla sicurezza, che è puramente psicologica, e che può essere posseduta anche dal paranoico fissato nei propri paralogismi. La certezza che l'uomo ricerca dalla conoscenza scientifica è una certezza che potremmo dire in qualche modo motivata o anche spiegata. Cioè nella conoscenza scientifica l'uomo non si accontenta dei fatti puri, ma li vuole collegare organicamente e spiegare logicamente. Questa che noi chiamiamo “spiegazione”, per usare un termine sfumato e generico, era nella concezione classica specificato dalla ricerca delle cause. Onde la definizione classica nella scienza come “Cognitio certa per causas”; cioè una conoscenza che ha il carattere della certezza, la quale proviene non soltanto dalla realtà fattuale della osservazione ma anche e soprattutto in modo fondamentale dalla spiegazione dei fatti che è data dalla ricerca delle loro cause. Notiamo che questo carattere è posseduto dalle dottrine che oggi si chiamano scienza: per esempio la scienza storica non si accontenta dei fatti, ma cerca di spiegarli, nella misura in cui ciò è possibile. Perfino la geografia, che potrebbe essere considerata come una pura descrizione dello stato della terra cerca in qualche modo di fare una descrizione ragionata, cioè una descrizione che dia in qualche modo le ragioni dello stato di fatto che si osserva. Possiamo pertanto adottare per il momento questi due caratteri: la certezza e la spiegazione come distintivi della conoscenza scientifica, pur osservando che possono esistere infiniti gradi di certezza e diversissime sorte di spiegazioni. Osserviamo anche che con questo non si vuole precludere la validità anche di altri modi di conoscenza. Dopo la ricerca di una intesa sul significato del termine scienza la prima questione che ci si pone è quella classica della classificazione delle varie scienze.

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FACTEOL./ DEFINIZIONE DI SCIENZA I. La descrizione della scienza come sapere certo e motivato (spiegato) mi fa distinguere specificamente questo tipo di sapere tra gli altri, la cui esistenza non è negata. Si pensi ad una esperienza umana o anche superumana (mistica); questa esperienza umana (come quella di un evento singolo che coinvolge tutto l'uomo ma che non è ripetibile in linea di principio) è evidentemente certa, nel senso che il soggetto che ne è coinvolto ha una certezza precisa dell'evento. Pensiamo ai miracoli di Gesù, alle visioni di una Bernadette di Lourdes. È molto difficile poter pensare che i molti testimoni presenti (nel primo caso), oppure che la testimonianza di una vita intera contro ogni difficoltà (nel secondo caso), possano far concludere a favore di una menzogna, che sarebbe confermata tra molti nel primo caso, e sarebbe contro ogni forza umana di sopportazione nel secondo. Così in presenza di ogni esperienza di introspezione ha senso pensare alla possibilità di certezza soggettiva, cioè di conoscenza, che tuttavia non appare motivabile, nel senso che questa esperienza, nel suo essere e nella sua esistenza singola da una parte, e nelle sue modalità dall'altra, costituisce un “unicum” che non può essere spiegato, nel senso abituale del termine. D'altra parte la nozione di sapere certo e spiegato ammette anche la possibilità di vari livelli di spiegazione. Dalla spiegazione che è ottenuta con i metodi della scienza, che consistono sostanzialmente nel ciclo di cui si dirà: osservazione, emissione di ipotesi, deduzione, osservazione, alla spiegazione di altro tipo. Come quella che compete al livello della filosofia, la quale potrebbe essere descritta, in modo puramente approssimativo e provvisorio, come la ricerca del sapere certo e spiegato delle cose che interessano l’uomo nella sua interezza, cioè nella sua vita singola, nel suo destino futuro, e quindi coinvolgono anche l'intero piano dell’essere. Fino alla teologia, dove la certezza è data dalla testimonianza di Dio che rivela e la spiegazione consiste nell’accertamento di questo tipo di rivelazione e quindi nell’accettazione della esistenza di una Volontà superiore e di una Verità che trascende l’uomo. Tuttavia anche nel trascendere, come contenuti e come criteri di spiegazione, esiste la possibilità di adottare dei procedimenti che conducano il più possibile vicini alla certezza spiegata che è propria della scienza. Come conclusione quindi si potrebbe dire che esiste un conoscere che non è scientifico, ma che si impone per la sua immediatezza e per la diretta presa sull’anima del singolo; esiste quindi un conoscere che ha la qualità della certezza e della chiarezza ma non della spiegazione, anche se a priori possibile. Esiste un conoscere che è quello della scienza, che mira alla certezza ed alla ricerca della spiegazione, anche se quella spiegazione viene ricercata a vari livelli, a seconda che si tratti di spiegazione scientifica, di spiegazione filosofica, di spiegazione teologica. II. Il problema della classificazione del sapere umano e in particolare della definizione di scienza, di filosofia e di teologia, viene affrontato e risolto in S. Th. nelle QQ 85 & 86 della parte I. La linea del ragionamento è sostanzialmente la seguente: i) L'atto del conoscere e l'intelligenza non dipende in modo essenziale dalla materia perché è superiore

alle circostanze che circoscrivono nello spazio e nel tempo le cose materiali. Si tratta di un atto, in linea di principio, spirituale.

ii) L'atto del conoscere consiste nel ricevere in sé, da parte del conoscente, la cosa conosciuta, attraverso una immagine che da parte del conoscente è una modificazione del conoscente stesso, ma da parte del conosciuto è il conosciuto, nella sua essenza, cioè in quanto conoscibile. Questa immagine dunque non è la cosa che si conosce, ma è lo stato del conoscente mediante il quale ('quo') la cosa che si conosce è conosciuta. Non vi è quindi problema del passaggio dalla idea al contenuto, dalla immagine al raffigurato, perché ciò che si conosce è la cosa mediante la idea.

iii) Questa idea della cosa conosciuta è talmente intima e rappresentativa della cosa nel suo essere che si può dire che in certo modo (intenzionalmente) l'intelletto 'diventa' la cosa conosciuta, anche se naturalmente conserva la propria individualità e la propria essenza.

iv) Nell'uomo il momento intellettuale della conoscenza, che si attua nel diventare intenzionalmente la cosa conosciuta, è distinto, anche se non separato, dagli altri due momenti: la percezione sensibile e la formazione del fantasma. In particolare la fantasia, anche se di fatto nella conoscenza umana è sempre presente, non è una componente essenziale della conoscenza: infatti i primi principi, per esempio il principio di identità e di non contraddizione, sono appresi a livello intellettuale e non fantastico.

v) La conseguenza di questa dottrina è che nella conoscenza a livello intellettuale il procedimento 12 

 

 

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fondamentale è quello di astrazione, che è il procedimento attivo mediante il quale la mente umana coglie l'essenza della cosa conosciuta, superando il livello delle circostanze non conoscibili, che per esempio concernono la individuazione dell'ente, la materialità delle circostanze di hic et nunc della cosa conosciuta, ecc. In altre parole, a partire dalla sentenza “de singularibus non datur scientia”, la operazione attiva mediante la quale l'intelletto si appropria, diventa la parte conoscibile a noi della cosa conosciuta, si traduce per ciò stesso nella operazione che lo conduce a cogliere un “universale”. Chiamando così una verità che si può predicare di molti enti e che rimane la stessa, anche nella diversità degli enti singolarmente presi. Così come posso dire con verità che Socrate, Platone, Tizio, Caio sono uomini.

vi) Abbiamo detto sopra che nella condizione umana la conoscenza intellettuale avviene attraverso gli universali. Ciò infatti è dovuto alla debolezza della mente umana, la quale coglie soltanto una parte della verità riguardante le cose. Non che questa verità non sia meno vera, ma è parziale; invero nelle cose che la mente umana conosce esiste una componente che rappresenta la potenzialità, la oscurità rispetto alla nostra conoscenza intellettuale che viene chiamata 'materia'. La operazione della astrazione consiste appunta nel cogliere le essenze delle cose che sono individuate per mezzo della materia e che come tali, cioè come singole, non sono conosciute e conoscibili.

vii) La conoscenza di cui parliamo è sempre intesa come conoscenza intellettuale. Non si nega infatti che la cosa singola non possa essere in qualche modo oggetto di percezione e quindi appresa; appresa ma non conosciuta, se per conoscere si intende l'atto della intelligenza (e non quindi del senso) con il quale la intelligenza si identifica con l'essenza della cosa, cioè con la cosa in quanto conoscibile, perché riceve in sé (in modo sui generis che non può essere né spiegato né ulteriormente illustrato, ma soltanto conosciuto nella sua singolarità) l'essere della cosa.

viii) Consegue da quanto detto che la conoscenza umana ammette dei gradi, delle stratificazioni, che dipendono essenzialmente dalla operazione attiva, ma riducente, in certo senso, che essa deve compiere per conoscere. Ciò dipende quindi dalle particolari circostanze nelle quali avviene l'atto del conoscere nell'uomo, anche se per analogia la stessa nomenclatura si può trasportare alla conoscenza che Dio ha delle cose fuori di se stesso; per analogia, diciamo, perché ovviamente in Dio non esistono distinzioni e analisi.

ix) Questa analisi porta a delle distinzioni ma non a delle separazioni; è infatti vero che nell'atto singolo di conoscenza dell'uomo raramente troviamo distinti i tre livelli di conoscenza di cui abbiamo parlato; sarebbe una fonte di equivoci e di confusioni il pensare che i tre livelli possano anche essere considerati come tre fasi succedentisi nel tempo. Ma la esistenza di tre livelli, anche se mai in linea di principio separati, è oggetto di certezza non meno che di verità.

x) Da questa analisi si può inferire anche l'errore di certa geometrizzazione (a partire da Descartes che era incapace di avere un'idea del concetto, senza coinvolgere anche la immaginazione) che non arriva a dissociare ed a distinguere la fase fantastica da quella intellettuale. Anche se l'essenza delle cose viene descritta mediante relazioni ed equazioni, non resta pertanto meno vero che le verità espresse dalle equazioni sono qualche cosa di diverso dalla forma analitica (nel senso matematico del termine) delle equazioni, e che le relazioni presuppongono delle 'cose' che hanno quelle relazioni.

xi) Pertanto l'analisi che abbiamo riferito a proposito dell’operazione di conoscenza umana non viene a perdere la propria efficacia se applicata all’operazione di conoscenza scientifica; al contrario la conoscenza scientifica ha una sua consistenza soltanto se si appoggia su una analisi di questo tipo e non altrimenti. Il problema della scienza è ovviamente diverso, anche se talvolta confuso con l'analisi dell’operazione di conoscenza; la conoscenza della essenza delle cose materiali ammette diversi gradi, in linea di principio addirittura infiniti. Non è detto che l'uomo possa cogliere l'essenza dell'essere di una specie materiale senza il lungo lavoro di descrizione, di circoscrizione, di analisi che traduce in sostanza il lavoro della scienza.

III - Il primo passo nella ricerca delle certezze scientifiche: il momento empirico e l'accertamento dei “fatti”. Abbiamo visto che la conoscenza scientifica ha tra le sue caratteristiche fondamentali quella della conoscenza certa e motivata. Abbiamo anche detto che vi sono differenti gradi di certezza, ma che si potrebbe dire che non esiste scienza senza la ricerca di una certezza nella conoscenza. E questo vale anche per esempio in modo paradossale in quelle dottrine, come il calcolo delle probabilità, che a prima vista hanno come loro oggetto essenziale l'evento non certo. Qui ovviamente la certezza si trasferisce non sull'evento

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(incerto per definizione), ma sulle informazioni che si possono dare per la condotta economica (in senso lato) dell’uomo, posto di fronte all’evento incerto (secondo la concezione di De Finetti - Savage). Abbiamo detto infine che il puro accertamento dei fatti non costituisce conoscenza scientifica, anche se è una base indispensabile per questa. Ora, proprio a proposito dell'accertamento dei fatti che sono oggetto della scienza si è tanto disputato, e si è voluto vedere in questo accertamento una delle caratteristiche della scienza modernamente intesa. Questa concezione si potrebbe chiamare strettamente empiristica e contrasta con la concezione di tipo idealistico, che potrebbe essere descritta per esempio scegliendo tra le tante citazioni possibili quella delle parole di L. Pirandello, secondo il quale “…un fatto da solo è come un sacco vuoto, che non sta in piedi…”. Non pare che questa concezione empiristica della scienza sia proprio caratteristica della scienza modernamente intesa, perché anche la conoscenza dei classici pretendeva partire dalla osservazione della realtà. Non occorre ricordare il detto di Aristotele, secondo il quale la scienza deve “sozein tà fainomena” (salvare i fenomeni): cioè rendere ragione delle cose che sono rilevabili con i sensi. Si potrebbe certo rimproverare alla scienza antica una certa pigrizia nella ricerca delle osservazioni della realtà ed una facile contentatura nella accettazione delle testimonianze. I bestiari del Medioevo sono pieni di cose meravigliose, che ci fanno sorridere: ovviamente cose riferite da viaggiatori che non le avevano viste con i loro occhi, e che non avevano tutto il bagaglio di diffidenza e di pazienza che noi oggi abbiamo, ammaestrati da secoli di ricerca. Tuttavia non si può asserire che la scienza antica medievale costruisse tutto sulla immaginazione. Si potrebbe piuttosto dire che aveva fretta di giungere al momento deduttivo, cioè di giungere allo stadio in cui il fatto singolo e contingente fosse inquadrato in maniera sicura nella conoscenza della natura della cosa, conosciuta in sé. Giustamente tuttavia si mette l'accento sul fatto che il primo momento della conoscenza scientifica deve essere quello della osservazione delle cose. Anche in questo caso usiamo il vocabolo 'osservazione' perché è generico, rispetto ad altri che si potrebbero pensare, come esperienza (che ha un significato anche filosofico che qui vorremmo ora evitare) oppure esperimento. Potremmo infatti dire che in moltissime scienze non si può giungere al metodo sperimentale, che viene da tante parti considerato come fondamentale per la scienza modernamente intesa, e occorre invece accettare ed accontentarsi della osservazione. È questo il caso delle scienze dell'uomo, della Storia in particolare, nelle quali l'esperimento è in linea di principio impensabile. Ma è anche il caso di molte scienze della natura, come per esempio la geografia o l'astronomia. Potremmo passare in rassegna molte scienze e verificare che il caso in cui è applicabile il metodo sperimentale è in certo modo eccezionale, rispetto agli altri numerosissimi casi in cui la sola cosa che si può fare è osservare. Rimarrebbe invero il dubbio se riservare il nome di scienza a quelle sole conoscenze che partono dall'esperimento; ma questo da una parte implicherebbe, come abbiamo detto, una restrizione eccessiva ed arbitraria (a nostro parere almeno) del concetto di scienza; ed in secondo luogo porrebbe il problema di precisare che cosa si intenda per esperimento. Nel linguaggio comune si potrebbe pesare ad una osservazione di fenomeni fatta in circostanze diverse e con tecniche diverse, tale da poter precisare con la massima sicurezza possibile le circostanze di fatto; classica rimane la enumerazione delle Tabulae presentiae et absentiae' fatte da Bacone. Ma tutto questo potrebbe avere un significato soltanto accessorio nei riguardi del fatto fondamentale il quale consiste, a nostro parere, che ogni conoscenza che voglia essere scientifica deve avere come punto di partenza la osservazione della realtà. Si potrebbe addirittura dire che il metodo sperimentale che viene presentato come una delle caratteristiche della scienza moderna non è che un modo per realizzare tale osservazione con una sicurezza sempre maggiore che le cose osservate siano nella realtà effettuale delle cose. In questa linea si mettono tutte le tecniche ripetitive degli esperimenti che vengono codificate; ed in questa linea, se pure con un percorso più lungo su cui ritorneremo e che merita una ulteriore analisi, si pone la tecnica del cosiddetto experimentum crucis il quale, in linea di principio, dovrebbe permettere di decidere tra due teorie che si presentano fino ad un certo punto come equivalenti. Su questo argomento ritorneremo quando analizzeremo nei particolari il procedimento scientifico nella sua circolarità; e soprattutto quando cercheremo di mettere a fuoco il concetto di 'teoria scientifica'. Per il momento interessa qui mettere in luce un'altra circostanza che è in certo modo inerente al metodo sperimentale. Abbiamo già detto che in moltissime scienze il metodo sperimentale non può essere applicato, per le ragioni più varie; non ci pare che esista una buona ragione per escludere queste scienze dalla legittima denominazione di scienza, anche se queste debbono accontentarsi della osservazione, che non si può ripetere ad libitum variando le circostanze come richiede il metodo sperimentale, così come è codificato nei trattati di storia della filosofia. Va tuttavia osservato che quando un esperimento è veramente di avanguardia ed apre un nuovo campo nel sapere, esso è frutto di particolarissime abilità di sperimentatori, di finezze di inventiva, di facoltà creatrici che difficilmente si trovano incarnate in molti individui. Si pensi per esempio agli esperimenti con i quali Galileo, servendosi di un piano inclinato, scoperse e confermò le leggi della caduta

 

 

dei gravi. Passiamo sopra per il momento al fatto che gli esprimenti potrebbero sviare chi non abbia già l’idea precisa che Galileo aveva; è chiaro che questi esperimenti, i quali oggi sono alla portata dei gabinetti di fisica dei licei, erano a quei tempi al limite della finezza di sperimentazione e quindi potevano essere realizzati soltanto da chi avesse la fantasia e la abilità di Galileo. Lo stesso in altro campo potrebbe essere ripetuto per quanto riguarda le leggi di Keplero, alle quali questi giunse valendosi di osservazioni (non esperimenti questa volta, perché impossibili) che erano al limite delle possibilità degli strumenti di osservazione del tempo. Tuttavia a noi interessa qui mettere l'accento su un fatto che viene a confermare qualche nostra osservazione precedente. Si può infatti dire che la osservazione e la sperimentazione, quali che siano le difficoltà che esse presentano, di circostanze favorevoli o di difficoltà tecnica, non presuppongono un determinato soggetto umano; in altre parole questi fatti sono eminentemente intersoggettivi, perché il soggetto umano che li testifica o che li realizza (salve sempre le clausole di cui sopra) è in certo modo intercambiabile. In questo ordine di idee si potrebbe quindi dire che questa intersoggettività della osservazione e della sperimentazione è 1a garanzia per una qualità ben più importante, che è la obbiettività della osservazione o in generale del protocollo dell'esperimento. In altre parole si potrebbe dire che la osservazione pubblica (per esempio di un fatto storico o di un evento astronomico), oppure la ripetibilità ad libitum dell'esperimento di fisica, di chimica, di biologia, traggono la loro importanza dal fatto che queste qualità garantiscono la obbiettività del fatto o del fenomeno. In altre parole la intersoggettività è garanzia del fatto che le cose stanno così come i protocolli annunciano, che non si tratta della fantasia, della allucinazione, della illusione di un unico soggetto: se ce ne fossero stati degli altri presenti, anch'essi avrebbero visto; se si vuole, in un laboratorio e con strumenti adatti, il fatto si può ripetere quando si vuole e quindi è proprio vero. Questa osservazione è spesso trascurata da chi analizza il metodo sperimentale e le sue caratteristiche: infatti non vi sarebbe alcun interesse nella ripetizione degli esperimenti oppure nella moltiplicazione dei testimoni e degli osservatori, se la scienza non avesse la tendenza fondamentale alla obbiettività, o al realismo e non avesse come fondamento di questa tendenza la convinzione fondamentale della esistenza di una cosa in sé che viene analizzata, osservata, sezionata, guardata al microscopio il maggior numero possibile di volte. È questa una ulteriore conferma di quella tendenziale obbiettività, di quel realismo pratico ma radicale, che fa parte della mentalità iniziale di ogni scienziato. Lasciamo per il momento la discussione sul fatto che questo realismo, oltre che iniziale, come si è detto, sia anche primitivo, cioè indice di una mentalità acritica ed immatura, di una ignoranza più o meno voluta della analisi e della critica; oppure se sia la testimonianza del fatto che la stessa esistenza della scienza testimonia della radicale validità del realismo.

 Beato Angelico. Madonna con Sant'Agostino e San Tommaso. Hermitage

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FACTEOL./ SUL PROBLEMA DEI GRADI DI ASTRAZIONE DELLA CLASSIFICAZIONE DEL SAPERE. Bene ha capito Gabriel Marcel (Cfr. A. Pieretti. Storia del pensiero occidentale - p. 353) che la scienza moderna tende alla obbiettività e quindi alla intersoggettività. Ciò porta a far scomparire interamente la componente personale, individuale dell’atto soggettivo. La conoscenza è quindi ridotta a un punto di vista non più di una persona determinata, ma di "non importa chi e, infine, di nessuno" (Journal Métaphisique, p. 258). L’impersonalità è appunto uno dei caratteri distintivi della scienza moderna. In essa non ha alcuna importanza chi sia il soggetto del conoscere; anzi rientra nelle sue prerogative definire l’oggetto “come indipendente dai caratteri che fanno sì che io sia io e non un altro “(Ibid. p. 253). Non per questo la scienza moderna attribuisce al suo oggetto alcuna consistenza ontologica: lo riduce ad una semplice trama di rapporti tra singoli che non hanno alcun contenuto empirico. Non è accettabile l’ultima frase, come non è accettabile la considerazione di Marcel che segue, che cioè questo atteggiamento comporta il trionfo della categoria dell’avere su quella dell’essere. Forse comporta anche il trionfo della categoria del dominare, del manipolare su quella del comprendere a fondo. È chiaro infatti che l’amore per una persona importa rapporto singolare che è totalmente differente dal rapporto di conoscenza scientifica; così come la conoscenza che ci dà l’intuizione dell’arte. Un ritratto di Tiziano porta una conoscenza del soggetto che nessuna descrizione scientifica potrebbe avere. Ma comporta anche una singolarità di rapporto tra soggetto conoscente ed oggetto conosciuto che non si può domandare alla scienza come tale. La stessa cosa si potrebbe dire di quelle attività umane che comportano il contatto tra due soggetti, come la medicina e la politica. Per la classificazione della saggezza antica la medicina era una ars così come la politica, in quanto opera di un soggetto umano sulla società umana. Ma si può anche considerare che questo modo di staccare dal soggetto l’oggetto di conoscenza che è tipico della scienza (e non soltanto della moderna, a ben vedere) è anche una garanzia di certezza della conoscenza stessa. Si tratta ancora una volta di vari modi di ricercare la certezza, modi che si esplicano nel caso della scienza in una ricerca di cancellazione del soggetto, per garantire al massimo la oggettività della esperienza e della teoria. Nel caso della filosofia nella direzione che si potrebbe chiamare opposta (almeno per qualche pensatore), che coinvolge il soggetto nell’atto conoscente di modo che questi si senta coinvolto in pieno ed abbia da parte sua quella certezza che la scienza cerca in altro modo. Ma il ridurre gli oggetti della scienza a pure relazioni non significa affatto annullare ogni contenuto ontologico nell’oggetto. Anzi non ci sarebbero relazioni se non ci fossero enti ontologicamente determinati che le hanno tra loro. Il discorso è forse un altro; che non si possono conoscere effettivamente gli enti se non attraverso le relazioni che essi hanno tra loro; e questo è accettabile, ma non implica uno svuotamento degli enti, tutt’altro. Se non per una metafisica sussunta, che svuota per conto suo gli enti ‘riducendoli’ a relazioni senza soggetti. Si potrebbe quindi dire che la scienza mira alla certezza disimpegnata, mentre la filosofia mira alla certezza impegnata e coinvolta? Si può andare lontano lungo questa strada, perché si rischia di togliere anche alla filosofia ogni contenuto oggettivo, il che ne farebbe una pura forma di impegno personale. Non dico che questo impegno sia ipso facto sprovvisto di razionalità, ma la comunicazione tra gli uomini dei rispettivi impegni non si può fare fuori della logica e quindi di una conoscenza che ha un aspetto scientifico. È del tutto chiaro che la scienza non può dare dei valori assoluti, ma si potrebbe dire neppure dei valori, se con questo termine intendiamo delle cose che veramente interessano l’uomo esistente e conscio dei propri limiti e del suo destino. In questo ha ragione K. Jaspers (Existenzphilosophie p. 8, citato da Pieretti p. 336), quando dice che la scienza dà soltanto delle visioni parziali della realtà, e che non coglie la realtà nella sua interezza. E che pertanto la scienza va integrata con la filosofia. È questo un modo diverso di classificare il sapere, con riferimento questa volta non al grado di astrazione ma al grado di interesse che il sapere ha per l’uomo. La cosa potrebbe ancora una volta essere messa nei termini di Jaspers, dicendo che l’uomo quando vuole prendere contatto con tutto l’essere non può far altro che prendere coscienza della tragicità della sua situazione (pag. 340). Non può che prendere coscienza della propria storicità entro la quale poi sono comprese anche le altre ‘pareti contro le quali andiamo a sbattere’: la lotta, la colpa, il dolore, la morte. Sono queste situazioni limite contro le quali è impossibile lottare, ma che possono soltanto essere riconosciute, accettate. A riguardo di esse non c’è che prenderne coscienza perché ogni tentativo di superarle si risolve in uno scacco. Tutto questo si potrebbe anche completare dicendo che nel dolore e nella morte sta la fondamentale irrazionalità che l’uomo sente pesare su di sé come qualche cosa che non ‘si spiega’ e che egli non desidera. E sono esperienze che egli può vivere soltanto da solo, in una solitudine che potremmo

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chiamare cosmica e che dà la misura della angoscia nella quale si cade quando si pensa a queste cose. Esse giustificano le espressioni di dolore di Giobbe e tutta la produzione tragica che a partire dai Greci è stata una componente costante della civiltà occidentale. In quella orientale probabilmente non c’era bisogno di tragedia perché la dottrina del “kharma” è già abbastanza pessimistica di per se stessa. Pertanto questi limiti della scienza, rilevati ripetutamente dai pensatori più sensibili nostri contemporanei, danno anche la smentita allo scientismo in quanto tale, alle ricerche che vorrebbero fare della scienza la dottrina liberatoria, ai miti della evoluzione verso una civiltà senza classi e senza oppressione dell’uomo sull’uomo. Questi miti accettano tranquillamente di sacrificare l’uomo presente nelle oppressioni staliniste per poter conquistare la pace futura e quindi rinunciano a quella che potrebbe essere considerata la esigenza umana fondamentale: quella della unicità ed irripetibilità dell’io nella sua situazione storica. Ma anche si pascono di mito, perché è proprio della scienza la limitazione e la parzializzazione dei metodi e dei procedimenti. Ancora una volta si potrebbe dire che la tendenza umana fondamentale è quella che porta al sapere certo e motivato. Ma quale che sia il contenuto, la certezza viene cercata in diverse direzioni ed in diversi contesti. C’è la certezza parziale della scienza, che vuole partire dai fatti e confermare un modello della realtà che essa costruisce. C’è la certezza di chi parte dalla situazione esistenziale e ricerca qualche cosa di stabile su cui fermare la propria visione del mondo, della vita e del destino dell’uomo in generale, ma anche e soprattutto di questo hic et nunc uomo, pensante e sofferente. Il dolore è sempre una esperienza assolutamente personale e singola e non comunicabile nella sua essenza. Si può descriverla, cercare di suscitare in altri le stesse nostre sensazioni, cercare di suscitare i nostri sentimenti. Ma quando ci si è dentro non si può fare altro che viverla. Ora questo problema del dolore è proprio quello che la scienza non può risolvere e che non è oggetto di conoscenza oggettiva. Ne consegue quindi che necessariamente dalla esistenza del dolore (disperazione, frustrazione, solitudine, angoscia della morte, ecc.) non si può limitare il campo del ragionare umano alla sola conoscenza oggettivabile? A questa proposta vien fatto di rispondere che nei limiti in cui non è comunicabile il dolore non è oggetto di conoscenza da parte degli altri, e nei limiti in cui è comunicabile allora per ciò stesso diventa trasferibile con metodi linguistici e quindi potenzialmente anche scientifici. Questa incomunicabilità di un oggetto che pure è oggetto di riflessione, come per esempio il dolore e il tentativo di razionalizzazione nell’interno dell’uomo, dovrebbe mostrare ancora una volta che il campo della scienza non esaurisce la conoscenza umana. Ma allora avremmo una classificazione che va al contrario di quella classica, perché la conoscenza più concreta e profondamente personalizzata, come quella del dolore, diventa anche quella più ristretta e meno comunicabile. E parlo di conoscenza e non soltanto di esperienza. E qui sarebbe bene aprire una discussione sul fatto che il dolore sia oggetto di conoscenza o piuttosto di esperienza soltanto. FACTEOL./ PASSIM Tutto il libro di Giobbe è una domanda di ‘spiegazione’ razionale del dolore umano. A ben guardare anche il cap. 1, nel dialogo tra Dio ed il Nemico la questione è posta in questi termini da parte del Nemico dell’uomo. Dice Dio: “..… hai visto il mio servo Giobbe, un uomo sincero, onesto; non c’è uno come lui sulla terra; teme il suo Dio e si astiene dal fare il male”. Risponde il nemico: “Giobbe teme il suo Dio, ma non gli costa niente. La sua vita è sotto la tua protezione, e così la sua casa e la sua proprietà. La tua protezione è su tutte le sue imprese; i suoi beni terreni non fanno che crescere. Non gli costa niente”. Ecco posta in tutta la sua crudezza ma anche nella sua fondamentale povertà la concezione che il Nemico ha dei rapporti tra un uomo ed il suo Creatore. Concezione che è di tutti gli uomini, quando si lasciano andare a pensare che il rapporto con Dio sia di dare ed avere: Io faccio il bene e Tu mi procuri la prosperità, le greggi, gli affari che vanno bene, i figli che prosperano. Io faccio il bene davanti alla Tua faccia, ma Tu non puoi tradirmi, non puoi rinnegare il patto, non puoi fare a meno di essere dalla mia parte. PASSIM Conoscenza ma non scienza? apprendimento ma non spiegato, soltanto fattuale? Ma come garantire la razionalità di un simile apprendimento? Si tratta di ‘ragione che apprende’ e non di ‘ragione che ragiona’? Oppure si tratta di actus hominis che non sono anche actus humani? Più facile sarebbe analizzare forse un atto composito, come l’atto di fede, anche umana, in qualche cosa. Oppure analizzare l’atto di volontà,

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oscuro quanto può essere, ma che è sempre di atto unito ad atti dell’intelligenza. Certo la difesa della esistenza di conoscenza che è razionale anche se non razionalmente scientifica è difficile. Anche Bergson ha accettato l’esperienza mistica ma anche in questo caso, nel momento in cui la lingua entra nel tentativo di comunicare tale esperienza, essa diventa per se stessa a livello razionale. Non resta dunque che l’arte per superare la comunicazione logica e per dare un ‘concetto’, diceva Croce; una esperienza conoscitiva, si potrebbe dire, non necessariamente legata a concetti, che supera la possibilità di espressione della lingua in quanto legata ai canoni della logicità e della razionalità. Ma anche in questo caso la concretezza e l’adesione all’immediato tagliano la generalità e la ricerca di questa a sua volta taglia la immediatezza. FACTEOL/ CAUSA/ Ogni uomo, in ogni giorno della propria esistenza utilizza il concetto di causa e la costellazione razionale che ne consegue. Chi è malato ed accetta la schematizzazione del medico, che attribuisce la malattia alla presenza di germi patogeni, e poi va dal farmacista e compera delle medicine e le prende, per contrastare questi germi, accetta il concetto di causa, così come questo stesso concetto è stato accettato dal fabbricante delle medicine, dal farmacista che le vende ecc. Ci si domanda allora quale sia stato il significato della lotta contro il concetto di causa che è stata protratta dall'epoca di Hume a tutto il positivismo. La risposta sta forse nel fatto che: a) si voleva dare una estrapolazione metafisica al concetto; il che era comodo per tutti i positivisti ed loro precursori, perché voleva significare la dimostrazione logica dell'esistenza di Dio. b) si voleva con questo anche dare cittadinanza al concetto di causa finale o anche di causa esemplare. Il che, ancora una volta, costituisce una dimostrazione della esistenza di Dio. Quando, come si legge in Dante, si vede che la libertà dell'acqua è quella di andare al mare, si capisce che la concezione metafisica dell'aristotelismo era completamente guidata dal concetto di un ordine intelligente, preesistente in natura alle cose, e che regge le cose stesse ed il loro divenire, il mondo e le sue leggi soprattutto con lo schema della causa finale. Soltanto un’intelligenza preesistente può predisporre un fine alle cose, e quindi la lotta contro il concetto di causa aveva ed ha ancora questo obbiettivo.

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FACTEOL./ CONCETTO DI LEGGE In Dante (Paradiso, canto XXIX, 13-24 e segg.) si trova la esposizione della metafisica di base di ogni teologia che voglia essere cristiana. Ivi Beatrice spiega a Dante la Creazione, la struttura di ogni essere creato, nella sua essenza metafisica. “Non per avere a sé di bene acquisto, ch’esser non può, ma perché suo splendore potesse, risplendendo, dir ‘Subsisto’, in sua etternità di tempo fore, fuor d'ogne altro comprender, come i piacque, s'aperse in nuovi amor l'etterno amore. Né prima quasi torpente si giacque; ché né prima né poscia procedette lo discorrer di Dio sovra quest'acque. Forma e materia, congiunte e purette, usciro ad esser che non avia fallo, come d’arco tricordo tre saette”….. Ecco esposte anzitutto le 'ragioni' per cui Dio creò le sostanze fuori di Lui, creando insieme anche il tempo, perché non si può pensare che "Prima quasi torpente si giacque". E lo fece per puro amore e non “ per avere a sé di bene acquisto, ch'esser non può….”. Cioè non per proprio bene ma per un misterioso atto di amore, perché “…suo splendore potesse, risplendendo, dir 'Subsisto'..”. In altre parole per vedere riflessa in altri enti la propria sussistenza. È chiaro che queste ragioni non sono di necessità, perché non si dà necessità per cui Dio debba ubbidire a qualche esigenza che sia fuori di Lui. La sola ragione (non cogente) è quella che si può ricercare nella profondità dell'amore divino. Qui sta la diversità tra il Dio di Aristotele, che è primo motore immobile e che in certo senso si disinteressa del mondo e egli uomini, ed il Dio degli Ebrei e dei cristiani, che si immerge nella storia umana e che fa il proprio amore un oggetto fondamentale di rivelazione. Infatti nel Dio di Aristotele non c'è amore e quindi non si vede alcuna ragione perché egli abbia creato il mondo, variabile e quindi insieme con il tempo che è puramente misura della variazione delle creature che sono sottoposte al divenire. Ma soprattutto in questa concezione c'è la vera nozione di legge fisica e metafisica, perché "Concreato fu ordine e costrutto". PARALOGISMI FISICISTICI Il paralogismo che abbiamo ricordato finora a proposito della definizione di un essere, che viene da qualcuno ridotto ad una relazione con altri, con la scusa che senza gli altri non si potrebbe giungere a distinguere l'essere, viene usato nella argomentazione anche in moltissimi altri campi. Si pensi per esempio al concetto di osceno ed a tutta la battaglia per il libertarismo che viene scatenata quando si sequestra un film osceno. Il punto fondamentale è che non si può definire obbiettivamente in modo assoluto quale sia il confine della oscenità; e qui i giornalisti dialettici si scatenano con la loro ironia che vorrebbe essere socratica. Si possono dare i centimetri di pelle scoperta? Si può parlare di atteggiamento? Si può parlare di contesto? Ecco scatenata la campagna per ridurre il reato di oscenità a puro reato contro il buon gusto. E ne consegue che anche il buon gusto non può essere definito, stante la incertezza e la discussione continua su ciò che è bello e ciò che non lo è. Ma è vero anche che LEX NON RISU DELETUR, ovvero A man may laugh at the law but the law will laugh last. (Cfr. Wigs at work - di A. P. Herbert - Penguin books 1966 Pag. 81). Le conseguenze di questa distruzione facile di ogni concetto morale sono sotto i nostri occhi, ma sono dovute alla stupidità delle persone che si lasciano prendere da questi sofismi. Invero la applicazione senza precauzione di questi modi di pensare porterebbe a non poter più definire nulla ed a contestare tutto. Ed infatti si tratta di una confusione tra il concetto e la specificazione del concetto stesso. Non avrebbe più senso parlare di prato e bosco, perché sarebbe facile dimostrare che non si può precisare a quale millimetro finisce il prato e comincia il bosco. Non ha più senso parlare di vita e morte, perché non si può precisare a quale nanosecondo incomincia la morte. Non ha più senso parlare di vegetali ed animali, perché non si può precisare a quale specie finiscono i vegetali e cominciano gli animali. Non si saprebbe più dove finisce la

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strada e comincia la casa, e così via. Invero è facile far vedere che tutto il pensiero ed il comportamento umano sono legati da queste necessità e che spesso si cade nel ridicolo volendo precisare al di là del precisabile. Tutto il libro citato Wigs at work è una dimostrazione di questo. Perché i casi più interessanti si presentano in tribunale, quando i litiganti hanno interesse a cercare il pelo nell'uovo. Ma resta sempre vero che le cose sono chiare indipendentemente dai criteri che sono messi in opera per rendere operante la loro definizione logica. Dove si vede ancora una volta che la natura della cosa è legge che completa l'essere della cosa stessa. Non mai la legge viene concepita come costrizione esteriore, imposta da di fuori a qualche cosa che sarebbe più libera se la legge non ci fosse. Tutta questa concezione va perduta con l'avvento della matematizzazione o meglio ancora della geometrizzazione galileiana e cartesiana. In particolare Cartesio che concepisce la estensione come una proprietà della materia e vuole 'vedere' le cose della metafisica come se fossero cose della geometria. Naturalmente per una mentalità moderna il dire che il fuoco sale verso l'alto perché la sua natura è quella di essere del primo cielo non costituisce una spiegazione scientifica nel senso moderno del termine. Neppure costituirebbe una spiegazione accettata, nonostante il fatto che permette di precisare e di prevedere il comportamento del fuoco. Invero se voglio prevedere dove andranno i gas combusti, tanto fa che io dica che la loro natura li porta verso l'alto che dire che la ossidazione è un processo esotermico, che il riscaldamento fa aumentare la velocità media delle molecole dei gas, che l'aumento della velocità media rende minore il peso specifico, che (come conseguenza delle leggi della fisica) questa diminuzione del peso specifico fa salire i gas combusti. Ovviamente la rete delle relazioni che ho steso è infinitamente più fitta e le spiegazioni che si danno dei singoli fenomeni interessati sono molto più aderenti alla realtà. Ma ci si domanda se anche la ragione che veniva data all'epoca di Dante, e che si modellava sullo schema della metafisica, non fosse accettabile, in quanto ragione intendo. Cioè in quanto spiegazione che si fonda su una realtà osservata e sul postulato di intelligibilità della realtà che ci circonda. Questa intelligibilità porta il metafisico a ricercare la costituzione dell'essere contingente e materiale in quanto tale e porta lo scienziato a ricercare il maggior numero possibile di relazioni che sussistono tra gli elementi osservati di modo che la spiegazione sia la più vasta e la più coerente possibile. Da osservare c'è che nella spiegazione metafisica si perde la quantità di informazioni che abbiamo nella spiegazione scientifica, ma si salva la coerenza globale dell'universo, intendendo la natura come manifestazione di una Intelligenza suprema che fonda la intelligibilità settoriale e globale della realtà che ci circonda. Il che in certo modo ancora una volta ci porta nella profondità della realtà, conosciuta tuttavia in modo diverso da quello in cui la conosce la scienza, ma sempre conosciuta con un certo grado di certezza e con un certo modo di spiegazione. Da questo punto di vista quindi sarebbe difficile separare in modo netto i procedimenti della metafisica e quelli della scienza, se non dicendo che la metafisica cerca di esplicitare a se stessa i fondamenti della conoscibilità, cioè in fondo i fondamenti della possibilità stessa dell'atto di cui la scienza fa continuamente uso. Ancora Dante - Par. X , 1-6: ……………. guardando nel Suo Figlio con l'Amore che·l'uno e l'altro eternalmente spira, lo primo ed ineffabile Valore quanto per mente e per loco si gira con tant'ordine fé, ch'esser non puote senza gustar di Lui chi ciò rimira…….. Ancora una volta l'amore che trae, non la legge che costringe dal di fuori. Ed ancora Par. X - 88 et sqq.: Qual ti negasse il vin della sua fiala per la tua sete, in libertà non fora, se non com'acqua che al mar non si cala. Dunque la libertà dell’acqua è quella di calarsi al mare, è quella di seguire la propria natura. Dante - Par. XIX 86 et sqq.: La prima Volontà, ch’è per sé buona, da sé, ch’è sommo Ben, mai non si mosse. Cotanto è giusto quanto a Lei consuona: nullo creato bene a sé la tira, ma essa, radiando, lui cagiona. Ecco la risposta che l'aquila celeste, nella sfera di Giove, dà alla domanda inespressa di Dante a proposito

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della giustizia e del destino dei non battezzati. Ancora una volta qui c’è tutta una concezione metafisica e cosmologica. Dio non è l'essere supremo degli illuministi, ma la Volontà prima, il Bene sommo, che raggiando bene da se stesso crea gli altri esseri, buoni in quanto tali, e li attrae a se stessa. Ancora una volta, la concezione della Causa prima come causa finale, cioè come fine ultimo al quale ogni essere viene attratto, cambia completamente la concezione della scienza che considera le cause soltanto come cause efficienti. Vi è qui tutta una concezione che accetta la intelligibilità del mondo, ma anche la situazione ordinata del mondo ad un bene universa1e: XX - 130 O predestinazion, quanto remota è la radice tua da quegli aspetti che la prima cagion non veggon tota.

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FACTEOL. / BIBLIOGRAFIA E RIFERIMENTI Pierre DUHEM. La théorie physique. Son objet. Sa structure. Traduzione inglese: The aim and structure of physical theory. Traduzione dal francese di Philip P. Wiener; prefazione di Luis De Broglie. Princeton, New Jersey, 1954. (Biblioteca comunale Sormani di Milano. N 10513) Ernst MACH. La mécanique. Exposé historique et critique de son développement. Trad. Emile Bertrand. Hermann, Paris 1925. (Biblioteca Sormani Milano. N. 7887) Auguste COMTE- Cours de philosophie positive (Ire et 28me leçons). Larousse Paris. (Biblioteca Sormani Milano. G Coll 117 / 17) ...ogni ramo della nostra conoscenza passa necessariamente per tre stati teorici diversi: lo stato teorico o fabulatorio (fictif); lo stato metafisico o astratto; lo stato scientifico o positivo ...(pg. 20) - e così via con la solita solfa positivista. DALLA “SUMMA THEOLOGICA” Sul concetto di scienza. Scientia est habitus … Scientia est conclusionum … I Q 14 a, 1. Utrum in Deo est scientia. Scientia non est singularium. I Q 1 a 2. Utrum sacra doctrina sit scientia. Cita Post. 25 Metaph. Il-8 Eth. VI -8 Rapporto tra la scienza e la certezza: Nella stessa questione, art. 1, si afferma che perché l'intelletto umano abbia un giudizio certo e retto è necessario il dono della scienza (come dono dello Spirito Santo). La scienza come abito intellettuale. I-IIae Q 57 a 2. Utrum sint tantum tres habitus intellectuales speculativi, scilicet sapientia, scientia et intellectus. Il modo ed il significato della conoscenza umana sono trattati e discussi nei particolari in I – Q 85 & 86. In particolare ivi è difeso il realismo radicale del S.D. contro ogni idealismo. Per esempio …species intelligibilis se habet ad intellectum ut id quo intelligit intellectus… I Q 85 a, 2. Vedere tutto l'articolo per la risposta alle obiezioni ed a tutto l'idealismo precedente (Platone) ed anche susseguente, da Descartes a Kant. BACONE Le notizie che seguono sono tratte dal volume di Maria A. Raschini: Storia del pensiero occidentale. Vol. IV Da Bacone a Kant. (Preso in prestito dalla biblioteca dell'Istituto Lombardo di Scienze e Lettere. Le pagine sono quelle del volume). Bacone precursore dell'illuminismo come contrario alla conoscenza metafisica e come esaltatore della tecnica come solo scopo della scienza, come liberazione dell'uomo dalla fatica e dominio sulla natura. Tutte cose che ancora oggi fanno parte della concezione marxiana del sapere e che vengono sbandierate a destra ed a sinistra. La prima esaltazione del tecnicismo, fino alla mitizzazione, si trova in" New Atlantis" (pag.14). In Novum Organum si trova la classificazione del sapere secondo le facoltà utilizzate: memoria (osservazione, storia); fantasia (poesia); ragione (filosofia). La scienza è intesa come storia naturale nel senso di sola conoscenza fattuale che è possibile, al posto della storia comunemente intesa (pag. 15). Il sapere concepito some strumento dell'agire; utile ai meccanici (che agiscono sulla natura) ed ai politici (che agiscono sulla società) (pag. 16). L'esperimento concepito come intelletto applicato ai fatti per mezzo della esperienza (pag. 18). Occorre vuotare la mente dalle anticipazioni (expurgatio intellectus) (pag. 19). Qui ci sono i famosi idola che vengono considerati da B. come dei vincoli, dei ceppi alla libera azione della mente: Idola tribus (ostacoli posti dalla mentalità comune della specie umana, dall'uso della fantasia ecc.) Idola specus (ostacoli propri dell'individuo, dovuti al condizionamento, alla educazione, alle abitudini ecc.

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Idola fori (causati dal linguaggio, dalle dispute verbali senza verifica sperimentale, tipiche della filosofia astratta) Idola theatri (favole della dottrina, non confermate dalla esperienza). Nuovo linguaggio è necessario, imposto dalla esperienza, così come è necessaria una nuova logica, che non deve più essere deduttiva ed astratta, ma induttiva e concreta. Strumenti della nuova logica induttiva le tabulae (pag. 21): tabulae presentiae, tabulae absentiae, tabulae graduum . Lo stesso procedimento sperimentale si identifica con la nuova logica, intesa come nuovo mezzo per la induzione; qui si presentano le varie 'istanze', punti di scelta per decidere sul successivo svolgimento dell'esperimento; in particolare l’istanza cruciale che fa eliminare una ipotesi per adottarne un'altra (pag. 22). Si nega il carattere intelligibile dell'essere, che è oggetto della logica classica, che denota la immaturità del pensiero degli antichi (pag. 23). Lo scopo del sapere è l'azione; lo scopo dell'azione è la felicità dell'uomo. Si distingue tra gli esperimenti che sono diretti al solo sapere da quelli che sono diretti all'azione: experimenta lucifera, experimenta fructifera ( pag. 23). Il soggetto pensante non è considerato come presente nel momento della conoscenza; l'uomo è un puro specchio. Il che conferma il carattere intersoggettivo della scienza moderna, che vorrebbe così raggiungere la oggettività completa. Addirittura il metodo passa in seconda linea di fronte al fatto della raccolta cosciente di esperienze e fatti. Si dà importanza alla raccolta della descrizione di atti particolari (Parasceve ad historiam naturalem et experimentalem, p. 26). In questo B. si presenta nettamente come un precursore dell'illuminismo enciclopedico, che da questo punto di vista si impallina nella descrizione di cose particolarissime, ma che non dice niente di nuovo. Nella natura non si dà alcun ordine veritativo (pag. 28). Chiaramente il positivismo ha preso da qui. Affermare che la mente può raggiungere il divino è empietà. Il solo fondamento della conoscenza di Dio è dato dalla fede nelle Scritture (pag. 28). E qui anche Karl Barth dimostra la sua derivazione empiristica e baconiana; è chiaro che questa impostazione è fatta per distruggere il valore ed il significato della ragione umana e ogni suo valore. La conseguenza è la svalutazione della morale, quando si voglia fondarla sulla ragione. Così come viene svuotato il concetto di peccato. La redenzione all’uomo viene dalle opere, con le quali l'uomo esercita il suo potere sulla natura (pag. 28). La 'carità' non è una virtù teologale; essa ha il suo significato nella azione umana, diretta a risolvere le difficoltà della vita (p. 29). Ne consegue il concetto umanitaristico della virtù e dell'atteggiamento dell'uomo verso i suoi simili. MARITAIN Jacques Maritain - La philosophie de la nature. Essai critique sur ses frontières et ses objets. Chez Pierre Téqui - Paris - 82 Rue Bonaparte. (Non sono riuscito a trovare una data di pubblicazione, ma è posteriore ai “Dégrés du savoir”, prestatomi da mons. Carlo Colombo). - pag. 5 et sqq. Analisi dell'idealismo platonico. - pag. 7 - Il ricorso al mito è necessario per ogni tentativo di spiegare i fenomeni naturali con l'aiuto del solo sapere matematico. Qui mi domando che cosa chiama mito. - pag. 22 - La scienza è la percezione di una necessità intelligibile. - pag. 31 - Grave errore (faute) di precipitazione intellettuale presso Aristotele e gli antichi, così come presso gli Scolastici. È la mia tesi che non nega validità alla spiegazione data dalla filosofia della natura, ma sostiene che gli antichi hanno pensato di arrivare alla natura delle cose, e quindi al processo deduttivo con pochissima fatica e con quasi nullo lavoro di sperimentazione. - pag. 38 - La matematica considerata come scienza della estensione e del numero. Qui si fa un passo indietro, ma è nella logica della impostazione di M. che pure non ha saputo arrivare al punto fondamentale della matematica che è la reductio ad imaginationem. - pag. 42 - Kant e lo svuotamento metafisico della scienza. M. sostiene Kant nella sua campagna contro la metafisicizzazione della scienza della natura ed io sono d'accordo. La conclusione raggiunta da M. è che l'inconveniente non sta nello svuotamento, che è legittimo, ma nello scientismo, cioè nell'aver negata ogni metafisica, oltre a quella (legittimamente negata) che è in continuità diretta con la scienza della natura. 58 - Si afferma il realismo implicito e sostanziale della scienza ed in questo io sono pienamente d'accordo. 60 - Si mette in evidenza il fatto che la scienza ricerca il "perché" delle cose. 61 - Si mette in evidenza la ricerca di identificazione della scienza, che vorrebbe ridurre tutto allo spazio e

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quindi fondare la diversità delle cose non nella loro diversa natura, ma semplicemente nella diversa posizione nello spazio. È - dico io - la fisima dell'atomismo democriteo. La diversità, secondo Maritain, introdurrebbe una irrazionalità nella mania della spiegazione matematica delle cose. A p. 62 se ne danno esempi; comunque il mistero del male nella natura e nella storia conferma che le cose non vanno così lisce. Citazione da Boezio - De Trinitate. Q. V , art. 1 sul concetto di diversità di gradi di essere, che porta alla diversità di astrazione. Cit. nota pag. 13. L'astrazione matematica, (sempre secondo la stessa nota che cita il comm. di San Tomm. nel Boezio) "….respondet unioni formae et materiae, vel accidentis et subjecti et haec est abstractio formae (scil. quantitatis ) a materia sensibili. Invece l' astrazione del 1° grado "…respondet unioni totius et partis; et est abstractio totius in qua consideratur absolute natura aliqua secundum suam ritionem essentialem, ab omnibus partibus quae non sunt partes speciei, sed sunt partes accidentales. (art 3) E più sotto (pag. 15) M. insiste nello spiegare la differenza tra la "abstractio totalis", astrazione del tutto rispetto alle parti (astrazione 'estensiva'), e la "abstractio formalis", astrazione della forma, ovvero del tipo formale nei riguardi della materia, (astrazione 'intensiva' o anche 'tipologica'). Così la astrazione totalis è quella che porta a considerare l'universale in quanto tale, come quando giungiamo al concetto di “uomo” partendo da Pietro, Paolo e Giovanni; oppure giungiamo al concetto di “animale” partendo dall'uomo, dal gatto, dal cane, giungendo così a concetti sempre più universali. Questa operazione è comune ad ogni genere di conoscenza, scientifica o non. Invece l'altro tipo di astrazione, quella di tipo formale o tipologico, consiste nella estrazione del tipo intelligibile, astrazione con la quale noi separiamo l'essenza da tutti i dati materiali e contingenti. Cfr. Caetano, Comm. in De ente et essentia. P.16 THOMAS STEARNS ELIOT T. S. Eliot. Appunti per una definizione della cultura. (Bompiani - fuori commercio. Biblioteca Sormani M. Coll. 145 / 23) Titolo originale: Notes toward the definition of culture. Lettura raccomandata da Quirino Principe che ne dice meraviglia. Infatti in un suo articolo di 'Studi cattolici' ha riportato le argomentazioni di T. S. Eliot sul “muto inglorioso Milton”. (Elegy written in a country churchyard, di Thomas Grey (1751). XV Strofa). Some village Hampden, that with dauntless breast The little tyrant of his field withstood; Some mute inglorious Milton here may rest, Some Cromwell guiltless of his country’s blood. (…forse in quest’angolo obliato sta sepolto - qualche Hampden di villaggio che con petto indomito -contrastò il piccolo tiranno dei suoi campi; qualche muto inglorioso Milton qui forse riposa - qualche Cromwell; innocente del sangue della sua terra (p. 114). È giusto che l'individuo eccezionale abbia la possibilità di elevarsi nella scala sociale, e di raggiungere una posizione dalla quale esercitare i suoi talenti a maggior utile suo e della società. Ma l'ideale di un sistema educativo che automaticamente trascelga ciascuno a seconda della sua naturale capacità è irraggiungibile in pratica; e se ne facessimo il nostro principale obbiettivo, esso disorganizzerebbe la società ed avvilirebbe la educazione. Disorganizzerebbe la società, sostituendo alle classi, élites di cervelli o forse solo di acuti ingegni. La prospettiva della società comandata e diretta solamente da coloro che hanno superato certi esami o soddisfatto prove escogitate da psicologi, non è rassicurante: mentre darebbe luce a talenti fino a quel momento oscuri, probabilmente ne oscurerebbe e ne soffocherebbe altri che avrebbero potuto rendere grandi servizi. Inoltre l'idea di un sistema uniforme, tale che ad ognuno venga concessa la più alta educazione di cui sia capace, impercettibilmente conduce alla educazione di troppe persone, e di conseguenza all'abbassamento del criterio di giudizio al livello che quel numero accresciuto di candidati sia in grado di raggiungere (pag.112). Molti di noi provano un certo rancore contro scuole ed università perché nella vita non sono riusciti a combinare niente di buono; e questo può essere un modo per minimizzare il nostro fallimento e scusare le nostre deficienze (pag. 110). La gente può essere persuasa a desiderare quasi qualsiasi cosa, purché le si dica continuamente che ne ha diritto e che ne è ingiustamente privata (pag. 111). Non vi è dubbio che, nella furia di educare tutti, abbassiamo il livello e sempre più abbandoniamo lo studio di quegli argomenti attraverso i quali gli elementi della nostra cultura - della parte trasmissibile con l'educazione - vengono trasmessi, distruggendo i nostri antichi edifici per sgomberare il terreno sul quale i

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barbari nomadi del futuro s'accamperanno con le loro carovane meccanizzate (pag. 120). ....i cristiani, come tali, non credono abbastanza e d'altra parte, come chiunque altro, credono in troppe cose ....i vescovi appartengono alla cultura, i cani ed i cavalli appartengono alla religione inglese (pag. 32) ...la religione come tutt'intero il modo di vivere di un popolo, dalla nascita alla tomba.... perfino durante il sonno, e quel modo è pure la sua cultura (pag. 30). ...scetticismo non la miscredenza o l'astio demolitore (ed ancor meno l'incredulità dovuta a pigrizia) ma l'abitudine di esaminare le prove e la capacità di differire le decisioni (pag. 28). La cultura può essere semplicemente definita come ciò che rende la vita degna di essere vissuta. Ed è ciò che autorizza gli altri popoli ed altre civiltà a dire, quando consideriamo i resti e l'influenza di una civiltà estinta, che quella civiltà aveva meritato di esistere (pag. 26). Fortunato colui che, al momento opportuno, incontra l'amico opportuno; fortunato anche colui che al momento opportuno incontra il nemico opportuno. Non approvo lo sterminio del nemico; la politica di sterminio o, come in modo barbaro si dice di liquidazione dei nemici, è uno degli sviluppi più allarmanti della guerra e della pace moderne, dal punto di vista di coloro che desiderano la conservazione della cultura. I nemici sono necessari (pagg. 62/63). La vita del protestantesimo si fonda sulla sopravvivenza di ciò contro cui protesta....(pag. 80). ...la tendenza, in alcuni ambienti a ridurre la teologia a tali principi che un fanciullo possa capirli o un sociniano accettarli è essa stessa un segno di debolezza culturale (pag. 86). ...il politico di professione ha troppo da fare per avere il tempo libero da dedicare a letture serie, anche di politica. Ha troppo poco tempo per poter scambiare idee e informazioni con uomini eminenti in altri campi.... (pag. 95). ...preponderanti essendo la lusinga dell’ambizione e la tentazione cui l’indigeno è esposto, di ammirare quel che vi è di sbagliato nella civiltà occidentale, e per motivi sbagliati....(pag. 99) Come si vede da queste citazioni, si tratta di un uomo acuto ed intelligente, che non ha paura di dire delle cose che non sono alla moda del pedagogismo e della demagogia imperanti, anche in quelli che si dicono cristiani. E che difende senza paura anche la tesi che la cultura è fondata sulla religione di un popolo. D'altra parte è anche troppo facile far risaltare le stupidità ridicole di certi nostri politici. Ed è anche troppo facile comporre uno sciocchezzaio dei nostri pedagogisti, sedicenti cattolici, che scoprono il sesso, la libertà, la spontaneità ed altre cose, molto ma molto tempo dopo che le hanno scoperte gli altri. Quindi si dimostrano oltre che assolutamente privi di originalità, anche ridicoli. Ritengo che i nostri studi dovrebbero essere pressoché privi di scopo. Essi vogliono essere perseguiti con castità, come le matematiche....Acton (dalla introduzione).

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AGOSTINO Augustinus Conf. Lib. VII . Cap. 3 Si chiede che cosa sia il male ed in che consista. E se non ha consistenza obbiettiva, da che viene questo nostro patire? È forse lui stesso il male? Ma certo il patire esiste, se non altro come timore della morte: " Talia volvebam pectore misero, ingravidato curis mordacissimis de timore mortis “(pag. 225). Jaspers non ha quindi detto nulla di nuovo, quando ha detto che la storicità stessa dell'uomo conduce al dolore, così come la coscienza della ineluttabilità della morte. E nella storicità c'è la coscienza della finitezza, del non essere nostra propria causa, del non potere decidere del nostro principio e della nostra fine. La coscienza di queste 'pareti' che costringono la esistenza dell'uomo entro limiti ben precisi e non scelti da lui. Augustinus Conf. Lib. VII Cap. 5 Descrive e deplora gli inconvenienti e la gravità delle conseguenze del volere adoperare la immaginazione laddove è da impiegare soltanto l'intelletto, così come quando egli immaginava l'Universo come una spugna, immerso nell'oceano che doveva essere Dio. Ibid., Cap. 10: descrive il passo liberatore, laddove comprende finalmente che la verità è diffusa dappertutto, senza che imbeva materialmente le cose. Ma le cose sono in quanto sono vere.

Logica / Definizione implicita Si potrebbe sostenere che la celebre analisi di Sant’Agostino a proposito del tempo, che si trova in Conf. Lib. XI, Cap. XIV è una conferma indiretta della tecnica della definizione implicita. Dice infatti il Santo: “.....quid autem familiarius et notius in loquendo commemoramus quam tempus? Et intelligimus utique cum id loquimur; intelligimus etiam, cum alio loquente id audimus. Quid ergo est tempus? Si nemo ex me quaerat scio; si quaerenti explicare velim, nescio.....” Il che significa che esiste un vocabolo del linguaggio comune, che la successiva analisi porta a precisare, chiarendone la “grammatica logica” che è implicita. Perché la successiva analisi chiarisce continuamente i significati e le circostanze nelle quali il vocabolo è impiegato e quindi chiarisce il significato della parola mediante una definizione implicita che mette in luce le frasi vere nelle quali il vocabolo stesso è impiegato.

Piero della Francesca. Sant'Agostino. Museu Nacional de Arte Antiga, Lisbona.

 

 

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FACTEOL. / ESISTENZIALISMO “……… Kierkegaard è soprattutto il richiamo ad un pensare concreto, che accetta la contraddizione e l’irrazionalità, l’aporia e il paradosso, perché tale è l’esistenza, scissa tra radicali antinomie che nessuna sintesi e nessun sistema concilia se non a spese della verità. Ogni sistema, più si fa perfetta ed armonica la sua armatura concettuale, più si nega alla vita ed alla esperienza, che non si lasciano rinserrare in alcun sistema logico conclusivo”. (Remo Cantoni - La vita estetica nel pensiero di Kierkegaard - Introduzione al Don Giovanni di S.K. Milano 1976). Non si potrebbe meglio descrivere la condizione della non conoscibilità scientifica del singolare, contingente, ma anche la conoscibilità con altri mezzi del concreto e reale. Ciò che è materia di esperienza concreta e vissuta è certamente conosciuto ed anche in certo modo spiritualmente dall’uomo che è anche spirito. Ma non concettualmente, perché sarebbe contradditorio il pretendere che il concreto reale e contingente potesse essere generalizzato. Ma questo tentativo di spiegazione è pur esso un tentativo di concettualizzazione e quindi anche una mediazione intellettuale tra la esperienza pura che in quanto tale non sarebbe esprimibile, e la possibilità di comunicarla e quindi di concettualizzarla. Per parlare in termini kierkegaardiani, il passaggio dalla vita estetica alla vita etica richiede necessariamente una certa concettualizzazione, proprio in quanto richiede il passaggio alla considerazione di valori assoluti, che proprio in quanto tali sono anche in certa misura comunicabili; non in quanto sono assoluti per il singolo, ma proprio in quanto, essendo assoluti, debbono necessariamente esserlo in certa misura per tutti gli uomini e quindi anche debbono essere comunicabili a livello concettuale. Io non riesco a capire i richiami a Sant’Agostino che vengono fatti costantemente a proposito di Kierkegaard (p. 32 qui), perché Agostino, proprio quando riesce a staccarsi dalla concezione sensibile e a concepire Dio come Verità, cioè proprio quando riesce ad entrare nella considerazione intellettuale di Dio, riesce a trovare il punto e la misura di se stesso e della sua vita.