Che politica economica - api.ning.com · - 2 - Il come non è mai dato di sapere. Tra i due...

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Che politica economica ? Discussione aperta da Fabio Colasanti (post dell'anno 2013)

Discutiamo di cosa si dovrebbe fare. Per lanciare la discussione propongo alcuni documenti recenti. Ecco il programma economico della CGIL. 1. Un aumento dell'imposizione per 40 miliardi (tra 2.5 e 3.0 punti di PIL) all'anno. 2. Questi soldi dovrebbero essere spesi in un programma di lavori publici (4-10 miliardi all'anno) e di creazione diretta di posti di lavoro (15-20 miliardi all'anno). 3. 25-35 miliardi dovrebbero andare al Welfare e ai redditi bassi. Domande. a) E' possibile vincere le elezioni con l'annuncio di un aumento della pressione fiscale di 2.5/3.0 punti di PIL all'anno ? b) E' possibile vincere le elezioni con la proposta di spendere 15-20 miliardi all'anno in gran parte per assunzioni nel settore pubblico? c) Che cosa succederà alla bilancia dei pagamenti con un rilancio della domanda interna grazie alle misure di stimolo proposte? d) Gli elementi annunciati parlano di 40 miliardi di tasse in più e di 44-65 miliardi di spese in più. Che succederà ai tassi di interesse sul debito pubblico italiano?

*** Estratti da un articolo del Corriere della Sera http://nuvola.corriere.it/2013/01/14/il-piano-per-il-lavoro-della-c... Patrimoniale e lotta all’evasione - Va subito detto che, per realizzare quel «Big push» sul «modello New Deal» di rooseveltiana memoria di cui si parla nel Piano e che ispirò anche quello di Di Vittorio, la Cgil propone una forte riforma del sistema fiscale capace di portare nelle casse dello Stato «almeno 40 miliardi di euro annui» in più di ora, attraverso una patrimoniale sulle grandi ricchezze, un aumento dell’imposizione sulle transazioni finanziarie, l’introduzione di tasse ambientali («chi inquina paga»), un «piano strutturale di lotta all’evasione fiscale, contributiva e al sommerso» che impiega oggi circa 3 milioni di lavoratori." "Posti pubblici, incentivi privati - Dai 4 ai 10 miliardi annui dovrebbero andare agli interventi prioritari del «Programma Italia»: green economy, innovazione manifatturiera, efficienza energetica (smart grid), agenda digitale, infrastrutture, prevenzione antisismica, messa in sicurezza dell’edilizia scolastica, riorganizzazione del ciclo dei rifiuti, diffusione della banda larga, percorsi turistici integrati, trasporto pubblico sostenibile, sviluppo rurale." Dai 15 ai 20 miliardi l’anno sarebbero invece destinati alla «creazione diretta di lavoro». Anche qui un mix di assunzioni nel pubblico, negli stessi programmi di cui sopra, e di incentivi alle assunzioni e alle stabilizzazioni nel privato. Con particolare attenzione all’occupazione giovanile e femminile. Si propongono quindi programmi di manutenzione, bonifica dei siti industriali inquinati, conservazione del patrimonio culturale, riqualificazione urbana, valorizzazione di parchi e riserve naturali. Tra i 5 e i 10 miliardi andrebbero al sostegno all’occupazione (stabilizzazione) e agli ammortizzatori sociali. Altri 10-15 miliardi al potenziamento del Welfare e 15-20 miliardi al taglio delle tasse su dipendenti e pensionati. Visualizzazioni: 5 413

Risposte a questa discussione

Risposto da adriano succi su 15 Gennaio 2013 a 10:58 Commentare questo programma elettorale dela CGIL (ma non dovrebbe essere un sindacato, almeno formalmente estraneo alla politica partitocratica?), vengono in mente certe antiche considerazioni sugli estremi che si toccano. Demagogia e populismo a destra nell' invocare meno tasse senza specificare come compensare le minori entrate, a sinistra si risponde invocando più spesa pubblica, ancora senza specificare da dove prendere le risorse. A destra dicono di tagliare gli sprechi, a sinistra di tassare i ricchi.

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Il come non è mai dato di sapere. Tra i due estremismi, vogliamo scommettere chi rischia di vincere ancora una volta?

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 15 Gennaio 2013 a 12:23 infiliamoci anche questo come informazione generale http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-01-15/labenomics-batte-...

Risposto da giorgio varaldo su 15 Gennaio 2013 a 12:25 giuseppe picciolo ha posto una interessante domanda "un sindacato deve essere corporativo o non corporativo?" innanzitutto il termine corporativo indica la presenza nel sindacato di varie categorie di lavoratori e di convivenza anche quando gli obiettivi delle varie categorie sono in conflitto fra loro.. inoltre tale domanda sarebbe lecita laddove esiste UN sindacato che per definizione rappresentando tutta la classe lavoratrice non è caratterizzato da un orientamento politico nel nostro paese dove abbiamo sindacati legati a partiti politici questa domanda non è consentita. nel caso dell'accordo per la produttività (e non solo in quello) uno dei sindacati è contrario e gli altri sono a favore. se il sindacato deve rappresentare e far gli interessi dei lavoratori come è possibile che un accordo venga ritenuto valido per alcuni e non valido per altri? quale è il metro di giudizio dell'accordo quello dell'interesse del lavoratore che il sindacato rappresenta o del partito politico al quale il sindacato è legato? quindi la delegittimazione del sindacato (di quel sindacato e non di tutti) è causata dall'operato del sindacato stesso. si parla di democrazia ma non la si vuole applicare. c'è un accordo? il parere favorevole deve provenire dalla consultazione della base. ed ovvio una volta che la base ha dato il proprio responso come accade in democrazia le regole valgono per tutti .

Risposto da giorgio varaldo su 15 Gennaio 2013 a 12:42 quando si parla di keynes si tira in ballo il famoso moltiplicatore spendo 1 per ottenere (secondo arturo hermann) 2,27 mentre oggi si ritengono validi numeri ben inferiori. quale è la differenza principale fra l'economia USA durante il new deal e la situazione attuale? a quei tempi non c'era la globalizzazione il famoso dollaro erogato dagli USA veniva speso negli USA con la globalizzazione il dollaro erogato dagli USA o l''euro erogato dal governo italiano dove viene speso? ed i vantaggi portati dal moltiplicatore si apprezzano non nel paese che eroga moneta bensì in quello dove viene spesa. in questa ottica - avendo il giappone una bilancia commerciale attiva - si può ben sperare nella buona riuscita del piano giapponese mentre avendo il nostro paese una bilancia commerciale passiva il piano CGIL non farebbe altro che peggiorarne le condizioni.

Risposto da Salvatore Venuleo su 15 Gennaio 2013 a 13:03 Interessanti, informati, ma non persuasivi alcuni argomenti di Giorgio. Alla fine mi sento diviso fra i suoi argomenti e quelli di Giuseppe P. Mi limito a dire poche cose, da militante da sempre della Cgil (militante senza mai molta convinzione). Tutto il sindacato italiano ha una tradizione culturale avversa al corporativismo, anche se nei fatti talvolta contraddetta. La CGIL ha parte delle responsabilità nell'interruzione del cammino unitario fra le confederazioni. Trovo però assolutamente sbagliato e ingiusto accusare la CGIL di collateralismo politico, tacendo sugli altri sindacati. Le inflluenze fra Pd e CGIl sono reciproche. Anzi forse è la CGIL a condizionare il partito più che viceversa. In compenso CISL e UIL e soprattutto la prima, nella infelice stagione di Bonanni, si sono caratterizzate per

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uno sfacciato collateralismo ai peggiori governi del Paese (quelli berlusconiani). Nessuna vera contestazione, solo ammuina, nella soddisfazione troppo evidente di sedere a un tavolo e di isolare la CGIl, il sindacato meno coivolgibile in disegni altrui. Riguardo la piattaforma sul lavoro della CGIL, la trovo ricca e largamente condivisibile. E trovo anche che il livello della elaborazione culturale degli uffici studi della CGIL sia di livello non paragonabile a quello dei sindacati che si accodavano a Sacconi nell'usare l'assassinio di Biagi come volgare ricatto contro chi osasse criticare aspetti del Libro Bianco e soprattutto l'interpretazione normativa che ne dette il governo Berlusconi.

Risposto da Fabio Colasanti su 15 Gennaio 2013 a 13:04 Giuseppe, trovo la tua osservazione speciosa. Naturalmente non si tratta di un programma elettorale formale; la CGIL non ha presentato una lista alle elezioni. Ma si tratta di una proposta che questa organizzazione presenterà in una grossa conferenza a Milano il 25 e 26 gennaio, quattro settimane prima delle elezioni. Non si tratta du un programma elettorale, ma si tratta di un avvelenamento della campagna elettorale del PD. Pensi che la CGIL non si sia resa conto che il 24 e 25 febbraio ci sono delle elezioni politiche? O il partito avrà il coraggio di lanciare un grosso "Vaff...." al maledetto massimalismo di questa organizzazione o tutti percepiranno questa proposta come parte del programma economico del PD (che continua a non esistere). Sono sicuro che in cuor suo Bersani deve essere furioso. Siamo ripartiti per una ripetizione della campagna elettorale del 2006. Li siamo partiti da 10 punti di vantaggio nei sondaggi e siamo finiti a vincere per 25mila voti a livello nazionale. Quello che determinò il disastro furono le discussioni sulle tasse. In questa campagna non abbiamo mai avuto dieci punti di vantaggio nei sondaggi. Giuseppe Picciolo ha detto: Infatti non è il programma elettorale della CGIL. Quand'è cha la finiamo di affibiare attributi e intenzioni agli altri solo per poterli criticare? E quando decidiamo se un sindacato deve essere corporativo o non corporativo? Se un sindacato non deve essere corporativo vuol dire che deve avere una visione dell'economia non limitata agli interessi di una categoria. Se non ha una visione limitata agli interessi di una categoria allora ha una su "politica" che propone o cerca di imporre alle controparti. Le controparti sono di volta in volta la singola azienda, il sistema delle imprese, la forze politiche. Tutte le posizioni, tutti i programmi, sono criticabili. Ma un conto è criticare, un altro èdelegittimare. Un conto è dire non mi piace quel sindacato, un altrro conto dire "quel sindacato non fa il sindacato".

Risposto da Fabio Colasanti su 15 Gennaio 2013 a 13:09 Giorgio, oltre alla differenza importantissima che citi tu c'è anche il fatto non trascurabile che al momento della crisi del 1929 il rapporto debito pubblico/PIL degli Stati Uniti era del 20 per cento e che dopo il New Deal era del 40 per cento. Il Giappone non ha solo una bilancia dei pagamenti attiva, ma ha anche un mercato nel quale non è facile entrare. Formalmente il paese rispetta tutti gli obblighi del WTO, ma vuoi per la lingua, vuoi per altre differenze culturali gli esportatori europei e americani non riescono ad aumentare facilmente le loro esportazioni verso questo paese. giorgio varaldo ha detto: quando si parla di keynes si tira in ballo il famoso moltiplicatore spendo 1 per ottenere (secondo arturo hermann) 2,27 mentre oggi si ritengono validi numeri ben inferiori. quale è la differenza principale fra l'economia USA durante il new deal e la situazione attuale? a quei tempi non c'era la globalizzazione il famoso dollaro erogato dagli USA veniva speso negli USA con la globalizzazione il dollaro erogato dagli USA o l''euro erogato dal governo italiano dove viene speso? ed i vantaggi portati dal moltiplicatore si apprezzano non nel paese che eroga moneta bensì in quello dove viene spesa.

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in questa ottica - avendo il giappone una bilancia commerciale attiva - si può ben sperare nella buona riuscita del piano giapponese mentre avendo il nostro paese una bilancia commerciale passiva il piano CGIL non farebbe altro che peggiorarne le condizioni.

Risposto da Fabio Colasanti su 15 Gennaio 2013 a 13:17 Salvatore, faccio anche a te le domanda retoriche che ho fatto a Giuseppe P. Pensi che alla CGIL fosse sfuggito che ci sono delle elezioni politiche il 24 e 25 febbraio? Pensi che presentare le loro proposte in una grossa conferenza il 25 e 26 gennaio sia dovuto al caso ? Non potevano presentare il loro piano all'inizio di marzo come una proposta al nuovo governo ? Salvatore Venuleo ha detto: Interessanti, informati, ma non persuasivi alcuni argomenti di Giorgio. Alla fine mi sento diviso fra i suoi argomenti e quelli di Giuseppe P. Mi limito a dire poche cose, da militante da sempre della Cgil (militante senza mai molta convinzione). Tutto il sindacato italiano ha una tradizione culturale avversa al corporativismo, anche se nei fatti talvolta contraddetta. La CGIL ha parte delle responsabilità nell'interruzione del cammino unitario fra le confederazioni. Trovo però assolutamente sbagliato e ingiusto accusare la CGIL di collateralismo politico, tacendo sugli altri sindacati. Le inflluenze fra Pd e CGIl sono reciproche. Anzi forse è la CGIL a condizionare il partito più che viceversa. In compenso CISL e UIL e soprattutto la prima, nella infelice stagione di Bonanni, si sono caratterizzate per uno sfacciato collateralismo ai peggiori governi del Paese (quelli berlusconiani). Nessuna vera contestazione, solo ammuina, nella soddisfazione troppo evidente di sedere a un tavolo e di isolare la CGIl, il sindacato meno coivolgibile in disegni altrui. Riguardo la piattaforma sul lavoro della CGIL, la trovo ricca e largamente condivisibile. E trovo anche che il livello della elaborazione culturale degli uffici studi della CGIL sia di livello non paragonabile a quello dei sindacati che si accodavano a Sacconi nell'usare l'assassinio di Biagi come volgare ricatto contro chi osasse criticare aspetti del Libro Bianco e soprattutto l'interpretazione normativa che ne dette il governo Berlusconi.

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 15 Gennaio 2013 a 13:23 aggiungo un ulteriore elemento di riflessione http://temi.repubblica.it/micromega-online/basta-austerity-e-lora-d...

Risposto da adriano succi su 15 Gennaio 2013 a 13:32 Come si diceva una volta: "Se non è zuppa è pan bagnato". Che si chiami "Piano per il lavoro", piuttosto che "Proposta elettorale" oppure "Contratto con gli Italiani", non ci vedo grosse differenze. Per carità, figuriamoci, ogni Cittadino può dire la sua, anzi, non è così strano che se ne esca la CGIL con un prospettino leggero e facile da leggere, quando il PD, a poco più di un mese dalle elezioni, questa lista delle buone intenzioni, ancora non ce l' ha. Quello che non è riuscito a completare il PD e la galassia dei partitini di sinistra finora, lo farà la Camusso con un bel discorso tra 10 giorni, che infiammerà i cuori dei duri e puri e ci farà perdere di nuovo le elezioni.

Risposto da Fabio Colasanti su 15 Gennaio 2013 a 13:54 Giuseppe, c'è una differenza non grande, ma monumentale. Se la Confindustria tira fuori un programma massimalista ad un mese dalle elezioni, rischia di farle perdere al PdL e al centro. Non credo ci sarebbero molte lacrime nel circolo.

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Se questo lo fa la CGIL - come ha appena fatto - rischia di far perdere le elezioni alla sinistra. Giuseppe Picciolo ha detto: A proposito. Confindustria che cos'è? Non è una organizzazione di categoria analoga ad un sindacato di lavoratori? Suscita scandalo che Confindustria abbia un programma ecconomico e lo sottoponga all'attenzione delle forze politiche? Suscita scandalo che importanti esponenti di confindustria, come Bombassei, siano candidati in una lista di una coalizione? Suscita scandalo che un altro importante esponente di Confindustria organizzi un movimento politico i cui membri sono candidati alle elezioni mentre il loro capo, in quanto beneficiario di una concessione governativa (ferrovie) si trova in evidente conflitto di interessi? O la lingua batte solo dove il dente duole? (la CGIL)

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 15 Gennaio 2013 a 14:01 Ripropongo in questo spazio un pezzo del commento che avevo postato nella discussione sull'illusionismo di berlusconi iniziata da A. Hermann perchè mi sembra pertinente. inizia "Mi sembra che sia evidente come il nostro Paese ha innanzitutto bisogno di una riforma fiscale perché se ; in base a quella in essere, le imprese ed il lavoro sono quelle che vengono più oppresse, l’evasione raggiunge livelli di ca 120 miliardi l’anno e la ricchezza della famiglie si concentra per la maggior parte nel 10% qualcosa vorrà pur dire. Il primo aspetto che vorrei toccare è quello sollevato da F. Colasanti e A. Hermann relativamente al peso complessivo della tassazione sul sistema . E’ questo un dato incontrovertibile; ma ,quello che non quadra è la sua destinazione ed i settori su cui grava. In sostanza la questione più urgente a parità di peso fiscale complessivo è di modificarne la destinazione attraverso non solo una spending review ma anche un’analisi dei settori da privilegiare e di cambiarne il peso sui settori della popolazione. Per quanto riguarda il secondo aspetto questo si lega anche alla necessità strategica di ottenere maggiore competitività attraverso una riduzione complessica del costo lordo del lavoro ( influenzato eccessivamente dagli oneri sociali e fiscali) e dando maggior fiato alle imprese. Ne consegue la necessità di: - operare in una diversa progressività delle aliquote IRPEF ( 45% oltre 75.000 euro,50% oltre150.000 euro,60% oltre 300.000 euro , 65% oltre 500.000 euro) - un aumento complessivo al 30% dell’aliquota sulla rendita finanziaria( ad eccezione dei titoli di stato) e sulle plusvalenze ed utili realizzati nelle operazioni finanziarie compresi i derivati - la possibilità di detrarre dalla propria dichiarazione dei redditi il 20% dei pagamenti sostenuti ( da discutere sui settori ed a partire da quale importo es. 10 euro) a fronte di idonea documentazione Tutti i maggiori incassi teoricamente prevedibili sulla base dei dati a disposizione dovrebbero essere utilizzati per la riduzione immediata della tassazione sui redditi dipendenti fino a 40.000 euro annui con la conseguente immediata riduzione del costo lordo del lavoro.Il blocco degli stipendi pubblici per ulteriori tre anni mi sembra inoltre inevitabile. Trovo invece di difficile applicazione la cosiddetta patrimoniale in parte già realizzata dall’IMU e con l’aumento dei bolli sui depositi titoli ecc.Si può operare migliorando e inasprendo ancora qualcosa rivedendo l’imposizione sui valori più elevati. Io la toglierei dal programma del PD in cambio delle proposte fiscali suesposte. Avevo fatto invece una proposta tanto tempo fa legandola alla sottoscrizione forzosa con vincolo quinquennale delle quote sociali di nuova entità azionaria dove dovrebbe essere conferito il patrimonio pubblico da dismettere. Il vantaggio dell’operazione sarebbe quello di dismettere il patrimonio a prezzo prefissato , avere i compratori e dare la possibilità agli stessi di non essere privati dei propri capitaliu ma di tenerli vincolati per cinque anni e poi assumersi il rischio del possibile deprezzamento del valore del titolo. Nel frattempo tuttavia la società potrebbe gestire al meglio gli immobili, affittarli o venderli ecc. Nel caso di mancanza di disponibilità liquide per i sottoscrittori gli stessi potrebbero ottenere un ffinanziamento dalla Cassa Depositi e Prestiti vincolando le quote da sottoscrivere. C’e molto da fare inoltre sulla riorganizzazione della spesa pubblica, la riforma dell’amministrazione e dello stato e la semplificazione burocratica. Va introdotta la gestione per obiettivi e un nuovo sistema premiante.Anche qui va rivisto il peso ed il contributo che i ceti più abbienti possono dare ad esempio per usufruire dei servizi scolastici e della sanità. ................................................................................................................................" Ho voluto inserire parte di questo intervento per cercare di dare un contributo rispetto al tema della imposta patrimoniale e della eventuale dismissioni del patrimonio pubblico come strumento per ridurre lo stock complessivo ed ottenere quindi una riduzione del costo finanziario . Sono invece d'accordo con una riforma fiscale che sposti il

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carico e consenta una riduzione immediata del costo lordo del lavoro e un conseguente recupero di competitività del nostro sistema Rovesciando il problema mi sembra che sia necessaria una maggiore destinazione della spesa pubblica a sostegno della crescita e non un aumento dell'imposizione ( salvo sulla rendita finanziaria. portarla al 30% esclusi i BOT mi sembrerebbe sacrosanto in questo periodo. teniamo presente che fino a poco tempo fa si pagava il 27% sugli interessi dei conti bancari.Non è giustificabile una imposizione sulla rendita minore di quella media esistente sui redditi di lavoro e d'impresa. Ricordiamoci ancora che l'imposizione secca è alternativa al cumulo con gli altri redditi per l'applicazione della relativa aliquota) Il ricavato della lotta alla evasione fiscale la maggiorazione della tassazione sulla rendita finanziaria, i risparmi relativi ai costi della politica ( compresa zione province ecc) l'utilizzo dei fondi strutturali europei, la continuazione del processo di spending review devono poi costituire le riserve per permettera una maggiore spesa pubblica destinata anche secondo le indicazioni della CGIL che potrebbero anche essere in larga parte condivisibili.. Alla luce di quanto esposto credo che le stesse domande poste da Fabio C. possano essere riviste. Se queste riflessioni sul possibile piano CGIL ma anche sul piano generale fossero condivise potremmo pensare ad un PD che se ne facesse interpetre sostenendo politiche attive di sviluppo e di crescita senza cadere in posizioni massimaliste.

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 15 Gennaio 2013 a 14:18 Permettetemi di aggiungere che non provo alcuno scandalo a pensare che la CGIL con la sua manifestazione organizzata a febbraio possa avere l'ambizione di condizionare fortemente le elezioni e la politica del PD. Se come credo sono fortemente convinti che in tal senso darebbero un importante contributo per il miglioramento della situazione italiana, anche operando una forma di supplenza nei confronti di un partito che mi sembra un po' dibattuto fra l'immagine antica del "cunctator" e quella di "sor tentenna", non troverei da fare nessuna critica. Mi sembra invece più opportuno utilizzare queste sollecitazioni per sottoporre ad un esame critico le nostre convinzioni nella speranza di migliorarle e riproporle in modo ancora più solido. Questo per quanto riguarda la situazione interna italiana in cui ribadisco assolutamente che non condivido l'ipotesi di uscita dall'euro con svalutazioni competitive ,possibile politica monetaria espansiva e possibili ulteriori forti tensioni inflazionistiche.Tutto ciò penalizzerebbe le categorie di lavoratori , pensionati e ceto medio non in grado di rivalutare i propri redditi ed alla fine non ci costringerebbe a percorrere la strada virtuosa dellla modernizzazione di questo paese. Diverso è sperare in una politica europea maggiormente attenta ad una crescita comune anche con l'utilizzo condiviso di una maggiore leva finanziaria

Risposto da adriano succi su 15 Gennaio 2013 a 14:19 Chi ha mai parlato di scandalo? E' semmai una questione di opportunità, o se si vuole, di opportunismo. Ovvero quella cosa che fa la differenza tra chi ha capito l' Italia e chi no. Giuseppe Picciolo ha detto: A proposito. Confindustria che cos'è? Non è una organizzazione di categoria analoga ad un sindacato di lavoratori? Suscita scandalo che Confindustria abbia un programma ecconomico e lo sottoponga all'attenzione delle forze politiche? Suscita scandalo che importanti esponenti di confindustria, come Bombassei, siano candidati in una lista di una coalizione? Suscita scandalo che un altro importante esponente di Confindustria organizzi un movimento politico i cui membri sono candidati alle elezioni mentre il loro capo, in quanto beneficiario di una concessione governativa (ferrovie) si trova in evidente conflitto di interessi? O la lingua batte solo dove il dente duole? (la CGIL)

Risposto da giorgio varaldo su 15 Gennaio 2013 a 14:35

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che i sindacati autonomi abbiano potuto nascere e crescere nel nostro paese lo si deve anche all'insipienza dei sindacati TUTTI ed all'ignavia dei politici che in ben 67 anni non hanno trovato il tempo per adempiere a quanto prevede l'art 40 della costituzione e di dar attuazione al quarto capoverso dell'art 39. ed è in questa terra di nessuno senza regole che si è potuta dare attuazione alla peggior specie di corporativismo sbandierata per sindacalismo. dal punto di vista dei rapporti fra politica e sindacato è logico che quest'ultimo abbia una visione sociale inquadrata in una determinata area politica ma senza dimenticare che la mission fra partiti politici e sindacati è diversa. con questo me ne guardo bene dal dire che il sindacato - preferibilmente unitario - non debba avere una propria posizione riguardo ai problemi della società ma questa visione deve essere essenzialmente orientata all'economia e non alla politica. come ho già detto il problema italiano viene amplificato dalla mancanza di unità sindacale senza la quale la visione politica dei singoli sindacati ha il sopravvento rispetto a quella economica. sul discorso del rapporto fra gli iscritti CGIL ed elettori PD puoi seguire due strade: la prima è che il PD sia super partes quindi possa rappresentare la casa anche per gli iscritti ad altri sindacati la seconda è che il PD si consideri la casa della sola CGIL quindi chi è iscritto ad altri sindacati è invitato a prendersi i su' ciotoli e cercar altri lidi ..scelta possibile che darebbe l'addio ad ogni speranza di vittoria. se il PD fosse questo il prossimo passo sarebbe di esser la casa solo per i tifosi del bologna ... Giuseppe Picciolo ha detto: A Giorgio V Cosa sia un sindacato corporativo l'ho imparato in 30 anni e passa di contrapposizione (io della CISL insieeme a CGIl e UIL) al sindacato autonomo della scuola alloora chiamato SNALS. la diffeenza sostanziale consisteva nel fatto che noi sapevamo di essere anche il sindacato degli utenti della scuola rappresentati dalle rispettive categorie nell'ambito delle confederazioni e di dover tenere conto degli interessi generali. Questo ci portava ad occuparci di politica scolastica vista dal lato dei cittadini e della poltica di interesse generale e non soltanto di rivendicazioni di parte. Per questo venivamo accusati di essere politicizzati. Lo SNALS ricorreva regolarmente al blocco degli scrutini come forma di lotta , noi non l'abbiamo mai fatto perché avremmo danneggiato soltanto gli alunni e le loro famiglie.Famiglie che nelle scuole dove ho insegnato erano per lo più famiglie di operai. Il nostro sindacato (il sindacato italiano non soltanto la CGIL) è naturalmente anche figlio della nostra storia. e nel nostro paese la sinistra è nata con il sindacato: I partiti della sinistra sono nati dal sindacato. E il sindacato era nato ad imitazione e sulla scia delle Società Operaie di mutuo soccorso e con queste arriviamo alla sinistra mazziniana e garibaldina. Anche Don Sturzo prima di fondare il Partito Popolare organizzava lavoratori in Sicilia in cooperative che assomigliavano a sindacati. E il sindacato cattolico ha un ruolo di primo piano nella nascita della politica sociale dei cattolici. Ma oggi la spiegazione è più semplice: la stragrande maggioranza degli iscritti alla CGIL e simpatizzanti sono elettori del PD e del CS. E sono elettori molto più fedeli e sicuri di tanti commentatori di cose del PD nei forum. Se volete rinunciare anche a questi per rincorrere i fantomatici moderati accomodatevi.

Risposto da Fabio Colasanti su 15 Gennaio 2013 a 14:43 per Giuseppe A., tu metti molta carne al fuoco: tasse, spesa pubblica, interventi sull stock di debito. Per quanto riguarda la tassazione, mi sembra tu dica: - no ad un aumento della pressione fiscale complessiva; - aumento della pressione fiscale su interessi e dividendi; - aumento della progressività dell'IRPEF; - rafforzamento della lotta contro l'evasione fiscale studiando la possibilità di detrazioni che creino un incentivo a dichiarare le spese (ed i redditi creati attrabverso queste spese); - utilizzo del maggior gettito derivante dagli inasprimenti appena citati e dalla lotta contro l'evasione per abbassare le aliquote sui redditi più bassi; - no all'introduzione di un'imposta patrimoniale; - maggiore partecipazione degli alti redditi al costo di alcuni servizi sociali (pagamenti dipendenti dal reddito).

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Sollevi anche la necessità di spostare il peso della tassazione dal lavoro verso altre basi (consumo, IVA "sociale"?). Dal lato della spesa pubblica: - chiedi che sia riorientata verso spese che sostengono di più la crescita; - in particolare, suggerisci di mantenere il blocco del livello degli stipendi pubblici per altri tre anni (aggiungo io che questo avrebbe anche un effetto indiretto sull'andamento dei salari privati con effetti positivi sulla competitività del paese). Trovo queste proposte - se le ho interpretate correttamente - molto ragionevoli e condivisibili. Ma siamo molto lontano dalle proposte della CGIL. Una domanda a te e agli altri. Se qualcuno chiedesse quali sono le proposte del PD per l'economia e la fiscalità, che documenti gli si possono dare? Non ci si può limitare a citare questa o quella intervista data da Tizio o da Caio. Conosci un documento utilizzabile ?

Risposto da giorgio varaldo su 15 Gennaio 2013 a 14:47 sul rapporto fra CGIL e PD ho già scritto nella risposta a giuseppe picciolo quindi non sto a ripetermi. contesto nel modo più assoluto il giudizio negativo su bonanni che è frutto della visione -per me distorta - del rapporto fra sindacato e politica. il sindacato deve fare gli interessi dei lavoratori a prescindere da chi sta al governo non si può non fare un buon accordo se al governo non c'è la sinistra e contemporaneamente non si possono accettare obbrobri se questi vengono da un governo di sinistra. vedi la legge treu accettata senza far un secondo di sciopero anche da CGIL se la firma anzichè treu-prodi fosse stata sacconi-berlusconi il paese si sarebbe fermato. per quanto riguarda le posizioni della CGIL basterebbe solo sottoporre i vari accordi sia nazionali che locali al voto dei lavoratori ...e poi come dice il quarto capoverso dell'art 39 della costituzione accettarne i risultati. ma non mi pare che CGIL sia disposta ad accettare questo sistema .. forse perchè è realmente democratico o perchè sarebbe regolarmente perdente? Salvatore Venuleo ha detto: Interessanti, informati, ma non persuasivi alcuni argomenti di Giorgio. Alla fine mi sento diviso fra i suoi argomenti e quelli di Giuseppe P. Mi limito a dire poche cose, da militante da sempre della Cgil (militante senza mai molta convinzione). Tutto il sindacato italiano ha una tradizione culturale avversa al corporativismo, anche se nei fatti talvolta contraddetta. La CGIL ha parte delle responsabilità nell'interruzione del cammino unitario fra le confederazioni. Trovo però assolutamente sbagliato e ingiusto accusare la CGIL di collateralismo politico, tacendo sugli altri sindacati. Le inflluenze fra Pd e CGIl sono reciproche. Anzi forse è la CGIL a condizionare il partito più che viceversa. In compenso CISL e UIL e soprattutto la prima, nella infelice stagione di Bonanni, si sono caratterizzate per uno sfacciato collateralismo ai peggiori governi del Paese (quelli berlusconiani). Nessuna vera contestazione, solo ammuina, nella soddisfazione troppo evidente di sedere a un tavolo e di isolare la CGIl, il sindacato meno coivolgibile in disegni altrui. Riguardo la piattaforma sul lavoro della CGIL, la trovo ricca e largamente condivisibile. E trovo anche che il livello della elaborazione culturale degli uffici studi della CGIL sia di livello non paragonabile a quello dei sindacati che si accodavano a Sacconi nell'usare l'assassinio di Biagi come volgare ricatto contro chi osasse criticare aspetti del Libro Bianco e soprattutto l'interpretazione normativa che ne dette il governo Berlusconi.

Risposto da Fabio Colasanti su 15 Gennaio 2013 a 14:47 Giuseppe, ma difatti io non ho mai contestato la "legittimità" della CGIL a fare proposte. Sono furioso per l'irresponsabilità politica che stanno dimostrando ancora una volta. Fanno parte a pieno titolo di quella categoria di persone che preferiscono perdere le elezioni pur di rimanere puri e duri. Giuseppe Picciolo ha detto:

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Io non sono intervenuto sulla bontà o meno del programma economico della CGIL ma sulla legittimità per un sindacato confederale di proporre alle forze politiche un suo programma economico. Così come non giudico la bontà o meno di un programma di Cinfindustria. Quindi, se tu rispondessi nel merito di quello che scrivo, cosa che non fai quasi mai te lo dico amichevolemente, vedresti che non c'è nessuna differenza. Sulla legittimità di farlo.

Risposto da giorgio varaldo su 15 Gennaio 2013 a 14:52 ok aperto a tutti ma super partes e rispettoso delle posizioni di tutti o allineato alle posizioni CGIL? Giuseppe Picciolo ha detto: Il PD ha più volte dichiarato di essere aperto a tutti i sindacati, ovvero a tutti i lavoratori. Se le posizioni della CGIL sono meno accomodanti di quelle della CISL e della UIL è evidente che risaltano maggiormente nel dibattito sui temi del alvoro e dell'economia. Per forza appaiono sbiaditi i sindacati che ritengono che il loro compito sia solo quello di firmare e di accontentarsi della parola data da parte della controparte.

Risposto da giorgio varaldo su 15 Gennaio 2013 a 15:00 come fautore di un governo PD-centro nel quale il programma economico sia quello previsto da monti non posso che plaudire all'iniziativa CGIL la quale otterrà lo scopo di far diminuire ulteriormente il consenso PD (ieri mannheimer lo dava al 30%), se fossi invece un fan di bersani mi incazzerei a bestia. Giuseppe Ardizzone ha detto: Permettetemi di aggiungere che non provo alcuno scandalo a pensare che la CGIL con la sua manifestazione organizzata a febbraio possa avere l'ambizione di condizionare fortemente le elezioni e la politica del PD. Se come credo sono fortemente convinti che in tal senso darebbero un importante contributo per il miglioramento della situazione italiana, anche operando una forma di supplenza nei confronti di un partito che mi sembra un po' dibattuto fra l'immagine antica del "cunctator" e quella di "sor tentenna", non troverei da fare nessuna critica. Mi sembra invece più opportuno utilizzare queste sollecitazioni per sottoporre ad un esame critico le nostre convinzioni nella speranza di migliorarle e riproporle in modo ancora più solido. Questo per quanto riguarda la situazione interna italiana in cui ribadisco assolutamente che non condivido l'ipotesi di uscita dall'euro con svalutazioni competitive ,possibile politica monetaria espansiva e possibili ulteriori forti tensioni inflazionistiche.Tutto ciò penalizzerebbe le categorie di lavoratori , pensionati e ceto medio non in grado di rivalutare i propri redditi ed alla fine non ci costringerebbe a percorrere la strada virtuosa dellla modernizzazione di questo paese. Diverso è sperare in una politica europea maggiormente attenta ad una crescita comune anche con l'utilizzo condiviso di una maggiore leva finanziaria

Risposto da Fabio Colasanti su 15 Gennaio 2013 a 15:03 Giuseppe, proprio perché gli elettori non sono sofisticati trovo l'azione della CGIL assolutamente irresponsabile. Siamo in una situazione dove non c'è un programma del PD e quindi la destra andrà a nozze citando l'aumento della pressione fiscale di tre punti di PIL proposto dalla CGIL. Facciamo una scommessa su quanto spesso la cifra dei "40 miliardi di tasse in più proposti dalla CGIL" sarà citata negli spot e nelle interviste della destra (e attribuita genericamente alla sinistra)? Vuoi vedere che le Tv di Berlusconi cercheranno di invitare Landini e la Camusso alle loro trasmissioni? Così come nel passato avevano Bertinotti come ospite graditissimo. Giuseppe Picciolo ha detto:

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ma io nel primo intervento non rispondevo a te. Ho letto il tuo post ma non ho risposto. Rispondevo alla domanda se un sindacato deve proporre un suo programma economico nel corso di una campagna elettorale. Farà schifo come tu dici ma anche in questo caso (opportunità elettorale) mi permetto di ricordare che gli elettori comuni (non esperti in economia) non fanno e non sono in grado di fare i tuoi ragionamenti. Infatti una parte consistente degli elettori crede alle balle di Berlusconi e della Lega che sono più devastanti di quelle che potrebbe raccontare la CGIL in 10 campagne elettorali.

Risposto da adriano succi su 15 Gennaio 2013 a 15:08 L' unico dubbio che non ho è che, se l' Italia non esce dalla stagnazione, noi Pensionati (tutto sommato) benestanti, ce la possiamo cavare, per chi viene dopo la vedo MOLTO dura (i miei figli hanno già preso l'aereo per andare dove si parla meno di diritti, ma si firmano più contratti di lavoro). Detto ciò, l' avversione nei confronti di CGIL, e Sinistre varie, non è perché ideologicamente debbano per forza avere torto, ma perché, di fatto, sono fra i tappi che impediscono al Paese intero di uscire da questa situazione. C'è ben altro? Certo. C'è la delinquenza organizzata, la corruzione, le inefficienze, la malapolitica, ecc ecc, però, secondo me, di quella malapolitica fa parte anche chi, pur con le migliori intenzioni schiaccia, di fatto, il freno ad un possibile sviluppo. PS Mia moglie, molto più a sinistra di me, è stata per tanti anni, con incarichi importanti, al personale di importanti aziende. Mi ha sempre raccontato dei danni fatti dai sindacati più estremisti nel voler difendere l' indifendibile e, di fatto, scoraggiando investimenti che l' Azienda sarebbe stata disposta a fare. Giuseppe Picciolo ha detto: Naturalmente non hai alcun dubbio su chi l'ha capita (tu evidentemente) e chi no. Io invece sono illuminista. Credo di averla capita ma nello stesso tempo ne dubito fortemente. Per esempio, caro amico, io osservo che qualsiasi siciliano vede come il fumo negli occhi la Lega. Eppure poi votano in massa per una coalizione che comprende la Lega. Questa volta la coalizione include una lista che si chiama Fratelli d'Italia e una lista (la Lega) che disprezza i fratelli d'italia e che l'Italia la vorrebbe rompere. Eppure gli elettori dell'una voteranno anche per l'altra. Il Casini che demonizza Vendola e che vive soprattutto di voti clientelari meridionali non ha avuto problemi ad allearsi fino a pochi anni fa (e ha continuato fino ad oggi a livello locale) con la stessa Lega oltre che con i fascisti dichiarati. Monti non ha avuto difficoltà ad accogliere ex berlusconiani di ferro e parenti di Casini. Osservo in sostanza che solo noi abbiamo paura di essere contaminati da Vendola e dalla CGIL. adriano succi ha detto: Chi ha mai parlato di scandalo? E' semmai una questione di opportunità, o se si vuole, di opportunismo. Ovvero quella cosa che fa la differenza tra chi ha capito l' Italia e chi no.

Risposto da Fabio Colasanti su 15 Gennaio 2013 a 15:44 Giuseppe, non riesco a seguire la logica della tua difesa d'ufficio di questa azione irresponsabile della CGIL. Non bisogna essere dei grandi specialisti per capire che l'annuncio di un aumento delle tasse per quaranta miliardi all'anno spingerà tutti gli incerti e gli indecisi a votare in massa per il PD. Che senso ha dire che se la destra sparerà contro questa idea assurda sarebbe "perché siamo noi per primi ad indicare il male" ? Che senso ricordare che anche gli altri sparano fesserie? Abbiamo perso le elezioni nonostante le fesserie dette da Borghezio, Calderoli e co. Non considero affatto che la CGIL appoggi il PD. Forse sarebbe meglio che la CGIL dicesse ufficialmente che sostiene Ingroia o Vendola, sarebbe più facile smarcarsi dalle sue posizioni e dire che valgono come le sparate di Borghezio e Calderoli. Qualunque obiettivo sociale la CGIL si dia, di fatto la sua azione e le sue proposte vanno nel senso della continuazione del declino del paese che va avanti da quasi venti anni. Per me, la CGIL è oggettivamente una forza conservatrice, una forza che vuole ritornare ad un mondo scomparso e che non ritornerà più.

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Giuseppe Picciolo ha detto: Esattamente. Accadrà esattamente quello che tu dici. Ma proprio perché siamo noi per primi a indicare il male. E non sappiamo incorporarlo in una proposta complessiva che sia il bene. Ho cercato di spiegarlo in un'altra risposta. Loro riescono a mettere insieme le cose più disparate e discordanti, cose odiose per alcuni e cose odiose per altri, ogni sorta di populismo facendo apparire il tutto come qualcosa di positivo per tutti. Noi siamo pronti a dialniarci per i prossimi 20 anni per una frase di Vendola. Ma hai memoria di quante stronzate hanno detto I Borghezio, Calderoli, Bossi, Santanché, Brunetta, Tremonti e chi più ne ha più ne metta. Abbiamo elevato Maroni a campione dell'antimafia e ci preoccupiamo di Ingroia. Ma si può essere più ,, lasciamo perdere. Abbiamo la fortuna di avere l'appoggio di almeno un sindacato e non siamo capaci di trovare una linea comune perchè dobbiamo beatificare Monti che dal punto di vista elettorale non ci può portare nessun voto ma solo toglierceli a suo vantaggio e farcene perdere a vantaggio dell'altra sinistra, di Grillo e dello stesso Berlusconi.

Risposto da giorgio varaldo su 15 Gennaio 2013 a 15:48 scusa sarò sodo come le pine verdi ma non ho capito : chi è iscritto alla CISL o alla UIL dovrebbe accettare un PD allineato alle posizioni CGIL? Giuseppe Picciolo ha detto: Ti ho risposto. Non può non fare i conti con posizioni che esistono. Specialmente quando quelle posizioni rispondono, magari male se vuoi, ad un sentire molto diffuso tra gli elettori in generale e tra gli elettori di CS in particolare. Sentire che Berluscono ha analizzato scientificamente mentre tra di noi c'è ancora chi immagina masse di squattrinati, precari e disoccupati innamorati di Monti e della Fornero. giorgio varaldo ha detto: ok aperto a tutti ma super partes e rispettoso delle posizioni di tutti o allineato alle posizioni CGIL? Giuseppe Picciolo ha detto: Il PD ha più volte dichiarato di essere aperto a tutti i sindacati, ovvero a tutti i lavoratori. Se le posizioni della CGIL sono meno accomodanti di quelle della CISL e della UIL è evidente che risaltano maggiormente nel dibattito sui temi del alvoro e dell'economia. Per forza appaiono sbiaditi i sindacati che ritengono che il loro compito sia solo quello di firmare e di accontentarsi della parola data da parte della controparte.

Risposto da giorgio varaldo su 15 Gennaio 2013 a 18:27 mentre siamo d'accordo riguardo alla paternità dei maggiori disastri economici degli ultimi 15 anni ho qualche dubbio che la partecipazione del responsabile economico PD a manifestazioni di protesta indette dalla sola CGIL possa significare equidistanza PD rispetto alle posizioni di CISL ed UIL. Giuseppe Picciolo ha detto: Che sia allineato lo dici tu. Non è che bisogna allinearsi a quello che dici e pensi tu. La CGIL fa la sua proposta. Dite che questa fa schifo (io non lo so e non sono in grado di giudicarlo; aspetto di poter confrontare il giudizio di Fabio con quello di altri esperti). Quindi dite che danneggerà elettoralmente il PD. Perché? Perché pensate che il PD sia allineato alla CGIL. Lo pensate e lo dite anche pubblicamente per criticare CGIL e PD insieme. Ma se lo dite voi rafforzate in tutti questa convinzione. Ora le porcherie anche in economia in questi ultimi 10 o 20 anni le ha fatte il centrodestrra, le ha fatte Berlusconi. Anche la pressione fiscale è aumentata con Belrlusconi. Il debito pubblico è aumentato con Berlusconi. L'unico bene che riconoscete alla politica economica di questi anni è l'ingresso nell'Euro, merito di un CS che comprendeva anche Bertinotti, Vendola e tutti gli altri pericolosi comunisti e perfino pecoraro Scanio. Il programma del 75 percento della Lega sarebbe altrettanto devastante perché ovviamente si dovrebbe applicare a tutte le regioni; il programma di Berlusconi è semplicemente da film di fantascienza con scene horror ma gli elettori li votano lo stesso. Come mai?

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Risposto da adriano succi su 15 Gennaio 2013 a 18:40 La situazione italiana è migliore dove, con sano pragmatismo, i Cittadini di quel territorio, hanno imparato a gestire la realtà. In Emilia il tessuto sociale produttivo è dato da migliaia di piccole Aziende spesso a conduzione famigliare. Di solito là i Sindacati non c'entrano. Magari sono presenti nelle medie e nelle poche grandi Aziende dove però, anche li, il senso della realtà prevale sull' ideologia. Hai presente Peppone e Don Camillo che si combattevano a parole, ma poi perseguivano il bene comune? Giuseppe Picciolo ha detto: Infatti la situazione italiana è peggiore dove la sinistra è più forte, come in Sicilia, Calabria,..... Mentre è migliore dove la sinistra quasi non esiste come in Emilia, Toscana.... adriano succi ha detto: L' unico dubbio che non ho è che, se l' Italia non esce dalla stagnazione, noi Pensionati (tutto sommato) benestanti, ce la possiamo cavare, per chi viene dopo la vedo MOLTO dura (i miei figli hanno già preso l'aereo per andare dove si parla meno di diritti, ma si firmano più contratti di lavoro). Detto ciò, l' avversione nei confronti di CGIL, e Sinistre varie, non è perché ideologicamente debbano per forza avere torto, ma perché, di fatto, sono fra i tappi che impediscono al Paese intero di uscire da questa situazione. C'è ben altro? Certo. C'è la delinquenza organizzata, la corruzione, le inefficienze, la malapolitica, ecc ecc, però, secondo me, di quella malapolitica fa parte anche chi, pur con le migliori intenzioni schiaccia, di fatto, il freno ad un possibile sviluppo. PS Mia moglie, molto più a sinistra di me, è stata per tanti anni, con incarichi importanti, al personale di importanti aziende. Mi ha sempre raccontato dei danni fatti dai sindacati più estremisti nel voler difendere l' indifendibile e, di fatto, scoraggiando investimenti che l' Azienda sarebbe stata disposta a fare.

Risposto da Fabio Colasanti su 15 Gennaio 2013 a 18:44 Giuseppe, abbiamo discusso a lungo della strategia dei partiti di sinistra o centro sinistra nelle democrazie parlamentari. Una grossa maggioranza dei partecipanti al circolo pensa che sia importante vincere le elezioni e fare almeno "qualcosa di sinistra" una volta che si è al governo piuttosto che prendere posizioni estreme, perdere le elezioni e poi piangerci addosso durante i governi di destra. Tu hai sempre rifiutato questa posizione. Pensi che "moderare" (già la parola ti fa paura) le proprie posizioni sia un peccato mortale e tanto vale rimanere per sempre all'opposizione, puri e duri e senza nessuna influenza sulla realtà. Devo dire che la tua posizione mi sembra più da lista Ingroia che da PD. Certamente non sei in sintonia con le poszioni di Bersani, io sono molto più vicino di te alle posizioni di Bersani e della maggioranza del PD. Ora ci troviamo di fronte alla CGIL che ha preso una posizione come la tua, ma con molta cattiveria in più: un mese prima delle elezioni annuncia un programma di rilancio dell'economia che comporta un aumento delle tasse di 40 miliardi all'anno. La destra non sa chi ringraziare, è bello ricevere regali di questo tipo. Sei libero di prendere la difesa della CGIL. Io - ex iscritto CGIL in tempi quando era un sindacato più responsabile - sono furioso di fronte a un gesto che non può essere che un gesto calcolato: forse è un tentativo di affondare, prima ancora delle elezioni, una possibile alleanza tra PD e centro. Ma l'unico effetto che avrà sarà quello di far perdere voti al PD (il 2006 è troppo lontano nel tempo). Fossi Bersani, cercherei di distanziarmi visibilmente da questa banda di irresponsabili. Non so se potrà farlo. Ma francamente non ho nessuna voglia di entrare nei dettagli delle proposte fatte da gente così irresponsabile. O mi si

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dimostra che l'annuncio dei 40 miliardi di tasse in più all'anno era un errore, non esite, la CGIL non propone aumenti di tasse, o smetto di discutere delle fesserie che dice la CGIL. Giuseppe Picciolo ha detto: Mozione d'ordine I programmi dei partiti politici e dei sindacati non sono soggetti a copyright anzi è gradita la massima diffusione. Perché non lo leggiamo tutti insieme e poi lo critichiamo? Fino a questo momento ho potuto leggere solo le critiche ma non ho chiaro a che cosa. In Rete ho trovato solo il programma per il congresso del 2010.

Risposto da Fabio Colasanti su 15 Gennaio 2013 a 19:05 Sembra ci stiano ancora lavorando, il documento sarà annunciato dalla Camusso in una grossa conferenza a Roma il 25 e 26 gennaio e ovviamente non vogliono che sia conosciuto prima dell'annuncio ufficiale. Il link che ho messo nell'introduzione alla discussione ne da però un'anteprima abbastanza dettagliata. Il documento sarà chiamato "Piano per il lavoro" come il documento del 1949 di De Vittorio. Perché fare questa conferenza il 25/26 gennaio e non l' 8/9 marzo ? Ovviamente, per influenzare la campagna elettorale, per obbligare Bersani a dire cose che piacciono alla CGIL, e chi se ne frega se poi non si vincono le elezioni. O forse pensano che il vantaggio nei sondaggi del PD sia tale che le elezioni saranno sicuramente vinte e che quindi non si corrono rischi a fare già oggi giochi per influenzare le future alleanze di governo. Bersani e Vendola saranno alla manifestazione. Sarà interessante sentire cosa diranno. Giuseppe Picciolo ha detto: Documento IGMetal Invece il programma della CGIL di cui si parla in questa discussione non l'ho trovato.

Risposto da Fabio Colasanti su 15 Gennaio 2013 a 19:08 Giuseppe, avevo già riportato nell'introduzione della discussione ampi stralci dell'articolo che mostrano chiaramente che i 40 miliardi non sono previsti venire dalle lotta all'evasione fiscale. Giuseppe Picciolo ha detto: Accontentiamoci del Corriere della Sera la Cgil propone una forte riforma del sistema fiscale capace di portare nelle casse dello Stato «almeno 40 miliardi di euro annui» in più di ora, attraverso una patrimoniale sulle grandi ricchezze, un aumento dell’imposizione sulle transazioni finanziarie, l’introduzione di tasse ambientali («chi inquina paga»), un «piano strutturale di lotta all’evasione fiscale, contributiva e al sommerso» che impiega oggi circa 3 milioni di lavoratori." patrimoniale sulle grandi ricchezze: è una novità? Mai sentito parlare? Lo propone solo la CGIL? aumento dell’imposizione sulle transazioni finanziarie: è una novità? Mai sentito parlare? Lo propone solo la CGIL? E' cosa cattiva? Si o No? l’introduzione di tasse ambientali («chi inquina paga»); è una novità? Mai sentito parlare? Lo propone solo la CGIL? E' cosa cattiva? Si o No? un «piano strutturale di lotta all’evasione fiscale, contributiva e al sommerso»:: è una novità? Mai sentito parlare? Lo propone solo la CGIL? E' cosa cattiva? Si o No? E 40 miliardi dovrebbero venire anche solo dall'ultimo punto se si fa sul serio. Una cosa che sicuramente non mi giunge nuova è il pregiudizio nei confronti della CGIL.

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 15 Gennaio 2013 a 19:11

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No fino a quando forze come la CGIL ,Ingroia , Landini , Vendola ed altri rappresenteranno una parte importante della sinistra è altrettanto importante discutere e comprendere le loro posizioni; ma, avere anche, se si è in grado, la capacità di "egemonia" proponendo soluzioni ed analisi diverse.. Questo è un vecchio concetto leninista ormai andato in disuso come tante vecchie cose ma sempre a mio avviso " lucido". E' questo aspetto che non trovo nel PD dilaniato fra posizioni non sue. Subordinato culturalmente ed idealmente a scelte di altri al punto da perdere per strada pezzi importanti ed innovativi della propria cultura.Non ho mai creduto nelle scorciatoie e ancora oggi penso che non siano possibili. Mentre sono d'accordo a piegarmi ad ogni forma di collaborazione e compromesso che consenta il progresso del nostro paese, non sono disposto a cedere un millimetro rispetto a possibili scelte che possono condurci fuori strada.Allora sforziamorci di comprendere le ragioni degli altri anche di chi è al nostro opposto e cerchiamo di distinguere al loro interno quello che è dettato dalla difesa corporativa ed egoistica del proprio interesse da quello che rappresenta una ricerca in buona fede del miglioramento. E' a quella gente che dobbiamo rivolgerci sia essa di destra di centro o di sinistra se vogliamo insieme modificare il nostro paese e trovare uno sbocco positivo alla situazione in cui ci troviamo. Ben volentieri aspetterò pertanto di leggere il documento della CGIL per capirne le ragioni , le note positive e quelle negative. Politicamente tuttavia le cose sono diverse se assumo il punto di vista del leader di un partito che i sondaggi danno al 30% e si propone al governo del paese. In questo caso vorrei conoscere , anzi già conosco il documento dellaCGIL perchè forse anche qualcuno del mio partito vi ha partecipato e pertanto ho già qualche idea al riguardo.D'altra parte forse ho già qualche idea anche sul mercato del lavoro e la riforma Ichino se l'ho lasciato andare via e non ricandido neanche il sen. Nerozzi.E cosa fanno nel frattempo Letta, Morando, Veltroni, Gentiloni ecc ecc. Organizzano convegni? e cosa dicono ? Cosa sta succedendo nel mio partito? Che fine hanno fatto le posizioni di Renzi all'interno dell'appoggio alla campagna elettorale del partito? Che vuol dire essere un grande partito in cui sono possibili diverse posizioni? Non va bene! Io non ho ancora capito dove andiamo a parare anzi forse lo sospetto se insieme alla proposta CGIL ci mettiamo la richiesta dell'applicazione della " golden rule" espressa da D'Alema, Bersani, Fassina ecc. ecc. Allora se tutto questo è vero non capisco perchè non imbarchiamo nella coalizione Ingroia & Co. Ha forse ho capito! E' perchè siamo furbi!?! Così la gente non capisce niente e ci vota e..... poi ci mettiamo d'accordo e facciamo una grande coalizione da Fini a Ingroia.......... Ragionare così è per me perseguire le " scorciatoie" Pensare che esistano e rimanere sorpresi quando non si trovano:

Risposto da Fabio Colasanti su 15 Gennaio 2013 a 19:25 Giuseppe, pensa però che Ganpaolo Galli non sarà venuto al PD per applicare le politiche economiche di Fassina e della CGIL e che il Corriere della Sera dice che il ministro delle finanze del prossimo governo Bersani dovrebbe essere Fabrizio Saccomanni (se vera, è un'ottima scelta). Ma quale è il vero PD ? Giuseppe Ardizzone ha detto: ( ... ) Politicamente tuttavia le cose sono diverse se assumo il punto di vista del leader di un partito che i sondaggi danno al 30% e si propone al governo del paese. In questo caso vorrei conoscere , anzi già conosco il documento dellaCGIL perchè forse anche qualcuno del mio partito vi ha partecipato e pertanto ho già qualche idea al riguardo.D'altra parte forse ho già qualche idea anche sul mercato del lavoro e la riforma Ichino se l'ho lasciato andare via e non ricandido neanche il sen. Nerozzi.E cosa fanno nel frattempo Letta, Morando, Veltroni, Gentiloni ecc ecc. Organizzano convegni? e cosa dicono ? Cosa sta succedendo nel mio partito? Che fine hanno fatto le posizioni di Renzi all'interno dell'appoggio alla campagna elettorale del partito? Che vuol dire essere un grande partito in cui sono possibili diverse posizioni? Non va bene! Io non ho ancora capito dove andiamo a parare anzi forse lo sospetto se insieme alla proposta CGIL ci mettiamo la richiesta dell'applicazione della " golden rule" espressa da D'Alema, Bersani, Fassina ecc. ecc. Allora se tutto questo è vero non capisco perchè non imbarchiamo nella coalizione Ingroia & Co.

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Ha forse ho capito! E' perchè siamo furbi!?! Così la gente non capisce niente e ci vota e..... poi ci mettiamo d'accordo e facciamo una grande coalizione da Fini a Ingroia.......... Ragionare così è per me perseguire le " scorciatoie" Pensare che esistano e rimanere sorpresi quando non si trovano:

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 15 Gennaio 2013 a 20:18 ritengo utile postare il link di un articolo di analisi sulle possibili problematiche tecniche della sola proposta di patrimoniale di Bersani sui grandi patrimoni( figuriamoci altre) superiori a 1,5 milioni di euro http://www.lavoce.info/la-patrimoniale-di-bersani/ E' per motivi analoghi che avevo proposto l'imposta patrimoniale legata alla dismissione del patrimonio pubblico e con la possibilità che il contribuente potesse utilizzare un finanziamento della CDP.( la tassa per avere senso nella situazione italiana ha bisogno di essere legata ad un'aliquota elevata e diventa troppo alta)

Risposto da Fabio Colasanti su 15 Gennaio 2013 a 20:28 Giuseppe, va bene la difesa d'ufficio, ma come fai a negare l'evidenza del fatto che una proposta della CGIL - con il PD che dice tante cose diverse e che non ha un suo documento ufficiale - sarà inevitabilmente percepita come rivelatrice della vera volonta dei "comunisti" ! Che la CGIL non sarà al governo non centra nulla. Giuseppe Picciolo ha detto: Al governo non ci sarà la CGIL.La CGIL esprime i suoi desideri. Farli venire dalla lotta alla evasione fiscale e contrributiva dipende da chi governerà; e considerate le dimensioni dell'evasione sarebbe doveroso farlo. Non solo, manca la corruzione nella sintesi del programma apparsa sul Corriere. La corruzione comporta anche evasione fiscale ma combatterla è anche risparmiare sulla spesa pubblica e recuperare risorse. Ma gli altri tre punti ti sembrano così sovversivi? Sono solo proposte della CGIL? E solo di sinistra? Non mi pare proprio. Ribadisco: l'evasione fiscale è in parte non trascurabile legata alla corruzione e alla criminalità organizzata. Combattendo la crminalità organizzata e la corruzione si combatte anche l'evasione ma è vero anche il contrario. Ma corruzione e criminalità organizzata oltre al danno diretto rendono il sistema pià inefficiente, soffocano sul nascere tante iniziative possibili. Quindi i vantaggi della lotta all'evasione fiscale e contributiva andrebbero ben oltre le somme che si riuscirebbe a recuperare. Senza contare i vantaggi in fatto di recupoero di civiltà che anche questi avranno un ritorno in termini di migliore qualità del sistema produttivo e quindi di maggiore resa economica e di crescit. E detto tra noi, mi fido molto più della CGIL che degli amici di Casini. Anche da questo punto di vista.

Risposto da giorgio varaldo su 15 Gennaio 2013 a 21:34 e ci mancherebbe altro che fassina partecipasse ad una manifestazione CGIL contro la CISL . giuseppe picciolo come elettore e privato cittadino può liberamente dare giudizi in favore o contro una sigla sindacale ma non un fassina che nel PD ricopre un incarico istituzionale. ovvio che ci sono manifestazioni e manifestazioni nessun problema se fassina interviene al congresso CGIL dove troverà anche i segretari delle altre sigle sindacali ben diverso è fassina che interviene ad una manifestazione di protesta fatta da UNA sola sigla sindacale per giunta in aperto contrasto con le altre. Giuseppe Picciolo ha detto: Era una manifestazione contro la CISL e la UIL? Se CISL e UIL dicono sempre di si e firmano senza neanche leggere quello che c'è scritto non si può essere né distanti né vicini. Praticamente è come se non esistessero. però ultimamente ho visto Bonanni molto vicino anche fisicamente ad un nuovo soggetto politico. Niente di male, io non sono per la separazione delle carriere. Io no

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Risposto da Arturo Hermann su 15 Gennaio 2013 a 22:41 E' l'agenda con la quale i Democratici Americani hanno impostato e vinto la campagna elettorale: ossia con un un programma chiaro, e nettamente alternativo ai conservatori, fin dall'inizio. http://www.repubblica.it/economia/2013/01/02/news/accordo_fiscal_cl...

Risposto da Fabio Colasanti su 15 Gennaio 2013 a 23:21 Mi è piaciuto Bersani a Ballarò. Sulle tasse è stato realista, senza sacrificare principi fondamentali a) Ha affermato che al netto delle pensioni e degli interessi sul debito pubblico, la spesa pubblica italiana non è poi così alta rispetto a quella di altri paesi. Controllerò, ma la cosa mi sembra verosimile (più esattamente Bersani ha detto che la spesa pubblica italiana, al netto di questi due elementi, sarebbe la più bassa in Europa; questo mi sembra esagerato). Questa affermazione è importante e serve a riportare con i piedi per terra chi pensa che il problema dei tagli alla spesa pubblica si risolve solo ndo sprechi e corruzione. b) Ha detto che la diminuzione auspicabile delle tasse non può compromettere il funzionamento dei servizi pubblici essenziali. Giustissimo. c) E' stato giustamente prudente per il breve termine indicando che per l'anno in corso e forse anche per il prossimo non ci sono grandi spazi per riduzioni di tasse. d) Ha chiaramente fatto capire che il PD cercherà una maggiore equità riducendo l'IMU sulle piccole case e aumentando la tassazione sui grandi patrimoni immobiliari (a partire da un milione e mezzo circa di "valore catastale", non "valore di mercato e ricordando che qualsiasi sogli si definisca serve una gradualità (probabilmente più soglie o fasce). e) Ha detto di essere contrario ad ogni misura di gestione del debito pubblico che faccia pensare ad una situazione di emergenza. Continuando sulla via attuale è possibile ridurre gradualmente il debito pubblico senza misure straordinarie. Nell'insieme ha preso una posizione che è distante anni-luce dal Piano del Lavoro della CGIL (se le anticipazioni del CdS sono corrette).

Risposto da Alessandro Bellotti su 16 Gennaio 2013 a 9:33 Prima di parlare di aumento di imposizione fiscale (aliquote, rendite finanziarie etc..) occorrerebbe sbirciare oltre i confini italiani. Occorre infatti essere fermi nel dire che lo stato italiano incassa dalle tasse già troppo e comunque incassa pro-capite una cifra spropositata se paragonata ai servizi che garantisce ai cittadini. Quindi occorre affermare con forza che non si può tollerare nessun aumento di tasse in qualsiasi forma se prima non si è ottimizzata la spesa. Occorre anche affermare, sempre con la massima chiarezza, che ogni euro di recupero dall'evasione fiscale, deve essere usato per abbassare l'imposizione fiscale in tutte le sue forme (imposte dirette, indirette, sui patrimoni, sulla casa etcc.).

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Visto il titolo della discussione, le considerazioni di cui sopra devo essere la base per ogni serio programma di rilancio del paese. Lo stato italiano, in tasse, incassa pro-capite anche troppo (lo dicono i numeri). La lotta all'evasione fiscale deve servire unicamente allo sviluppo (inteso anche come diminuzione del debito) e a ri-equilibrare il carico fiscale e non ad aumentare il prelievo.

Risposto da Fabio Colasanti su 16 Gennaio 2013 a 11:04 Alessandro, io sono abbastanza d'accordo. Ma chi lo dice alla CGIL ? Alessandro Bellotti ha detto: Prima di parlare di aumento di imposizione fiscale (aliquote, rendite finanziarie etc..) occorrerebbe sbirciare oltre i confini italiani. Occorre infatti essere fermi nel dire che lo stato italiano incassa dalle tasse già troppo e comunque incassa pro-capite una cifra spropositata se paragonata ai servizi che garantisce ai cittadini. Quindi occorre affermare con forza che non si può tollerare nessun aumento di tasse in qualsiasi forma se prima non si è ottimizzata la spesa. Occorre anche affermare, sempre con la massima chiarezza, che ogni euro di recupero dall'evasione fiscale, deve essere usato per abbassare l'imposizione fiscale in tutte le sue forme (imposte dirette, indirette, sui patrimoni, sulla casa etcc.). Visto il titolo della discussione, le considerazioni di cui sopra devo essere la base per ogni serio programma di rilancio del paese. Lo stato italiano, in tasse, incassa pro-capite anche troppo (lo dicono i numeri). La lotta all'evasione fiscale deve servire unicamente allo sviluppo (inteso anche come diminuzione del debito) e a ri-equilibrare il carico fiscale e non ad aumentare il prelievo.

Risposto da Salvatore Venuleo su 16 Gennaio 2013 a 12:06 Se dal discorso di Alessandro ci limitiamo a condividere questo "Occorre.... dire che lo stato italiano .................incassa pro-capite una cifra spropositata se paragonata ai servizi che garantisce ai cittadini", io sono d'accordo e immagino lo sia anche la Cgil.Francamente, mi interessa poco che la pressione fiscale salga o scenda. Va bene al 90% o al 10%. Voglio solo sapere cosa ne ho in cambio e capire cosa è meglio consumare insieme (consumi pubblici) e cosa privatamente. Il resto è mitologia, ideologia (nel senso deteriore di pensiero stanco e non verificato), senso comune avvelenato. Fabio COLASANTI ha detto: Alessandro, io sono abbastanza d'accordo. Ma chi lo dice alla CGIL ? Alessandro Bellotti ha detto: Prima di parlare di aumento di imposizione fiscale (aliquote, rendite finanziarie etc..) occorrerebbe sbirciare oltre i confini italiani. Occorre infatti essere fermi nel dire che lo stato italiano incassa dalle tasse già troppo e comunque incassa pro-capite una cifra spropositata se paragonata ai servizi che garantisce ai cittadini. Quindi occorre affermare con forza che non si può tollerare nessun aumento di tasse in qualsiasi forma se prima non si è ottimizzata la spesa. Occorre anche affermare, sempre con la massima chiarezza, che ogni euro di recupero dall'evasione fiscale, deve essere usato per abbassare l'imposizione fiscale in tutte le sue forme (imposte dirette, indirette, sui patrimoni, sulla casa etcc.). Visto il titolo della discussione, le considerazioni di cui sopra devo essere la base per ogni serio programma di rilancio del paese.

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Lo stato italiano, in tasse, incassa pro-capite anche troppo (lo dicono i numeri). La lotta all'evasione fiscale deve servire unicamente allo sviluppo (inteso anche come diminuzione del debito) e a ri-equilibrare il carico fiscale e non ad aumentare il prelievo.

Risposto da Alessandro Bellotti su 16 Gennaio 2013 a 12:11 Occorre parlar chiaro agli italiani, non alla CGIL. Mi sembra che su questo fronte solo il M5S abbia un messaggio chiaro e forte che comprende scelte diverse di spesa e soprattutto una differente priorità di spesa rispetto al resto dell'offerta politica italiana. Le cifre in ballo sono quelle che più volte ho riportato. Su questa base si può tranquillamente pensare a un piano per il rilancio del paese da attuarsi già dalla prossima legislatura. In 10 anni si può portare il paese in Europa. Alcuni tagli si possono fare subito. Altre spese si possono rimandare al prossimo decennio. Altre spese si possono programmare per risparmiare in futuro a fronte delle soliti disastri che interesseranno il territorio italiano. Non vedo nel PD la volontà di portare il paese in europa. Nemmeno a chiacchere. La CGIL, in Italia, è l'ultimo dei problemi. Un pò come lo è l'articolo 18 per il mercato del lavoro. Sembra che il dibattito politico (M5S escluso) sia improntato nelle promesse da mercante che tutti gli schieramenti fanno per prendere i voti degli indecisi. Di pifferai non ce ne è uno solo. Occorre confrontarsi sui soliti 5 o 6 temi, corredati dai numeri relativi. Le ricette proposte da tutto lo schieramento che parteciperà al voto (sempre escluso M5S) stanno convergendo su una serie di promesse da mercante (vedi la solfa dell'IMU e la recente sul redditometro) che nessuno potrà mantenere in quanto mancano proposte scritte e precise su spese francamente inutili che andremo ad affrontare nei prossimi 10 anni. I soldi ci sono e sono tanti. Vengono semplicemente buttati in avventure, costi e regalie che nulla hanno a che fare con la crescita e lo sviluppo del paese ma servono soltanto a ingrassare i soliti noti. Opere e acquisti inutili, dannosi per il territorio e dannatamente costosi ci aspettano senza che nemmeno la classe politica riveda i propri costi. Ultima (ma ovviamente non ultima) la grottesca situazione dell'Alitalia. Vedremo nell'ultimo quinquennio dell'attuale decennio i danni che provocherà l'EXPO 2015 all'economia italiana. il Commissario generale dell’EXPO Milano 2015 è Roberto Formigoni. Secondo voi come andrà a finire ?

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 17 Gennaio 2013 a 12:07 Vi invito a dare uno sguardo all'articolo della voce.info . se consideriamo i dati a disposizione sulla ricchezza delle famiglie se la patrimoniale ipotizzata da bersani venisse calcolata sui valori catastali rivalutati la tassazione raggiungerà comunque livelli elevati per recuperare i 2,5 milioni di euro necessari per sgravare dall'IMU le prime case. Consideriamo poi che comunque la tassa patrimoniale sarà aggiuntiva a quella già pagata per l'IMU e per chi sarà titolare di un patrimonio superiore a 1.000.000 di euro è facile prevedere un imposta complesiva che parte da almeno diecimila euro l'anno per assumere valori ben più alti in progressione.Considerando che la destinazione non migliora le entrate ma sostituisce l'imposizione mi sembra che il vantaggio cercato sia solo politico e non di rilevante natura economica, In sostanza investire 2,5MM di euro ottenuti con un certo risentimento di una parte della popolazione solo per aumentare il possibile livello di spesa di risparmio dei proprietari della prima casa non mi sembra particolarmente efficace.Preferirei con la stessa cifra finanziare l'zione del cuneo fiscale/contributivo di almeno 200.000 giovani nuovi assunti nelle imprese. Non capisco poi i conti della proposta della CGIL. Non credo che da una patrimoniale ordinaria si riescano ad ottenere più di 3 miliardi di euro l'anno mentre da un forte aumento dell'imposizione sulla rendita finanziaria se ne potrannno ottenere altri 2M.

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Personalmente al posto di Bersani e della CGIL preferirei finanziare con questa somma di 5Miliardi ,che non sono pochi un programma di sostegno all'occupazione degli under 35 a tempo indeterminato presso le aziende private ( ca 400.000nuovi assunti ) seppe Ardizzone ha detto: ritengo utile postare il link di un articolo di analisi sulle possibili problematiche tecniche della sola proposta di patrimoniale di Bersani sui grandi patrimoni( figuriamoci altre) superiori a 1,5 milioni di euro http://www.lavoce.info/la-patrimoniale-di-bersani/ E' per motivi analoghi che avevo proposto l'imposta patrimoniale legata alla dismissione del patrimonio pubblico e con la possibilità che il contribuente potesse utilizzare un finanziamento della CDP.( la tassa per avere senso nella situazione italiana ha bisogno di essere legata ad un'aliquota elevata e diventa troppo alta)

Risposto da Fabio Colasanti su 17 Gennaio 2013 a 13:39 Giuseppe, mille grazie per la segnalazione dell'articolo de La Voce. Questo è il tipo di verifiche che bisognerebbe fare sempre. Per questo insisto che si deve andare sempre più verso una politica basata su analisi dettagliate e rese pubbliche. In particolare, le proposte legislative devono sempre essere accompagnate da un documento di giustificazione dettagliata e di analisi degli impatti. Nel dibattito politico ci sono molte proposte - giustissime dal punto di vista dell'equità, dell'etica e della corretta gestione della cosa pubblica - alle quali però vengono affibbiati degli effetti di gettito fiscale addizionale o di riduzione della spesa pubblica assolutamente fuori della realtà. Le cifre mirabolanti che vengono proposte costituiscono una forma di populismo dello stesso tipo di quello di cui fa prova Berlusconi quando dice che il gettito dell'IMU potrebbe essere sostituito da un piccolo ritocco dell'imposizione su sigarette ed alcolici. Ricordo i casi più eclatanti. L'articolo della Voce ci dice che - dati i valori catastali attuali - per compensare l'zione dell'IMU per chi ha patrimoni immobiliari inferiori al mezzo milione di euro richiederebbe tassi "da esproprio" (sono le parole che usa La Voce) sulle famiglie con un patrimonio di più di un milione e mezzo. Mentre l'"impôt sur la fortune" francese è dello 0.5 per ento del valore catastale, da noi dovrebbe essere del 3.5 per cento più l'Imu attuale ! Ho paura che anche l'aumento della tassazione degli interessi e dei dividendi che proponi tu non possa dare i due miliardi di gettito di cui tu parli. Si tratterebbe di un aumento dell'aliquota di circa il 50% che sicuramente provocherebbe un massiccio spostamento del risparmio verso forme meno tassate (titoli di stato, libretti al risparmio, assicurazioni sulla vita), se non di fuga al'estero. Il taglio dei costi della politica - dai costi di Camera e Senato all'zionee completa delle provincie - è un imperativo morale, ma in termini di taglio di spesa darebbe qualche centinaio di milioni benvenuti, ma non cifre tali da cambiare le cose a livello macroeconomico. Il taglio degli "sprechi" è un'altro elemento su cui girano tante illusioni. Ci sono alcuni sprechi - consulenze, acquisti di mobili, convegni, viaggi, macchine blu, altre forniture, ecc - che darebbero origine a risparmi colpendo categorie esterne alla pubblica amministrazione che non potrebbero protestare più di tanto. Ma gli altri "sprechi" sono sempre tagli che implicheranno la messa in mobilità e il licenzionaamento di personale. Guarda quello che sta succedendo con la ncecessaria razionalizzzazione delle strutture sanitarie nel Lazio. Non si risolvono i preblemi delle finanze pubbliche italiane solo con i "tagli degli sprechi" (necessari anche se avessimo finanze pubbliche floride). Su di questo abbiamo già discusso a lungo con Alessandro Bellotti che ha, secondo me, delle idee poco realiste in materia. L'ultimo punto è la lotta all'evasione fiscale. Che l'evasione faccia perdere 60 o 120 miliardi lascia il tempo che trova. Queste cifre servono solo a ricordare che bisogna lottare contro l'evasione fiscale. Non dimentichiamo che questa esiste - anche se non nella misura italiana - in tutti i paesi. Quello che è importante è quanto si può incassare di più grazie alla lotta contro l'evasione fiscale. Qui le cifre non sono molto incoraggianti. Molto viene fatto, ma la GdF tende ad annunciare le cifre del reddito non denunciato che è stato identificato, ma tace su quento viene effettivamente recuperato che è solo una frazione infima. Oltre a tutto, le polemiche sul redditometro indicano che si sta arrivando ai limiti di quello che è politicamente tollerabile. Il fisco ha oggi accesso ai conti in banca, a mile altre

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informazioni, non è possibile arrivare all'assurdo - incluso nelle regole attuali sul redditometro - dello spostamento dell'onere della prova dallo stato ai cittadini!

Risposto da giorgio varaldo su 17 Gennaio 2013 a 14:47 ho seri dubbi che senza ulteriori modifiche alla legislazione del lavoro possa realizzarsi l'assunzione dei 400.000 giovani ipotizzata da giuseppe ardizzone con contratti a tempo indeterminato. ed in questo senso anche la riforma fornero non ha inciso sul punto dolente che è la possibilità di ricorso alla magistratura anche per casi non direttamente legati a fenomeni di discriminazione.. un conoscente titolare di una piccola azienda rilevava che sarebbe felicissimo del sistema tedesco di affrontare una tratttiva con il CdF con il quale poter raggiungere un accordo che ha valore per le parti. nel sistema italiano anche dopo la riforma fornero un accordo con i sindacati ha valore di carta straccia in quanto il dipendente licenziato - per motivi di riduzione del carico di lavoro - nonostante l'accordo sindacale può far ricorso alla magistratura per motivi di presunta discriminazione. ed anche se la magistratura dovesse dar ragione al datore di lavoro non essendo previsto il pagamento delle spese processuali a carico della parte soccombente rimane sempre un costo non indifferente. inutile dire che sta seriamente valutando di accettare la proposta della regione carinzia di delocalizzare oltre confine.

Risposto da Fabio Colasanti su 17 Gennaio 2013 a 16:23 che citano i "7 Kg di documenti per ampliare un capannone" ... Giuseppe Picciolo ha detto: Solo i conoscenti di Giorgio Varaldo parlano di licenziamenti e articolo 18. In Rete ci sono parecchi articoli con dichiarazioni di imprenditori in fuga verso la Carinzia. http://geograficamente.wordpress.com/2013/01/07/nordest-spaesato-gl...

Risposto da Fabio Colasanti su 17 Gennaio 2013 a 17:07 Giuseppe, non minimizzare le difficoltà dicendo che basta pagare qualcosa (e forse nemmeno tanto). Se nell'indice della Banca Mondiale sulla facilità di sviluppare attività economiche ("Doing business") l'Italia è all'87esimo posto, una ragione ci deve essere. Giuseppe Picciolo ha detto: In realtà i 7 Kg di documenti si trovano nello studio del commercialista. Se mai c'è da aggiungere che bisogna pagare il commercialista perchè si occupi anche dei 7 kg di documenti. Ma siamo più specializzati. Sotto casa mia, al piano di sotto, c'è una società di commercialisti e avvocati che fa da ufficio per alcune decine di piccole imprese e le pratiche relative le sbrigano loro. Spesso una piccola impresa ha la sede legale presso lo studio del commercialista. E' un costo in più, ma neanche, perchè risparmia non avendo un suo ufficio contabile e fiscale. Dimenticavo: al sesto piano c'è anche una società che si occupa di paghe e contributi.

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 17 Gennaio 2013 a 17:48 Caro Fabio,

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in realtà i 2 miliardi che ho calcolato sono molto possibili. Guardiamo il problema suddividendolo in pezzi diversi: 1) ripristino ed aumento dell'aliquota al 30% su interessi dei conti corrent i depositi bancari e postali ( perchè è possibile ? Primo perchè fino a poco tempo fa si pagava il 27% : Secondo perchè questa è l'unica categoria che paga un bollo fisso a prescindere dall'importo ) 2)aumento al 30% dell'aliquota applicata su dividendi titoli obbligazionari, plusvalenze ecc.potrei anche essere d'accordo a soprassedere sull'aumento anche se in linea di principio è corretto ( data la possibilità di evitare il cumulo con i propri redditi e pagare in cia ordinaria) L'elemento decisivo è tuttavia dato dal fatto che a partire dal gennaio 2013 il bollo da pagare sui depositi titoli ecc passa dallo 0,10% con un minimo di € 34,12 ed un massimo di € 1.200,00 applicato per tutto il 2012 a valori dello 0,15% con un minimo di € 34,12 e l'abolizione del massimo. Basta che qualcuno non ci metta mano per cambiare la situazione è facile pensare che considerando im 3.500 miliardi la ricchezza finanziaria delle famiglie italiane ( dati Banca d'Italia 2011) il gettito riveniente sia rilevante ( ca 5 miliardi ) e pessimisticamente ritengo che almeno due miliardi in più rispetto al 2012 siano possibili Fabio COLASANTI ha detto: "Ho paura che anche l'aumento della tassazione degli interessi e dei dividendi che proponi tu non possa dare i due miliardi di gettito di cui tu parli. Si tratterebbe di un aumento dell'aliquota di circa il 50% che sicuramente provocherebbe un massiccio spostamento del risparmio verso forme meno tassate (titoli di stato, libretti al risparmio, assicurazioni sulla vita), se non di fuga al'estero.

Risposto da Fabio Colasanti su 17 Gennaio 2013 a 17:53 Molto interessante, soprattutto per quello che dice sulle differenze regionali. Nell'insieme i dati confermano perfettamente le analisi che stimano ad un 20/25 per cento ( a seconda dell'indicatore utilizzato) la perdita di competitività dell'Italia rispetto al resto dell'eurozona tra l'inizio dell'unione monetaria ed oggi. Quello che è grave - e di cui si discute poco - è che mentre Irlanda, Grecia, Spagna e Portogallo hanno riguadagnato competitività dall'inizio delle loro crisi ad oggi (Irlanda e Grecia in maniera molto sensibile), la competitività italiana ha continuato a deteriorarsi.

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Giuseppe Picciolo ha detto: Competitività di costo ( ... )

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 17 Gennaio 2013 a 18:10 Hai perfettamente ragione Giorgio ! Sarebbe necessario intervenire con un'apposita legislazione . La mia comunque non era ancora una proposta ma la considerazione che non condividevo l'eventuale utilizzo delle risorse rivenienti dalla patrimoniale proposta da Bersani. In realtà la tanto decantata patrimoniale è stata già fatta dal Governo Monti incidendo sia sull'IMU che sul bollo dei depositi titoli. Tecnicamente era il modo migliore di operare. probabilmente bisognerebbe migliorarla operando sul modo in cui sono considerate le Fondazioni, Gli Immobili e le possibili risorse finanziarie in Italia degli istituti religiosi ecc. Mi sembra che ulteriori spazi ordinari per una patrimoniale ordinaria non ce ne siano, Sono invece sempre più convinto che se c'è una soluzione dovrebbe essere cercata in una partita di giro fra pubblico e privato finanziato dalla CDP abbattendo in modo straordinario lo stock del debito pubblico.( 400 miliardi) A quel punto il risparmio d'interessi importante che potrebbe realizzarsi insieme ai 2 miliardi che ritengo possano venire fuori da una migliore gestione della tassazione sulle rendite e capitali finanziari ed insieme ancora alla lotta all'evasione fiscale , alla spending review ed alla riduzione forte dei costi della politica potrebbero dare almeno una ventina di miliardi che io personalmente avrei proprosto di spendere in tre parti a) defiscalizzazione del cuneo fiscale per l'assunzione degli under 35 b) potenziamento del fondo di garanzia per le PMI ed il Fondo d'investimento Italiano con l'obiettivo di potenziare il finanziamento delle imprese e la loro ricapitalizzazione e individuazione di 10 grandi progetti d'investimento in project financing in sinergia fra stato, privati ( italiani ed esteri)e sistema finanziario. c) finanziamento ricerca ed innovazione con sinergia delle strutture pubbliche e private. Per l'abbattimento del costo del lavoro lordo insisterei invece con la proposta di redistribuzione del carico fiscale grazie alla progressività delle imposte sui redditi più elevati. giorgio varaldo ha detto: ho seri dubbi che senza ulteriori modifiche alla legislazione del lavoro possa realizzarsi l'assunzione dei 400.000 giovani ipotizzata da giuseppe ardizzone con contratti a tempo indeterminato.

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ed in questo senso anche la riforma fornero non ha inciso sul punto dolente che è la possibilità di ricorso alla magistratura anche per casi non direttamente legati a fenomeni di discriminazione.. un conoscente titolare di una piccola azienda rilevava che sarebbe felicissimo del sistema tedesco di affrontare una tratttiva con il CdF con il quale poter raggiungere un accordo che ha valore per le parti. nel sistema italiano anche dopo la riforma fornero un accordo con i sindacati ha valore di carta straccia in quanto il dipendente licenziato - per motivi di riduzione del carico di lavoro - nonostante l'accordo sindacale può far ricorso alla magistratura per motivi di presunta discriminazione. ed anche se la magistratura dovesse dar ragione al datore di lavoro non essendo previsto il pagamento delle spese processuali a carico della parte soccombente rimane sempre un costo non indifferente. inutile dire che sta seriamente valutando di accettare la proposta della regione carinzia di delocalizzare oltre confine.

Risposto da Fabio Colasanti su 17 Gennaio 2013 a 18:18 Giuseppe, le imposte sui "redditi da capitale" dipendono molto dall'andamento della congiuntura. Negli ultimi anni sono scese in picchiata. E tutto il gettito delle imposte su "rendite finanziarie" nel 2011 è arrivato a sei miliardi e mezzo. Pensi veramente che si possano trovare altri due miliardi ?

Giuseppe Ardizzone ha detto: Caro Fabio, in realtà i 2 miliardi che ho calcolato sono molto possibili. Guardiamo il problema suddividendolo in pezzi diversi:

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1) ripristino ed aumento dell'aliquota al 30% su interessi dei conti corrent i depositi bancari e postali ( perchè è possibile ? Primo perchè fino a poco tempo fa si pagava il 27% : Secondo perchè questa è l'unica categoria che paga un bollo fisso a prescindere dall'importo ) 2)aumento al 30% dell'aliquota applicata su dividendi titoli obbligazionari, plusvalenze ecc.potrei anche essere d'accordo a soprassedere sull'aumento anche se in linea di principio è corretto ( data la possibilità di evitare il cumulo con i propri redditi e pagare in cia ordinaria) L'elemento decisivo è tuttavia dato dal fatto che a partire dal gennaio 2013 il bollo da pagare sui depositi titoli ecc passa dallo 0,10% con un minimo di € 34,12 ed un massimo di € 1.200,00 applicato per tutto il 2012 a valori dello 0,15% con un minimo di € 34,12 e l'abolizione del massimo. Basta che qualcuno non ci metta mano per cambiare la situazione è facile pensare che considerando im 3.500 miliardi la ricchezza finanziaria delle famiglie italiane ( dati Banca d'Italia 2011) il gettito riveniente sia rilevante ( ca 5 miliardi ) e pessimisticamente ritengo che almeno due miliardi in più rispetto al 2012 siano possibili

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 17 Gennaio 2013 a 18:30 Fabio ti ripeto che rispetto al prospetto del 2011 vi è nel 2013 una variazione significativa data dall'abolizione del limite massimo dell'importo del bollo sui capitali amministrati ed individuati nei vari depositi tioli ,gestioni nominative ecc. Inoltre si provede ad un aumento dell'aliquota dallo 0,10% allo 0,15% . L'applicazione di un'aliquota senza massimo significa poter teoricamente calcolare lo 0,15% sull'intero importo delle richchezze finanziarie degl'italiani . valutate dalla Banca d'Italia in ca 3,500 milirdi di euro. Lo 0,15% vale pertanto 5,25 miliardi . Credo che una valutazione di possibile aumento complessivo tra questa misura, il ripristino del 27 /30% sulla ritenuta fiscale sugli interessi nei depositi bancari a ca 2Miliardi non sia inverosimile. Se hai informazioni più attendibili, fammi sapere. Fabio COLASANTI ha detto: Giuseppe, le imposte sui "redditi da capitale" dipendono molto dall'andamento della congiuntura. Negli ultimi anni sono scese in picchiata. E tutto il gettito delle imposte su "rendite finanziarie" nel 2011 è arrivato a sei miliardi e mezzo. pensi veramente che si possano trovare altri due miliardi ?

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Giuseppe Ardizzone ha detto: Caro Fabio, in realtà i 2 miliardi che ho calcolato sono molto possibili. Guardiamo il problema suddividendolo in pezzi diversi: 1) ripristino ed aumento dell'aliquota al 30% su interessi dei conti corrent i depositi bancari e postali ( perchè è possibile ? Primo perchè fino a poco tempo fa si pagava il 27% : Secondo perchè questa è l'unica categoria che paga un bollo fisso a prescindere dall'importo ) 2)aumento al 30% dell'aliquota applicata su dividendi titoli obbligazionari, plusvalenze ecc.potrei anche essere d'accordo a soprassedere sull'aumento anche se in linea di principio è corretto ( data la possibilità di evitare il cumulo con i propri redditi e pagare in cia ordinaria) L'elemento decisivo è tuttavia dato dal fatto che a partire dal gennaio 2013 il bollo da pagare sui depositi titoli ecc passa dallo 0,10% con un minimo di € 34,12 ed un massimo di € 1.200,00 applicato per tutto il 2012 a valori dello 0,15% con un minimo di € 34,12 e l'abolizione del massimo. Basta che qualcuno non ci metta mano per cambiare la situazione è facile pensare che considerando im 3.500 miliardi la ricchezza finanziaria delle famiglie italiane ( dati Banca d'Italia 2011) il gettito riveniente sia rilevante ( ca 5 miliardi ) e pessimisticamente ritengo che almeno due miliardi in più rispetto al 2012 siano possibili

Risposto da Fabio Colasanti su 17 Gennaio 2013 a 18:51 Giuseppe, due considerazioni. a) Per i disoccupati le considerazioni settoriali contano poco. Quello che conta è se il paese riprende a esportare, a produrre e creare posti di lavoro. Ogni paese deve cercare di farlo nei settori dove ha delle possibilità. Ma alla fine, non si sfugge al fatto che il costo del lavoro è una variabile molto importante. Le imprese nazionali non sono solo in concorrenza con le imprese degli altri paesi sui mercati mondiali, ma sono soprattutto in concorrenza sul mercato domestico. La "domanda" totale che le imprese italiane possono cercare di soddisfare è composta da circa 1500 miliardi di domanda interna e 500 miliardi di domanda mondiale (le nostre esportazioni attuali). Di questi circa duemila miliardi di domanda, le nostre imprese riescono ad intercettarne i tra quarti, perché circa cinquecento miliardi vengono soddisfatti da imprese straniere (le nostre importazioni). Questo per ricordare gli ordini di grandezza della domanda interna e del nostro mercato all'esportazione.

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b) Secondo. Una cosa che ho ricordato tante volte è che la crisi ha colpito tanti altri paesi in maniera molto, ma molto più dura che l'Italia. Gli altri paesi hanno subito aggiustamenti di tutti i redditi che in Italia non si immaginano nemmeno. Gli altri paesi hanno fatto riforme strutturali che in Italia sono inconcepibili. In Italia, troppe persone sembrano non capire come funziona un'economia. Ho già ricordato l'incidente diplomatico alla Commissione europea dell'ottobre scorso tra il rappresentante italiano che descriveva in termini lacrimosi la situazione italiana e l'esplosione del commissario lettone che gli ha chiesto se aveva una benché minima idea degli aggiustamenti molto, ma molto più forti che Lituania, Lettonia, Estonia, Ungheria, Slovacchia, Irlanda, Grecia, Portogallo e Spagna avevano fatto ? In Irlanda, Portogallo e Spagna i salari dei dipendenti pubblici sono stati tagliati di più del dieci per cento, quelli del settore privato ancora di più; in Grecia sappiamo tutti che aggiustmenti ci sono stati. L'indice dei salari relativi (all'eurozona) della Germania è oggi più basso del dieci per cento di quello che era nel 1999. In Italia i salari sono piatti da tantissimi anni (perché l'economia non cresce), ma non c'è stato nessun aggiustamento, nessuno sforzo per aumentare la produttività. In Italia non si toccano i salari e poi ci si torce le mani di fronte alle imprese che chiudono. In Germania nel 2009, in molte imprese i sindacati hanno accettato riduzioni temporanee dei salari anche del 30/40 per cento per mantenere l'occupazione. L'accordo sulla competitività firmato dai partner sociali in Francia la settimana scorsa e che Hollande traduce adesso in una legge serve proprio a permettere aggiustamenti di questo tipo anche in Francia. Giuseppe Picciolo ha detto: Ora non è più utile considerare il tutto alla luce delle differenze strutturali dell'apparato produttivo che esistono tra i diversi paesi? E considerare tutti i fattori che contano nell'economia nazionale? L'ISTAT fornisce tutte le informazioni necessarie. Il documento a schede si compone di circa 120 pagine. Lo sto sfogliando e ne ho trovate alcune interessanti che possono significare qualcosa. Per esempio: la Grecia ha guadagnato competitività. Ma quali sono i comparti che caratterizzano l'economia della Grecia? Forse in certi comparti è più facile che in altri, o no? Citazione: Per quanto riguarda l’Italia, la sua composizione settoriale è simile a quella della Germania, dalla quale, invece, si differenzia per la composizione dimensionale. In Germania prevale la grande impresa, come del resto in tutte le economie dell’Europa continentale. La Francia ha una composizione settoriale e dimensionale molto simile a quella media dell’Ue15 (l’unica differenza riguarda la minore percentuale di micro-imprese dei servizi). I Belgio, Paesi Bassi, Regno Unito e ’Irlanda sono i più terziarizzati. Nelle economie mediterranee, dove non prevale l’industria (come in Grecia), si impone la micro-impresa impegnata nei servizi tradizionali (commercio, turismo ecc.). La presenza dell’industria è più forte in Slovenia e nell’Est Europa, dove molto spesso si dirigono gli investimenti industriali dei paesi più sviluppati.

Risposto da giorgio varaldo su 17 Gennaio 2013 a 19:42 non avendo ADSL non sono in grado di reperire dati riguardanti la dimensione media delle aziende. la maggior difficoltà che impedisce di adottare il sistema tedesco non è la dimensione delle imprese bensì la mancanza di validità giuridica degli accordi sindacali di secondo livello se in contrasto con il CCNL. un accordo che preveda per una determinata azienda in crisi una riduzione del salario - come accaduto in germania - potrebbe esser impugnato da una parte dei lavoratori di fronte alla magistratura del lavoro rendendo quindi nullo l'accordo Giuseppe Picciolo ha detto: Ma non pensi che sia più facile fare accordi con grandi inprese che con una miriade di piccole imprese che operano anche in condizioni molto diverse una dall'altra? Citi il caso della Germania e anche a me piace quello che hanno fatto specialmente alla Volkswagen. ma come tradurre in italiano quello che è stato fatto in Germania?

Risposto da Fabio Colasanti su 17 Gennaio 2013 a 20:12 Giuseppe,

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non sono riuscito a trovare documenti sufficientemente dettagliati sulle entrate fiscali del 2013 e 2014. Se le cosa stanno come dici tu, i due miliardi di aumento del gettito sono però già nelle proiezioni, non sono due miliardi in più da utilizzare a piacimento (per esempio, per compensare un aggiustamento dell'IMU o per finanziare progetti particolari). Giuseppe Ardizzone ha detto: Fabio ti ripeto che rispetto al prospetto del 2011 vi è nel 2013 una variazione significativa data dall'abolizione del limite massimo dell'importo del bollo sui capitali amministrati ed individuati nei vari depositi tioli ,gestioni nominative ecc. Inoltre si provede ad un aumento dell'aliquota dallo 0,10% allo 0,15% . L'applicazione di un'aliquota senza massimo significa poter teoricamente calcolare lo 0,15% sull'intero importo delle richchezze finanziarie degl'italiani . valutate dalla Banca d'Italia in ca 3,500 milirdi di euro. Lo 0,15% vale pertanto 5,25 miliardi . Credo che una valutazione di possibile aumento complessivo tra questa misura, il ripristino del 27 /30% sulla ritenuta fiscale sugli interessi nei depositi bancari a ca 2Miliardi non sia inverosimile. Se hai informazioni più attendibili, fammi sapere.

Risposto da Fabio Colasanti su 17 Gennaio 2013 a 20:14 Giuseppe, la risposta semplice - forse semplicistica - è avendo sindacati come i sindacati tedeschi. Giuseppe Picciolo ha detto: Ma non pensi che sia più facile fare accordi con grandi inprese che con una miriade di piccole imprese che operano anche in condizioni molto diverse una dall'altra? Citi il caso della Germania e anche a me piace quello che hanno fatto specialmente alla Volkswagen. ma come tradurre in italiano quello che è stato fatto in Germania?

Risposto da Fabio Colasanti su 17 Gennaio 2013 a 20:36 Ritorno sul fatto che l'economia italiana sta reagendo alla crisi in maniera competamente diversa da come hanno reagito le altre economie. L'economia italiana ha "rifiutato" l'aggiustamento e rischia di pagarne il prezzo in termini di crescita. In altri termini, l'Italia continua ad avere il problema che l'ha condannata a quindici anni senza crescita. Il grafico qui di seguito mostra l'andamento dei salari nominali medi di tutta l'economia (compresi quindi anche i salari dei dipendenti pubblici) per Germania, Francia e Italia ed i quattro paesi che sono in difficoltà (Irlanda, Grecia, Spagna e Portogallo). I dati confermano quello che i dati di ieri già mostravano. Irlanda e Grecia hanno fatto un aggiustamento sostanziale. Spagna e Portogallo hanno anche fatto sforzi notevoli. In Italia i salari non sono mai diminuiti, sono aumentati costantemente ogni anno (anche se di poco). Tra il 1999 ed il 2012, i salari italiani sono aumentati più rapidamente di quelli tedeschi e, nonostante il rallentamento della crescita dei salari italiani nel 2013 e 2014, resteranno ancora più alti di quelli tedeschi per almeno altri due anni.

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Risposto da giorgio varaldo su 17 Gennaio 2013 a 21:48 il gusto di far la battuta non ti ha fatto rilevare il problema riguardante le mancate assunzioni in presenza di richieste di punta che prima della recente riforma potevano esser soddisfatte da assunzioni a tempo determinato.. la delocalizzazione è l'ultima spiaggia. Giuseppe Picciolo ha detto: Solo i conoscenti di Giorgio Varaldo parlano di licenziamenti e articolo 18. In Rete ci sono parecchi articoli con dichiarazioni di imprenditori in fuga verso la Carinzia. http://geograficamente.wordpress.com/2013/01/07/nordest-spaesato-gl...

Risposto da Fabio Colasanti su 18 Gennaio 2013 a 10:24 Nel Financial Times di oggi c'è un articolo di Lorenzo Bini Smaghi, l'ex membro italiano del direttorio della Banca Centrale Europea che mette il dito proprio sul problema che sto sollevando da qualche tempo: la perdita di competitività dell'economia italiana. Bini Smaghi è molto più duro di me. Secondo lui la perdita di competitività è il vero problema dell'economia italiana. La perdita di competitività dell'economia italiana dall'inizio dell'unione monetaria ad oggi (che lui indica in un quasi 30 per cento; io parlavo di 20/25 per cento) è ovviamente le causa principale della quasi assenza di crescita in Italia negli ultimi quindici anni. A sua volta la mancanza di crescita spiega le difficoltà delle finanze pubbliche e l'incapacità di ridurre il disavanzo e lo stock di debito nonostante il "tesoretto" provocato dalla riduzione degli interessi sul debito pubblico ottenuta grazie al passaggio all'euro. La perdita di competitività spiega come la bilancia dei pagamenti italiani sia passata da un avanzo all'inizio dell'unione monetaria (il tasso di cambio con il quale siamo entrati era competitivo) ad un disavanzo pari a circa il 4 per cento del PIL nel 2010. Bini Smaghi osserva che dall'inizio della crisi dell'eurozona il PIL italiano è sceso più di quello di Irlanda, Spagna e Portogallo (meno 7 per cento per l'Italia dal 2008, contro 5.5 per il Portogallo, 5 per l'Irlanda e 4 per la Spagna). In questi paesi i salari sono scesi, sicuramente in termini relativi e spesso in termini assoluti, e i paesi hanno potuto attutire l'effetto delle restrizioni di bilancio grazie ad una ripresa delle esportazioni (L'Irlanda, che ha fatto l'aggiustamento maggiore con tagli molto forte dei salari, ha già ripreso a crescere).

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Per Bini Smaghi, il problema è che i governi italiani non hanno la forza di opporsi a tanti gruppi corporativi che difendono presunti "diritti acquisiti". Per lui uno dei problemi è la practica della "concertazione" che si traduce in una ricerca estenuante - e impossibile - del consenso di tutti. Bini Smaghi ricorda che negli anni 70 e 80, questa pratica era aggirata dalle continue svalutazione che levavano di fatto ai sindacati quello che credevano di aver ottenuto al tavolo dei negoziati. Per comprare un marco tedesco servivano 250 negli settanta, ma 990 al momento del passaggio all'unione monetaria. Bini Smaghi riconosce che è difficile parlare di questo problema durante una campagna elettorale, ma che sarebbe necessario che i vari candidati mostrassero almeno di esserne al corrente.

Risposto da Salvatore Venuleo su 18 Gennaio 2013 a 12:27 Non dissento sulle proposizioni di Fabio e di Bini Smaghi. Aggiungo solo qualcosa per cui alla fine forse sostanzialmente dissento. Contenere la crescita nominale di stipendi e pensioni? Sì. Abbassare gli uni e le altre? Sì. Purché con equità ovvero con progressività. Purché le riduzioni riguardino anche dirigenti e manager. Purché riguardino loro in misura maggiore. Purchè l'austerità riguardi anche gli imprenditori. Notare che non sto dicendo le banche (le solite banche) e la finanza (la solita finanza). Sto dicendo:tutti. Conosco l'obiezione. Non si può. I manager hanno una forza di negoziazione diversa. E' il mercato, bellezza. Le prestazioni di Marchionne non hanno prezzo. Dai manager, dalle patrimoniali, etc. si otterrebbero economie irrilevanti. E poi come si fa a indurre gli imprenditori a rinunciare a parte dei profitti, a barche e ville? Però se non si fa questo, l'austerità che riguardi solo lavoratori e pensionati non sarà mai credibile. Si potrà realizzare solo col terrore. E con Monti. Non c'è soluzione. Tranne forse in una conversione etica-estetica dei privilegiati. Occorrerebbero molti Bill Gates e Buffet, capaci di spiegare il dovere dell'equità. Sarebbe parte di un programma di formazione degli imprenditori. Cosa di cui non si parla mai. Il lavoratore deve dimostrare continuamente di essere produttivo e aggiornato. E' giusto. L'imprenditore non deve dimostrare nulla. Lui è un "dato". Ho colto con interesse una attenzione alla formazione degli imprenditorio in una intervista a Riccardo Illy.In mezzo a cose meno condivisibili. Meglio che niente. N.B. Forse a questa morsa fra mercato e giustizia allude il post di Antonino giudicato, con qualche ragione poco chiaro da Fabio. E forse lo scambio dialettico fra Fabio e Giuseppe Picciolo a proposito di "sistema" , casualità e libertà c'entra pure un tantino. http://nuvola.corriere.it/2013/01/09/piu-posti-di-lavoro13-illy-ser...

Risposto da giorgio varaldo su 18 Gennaio 2013 a 15:25 gli imprenditori illuminati conoscono benissimo l'importanza della formazione continua a tutti i livelli nessuno escluso. poi ci sono pseudo imprenditori come beppe (detto il tonto) lucchini ed un impero crolla in pochi anni. Salvatore Venuleo ha detto: . Occorrerebbero molti Bill Gates e Buffet, capaci di spiegare il dovere dell'equità. Sarebbe parte di un programma di formazione degli imprenditori. Cosa di cui non si parla mai. Il lavoratore deve dimostrare continuamente di essere produttivo e aggiornato. E' giusto. L'imprenditore non deve dimostrare nulla. Lui è un "dato". Ho colto con interesse una attenzione alla formazione degli imprenditorio in una intervista a Riccardo Illy.In mezzo a cose meno condivisibili. Meglio che niente.

Risposto da Fabio Colasanti su 18 Gennaio 2013 a 23:21 La stampa comincia scoprire il problema della mancanza di competitività.

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http://www.corriere.it/economia/13_gennaio_18/il-passo-indietro-del... http://www.rainews24.rai.it/it/news.php?newsid=173894

Risposto da Fabio Colasanti su 21 Gennaio 2013 a 17:30 La stampa tedesca di oggi ha numerosi commenti tra il triste e l'arrabbiato sul mediocre risultato della Germania nella classifica che ogni due anni viene pubblicata da una certa "Fondazione per le imprese familiari". Lo studio esamina le condizioni per l'operato delle piccole imprese a conduzione familiare dal punto di vista di una serie di fattori abbastanza scontati: costo del lavoro, regolamentazione, produttività e capitale umano, accesso al finanziamento e qualità delle infrastrutture. La Germania ha confermato il modesto undicesimo posto (su 18 paesi esaminati) che aveva già due anni fa. Andate a scoprire il posto dell'Italia.

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Risposto da Giorgio Mauri su 22 Gennaio 2013 a 2:03 http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/bari/notizie/politica/201... È ACCUSATO DI AVER RICEVUTO 500MILA EURO DA ANGELUCCI Tangenti, chiesti 6 anni e mezzo per Fitto «C'è l'illecito finanziamento ai partiti» L'ex governatore Pdl della Puglia e capolista alla Camera «Sono allibito. Finora solo assoluzioni e proscioglimenti» - - - 60 miliardi l'anno il costo della corruzione in Italia. Eppure si sono visti sempre e si continuano a vedere "visini" puliti, pochissimi condannati. E si sente anche la destra (purtroppo anche Renzi) parlare di re il finanziamento ai partiti (che è di qualche milione) come se il problema fosse lì ! berlusconi, con leggi ad hoc, ha intascato cifre enormemente superiori a quelle del finanziamento :) ci credo che proponga di toglierlo, visto che i soldi, e quanti ne vuole, li prende governando il paese. Ecco, se in questa situazione sento accusare la CGIL mi assale la tristezza. Dobbiamo renderci conto che o si raddrizza la barca o si affonda ! Ma con gli Ingroia non ci si può alleare. Con Grillo tanto meno. E allora mi chiedo; ma che sinistra è quella che rifiuta di governare il paese con un 55%/60% qualora riuscisse a trovare accordi con le forze fresche del panorama politico italiano ? Eppure la destra ci ha rivogato una Lega indegna ! Ha sdoganato gli ex fascisti. Non capisco.

Risposto da Fabio Colasanti su 22 Gennaio 2013 a 6:55 Giorgio, non capisco la logica della tua osservazione. 1. Visto che in Italia c'è tanta corruzione, non bisognerebbe più criticare le ricette sbagliate di politica economica ? 2. Proprio nel momento in cui, nonostante un generosissimo finanziamento pubblico dei partiti, tu ci presenti un caso eclatante di finanziamento illecito (che si aggiunge a quello pubblico), tu ci dici che il finanziamento pubblico dovrebbe essere mantenuto ? Giorgio Mauri ha detto: http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/bari/notizie/politica/201... È ACCUSATO DI AVER RICEVUTO 500MILA EURO DA ANGELUCCI Tangenti, chiesti 6 anni e mezzo per Fitto «C'è l'illecito finanziamento ai partiti» L'ex governatore Pdl della Puglia e capolista alla Camera «Sono allibito. Finora solo assoluzioni e proscioglimenti» - - - 60 miliardi l'anno il costo della corruzione in Italia. Eppure si sono visti sempre e si continuano a vedere "visini" puliti, pochissimi condannati. E si sente anche la destra (purtroppo anche Renzi) parlare di re il finanziamento ai partiti (che è di qualche milione) come se il problema fosse lì ! berlusconi, con leggi ad hoc, ha intascato cifre enormemente superiori a quelle del finanziamento :) ci credo che proponga di toglierlo, visto che i soldi, e quanti ne vuole, li prende governando il paese. Ecco, se in questa situazione sento accusare la CGIL mi assale la tristezza. Dobbiamo renderci conto che o si raddrizza la barca o si affonda ! Ma con gli Ingroia non ci si può alleare. Con Grillo tanto meno. E allora mi chiedo; ma che sinistra è quella che rifiuta di governare il paese con un 55%/60% qualora riuscisse a trovare accordi con le forze fresche del panorama politico italiano ? Eppure la destra ci ha rivogato una Lega indegna ! Ha sdoganato gli ex fascisti. Non capisco.

Risposto da giorgio varaldo su 22 Gennaio 2013 a 8:22 la cugina tedesca ha spiegato il sistema di aiuti per il lavoro definito 850 euro.

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a chi rimane senza lavoro viene erogata dall'assistenza sociale (sozialamt) una somma di 850 euro a persona variabili in funzione del nucleo familiare con somme di circa 1000 euro per coniugi e maggiori in funzione dei figli. le famiglie sono seguite dagli assistenti sociali che intervengono per correggere eventuali situazioni particolari e citava il caso di famiglie in condizioni disagiate che erano state obbligate a cambiare casa per situazioni immobiliari meno esose. ogni persona che riceve tale somma deve esser sempre disponibile per lavori di pubblica utilità - esempio la spalatura della neve in caso di nevicate - ed in caso di richieste di lavoro da parte di privati. in questo caso si attiva il sistema dei "400 euro" con un lavoro part time retribuito da parte del datore di lavoro con tale somma per un determinato numero di ore settimanali e per il datore di lavoro è prevista l'esenzione dei contributi . in caso di carichi di lavoro superiori alle ore mensili previste è possibile aumentarle secondo le esigenze lavorative e queste ore vengono poi scalate nei mesi successivi. valgono inoltre i principi dell'assegno da parte del sozialamt ridotto a 450 euro e della sospensione dell'assegno in caso di rifiuto del lavoro. tale sistema consente a molte aziende di poter sopravvivere a momenti di temporanea difficoltà ed a chi rimane senza lavoro di non esser espulso dal mondo lavorativo. rispetto al nostro paese tale sistema sembra presentare un costo più elevato ma ad una attenta valutazione i numeri sembrano tornare in quanto nel sistema tedesco non sono previsti stanziamenti per le varie casse in deroga ed inoltre questi quattro milioni di lavoratori inducono nel sistema economico un aumento di PIL. rispetto ai sistemi suggeriti per il nostro paese in questo sistema non esiste lo stato come datore di lavoro di ultima istanza (con tutti i problemi relativi) e tutti i lavori generano un aumento di ricchezza. c'è da rilevare che il sistema tedesco presenta situazioni differenti rispetto a quello italiano quindi la situazione dovrebbe esser valutata attentamente.. sarebbe un lavoro che dovrebbe fare il fassina's crew...

Risposto da Roberto Zanre' su 22 Gennaio 2013 a 8:43 Conta anche la stabilità della posizione e il punteggio... Diciottesimi, ma che differenza nel punteggio... Fabio Colasanti ha detto: La stampa tedesca di oggi ha numerosi commenti tra il triste e l'arrabbiato sul mediocre risultato della Germania nella classifica che ogni due anni viene pubblicata da una certa "Fondazione per le imprese familiari". Lo studio esamina le condizioni per l'operato delle piccole imprese a conduzione familiare dal punto di vista di una serie di fattori abbastanza scontati: costo del lavoro, regolamentazione, produttività e capitale umano, accesso al finanziamento e qualità delle infrastrutture. La Germania ha confermato il modesto undicesimo posto (su 18 paesi esaminati) che aveva già due anni fa. Andate a scoprire il posto dell'Italia.

Risposto da Salvatore Venuleo su 22 Gennaio 2013 a 19:16 Mi appare un sistema ragionevole. Il lavoro socialmente utile non è così diverso da quello praticabile con lo Stato datore di lavoro di ultima istanza. Dici che tutti i lavori generano ricchezza. Certamente. Soprattutto i lavori socialmente utili (intesi letteralmente come "utili al prossimo"). E' buffo che non si consideri sprecato, inutile, nocivo il lavoro di 800.000 persone impiegate nei videogiochi privati e nelle scommesse e si parli così poco del fatturato di 80 miliardi di euro con larghisima evasione. giorgio varaldo ha detto: la cugina tedesca ha spiegato il sistema di aiuti per il lavoro definito 850 euro. a chi rimane senza lavoro viene erogata dall'assistenza sociale (sozialamt) una somma di 850 euro a persona variabili in funzione del nucleo familiare con somme di circa 1000 euro per coniugi e maggiori in funzione dei figli.

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le famiglie sono seguite dagli assistenti sociali che intervengono per correggere eventuali situazioni particolari e citava il caso di famiglie in condizioni disagiate che erano state obbligate a cambiare casa per situazioni immobiliari meno esose. ogni persona che riceve tale somma deve esser sempre disponibile per lavori di pubblica utilità - esempio la spalatura della neve in caso di nevicate - ed in caso di richieste di lavoro da parte di privati. in questo caso si attiva il sistema dei "400 euro" con un lavoro part time retribuito da parte del datore di lavoro con tale somma per un determinato numero di ore settimanali e per il datore di lavoro è prevista l'esenzione dei contributi . in caso di carichi di lavoro superiori alle ore mensili previste è possibile aumentarle secondo le esigenze lavorative e queste ore vengono poi scalate nei mesi successivi. valgono inoltre i principi dell'assegno da parte del sozialamt ridotto a 450 euro e della sospensione dell'assegno in caso di rifiuto del lavoro. tale sistema consente a molte aziende di poter sopravvivere a momenti di temporanea difficoltà ed a chi rimane senza lavoro di non esser espulso dal mondo lavorativo. rispetto al nostro paese tale sistema sembra presentare un costo più elevato ma ad una attenta valutazione i numeri sembrano tornare in quanto nel sistema tedesco non sono previsti stanziamenti per le varie casse in deroga ed inoltre questi quattro milioni di lavoratori inducono nel sistema economico un aumento di PIL. rispetto ai sistemi suggeriti per il nostro paese in questo sistema non esiste lo stato come datore di lavoro di ultima istanza (con tutti i problemi relativi) e tutti i lavori generano un aumento di ricchezza. c'è da rilevare che il sistema tedesco presenta situazioni differenti rispetto a quello italiano quindi la situazione dovrebbe esser valutata attentamente.. sarebbe un lavoro che dovrebbe fare il fassina's crew...

Risposto da Salvatore Venuleo su 22 Gennaio 2013 a 19:22 Intervista del brillante Fassina a Il manifesto. Su produttività e contenimento/riduzione dei salari linguaggio alquanto ambiguo (a mio avviso). http://www.rifarelitalia.it/2013/01/22/lavoro-la-proposta-pd-e-allo...

Risposto da giorgio varaldo su 22 Gennaio 2013 a 19:39 con tutto il rispetto e l'amicizia salvatore ma solo chi non ha mai avuto esperienze lavorative di fabbrica può giudicare brillante uno stefano fassina. meno male che giudichi "ambiguo" il linguaggio sulla produttività... vuol dire che almeno qualche sprazzo di luce la vedi. Salvatore Venuleo ha detto: Intervista del brillante Fassina a Il manifesto. Su produttività e contenimento/riduzione dei salari linguaggio alquanto ambiguo (a mio avviso). http://www.rifarelitalia.it/2013/01/22/lavoro-la-proposta-pd-e-allo...

Risposto da Salvatore Venuleo su 22 Gennaio 2013 a 20:03 Perchè Giorgio, solo Fassina fra i politici non ha esperienza di fabbrica? Ichino sì? Io non ho lavorato in fabbrica, ma fabbriche - ahimè - ne ho visitate parecchie (dico ahimé perché nel mio luogo di lavoro ero circondato dal peggio del peggio in termini di inquinamento). Comunque (mica per tenerti bu0no....) sto sempre più con Ichino cghe con Fassina. Ma grazie al cielo io non sono coerente. Mescolo ecologia, efficienza, socialismo, Ichino, Fassina.

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giorgio varaldo ha detto: con tutto il rispetto e l'amicizia salvatore ma solo chi non ha mai avuto esperienze lavorative di fabbrica può giudicare brillante uno stefano fassina. meno male che giudichi "ambiguo" il linguaggio sulla produttività... vuol dire che almeno qualche sprazzo di luce la vedi. Salvatore Venuleo ha detto: Intervista del brillante Fassina a Il manifesto. Su produttività e contenimento/riduzione dei salari linguaggio alquanto ambiguo (a mio avviso). http://www.rifarelitalia.it/2013/01/22/lavoro-la-proposta-pd-e-allo...

Risposto da Fabio Colasanti su 22 Gennaio 2013 a 20:03 Giorgio, Fassina riconosce che c'è un problema di competitività (come farebbe a dire il contrario). Ma dice che sarà risolto con gli investimenti innovativi. Purtroppo questo è populismo puro. Gli investimenti innovativi (decisi da chi? non certo dal governo) se fatti aumenterebbero il tasso di crescita della produttività. Ma basta guardare le serie storiche del tasso di crescita della produttività in Europa e in Italia: negli ultimi anni varia tra mezzo punto ed un punto. Ammesso anche che questi investimenti siano possibili, campa cavallo! No, purtroppo la posizione di Fassina - e nel nostro circolo di Giorgio M. - equivalgono a quelle di chi dice che i problemi di finanza pubblica si risolvono semplicemente con l'zione degli sprechi. Auguri ! Queste cose sono cose che la gente vuole sentirsi dire, ma non sono vere. E' pensabile che Germania, Irlanda, Spagna, Portogallo e Grecia non avrebbero potuto anche loro seguire la strada degli investimenti innovativi invece di tagliare i salari ? Perché hanno fatto quello che hanno fatto? Perché non c'erano alternative e non hanno avuto populisti che li hanno indotti in errore. giorgio varaldo ha detto: con tutto il rispetto e l'amicizia salvatore ma solo chi non ha mai avuto esperienze lavorative di fabbrica può giudicare brillante uno stefano fassina. meno male che giudichi "ambiguo" il linguaggio sulla produttività... vuol dire che almeno qualche sprazzo di luce la vedi. Salvatore Venuleo ha detto: Intervista del brillante Fassina a Il manifesto. Su produttività e contenimento/riduzione dei salari linguaggio alquanto ambiguo (a mio avviso). http://www.rifarelitalia.it/2013/01/22/lavoro-la-proposta-pd-e-allo...

Risposto da giorgio varaldo su 22 Gennaio 2013 a 20:56 ma neanche per sogno ! nel caso tedesco almeno 400 euro sono a carico del datore di lavoro privato mentre nel caso dello stato datore di lavoro anche questa somma è a carico della collettività. inoltre con l'impiego nel privato si ha quell'effetto moltiplicatore che nel caso specifico è ben superiore all'unità quindi si genera ricchezza ed il bilancio complessivo è positivo. ulteriore punto di importanza fondamentale è che l'impiego nel privato non richiede quelle indispensabili strutture operative e la capacità imprenditoriale da parte delle strutture pubbliche entrambe inesistenti. Salvatore Venuleo ha detto: Mi appare un sistema ragionevole. Il lavoro socialmente utile non è così diverso da quello praticabile con lo Stato datore di lavoro di ultima istanza. Dici che tutti i lavori generano ricchezza. Certamente. Soprattutto i lavori socialmente utili (intesi letteralmente come "utili al prossimo"). E' buffo che non si consideri sprecato, inutile, nocivo il

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lavoro di 800.000 persone impiegate nei videogiochi privati e nelle scommesse e si parli così poco del fatturato di 80 miliardi di euro con larghisima evasione.

Risposto da giorgio varaldo su 22 Gennaio 2013 a 21:10 infatti la maggioranza dei politici fassina compreso dice solenni castronerie. su questi temi è inconcepibile che con un colaninno - piaggio - in squadra il PD continui a far (stra)parlare fassina... per quanto riguarda l'esperienza di fabbrica un conto è vederla da fuori o con una visita guidata ben altro è viverla dall'interno e trovarsi ogni giorno alla prese con i problemi causati dalla punta di assenteismo dovuti all'apertura della caccia (parlo della toscana) o dalla mancanza di materiale dovuta a sciopero dei trasporti o perchè ti chiamano alle 3 di notte che si è sfondata una siviera e sta pisciando acciaio liquido perchè qualche imbecille non ha rispettato le pratiche operative ecc ecc... Salvatore Venuleo ha detto: Perchè Giorgio, solo Fassina fra i politici non ha esperienza di fabbrica? Ichino sì? Io non ho lavorato in fabbrica, ma fabbriche - ahimè - ne ho visitate parecchie (dico ahimé perché nel mio luogo di lavoro ero circondato dal peggio del peggio in termini di inquinamento). Comunque (mica per tenerti bu0no....) sto sempre più con Ichino cghe con Fassina. Ma grazie al cielo io non sono coerente. Mescolo ecologia, efficienza, socialismo, Ichino, Fassina.

Risposto da Salvatore Venuleo su 22 Gennaio 2013 a 22:00 A Ballarò Romiti ha appena detto che è una sciocchezza non impiegare i lavoratori in esubero in lavori socialmente utili. Anzi ha detto che la crescita deve essere in direzione di Ricostruire l'Italia (materialmente), con compiacimento della Camusso. giorgio varaldo ha detto: ma neanche per sogno ! nel caso tedesco almeno 400 euro sono a carico del datore di lavoro privato mentre nel caso dello stato datore di lavoro anche questa somma è a carico della collettività. inoltre con l'impiego nel privato si ha quell'effetto moltiplicatore che nel caso specifico è ben superiore all'unità quindi si genera ricchezza ed il bilancio complessivo è positivo. ulteriore punto di importanza fondamentale è che l'impiego nel privato non richiede quelle indispensabili strutture operative e la capacità imprenditoriale da parte delle strutture pubbliche entrambe inesistenti. Salvatore Venuleo ha detto: Mi appare un sistema ragionevole. Il lavoro socialmente utile non è così diverso da quello praticabile con lo Stato datore di lavoro di ultima istanza. Dici che tutti i lavori generano ricchezza. Certamente. Soprattutto i lavori socialmente utili (intesi letteralmente come "utili al prossimo"). E' buffo che non si consideri sprecato, inutile, nocivo il lavoro di 800.000 persone impiegate nei videogiochi privati e nelle scommesse e si parli così poco del fatturato di 80 miliardi di euro con larghisima evasione.

Risposto da Fabio Colasanti su 22 Gennaio 2013 a 22:16 Ecco, per Fassina e Giorgio M., i dati sulla produttività in Italia. Sono ancora peggiori di quello che immaginavo. Nel 2013, l'occupato italiano medio produrrà appena il 2.8 per cento di più di quello che produceva nel 1999. La media dell'eurozona è l'undici e mezzo per cento in più. Per la Francia il valore è più 9.6 per cento; per la Germania 10.4 per cento, per il Portogallo e la Grecia 12.5 circa; per la Spagna 16.5 e per l'Irlanda quasi il 35 per cento ! A partire quindi da aumenti dei salari procapite superiori al 2.8 per cento dal 1999, i costi unitari del lavoro in Italia dovevano aumentare (come sono effettivamente aumentati). Gli aumenti della produttività per Spagna e Irlanda sono stati ottenuti soprattutto riorganizzando la produzione e licenziando lavoratori. In Grecia invece la produttività

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è scesa perché la produzione è diminuita, ma i lavoratori non sono stati licenziati per le restrizioni che esistono in quel paese. Anche la Germania nel 2009 non ha licenziato e la misura statistica della produttività è scesa (ma le imprese hanno negoziato con i sindacati forti tagli dei salari). Di fronte a queste cifre e a questa realtà, Fassina ha il coraggio di parlare di risoluzione del problema con gli investimenti innovativi !

Risposto da giorgio varaldo su 22 Gennaio 2013 a 22:21 nel curriculum di romiti c'è la distruzione di FIAT . gli manca quella dell'italia. ci riuscirebbe Salvatore Venuleo ha detto: A Ballarò Romiti ha appena detto che è una sciocchezza non impiegare i lavoratori in esubero in lavori socialmente utili. Anzi ha detto che la crescita deve essere in direzione di Ricostruire l'Italia (materialmente), con compiacimento della Camusso. giorgio varaldo ha detto: ma neanche per sogno ! nel caso tedesco almeno 400 euro sono a carico del datore di lavoro privato mentre nel caso dello stato datore di lavoro anche questa somma è a carico della collettività. inoltre con l'impiego nel privato si ha quell'effetto moltiplicatore che nel caso specifico è ben superiore all'unità quindi si genera ricchezza ed il bilancio complessivo è positivo. ulteriore punto di importanza fondamentale è che l'impiego nel privato non richiede quelle indispensabili strutture operative e la capacità imprenditoriale da parte delle strutture pubbliche entrambe inesistenti. Salvatore Venuleo ha detto: Mi appare un sistema ragionevole. Il lavoro socialmente utile non è così diverso da quello praticabile con lo Stato datore di lavoro di ultima istanza. Dici che tutti i lavori generano ricchezza. Certamente. Soprattutto i lavori socialmente utili (intesi letteralmente come "utili al prossimo"). E' buffo che non si consideri sprecato, inutile, nocivo il lavoro di 800.000 persone impiegate nei videogiochi privati e nelle scommesse e si parli così poco del fatturato di 80 miliardi di euro con larghisima evasione.

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Risposto da Fabio Colasanti su 22 Gennaio 2013 a 22:24 Salvatore, Romiti ha detto come li avrebbe pagati ? Salvatore Venuleo ha detto: A Ballarò Romiti ha appena detto che è una sciocchezza non impiegare i lavoratori in esubero in lavori socialmente utili. Anzi ha detto che la crescita deve essere in direzione di Ricostruire l'Italia (materialmente), con compiacimento della Camusso.

Risposto da giorgio varaldo su 22 Gennaio 2013 a 22:26 come è possibile che a ballarò il PD sia assente?

Risposto da Salvatore Venuleo su 22 Gennaio 2013 a 23:38 Immagino che li pagherebbe come li pagherei io: con le famose paghette di padri e nonni e, ovviamente, incrementando un pochino ciò che i "diversamente inattivi" (disocupati, cassintegrati) già ricevono senza poter dare nulla in cambio. Se poi Romiti è salvatoriano fino in fondo (buona questa...)direbbe che quel pizzichino di miliardi per pagare lavori socialmente utili sarebbe presto restituito in forma di sicurezza del territorio, delle scuole, etc. etc. Scommetto che non convinco né te né Giorgio V. Fabio Colasanti ha detto: Salvatore, Romiti ha detto come li avrebbe pagati ? Salvatore Venuleo ha detto: A Ballarò Romiti ha appena detto che è una sciocchezza non impiegare i lavoratori in esubero in lavori socialmente utili. Anzi ha detto che la crescita deve essere in direzione di Ricostruire l'Italia (materialmente), con compiacimento della Camusso.

Risposto da Fabio Colasanti su 22 Gennaio 2013 a 23:48 Salvatore, abbiamo già discusso il punto, ma senza capirci. Ci sono tanti punti importantissimi che mostrano l'inapplicabilità della tua prposta. 1. Nessuno da ai nipotini - tranne forse Berlusconi e qualcuno come lui - paghette di un livello tale da poter finanziare il costo di questi lavoratori impiegati dallo stato. I finanziamenti necessari sono enorrmi. 2. Per poter utilizzare questi soldi - l'equivalente delle paghette- per pagare gli occupati dallo stato, tu devi "sequestrare" i soldi attraverso le tasse. A questo punto non dirotti più la "paghetta" verso un salario per un lavoratore, cosa che forse sarebbe accettabile. Aumenti la pressione fiscale "per dare ancora più soldi allo stato". 3. Lo stato sarebbe poi assolutamente incapace - garantito - di gestire il supercarrozzone che dovrebbe impiegare un milione (?) di persone. Che gli farebbe fare? Dove troverebbe lo stato le persone competenti per guidare questi lavoratori? Ma ti rendi conto che mettere su un'amministrazione capace di gestire - anche solo dal punto di vista amministrativo - un milione di persone avresti bisogno di almeno un paio di anni, se tutto va bene?

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I "lavori socialmente utili" sono possibili solo per qualche migliaio di persone (e se gestiti da piccoli o medi comuni del centro-nord). Salvatore Venuleo ha detto: Immagino che li pagherebbe come li pagherei io: con le famose paghette di padri e nonni e, ovviamente, incrementando un pochino ciò che i "diversamente inattivi" (disocupati, cassintegrati) già ricevono senza poter dare nulla in cambio. Se poi Romiti è salvatoriano fino in fondo (buona questa...)direbbe che quel pizzichino di miliardi per pagare lavori socialmente utili sarebbe presto restituito in forma di sicurezza del territorio, delle scuole, etc. etc. Scommetto che non convinco né te né Giorgio V.

Risposto da Fabio Colasanti su 23 Gennaio 2013 a 0:07 Salvatore, se io fossi in pericolo di vita, sarei ben contento di spendere 2000 euro per un'operazione che mi salva la vita. Potrei forse anche dire che i 2000 euro spesi per l'operazione mi hanno dato 100mila euro in termini di salute e felicità. Ma alla fine del mese avrei sempre 2000 euro in meno. Tutto quello che si spende per la sicurezza del territorio sono soldi spesi benissimo. Ci faranno anche risparmiare spese future. Ma sono sempre soldi spesi e che non ritornano più nelle casse dello stato; sono spesi e basta. Non ha senso dire che saranno "restituiti" sotto questa o quella forma. Salvatore Venuleo ha detto: ( ... ) Se poi Romiti è salvatoriano fino in fondo (buona questa...)direbbe che quel pizzichino di miliardi per pagare lavori socialmente utili sarebbe presto restituito in forma di sicurezza del territorio, delle scuole, etc. etc. ( ... )

Risposto da Antonino Andaloro su 23 Gennaio 2013 a 8:14 Caro Fabio, uno dei punti cruciali per tentare di abbassare le imposte(come diceva (romiti) non è per caso:ridurre le spese? Ti porto un esempio che calza benissimo.L'amministrazione comunale di Milazzo(Me), a maggioranza di cdx, un paio di anni fà decise di contrarre debiti importanti con le banche per la realizzazione di opere di urbanizzazione.Opere che in parte non erano necessarie e che fra l'altro per aver dato l'appalto ad una ditta in odore di mafia, una di queste che riguardava la realizzazione di una pista ciclabile sul lungomare di ponente, non è stata completata.Evidentemente, visto il dissesto dichiarato a gennaio 2013 dal comune di Milazzo, questo genere di debito è stato programmato con l'intento di spendere in maniera spropositata e molto di più di quanto consentiva lo stesso bilancio comunale. Ora ci lecchiamo tutti le ferite,siamo al dissesto,la colpa è della crescita?Non credo proprio, perchè è stato commesso il più grave degli errori nel momento in cui si permetteva ad una amministrazione senza scrupoli di creare il debito,sapendo che era impossibile saldarlo.

Risposto da Fabio Colasanti su 23 Gennaio 2013 a 9:11 Antonino, ci sono due problemi diversi.

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Il primo è il malcostume e la corruzione che regnano in tanti comuni (provincie, regioni e amministrazioni pubbliche), purtroppo molto più al sud che nel resto dell'Italia. Ma c'è da chiedersi cosa facciano i cittadini, le associazioni e i partiti per contrastarlo. Al momento è in corso un processo per la maniera come il comune di Reggio Calabria ha falsificato il bilancio del comune per tanti anni; avrebbero nascosto spese per l'equivalente di un anno di bilancio ! ! ! A Presa Diretta, domenica scorsa, un consigliere dell'opposizione (del PD) ha detto che per cinque anni il comune si è rifiutato di fornire ai consiglieri comunali il bilancio analitico del comune e il PD non ha quindi potuto fornire le prove della truffa che pensavano si stava sviluppando. E' una cosa scandalosa. La contabilita delle amministrazioni pubbliche deve sempre essere pubblica. Ma la mia domanda è un'altra. Cosa ha fatto il PD per questi cinque anni? Come è possibile che un comune delle dimensioni di Reggio Calabria rifiuti di rendere pubblica la documentazione sul bilancio del comune per cinque anni senza che il PD ne faccia un caso nazionale? Il PD avrebe dovuto fare conferenze stampa sul posto, allertare la stampa locale e denunciare il fatto. Se le azioni sul posto non avessero dato risultati - forse per il controllo di ambienti malavitosi - c'è sempre un PD nazionale che può e deve parlare. La mia impressione è che il PD non abbia veramente fatto tutto il possibile per denunciare la truffa che si stava svilupando per vari motivi. Il primo è che la truffa è servita al comune per lanciare tante spese per le quali non aveva i soldi e al PD queste spese in più non dispiacevano. L'altro potrebbe essere che in tanti comuni calabresi amministrati dal PD gli amministratori comunali non siano dei campioni di trasparenza e che quindi il partito non sia in una posizione che gli permetta da dare lezioni. Tu stesso citi il caso del comune di Milazzo - gestito dal centrosinistra - che sembra si sia comportato esattamente come il comune di Reggio Calabria: lanciando spese che non poteva lanciare perché non aveva i soldi. Adesso a Reggio Calabria la truffa è stata scoperta e c'è un processo. E adesso il capo dell'opposizione PD ci viene a dire "Per cinque anni non ci hanno dato il bilancio dettagliato !". E' un dichiarazione di complicità o di incapacità. Come è possibile che in cinque anni il PD non abbia trovato la maniera di sollevare il problema a livello nazionale? Il caso avrebbe dovuto essere sollevato entro due mesi dal primo rifiuto di fornire la documentazione. Il secondo è quello di che tagli fare nella spesa pubblica. Certo che va tagliata. Ma io non taglierei la spesa per le infrastrutture, per il rifacimento degli spazi pubblici, per la manutenzione del territorio. C'è tantissimo da fare in questo campo. Le nostre città sono brutte e tenute male, specialmente al sud. Tanti lavori di questo tipo sono necessari. Quello che va tagliato - ma che fa male - sono tutti gli impieghi fittizi. Non ricordo quale programma ha fatto qualche mese fa un reportage sull'istituto siciliano per le razze equine (perché mai la Sicilia debba avere un istituto pubblico del genere è un mistero) che ha un centinaio di dipendenti, quasi tutti hanno un certificato medico che li dichiara inabili a lavori manuali e quindi più di trenta persone sono adibite a lavori di "portineria". Questi sono posti di lavoro assolutamente superflui e da tagliare. A queste persone dovrebbe essere garantito un reddito minimo come a qualsiasi altro cittadino italiano, ma non un impiego fittizio di questo tipo. Ma anche Crocetta non riuscirà a far molto. Quando si parla di sprechi nella spesa pubblica si fa riferimento a consulenze fittizie e a impieghi fittizi di questo tipo. M io non taglierei assolutamente le spese per investimenti (lavori publici e manutenzione). Un'ultima osservazione polemica. Ieri Monti ha parlato della necessità di modificare le disposizioni costituzionali che danno alle regioni troppe competenze. Giustissimo. Siamo anche tutti convinti che alcune regioni - per esempio la Sicilia - hanno dimostrato di essere governate da irresponsabili. Bisogna ridurre il grado di autonomia di queste regioni (di tutte le regioni). Come PD siamo a favore di un tale taglio? Io si. Ma ho paura che all'atto pratico anche nel PD le resistenze si possano imporre. In particolare posso già immaginare le persone che diranno: "Perché tagliare le competenze della Sicilia proprio adesso che il PD è al potere". Le scelte vanno fatte sulla base di considerazioni strategiche di lungo periodo e non di considerazioni tattiche o opportunistiche. Antonino Andaloro ha detto: Caro Fabio, uno dei punti cruciali per tentare di abbassare le imposte (come diceva romiti) non è per caso:ridurre le spese? Ti porto un esempio che calza benissimo. L'amministrazione comunale di Milazzo(Me), a maggioranza di cdx, un paio di anni fà decise di contrarre debiti importanti con le banche per la realizzazione di opere di urbanizzazione. Opere che in parte non erano necessarie e che fra l'altro per aver dato l'appalto ad una ditta in odore di mafia, una di queste che riguardava la realizzazione di una pista ciclabile sul lungomare di ponente, non è stata completata. Evidentemente, visto il dissesto dichiarato a gennaio 2013 dal comune di Milazzo, questo genere di debito è stato programmato con l'intento di spendere in maniera spropositata e molto di più di quanto consentiva lo stesso bilancio comunale. Ora ci lecchiamo tutti le ferite,siamo al dissesto,la colpa è della crescita?Non credo proprio, perchè è stato commesso il più grave degli errori nel momento in cui si permetteva ad una amministrazione senza scrupoli di creare il debito,sapendo che era impossibile saldarlo.

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Risposto da Antonino Andaloro su 23 Gennaio 2013 a 13:13 Fabio, su tutto che dici, sono d'accordo non al 100%, ma al 1000 per 1000, rimane un problema non di poco conto. Se un ente pubblico o privato si impegna a prendere soldi dalle banche, per realizzare opere che arricchiscono le nostre città, e questo debito viene ammortizzato in poco tempo non penso che si possa obiettare qualcosa, ma se non sarà possibile saldarlo neanche tra due generazioni non penso che i cittadini possano fare molte cose, tranne di votare per altri amministratori.

Risposto da Fabio Colasanti su 23 Gennaio 2013 a 17:32 Antonino, questo è il motivo per il quale esistono delle regole che non permettono agli enti locali di indebitarsi al di la di certi limiti. Nel caso di Reggio Calabria questi limiti sono stati aggirati falsificando i documenti ! Antonino Andaloro ha detto: Fabio, su tutto che dici, sono d'accordo non al 100%, ma al 1000 per 1000, rimane un problema non di poco conto. Se un ente pubblico o privato si impegna a prendere soldi dalle banche, per realizzare opere che arricchiscono le nostre città, e questo debito viene ammortizzato in poco tempo non penso che si possa obiettare qualcosa, ma se non sarà possibile saldarlo neanche tra due generazioni non penso che i cittadini possano fare molte cose, tranne di votare per altri amministratori.

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 24 Gennaio 2013 a 20:43 Ed ecco le proposte di Confindustria mentre da domani avremo un maggiore dettaglio del pano del lavoro della CGIL http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-01-23/progetto-confindu... Le principali proposte contenute sono: . Dobbiamo rendere nuovamente competitive le nostre imprese, abbattendo i costi e sostenendo gli investimenti. Occorre: •dare ossigeno alle imprese con il pagamento immediato di 48 miliardi di debiti commerciali accumulati da Stato ed enti locali, che sono debito pubblico occulto; •tagliare dell'8% il costo del lavoro nel manifatturiero e cancellare per tutti i settori l'IRAP che grava sull'occupazione; •lavorare 40 ore in più all'anno, pagate il doppio perché detassate e decontribuite; •ridurre l'IRPEF sui redditi più bassi e aumentare i trasferimenti agli incapienti; •aumentare del 50% gli investimenti in infrastrutture; •sostenere gli investimenti in ricerca e nuove tecnologie; •abbassare il costo dell'energia. A cui si aggiungono la richiesta di riforme condivisibili. Oltre al problema delle coperture che non mette mai in causa una delle problematicità presenti ( l'eccesso della concentrazione delle ricchezze nel 10% delle famiglie italiane) dovrebbe essere chiarito meglio come si realizza la riduzione dell'8 % del costo del lavoro senza penalizzare i redditi dei lavoratori. Per il resto trovo interessante la proposta di utilizzare la vendita del patrimonio pubblico per finanziare la crescita e non la riduzione del debito immediata ( che invece arriverebbe dalla ripresa di una crescita sostenuta) . I numeri sono da verificare; ma sostenere la ripresa della domanda senza mettere in gioco la redistribuzione delle ricchezze non mi sembra facilmente realizzabile.

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Risposto da giorgio varaldo su 24 Gennaio 2013 a 21:53 mi pare che in tutta europa il reddito dei lavoratori sia stato abbondantemente penalizzato quindi volenti o nolenti toccherà anche.. l'unico modo per tentare di ridurre al minimo questa inevitabile penalizzazione è di rendere l'organizzazione del lavoro molto più flessibile dell'attuale. in altre parole lasciare i CCNL per le linee di guida generali e demandare orari ed organizzazione ai contratti aziendali. Giuseppe Ardizzone ha detto: Ed ecco le proposte di Confindustria mentre da domani avremo un maggiore dettaglio del pano del lavoro della CGIL http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-01-23/progetto-confindu... Le principali proposte contenute sono: . Dobbiamo rendere nuovamente competitive le nostre imprese, abbattendo i costi e sostenendo gli investimenti. Occorre: •dare ossigeno alle imprese con il pagamento immediato di 48 miliardi di debiti commerciali accumulati da Stato ed enti locali, che sono debito pubblico occulto; •tagliare dell'8% il costo del lavoro nel manifatturiero e cancellare per tutti i settori l'IRAP che grava sull'occupazione; •lavorare 40 ore in più all'anno, pagate il doppio perché detassate e decontribuite; •ridurre l'IRPEF sui redditi più bassi e aumentare i trasferimenti agli incapienti; •aumentare del 50% gli investimenti in infrastrutture; •sostenere gli investimenti in ricerca e nuove tecnologie; •abbassare il costo dell'energia. A cui si aggiungono la richiesta di riforme condivisibili. Oltre al problema delle coperture che non mette mai in causa una delle problematicità presenti ( l'eccesso della concentrazione delle ricchezze nel 10% delle famiglie italiane) dovrebbe essere chiarito meglio come si realizza la riduzione dell'8 % del costo del lavoro senza penalizzare i redditi dei lavoratori. Per il resto trovo interessante la proposta di utilizzare la vendita del patrimonio pubblico per finanziare la crescita e non la riduzione del debito immediata ( che invece arriverebbe dalla ripresa di una crescita sostenuta) . I numeri sono da verificare; ma sostenere la ripresa della domanda senza mettere in gioco la redistribuzione delle ricchezze non mi sembra facilmente realizzabile.

Risposto da Fabio Colasanti su 24 Gennaio 2013 a 21:56 Giustissimo. Ecco di nuovo le cifre.

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giorgio varaldo ha detto: mi pare che in tutta europa il reddito dei lavoratori sia stato abbondantemente penalizzato quindi volenti o nolenti toccherà anche.. l'unico modo per tentare di ridurre al minimo questa inevitabile penalizzazione è di rendere l'organizzazione del lavoro molto più flessibile dell'attuale. in altre parole lasciare i CCNL per le linee di guida generali e demandare orari ed organizzazione ai contratti aziendali.

Risposto da Fabio Colasanti su 24 Gennaio 2013 a 22:04 Ripropongo qui un intervento che ho postato nella discussione di Adriano sulle chiusure di imprese. Mi sembra che li sia passato inosservato (con l'eccezione di Adriano). Tanti media hanno dato grande spazio all'informazione dell'Union camere sulle "Mille imprese al giorno che hanno chiuso nel 2012". Ma non hanno detto nulla sulla "Mille e cinquanta imprese al giorno che hanno aperto nel 2012". Andiamo a vedere i dati. C'è stato un cambiamento - benvenuto - nella metodologia a fine 2004 e quindi si dispone di statistiche comparabili solo dal 2005 ad oggi. Le imprese. Nei registi Unioncamere in questi anni c'è stato stabilmente un numero di imprese largamente superiore ai sei milioni. Se pensiamo che in Italia ci sono 17 milioni di lavoratori dipendenti, compreso il settore pubblico, questo significa che in media, ogni impresa ha circa due dipendenti. La realtà è che una piccola parte di questi più di sei milioni di imprese sono imprese nel senso che si da comunemente a questa parola. La grande maggioranza sono imprese individuali che coprono il secondo lavoro, per esempio, di un ragioniere che durante il week end tiene la contabilità di un paio di negozi. Alcune probabilmente sono perfino delle costruzioni di comodo dietro alle quali non c'è nessuna attività. Le imprese così definite aprono e chiudono in grandi quantità. Nell'anno migliore coperto dalle statistiche (2005) hanno chiuso 324mila "imprese". Ogni anno si è poi registrato un numero di aperture di imprese ben più alto di

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quello delle imprese che hanno chiuso: attorno alle quattrocentomila. 383mila nel 2012. Queste cifre sono importanti per capire di cosa si sta parlando. Detto questo però i dati Unioncamere sono preoccupanti. Qualunque sia il tipo di imprese coperte è un fatto che il numero di chiusure quest'anno è stato il più alto dal 2005 e di 40mila unità unità superiore al numero di chiusure di quell'anno. Il numero di nuove "imprese" nel 2012 è stato di 383mila, inferiore di 53mila unità a quello dell'anno migliore (436mila imprese create). Il saldo tra imprese create e imprese che hanno chiuso è ancora positivo, ma è il più basso dal 2005. Le cifre poi per il settore "artigianale" sono ancora più negative. Li il saldo tra imprese create e imprese chiuse è negativo. Ma più in generale l'anno 2013 sarà molto duro per l'Italia. In economia ci sono dei ritardi ben conosciuti. Se tagli il disavanzo oggi, deprimi la crescita domani e fai aumentare la disoccupazione di dopodomani. L'Italia è entrata in recessione nel 2012. Per tanti motivi, l'articolo 18 è solo uno dei vari motivi, le imprese non hanno licenziato molto nel 2012. I posti di lavoro persi sono dovuti soprattutto alle imprese che hanno dovuto chiudere. Rispetto alle previsioni la disoccupazione nel 2012 non è aumentata molto (questo spiega anche perché i costi del lavoro - che sono scesi in Irlanda, Grecia, Spagna e Portogallo - non sono scesi in Italia). Ho paura che nel 2013 saremo in una situazione politicamente molto difficile. Nel corso dell'anno la produzione ricomincerà ad aumentare un pochino (una previsione di diminuzione del PIL di un punto nel 2013 dopo una caduta di due punti e mezzo nel 2012 significa che a fine 2013 il livello della produzione sarà leggermente più alto di quello che era all'inizio dell'anno). Ma le imprese cominceranno a licenziare in maniera massiccia (ci sono dei segni che indicano che i licenziamenti sono già cominciati alle fine del 2012) e ci ritroveremeno con una disoccupazione veramente alta. La cosa non sarà facile da gestire visto che non abbiamo praticamente ammortizzatori sociali. Come mai i partiti e soprattutto i sindacati non hanno mai fatto una battaglia negli ultimi trenta anni per l'introduzione di ammortizzatori sociali adeguati ? Che sia vero che i sindacati fanno gli interessi di chi è già occupato e non gli interessi di tutti i lavoratori e tutti i cittadini ? Prepariamoci ad una situazione sociale molto difficile.

Risposto da giorgio varaldo su 24 Gennaio 2013 a 22:15 se oltre alle difficoltà preannunciate si continua a tollerare comportamenti distruttivi di una parte della magistratura http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/cronaca/2013/01/24/Ilva-Pro... per bersani (e per tutta l'italia) il dopo elezioni sarà un incubo. tanto per rammentare qualche numero il comportamento dei magistrati di taranto costerà almeno 50.000 posti di lavoro. e prepariamoci a chiudere anche terni dopo gli exploit della magistratura non solo a taranto NESSUNA azienda straniera è disposta a rilevare uno stabilimento siderurgico italiano neanche gratis per il semplice motivo che nessun dirigente straniero vuole cadere sotto le grinfie di un guariniello o di una todisco. Fabio Colasanti ha detto: Ripropongo qui un intervento che ho postato nella discussione di Adriano sulle chiusure di imprese. Mi sembra che li sia passato inosservato (con l'eccezione di Adriano). Tanti media hanno dato grande spazio all'informazione dell'Union camere sulle "Mille imprese al giorno che hanno chiuso nel 2012". Ma non hanno detto nulla sulla "Mille e cinquanta imprese al giorno che hanno aperto nel 2012". Andiamo a vedere i dati. C'è stato un cambiamento - benvenuto - nella metodologia a fine 2004 e quindi si dispone di statistiche comparabili solo dal 2005 ad oggi. Le imprese. Nei registi Unioncamere in questi anni c'è stato stabilmente un numero di imprese largamente superiore ai sei milioni. Se pensiamo che in Italia ci sono 17 milioni di lavoratori dipendenti, compreso il settore pubblico, questo significa che in media, ogni impresa ha circa due dipendenti. La realtà è che una piccola parte di questi più di sei milioni di imprese sono imprese nel senso che si da comunemente a questa parola. La grande maggioranza sono imprese individuali che coprono il secondo lavoro, per esempio, di un ragioniere che durante il week end tiene la

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contabilità di un paio di negozi. Alcune probabilmente sono perfino delle costruzioni di comodo dietro alle quali non c'è nessuna attività. Le imprese così definite aprono e chiudono in grandi quantità. Nell'anno migliore coperto dalle statistiche (2005) hanno chiuso 324mila "imprese". Ogni anno si è poi registrato un numero di aperture di imprese ben più alto di quello delle imprese che hanno chiuso: attorno alle quattrocentomila. 383mila nel 2012. Queste cifre sono importanti per capire di cosa si sta parlando. Detto questo però i dati Unioncamere sono preoccupanti. Qualunque sia il tipo di imprese coperte è un fatto che il numero di chiusure quest'anno è stato il più alto dal 2005 e di 40mila unità unità superiore al numero di chiusure di quell'anno. Il numero di nuove "imprese" nel 2012 è stato di 383mila, inferiore di 53mila unità a quello dell'anno migliore (436mila imprese create). Il saldo tra imprese create e imprese che hanno chiuso è ancora positivo, ma è il più basso dal 2005. Le cifre poi per il settore "artigianale" sono ancora più negative. Li il saldo tra imprese create e imprese chiuse è negativo. Ma più in generale l'anno 2013 sarà molto duro per l'Italia. In economia ci sono dei ritardi ben conosciuti. Se tagli il disavanzo oggi, deprimi la crescita domani e fai aumentare la disoccupazione di dopodomani. L'Italia è entrata in recessione nel 2012. Per tanti motivi, l'articolo 18 è solo uno dei vari motivi, le imprese non hanno licenziato molto nel 2012. I posti di lavoro persi sono dovuti soprattutto alle imprese che hanno dovuto chiudere. Rispetto alle previsioni la disoccupazione nel 2012 non è aumentata molto (questo spiega anche perché i costi del lavoro - che sono scesi in Irlanda, Grecia, Spagna e Portogallo - non sono scesi in Italia). Ho paura che nel 2013 saremo in una situazione politicamente molto difficile. Nel corso dell'anno la produzione ricomincerà ad aumentare un pochino (una previsione di diminuzione del PIL di un punto nel 2013 dopo una caduta di due punti e mezzo nel 2012 significa che a fine 2013 il livello della produzione sarà leggermente più alto di quello che era all'inizio dell'anno). Ma le imprese cominceranno a licenziare in maniera massiccia (ci sono dei segni che indicano che i licenziamenti sono già cominciati alle fine del 2012) e ci ritroveremeno con una disoccupazione veramente alta. La cosa non sarà facile da gestire visto che non abbiamo praticamente ammortizzatori sociali. Come mai i partiti e soprattutto i sindacati non hanno mai fatto una battaglia negli ultimi trenta anni per l'introduzione di ammortizzatori sociali adeguati ? Che sia vero che i sindacati fanno gli interessi di chi è già occupato e non gli interessi di tutti i lavoratori e tutti i cittadini ? Prepariamoci ad una situazione sociale molto difficile.

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 24 Gennaio 2013 a 23:56 Vi è la necessità sia di recuperare competitività e produttività sia di uscire dalla depressione della domanda interna. Queste due esigenze sono ben visibili anche nel piano di Confindustria che pone il problema di allegerire l'IRPEF delle famiglie per dare maggiore potere d'acquisto e contemporaneamente ridurre il costo del lavoro utilizzando la contrattazione integrativa ed una riduzione del cuneo fiscale. L'idea è di far finanziare tutto questo dalla dismissione del patrimonio pubblico e da uno spostamento sulla tassazione indiretta oltre che dal recupero dell'evasione fiscale: La mia impressione è che, come avevo proposto, insieme a queste misure , non si possa prescindere da una revisione delle aliquote sui redditi elevati.Non per aumentare il peso complessivo della tassazione ma per spostarne il carico su chi guadagna oltre un certo livello. Di positivo c'è che la proposta della Confindustria mi sembra che realisticamente non si muova verso la riduzione della spesa pubblica ma semmai verso la sua riqualificazione , ponendo l'accento sulle spese per la ricerca e innovazione e le infrastrutture. insomma alla fine un imprenditore ha bisogno di pensare che i suoi prodotti possano essere comprati dalla gente sia perchè il costo è competitivo ma anche perchè esiste un mercato vivo ed in grado di assorbire i prodotti. o i servizi:

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Risposto da Fabio Colasanti su 25 Gennaio 2013 a 2:28 Giuseppe, penso che tu abbia una lettura troppo rosea della proposta della Confindustria. Prima di tutto la proposta della Confindustria presuppone tagli feroci della spesa pubblica che non va alle imprese. Dove trova lo stato i soldi per pagare subito 48 miliardi di arretrati ai fornitori ? Dove trova lo stato i soldi per compensare le riduzioni di IIRPEF e IRAP. Sicuramente la Confindustria non pensa ad aumenti delle tasse, ma a tagli fortissimi della spesa pubblica che non va alle imprese. Alla Confindustria importa poco lo stato della domanda interna; vogliono una riduzione forte del costo del lavoro - limitata al settore manufatturiero (non so se sia compatibile con le regole europee) - per poter essere più competitivi sui mercati esteri. Sanno benissimo che non ci sono assolutamente i margini per un sostegno alla domanda interna. E quando la Confindustria parla di riduzione dell'otto per cento del costo del lavoro, secondo me pensa anche ad un certo taglio dei salari nominali. Anche loro devono aver fatto le simulazioni che abbiamo fatto noi. Un tre per cento costava già tantissimi soldi, figurati un otto per cento. Poi la Confindustria vuole un aumento dell'orario di lavoro per avere in media 40 ore di lavoro di più all'anno (esenti da tasse e contributi; altro aggravio per le casse dello stato) e vuole una contrattazione forte al secondo livello (che permetta, la dove necessario, la riduzione dei salari come è stato appena deciso in Francia). Non ci sono ricette miracolo, che non facciano male. La Confindustria propone un insieme forte e coerente di misure per rilanciare la competitività del settore manufatturiero, ma questo avrebbe un costo di bilancio altissimo e richiede mille aggiustamenti che tanti nel Circolo troverebbero inaccettabili.. Giuseppe Ardizzone ha detto: Vi è la necessità sia di recuperare competitività e produttività sia di uscire dalla depressione della domanda interna. Queste due esigenze sono ben visibili anche nel piano di Confindustria che pone il problema di allegerire l'IRPEF delle famiglie per dare maggiore potere d'acquisto e contemporaneamente ridurre il costo del lavoro utilizzando la contrattazione integrativa ed una riduzione del cuneo fiscale. L'idea è di far finanziare tutto questo dalla dismissione del patrimonio pubblico e da uno spostamento sulla tassazione indiretta oltre che dal recupero dell'evasione fiscale: La mia impressione è che, come avevo proposto, insieme a queste misure , non si possa prescindere da una revisione delle aliquote sui redditi elevati.Non per aumentare il peso complessivo della tassazione ma per spostarne il carico su chi guadagna oltre un certo livello. Di positivo c'è che la proposta della Confindustria mi sembra che realisticamente non si muova verso la riduzione della spesa pubblica ma semmai verso la sua riqualificazione , ponendo l'accento sulle spese per la ricerca e innovazione e le infrastrutture. insomma alla fine un imprenditore ha bisogno di pensare che i suoi prodotti possano essere comprati dalla gente sia perchè il costo è competitivo ma anche perchè esiste un mercato vivo ed in grado di assorbire i prodotti. o i servizi:

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 25 Gennaio 2013 a 18:21 Ecco il Piano del lavoro della CGIL Allegati:

Piano_Del_Lavoro_CGIL_gen13.pdf, 273 KB

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 25 Gennaio 2013 a 19:37

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Alcune considerazioni a caldo sul " Piano del Lavoro" della CGIL , e le altre posizioni emerse nel dibattito in corso. La prima cosa che mi convince nell'impostazione della CGIL è il richiamo ad una ripresa della crescita che non può essere trascinata esclusivamente da un aumento delle esportazioni ma anche da una ripresa dei consumi e di sostegno alla domanda interna. Il nostro è un paese avanzato che deve essere in grado di avere una base industriale larga e avanzata oltre ad un sistema di servizi moderno. La caratteristica di un paese come il nostro è lo scambio di merci e servizi della medesima tipologia con gli altri paesi avanzati : La crescita del saldo attivo della bilancia commerciale è un obiettivo importante ma accanto ad esso bisogna realizzare quella ripresa dei consumi legata ad un miglioramento complessivo del livello di vita soprattutto di vaste aree del paese in condizioni di sottosviluppo e di vaste aree della popolazione. Parlare pertanto di redistribuzione delle ricchezze diventa elemento essenziale dello sviluppo . In tal senso gli accenni ad una riforma fiscale che consenta di alleggerire il peso sui redditi più bassi mi sembra necessario. ,Su quali cardini poggia al possibile riforma fiscale della CGIL? a) piano strutturale di lotta preventiva all'evasione/elusione fiscale e contributiva e al sommerso. Si può programmare una riduzione dell'evasione fiscale e contributiva del 10% nel 2014 e del 20% nel 2015, anche prevedendo specifiche e vincolanti poste di Bilancio all'interno delle Leggi di finanza pubblica; Questo mi lascia perplesso e rimango dell'idea che per recuperare in maniera importante l'evasione bisognerebbe agire su tre fronti:a) introdurre un vantaggio per il contribuente alternativo all'evasore ( possibilità di scaricare una percentuale di tutte le spese documentate )b) rendere possibile l'emersione del lavoro nero nelle aree sottosviluppate del paese c) attaccare d'iniziativa l'economia della criminalità organizzata A breve non porrei la copertura di spesa in base ad un andamento diverso dei risultati della lotta all'evasione introduzione dell’Imposta strutturale sulle Grandi Ricchezze (IGR), a sostituzione dell'IMU; SE proprio bisogna cambiare qualcosa appoggerei la proposta di Bersani. c) rendere più efficace la Tassa sulle Transazioni Finanziarie internazionali (TTF), soprattutto per ridurre drasticamente la speculazione finanziaria di breve durata (quella che mette in difficoltà anche i debiti sovrani), che per sua natura ha bisogno di fare molti movimenti finanziari, e liberare risorse per gli investimenti “reali”, che generano crescita e occupazione; Ho già proposto il ripristino della aliquota del 27% sulla rendita finanziaria dei depositi bancari e postali. Biosgnerà vedere se il nuovo bollo sui depositi titoli darà i risultati auspicati. L'unica altra possibilità che vedo è tassare in maniera secca ( 30%)l'utile attualizzato conseguito dalle istituzioni finanziarie sui derivati stipulati con la clientela.( modificando ovviamente la normativa ). Ok per la Tobin tax A regime si possono ottenere almeno 3/4 miliardi d) in alternativa all'aumento dell'IVA previsto dal Governo, che ha un carattere regressivo e fa crescere l'inflazione, si può aumentare l'imposizione sulle rendite finanziarie (ora al 20%, esclusi titoli pubblici), ancora al di sotto della media effettiva europea; Possibile oltre quanto detto prima? Forse c'è da recuperare ancora qualcosa. e) introduzione di tasse ambientali coerenti con l’indicazione europea in base alla quale “chi inquina, paga” (emissioni CO2, produzione di rifiuti tossici, consumo di combustibili fossili) e con la previsione di dinamiche premianti Da verificare. f) progressività dell'imposizione e riduzione della prima fascia e di una intermedia Discorso possibile e che personalmente condivido si possono recuperare almeno 6 miliardi g) riduzione dei costi della politica e degli sprechi e redistribuzione della spesa pubblica possono produrre almeno 20 miliardi di euro di risparmi strutturali; E' da verificare il reale impatto annuo del rispermio di spesa possibile con la destinazione a nuovo e diverso impiego. 20 miliardi mi sembrano una cifra molto alta. Mi accontenterei di reperire risorse per 5/8 Miliardi da questo processo H) riordino, agevolazioni e trasferimenti alle imprese, per recuperare almeno 10 miliardi; Anche su questo campo mi sembra che non si recupererà molto . Semmai si potrà indirizzare meglio i) utilizzo di una parte delle risorse delle fondazioni bancarie (verso “valori collettivi e finalità di utilità generale”, così come previsto dall’ordinamento italiano, L. 218/1990), soprattutto per il Piano per il Nuovo Welfare; Alla luce di quanto abbiamo osservato nella discussione sul sistema finanziario un possibile anche parziale disimpegno delle fondazioni dal sistema bancario anche con l'arrivo di capitali stranieri o privati metterebbe a disposizioni di operazioni sul territorio nuove risorse. l) utilizzo programmato dei Fondi europei; Anche questo punto è interessante . Lo stesso programma di ishino sul lavoro presuppone un apossibiulità di utilizzo dei fondi europei con coordinamento su base regionale.

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m) scorporo degli investimenti dai criteri di applicazione del Patto di Stabilità e Crescita; Possibile ed auspicabile una forte azione in tal senso anche con risvolti a livello europeo n) utilizzo dei Fondi pensione attraverso progetti per favorire la canalizzazione dei flussi di risparmio verso il finanziamento degli investimenti di lungo periodo, garantendone i rendimenti previdenziali; Molto interessante da realizzare con appropriate capacità d'iniziativa e di coinvolgimento in grandi progetti nazionali secondo la modalità del project financing o) la Cassa Depositi e Prestiti, sull’esempio della Caisse des Dépots francese, deve consolidare la missione di utilizzare le sue emissioni obbligazionarie di lungo e lunghissimo termine per attirare i capitali, oltre l’orizzonte temporale degli operatori tradizionali, su progetti di sviluppo e infrastrutturali per investimenti strategici e di lungo periodo sia per le PP.AA. che per le Società industriali, diventando così uno dei soggetti essenziali per la innovazione e la riorganizzazione del Sistema Paese. Sono assolutamente d'accordo . Possibile finanziatore insieme a Fondi pensione, Fondazioni e Banche di dieci grandi project financing nazionali. Relativamente poi all'utilizzo dei fondi recuperati penso che una spesa nei confronti dell'innovazione , delle infrastrutture e degli interventi sul territorio ed il welfare siano utili anche perchè intervengono su settori in cui potremmo essere meno esposti alla concorrenza internazionale. In questo senso un aiuto all'occupazione in questi settori con sgravi fiscali alle aziende private o riapertura delle assunzioni pubbliche è da considerare positivamente. In ultimo ma non per ultimo bisognerebbe che il nostro partito rispondesse invece all'altro cardine della questione costituito dalle richieste di Confindustria per la riduzione del costo del lavoro valutando i margini possibili per porre a carico della fiscalità generale parte degli oneri contributivi e della tassazione sul lavoro. Per finire mi sembra condivisibile la critica all'abbattimento del costo generale del lavoro realizzato attraverso l'uso indiscriminato del lavoro precario. Le conseguenze in termini di socialità conplesiva sono altissime ed insopportabili. Ben diversa è l'esigenza di assicurare la corretta mobilità della forza lavoro verso gli impieghi più produttivi . Deve essere messo un forte argine che scoraggi l'uso distorto dei contratti atipici che di fatto spreca e distrugge lo sviluppo delle professionalità . Riprendendo i vari discorsi in campo dare i invece ulteriore risalto ad un utilizzo della dismissione del patrimonio pubblico che opportunamente organizzato potrebbe dare risorse annue di almeno 5/10 miliardi. Complessivamente da tutte le proposte fatte potremmo recuperare con molta probabilità complessivamente ca 20 miliardi di risorse au cui si potrebbero aggiungere quelle che potrebbero mettere in gioco la Cassa depositi e prestiti, i Fondi pensione, Le Fondazioni e le Banche per il finanziamento di dieci grandi project financing nel campo delle infrastrutture ed anche nei casi possibili della ricerca applicata.

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 25 Gennaio 2013 a 19:55 Di certo è intollerabile la sua realizzazione attraverso l'uso indiscriminato della precarizzazionefra imprese e lavoro.L'altro aspetto da migliorare è lo spostamento delle risorse verso gli impieghi più produttivi. Questo è decisivo. Ultimo dobbiamo modificare profondamente gli ammortizzatori sociali . e non possiamo tacere sui mancati investimenti di prodotto in alcuni comparti industriali in cui siamo in declino.Ridurre nominalmente i salari è solo una parte del problema : Cosa può esser dato in cambio? Il contratto unico a tempo indeterminato a garanzia progressiva? Piani di assunzione verificabili? Investimenti nel Sud? Fabio Colasanti ha detto: Giuseppe, penso che tu abbia una lettura troppo rosea della proposta della Confindustria. Prima di tutto la proposta della Confindustria presuppone tagli feroci della spesa pubblica che non va alle imprese. Dove trova lo stato i soldi per pagare subito 48 miliardi di arretrati ai fornitori ? Dove trova lo stato i soldi per compensare le riduzioni di IIRPEF e IRAP. Sicuramente la Confindustria non pensa ad aumenti delle tasse, ma a tagli fortissimi della spesa pubblica che non va alle imprese.

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Alla Confindustria importa poco lo stato della domanda interna; vogliono una riduzione forte del costo del lavoro - limitata al settore manufatturiero (non so se sia compatibile con le regole europee) - per poter essere più competitivi sui mercati esteri. Sanno benissimo che non ci sono assolutamente i margini per un sostegno alla domanda interna. E quando la Confindustria parla di riduzione dell'otto per cento del costo del lavoro, secondo me pensa anche ad un certo taglio dei salari nominali. Anche loro devono aver fatto le simulazioni che abbiamo fatto noi. Un tre per cento costava già tantissimi soldi, figurati un otto per cento. Poi la Confindustria vuole un aumento dell'orario di lavoro per avere in media 40 ore di lavoro di più all'anno (esenti da tasse e contributi; altro aggravio per le casse dello stato) e vuole una contrattazione forte al secondo livello (che permetta, la dove necessario, la riduzione dei salari come è stato appena deciso in Francia). Non ci sono ricette miracolo, che non facciano male. La Confindustria propone un insieme forte e coerente di misure per rilanciare la competitività del settore manufatturiero, ma questo avrebbe un costo di bilancio altissimo e richiede mille aggiustamenti che tanti nel Circolo troverebbero inaccettabili.. Giuseppe Ardizzone ha detto: Vi è la necessità sia di recuperare competitività e produttività sia di uscire dalla depressione della domanda interna. Queste due esigenze sono ben visibili anche nel piano di Confindustria che pone il problema di allegerire l'IRPEF delle famiglie per dare maggiore potere d'acquisto e contemporaneamente ridurre il costo del lavoro utilizzando la contrattazione integrativa ed una riduzione del cuneo fiscale. L'idea è di far finanziare tutto questo dalla dismissione del patrimonio pubblico e da uno spostamento sulla tassazione indiretta oltre che dal recupero dell'evasione fiscale: La mia impressione è che, come avevo proposto, insieme a queste misure , non si possa prescindere da una revisione delle aliquote sui redditi elevati.Non per aumentare il peso complessivo della tassazione ma per spostarne il carico su chi guadagna oltre un certo livello. Di positivo c'è che la proposta della Confindustria mi sembra che realisticamente non si muova verso la riduzione della spesa pubblica ma semmai verso la sua riqualificazione , ponendo l'accento sulle spese per la ricerca e innovazione e le infrastrutture. insomma alla fine un imprenditore ha bisogno di pensare che i suoi prodotti possano essere comprati dalla gente sia perchè il costo è competitivo ma anche perchè esiste un mercato vivo ed in grado di assorbire i prodotti. o i servizi:

Risposto da Fabio Colasanti su 25 Gennaio 2013 a 20:18 Giuseppe, la situazione dell'Italia è abbastanza classica. Sarebbe bello poter rilanciare la domanda interna immettendo potere d'acquisto, ma non ne abbiamo al possibilità. Questo è già successo all'Italia nel passato e sta succedendo negli altri paesi in difficoltà. Ci troviamo di fronte ad un caso classico di uscita da una recessione, non ci troviamo di fronte ad una situazione assolutamente nuova. La ripresa verrà da due canali, uno esterno e uno interno, che rianimeranno progressivamente i redditi interni, i consumi e poi, alla fine, la domanda interna. Ma la ripresa della domanda interna potrà essere solo endogena; ossia prodotta dal fatto che si lavora di più. Il canale esterno è quello delle esportazioni. Bisogna consolidare e rafforzare gli sforzi che tante imprese stanno già facendo. Il governo Monti ha annullato la decisione di chiudere l'Istituto per il commercio estero, aveva fatto qualcosina per il costo del lavoro. Bisogna fare molto di più. Bisogna abbssare il costo del lavoro attraverso gli interventi che si potranno fare sul cuneo fiscale e attraverso accordi nazionali e di impresa che permettano un migliore utilizzo degli impianti. Non dimentichiamo che il turismo è una forma di esportazione importante; se riuscissimo a far venire in Italia più turisti questo sarebbe ottimo per l'occupazione e la bilancia dei pagamenti. Il canale interno è più complicato. Prima di tutto passa attraverso il permettere alla gente di lavorare di più con tasse più basse per il lavoro in più. Gli straordinari dovrebbero essere pagati di più e tassati di meno. Bisogna che i sindacati abbandonino l'opposizione agli straordinari nella speranza di obbligare le imprese a fare assunzioni (che comunque non faranno). In questa maniera si permetterebbe un aumento della produzioni con una riduzione dei costi medi del lavoro.

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Ma il canale interno passa anche attraverso dosi massicce di liberalizzazioni che permettano la creazione di nuove attività commerciali, la creazione di nuove imprese vere (non le mille e cinquanta imprese al giorno che hanno aperto nel 2012) e l'accesso libero a tante professioni. Questo creerà delle nuove opportunità, permetterà a tanti giovani di lanciare nuove attività e spingerà alcuni a fare i piccoli investimenti necessari per metter su un ufficio, un magazzino, un negozio. Da questo punto di vista non è contraddittorio dire che le liberalizzazioni devono coprire anche i supermercati. Abbiamo un costo della distribuzione troppo alto e un tasso di inflazione troppo forte. In ogni città media dobbiamo avere un Carrefour, una Coop, un'Ikea, una Esselunga e così via. Ma dobbiamo smettere di pensare o far credere che esistano margini per un rilancio autonomo della domanda interna. I margini non ci sono, l'Italia nel passato - certo c'erano le svalutazioni - non ne ha avuto bisogno e gli altri paesi - per esempio Irlanda e Portogallo - stanno uscendo dalla recessione senza nessun sostegno diretto della domanda interna.

Risposto da giorgio varaldo su 25 Gennaio 2013 a 21:16 mi piacerebbe conoscere le ragioni per le quali cosa è stato tollerato dal resto dell'europa non potrebbe esser tollerabile per l'italia. Giuseppe Ardizzone ha detto: Di certo è intollerabile la sua realizzazione attraverso l'uso indiscriminato della precarizzazionefra imprese e lavoro.L'altro aspetto da migliorare è lo spostamento delle risorse verso gli impieghi più produttivi. Questo è decisivo. Ultimo dobbiamo modificare profondamente gli ammortizzatori sociali . e non possiamo tacere sui mancati investimenti di prodotto in alcuni comparti industriali in cui siamo in declino.Ridurre nominalmente i salari è solo una parte del problema : Cosa può esser dato in cambio? Il contratto unico a tempo indeterminato a garanzia progressiva? Piani di assunzione verificabili? Investimenti nel Sud?

Risposto da giorgio varaldo su 25 Gennaio 2013 a 21:32 l'ipotesi di rilanciare l'economia aumentando il potere d'acquisto non solo non è percorribile ma rischia di esser negativa ed il motivo è semplice: aumenteremmo solo le importazioni portando la bilancia commerciale in rosso. se mai si potrebbe intervenire selettivamente con variazioni di IVA magari con sgravi per l'alimentare e di aggravi per l'elettronica di consumo tipo palmari cellulari video games ecc ecc.

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 25 Gennaio 2013 a 22:48 Cosa vuoi dire esattamente con : "Ma dobbiamo smettere di pensare o far credere che esistano margini per un rilancio autonomo della domanda interna. I margini non ci sono, l'Italia nel passato - certo c'erano le svalutazioni - non ne ha avuto bisogno e gli altri paesi - per esempio Irlanda e Portogallo - stanno uscendo dalla recessione senza nessun sostegno diretto della domanda interna." Mi sembra che quanto stiamo cercando di argomentare sia molto realistico ,verificabile e possibile. Giuseppe Ardizzone ha detto: Alcune considerazioni a caldo sul " Piano del Lavoro" della CGIL , e le altre posizioni emerse nel dibattito in corso. La prima cosa che mi convince nell'impostazione della CGIL è il richiamo ad una ripresa della crescita che non può essere trascinata esclusivamente da un aumento delle esportazioni ma anche da una ripresa dei consumi e di sostegno alla domanda interna. Il nostro è un paese avanzato che deve essere in grado di avere una base industriale larga e avanzata oltre ad un sistema di servizi moderno. La caratteristica di un paese come il nostro è lo scambio di merci e servizi della medesima tipologia con gli altri paesi avanzati : La crescita del saldo attivo della bilancia commerciale è un obiettivo importante ma accanto ad esso bisogna realizzare quella ripresa dei consumi legata ad un

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miglioramento complessivo del livello di vita soprattutto di vaste aree del paese in condizioni di sottosviluppo e di vaste aree della popolazione. Parlare pertanto di redistribuzione delle ricchezze diventa elemento essenziale dello sviluppo . In tal senso gli accenni ad una riforma fiscale che consenta di alleggerire il peso sui redditi più bassi mi sembra necessario. ( ... )

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 25 Gennaio 2013 a 22:53 Giorgio, l'aumento del potere d'acquisto dei ceti popolari è solo uno dei punti di una più ampia operazione di redistribuzione delle ricchezze intesa come condizione di uno sviluppo più equilibrato. La centralità delle proposte che tutti stanno portando avanti è tuttavia sul lavoro. Dare maggiori opportunità per creare lavoro .Relativamente poi all'utilizzo dei fondi recuperati penso che una spesa nei confronti dell'innovazione , delle infrastrutture e degli interventi sul territorio ed il welfare siano utili anche perchè intervengono su settori in cui potremmo essere meno esposti alla concorrenza internazionale . giorgio varaldo ha detto: l'ipotesi di rilanciare l'economia aumentando il potere d'acquisto non solo non è percorribile ma rischia di esser negativa ed il motivo è semplice: aumenteremmo solo le importazioni portando la bilancia commerciale in rosso. se mai si potrebbe intervenire selettivamente con variazioni di IVA magari con sgravi per l'alimentare e di aggravi per l'elettronica di consumo tipo palmari cellulari video games ecc ecc.

Risposto da adriano succi su 25 Gennaio 2013 a 23:00 Giorgio, purtroppo hai ragione. Se anche si trovasse il modo di aumentare il potere d' acquisto degli Italiani meno abbienti, magari riducendo il cuneo fiscale oppure, per assurdo, stampando carta moneta, si produrrebbe soltanto un pò di euforia. Gli Italiani, perlopiù, comprerebbero estero, perché, purtroppo, tranne pochi settori di solito non tra i più popolari, il prodotto straniero è migliore. Mi spiace dirlo, ma non vedo altra soluzione che rivoltare il Paese come un calzino, cominciando dalla sostituzione di questa classe politica. Nemmeno questo PD, che sarà pesantemente bastonato dalla vicenda MPS, ha il Progetto/Paese indispensabile per fare rinascere l' Italia. * Giuseppe, dici: Relativamente poi all'utilizzo dei fondi recuperati penso che una spesa nei confronti dell'innovazione , delle infrastrutture e degli interventi sul territorio ed il welfare siano utili anche perchè intervengono su settori in cui potremmo essere meno esposti alla concorrenza internazionale . Non abbiamo una classe dirigente capace ne di immaginare quella crescita di cui parli, ne tantomeno di gestirla.

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 25 Gennaio 2013 a 23:01 Perchè le conseguenze in termini di socialità conplesiva sono altissime ed insopportabili. Ben diversa è l'esigenza di assicurare la corretta mobilità della forza lavoro verso gli impieghi più produttivi . Deve essere messo un forte argine

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che scoraggi l'uso distorto dei contratti atipici che di fatto spreca e distrugge lo sviluppo delle professionalità .Ho dei dubbi che negli altri paesi si concentri la precarietà sulle nuove generazioni e non vi siano adeguati ammortizzatori sociali che sostengano il lavoratore fra un lavoro e l'altro come invece avviene in italia.In ogni caso assicurare anche la possibilità di lavori a tempo parziale , a tempo determinato e atipici in generale non può essere considerata la regola di un sistema lavorativo per le conseguenze sociali che comporta . giorgio varaldo ha detto: mi piacerebbe conoscere le ragioni per le quali cosa è stato tollerato dal resto dell'europa non potrebbe esser tollerabile per l'italia.

Risposto da giorgio varaldo su 25 Gennaio 2013 a 23:09 ottimo discorso su possibili ricadute negative ma non alla domanda perchèeuropa si italia no. Giuseppe Ardizzone ha detto: Perchè le conseguenze in termini di socialità conplesiva sono altissime ed insopportabili. Ben diversa è l'esigenza di assicurare la corretta mobilità della forza lavoro verso gli impieghi più produttivi . Deve essere messo un forte argine che scoraggi l'uso distorto dei contratti atipici che di fatto spreca e distrugge lo sviluppo delle professionalità .Ho dei dubbi che negli altri paesi si concentri la precarietà sulle nuove generazioni e non vi siano adeguati ammortizzatori sociali che sostengano il lavoratore fra un lavoro e l'altro come invece avviene in italia.In ogni caso assicurare anche la possibilità di lavori a tempo parziale , a tempo determinato e atipici in generale non può essere considerata la regola di un sistema lavorativo per le conseguenze sociali che comporta .

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 25 Gennaio 2013 a 23:17 Adriano sgombriamo il campo dagli equivoci. Quando parlo che la crescita e lo sviluppo non possono prescindere dalla necessità di redistrinuire le ricchezze operando sia nel senso della progressività fiscale che nella maggiore tassazione degli utili finanzari non significa che si punta tutto su una domanda trainata dal maggiore potere d'acquisto dei consumi. Semmai che si recuperano risorse per sostenere le opportunità di lavoro e gli investimenti pubblici e privati e che inoltre si evita di ridurre il potere di acquisto della classi subalterne a seguito della crisi in corso. Sono d'accordo che limitarsi a sostenere i consumi è ingannevole perchè non cambia minimamewnte le condizioni che ci hanno portato alla crisi e ci espone solo a possibili maggiori importazioni.Riformare il nostro sistema Italia, rivitalizzare il nostro sistema produttivo ,recuperare competitività e produttività, riprendere ad investire sui settori di eccellenza. spostare il lavoro verso gli impieghi più produttivi sono le condizioni indispensabili per la ripresa. Tutto all'interno di un progetto di maggiore equità perchè anche questo ha delle conseguenze sulla crescita. adriano succi ha detto: Giorgio, purtroppo hai ragione. Se anche si trovasse il modo di aumentare il potere d' acquisto degli Italiani meno abbienti, magari riducendo il cuneo fiscale oppure, per assurdo, stampando carta moneta, si produrrebbe soltanto un pò di euforia. Gli Italiani, perlopiù, comprerebbero estero, perché, purtroppo, tranne pochi settori di solito non tra i più popolari, il prodotto straniero è migliore. Mi spiace dirlo, ma non vedo altra soluzione che rivoltare il Paese come un calzino, cominciando dalla sostituzione di questa classe politica. Nemmeno questo PD, che sarà pesantemente bastonato dalla vicenda MPS, ha il Progetto/Paese indispensabile per fare rinascere l' Italia. *

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Giuseppe, dici: Relativamente poi all'utilizzo dei fondi recuperati penso che una spesa nei confronti dell'innovazione , delle infrastrutture e degli interventi sul territorio ed il welfare siano utili anche perchè intervengono su settori in cui potremmo essere meno esposti alla concorrenza internazionale . Non abbiamo una classe dirigente capace ne di immaginare quella crescita di cui parli, ne tantomeno di gestirla.

Risposto da giorgio varaldo su 25 Gennaio 2013 a 23:20 a parte l'esterofilia malattia endemica italica che ci fa spesso sopravalutare prodotti esteri e sottovalutare i nostri basta andare in un qualsiasi media world per capire per quale motivo un aumento generalizzato del potere di acquisto avrebbe pesanti ricadute negative sull'economia del paese. l'unico modo per far si che il benedetto moltiplicatore sia maggiore dell'unità è quello di fare opere pubbliche per il momento acciaio pietrisco e cemento sono ancora prodotti in italia.. ma sino a che non si modifica il tomo V della costituzione è inutile stanziare capitali per progetti che non potranno esser cantierizzati - se mai lo saranno - prima di un decennio.. tanto vale usare queste somme per ridurre il cuneo fiscale ed il debito pubblico almeno i vantaggi saranno immediati

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 25 Gennaio 2013 a 23:24 Pensavo di averti risposto. Perchè non mi risulta che il lavoro atipico sia lo strumento principale adottato negli altri paesi per abbassare il costo del lavoro e che ove questo succeda non avviene nei termini presenti nella realtà italiana. ( assenza di ammortizzatori sociali adeguati e concentrazione sulle nuove generazioni). Tieni comunque presente che nei Paesi con le situazioni più difficili il clima sociale è infuocato e carico di tensioni che possono degenerare nella violenza politica da un momento all'altro. giorgio varaldo ha detto: ottimo discorso su possibili ricadute negative ma non alla domanda perchèeuropa si italia no.

Risposto da giorgio varaldo su 25 Gennaio 2013 a 23:31 i 4 milioni di contratti tedeschi 800eurojob sono contratti atipici anche se godono di ferie cassa mutua e contributi. meglio un lavoro atipico o nessun lavoro? più che la tipologia è l'assenza di lavoro che può generare tensioni sociali. Giuseppe Ardizzone ha detto: Pensavo di averti risposto. Perchè non mi risulta che il lavoro atipico sia lo strumento principale adottato negli altri paesi per abbassare il costo del lavoro e che ove questo succeda non avviene nei termini presenti nella realtà italiana. ( assenza di ammortizzatori sociali adeguati e concentrazione sulle nuove generazioni). Tieni comunque presente che nei Paesi con le situazioni più difficili il clima sociale è infuocato e carico di tensioni che possono degenerare nella violenza politica da un momento all'altro.

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Risposto da Fabio Colasanti su 25 Gennaio 2013 a 23:35 Giuseppe, i pochi margini disponibili - creati da tagli di spesa ancora da vedere e qualche marginalissimo ritocco fiscale - dovranno servire per ridurre il costo del lavoro, aiutare l'assunzione di giovani, aiutare le imprese che esportano e forse rifinanziare qualche meccanismo di credito agevolato (anche se a me non piacciono). In altre parole tutti i margini fiscali disponibili dovranno essere utilizzzati per ridurre i costi delle imprese e metterle in condizione di funzionare meglio. I bisogni in questo campo superano di varie volte i margini di manovra fiscali possibili. Inoltre nel 2013 avremo un aumento forte della disoccupazione con un inevitabile aumento della spesa per cassa integrazione e simili. Non ci sono margini per sostenere la domanda distribuendo potere d'acquisto tramite la politica sociale o la riforma fiscale. Parlarne non è molto responsabile. Il bilancio del 2013 è già adottato, al massimo il prossimo governo potrà fare dei piccoli cambiamenti marginalissimi (e nella direzione che ho indicato io). Non ci può essere nel 2013 nessun sostegno della domanda interna. Io sono preoccupato da tutti questi grandi annunci. Siamo in campagna elettorale e dobbiamo accettare che tanti straparlino, ma poi il PD dovrà fare un governo e si troverà di fronte agli stessi problemi di fronte ai quali si è trovato Monti. Io sono convinto che un governo PD potrà introdurre un pochino di equità in più (attraverso una riforma fiscale a saldi costanti che entrerà in vigore nel 2014 o 2015)), ma il nuovo governo non potrà trovare soldi dove non ce ne sono. Il nuovo governo non potrà tagliare le spese come sarebbe necessario. Oltre a tutto, abbiamo regole chiare a livello europeo (sezmestre europeo). Se il nuovo governo proponesse spese per sostenere la domanda sarebbe criticato fortemente dalla Commissione e dall'eurogruppo. Nel 2014 forse avremo un pochino di crescita e forse ci potrebbe essere qualche spazio in più. Ma di nuovo dovrebbe essere utilizzato per aumentare la competitività. Il sostegno discrezionale alla domanda interna non sarà possibile nemmeno nel 2014. Ma è lo strumento proprio che non è immaginabile per apesi con finanze pubbliche come quelle italiane. Se ci fosse una nuova recessione, tutti accetterebbero un aiuto alla congiuntura dato attraverso i cosiddetti "stabilizzatori automatici" (sicurezza sociale, che durente una recessione aumenta automaticameente la spesa), ma mai un sostegno discrezionario alla domanda. Non esiste un solo paese al mondo che lo faccia più. Un sostegno discrezionario alla domanda lo puoi considerare se hai un rapporto debito pubblico/PIl del 30-40 per cento (che oggi in Europa hanno ben pochi paesi). Giuseppe Ardizzone ha detto: Cosa vuoi dire esattamente con : "Ma dobbiamo smettere di pensare o far credere che esistano margini per un rilancio autonomo della domanda interna. I margini non ci sono, l'Italia nel passato - certo c'erano le svalutazioni - non ne ha avuto bisogno e gli altri paesi - per esempio Irlanda e Portogallo - stanno uscendo dalla recessione senza nessun sostegno diretto della domanda interna." Mi sembra che quanto stiamo cercando di argomentare sia molto realistico ,verificabile e possibile.

Risposto da adriano succi su 25 Gennaio 2013 a 23:49 Io non ho le competenze di Fabio, e mi limito ad argomentare secondo (mia) logica, anche se poi mi pare di non essere così distante. Per fare ripartire il Paese, occorrerebbe che l' 80% di tutti gli Italiani convergessero su di un Progetto chiaro, rigoroso, coraggioso e di prospettiva.

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Un anno e mezzo fa, è sembrato che Monti avesse la possibilità di fare la "Rivoluzione" etica, prima ancora che politica, sociale ed economica. Non ha avuto il coraggio di andare oltre i primi approcci, finendo per buttare l' occasione storica per l' Italia. Adesso siamo punto e a capo, con una ventina di partiti e partitini a fare le solite cose ed il Partito più importante, che avrebbe avuto su di un piatto d' argento la possibilità di prendere in mano il Paese e riformarlo, ad ondeggiare, cercando di barcamenarsi tra Vendola, Camusso e Ingroia da una parte e Monti e Casini dal' altra. Naturalmente con Grillo che sta già allestendo le munizioni per il prossimo Parlamento. Giuseppe, redistribuire le ricchezze è un bello slogan, ma se non produci PRIMA sviluppo, non riesci a distribuire niente. L' ha detto anche Bersani che una patrimoniale senza sviluppo, non darebbe risultati, perché sarebbe più fumo che arrosto. Purtroppo, nella situazione in cui si trova l' Italia, la politica del "un pò più di questo, un pò più di quello", è troppo poco.

Risposto da Fabio Colasanti su 25 Gennaio 2013 a 23:50 Giuseppe, i paesi che hanno ridotto il costo del lavoro perché in difficoltà (i paesi in crisi attualmente, ma anche la Germania dopo i disavanzi degli anni 1999-2001) hanno tutti ridotto i salari; molto spesso i salari sono stati ridotti in cifra assoluta, in altri casi sono aumentati significativamente di meno di quelli dei paesi concorrenti. Questa è una realtà che in Italia nessuno vuole riconoscere; è un caso di rimozione collettiva di un fatto spiacevole. Questo è stato fatto in alcuni casi - Irlanda - con riduzioni decise nei contratti nazionali e con riduzioni lineari di tutti gli stipendi pubblici (cosa che ha avuto un effetto sui salari privati). Ma molto più spesso attraverso accordi a livello di impresa che hanno permesso riduzioni e modifiche molto sensibili delle pratiche di lavoro. Perfino la Volkswagen era scesa a tre giorni di lavoro alla settimana con riduzione dei salari quasi corrispondente. L'accordo sulla competitività raggiunto in Francia due settimane fa permetterà la stessa cosa anche in Francia. Siamo in campagna elettorale e sarebbe meglio parlassimo d'altro, ma la realtà è quella che è, e dal 1° marzo dovremo confrontarci con lei. Giuseppe Ardizzone ha detto: Pensavo di averti risposto. Perchè non mi risulta che il lavoro atipico sia lo strumento principale adottato negli altri paesi per abbassare il costo del lavoro e che ove questo succeda non avviene nei termini presenti nella realtà italiana. ( assenza di ammortizzatori sociali adeguati e concentrazione sulle nuove generazioni). Tieni comunque presente che nei Paesi con le situazioni più difficili il clima sociale è infuocato e carico di tensioni che possono degenerare nella violenza politica da un momento all'altro. giorgio varaldo ha detto: ottimo discorso su possibili ricadute negative ma non alla domanda perchèeuropa si italia no.

Risposto da Fabio Colasanti su 25 Gennaio 2013 a 23:54 In Italia nel 2010 lavorava il 40.8 per cento della popolazione. In Germania il 49.6 per cento. Grazie anche a questi lavori poco pagati giorgio varaldo ha detto: i 4 milioni di contratti tedeschi 800eurojob sono contratti atipici anche se godono di ferie cassa mutua e contributi.

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meglio un lavoro atipico o nessun lavoro? più che la tipologia è l'assenza di lavoro che può generare tensioni sociali. Giuseppe Ardizzone ha detto: Pensavo di averti risposto. Perchè non mi risulta che il lavoro atipico sia lo strumento principale adottato negli altri paesi per abbassare il costo del lavoro e che ove questo succeda non avviene nei termini presenti nella realtà italiana. ( assenza di ammortizzatori sociali adeguati e concentrazione sulle nuove generazioni). Tieni comunque presente che nei Paesi con le situazioni più difficili il clima sociale è infuocato e carico di tensioni che possono degenerare nella violenza politica da un momento all'altro.

Risposto da Fabio Colasanti su 26 Gennaio 2013 a 0:00 Innovazione. Non facciamoci illusioni. Sarà assolutamente necessario far si che l'economia italiana diventi più innovativa; la crescita della produttività dipende molto da questo. Ma non si possono dar sovvenzioni per l'innovazione, l'innovazione non è qualcosa che si può definire a priori, legare ad un contratto e finanziare con fondi pubblici. L'innovazione dipende essenzialmente da due elementi: a) gli input che vengono dalla ricerca e b) dall'ambiante imprenditoriale in cui operano le imprese. Dove questo ambiente è favorevole è più probabile che qualcuno abbia un'idea originale (molte innovazioni poi non dipendono dai risulati della ricerca scientifica). Quindi per rendere l'economia italiana più innovativa bisogna : 1) spendere più per la ricerca; 2) disboscare le mille regole superflue che rendono difficile per le imprese operare. Io spero che si faccia qualcosa rapidamente in entrambi i casi. Ma chiunque dovrebbe capire (vero Giorgio M.?) che per avere risultati apprezzabili bisognerà aspettare parecchi anni. Riporto la tabella di sintesi dell'Innovation Scoreboard 2011 dell'Unione europa (una nota personale: l'ho fatto costruire io per la prima volta nel 2001 ! )

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Risposto da giorgio varaldo su 26 Gennaio 2013 a 0:16 sul discorso innovazione pesa molto la disastrata giustizia civile. leggo troppe volte la parola ricerca ed innovazione usata a sproposito. se oggi una azienda mette sul mercato un prodotto frutto di ricerca è facile che questo prodotto sia copiato da concorrenti sleali i quali - risparmiando sulle spese di ricerca - possono praticare prezzi inferiori. indire una azione legale significa aspettare anni prima che la giustizia possa fare il suo corso con buone probabilità che emessa una eventuale sentenza di condanna dell'azienda condannata rimanga solo una scatola vuota quindi addio ad un eventuale risarcimento. nel frattempo l'azienda sleale guadagna quella che è stata copiata no e ci rimette pure le spese legali e grazie alle leggi attuali è molto probabile che nessuno sia condannato. colgo l'occasione per far un discorso generale. l'economia di un paese è un sistema complesso nel quale le variabili in gioco sono moltissime e la convenienza ad investire in quel paese è in risultato di un bilancio che prende in considerazione la maggioranza di queste variabili. pertanto è assurdo leggere domande come"quanti nuovi posti di lavoro ha portato la modifica x" quando non si sono modificate le altre condizioni negative.

Risposto da giovanni de sio cesari su 26 Gennaio 2013 a 21:24 Va bene. innovazione, equita fiscale, rilancio della domanda e quanto altro. Ma io che sono poco esperto di economia vorrei fare a te, che invece ne sei esperto, una domanda che mi angoscia fortemente ; ma tutte queste cose e altre ancora potranno fermare il declino? Oppure possono solo limitare qualche conseguenza ma andremo da una crisi a un'altra più grave, da un disastro ad un altro disastro? In altre i termini: per più di due secoli abbiamo avuto uno sviluppo che ci ha resi infinitamente più prosperi e potenti delle altra grandi civiltà: non è forse venuto il tempo in cui il processo si sta invertendo e qualunque cosa facciamo la globalizzazione ci porterà comunque alla decadenza e alla povertà? I nostri figli già vivono peggio di noi, i nostri nipoti vivranno ancora peggio ? Fabio Colasanti ha detto: Innovazione. Non facciamoci illusioni. Sarà assolutamente necessario far si che l'economia italiana diventi più innovativa; la crescita della produttività dipende molto da questo. Ma non si possono dar sovvenzioni per l'innovazione, l'innovazione non è qualcosa che si può definire a priori, legare ad un contratto e finanziare con fondi pubblici. L'innovazione dipende essenzialmente da due elementi: a) gli input che vengono dalla ricerca e b) dall'ambiante imprenditoriale in cui operano le imprese. Dove questo ambiente è favorevole è più probabile che qualcuno abbia un'idea originale (molte innovazioni poi non dipendono dai risulati della ricerca scientifica). Quindi per rendere l'economia italiana più innovativa bisogna : 1) spendere più per la ricerca; 2) disboscare le mille regole superflue che rendono difficile per le imprese operare. Io spero che si faccia qualcosa rapidamente in entrambi i casi. Ma chiunque dovrebbe capire (vero Giorgio M.?) che per avere risultati apprezzabili bisognerà aspettare parecchi anni. Riporto la tabella di sintesi dell'Innovation Scoreboard 2011 dell'Unione europa (una nota personale: l'ho fatto costruire io per la prima volta nel 2001 ! )

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Risposto da adriano succi su 26 Gennaio 2013 a 21:37 Credo che, a differenza di tanti Paesi occidentali che da tempo hanno ottimizzato le loro Società, o perlomeno abbiano iniziato decisamente quel cammino, l' Italia abbia ancora ampi margini di miglioramento. I nostri problemi (che gli altri hanno in misura molto minore) delinquenze, corruzione, inefficienze nel pubblico (ma anche nel privato), il rinnovamento della Politica, una forma stato ormai inadeguata, aspettino di essere presi in carico e progressivamente risolti. Occorre uno sforzo corale , ma soprattutto, un Partito capace di porsi a guida del rinnovamento. giovanni de sio cesari ha detto: Va bene. innovazione, equita fiscale, rilancio della domanda e quanto altro. Ma io che sono poco esperto di economia vorrei fare a te, che invece ne sei esperto, una domanda che mi angoscia fortemente ; ma tutte queste cose e altre ancora potranno fermare il declino? Oppure possono solo limitare qualche conseguenza ma andremo da una crisi a un'altra più grave, da un disastro ad un altro disastro? In altre i termini: per più di due secoli abbiamo avuto uno sviluppo che ci ha resi infinitamente più prosperi e potenti delle altra grandi civiltà: non è forse venuto il tempo in cui il processo si sta invertendo e qualunque cosa facciamo la globalizzazione ci porterà comunque alla decadenza e alla povertà? I nostri figli già vivono peggio di noi , i nostri nipoti vivranno ancora peggio ?

Risposto da Salvatore Venuleo su 26 Gennaio 2013 a 22:07 Purtroppo temo che la domanda, i timori e le angosce di Giovanni (che saluto ancora) abbiano molto fondamento. Opportuno fare manutenzione dell'esistente, ma attrezzandosi al possibile declino e al rischio di un collasso globale. adriano succi ha detto: Credo che, a differenza di tanti Paesi occidentali che da tempo hanno ottimizzato le loro Società, o perlomeno abbiano iniziato decisamente quel cammino, l' Italia abbia ancora ampi margini di miglioramento. I nostri problemi (che gli altri hanno in misura molto minore) delinquenze, corruzione, inefficienze nel pubblico (ma anche nel privato), il rinnovamento della Politica, una forma stato ormai inadeguata, aspettino di essere presi in carico e progressivamente risolti. Occorre uno sforzo corale , ma soprattutto, un Partito capace di porsi a guida del rinnovamento. giovanni de sio cesari ha detto: Va bene. innovazione, equita fiscale, rilancio della domanda e quanto altro. Ma io che sono poco esperto di economia vorrei fare a te, che invece ne sei esperto, una domanda che mi angoscia fortemente ; ma tutte queste cose e altre ancora potranno fermare il declino? Oppure possono solo limitare qualche conseguenza ma andremo da una crisi a un'altra più grave, da un disastro ad un altro disastro? In altre i termini: per più di due secoli abbiamo avuto uno sviluppo che ci ha resi infinitamente più prosperi e potenti delle altra grandi civiltà: non è forse venuto il tempo in cui il processo si sta invertendo e qualunque cosa facciamo la globalizzazione ci porterà comunque alla decadenza e alla povertà? I nostri figli già vivono peggio di noi , i nostri nipoti vivranno ancora peggio ?

Risposto da Fabio Colasanti su 26 Gennaio 2013 a 22:26 Giovanni, la tua domanda è legittima, ma se uno guarda fuori dalle frontiere italiane scopre che c'è speranza. Non bisogna cadere nell'errore di pensare che nel resto del mondo le cose vadano come da noi. Nel resto del mondo le cose vanno

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molto meglio e non possiamo fare a meno di chiederci quali sono le ragioni di questa differenza di risultati. Se facendo certe cose, gli altri crescono, perché da noi non si possono/devono fare? In Italia siamo in crisi da quindici anni. Il tasso di crescita medio dell'economia italiana dal 1998 al 2013 è stato pari a poco meno dello 0.6 per cento all'anno; il tasso di crescita più basso di tutta l'Unione europea. I problemi attuali non sono colpa del governo Monti o anche dell'ultimo governo Berlusconi, sono il risultato di quindici anni di governi incapaci di introdurre in Italia le riforme che sono state introdotte in altri paesi. Berlusconi ha chiaramente - e di gran lunga - la più grande responsabilità, ma i due governi Prodi sono andati nella giusta direzione, ma molto timidamente. Mentre l'Italia è in un quasi coma economico da quindici anni, l'Unione europea ha continuato a crescere. Il tasso medio di crescita dal 1998 al 2013 non è stato molto alto, ma è pur sempre stato dell'1.7 per cento per il resto dell'UE e dell'1.5 per cento per il resto dell'eurozona. Nello stesso periodo gli Stati Uniti sono cresciuti a tassi tra il 2.5 ed il 3.0 per cento. Attualmente, l'economia americana sta crescendo del due e mezzo per cento. Loro se ne lamentano, ma la cifra è più alta dell'obiettivo ambizioso che la Confindustria ha fissato per l'Italia! Mentre quindi il mondo industrializzato ha continuato a crescere - non in maniera rapidissima ma pur sempre a tassi quattro o cinque volte i nostri - il resto del mondo è letteralmente esploso. Il tasso di crescita dell'economia mondiale nei primi dieci anni del secolo è stato il più forte da quando si dispone di statistiche affidabili. A livello mondiale (non all'interno dei paesi) abbiamo visto una riduzione dei divari tra paesi ricchi e paesi poveri spettacolare. L'Asia ha raggiunto tassi di crescita incredibili. La Banca Mondiale ha recentemente rivisto al ribasso il tasso di crescita dell'Asia; lo ha corretto al 7.2 per cento, il tasso più basso degli ultimi dieci anni. L'America Latina è cresciuta in maniera molto forte e perfino l'Africa ha cominciato a registrare tassi di crescita piuttosto buoni, anche se l'Africa sub-sahariana sembra ancora al di fuori dei grossi flussi della globalizzazione. Guardando al di fuori delle noste frontiere - come suggerisce continuamente Federico Rampini che invita i giovani ad andare a conoscere "i paesi dove il cambiamento non è visto come una minaccia, dove si ha ancora la volontà di prendere in mano la propria vita e dove si ha fiducia nel futuro" - si deve arrivare alla conclusione inevitabile che gli spazi per crescere ci sono, eccome. Certo è legittimo porsi delle domande sul lungo periodo. Uno studioso americano, Robert Gordon, ha pubblicato l'anno scorso uno studio dove arriva alla conclusione che la crescita spettacolare che il mondo conosce da due secoli e mezzo (prima non c'era praticamente stata quasi nessuna crescita) è stata determinata da una serie di ondate di innovazioni che potrebbero essersi esaurite. L'Economist ha dedicato un numero al tema, arrivando a conclusioni più positive di quelle di Gordon. Ma anche se Gordon avesse ragione, il problema si porrà tra venti/trenta anni. Al momento, il nostro problema è come avere crescita e occupazione nei prossimi tre/cinque anni; abbiamo un bisogno urgente di migliorare la nostra situazione. Da questo punto di vista il modello che ci deve ispirare è quello dei paesi scandinavi e, più in generale, di quelli del nord Europa. Sono paesi dove la solidarietà sociale è molto più forte che da noi, sono paesi dove chi è povero è aiutato molto, ma molto di più che da noi. Sono paesi dove i salari sono quasi sempre più alti che da noi, ma sono anche paesi che riescono tranquillamente a crescere anche più della media dell'Unione europea. Il declino è un concetto che ha rilevanza per l'Italia. Per il resto del mondo industrializzato si può parlare solo di declino relativo rispetto ad un resto del mondo che cresce a tassi fortissimi. Nella maggioranza dei paesi industrializzati abbiamo un problema di diseguaglianze dei redditi, ma globalmente il mondo industrializzato oggi sta molto meglio di come stava dieci anni fa: ha molta più ricchezza, anche se spesso la divide male. Non sta scritto da nessuna parte che i nostri figli debbano star peggio di noi. Non è così nel resto del mondo industrializzato e non è sicuramente così nei tre quarti restanti del mondo. giovanni de sio cesari ha detto: Va bene. innovazione, equita fiscale, rilancio della domanda e quanto altro. Ma io che sono poco esperto di economia vorrei fare a te, che invece ne sei esperto, una domanda che mi angoscia fortemente ; ma tutte queste cose e altre ancora potranno fermare il declino? Oppure possono solo limitare qualche conseguenza ma andremo da una crisi a un'altra più grave, da un disastro ad un altro disastro? In altre i termini: per più di due secoli abbiamo avuto uno sviluppo che ci ha resi infinitamente più prosperi e potenti delle altra grandi civiltà: non è forse venuto il tempo in cui il processo si sta invertendo e qualunque cosa facciamo la globalizzazione ci porterà comunque alla decadenza e alla povertà?

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I nostri figli già vivono peggio di noi , i nostri nipoti vivranno ancora peggio ?

Risposto da Fabio Colasanti su 26 Gennaio 2013 a 22:43 Giuseppe, se oggi viviamo meglio che al tempo dei romani questo è dovuto alla competizione nel corso dei secoli tra tutti quelli che hanno prodotto un bene o offerto un servizio. La concorrenza tra milioni e poi miliardi di persone attive nella vita economica e nella società è quello che ha provocato e provoca il progresso tecnico e lo sviluppo. Se i rettangoli dovessero diventare tutti uguali - cosa praticamente impossibile - non cambierebbero più le posizioni relative, ma se tutti i rettangoli fossero bassi, declineremmo tutti progressivamente, se i rettangoli fossero alti progrediremo tutti assieme. Ma oltre a questa considerazione fondamentale io non riesco ad accettare il pessimismo che conduce a dire che noi italiani saremmo costituzionalmente incapaci di produrre beni e servizi di qualità e quindi di reggere la concorrenza internazionale. Che non potessimo competere con i cinesi nella produzione di magliette lo abbiamo riconosciuto trenta anni fa quando l'Italia ha cominciato a lavorare per la creazione di un'unione monetaria. Purtroppo mentre gli economisti, gli specialisti e chiunque avesse esperienza del problema si rendeva conto che l'Italia doveva diventare sempre più un paese produttore di beni ad alta tecnologia, ad alta qualità ed alto valore aggiunto, nell'immagine popolare l'Italia è diventata un paese agricolo e un paese dell'artigianato, cosa che non è mai stata (o meglio lo è stata quando era un paese alla fame). Le esportazioni di vini, formaggi, olio e altri prodotti cosiddetti "tradizionali" non raggiungono il sei per cento del totale delle esportazioni italiane. Ma tanti nel nostro circolo non sembrano volerlo accettare o riconoscere. (Salvatore e Giuseppe, li possiamo chiamare "conservatori" ?) Ci sono tante realtà che dimostrano che possiamo avere successo, bisogna allargarle e prenderle come esempio. Guarda cosa producono ed esportano le imprese attive nelle zona colpita dal terremoto dell'Emilia Romagna. Non dimenticare che l'Italia è, dopo la Germania, il secondo produttore in Europa di macchinari industriali. Giuseppe Picciolo ha detto: Quello che non mi convince è il concetto di competizione. Le cose che dice Fabio e che l'Italia dovrebbe fare sono giustissime. Ma le fanno pure gli altri. Voglio dire, se faccio una corsa con Salvatore e lui va a 90, allora anche io devo andare almenio a 90. E se poi Salvatore accelera? Devo accelerare pure io. Ma se alla fine uno dei due deve vincere, l'altro sicuramente deve perdere. E non c'è nessuna ragione per escludere che possa essere io il perdente. Spendere più per la ricerca, dice Fabio. Non basta per vincere, dobbiamo spendere più degli altri e sperare di essere più intelligenti o più fortunati degli altri. Ma gli altri, i nostri concorrenti, mica sono degli stupidotti. Si dice: "Non possiamo competere con i cinesi nella produzione di magliette". E in produzione di alta tecnologia si? Nel grafico sopra. Quando tutti i rettangoli saranno allo stesso livello, che succederà?

Risposto da Fabio Colasanti su 26 Gennaio 2013 a 23:10 Giuseppe, una volta di più travisi il concetto di competizione. La competizione che ha prodotto il progresso non ha nulla a che vedere con le guerre e le rapine, al contrario la competizione che ha prodotto progresso si è affermata soprattutto li dove c'era pace e stabilità. Durante l'impero romano si sono sviluppate le tecniche di per la produzione di mille cose e, soprattutto, i lavoratori si sono specializzati ed è cominciata la globalizzazione. Un artigiano nel paese "A" produceva chiodi e li vendeva in tutta la zona; un'altro produceva sedie e le vendeva altrettanto nella stessa regione, un altro produceva bicchieri e così via. Quando l'impero romano è caduto, questa globalizzazione si è bloccata e tutti hanno dovuto produrre tutto sul posto: quando ci riuscivano i costi erano molto più alti e spesso non ci riuscivano proprio. Questo ha portato all'impoverimento del Medio Evo, all'abbandono delle città e ai passi indietro che hanno fatto si che ci siano voluti più

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di mille anni perchè, per esempio, nel campo delle costruzioni edili si ritornasso al livello di capacità che aveva permesso la costruzione del Pantheon o di Hagia Sofia. Credo che nello sviluppo economico che il mondo ha conosciuto negli ultimi due secoli e mezzo, il ruolo delle participazioni statali italiane negli anni 50 e 60 non sia stato molto significativo. Giuseppe Picciolo ha detto: Al tempo dei romani e anche dopo alcuni si prendevano anche le cose degli altri. per molto tempo la competizione si faceva più con le arni che con il mercato. Poi alcuni paesi liberi, liberali, democratici più o meno hanno cominciato a competere tra di loro anche nel procurarsi le risorse a spese di chi era escluso dalla competizione, i più. E senza farsi mancare qualche guerra per risolvere problemi di competizione economica. Il mio pessimismo nasce da questo. Non abbiamo sufficienti testimonianze storiche di cosa succede quando tutti competono alla pari. Per quanto riguarda l'Italia ne abbiamo già parlato. Molta parte dello sviluppo è stato realizzato con una cosa che non era esattamente la libera concorrenza. E' stato un limite o una risorsa? Io non lo so.

Risposto da giorgio varaldo su 26 Gennaio 2013 a 23:12 dovremmo aver tutti lo spirito del biker che quando si vede superato da una altra moto apre immediatamente il gas!. siamo un paese povero di energia senza materie prime ma con enormi capacità. abbiamo rinunciato a far le t-shirt senza reagire adagiandoci senza reagire - anzi qualcuno ci ha pure lucrato - sul dato costo del lavoro. occorre reagire a tutte le sfide anche quando sembrano impossibili. voglio portare un esempio pratico di quanto possa influire il fattore umano su prodotti ritenuti poveri. un tipico acciaio commerciale è il C40 prodotto in qualsiasi acciaieria del mondo lo si usa per impieghi comuni e costa attorno ai 250 euro a tonnellata (prezzo di poco superiore a quello del rottame).. l'acciaio FP40 ha la stessa composizione chimica quindi lo stesso costo in materie prime del C40 ma deve poter essere trafilato in fili del diametro di 10 micron in matasse lunghe decine di km senza spezzarsi in quanto si usa per le carcasse dei pneumatici. per produrlo occorre rispettare severissime pratiche operative che solo maestranze altamente qualificate riescono a rispettare e viene venduto ad un prezzo di almeno 20 volte quello del C40 quindi presenta un elevatissimo valore aggiunto. la nostra siderurgia è altamente qualificata e - magistratura permettendo - riesce a produrre ed esportare queste tipologie di prodotti (più di qualche esterofilo non immaginerebbe mai che l'acciaio per gli alberi motori e degli ingranaggi per i cambi di mercedes audi e BMW sono prodotti in italia) . abbiamo le capacità di eccellere in tutti i campi basta aver coraggio ed accettare le sfide.

Risposto da giorgio varaldo su 26 Gennaio 2013 a 23:30 non esiste limite al concetto competizione. vedi ad esempio le fabbriche automobilistiche del patto di varsavia dove la competizione non esisteva. non è vero che fossero prive di tradizioni industriali le fabbriche tedesche rimaste nella DDR sino al 1939 erano all'avanguardia poi durante il regime socialista mentre quelle occidentali sulla spinta della concorrenza producevano auto sempre più confortevoli e meno inquinanti in DDR erano rimasti alla puzzolentissima ed inquinntissima trabby. certo la concorrenza non consente di adagiarsi sugli allori e mettendo in competizione le persone ci sarà chi emerge e chi rimane indietro. ma anche chi nella repubblica federale di germania rimaneva indietro godeva di un tenore di vita ben superiore al suo collega DDR....

Risposto da adriano succi su 26 Gennaio 2013 a 23:40

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Se credessi nella ineluttabilità del declino Italiano, mi comprerei una casetta in Provenza ed eviterei di incavolarmi quotidianamente per le storture di questo Paese. Ma , dato che, pur con la scarsa stima che provo per l' italiota medio, voglio continuare a credere che i nostri guai siano TUTTI superabili, non mi voglio arrendere, se non proprio per me, che magari la soluzione ce l' avrei, per quelli dopo di me. Ho fatto più volte l' elenco delle zavorre che ci impediscono di crescere, non tanto per una sorta di spirito di competizione con gli altri Paesi, ma perché "se si sta meglio, si vive anche meglio". E allora continuo a prendermela, non tanto con i disonesti e gli imbroglioni di professione che, in fin dei conti, fanno il loro mestiere, ma con quelli che potrebbero, anche se non si pretende la perfezione, con qualche errore in meno, aiutarci a ripartire. Salvatore Venuleo ha detto: Purtroppo temo che la domanda, i timori e le angosce di Giovanni (che saluto ancora) abbiano molto fondamento. Opportuno fare manutenzione dell'esistente, ma attrezzandosi al possibile declino e al rischio di un collasso globale. adriano succi ha detto: Credo che, a differenza di tanti Paesi occidentali che da tempo hanno ottimizzato le loro Società, o perlomeno abbiano iniziato decisamente quel cammino, l' Italia abbia ancora ampi margini di miglioramento. I nostri problemi (che gli altri hanno in misura molto minore) delinquenze, corruzione, inefficienze nel pubblico (ma anche nel privato), il rinnovamento della Politica, una forma stato ormai inadeguata, aspettino di essere presi in carico e progressivamente risolti. Occorre uno sforzo corale , ma soprattutto, un Partito capace di porsi a guida del rinnovamento. giovanni de sio cesari ha detto: Va bene. innovazione, equita fiscale, rilancio della domanda e quanto altro. Ma io che sono poco esperto di economia vorrei fare a te, che invece ne sei esperto, una domanda che mi angoscia fortemente ; ma tutte queste cose e altre ancora potranno fermare il declino? Oppure possono solo limitare qualche conseguenza ma andremo da una crisi a un'altra più grave, da un disastro ad un altro disastro? In altre i termini: per più di due secoli abbiamo avuto uno sviluppo che ci ha resi infinitamente più prosperi e potenti delle altra grandi civiltà: non è forse venuto il tempo in cui il processo si sta invertendo e qualunque cosa facciamo la globalizzazione ci porterà comunque alla decadenza e alla povertà? I nostri figli già vivono peggio di noi , i nostri nipoti vivranno ancora peggio ?

Risposto da giorgio varaldo su 26 Gennaio 2013 a 23:49 il tuo concetto di competizione si basa sul principio che esistono solo pesci carnivori quindi per sopravvivere il pesce grosso deve mangiare il pesce piccolo. nella realtà i pesci sono in massima parte erbivori quindi tanti pesci piccoli possono crescere senza doversi mangiar l'un l'altro. a parte le considerazioni riguardanti il nostro vantaggio attuale in termini di know how (consiglio di leggere il libro di ermanno rea la dismissione editore rizzoli) nel futuro ben vengano le migliorie di un miliardo e mezzo di cinesi per noi europei sarà uno sprono a non fermarci. Giuseppe Picciolo ha detto: Sempre per criticare il concetto di competizione senza nulla togliere alla verità di ciò che dici. Se in Italia, su 50 milioni di abitanti ce ne sono diciamo mille(?) che possiedono le capacità che tu dici, figurati in Cina su un miliardo e mezzo.

Risposto da Fabio Colasanti su 27 Gennaio 2013 a 0:29

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Giuseppe, il fatto che tutti cerchiamo di raggiungere il "primo" è quello che ha dato il progresso tecnico e lo sviluppo economico che conosciamo. E' quasi unicamente grazie alla competizione che abbiamo oggi auto migliori, computer più effcienti, medicine più efficaci, aerei più sicuri, prodotti che consumano meno energiia e così via. Come Giorgio ha ricordato li dove non c'è competizione tutto si ferma o funziona male (guarda il caso dei paesi ad economia di stato del Comecom citato da Giorgio o gran parte del nostro settore pubblico dove cè ben poca competizione). Il fatto che io riesca a scoprire una medicina più efficace di un'altra per curare una certa malattia non dipende dal fatto che io vada di notte a sabotare i laboratori dei concorrenti. I miei successi non dipendono dagli insuccessi degli altri. E non è importante poi avere il rettangolo più alto, ma bisogna avere un rettangolo che non sia nullo. Lo sviluppo economico non è un gioco a somma zero. Se la Cina e gli Stati Uniti crescono fortemente questo aiuta la crescita in Europa, non la deprime. Considerando dove siamo adesso sarebbe già un ottimo risultato per l'Italia avere un tasso di crescita dell'uno e mezzo o due per cento. Che il resto dell'Europa cresca al quattro per cento può solo aiutarci. Le importazioni e le esportazioni mondiali crescono di solito ad un tasso doppio di quello del PIL. Quindi attualmente la quantità totale del commercio mondiale cresce a tassi del 6-8 per cento. Già semplicemente mantenere la nostra quota di mercato ci darebbe vantaggi enormi in termini di occupazione e crescita. Ma possiamo far meglio. La competizione è la base dello sviluppo. So che ci sono alcuni che predicano un'economia basata sulla "cooperazione". Per me sono la versione attuale dei figli dei fiori. Giuseppe Picciolo ha detto: Alt. Io non dico che l'Italia sarebbe incapace di.. Non ne faccio una questione di Italia o altri paesi. Parlo del concetto di competizione. Se tu cerchi altri 100 grafici che si riferiscono a fenomeni economici avrai in tutti una figura simile a quella del grafico che hai postato. Lo dici anche tu che è altamente improbabile che i rettangoli siano tutti alla stessa altezza. Ma nello stesso tempo dici che dovremmo tendere a raggiungere l'altezza del primo. Ma c'è un tuo collega in ogni altro paese che dice la stessa cosa. Il sospetto mio è che uno può avere il rettangolo alto perché un altro ha il rettangolo basso. E' una critica al concetto di competizione.

Risposto da Fabio Colasanti su 27 Gennaio 2013 a 10:22 Un commento sui piani di CGIL e Confindustria. http://www.corriere.it/editoriali/13_gennaio_26/non-e-facile-dire-c...

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 27 Gennaio 2013 a 17:28 Nessuno nega che la possibilità dei lavori atipici permetta complessivamente un maggior utilizzo della forza lavoro e quindi maggiore occupazione . Quello che non è accettabile è la sistematizzazione dell'utilizzo della precarizzazione del lavoro per sostituire il più possibile il lavoro ordinario. Questo comporta conseguenze sul piano industriale e sociale. Là dove la diffusa precarizzazione priva di adeguati ammortizzatori sostituisce ( come accade oggi nella fascia giovanile) il lavoro ordinario queste persone non sono in grado di programmare la loro vita ed inoltre le stesse aziende hannno unm danno nella difficoltà ad investire nel futuro della risorsa lavoro. Il conto economico postivo di un esercizio si trasformerà nell'inevitabile declino a lungo periodo. Fabio Colasanti ha detto: In Italia nel 2010 lavorava il 40.8 per cento della popolazione. In Germania il 49.6 per cento. Grazie anche a questi lavori poco pagati

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Risposto da giorgio varaldo su 27 Gennaio 2013 a 18:35 sarò culturalmente limitato ma non riesco a capire quale possa essere l'obiettivo di chi come giuseppe p si dichiara contro la competizione ne di quale tipo di società possa essere quella priva di ogni spirito competitivo. magari una società nella quale le partite di calcio terminano per legge sul pari?

Risposto da giorgio varaldo su 27 Gennaio 2013 a 18:37 sarebbe piuttosto difficile ipotizzare aziende di punta come ferrari o ducati ricorrere a personale preso da ADECCO per i meccanici della squadra corse. Giuseppe Picciolo ha detto: Non sono neanche tanto sicuro che le aziende abbiano interesse ad investire nel futuro della risorsa lavoro. La tendenza mi sembra piuttosto verso aziende senza lavoratori propri, alla separazione tra azienda e lavoratore.

Risposto da Fabio Colasanti su 27 Gennaio 2013 a 18:50 Giuseppe, c'è un malinteso di fondo sul funzionamento del mercato del lavoro che è rinforzato dall'utilizzo di termini molto idologici. Credo che si possa essere tutti d'accordo che nel mondo esiste una varietà di situazioni dal punto di vista della possibilità di pagare più o meno per un certo lavoro e dal punto di vista del prendere un impegno temporale sulla durata del rapporto di lavoro. Un'impresa con margini alti può permettersi di pagare stipendi alti, un'impresa nei servizi con attività non molto reddititizie potrà pagare solo stipendi bassi. Nella stessa maniera, un'impresa con prospettive di mercato sicure potrà assumere persone pensando di tenerle per molti anni, un'impresa che opera in un settore più volatile sa che forse dovrà ridurre l'occupazione in caso di rallentamento delle vendite. Esiste quindi una varietà continua di situazioni quanto al livello degli stipendi che le imprese possono pagare e un altra quanto alla stabilità del rapporto di lavoro che possono offrire. Questa è la sutuazione dal punto di vista dei datori di lavoro. Ma in una società solidare vogliamo che le persone abbiano la garanzia di un reddito minimo e la garanzia di una continuità nel tempo della percezione di questo reddito. C'è quindi una diversità oggettiva tra le esigenze dell'economia e le esigenze degli individui. Esistono due maniere di risolvere questo divario: a) una - molto influenzata dalla realtà industriale degli anni sessanta e settanta - che ancora prevale nel sud Europa che cerca di risolvere questo divario imponendo obblighi alle imprese (e che poi chiude gli occhi sulla reazione assolutamente logica di queste ultime). b) una - molto più intelligente e utilizzata dai paesi del nord Europa - che, riconoscendo che la prima provoca un risultato insoddisfacente in termini di occupazione - risolve il divario a carico della collettività. Imporre degli obblighi alle imprese in termini della durata dei contratti di lavoro o del livello dei salari fa si che il numero delle persone occupate sia inferiore a quello che potrebbe essere. Di fronte ad un obbligo di tenere le persone (o di affrontare costi molto alti per il loro licenziamento) una parte delle imprese con prospettive incerte correrà il rischio e farà assunzioni lostesso, ma molte imprese preferiranno lasciar perdere. Nella stessa maniera, di fronte a minimi salariali imposti, molte imprese che non hanno produzioni a grande valore aggiunto rinunceranno ad

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assumere. Queste "rinunce", queste possibilità di occupazione perse rischiano di apparire in maniera massiccia nei servizi e soprattutto nei servizi personali. Riconoscendo che il sistema degli obblighi - considerato normale in tanta parte del sud Europa - riduce fortemente il livello di occupazione possibile, i paesi del nord Europa hanno assunto a carico della collettività la garanzia nel tempo del reddito - permettendo alle imprese di licenziare se ne hanno bisogno - e anche la garanzia del livello di reddito (vedi i 4.9 milioni di occupati a 450 euro al mese in Germania). Gli ammortizzatori sociali di questi paesi garantiscono un reddito a chi perde il lavoro e integrano il reddito di chi riceve un salario basso. Questo certamente costa molto alle casse dello stato, ma è finanziato dal fatto che molte, ma molte più persone lavorano. 41 per cento della popolazione di persone occupate in Italia e 49 per cento in Germania significa il 20 per cento circa di occupati in più ! Nei paesi scandinavi i tassi di occupazione sono i più alti d'Europa, ancora più alti di quello tedesco. I tassi di occupazione più bassi dell'Ue sono nel sud Europa che sembra non essersi accorto di questo fenomeno. Passo poi ad un'altra considerazione che tu fai quando parli di difesa del lavoro "ordinario" rsipetto a quello "precarizzato" (termine che considero "ideologico"). Il livello generale dei salari e la maggiore o minore stabilità dei posti di lavoro non dipendono da regole amministrative o legali, dipendono dalle condizioni generali dell'economia. In un'economia dinamica che cresce, i salari saranno più alti e tenderanno a crescere. In un'economia dinamica che cresce, i posti di lavoro saranno più stabili (a parte evidentemente i lavori stagionali). In Danimarca chiunque può essere licenziato dall'oggi al domani senza particolari procedure. Ma le imprese non si sognano nemmeno di licenziare se non è assolutamente necessario; licenziare lavoratori e assumerne altri ha sempre costi molto alti (formazione, organizzazione del lavoro, ricreazione di un patrimonio di conoscenze tacite, ecc.) indipendentemente da quelli imposti da eventuali leggi. I concetti di lavoro "ordinario" e lavoro "precarizzato" non hanno senso nel nord Europa. Dove le economie vanno bene, la gente lavora trenta anni o tutta la vita con la stessa ditta in un rapporto di lavoro che in Italia sarebbe definito "precarizzato". In Italia abbiamo grosse difficoltà ad accettare questa logica - non ostante che sia molto chiara e forte - a causa dell'inesistenza di ammortizzatori sociali e di servizi sociali adeguati. In Italia la spesa sociale è stata tutta convogliata in un sistema pensionistico troppo generoso (fino alle riforme recenti). Come ho ricordato varie volte, negli ultimi trenta anni non ci sono state grandi battaglie sindacali per la creazione di un sistema di amortizzatori sociali. I nostri sindacati hanno dimostrato di fare gli interessi di chi era già occupato e non di chi era fuori dal mercato del lavoro (e poi hanno difeso il sistema della cassa integrazione che da loro una visibilità e un ruolo politico ingiustificati). Ma la realtà rimane quella che è. Riconosco che l'assenza di ammortizzatori sociali è un problema, ma l'assenza di ammortizzatori sociali non rende meno assurda e illogica l'imposizione di regole amministrative o legislative che portano ad una forte diminuzione dell'occupazione potenziale. Giuseppe Ardizzone ha detto: Nessuno nega che la possibilità dei lavori atipici permetta complessivamente un maggior utilizzo della forza lavoro e quindi maggiore occupazione . Quello che non è accettabile è la sistematizzazione dell'utilizzo della precarizzazione del lavoro per sostituire il più possibile il lavoro ordinario. Questo comporta conseguenze sul piano industriale e sociale. Là dove la diffusa precarizzazione priva di adeguati ammortizzatori sostituisce ( come accade oggi nella fascia giovanile) il lavoro ordinario queste persone non sono in grado di programmare la loro vita ed inoltre le stesse aziende hannno unm danno nella difficoltà ad investire nel futuro della risorsa lavoro. Il conto economico postivo di un esercizio si trasformerà nell'inevitabile declino a lungo periodo.

Risposto da Salvatore Venuleo su 27 Gennaio 2013 a 19:07 Una semplice domanda a completamento del commento di Fabio che sostanzialmente condivido. La domanda è: le imprese italiane (forse "distratte" da altre modalità di profitto) dimostrano di essere in grado di valutare le "risorse umane" da ingaggiare e da coltivare?

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La mia impressione è di una specifica debolezza della imprenditoria italiana in questo (sapendo di non poter generalizzare, ma neanche di cavarmela col "dipende"). Perciò mi era capitato di parlare del bisogno di una formazione per gli imprenditori. Non nel senso banale di proporre loro un corsetto, ovviamente. Fabio Colasanti ha detto: Giuseppe, c'è un malinteso di fondo sul funzionamento del mercato del lavoro che è rinforzato dall'utilizzo di termini molto idologici. Credo che si possa essere tutti d'accordo che nel mondo esiste una varietà di situazioni dal punto di vista della possibilità di pagare più o meno per un certo lavoro e dal punto di vista del prendere un impegno temporale sulla durata del rapporto di lavoro. Un'impresa con margini alti può permettersi di pagare stipendi alti, un'impresa nei servizi con attività non molto reddititizie potrà pagare solo stipendi bassi. Nella stessa maniera, un'impresa con prospettive di mercato sicure potrà assumere persone pensando di tenerle per molti anni, un'impresa che opera in un settore più volatile sa che forse dovrà ridurre l'occupazione in caso di rallentamento delle vendite. Esiste quindi una varietà continua di situazioni quanto al livello degli stipendi che le imprese possono pagare e un altra quanto alla stabilità del rapporto di lavoro che possono offrire. Questa è la sutuazione dal punto di vista dei datori di lavoro. Ma in una società solidare vogliamo che le persone abbiano la garanzia di un reddito minimo e la garanzia di una continuità nel tempo della percezione di questo reddito. C'è quindi una diversità oggettiva tra le esigenze dell'economia e le esigenze degli individui. Esistono due maniere di risolvere questo divario: a) una - molto influenzata dalla realtà industriale degli anni sessanta e settanta - che ancora prevale nel sud Europa che cerca di risolvere questo divario imponendo obblighi alle imprese (e che poi chiude gli occhi sulla reazione assolutamente logica di queste ultime). b) una - molto più intelligente e utilizzata dai paesi del nord Europa - che, riconoscendo che la prima provoca un risultato insoddisfacente in termini di occupazione - risolve il divario a carico della collettività. Imporre degli obblighi alle imprese in termini della durata dei contratti di lavoro o del livello dei salari fa si che il numero delle persone occupate sia inferiore a quello che potrebbe essere. Di fronte ad un obbligo di tenere le persone (o di affrontare costi molto alti per il loro licanziamento) una parte delle imprese con prospettive incerte correrà il rischio e farà assunzioni lostesso, ma molte imprese preferiranno lasciar perdere. Nella stessa maniera, di fronte a minimi salariali imposti, molte imprese che non hanno produzioni a grande valore aggiunto rinunceranno ad assumere. Queste "rinunce", queste possibilità di occupazione perse rischiano di apparire in maniera massiccia nei servizi e soprattutto nei servizi personali. Riconoscendo che il sistema degli obblighi - considerato normale in tanta parte del sud Europa - riduce fortemente il livello di occupazione possibile, i paesi del nord Europa hanno assunto a carico della collettività la garanzia nel tempo del reddito - permettendo alle imprese di licenziare se ne hanno bisogno - e anche la garanzia del livello di reddito (vedi i 4.9 milioni di occupati a 450 euro al mese in Germania). Gli ammortizzatori sociali di questi paesi garantiscono un reddito a chi perde il lavoro e integrano il reddito di chi riceve un salario basso. Questo certamente costa molto alle casse dello stato, ma è finanziato dal fatto che molte, ma molte più persone lavorano. 41 per cento della popolazione di persone occupate in Italia e 49 per cento in Germania significa il 20 per cento circa di occupati in più ! Nei paesi scandinavi i tassi di occupazione sono i più alti d'Europa, ancora più alti di quello tedesco. I tassi di occupazione più bassi dell'Ue sono nel sud Europa che sembra non essersi accorto di questo fenomeno. Passo poi ad un'altra considerazione che tu fai quando parli di difesa del lavoro "ordinario" rsipetto a quello "precarizzato" (termine che considero "ideologico"). Il livello generale dei salari e la maggiore o minore stabilità dei posti di lavoro non dipendono da regole amministrative o legali, dipendono dalle condizioni generali dell'economia. In un'economia dinamica che cresce, i salari saranno più alti e tenderanno a crescere. In un'economia dinamica che cresce, i posti di lavoro saranno più stabili (a parte evidentemente i lavori stagionali). In Danimarca chiunque può essere licenziato dall'oggi al domani senza particolari procedure. Ma le imprese non si sognano nemmeno di licenziare se non è assolutamente necessario; licenziare lavoratori e assumerne altri ha sempre costi molto alti (formazione, organizzazione del lavoro, ricreazione di un patrimonio di conoscenze tacite, ecc)

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indipendentemente da quelli imposti da eventuali leggi. I concetti di lavoro "ordinario" e lavoro "precarizzato" non hanno senso nel nord Europa. Dove le economie vanno bene, la gente lavora a volte trenta anni o tutta la vita con la stessa ditta in un rapporto di lavoro che molti in Italia chiamerebbero "precarizzato". In Italia abbiamo grosse difficoltà ad accettare questa logica - non ostante che sia molto chiara e forte - a causa dell'inesistenza di ammortizzatori sociali e di servizi sociali adeguati. In Italia la spesa sociale è stata tutta convogliata in un sistema pensionistico troppo generoso (fino alle riforme recenti). Come ho ricordato varie volte, negli ultimi trentaanni non ci sono state grandi battaglie sindacali per la creazione di un sistema di amortizzatori sociali. I nostri sindacati hanno dimostrato di fare gli interessi di chi era già occupato e non di chi era fuori dal mercato del lavoro (e poi hanno difeso il sistema della cassa integrazione che da loro una visibilità e un ruolo politico ingiustificati). Ma la realtà rimane quella che è. Riconosco che l'assenza di ammortizzatori sociali è un problema, ma l'assenza di ammortizzatori sociali non rende meno assurda e illogica l'imposizione di regole amministrative o legislative che portano ad una forte diminuzione dell'occupazione potenziale. Giuseppe Ardizzone ha detto: Nessuno nega che la possibilità dei lavori atipici permetta complessivamente un maggior utilizzo della forza lavoro e quindi maggiore occupazione . Quello che non è accettabile è la sistematizzazione dell'utilizzo della precarizzazione del lavoro per sostituire il più possibile il lavoro ordinario. Questo comporta conseguenze sul piano industriale e sociale. Là dove la diffusa precarizzazione priva di adeguati ammortizzatori sostituisce ( come accade oggi nella fascia giovanile) il lavoro ordinario queste persone non sono in grado di programmare la loro vita ed inoltre le stesse aziende hannno unm danno nella difficoltà ad investire nel futuro della risorsa lavoro. Il conto economico postivo di un esercizio si trasformerà nell'inevitabile declino a lungo periodo.

Risposto da giorgio varaldo su 27 Gennaio 2013 a 19:08 le aziende assumono per soddisfare gli ordini e su questo punto penso che anche giuseppe p possa esser d'accordo. chi ha un minimo di esperienza di fabbrica sa che il flusso degli ordinativi è variabile nel tempo. quale criterio segue una azienda per definire il numero delle proprie maestranze? in un sistema regolato dalla flessibilità e dalla flexsecurity l'azienda può assumere in base alle punte di ordinativi e quando questi diminuiscono ricorrere ad accordi di riduzione dell'orario e dello stipendio e se la diminuzione è pesante può licenziare il personale in esubero - che è coperto dal welfare. in un sistema rigido senza flexsecurity una azienda assumerà il personale in modo da soddisfare il carico medio di ordini ed in presenza di punte di ordinativi se la legislazione lo permette fa ricorso a personale assunto a tempo determinato. una azienda ha sempre bisogno di un numero fisso di dipendenti in quanto questo nucleo costituisce il know-how aziendale e difficilmente reperibile nei lavoratori a tempo determinato e l'importanza di questo nocciolo duro è funzione del contenuto tecnologico aziendale. nel caso da me citato dell'acciaieria che produce l'FP40 le possibilità di utilizzare manodopera a chiamata è estremamente limitata mentre per un ristorante per lavar piatti va benissimo anche un lavoratore privo di esperienza specifica.. quindi in paesi come il nostro dove nonostante la riforma fornero la legislazione del lavoro è rigida e non esiste la flexsecurity le aziende assumono a tempo determinato solo quando non possono farne a meno mentre la situazione dei paesi dove la legislazione del lavoro è meno rigida e dove il welfare è più forte le assunzioni a tempo indeterminato sono la norma. ne consegue che provvedimenti di sgravi fiscali per le aziende che assumono a tempo indeterminato in presenza di una rigida legislazione sul lavoro rischiano di non produrre effetto alcuno. riguardo poi all'idea di giuseppe picciolo sulle aziende future senza personale proprio queste preoccupazioni - per le motivazioni sopra riportate - le possono avere solo coloro che non hanno nessuna esperienza aziendale. Giuseppe Ardizzone ha detto: Nessuno nega che la possibilità dei lavori atipici permetta complessivamente un maggior utilizzo della forza lavoro e quindi maggiore occupazione . Quello che non è accettabile è la sistematizzazione dell'utilizzo della precarizzazione del lavoro per sostituire il più possibile il lavoro ordinario. Questo comporta conseguenze sul piano industriale e sociale. Là dove la diffusa precarizzazione priva di adeguati ammortizzatori sostituisce ( come accade oggi nella fascia giovanile)

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il lavoro ordinario queste persone non sono in grado di programmare la loro vita ed inoltre le stesse aziende hannno unm danno nella difficoltà ad investire nel futuro della risorsa lavoro. Il conto economico postivo di un esercizio si trasformerà nell'inevitabile declino a lungo periodo.

Risposto da Fabio Colasanti su 27 Gennaio 2013 a 19:18 Salvatore, non lo so. Non vedo perchè, a priori, le imprese italiane dovrebbero comportarsi in maniera diversa. Forse le diversità sono le stesse che si ritrovano tra le popolazioni di vari paesi (diversità di valori etici, di senso di responsabilità, di necessità di contribuire ad uno scopo comune, ecc.) Salvatore Venuleo ha detto: Una semplice domanda a completamento del commento di Fabio che sostanzialmente condivido. La domanda è: le imprese italiane (forse "distratte" da altre modalità di profitto) dimostrano di essere in grado di valutare le "risorse umane" da ingaggiare e da coltivare? La mia impressione è di una specifica debolezza della imprenditoria italiana in questo (sapendo di non poter generalizzare, ma neanche di cavarmela col "dipende"). Perciò mi era capitato di parlare del bisogno di una formazione per gli imprenditori. Non nel senso banale di proporre loro un corsetto, ovviamente.

Risposto da Giorgio Mauri su 27 Gennaio 2013 a 19:21 Le aziende vanno tolte agli imprenditori incapaci, perché costoro sono, nella stragrande maggioranza dei casi, figli senza capacità che usano l'azienda in maniera strumentale, senza passione, e senza senso civico. Non sono d'accordo con chi propone corsi per imprenditori, sia perché li conosco e sono peggio degli imprenditori stessi, sia perché un imprenditore non si forma: o ci nasce o niente ! Non sono d'accordo con le aziende che nascono e prosperano solo per agganci politici, come invece accade alla stragrande maggioranza delle aziende italiane. Non siamo competitivi perché in Italia non è la qualità che vince, ma il reticolo delle conoscenze. E' questo il vero male della collusione, al di là della presenza o meno di mazzette. Instaurerei una prassi per evitare mazzette fuori legge, riconoscendo a chi firma un contratto un compenso (in forma di premio in busta paga). Rendendo tutto ufficiale si potrebbe poi essere molto più duri nel punire le trasgressioni, che diventerebbero inferiori anche perché esisterebbe una strada alternativa, legale, sicura.

Risposto da Fabio Colasanti su 27 Gennaio 2013 a 19:23 Mi sembra una discussione oziosa. Ogni impresa preferibbe operare in un settore con alti margini e con prospettive stabili di vendita. Tutti starebbero meglio e sarebbe più semplice e utile investire sulle risorse umane Ma le imprese operano nella realtà in cui ci troviamo. Se le prospettive di vendita sono incerte, e i costi dei licenziamenti altissimi, le imprese razionalmente investiranno in contratti a durata determinata anche se questo significca che non vale la pena di fare grossi investimenti nella formazione della forza lavoro. Nessuno fa scientemente qualcosa contro i propri interesi. Giuseppe Picciolo ha detto: Del resto è evidente nell'affermazione di Giuseppe Ardizzone: le stesse aziende hannno un danno nella difficoltà ad investire nel futuro della risorsa lavoro. Ma allora perché lo fanno (ricorrere al lavoro precario)? Non capiscono? Non si rendono conto? Non credo. Evidentemente calcolano di non averne un danno.

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Risposto da giovanni de sio cesari su 27 Gennaio 2013 a 19:23 La tua chiara e documentata risposta mi conforta nel mio cupo pessimismo. Ma tante altre domande mi vengono in mente: cominciamo da una. Io sono assolutamente consapevole che, vista globalmente, la nostra età ha uno sviluppo senza precedenti nella storia. Come dicono i cinesi “mai nella storia in un tempo tanto breve, tante persone hanno avuto un miglioramento tanto grande”. E’ vero: pero, domando, possiamo competere con i cinesi e BRIC in generale? Vado al vissuto personale: le impressioni personali non hanno valore scientifico ma a volte focalizzano meglio le questioni. Una volta in Cina (della cui cultura sono modestissimo cultore), sfuggendo alla ossessiva presenza degli accompagnatori, io e mia moglie ce ne andammo in giro per cenare da soli fra le stradine di Shanghai. Passando vedemmo degli operai che innalzavano un muretto. Al ritorno mia moglie mi fece notare che il muro era gia finito (le donne sempre piu attente). C’erano due squadre che erano partite da due punti diversi: chi porgeva i mattoni, chi li incollava, chi ripuliva in poco piu di una ora tutto era finito: nel mio condominio ci abbiamo messo un anno per riparare un cornicione e da 30 anni della Autostrada del sole e della metropolitana di Napoli non si vede la fine. Mi è capitato di vedere sempre in Cina gli studenti in visita di istruzione come diciamo pomposamente noi in italia noi e paragonarli ai nostri. Tante volte ho portato gli alunni nelle città europee : un branco di ragazzi indisciplinati e disordinarti assolutamente disinteressati a qualsiasi cosa che avesse una sia pur vaga valenza culturale, che si perdono fra le bancarelle e con in cima un solo pensiero: andare in discoteca per la speranza di una avventuretta passeggera. Ma in Cina ho visto alunni ordinati e disciplinati, vestiti dignitosamente, bandiere in testa, tutti intenti a non perdere nemmeno una virgola di quanto veniva loro spiegato. Come pensare che noi possiamo reggere il confronto? Certo la nostra preparazione di base è ancora superiore : ma per quanto tempo ancora? Un mio figlio dopo lunghe peripezie ha trovato lavoro preso le nostre navi da crociere, un'eccellenza italiana ( Schettino a parte) molto competitiva. Ma sulle nostre navi il personale è al 90% straniero di ogni popolo e razza: gli italiani formano una specie di aristocrazia nei posti di deirezione L’assistente di mio figlio, un caraibico, guadagna 700 dollari (non euro) al mese. E' contentissimo perche con questo stipendio ha comprato una macchina per se, una al padre, una casa per se con mutuo. Ora il caraibico praticamente sa fare quello che fa mio figlio: quanto tempo ci vorrà perche il posto di mio figlio passera a lui ? Costa meno a parità di prestazione. Ci dicono che dobbiamo essere competitivi: giustissimo: ma io non vedo come possiamo riuscirci. Fabio Colasanti ha detto: Giovanni, la tua domanda è legittima, ma se uno guarda fuori dalle frontiere italiane scopre che c'è speranza. Non bisogna cadere nell'errore di pensare che nel resto del mondo le cose vadano come da noi. Nel resto del mondo le cose vanno molto meglio e non possiamo fare a meno di chiederci quali sono le ragioni di questa differenza di risultati. Se facendo certe cose, gli altri crescono, perché da noi non si possono/devono fare? In Italia siamo in crisi da quindici anni. Il tasso di crescita medio dell'economia italiana dal 1998 al 2013 è stato pari a poco meno dello 0.6 per cento all'anno; il tasso di crescita più basso di tutta l'Unione europea. I problemi attuali non sono colpa del governo Monti o anche dell'ultimo governo Berlusconi, sono il risultato di quindici anni di governi incapaci di introdurre in Italia le riforme che sono state introdotte in altri paesi. Berlusconi ha chiaramente - e di gran lunga - la più grande responsabilità, ma i due governi Prodi sono andati nella giusta direzione, ma molto timidamente. Mentre l'Italia è in un quasi coma economico da quindici anni, l'Unione europea ha continuato a crescere. Il tasso medio di crescita dal 1998 al 2013 non è stato molto alto, ma è pur sempre stato dell'1.7 per cento per il resto dell'UE e dell'1.5 per cento per il resto dell'eurozona. Nello stesso periodo gli Stati Uniti sono cresciuti a tassi tra il 2.5 ed il 3.0 per cento. Attualmente, l'economia americana sta crescendo del due e mezzo per cento. Loro se ne lamentano, ma la cifra è più alta dell'obiettivo ambizioso che la Confindustria ha fissato per l'Italia! Mentre quindi il mondo industrializzato ha continuato a crescere - non in maniera rapidissima ma pur sempre a tassi quattro o cinque volte i nostri - il resto del mondo è letteralmente esploso. Il tasso di crescita dell'economia mondiale nei primi dieci anni del secolo è stato il più forte da quando si dispone di statistiche affidabili. A livello mondiale (non

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all'interno dei paesi) abbiamo visto una riduzione dei divari tra paesi ricchi e paesi poveri spettacolare. L'Asia ha raggiunto tassi di crescita incredibili. La Banca Mondiale ha recentemente rivisto al ribasso il tasso di crescita dell'Asia; lo ha corretto al 7.2 per cento, il tasso più basso degli ultimi dieci anni. L'America Latina è cresciuta in maniera molto forte e perfino l'Africa ha cominciato a registrare tassi di crescita piuttosto buoni, anche se l'Africa sub-sahariana sembra ancora al di fuori dei grossi flussi della globalizzazione. Guardando al di fuori delle noste frontiere - come suggerisce continuamente Federico Rampini che invita i giovani ad andare a conoscere "i paesi dove il cambiamento non è visto come una minaccia, dove si ha ancora la volontà di prendere in mano la propria vita e dove si ha fiducia nel futuro" - si deve arrivare alla conclusione inevitabile che gli spazi per crescere ci sono, eccome. Certo è legittimo porsi delle domande sul lungo periodo. Uno studioso americano, Robert Gordon, ha pubblicato l'anno scorso uno studio dove arriva alla conclusione che la crescita spettacolare che il mondo conosce da due secoli e mezzo (prima non c'era praticamente stata quasi nessuna crescita) è stata determinata da una serie di ondate di innovazioni che potrebbero essersi esaurite. L'Economist ha dedicato un numero al tema, arrivando a conclusioni più positive di quelle di Gordon. Ma anche se Gordon avesse ragione, il problema si porrà tra venti/trenta anni. Al momento, il nostro problema è come avere crescita e occupazione nei prossimi tre/cinque anni; abbiamo un bisogno urgente di migliorare la nostra situazione. Da questo punto di vista il modello che ci deve ispirare è quello dei paesi scandinavi e, più in generale, di quelli del nord Europa. Sono paesi dove la solidarietà sociale è molto più forte che da noi, sono paesi dove chi è povero è aiutato molto, ma molto di più che da noi. Sono paesi dove i salari sono quasi sempre più alti che da noi, ma sono anche paesi che riescono tranquillamente a crescere anche più della media dell'Unione europea. Il declino è un concetto che ha rilevanza per l'Italia. Per il resto del mondo industrializzato si può parlare solo di declino relativo rispetto ad un resto del mondo che cresce a tassi fortissimi. Nella maggioranza dei paesi industrializzati abbiamo un problema di diseguaglianze dei redditi, ma globalmente il mondo industrializzato oggi sta molto meglio di come stava dieci anni fa: ha molta più ricchezza, anche se spesso la divide male. Non sta scritto da nessuna parte che i nostri figli debbano star peggio di noi. Non è così nel resto del mondo industrializzato e non è sicuramente così nei tre quarti restanti del mondo.

Risposto da giorgio varaldo su 27 Gennaio 2013 a 19:33 i numeri da te forniti (10/90) possono esser validi per una azienda di pulizie uffici ma non per una FIAT o una piaggio figuriamoci una ferrari!! sai quale livello di professionalità serve per lavorare ad una stazione transfer a CN? quale sia il modello organizzativo di una azienda di carpenteria meccanica? cosa significhi esser saldatori patentati RINA? quanti possano essere i lavoratori non altamente qualificati in una moderna azienda oggi? il rapporto 10/90 non è più valido neanche in cina figuriamoci in europa ... Giuseppe Picciolo ha detto: Me l'aspettavo questa tua risposta. Quanti sono i meccanici della squadra corse? Hai solo confermato quello che ho detto. Una elite di persone altamente qualificate e per il resto (il 90 percento) mano d'opera ad assetto variabile. Agli albori dell'industria non servivano schiavi, come nelle piantagioni di cotone, perché bisognava comprarli, ospitarli e proteggerili (in quanto investimento). Oggi non servono neanche più lavoratori dipendenti fissi.

Risposto da Fabio Colasanti su 27 Gennaio 2013 a 22:57

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E continuiamo a ripetere le stesse cose ... Il licenziamento discriminatorio (per razzismo, sessismo, religione od altro) non è permesso in nessun paese, nemmeno negli Stati Uniti e non c'entra nulla con questa discussione. Ma nel nord Europa e nel resto del mondo industrializzato le imprese non devono giustificare il licenziamento. Non c'è il divorzio per "colpa", c'è il divorzio richiesto da uno dei due partner (che non deve dare giustificazioni) e ci sono regole per gli aspetti finanziari. Per quanto riguarda l'indice dell'OCSE, ti ho anche postato il documento con la loro metodologia che equipara un pagamento equivalente ad un mese di salario per anno di anzianità (fino ad un massimo di undici) al passaggio di fronte ad un tribunale ! ! ! Ma sono sicuro che tra due mesi lo ritirerai fuori comunque ... Il punto - che non solo è provato dalle cifre, ma risponde anche a semplice logica e buon senso - è che di fronte a regole rigide (o sulla durata dei contratti e sulle modalità di licenziamento; o sul livello di retribuzione) un certo numero di imprese dirà "no grazie, non ci sto" e questo rappresenta posti di lavoro che avrebbero potuto essere creati e non lo sono. Bisogna avere dei paraocchi ideologici veramente forti per non accettare questo punto. Poi c'è il problema politico: "cosa si fa perché tutti i cittadini possano avere delle garanzie minime accettabili in termini di reddito e di continuità del reddito indipendetemente dal tipo di lavoro che hanno dovuto accettare". Giuseppe Picciolo ha detto: Li abiiamo visti più volte questi dati sui licenziamenti. Il licenziamento discriminatorio o di rappresaglia non è consentito in nessun posto salvo, forse, il Belgio. Abbiamo visto anche la tabella (OECD Strictness of employment protection) sulla tutela dal licenziamento e l'Italia non è per niente ai primi posti.

Risposto da Fabio Colasanti su 27 Gennaio 2013 a 23:10 Giovanni, due osservazioni brevi. Il terremoto nell'Emilia Romagna ha messo sotto le telecamere tante piccole imprese che producono ed esportano nel mondo attrezzature mediche di alta qualità, macchinari ed altri prodotti sofisticati. Ci sono tante altre realtà dinamiche di questo tipo. Non ce ne sono però abbastanza. Perché non si può riprodurre in altre parti d'Italia quello che succede nelle regioni dove le cose funzionano? Rispondere che è perché c'è il controllo della politica, c'è la corruzione, la giustizia non funziona, c'è mancanza di civismo, significa fare una lista di cose sulle quali possiamo e dobbiamo agire. Secondo. Noi siamo nella situazione disastrata nella quale siamo. Ma i paesi del nord Europa - spesso con costi salariali più alti dei nostri - riescono a competere con i cinesi e gli altri paesi emergenti. La zona euro ha un forte avanzo commerciale nei confronti del resto del mondo (non ostante il nostro deficit). Se ci riescono gli altri europei perché non dovremmo riiuscirci noi? giovanni de sio cesari ha detto: La tua chiara e documentata risposta mi conforta nel mio cupo pessimismo. Ma tante altre domande mi vengono in mente: cominciamo da una. Io sono assolutamente consapevole che, vista globalmente, la nostra età ha uno sviluppo senza precedenti nella storia. Come dicono i cinesi “mai nella storia in un tempo tanto breve, tante persone hanno avuto un miglioramento tanto grande”. E’ vero: pero, domando, possiamo competere con i cinesi e BRIC in generale? Vado al vissuto personale: le impressioni personali non hanno valore scientifico ma a volte focalizzano meglio le questioni. Una volta in Cina (della cui cultura sono modestissimo cultore), sfuggendo alla ossessiva presenza degli accompagnatori, io e mia moglie ce ne andammo in giro per cenare da soli fra le stradine di Shanghai. Passando vedemmo degli operai che innalzavano un muretto. Al ritorno mia moglie mi fece notare che il muro era gia finito (le donne sempre piu attente). C’erano due squadre che erano partite da due punti diversi: chi porgeva i mattoni, chi li incollava, chi ripuliva in poco piu di una ora tutto era finito: nel mio condominio ci abbiamo messo un anno per riparare un cornicione e da 30 anni della Autostrada del sole e della metropolitana di Napoli non si vede la fine.

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Mi è capitato di vedere sempre in Cina gli studenti in visita di istruzione come diciamo pomposamente noi in italia noi e paragonarli ai nostri. Tante volte ho portato gli alunni nelle città europee : un branco di ragazzi indisciplinati e disordinarti assolutamente disinteressati a qualsiasi cosa che avesse una sia pur vaga valenza culturale, che si perdono fra le bancarelle e con in cima un solo pensiero: andare in discoteca per la speranza di una avventuretta passeggera. Ma in Cina ho visto alunni ordinati e disciplinati, vestiti dignitosamente, bandiere in testa, tutti intenti a non perdere nemmeno una virgola di quanto veniva loro spiegato. Come pensare che noi possiamo reggere il confronto? Certo la nostra preparazione di base è ancora superiore : ma per quanto tempo ancora? Un mio figlio dopo lunghe peripezie ha trovato lavoro preso le nostre navi da crociere, un'eccellenza italiana ( Schettino a parte) molto competitiva. Ma sulle nostre navi il personale è al 90% straniero di ogni popolo e razza: gli italiani formano una specie di aristocrazia nei posti di deirezione L’assistente di mio figlio, un caraibico, guadagna 700 dollari (non euro) al mese. E' contentissimo perche con questo stipendio ha comprato una macchina per se, una al padre, una casa per se con mutuo. Ora il caraibico praticamente sa fare quello che fa mio figlio: quanto tempo ci vorrà perche il posto di mio figlio passera a lui ? Costa meno a parità di prestazione. Ci dicono che dobbiamo essere competitivi: giustissimo: ma io non vedo come possiamo riuscirci.

Risposto da adriano succi su 27 Gennaio 2013 a 23:24 … E' ovvio che si cerca un equilibrio tra le esigenze di flessibilità della aziende e la tutela del lavoratore. Bisogna vedere qual è il punto di equilibrio. … ......................................... Considerando che i parametri che determinano il punto di equilibrio in Italia, sono bassa occupazione, soprattutto giovanile, bassi stipendi, precarietà, bassa qualità del lavoro non compensata da isole di eccellenza, mi sembra che a determinare quel punto di equilibrio così scadente, ci siano sia una classe imprenditoriale non più mediamente di alta qualità, ma pure rappresentanti dei Lavoratori a livello politico e sindacale che in questi 15-20 anni, non ne hanno azzeccata una, o, se proprio vogliamo essere più indulgenti, al grido di "difendiamo i diritti dei lavoratori" , li stanno portando ad essere una specie in via di estinzione.

Risposto da Fabio Colasanti su 27 Gennaio 2013 a 23:26 Giuseppe, e poi su questo chiudo. Ti ho mostrato, documenti all'appoggio, che la metodologia dell'OCSE in questo caso su basa su di un assunto che qualsiasi imprenditore italiano - con l'esperienza dei nostri tribunali - considerebbe fuori della realtà. Quale è l'imprenditore che considerebbe che pagare cinque o sei o anche undici mesi di salario come indennità di licenziamento non sia preferibile che andare di fronte ad un tribunale del lavoro italiano? L'OCSE è un organismo serio. Tutti gli indicatori sintetici che traducono in cifre esperienze qualitative sono molto opinabili (guarda il caso dell'indice della felicità nazionale di Friends of the Earth di cui abbiamo discusso recentemente e che, combinando in una certa maniera esperienze qualitative, arriva alla conclusione che i paesi più felici sono tutti paesi poverissimi e in clima equatoriale !). Per questo l'OCSE pubblica la sua metodologia perché ognuno si possa fare un'idea della validità dei risultati. La giustificazione dell'OCSE è forse che passare di fronte ad un tribunale, per esempio, della Nuova Zelanda sia meno oneroso che pagare sei mesi di salario, ma nel caso dell'Italia non ci siamo proprio. In ogni caso non esiste solo questo indice dell'OCSE, esistono le leggi, esistono altri studi, esitono le esperienze di mille persone e non si sfugge alla conclusione generale, accettata da tutti gli esperti di diritto del lavoro (che non lavorano per la CGIL) che i licenziamenti nel nord Europa sono molto più facili - non meno onerosi finanziariamente - che in

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Portogallo, Spagna, Italia e Grecia (ma Portogallo e Spagna hanno appena cambiato in maniera fondamentale la loro legislazione). Giuseppe Picciolo ha detto: (OECD Strictness of employment protection Ma questi istituti sono buoni solo quando li citi tu? Rampini una volta ha detto che negli USA non si può licenziare un anziano. Non è che ci sia il reintegro, non si può e quindi non c'è nessuno da reintegrare.

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 28 Gennaio 2013 a 0:30 No Fabio il termine precarizzzazione non è per niente ideologico e non si riferisce alla libertà di licenziamento o di passaggio da un lavoro all'altro con la garanzia di continuità di reddito grazie agli ammortizzatori socialli come avviene nel Nord Europa. Quello che non condivido è mettere insieme un giusto processo di modernizzazione con l'utilizzazione attuale dell'uso del lavoro recario in maniera diffusa per il minor costo e per evitare di assumere persone che poi si ha difficoltà a licenziare in caso di mutamento del mercato. La piaga che sta affliggendo le giovani generazioni in Italia non è un esempio di modernizzazione o di adattabilità alle nuove esigenze di una economia più flessibile e dinamica ma la " precarizzazione del lavoro" per contenerne complessivamente il costo ed il controllo non sapendo o volendo fare diversamente per ottenere lo stesso risultato.. Siamo in presenza di un fenomeno ben diverso che si abbatte sulle nuove generazioni e ne compromette la normale programmazione di vita. Mi dispiace che non percepisci la presenza di questo fenomeno che ha poco a che vedere con quanto hai espresso sulla necessità di adattabilità e flessibilità della forza lavoro per consentirne l'impiego verso le situazioni più produttive. Le proposte del nostro Circolo, e attuali di Ichino o di Nerozzi sulla sotituzione della miriade di forme precarie di lavoro con un contratto unico a garanzie progressive è ben altra cosa della giungla oggi esistente e che penalizza solo le giovani generazioni.E' necessario pertanto prestare attenzione a questi fenomeni che rappresentano soluzioni non idonee a pur presenti esigenze di riduzione complessiva del costo del lavoro e di maggiore flessibilità- Non idonee perchè creano problemi sociali rilevanti e sacrificano in un'ottica di breve periodo o di esercizio in corso le prospettive di sviluppo del paese. Il fatto che si verifichi non vuol dire che sia utile e da continuare. Fabio Colasanti ha detto: Giuseppe, c'è un malinteso di fondo sul funzionamento del mercato del lavoro che è rinforzato dall'utilizzo di termini molto idologici. Credo che si possa essere tutti d'accordo che nel mondo esiste una varietà di situazioni dal punto di vista della possibilità di pagare più o meno per un certo lavoro e dal punto di vista del prendere un impegno temporale sulla durata del rapporto di lavoro. Un'impresa con margini alti può permettersi di pagare stipendi alti, un'impresa nei servizi con attività non molto reddititizie potrà pagare solo stipendi bassi. Nella stessa maniera, un'impresa con prospettive di mercato sicure potrà assumere persone pensando di tenerle per molti anni, un'impresa che opera in un settore più volatile sa che forse dovrà ridurre l'occupazione in caso di rallentamento delle vendite. Esiste quindi una varietà continua di situazioni quanto al livello degli stipendi che le imprese possono pagare e un altra quanto alla stabilità del rapporto di lavoro che possono offrire. Questa è la sutuazione dal punto di vista dei datori di lavoro. Ma in una società solidare vogliamo che le persone abbiano la garanzia di un reddito minimo e la garanzia di una continuità nel tempo della percezione di questo reddito. C'è quindi una diversità oggettiva tra le esigenze dell'economia e le esigenze degli individui. Esistono due maniere di risolvere questo divario: a) una - molto influenzata dalla realtà industriale degli anni sessanta e settanta - che ancora prevale nel sud Europa che cerca di risolvere questo divario imponendo obblighi alle imprese (e che poi chiude gli occhi sulla reazione assolutamente logica di queste ultime). b) una - molto più intelligente e utilizzata dai paesi del nord Europa - che, riconoscendo che la prima provoca un risultato insoddisfacente in termini di occupazione - risolve il divario a carico della collettività. Imporre degli obblighi alle imprese in termini della durata dei contratti di lavoro o del livello dei salari fa si che il numero delle persone occupate sia inferiore a quello che potrebbe essere. Di fronte ad un obbligo di tenere le persone

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(o di affrontare costi molto alti per il loro licenziamento) una parte delle imprese con prospettive incerte correrà il rischio e farà assunzioni lostesso, ma molte imprese preferiranno lasciar perdere. Nella stessa maniera, di fronte a minimi salariali imposti, molte imprese che non hanno produzioni a grande valore aggiunto rinunceranno ad assumere. Queste "rinunce", queste possibilità di occupazione perse rischiano di apparire in maniera massiccia nei servizi e soprattutto nei servizi personali. Riconoscendo che il sistema degli obblighi - considerato normale in tanta parte del sud Europa - riduce fortemente il livello di occupazione possibile, i paesi del nord Europa hanno assunto a carico della collettività la garanzia nel tempo del reddito - permettendo alle imprese di licenziare se ne hanno bisogno - e anche la garanzia del livello di reddito (vedi i 4.9 milioni di occupati a 450 euro al mese in Germania). Gli ammortizzatori sociali di questi paesi garantiscono un reddito a chi perde il lavoro e integrano il reddito di chi riceve un salario basso. Questo certamente costa molto alle casse dello stato, ma è finanziato dal fatto che molte, ma molte più persone lavorano. 41 per cento della popolazione di persone occupate in Italia e 49 per cento in Germania significa il 20 per cento circa di occupati in più ! Nei paesi scandinavi i tassi di occupazione sono i più alti d'Europa, ancora più alti di quello tedesco. I tassi di occupazione più bassi dell'Ue sono nel sud Europa che sembra non essersi accorto di questo fenomeno. Passo poi ad un'altra considerazione che tu fai quando parli di difesa del lavoro "ordinario" rsipetto a quello "precarizzato" (termine che considero "ideologico"). Il livello generale dei salari e la maggiore o minore stabilità dei posti di lavoro non dipendono da regole amministrative o legali, dipendono dalle condizioni generali dell'economia. In un'economia dinamica che cresce, i salari saranno più alti e tenderanno a crescere. In un'economia dinamica che cresce, i posti di lavoro saranno più stabili (a parte evidentemente i lavori stagionali). In Danimarca chiunque può essere licenziato dall'oggi al domani senza particolari procedure. Ma le imprese non si sognano nemmeno di licenziare se non è assolutamente necessario; licenziare lavoratori e assumerne altri ha sempre costi molto alti (formazione, organizzazione del lavoro, ricreazione di un patrimonio di conoscenze tacite, ecc.) indipendentemente da quelli imposti da eventuali leggi. I concetti di lavoro "ordinario" e lavoro "precarizzato" non hanno senso nel nord Europa. Dove le economie vanno bene, la gente lavora trenta anni o tutta la vita con la stessa ditta in un rapporto di lavoro che in Italia sarebbe definito "precarizzato". In Italia abbiamo grosse difficoltà ad accettare questa logica - non ostante che sia molto chiara e forte - a causa dell'inesistenza di ammortizzatori sociali e di servizi sociali adeguati. In Italia la spesa sociale è stata tutta convogliata in un sistema pensionistico troppo generoso (fino alle riforme recenti). Come ho ricordato varie volte, negli ultimi trenta anni non ci sono state grandi battaglie sindacali per la creazione di un sistema di amortizzatori sociali. I nostri sindacati hanno dimostrato di fare gli interessi di chi era già occupato e non di chi era fuori dal mercato del lavoro (e poi hanno difeso il sistema della cassa integrazione che da loro una visibilità e un ruolo politico ingiustificati). Ma la realtà rimane quella che è. Riconosco che l'assenza di ammortizzatori sociali è un problema, ma l'assenza di ammortizzatori sociali non rende meno assurda e illogica l'imposizione di regole amministrative o legislative che portano ad una forte diminuzione dell'occupazione potenziale. Giuseppe Ardizzone ha detto: Nessuno nega che la possibilità dei lavori atipici permetta complessivamente un maggior utilizzo della forza lavoro e quindi maggiore occupazione . Quello che non è accettabile è la sistematizzazione dell'utilizzo della precarizzazione del lavoro per sostituire il più possibile il lavoro ordinario. Questo comporta conseguenze sul piano industriale e sociale. Là dove la diffusa precarizzazione priva di adeguati ammortizzatori sostituisce ( come accade oggi nella fascia giovanile) il lavoro ordinario queste persone non sono in grado di programmare la loro vita ed inoltre le stesse aziende hannno unm danno nella difficoltà ad investire nel futuro della risorsa lavoro. Il conto economico postivo di un esercizio si trasformerà nell'inevitabile declino a lungo periodo.

Risposto da giorgio varaldo su 28 Gennaio 2013 a 1:10

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giuseppe cosa dici tu può essere eticamente giusto ma praticamente impercorribile ma soprattutto fuori da ogni realtà. se tu fossi imprenditore e dovresti assumere operai per un lavoro della durata di sei mesi cosa faresti? li assumeresti a tempo indeterminato o a tempo determinato? oppure rinunceresti al lavoro? bisognerebbe esser pragmatici i tedeschi lo sono e con l'850eurojob danno un lavoro se pur atipico a 4,9 milioni di persone e muovono l'economia.. in italia visto che pragmatismo è un insulto e si vuole solo il lavoro a tempo indeterminato non si ha ne l'uno ne l'altro.. persino il grande puffo commenterebbe la situazione tedesca con un "che è meglio" i puri di cuore e di spirito italiani (forti di una pensione che arriva ogni mese) no. Giuseppe Ardizzone ha detto: No Fabio il termine precarizzzazione non è per niente ideologico e non si riferisce alla libertà di licenziamento o di passaggio da un lavoro all'altro con la garanzia di continuità di reddito grazie agli ammortizzatori socialli come avviene nel Nord Europa. Quello che non condivido è mettere insieme un giusto processo di modernizzazione con l'utilizzazione attuale dell'uso del lavoro recario in maniera diffusa per il minor costo e per evitare di assumere persone che poi si ha difficoltà a licenziare in caso di mutamento del mercato. La piaga che sta affliggendo le giovani generazioni in Italia non è un esempio di modernizzazione o di adattabilità alle nuove esigenze di una economia più flessibile e dinamica ma la " precarizzazione del lavoro" per contenerne complessivamente il costo ed il controllo non sapendo o volendo fare diversamente per ottenere lo stesso risultato.. Siamo in presenza di un fenomeno ben diverso che si abbatte sulle nuove generazioni e ne compromette la normale programmazione di vita. Mi dispiace che non percepisci la presenza di questo fenomeno che ha poco a che vedere con quanto hai espresso sulla necessità di adattabilità e flessibilità della forza lavoro per consentirne l'impiego verso le situazioni più produttive. Le proposte del nostro Circolo, e attuali di Ichino o di Nerozzi sulla sotituzione della miriade di forme precarie di lavoro con un contratto unico a garanzie progressive è ben altra cosa della giungla oggi esistente e che penalizza solo le giovani generazioni.E' necessario pertanto prestare attenzione a questi fenomeni che rappresentano soluzioni non idonee a pur presenti esigenze di riduzione complessiva del costo del lavoro e di maggiore flessibilità- Non idonee perchè creano problemi sociali rilevanti e sacrificano in un'ottica di breve periodo o di esercizio in corso le prospettive di sviluppo del paese. Il fatto che si verifichi non vuol dire che sia utile e da continuare.

Risposto da Antonino Andaloro su 28 Gennaio 2013 a 8:04 L'utilizzo dei LSU essi, sono ora considerati dal legislatore, in via principale, un incentivo alla creazione di nuove attività imprenditoriali, capace di creare occupazione stabile nel tempo, e, in via meramente residuale, una misura di sostegno del reddito. La filosofia di fondo che anima la nuova disciplina è ben espressa dalle espressioni quasi apologetiche di un autorevole membro del passato governo: «C’è chi continua a definire questo strumento come puro assistenzialismo, fine a se stesso: invece FORSE è MEGLIO definire che con i LSU si può creare occupazione qualificata, si può dare una prima risposta di attività lavorativa alle centinaia di migliaia di giovani disoccupati di lunga durata che non riescono ad inserirsi nei processi produttivi e contemporaneamente ridisegnare l’intero sistema dei servizi sociali che non possono essere affidati unicamente al mercato». La regolamentazione dei lavori di pubblica utilità contenuta nell’art. 2 del d.lgs. n. 468/97 presenta molteplici punti di contatto con la disciplina dettata dal d.lgs. n. 280/97; si riscontrano, tuttavia, delle differenze che possono considerarsi il frutto dell’esperienza maturata. . 1) I lavori di pubblica utilità. Questi ultimi non rappresentano un’assoluta novità: già nell’ambito degli «Interventi a favore di giovani inoccupati nel Mezzogiorno», l’art. 26 del cd. «pacchetto Treu» conteneva la delega al governo ad emanare, entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge, un decreto legislativo per la definizione di un piano straordinario di lavori di pubblica utilità e di borse di lavoro. . In attuazione della suddetta delega il governo adottava il d.lgs. n. 280/97 Il d.lgs. n. 468 prevede che potranno essere ammessi al finanziamento i progetti connessi al

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settore dei servizi alla persona, della salvaguardia e cura dell’ambiente, del recupero e della riqualificazione degli spazi urbani e dei beni culturali; statuisce, inoltre, che potranno essere finanziati solo i progetti che contemplino l’impegno a realizzare nuove attività stabili nel tempo. A verificare ed a certificare le potenzialità del progetto saranno le agenzie di promozione di lavoro e d’impresa appositamente abilitate.

Risposto da Fabio Colasanti su 28 Gennaio 2013 a 10:10 Giuseppe, la "precarizzazione" che tu descrivi non è una nuova tendenza, un qualcosa di anomalo o nuovo, ma un comportamento normale e logico delle imprese che diventa più visibile (e socialmente dannoso) quando una stagnazione economica si protrae nel tempo. Le imprese hanno sempre cercato - e cercheranno sempre - di pagare il lavoro il meno possibile. Ogni impresa cerca sempre di comprimere tutti i costi di produzione e di massimizzare il ricavato dalle vendite; è normale, non c'è da stupirsene ed è il compito loro. Nel caso della forza lavoro, questo viene fatto offrendo al personale i salari più bassi possibili e le condizioni di impiego meno vincolanti per l'impresa. Questo però è possibile sotto due condizioni. a) Più i lavoratori richiesti sono lavoratori qualificati e inseriti in produzioni complesse, più le imprese avranno bisogno di spendere tempo e soldi per formarli e meno interesse le ditte avranno a sostituirli, anche quando la produzione rallentasse. Per quanto riguarda invece il personale poco qualificato, l'ideale per un impresa è poter impiegare il personale assolutamente in linea con i bisogni di produzione. Nessuno licenzia evidentemente per il piacere di licenziare - questo ha sempre un certo costo anche se non ci sono obblighi legali - ma se le vendite scendono, per le imprese è utile poter ridurre il numero di persone occupate. Che nessuno licenzi per il piacere di licenziare, ma che le imprese anzi accettino liberamente di mantenere una parte del personale anche se non è strettamente necessario è provato dalle statistiche che mostrano che le imprese non licenziano mai nel momento in cui le vendite scendono, ma che aspettano, di solito più di un anno (sperano sempre che le prime difficoltà siano passeggere e che le cose riprendano). Ci sono poi casi particolari (la Germania nel 2009, il Regno Unito dal 2009 ad oggi) dove le imprese hanno mantenuto in maniera sostanziale il personale, ad un basso numero di ore, per poter essere in grado di riprendere la produzione non appena la domanda avesser ripreso ("labour hoarding"). b) Ma il vincolo principale è quello dato dalle condizioni dell'economia, dalle condizioni del mercato del lavoro. Quando un'economia tira, le imprese sono obbligate a offrire salari più alti e condizioni di lavoro migliori, compresa una maggiore stabilità nei contratti. Più l'economia si deteriora, più le imprese riescono a spuntare salari più bassi e condizioni di lavoro peggiori, soprattutto condizioni di lavoro più precarie. Questo è quello che vediamo attorno a noi oggi in Italia. Non si tratta di un nuovo fenomeno, di una novità scoperta dalle imprese, di una "piaga" apparsa all'improvviso. Il fatto è che in Italia non abbiamo mai conosciuto un periodo così lungo senza crescita che ha provocato un deterioramente continuo del mercato del lavoro. L'andamento del mercato del lavoro italiano negli ultimi quindici anni ha avuto un andamento fin troppo benigno con l'aumento dei contratti precari che ha mascherato la debolezza di fondo. La produttività del lavoro in Italia è stata altissima negli anni del boom economico ed è poi scesa fino a stabilirsi tra l'uno e mezzo e il due per cento negli anni ottanta/novanta. Questo significava che per mantenere l'occupazione costante, serviva un tasso di crescita reale del PIL tra l'uno e mezzo e il due per cento. Ora il tasso di crescita medio in Italia tra il 1998 ed oggi è stato dello 0.6 per cento all'anno. L'occupazione, sulla base dell'andamento precedentemente conosciuto della produttività, avrebbe dovuto scendere in questo periodo di circa un punto all'anno. Invece non abbiamo conosciuto questo disastro, l'occupazione è rimasta più o meno costante. Le riforme del mercato del lavoro introdotte alla fine degli anni novanta hanno permesso il ricorso ai contratti a termine e il deterioramento del mercato del lavoro che si è verificato in Italia da quel momento non ha preso la forma di una diminuzione dell'occupazione e di un aumento corrispondente della disoccupazione, ma quella di un aumento

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molto forte del numero dei contratti precari. Molti considerano questa soluzione come migliore dell'aumento puro e semplice della disoccupazione. La precarizzazione che tu denunci è un fenomeno che è iniziato alla fine degli anni novanta, che è il risultato di modifiche legislative che ricercavano proprio questo risultato (in alternativa alla disoccupazione classica), che si è andato aggravando nel tempo e la forma che il fenomeno ha oggi assunto è il risultato di quindici anni continui di mancanza di crescita economica. Non si tratta di una nuova strategia imprenditoriale. Tendenze simili si riscontrano anche in altri paesi. La recessione del 2009 è stata però talmente forte da provocare una caduta dell'occupazione nonostante l'aumento dei contratti precari: -3.8 per cento tra 2009 e 2010. La ripresina del 2010 ha stabilizzato le cose - l'occupazione è rimasta stabile nel 2011, ma nel 2012, la nuova recessione ha provocato una nuova caduta dell'occupazione di oltre un punto. Purtroppo la situazione peggiorerà ancora nel 2013. Nel corso dell'anno tutti prevedono che l'economia ricomincerà a crescere, ma visti i ritardi con i quali l'andamento della produzione si ripercuote sul mercato del lavoro, nel 2013 vedremo una nuova forte diminuzione dell'occupazione. Non siamo quindi in presenza di un nuovo fenomeno, ma vediamo sempre più chiaramente le conseguenze perniciose della stagnazione economica che affligge il paese da quindici anni. Giuseppe Ardizzone ha detto: No Fabio il termine precarizzzazione non è per niente ideologico e non si riferisce alla libertà di licenziamento o di passaggio da un lavoro all'altro con la garanzia di continuità di reddito grazie agli ammortizzatori socialli come avviene nel Nord Europa. Quello che non condivido è mettere insieme un giusto processo di modernizzazione con l'utilizzazione attuale dell'uso del lavoro recario in maniera diffusa per il minor costo e per evitare di assumere persone che poi si ha difficoltà a licenziare in caso di mutamento del mercato. La piaga che sta affliggendo le giovani generazioni in Italia non è un esempio di modernizzazione o di adattabilità alle nuove esigenze di una economia più flessibile e dinamica ma la " precarizzazione del lavoro" per contenerne complessivamente il costo ed il controllo non sapendo o volendo fare diversamente per ottenere lo stesso risultato.. Siamo in presenza di un fenomeno ben diverso che si abbatte sulle nuove generazioni e ne compromette la normale programmazione di vita. Mi dispiace che non percepisci la presenza di questo fenomeno che ha poco a che vedere con quanto hai espresso sulla necessità di adattabilità e flessibilità della forza lavoro per consentirne l'impiego verso le situazioni più produttive. Le proposte del nostro Circolo, e attuali di Ichino o di Nerozzi sulla sotituzione della miriade di forme precarie di lavoro con un contratto unico a garanzie progressive è ben altra cosa della giungla oggi esistente e che penalizza solo le giovani generazioni.E' necessario pertanto prestare attenzione a questi fenomeni che rappresentano soluzioni non idonee a pur presenti esigenze di riduzione complessiva del costo del lavoro e di maggiore flessibilità- Non idonee perchè creano problemi sociali rilevanti e sacrificano in un'ottica di breve periodo o di esercizio in corso le prospettive di sviluppo del paese. Il fatto che si verifichi non vuol dire che sia utile e da continuare.

Risposto da Fabio Marinelli su 28 Gennaio 2013 a 10:55 senza considerare quello che dice la CGIL, la mia ricetta è questa: http://fabiomarinelli.ilcannocchiale.it/post/2712633.html I soldi x realizzarla si possono ricavare dalle tariffe dei traghetti (per i traghetti), per il resto si possono ricavare dal gioco d'azzardo (che ha un fatturato di 80 miliardi), dalla vendita dei beni sequestrati alla mafia, dalla lotta all'evasione fiscale (120 miliardi all'anno). Meglio non parlare di patrimoniale prima delle elezioni, perché il 20% degli italiani ha la proprietà di 2 immobili o più, e si perderebbe subito il voto di queste persone.

Risposto da giorgio varaldo su 28 Gennaio 2013 a 12:49 due domande 1) cosa ne pensi delle centrali idroelettriche utilizzate come accumulatori di energia prodotta con eolico e solare?

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2) sei favorevole a progetti come il nuovo valico autostradale di genova? Fabio Marinelli ha detto: senza considerare quello che dice la CGIL, la mia ricetta è questa: http://fabiomarinelli.ilcannocchiale.it/post/2712633.html I soldi x realizzarla si possono ricavare dalle tariffe dei traghetti (per i traghetti), per il resto si possono ricavare dal gioco d'azzardo (che ha un fatturato di 80 miliardi), dalla vendita dei beni sequestrati alla mafia, dalla lotta all'evasione fiscale (120 miliardi all'anno). Meglio non parlare di patrimoniale prima delle elezioni, perché il 20% degli italiani ha la proprietà di 2 immobili o più, e si perderebbe subito il voto di queste persone.

Risposto da giorgio varaldo su 28 Gennaio 2013 a 12:49 confermo quanto scrive fabio sulla crescita economica come elemento fondamentaleper la dinamica salariale. sino agli anni 80 fa nel settore siderurgico per i tecnici di buon livello era prassi comune ricevere offerte di lavoro da parte di aziende concorrenti ovviamente corredati da sostanziosi aumenti di stipendio. in italia c'è stato un periodo attorno agli anni 90 nel quale l'argomento di moda era la riduzione dei costi e tale tipo di pensiero derivava dalla sempre maggior presenza della finanza creativa del periodo yuppies che attirava il capitale - prima impiegato in attività produttive - fornendo una più alta remunerazione al capitale . per contrastare tale fuga le aziende rispondevano aumentando la retribuzione del capitale ottenuta a scapito della riduzione dei tempi di ammortamento e dalla "razionalizzazione" spesso tramutatasi in tagli di settori non immediatamente remunerativi come la ricerca. ed è in questo quadro che si spiega il ritardo di GM in campo motori - e la liquidazione miliardaria di FIAT in cambio della tecnologia diesel - ed il successivo approdo di FIAT in CHRYSLER. nel nostro paese in quei primi anni 90 si è assistito al taglio di queste attività. cito il caso della SANAC leader mondiale nel campo del refrattari per la quale ho lavorato sino al 1995. tale azienda del gruppo FINSIDER aveva una struttura di ricerca e sviluppo composta da oltre 50 ricercatori altamente qualificati e quando venne ceduta al gruppo RIVA tale struttura venne ridotta a meno di 10 unità e caricata del compito della GdQ prima affidate ai singoli stabilimenti. inutile dire che tale azienda è sparita dal mercato internazionale ed oggi si limita generalmente a fornire i refrattari per le varie acciaierie del gruppo RIVA. il resto della siderurgia italiana e non solo italiana ha tagliato solo nominalmente le strutture ma in pratica ha sostituito il personale interno con consulenti esterni gentilmente forniti dallo stato. quando si parla del passato spesso si tende a dimenticare cosa è realmente successo . a partire dai primi anni 80 sul mercato si è riversata una moltitudine di tecnici altamente qualificati che raggiunta l'età di 50 anni veniva collocata in pensione con l'accordo di tutte le forze politiche e sindacali e questi tecnici hanno trovato impiego come consulenti in tutte le acciaierie del mondo quelle italiane comprese. e da questo serbatoio hanno attinto le aziende e la riprova era la quasi scomparsa di corsi di formazione specifica - spesso con la collaborazione anche delle strutture universitarie - che sono stati riproposti negli ultimi anni. per i prossimi anni almeno per quanto riguarda la siderurgia c'è da aspettarsi una riduzione dei livelli stipendiali . lo sconsiderato comportamento della magistratura sta uccidendo la siderurgia italiana - è probabile che chiudano gli stabilimenti di taranto cornigliano e novi ligure di riva thyssen krupp di terni e lucchini trieste e lucchini piombino (l'unico dove la magistratura non c'entra)- quindi sul mercato si riverseranno tutti i tecnici rimasti senza lavoro e si sa che quando aumenta l'offerta il prezzo scende quindi ulteriore conferma della tesi iniziale.

Risposto da giorgio varaldo su 28 Gennaio 2013 a 12:49 la discussione in corso sulla flessibilità dimostra la scarsa conoscenza della gestione aziendale. ogni azienda dimensiona la propria capacità produttiva (impianti, macchinari , materie prime e forza lavoro ) in funzione delle richieste di mercato. esaminiamo il caso di due aziende operanti nel settore automotive una nel COMECON ed una in europa.

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in SKODA si conosce esattamente il numero delle auto che dovranno esser prodotte nei prossimi 5 anni in quanto il mercato assorbe tutte le auto prodotte e non ci saranno mai auto invendute nei piazzali quindi si possono dimensionare gli impianti ordinare i componenti ed assumere il personale necessario. la stessa azienda in europa occidentale prevede di vendere un certo numero di automobili quindi dimensiona gli impianti acquista componenti ed assume personale in quantità tale da poter produrre il numero di auto che prevede di vendere. quella descritta è la situazione al primo gennaio. al primo giugno la situazione in SKODA sarà esattamente quella vista al primo gennaio. quale sarà la situazione dell'azienda dell'europa occidentale? se le vendite sono superiori a quanto previsto dovrà aumentare gli ordinativi dei componenti utilizzare maggiormente gli impianti ed assumere più personale mentre se le vendite sono inferiori a quanto aveva previsto dovrà ridurre gli ordinativi del componenti ridurre i turni di lavoro degli impianti e forse utilizzare ammortizzatori sociali. dal punto di vista finanziario in SKODA non ci saranno variazioni mentre per l'azienda europea avrà costi fissi e costi variabili superiori a quanto incassa quindi deve fare ricorso al credito bancario. contemporaneamente riducendo gli acquisti di componenti tutto l'indotto legato alla azienda europea si trova nelle stesse condizioni negative dell'azienda leader : il sistema va in crisi. cosa succede se arriva un ordine improvviso ? ovvio questo caso non è previsto per la SKODA ma solo per l'azienda europea. questa dovrà aumentare le richieste di componenti ed aumentare l'utilizzo degli impianti passando ad esempio da 2 a 3 turni di lavoro e far ricorso a lavoro straordinario e probabilmente assumere un certo numero di lavoratori necessario per far funzionare gli impianti. è indispensabile la disponibilità delle forze sindacali a variare orari di lavoro ed effettuare turni di lavoro straordinario e nel caso che questi provvedimenti non siano sufficienti ecco scattare la necessità di assumere lavoratori per un tempo determinato. ovviamente nel caso di un sistema rigido l'azienda deve rinunciare all'ordine. nella gestione aziendale c'è anche la necessità di concedere al personale ferie e riposi . esistono tipologie aziendali che prevedono la possibilità di fermare gli impianti e di concentrare le ferie in un determinato periodo ma esistono anche tipologie aziendali che richiedono la continuità degli impianti ed in questo caso la situazione ideale sarebbe poter spalmare le ferie sui 12 mesi ma difficilmente c'è chi accetta di andar in ferie il mese di novembre pertanto i periodi di concentrazione di ferie portano come conseguenza una riduzione della utilizzazione impianti.. cito una esperienza personale in quanto l'azienda per la quale ho lavorato sino al 1995 negli anni 80 aveva acquisito una azienda tedesca ed è interessante analizzare il diverso approccio fra i le realtà tedesca ed italana. negli stabilimenti italiani i periodi feriali prevedevano una riduzione della produzione negli stabilimenti tedeschi no in quanto nel periodo estivo venivano assunti per alcuni mesi degli studenti spesso figli degli stessi lavoratori con soddisfazione di tutte le parti. quando la direzione personale provò ad ipotizzare di portare tale esperienza in italia le difficoltà burocratiche e legislative si sono dimostrate insuperabili e tali difficoltà rimangono anche nella situazione attuale. ne consegue un invito a spostare il contenuto delle discussioni sul campo pratico sarà forse meno avvincente ma si evita di parlare del sesso degli angeli.

Risposto da Salvatore Venuleo su 28 Gennaio 2013 a 14:32 Carissimo Giorgio, credo che tutti gli amici del circolo siano consapevoli del tuo patrimonio di esperienze e conoscenze acquisite in materia tecnica e di organizzazione del lavoro, anche mediante il confronto prezioso di procedure e culture diverse nel territorio nazionale ed estero. Ti chiederei (come chiederei a tutti i "diversamente esperti" del circolo) di tenere conto che i tuoi interlocutori (me compreso) possono non sapere di non sapere. Sii paziente quindi. Un'altra considerazione riguarda invece la possibilità che possa capitare anche a te di non comprendere che i dati preziosi che comunichi non rendono per nulla oziose discussioni "di fondo" come competizione/cooperazione o flessibilità/rigidità. Persiste - voglio dire - al di là dei tuoi dati, la possibilità di scegliere prezzi da pagare, per uno o l'altro progetto di società. Un amichevolissimo saluto. giorgio varaldo ha detto:

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la discussione in corso sulla flessibilità dimostra la scarsa conoscenza della gestione aziendale. ogni azienda dimensiona la propria capacità produttiva (impianti, macchinari , materie prime e forza lavoro ) in funzione delle richieste di mercato. esaminiamo il caso di due aziende operanti nel settore automotive una nel COMECON ed una in europa. in SKODA si conosce esattamente il numero delle auto che dovranno esser prodotte nei prossimi 5 anni in quanto il mercato assorbe tutte le auto prodotte e non ci saranno mai auto invendute nei piazzali quindi si possono dimensionare gli impianti ordinare i componenti ed assumere il personale necessario. la stessa azienda in europa occidentale prevede di vendere un certo numero di automobili quindi dimensiona gli impianti acquista componenti ed assume personale in quantità tale da poter produrre il numero di auto che prevede di vendere. quella descritta è la situazione al primo gennaio. al primo giugno la situazione in SKODA sarà esattamente quella vista al primo gennaio. quale sarà la situazione dell'azienda dell'europa occidentale? se le vendite sono superiori a quanto previsto dovrà aumentare gli ordinativi dei componenti utilizzare maggiormente gli impianti ed assumere più personale mentre se le vendite sono inferiori a quanto aveva previsto dovrà ridurre gli ordinativi del componenti ridurre i turni di lavoro degli impianti e forse utilizzare ammortizzatori sociali. dal punto di vista finanziario in SKODA non ci saranno variazioni mentre per l'azienda europea avrà costi fissi e costi variabili superiori a quanto incassa quindi deve fare ricorso al credito bancario. contemporaneamente riducendo gli acquisti di componenti tutto l'indotto legato alla azienda europea si trova nelle stesse condizioni negative dell'azienda leader : il sistema va in crisi. cosa succede se arriva un ordine improvviso ? ovvio questo caso non è previsto per la SKODA ma solo per l'azienda europea. questa dovrà aumentare le richieste di componenti ed aumentare l'utilizzo degli impianti passando ad esempio da 2 a 3 turni di lavoro e far ricorso a lavoro straordinario e probabilmente assumere un certo numero di lavoratori necessario per far funzionare gli impianti. è indispensabile la disponibilità delle forze sindacali a variare orari di lavoro ed effettuare turni di lavoro straordinario e nel caso che questi provvedimenti non siano sufficienti ecco scattare la necessità di assumere lavoratori per un tempo determinato. ovviamente nel caso di un sistema rigido l'azienda deve rinunciare all'ordine. nella gestione aziendale c'è anche la necessità di concedere al personale ferie e riposi . esistono tipologie aziendali che prevedono la possibilità di fermare gli impianti e di concentrare le ferie in un determinato periodo ma esistono anche tipologie aziendali che richiedono la continuità degli impianti ed in questo caso la situazione ideale sarebbe poter spalmare le ferie sui 12 mesi ma difficilmente c'è chi accetta di andar in ferie il mese di novembre pertanto i periodi di concentrazione di ferie portano come conseguenza una riduzione della utilizzazione impianti.. cito una esperienza personale in quanto l'azienda per la quale ho lavorato sino al 1995 negli anni 80 aveva acquisito una azienda tedesca ed è interessante analizzare il diverso approccio fra i le realtà tedesca ed italana. negli stabilimenti italiani i periodi feriali prevedevano una riduzione della produzione negli stabilimenti tedeschi no in quanto nel periodo estivo venivano assunti per alcuni mesi degli studenti spesso figli degli stessi lavoratori con soddisfazione di tutte le parti. quando la direzione personale provò ad ipotizzare di portare tale esperienza in italia le difficoltà burocratiche e legislative si sono dimostrate insuperabili e tali difficoltà rimangono anche nella situazione attuale. ne consegue un invito a spostare il contenuto delle discussioni sul campo pratico sarà forse meno avvincente ma si evita di parlare del sesso degli angeli.

Risposto da Fabio Marinelli su 28 Gennaio 2013 a 18:02 Sì sono favorevole per entrambi, a patto che i progetti siano abbastanza verdi! giorgio varaldo ha detto: due domande 1) cosa ne pensi delle centrali idroelettriche utilizzate come accumulatori di energia prodotta con eolico e solare? 2) sei favorevole a progetti come il nuovo valico autostradale di genova? Fabio Marinelli ha detto:

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senza considerare quello che dice la CGIL, la mia ricetta è questa: http://fabiomarinelli.ilcannocchiale.it/post/2712633.html I soldi x realizzarla si possono ricavare dalle tariffe dei traghetti (per i traghetti), per il resto si possono ricavare dal gioco d'azzardo (che ha un fatturato di 80 miliardi), dalla vendita dei beni sequestrati alla mafia, dalla lotta all'evasione fiscale (120 miliardi all'anno). Meglio non parlare di patrimoniale prima delle elezioni, perché il 20% degli italiani ha la proprietà di 2 immobili o più, e si perderebbe subito il voto di queste persone.

Risposto da giorgio varaldo su 28 Gennaio 2013 a 19:39 se sostituisci verdi con gruen siamo d'accordo! Fabio Marinelli ha detto: Sì sono favorevole per entrambi, a patto che i progetti siano abbastanza verdi! giorgio varaldo ha detto: due domande 1) cosa ne pensi delle centrali idroelettriche utilizzate come accumulatori di energia prodotta con eolico e solare? 2) sei favorevole a progetti come il nuovo valico autostradale di genova? Fabio Marinelli ha detto: senza considerare quello che dice la CGIL, la mia ricetta è questa: http://fabiomarinelli.ilcannocchiale.it/post/2712633.html I soldi x realizzarla si possono ricavare dalle tariffe dei traghetti (per i traghetti), per il resto si possono ricavare dal gioco d'azzardo (che ha un fatturato di 80 miliardi), dalla vendita dei beni sequestrati alla mafia, dalla lotta all'evasione fiscale (120 miliardi all'anno). Meglio non parlare di patrimoniale prima delle elezioni, perché il 20% degli italiani ha la proprietà di 2 immobili o più, e si perderebbe subito il voto di queste persone.

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 28 Gennaio 2013 a 20:22 Fabio Il fatto che la stagnazione economica renda più evidente ed ancora più socialmente pesante la "precarizzazione" del lavoro, specialmente giovanile, non significa che essa rappresenti un conmportamento normale e logico delle imprese.Il fatto che possa rappresentare la migliore scelta economica per le imprese , in questo momento difficile, rende invece ancora più evidente quanto sia rigido il mercato del lavoro .. Se utilizzo il lavoro precario non solo per adattarmi alle possibili variazioni della domanda del mercato o alle mie esigenze organizzative di elasticità sto mettendo in piedi un meccanismo di peggioramento delle condizioni del lavoro che mi potrà in parte far comodo nel breve termine ma di cui dubito degli effetti nel lungo termine e che comunque gestito in maniera generalizzata va giustamente combattuto dalle organizzazioni del lavoro e da tutti coloro che le sostengono. Chi stabilisce . all’interno del tuo ragionamento, il limite al peggioramento delle condizioni del lavoro? La mancata convenienza per l’azienda o l’indisponibilità delle forze organizzate del lavoro? Bisogna mediare la giusta esigenza dell’azienda di massimizzare il suo profitto con le regole che la collettività ha deciso di seguire e con le migliori condizioni di vita possibili per i lavoratori La questione che cerco di sollevare è che l’esigenza di maggiore flessibilità e di maggiore produttività proprio a causa della rigidità del mercato del lavoro e della crisi di competitività del nostro sistema. Si è scaricata in un profondo processo di precarizzazione di cui sono state investite le giovani generazioni creando un problema sociale complessivo di grandi proporzioni che non possiamo negare . Di fronte alla rigidità del mercato del lavoro moltissime aziende hanno privilegiato le assunzioni a tempo determinato e atipico per avere una maggiore possibilità di gestione delle risorse. ed un costo inferiore. .Hanno fatto male ? NO certamente . E’ stata ottenuta maggiore occupazione ? probabile; ma l’aver lasciato tutte le garanzie solo ai lavoratori a tempo indeterminato delle aziende con oltre quindici dipendenti e la precarizzazione sui giovani e sui dipendenti delle piccole aziende o di vaste zone territoriali è un problema

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Lo stesso utilizzo degli ammortizzatori sociali come la cassa integrazione straordinaria, in deroga ecc. ha dirottato enormi risorse a sostegno dei lavoratori delle grandi aziende, ma nel frattempo solo oggi con l’ASPI sono state estese forme di sostegno sociale per lavoratori precari. Stiamo assistendo ad una frattura generazionale importante e contemporaneamente ad uno aumento della marginalità bloccata. Dov’è il passaggio o il percorso possibile dalla precarietà alla stabilità? E’ una situazione bloccata . Era preferibile allora assistere ad una disoccupazione maggiore? Probabilmente no; ma, era meglio non cristallizzare le figure precarie in una progressiva marginalità con connotati generazionali, aziendali ( piccole aziende) e spesso territoriali. D’altra parte, tutti gli esempi che hai fatto relativamente alla logica che guida le imprese nella gestione ed assunzione della risorsa lavoro conferma l’anomalia di quanto sta succedendo : Tu dici :”. Nessuno licenzia evidentemente per il piacere di licenziare - questo ha sempre un certo costo anche se non ci sono obblighi legali - ma se le vendite scendono, per le imprese è utile poter ridurre il numero di persone occupate.Che nessuno licenzi per il piacere di licenziare, ma che le imprese anzi accettino liberamente di mantenere una parte del personale anche se non è strettamente necessario è provato dalle statistiche che mostrano che le imprese non licenziano mai nel momento in cui le vendite scendono, ma che aspettano, di solito più di un anno (sperano sempre che le prime difficoltà siano passeggere e che le cose riprendano). Ci sono poi casi particolari (la Germania nel 2009, il Regno Unito dal 2009 ad oggi) dove le imprese hanno mantenuto in maniera sostanziale il personale, ad un basso numero di ore, per poter essere in grado di riprendere la produzione non appena la domanda avesser ripreso ("labour hoarding").” La tendenza dell’azienda è infatti quella di avere un corpo stabile di lavoratori,che cura e che fa crescere, ed una possibilità di elasticità che le consenta di adattarsi alle variabilità del mercato. Oggi non sta succedendo questo : La presenza del lavoro precario supera l’esigenza di elasticità per andare invece a risolvere l’esigenza di abbassare il costo lavorativo. E per questo che nel momento in cui viene richiesto un generale ripensamento del costo del lavoro si deve contemporaneamente riformare la legislazione del lavoro ndone la rigidità ma riconducendo la prestazione del lavoro precario nei termini fisiologici della copertura delle esigenze di flessibilità. Quando dici che il lungo periodo di declino economico del nostro paese ha smascherato un processo già in atto ,che il lavoro precario aveva anzi attenuato, dici una cosa vera .Probabilmente il fatto che l’occupazione non sia scesa come sarebbe successo senza l’utilizzo di queste forme di lavoro atipico è stato un risultato apprezzabile ma contraddittorio che ha delle anomalie e delle distorsioni sia rispetto all’utilizzo ottimale complessivo della risorsa lavoro sia come conseguenza sul vivere sociale. Che l’obiettivo dell’introduzione di forme di contratto di lavoro precario fosse quello di dare l’opportunità di lavoro a persone che in alternativa sarebbero state disoccupate o inoccupate è vero: non si sta contestando questo ma semmai la concentrazione dell’utilizzo di queste forme nel lavoro giovanile, e che la riduzione del costo complessivo del lavoro sia stata tentata solo utilizzando queste forme di lavoro atipico e non rivedendo i contratti come si sta ragionando oggi ad esmpio nell’accordo sulla produttività e non investendo adeguatamente nell’innovazione di prodotto La mancanza del ricambio generazionale e le conseguenze che in tal modo si verificano sia rispetto all’organizzazione del lavoro che sulla società costituiscono una bomba ad orologeria Siamo quindi in presenza di un nuovo fenomeno,che non mette solo in evidenza le conseguenze perniciose della stagnazione economica che affligge il paese da quindici anni ma rappresenta anche un’applicazione distorta ed eccessiva delle prestazioni lavorative atipiche con conseguenze sociali negative. Fabio Colasanti ha detto: Giuseppe, la "precarizzazione" che tu descrivi non è una nuova tendenza, un qualcosa di anomalo o nuovo, ma un comportamento normale e logico delle imprese che diventa più visibile (e socialmente dannoso) quando una stagnazione economica si protrae nel tempo....................................................................

Risposto da Fabio Colasanti su 28 Gennaio 2013 a 21:36 Giuseppe,

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la mia analisi non minimizza le conseguenze sociali di quello che sta succedendo sul mercato del lavoro, ma cerca di far capire perché sta succedendo quello che vediamo e di ricordare quali sono le possibilità di intervento che abbiamo. Ripeto che le due strade principali sono quelle che ho indicato nel mio intervento precedente: a) accettazione del risultato di mercato e correzione dei suoi effetti sociali attraverso misure di aiuto per il livello e la stabilità del reddito (costoso per le casse dello stato, ma permette un livello di occupazine più alto); b) tentativo di impedire che il risultato di mercato si manifesti attraverso l'imposizione di regole sui salari minimi e sulle modalità dei contratti (costi quasi nulli per le casse dello stato, ma disoccupazione più alta). Poi esiste anche la possibilità di intervenire marginalmente su alcuni aspetti specifici della legislazione esistente, ma si tratta di interventi di importanza molto secondaria rispetto a quelli alla base dei due tipi di interventi appena presentati. Nel corso dell'ultima riforma Fornero mi sembra che qualche cosa sia stata toccata, ma non ricordo cosa. Nel recente accordo francese sulla competitività il costo dei contratti temporanei è stato aumentato del tre per cento. Penso però che piccoli interventi di questo tipo siano aspirine per una gamba rotta. In ogni caso non serve a nulla tentare di definire la precarizzazione come un presunto errore manageriale o un comportamento delle imprese che obbedirebbe a una logica perversa diversa dalla semplice ricerca del profitto. Ammesso per assurdo che fosse vero, che si fa? La morale alle imprese? No, si ritorna sempre alle regole. E le regole sono o le aspirine che no al margine le condizioni dei contratti temporanei o le misure vere di uno dei due interventi principila descritti all'inizio. La mia preferenza è chiara; è per la soluzione alla Ichino, la soluzione dei paesi del Nord-Europa. Ma non vedo i vantaggi o la possibilità di agire sulla precarizzazione indipendentemente da interventi sulla situazione generale del mercato del lavoro. Il problema da risolvere è come far si che l'economia possa creare posti di lavoro in quantità che facciano una differenza e in tempi rapidi, sapendo che non abbiamo nessuna possibilità di lanciare programmi keynesiani classici di sostegno della domanda. Di nuovo la mia risposta è che bisogna utilizzare tutti i margini di bilancio di cui il governo disporrà - e che non sono nulli - per abbassare il costo del lavoro e incentivare la creazione di posti di lavoro. Io farei anche uno sforzo per incorggiare a) un blocco dei salari per almeno un paio d'anni come tu avevi proposto e b) una flessibilità negoziale a livello delle aziende che possa permettere in alcuni casi anche riduzioni dei salari. Ma misure ad hoc per il solo problema della precarizzazione non mi sembrano risolvere nulla. Giuseppe Ardizzone ha detto: Fabio Il fatto che la stagnazione economica renda più evidente ed ancora più socialmente pesante la "precarizzazione" del lavoro, specialmente giovanile, non significa che essa rappresenti un conmportamento normale e logico delle imprese.Il fatto che possa rappresentare la migliore scelta economica per le imprese , in questo momento difficile, rende invece ancora più evidente quanto sia rigido il mercato del lavoro .. Se utilizzo il lavoro precario non solo per adattarmi alle possibili variazioni della domanda del mercato o alle mie esigenze organizzative di elasticità sto mettendo in piedi un meccanismo di peggioramento delle condizioni del lavoro che mi potrà in parte far comodo nel breve termine ma di cui dubito degli effetti nel lungo termine e che comunque gestito in maniera generalizzata va giustamente combattuto dalle organizzazioni del lavoro e da tutti coloro che le sostengono. Chi stabilisce . all’interno del tuo ragionamento, il limite al peggioramento delle condizioni del lavoro? La mancata convenienza per l’azienda o l’indisponibilità delle forze organizzate del lavoro? Bisogna mediare la giusta esigenza dell’azienda di massimizzare il suo profitto con le regole che la collettività ha deciso di seguire e con le migliori condizioni di vita possibili per i lavoratori La questione che cerco di sollevare è che l’esigenza di maggiore flessibilità e di maggiore produttività proprio a causa della rigidità del mercato del lavoro e della crisi di competitività del nostro sistema. Si è scaricata in un profondo processo di precarizzazione di cui sono state investite le giovani generazioni creando un problema sociale complessivo di grandi proporzioni che non possiamo negare . Di fronte alla rigidità del mercato del lavoro moltissime aziende hanno privilegiato le assunzioni a tempo determinato e atipico per avere una maggiore possibilità di gestione delle risorse. ed un costo inferiore. .Hanno fatto male ? NO certamente . E’ stata ottenuta maggiore occupazione ? probabile; ma l’aver lasciato tutte le garanzie solo ai lavoratori a tempo indeterminato delle aziende con oltre quindici dipendenti e la precarizzazione sui giovani e sui dipendenti delle piccole aziende o di vaste zone territoriali è un problema Lo stesso utilizzo degli ammortizzatori sociali come la cassa integrazione straordinaria, in deroga ecc. ha dirottato enormi risorse a sostegno dei lavoratori delle grandi aziende, ma nel frattempo solo oggi con l’ASPI sono state estese forme di sostegno sociale per lavoratori precari.

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Stiamo assistendo ad una frattura generazionale importante e contemporaneamente ad uno aumento della marginalità bloccata. Dov’è il passaggio o il percorso possibile dalla precarietà alla stabilità? E’ una situazione bloccata . Era preferibile allora assistere ad una disoccupazione maggiore? Probabilmente no; ma, era meglio non cristallizzare le figure precarie in una progressiva marginalità con connotati generazionali, aziendali ( piccole aziende) e spesso territoriali. D’altra parte, tutti gli esempi che hai fatto relativamente alla logica che guida le imprese nella gestione ed assunzione della risorsa lavoro conferma l’anomalia di quanto sta succedendo : Tu dici :”. Nessuno licenzia evidentemente per il piacere di licenziare - questo ha sempre un certo costo anche se non ci sono obblighi legali - ma se le vendite scendono, per le imprese è utile poter ridurre il numero di persone occupate.Che nessuno licenzi per il piacere di licenziare, ma che le imprese anzi accettino liberamente di mantenere una parte del personale anche se non è strettamente necessario è provato dalle statistiche che mostrano che le imprese non licenziano mai nel momento in cui le vendite scendono, ma che aspettano, di solito più di un anno (sperano sempre che le prime difficoltà siano passeggere e che le cose riprendano). Ci sono poi casi particolari (la Germania nel 2009, il Regno Unito dal 2009 ad oggi) dove le imprese hanno mantenuto in maniera sostanziale il personale, ad un basso numero di ore, per poter essere in grado di riprendere la produzione non appena la domanda avesser ripreso ("labour hoarding").” La tendenza dell’azienda è infatti quella di avere un corpo stabile di lavoratori,che cura e che fa crescere, ed una possibilità di elasticità che le consenta di adattarsi alle variabilità del mercato. Oggi non sta succedendo questo : La presenza del lavoro precario supera l’esigenza di elasticità per andare invece a risolvere l’esigenza di abbassare il costo lavorativo. E per questo che nel momento in cui viene richiesto un generale ripensamento del costo del lavoro si deve contemporaneamente riformare la legislazione del lavoro ndone la rigidità ma riconducendo la prestazione del lavoro precario nei termini fisiologici della copertura delle esigenze di flessibilità. Quando dici che il lungo periodo di declino economico del nostro paese ha smascherato un processo già in atto ,che il lavoro precario aveva anzi attenuato, dici una cosa vera .Probabilmente il fatto che l’occupazione non sia scesa come sarebbe successo senza l’utilizzo di queste forme di lavoro atipico è stato un risultato apprezzabile ma contraddittorio che ha delle anomalie e delle distorsioni sia rispetto all’utilizzo ottimale complessivo della risorsa lavoro sia come conseguenza sul vivere sociale. Che l’obiettivo dell’introduzione di forme di contratto di lavoro precario fosse quello di dare l’opportunità di lavoro a persone che in alternativa sarebbero state disoccupate o inoccupate è vero: non si sta contestando questo ma semmai la concentrazione dell’utilizzo di queste forme nel lavoro giovanile, e che la riduzione del costo complessivo del lavoro sia stata tentata solo utilizzando queste forme di lavoro atipico e non rivedendo i contratti come si sta ragionando oggi ad esmpio nell’accordo sulla produttività e non investendo adeguatamente nell’innovazione di prodotto La mancanza del ricambio generazionale e le conseguenze che in tal modo si verificano sia rispetto all’organizzazione del lavoro che sulla società costituiscono una bomba ad orologeria Siamo quindi in presenza di un nuovo fenomeno,che non mette solo in evidenza le conseguenze perniciose della stagnazione economica che affligge il paese da quindici anni ma rappresenta anche un’applicazione distorta ed eccessiva delle prestazioni lavorative atipiche con conseguenze sociali negative.

Risposto da Fabio Colasanti su 28 Gennaio 2013 a 21:53 Sono molto perplesso dall'annuncio fatto dall'Istat - e messo in prima pagina dai media in maniera probabilmente inaspettata per l'Istat stesso. Mi riferisco al fatto che nel 2012 gli stipendi italiani (ma definiti in una maniera molto particolare: retribuzioni contrattuali ufficiali nell'industria) avrebbero conosciuto l'aumento più basso dal 1983 ! Purtroppo non ho al momento il tempo di andare a cercare più informazioni, ma spiego le ragioni della mia perplessità. Se fosse vero che nel 2012 l'1.5 per cento di aumento dei salari sarebbe stato il più basso dal 1983, questo vorrebbe dire che dal 1983 i salari italiani (nella definizione usata) sarebbero aumentati ogni anno di almeno l'1.5 per cento. Se questo risultato fosse vero sarebbe quasi miracoloso. In ogni paese quando c'è una recessione i salari scendono. Succede in tutti i paesi. Sarebbe miracoloso che non fosse successo in Italia. Al tempo stesso, se questo fosse vero, si spiegherebbe ancora più facilmente la perdita di competitività dell'economia italiana nel corso degli anni: quando ci sono state crisi, i salari degli altri paesi sarebbero diminuiti, mentre quelli italiani avrebbero continuato a crescere.

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Ho paura che non sia cosi. L'indice al quale l'Istat ha fatto riferimento oggi deve essere probabilmente quello del livello delle retribuzioni contrattuali così come risultano dai contratti collettivi nazionali. I salari effettivi poi tengono conto di tante altre cose a cominciare da straordinari, premi e da indennità negoziate a livello locale. Gli stipendi di fatto sono a volte aumentati ben più rapidamente degli stipendi contrattuali e sono, in alcuni anni, anche diminuiti. Se le cose stanno cosi, siamo di fronte ad un altro "Tanto rumore per nulla", con i giornalisti che trasformano in titoloni notizie da analisi tecnica in uno studio per dottorandi.

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 28 Gennaio 2013 a 22:18 Possiamo essere d'accordo su alcune cose di fondo. Ecco che si fa: 1)Necessità di un nuovo diritto del lavoro e di nuove tipologie contrattuali conseguenti che, introdotte a livello sperimentale sulle nuove assunzioni, come propone il Sen Ichino, abbiamo il doppio effetto di scoraggiare un utilizzo improprio dei contratti atipici, assicurino un'adeguata flessibilità e mantengano gran parte dei dirittii dei lavoratori attuali a tempo indeterminato . 2).Miglioramento dell'ASPI ed introduzione del reddito minimo con una revisione contemporanea della mobilità, della cassa integrazione straordinaria ed in deoga. Utilizzo dei fondi europei come suggerisce il sen. Ichino e miglioramento dei centri per l'impiego. 3) Introduzione del contratto unico d'ingresso a tempo indeterminato a garanzia progressiva o miglioramento del contratto di apprendistato in termini di convenienza. 4) si insiste sulla contrattazione di secondo livello. Sulle agevolazioni fiscali sui premi di rendimento e sugli straordinari. Si bloccano i salari nominali per tre anni Sul punto relativo alle risorse ed alla loro possibile destinazione se solo nei confronti di una riduzione del costo del lavoro od altro ti invito a guardare l'articolo che ho appena scritto e pubblicato sul blog. Non intendo sostegno della domanda come sostegno dei consumi ma di tutte le sue componenti. Ti invito a risapondermi su questa questione: a mio avviso il caso italiano è caratterizzato dall'incontro di due crisi una specifica di perdita di forza del nostro apparato produttivo e soprattutto della competitività e del ritardo di funzionalità dell'amministrazione pubblica , della giustizia, della ricerca , energia , sistema paesevc. . L'altra questione invece ci accomuna a quella che è stata all'origine della crisi economico-finanziaria mondiale: la concentrazione eccessiva delle ricchezze e lo sviluppo anomalo delle risorse della finanza rispetto alla produzione nazionale o continentale. Ricchezza finanziaria che si autoalimenta togliendo risorse al mondo del lavoro, impoverendolo o che ha trovato occasioni migliori nel finanziare operazioni produttive negli stati emergenti. SE questo è vero la crescita deve partire non solo nel segno della ritrovata competitività ma anche in quello dell'equità e lo strumento fiscale deve operare in tal senso. Fabio Colasanti ha detto: Giuseppe, la mia analisi non minimizza le conseguenze sociali di quello che sta succedendo sul mercato del lavoro, ma cerca di far capire perché sta succedendo quello che vediamo e di ricordare quali sono le possibilità di intervento che abbiamo. Ripeto che le due strade principali sono quelle che ho indicato nel mio intervento precedente: a) accettazione del risultato di mercato e correzione dei suoi effetti sociali attraverso misure di aiuto per il livello e la stabilità del reddito (costoso per le casse dello stato, ma permette un livello di occupazine più alto); b) tentativo di impedire che il risultato di mercato si manifesti attraverso l'imposizione di regole sui salari minimi e sulle modalità dei contratti (costi quasi nulli per le casse dello stato, ma disoccupazione più alta). Poi esiste anche la possibilità di intervenire marginalmente su alcuni aspetti specifici della legislazione esistente, ma si tratta di interventi di importanza molto secondaria rispetto a quelli alla base dei due tipi di interventi appena presentati. Nel corso dell'ultima riforma Fornero mi sembra che qualche cosa sia stata toccata, ma non ricordo cosa. Nel recente accordo francese sulla competitività il costo dei contratti temporanei è stato aumentato del tre per cento. Penso però che piccoli interventi di questo tipo siano aspirine per una gamba rotta. In ogni caso non serve a nulla tentare di definire la precarizzazione come un presunto errore manageriale o un comportamento delle imprese che obbedirebbe a una logica perversa diversa dalla semplice ricerca del profitto.

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Ammesso per assurdo che fosse vero, che si fa? La morale alle imprese? No, si ritorna sempre alle regole. E le regole sono o le aspirine che no al margine le condizioni dei contratti temporanei o le misure vere di uno dei due interventi principila descritti all'inizio. La mia preferenza è chiara; è per la soluzione alla Ichino, la soluzione dei paesi del Nord-Europa. Ma non vedo i vantaggi o la possibilità di agire sulla precarizzazione indipendentemente da interventi sulla situazione generale del mercato del lavoro. Il problema da risolvere è come far si che l'economia possa creare posti di lavoro in quantità che facciano una differenza e in tempi rapidi, sapendo che non abbiamo nessuna possibilità di lanciare programmi keynesiani classici di sostegno della domanda. Di nuovo la mia risposta è che bisogna utilizzare tutti i margini di bilancio di cui il governo disporrà - e che non sono nulli - per abbassare il costo del lavoro e incentivare la creazione di posti di lavoro. Io farei anche uno sforzo per incorggiare a) un blocco dei salari per almeno un paio d'anni come tu avevi proposto e b) una flessibilità negoziale a livello delle aziende che possa permettere in alcuni casi anche riduzioni dei salari. Ma misure ad hoc per il solo problema della precarizzazione non mi sembrano risolvere nulla. Giuseppe Ardizzone ha detto: Fabio Il fatto che la stagnazione economica renda più evidente ed ancora più socialmente pesante la "precarizzazione" del lavoro, specialmente giovanile, non significa che essa rappresenti un conmportamento normale e logico delle imprese.Il fatto che possa rappresentare la migliore scelta economica per le imprese , in questo momento difficile, rende invece ancora più evidente quanto sia rigido il mercato del lavoro .. Se utilizzo il lavoro precario non solo per adattarmi alle possibili variazioni della domanda del mercato o alle mie esigenze organizzative di elasticità sto mettendo in piedi un meccanismo di peggioramento delle condizioni del lavoro che mi potrà in parte far comodo nel breve termine ma di cui dubito degli effetti nel lungo termine e che comunque gestito in maniera generalizzata va giustamente combattuto dalle organizzazioni del lavoro e da tutti coloro che le sostengono. Chi stabilisce . all’interno del tuo ragionamento, il limite al peggioramento delle condizioni del lavoro? La mancata convenienza per l’azienda o l’indisponibilità delle forze organizzate del lavoro? Bisogna mediare la giusta esigenza dell’azienda di massimizzare il suo profitto con le regole che la collettività ha deciso di seguire e con le migliori condizioni di vita possibili per i lavoratori La questione che cerco di sollevare è che l’esigenza di maggiore flessibilità e di maggiore produttività proprio a causa della rigidità del mercato del lavoro e della crisi di competitività del nostro sistema. Si è scaricata in un profondo processo di precarizzazione di cui sono state investite le giovani generazioni creando un problema sociale complessivo di grandi proporzioni che non possiamo negare . Di fronte alla rigidità del mercato del lavoro moltissime aziende hanno privilegiato le assunzioni a tempo determinato e atipico per avere una maggiore possibilità di gestione delle risorse. ed un costo inferiore. .Hanno fatto male ? NO certamente . E’ stata ottenuta maggiore occupazione ? probabile; ma l’aver lasciato tutte le garanzie solo ai lavoratori a tempo indeterminato delle aziende con oltre quindici dipendenti e la precarizzazione sui giovani e sui dipendenti delle piccole aziende o di vaste zone territoriali è un problema Lo stesso utilizzo degli ammortizzatori sociali come la cassa integrazione straordinaria, in deroga ecc. ha dirottato enormi risorse a sostegno dei lavoratori delle grandi aziende, ma nel frattempo solo oggi con l’ASPI sono state estese forme di sostegno sociale per lavoratori precari. Stiamo assistendo ad una frattura generazionale importante e contemporaneamente ad uno aumento della marginalità bloccata. Dov’è il passaggio o il percorso possibile dalla precarietà alla stabilità? E’ una situazione bloccata . Era preferibile allora assistere ad una disoccupazione maggiore? Probabilmente no; ma, era meglio non cristallizzare le figure precarie in una progressiva marginalità con connotati generazionali, aziendali ( piccole aziende) e spesso territoriali. D’altra parte, tutti gli esempi che hai fatto relativamente alla logica che guida le imprese nella gestione ed assunzione della risorsa lavoro conferma l’anomalia di quanto sta succedendo : Tu dici :”. Nessuno licenzia evidentemente per il piacere di licenziare - questo ha sempre un certo costo anche se non ci sono obblighi legali - ma se le vendite scendono, per le imprese è utile poter ridurre il numero di persone occupate.Che nessuno licenzi per il piacere di licenziare, ma che le imprese anzi accettino liberamente di mantenere una parte del personale anche se non è strettamente necessario è provato dalle statistiche che mostrano che le imprese non licenziano mai nel momento in cui le vendite scendono, ma che aspettano, di solito più di un anno (sperano sempre che le prime difficoltà siano passeggere e che le cose riprendano). Ci sono poi casi particolari (la Germania nel 2009, il Regno Unito dal 2009 ad oggi) dove le imprese hanno mantenuto in maniera sostanziale il personale, ad un basso

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numero di ore, per poter essere in grado di riprendere la produzione non appena la domanda avesser ripreso ("labour hoarding").” La tendenza dell’azienda è infatti quella di avere un corpo stabile di lavoratori,che cura e che fa crescere, ed una possibilità di elasticità che le consenta di adattarsi alle variabilità del mercato. Oggi non sta succedendo questo : La presenza del lavoro precario supera l’esigenza di elasticità per andare invece a risolvere l’esigenza di abbassare il costo lavorativo. E per questo che nel momento in cui viene richiesto un generale ripensamento del costo del lavoro si deve contemporaneamente riformare la legislazione del lavoro ndone la rigidità ma riconducendo la prestazione del lavoro precario nei termini fisiologici della copertura delle esigenze di flessibilità. Quando dici che il lungo periodo di declino economico del nostro paese ha smascherato un processo già in atto ,che il lavoro precario aveva anzi attenuato, dici una cosa vera .Probabilmente il fatto che l’occupazione non sia scesa come sarebbe successo senza l’utilizzo di queste forme di lavoro atipico è stato un risultato apprezzabile ma contraddittorio che ha delle anomalie e delle distorsioni sia rispetto all’utilizzo ottimale complessivo della risorsa lavoro sia come conseguenza sul vivere sociale. Che l’obiettivo dell’introduzione di forme di contratto di lavoro precario fosse quello di dare l’opportunità di lavoro a persone che in alternativa sarebbero state disoccupate o inoccupate è vero: non si sta contestando questo ma semmai la concentrazione dell’utilizzo di queste forme nel lavoro giovanile, e che la riduzione del costo complessivo del lavoro sia stata tentata solo utilizzando queste forme di lavoro atipico e non rivedendo i contratti come si sta ragionando oggi ad esmpio nell’accordo sulla produttività e non investendo adeguatamente nell’innovazione di prodotto La mancanza del ricambio generazionale e le conseguenze che in tal modo si verificano sia rispetto all’organizzazione del lavoro che sulla società costituiscono una bomba ad orologeria Siamo quindi in presenza di un nuovo fenomeno,che non mette solo in evidenza le conseguenze perniciose della stagnazione economica che affligge il paese da quindici anni ma rappresenta anche un’applicazione distorta ed eccessiva delle prestazioni lavorative atipiche con conseguenze sociali negative.

Risposto da Fabio Colasanti su 29 Gennaio 2013 a 16:41 Ho commentato varie volte l'andamento dei salari in Italia e ho indicato che è abbastanza strano che i salari italiani abbiano continuato ad aumentare durante la recessione e che i costi del lavoro non siano scesi. Ho appena trovato un commento su questo punto in un bollettino economico quotidiano al quale sono abbonato e che è gestito da una società del gruppo dell'Economist. E' il testo tra parentesi alla fine del paragrafo. Italian wages rise 1.5% Italian hourly wages were on average 1.5% higher in 2012 than the previous year, the lowest average rise in salaries since 1983. Il Sole 24 Ore reports, ISTAT confirmed that real wages were down by 1.5% last year. Istat’s consumer-confidence index dropped to 84.6 points this month from 85.7 in December. (It is astonishing that the Italian labour market still manages to generate positive nominal wage inflation during such an awful recession.)

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 29 Gennaio 2013 a 17:34 Niente da fare! Qui discutiamo sul pericolo della precarizzazione giovanile senza tutele ma Damiano pensa che sia preferibile la situazione attuale . La proposta Ichino almeno consentirebbe l'inquadramento dei giovani nell'azienda con tutti i vantaggi del lavoro a tempo indeterminato tranne la rigidità rispetto al possibile licenziamento( non discriminatorio). http://www.europaquotidiano.it/dettaglio/139738/ma_le_regole_devono...

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Risposto da giovanni de sio cesari su 29 Gennaio 2013 a 18:08 Capisco: se il nord d’Europa (e relativamente anche il nord dell’Italia) riesce a competere significa che si può competere, e che le mie impressioni e considerazioni sono errate o almeno esagerate: occorre solo fare delle riforme come quelle del nord: modelli danesi anche in Italia, come propone Ichino, insomma Tuttavia io domando : ma non è che stiamo invertendo la catena delle causalità? Voglio dire: è la mancanza di riforme a causare il declino oppure è il declino a impedire le riforme? Certo la Grecia è un caso a parte e Berlusconi ci ha portato con la sua irresponsabilità sull’orlo del baratro. Però io ricordo che in Spagna ( è parecchio che non ci vado) ci guardavano dall’alto in basso perche loro erano al boom, che Lisbona era difficile da visitare perchè tutta un cantiere : ora mi pare che stanno molto peggio di noi, che le strade della movida di Madrid sono percorsi dai cortei degli indignados. Erano in pieno sviluppo, non c’era nemmeno Berlusconi ma l’onesto e serio Zapartero. Que ha pasado? Forse i paesi dell’economia piu solida resistono ancora, con qualche affanno e cominciano a cadere quelli storicamente più deboli , i paesi del mediterranei. Un fatto occasionale che si risolverà, diciamo, nel prossimo decennio, oppure l’inizio della fine , i primi a cadere perche piu deboli nell’attesa che il processo coinvolga man mano anche quelli più forti.? Fabio Colasanti ha detto: Giovanni, due osservazioni brevi. Il terremoto nell'Emilia Romagna ha messo sotto le telecamere tante piccole imprese che producono ed esportano nel mondo attrezzature mediche di alta qualità, macchinari ed altri prodotti sofisticati. Ci sono tante altre realtà dinamiche di questo tipo. Non ce ne sono però abbastanza. Perché non si può riprodurre in altre parti d'Italia quello che succede nelle regioni dove le cose funzionano? Rispondere che è perché c'è il controllo della politica, c'è la corruzione, la giustizia non funziona, c'è mancanza di civismo, significa fare una lista di cose sulle quali possiamo e dobbiamo agire. Secondo. Noi siamo nella situazione disastrata nella quale siamo. Ma i paesi del nord Europa - spesso con costi salariali più alti dei nostri - riescono a competere con i cinesi e gli altri paesi emergenti. La zona euro ha un forte avanzo commerciale nei confronti del resto del mondo (non ostante il nostro deficit). Se ci riescono gli altri europei perché non dovremmo riiuscirci noi?

Risposto da Fabio Colasanti su 29 Gennaio 2013 a 19:03 Caro Giovanni, il declino rende le riforme difficili, non c'è dubbio. Le riforme, anche le più difficili, sarebbero fattibili durante i periodi di buona crescita, ma non abbiamo uomini politici con sufficiente lungimiranza e senso di responsabilità. Durante i periodi di difficoltà, si rimpiange di non aver fatto le riforme, ma farle ora è politicamente quasi un suicidio. Fare le riforme durante i buoni periodi è sempre spiacevole e, visto che le riforme non sono urgenti, si rinvia. La battuta che si usa per queste situazione è "Quando piove non si può lavorare sul tetto per ripararlo; quando c'è il sole, non è urgente riparare il tetto". Non dimentichiamo che la Svezia e la Norvegia tra le due guerre mondiali erano paesi molto poveri e paesi d'emigrazione. Che nel 1990, la caduta dell'Unione Sovietica ha provocato una crisi gravissima dell'economia finlandese che era basata sulla produzione di merci per il mercato USSR e che agli inizi degli anni novanta l'economia svedese è stata messa in ginocchio da una crisi bancaria ben più grave di quella che il mondo e l'Europa hanno conosciuto nel 2007/2008. Questi paesi sono usciti dalla povertà e dalle grosse crisi che ho ricordato grazie alla capacità di fare riforme e di non interromperle al cambiare dei governi. Questi paesi hanno fatto aggiustamenti (riforme, liberalizzazioni, tagli dei salari, riforme dei sistemi sociali) molto più duri di quello che l'Italia dovrebbe fare attualmente. La Spagna è un caso doloroso, ma è un caso che mostra di nuovo come è difficile, se non impossibile per i governi prendere decisioni pensando al di la delle prossime elezioni. La Spagna, di fondo, ha problemi molto simili e più gravi di quelli dell'economia italiana (per esempio, non ha la capacità manufatturiera che ha l'Italia). Ha avuto uno sviluppo

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su buone basi dopo l'entrata nell'unione europea nel 1986. Ma dopo l'ingresso nell'unione monetaria - che per loro è stato più facile che per l'Italia (come Prodi scoprì durante un famoso vertice a Valencia nel 1996) - hanno cominciato anche loro a perdere competiività. La perdita di competitività è stata però mascherata da una enorme bolla speculativa immobiliare. Pensa che per due o tre anni (non ho le cifre sottomano) sono state costruite più case in Spagna che in Germania, Francia e Italia messe assieme. Le banche spagnole - non le grandi, ma le Cajas sotto il controllo dei politici locali - prendevano soldi in prestito sui mercati internazionali e concedevano mutui a porci e cani. Tutte le organizzazioni internazionali hanno scritto che si andava verso un muro. Il governo spagnolo poteva fare tantisssme cose: poteva mettere tasse sui mutui, poteva introdurre norme che limitassero il rapporto tra mutuo e valore della proprietà ipotecata, poteva limitare o rendere più diffcile la concessione di licenze edilizie, poteva dire alle Cajas - sotto il controllo pubblico - di diventare più prudenti e smettere di aumentare il volume dei mutui. Ma il paese era in festa: tutti erano contenti, il valore delle case cresceva, la festa era nel suo pieno. Delle misure per rallentare la bolla prese agli inizi avrebbero avuto un effetto ragionevole e non avrebbero provocato sconquassi. Ma una volta che la bolla aveva raggiunto picchi irrazionali, ogni misura di freno avrebbe iniziato un movimento di vendite e lo scoppio della bolla stessa. Chiunque avesse fischiato per dire che la festa era finita si sarebbe preso una bella responsabilità, sarebbe stato lui il responsabile dello scoppio della bolla. Eppure perché eleggiamo governi? Qulcuno deve prendere queste responsabilità. Poi c'era il fatto che tra elezioni locali e elezioni politiche c'era sempre un'elezione dietro l'angolo. "Si, si dobbiamo fare qualcosa, ma facciamolo dopo le elezioni". Anche il buon Zapatero non si è mostrato all'altezza e non ha avuto il coraggio di fare il necessario. Purtroppo ha anche fatto altri danni con le prime misure di accorpamento delle Cajas e ha preso misure che hanno fatto si che tanti piccoli risparmiatori diventassero soci di Bankia, il conglomerato di sette Cajas nel quale è apparso il buco più grosso del sistema finanziario spagnolo. Questi piccoli risarmiatori oggi hanno perso tutto. giovanni de sio cesari ha detto: Capisco: se il nord d’Europa (e relativamente anche il nord dell’Italia) riesce a competere significa che si può competere, e che le mie impressioni e considerazioni sono errate o almeno esagerate: occorre solo fare delle riforme come quelle del nord: modelli danesi anche in Italia, come propone Ichino, insomma Tuttavia io domando : ma non è che stiamo invertendo la catena delle causalità? Voglio dire: è la mancanza di riforme a causare il declino oppure è il declino a impedire le riforme? Certo la Grecia è un caso a parte e Berlusconi ci ha portato con la sua irresponsabilità sull’orlo del baratro. Però io ricordo che in Spagna ( è parecchio che non ci vado) ci guardavano dall’alto in basso perche loro erano al boom, che Lisbona era difficile da visitare perchè tutta un cantiere : ora mi pare che stanno molto peggio di noi, che le strade della movida di Madrid sono percorsi dai cortei degli indignados. Erano in pieno sviluppo, non c’era nemmeno Berlusconi ma l’onesto e serio Zapartero. Que ha pasado? Forse i paesi dell’economia piu solida resistono ancora, con qualche affanno e cominciano a cadere quelli storicamente più deboli , i paesi del mediterranei. Un fatto occasionale che si risolverà, diciamo, nel prossimo decennio, oppure l’inizio della fine , i primi a cadere perche piu deboli nell’attesa che il processo coinvolga man mano anche quelli più forti.? Fabio Colasanti ha detto: Giovanni, due osservazioni brevi. Il terremoto nell'Emilia Romagna ha messo sotto le telecamere tante piccole imprese che producono ed esportano nel mondo attrezzature mediche di alta qualità, macchinari ed altri prodotti sofisticati. Ci sono tante altre realtà dinamiche di questo tipo. Non ce ne sono però abbastanza. Perché non si può riprodurre in altre parti d'Italia quello che succede nelle regioni dove le cose funzionano? Rispondere che è perché c'è il controllo della politica, c'è la corruzione, la giustizia non funziona, c'è mancanza di civismo, significa fare una lista di cose sulle quali possiamo e dobbiamo agire. Secondo. Noi siamo nella situazione disastrata nella quale siamo. Ma i paesi del nord Europa - spesso con costi salariali più alti dei nostri - riescono a competere con i cinesi e gli altri paesi emergenti. La zona euro ha un forte avanzo commerciale nei confronti del resto del mondo (non ostante il nostro deficit). Se ci riescono gli altri europei perché non dovremmo riiuscirci noi?

Risposto da adriano succi su 30 Gennaio 2013 a 19:25 Quante Italie ci sono? C'è una Italia che cerca disperatamente di uscire dal tunnel. A Grugliasco è partita una nuova linea di produzione Fiat/Maserati. Pare che gli operai Fiat , anche quelli Fiom, abbiano applaudito.

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C'è anche un' altra Italia. A Taranto il Gip Todisco ha detto ancora NO al dissequestro dei prodotti finiti e lavorati. Ripeto: finiti e lavorati, se dovevano inquinare l' hanno già fatto producendoli, adesso, parcheggiati da qualche parte, che male possono più fare? Il fatto che vendendoli si ricavino gli utili per pagare chi li ha prodotti è roba così da poco? Però Vendola la soluzione ce l' ha; ha detto che lui rispetta la Magistratura, è lo Stato che deve intervenire per assicurare gli stipendi ai Lavoratori. Capito Kompagni?

Risposto da giorgio varaldo su 30 Gennaio 2013 a 19:56 ecco quali sono le potenzialità del tanto vituperato sud d'italia http://www.ilmattino.it/avellino/avellino_rolls_royce_lavoro_invest... visto che i motori rolls royce sono usati anche per aerei militari si attende da bersani& vendola - oltre che da salvatore - un giudizio negativo sull'accordo.

Risposto da adriano succi su 30 Gennaio 2013 a 21:13 Credo che ne Bersani ne Salvatore daranno un giudizio negativo della cosa. Vendola forse, qualche amico/amica del Circolo probabilmente si. giorgio varaldo ha detto: ecco quali sono le potenzialità del tanto vituperato sud d'italia http://www.ilmattino.it/avellino/avellino_rolls_royce_lavoro_invest... visto che i motori rolls royce sono usati anche per aerei militari si attende da bersani& vendola - oltre che da salvatore - un giudizio negativo sull'accordo.

Risposto da giorgio varaldo su 30 Gennaio 2013 a 22:06 due cose positive la prima è che dato i miei 18 anni di vita al sud (e due figli targati TA) non mi consideri fra i denigratori. la seconda è il giudizio positivo all'investimento. ora c'è solo da aspettare il giudizio positivo di salvatore!!

Risposto da giorgio varaldo su 30 Gennaio 2013 a 23:40 dopo aver distrutto ILVA tolto ogni futuro a thyssen krupp terni essersi resa ridicola agli occhi del mondo con la sentenza dell'aquila ecco un altro successo della nostra favolosa incredibile imprevedibile magistratura. http://www.ilsussidiario.net/News/Il-fuoripista/2012/12/7/SAIPEM-Do... l'inchiesta aperta a suo tempo su tangenti SAIPEM ha ovviamente fatto rimettere in discussione ( e sicuramente perdere) i contratti con algeria ed ecco il crollo dei titoli in borsa.

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chi nel futuro farà ancora affari con SAIPEM? licenziamenti sicuri nel campo delle aziende off-shore italiane. da notare il silenzio dei partiti e cosa più preoccupante di napoletano. altro che equilibrio di poteri previsto dalla costituzione quello giudiziario ha preso il sopravvento sul legislativo e sull'esecutivo (oltre che sulla ragione) ermellino al posto della camicia nera. fermateli.

Risposto da giorgio varaldo su 31 Gennaio 2013 a 0:15 sono felice di esser stato smentito. il presidente della repubblica si è mosso. http://www.ilsussidiario.net/News/Impresa/2012/12/5/ILVA-TARANTO-Il...

Risposto da giovanni de sio cesari su 31 Gennaio 2013 a 18:17 Pienamente d‘accordo : pero non è che possiamo risolvere il problema occupazionale solo con le eccellenze che per definizione sono rare, occorre guardare alle competenze diffuse. Diciamo in generale che noi paesi del mediterraneo siamo schiacciati da una parte da quelli del nord europa che hanno strutture economiche e sociali molto piu forti e dall’altra parte dai paesi emergenti che hanno costi molti piu contenuti Per esemplificare: un tempo la Volkswagen produceva il maggiolino, leggendario per la sua qualità e la Fiat le produceva la 600, macchinetta leggendaria per costi e praticità: ora la Volkswagen è rimasta leggendaria per qualità, ma la Fiat deve fronteggiare le macchinette dell’estremo oriente coreane indiane, poi verranno anche le cinesi, magari. Per passare al vissuto : l’altro mio figlio lavora molto bene per una piccolissima società che vende prodotti informatici nei paesi baltici. Essendo mio figlio fra le eccellenze (autore di testi adottati anche nelle università) gli è stato offerto di lavorare ad Oslo con compensi 3 o 4 volte superiori: non accetta per motivi familiari Penso che la piccola società riesca a vendere ai baltici perche con ottimi prodotti ha costi contenuti rispetto ad quelli del nord europa: ma quanto tempo ci metteranno gli indiani a produrre gli stessi prodotti a prezzi molto piu bassi? Per ora credo che gli indiani, che sono i piu bravi nel campo informatico, emigrano in USA e non sono più concorrenziali. giorgio varaldo ha detto: ecco quali sono le potenzialità del tanto vituperato sud d'italia http://www.ilmattino.it/avellino/avellino_rolls_royce_lavoro_invest... visto che i motori rolls royce sono usati anche per aerei militari si attende da bersani& vendola - oltre che da salvatore - un giudizio negativo sull'accordo.

Risposto da giovanni de sio cesari su 31 Gennaio 2013 a 18:19 D’accordo su tutto il male che si puo dire di Berlusconi: però su una cosa ha ragione: l’Italia è un paese ingovernabile con gli ordinamenti attuali. E gli ordinamenti sono la cosa piu importante per lo sviluppo economico e civile. giorgio varaldo ha detto:

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dopo aver distrutto ILVA tolto ogni futuro a thyssen krupp terni essersi resa ridicola agli occhi del mondo con la sentenza dell'aquila ecco un altro successo della nostra favolosa incredibile imprevedibile magistratura. http://www.ilsussidiario.net/News/Il-fuoripista/2012/12/7/SAIPEM-Do... l'inchiesta aperta a suo tempo su tangenti SAIPEM ha ovviamente fatto rimettere in discussione ( e sicuramente perdere) i contratti con algeria ed ecco il crollo dei titoli in borsa. chi nel futuro farà ancora affari con SAIPEM? licenziamenti sicuri nel campo delle aziende off-shore italiane. da notare il silenzio dei partiti e cosa più preoccupante di napoletano. altro che equilibrio di poteri previsto dalla costituzione quello giudiziario ha preso il sopravvento sul legislativo e sull'esecutivo (oltre che sulla ragione) ermellino al posto della camicia nera. fermateli.

Risposto da giovanni de sio cesari su 31 Gennaio 2013 a 18:37 Precisa e interessante e chiarissima risposta : i baltici sono riusciti a superare la crisi e i mediterranei no: per scelte felici e infelici dei rispettivi governi: Pero io mi chiedevo : ma le scelte infelici e felici non dipendono dalle situazioni economica e sociale diversa? In altri termini la scelta felice o infelice sono la causa o l’effetto? E solo un caso che i mediterranei hanno fatto scelte infelici e i baltici scelte felici? In ogni caso le tue parole mi aprono orizzonti nuovi meno pessimistici: alla fine si puo uscire dalla crisi ! Fabio Colasanti ha detto: Caro Giovanni, il declino rende le riforme difficili, non c'è dubbio. Le riforme, anche le più difficili, sarebbero fattibili durante i periodi di buona crescita, ma non abbiamo uomini politici con sufficiente lungimiranza e senso di responsabilità. Durante i periodi di difficoltà, si rimpiange di non aver fatto le riforme, ma farle ora è politicamente quasi un suicidio. Fare le riforme durante i buoni periodi è sempre spiacevole e, visto che le riforme non sono urgenti, si rinvia. La battuta che si usa per queste situazione è "Quando piove non si può lavorare sul tetto per ripararlo; quando c'è il sole, non è urgente riparare il tetto". Non dimentichiamo che la Svezia e la Norvegia tra le due guerre mondiali erano paesi molto poveri e paesi d'emigrazione. Che nel 1990, la caduta dell'Unione Sovietica ha provocato una crisi gravissima dell'economia finlandese che era basata sulla produzione di merci per il mercato USSR e che agli inizi degli anni novanta l'economia svedese è stata messa in ginocchio da una crisi bancaria ben più grave di quella che il mondo e l'Europa hanno conosciuto nel 2007/2008. Questi paesi sono usciti dalla povertà e dalle grosse crisi che ho ricordato grazie alla capacità di fare riforme e di non interromperle al cambiare dei governi. Questi paesi hanno fatto aggiustamenti (riforme, liberalizzazioni, tagli dei salari, riforme dei sistemi sociali) molto più duri di quello che l'Italia dovrebbe fare attualmente. La Spagna è un caso doloroso, ma è un caso che mostra di nuovo come è difficile, se non impossibile per i governi prendere decisioni pensando al di la delle prossime elezioni. La Spagna, di fondo, ha problemi molto simili e più gravi di quelli dell'economia italiana (per esempio, non ha la capacità manufatturiera che ha l'Italia). Ha avuto uno sviluppo su buone basi dopo l'entrata nell'unione europea nel 1986. Ma dopo l'ingresso nell'unione monetaria - che per loro è stato più facile che per l'Italia (come Prodi scoprì durante un famoso vertice a Valencia nel 1996) - hanno cominciato anche loro a perdere competiività. La perdita di competitività è stata però mascherata da una enorme bolla speculativa immobiliare. Pensa che per due o tre anni (non ho le cifre sottomano) sono state costruite più case in Spagna che in Germania, Francia e Italia messe assieme. Le banche spagnole - non le grandi, ma le Cajas sotto il controllo dei politici locali - prendevano soldi in prestito sui mercati internazionali e concedevano mutui a porci e cani. Tutte le organizzazioni internazionali hanno scritto che si andava verso un muro. Il governo spagnolo poteva fare tantisssme cose: poteva mettere tasse sui mutui, poteva introdurre norme che limitassero il rapporto tra mutuo e valore della proprietà ipotecata, poteva limitare o rendere più diffcile la concessione di licenze edilizie, poteva dire alle Cajas - sotto il controllo pubblico - di diventare più prudenti e smettere di aumentare il volume dei mutui. Ma il paese era in festa: tutti erano contenti, il valore delle case cresceva, la festa era nel suo pieno. Delle misure per rallentare la bolla prese agli inizi avrebbero avuto un effetto ragionevole e non

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avrebbero provocato sconquassi. Ma una volta che la bolla aveva raggiunto picchi irrazionali, ogni misura di freno avrebbe iniziato un movimento di vendite e lo scoppio della bolla stessa. Chiunque avesse fischiato per dire che la festa era finita si sarebbe preso una bella responsabilità, sarebbe stato lui il responsabile dello scoppio della bolla. Eppure perché eleggiamo governi? Qulcuno deve prendere queste responsabilità. Poi c'era il fatto che tra elezioni locali e elezioni politiche c'era sempre un'elezione dietro l'angolo. "Si, si dobbiamo fare qualcosa, ma facciamolo dopo le elezioni". Anche il buon Zapatero non si è mostrato all'altezza e non ha avuto il coraggio di fare il necessario. Purtroppo ha anche fatto altri danni con le prime misure di accorpamento delle Cajas e ha preso misure che hanno fatto si che tanti piccoli risparmiatori diventassero soci di Bankia, il conglomerato di sette Cajas nel quale è apparso il buco più grosso del sistema finanziario spagnolo. Questi piccoli risarmiatori oggi hanno perso tutto.

Risposto da Fabio Colasanti su 31 Gennaio 2013 a 19:49 Giovanni, secondo me, le scelte giuste dipendono da tante cose: grado di istruzione della popolazione e comprensione delle origini della crisi, senso di solidarietà, senso civico, valori etici e, soprattutto, istituzioni che funzionano. Certo quando si è ricchi è più facile avere tutto questo. La povertà, la disoccupazione, le difficoltà economiche tirano fuori il peggio della natura umana. Quindi c'è un legame con la situazione economica, ma è molto indiretto. Il senso di solidarietà, il senso civico e il senso etico non dovrebbero dipendere dalla ricchezza. giovanni de sio cesari ha detto: ( ... ) Pero io mi chiedevo : ma le scelte infelici e felici non dipendono dalle situazioni economica e sociale diversa? In altri termini la scelta felice o infelice sono la causa o l’effetto? E solo un caso che i mediterranei hanno fatto scelte infelici e i baltici scelte felici? ( ... )

Risposto da Antonino Andaloro su 1 Febbraio 2013 a 8:09 Certo che la "scuola" del berlusconismo, in questo senso non ci aiuta. Essa associa ricchezza materiale,alla depravazione dei valori umani, ed è in sè una vera corruzione morale che è stata trasmessa in questi anni nella vita sociale, come un precompilato ed indirizzato a tutti gli italiani dove sta scritto che speculare è meglio che seminare. Il rischio è, che uomini importanti del c.sx, vengano attratti da questa scuola. Fabio Colasanti ha detto: Giovanni, secondo me, le scelte giuste dipendono da tante cose: grado di istruzione della popolazione e comprensione delle origini della crisi, senso di solidarietà, senso civico, valori etici e, soprattutto, istituzioni che funzionano. Certo quando si è ricchi è più facile avere tutto questo. La povertà, la disoccupazione, le difficoltà economiche tirano fuori il peggio della natura umana. Quindi c'è un legame con la situazione economica, ma è molto indiretto. Il senso di solidarietà, il senso civico e il senso etico non dovrebbero dipendere dalla ricchezza. giovanni de sio cesari ha detto: ( ... ) Pero io mi chiedevo : ma le scelte infelici e felici non dipendono dalle situazioni economica e sociale diversa? In altri termini la scelta felice o infelice sono la causa o l’effetto? E solo un caso che i mediterranei hanno fatto scelte infelici e i baltici scelte felici? ( ... )

Risposto da giovanni de sio cesari su 1 Febbraio 2013 a 17:43

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Se le scelte dipendono da queste cose allora siamo in mare di guai Fabio Colasanti ha detto: Giovanni, secondo me, le scelte giuste dipendono da tante cose: grado di istruzione della popolazione e comprensione delle origini della crisi, senso di solidarietà, senso civico, valori etici e, soprattutto, istituzioni che funzionano. Certo quando si è ricchi è più facile avere tutto questo. La povertà, la disoccupazione, le difficoltà economiche tirano fuori il peggio della natura umana. Quindi c'è un legame con la situazione economica, ma è molto indiretto. Il senso di solidarietà, il senso civico e il senso etico non dovrebbero dipendere dalla ricchezza.

Risposto da giovanni de sio cesari su 1 Febbraio 2013 a 17:45 Forse bisogna invertire l'ordine delle cause. Il nostro problema non è l'esistenza di Berlusconi, ma il fatto che c'è una massa di persone disposte a votarlo, malgrado dica sciocchezze su sciocchezze, al di la di ogni ritegno . di ogni elementare buon senso. Perche? forse perchè la gente crede alle cose a cui vuol credere, forse perche non riesce a vedere una alternativa credibile. Antonino Andaloro ha detto: Certo che la "scuola" del berlusconismo, in questo senso non ci aiuta. Essa associa ricchezza materiale,alla depravazione dei valori umani, ed è in sè una vera corruzione morale che è stata trasmessa in questi anni nella vita sociale, come un precompilato ed indirizzato a tutti gli italiani dove sta scritto che speculare è meglio che seminare. Il rischio è, che uomini importanti del c.sx, vengano attratti da questa scuola.

Risposto da giorgio varaldo su 1 Febbraio 2013 a 21:00 berlusconi è dotato di una eccezionale capacità di comunicazione conosce alla perfezione questo mondo e riesce a far delle rimonte ritenute impossibili. quando a sinistra compare chi è in grado di metterlo a KO che si fa? tafazzianamente non lo si candida. non credo servano altri commenti. se poi c'è chi vuol difendere giovanni rossi conduttore di muletto sollevatore prima guida della ferrari 138 al posto di jorge lorenzo .. beh buon prò gli faccia giovanni de sio cesari ha detto: Forse bisogna invertire l'ordine delle cause. Il nostro problema non è l'esistenza di Berlusconi, ma il fatto che c'è una massa di persone disposte a votarlo, malgrado dica sciocchezze su sciocchezze, al di la di ogni ritegno . di ogni elementare buon senso. Perche? forse perchè la gente crede alle cose a cui vuol credere, forse perche non riesce a vedere una alternativa credibile. Antonino Andaloro ha detto: Certo che la "scuola" del berlusconismo, in questo senso non ci aiuta. Essa associa ricchezza materiale,alla depravazione dei valori umani, ed è in sè una vera corruzione morale che è stata trasmessa in questi anni nella vita sociale, come un precompilato ed indirizzato a tutti gli italiani dove sta scritto che speculare è meglio che seminare. Il rischio è, che uomini importanti del c.sx, vengano attratti da questa scuola.

Risposto da Salvatore Venuleo su 2 Febbraio 2013 a 13:19

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Credo che determinante sia l'istruzione. Ci serve una nuova istruzione. Civica soprattutto (diritto, economia, storia,filosofia). La democrazia è ferita dal paradosso che gli interessi dei ceti più deboli siano tutelati dai "dotti" appartenenti al ceto medio-alto. I poco abbienti invece, fra una slot machine e un gratta e vinci, festeggiano il ritorno dell'ipnotico spettacolo del vero erede di Mussolini, garante del loro impoverimento di cui tranquillamente darà colpa alla Germania.. Ripeto: la sinistra deve puntare sull'istruzione (di giovani e adulti). Fabio Colasanti ha detto: Giovanni, secondo me, le scelte giuste dipendono da tante cose: grado di istruzione della popolazione e comprensione delle origini della crisi, senso di solidarietà, senso civico, valori etici e, soprattutto, istituzioni che funzionano. Certo quando si è ricchi è più facile avere tutto questo. La povertà, la disoccupazione, le difficoltà economiche tirano fuori il peggio della natura umana. Quindi c'è un legame con la situazione economica, ma è molto indiretto. Il senso di solidarietà, il senso civico e il senso etico non dovrebbero dipendere dalla ricchezza. giovanni de sio cesari ha detto: ( ... ) Pero io mi chiedevo : ma le scelte infelici e felici non dipendono dalle situazioni economica e sociale diversa? In altri termini la scelta felice o infelice sono la causa o l’effetto? E solo un caso che i mediterranei hanno fatto scelte infelici e i baltici scelte felici? ( ... )

Risposto da Fabio Colasanti su 5 Febbraio 2013 a 1:09 Giuseppe, ti rispondo in questa discussione - ma avrei potuto farlo anche in quella sui piani della Confindustria e della CGIL o in un'altra sulla situazione economica. Cerchiamo di lasciare il "Diario per la discussione politica e ogni altro intervento non catalogabile in una discussione già aperta. Io sono abbastanza d'accordo con Alesina e Giavazzi. Lo stato ha certo un ruolo, eccome, ma dobbiamo essere chiari sulla definizione di questo ruolo. Lo stato ha un ruolo nell'identificare i grandi settori da sostenere e gli interventi per sostenere l'economia. a) Lo stato dove per esempio decidere - come stanno facendo i paesi avanzati - che bisogna sostenere la nuova imprenditoria e sostenere la creazioni di nuove imprese attraverso i tanti stumenti che sono di solito utilizzati (incubatori, creazione di fondi di vunture capital, vantaggi fiscali, incoraggiamento della collaborazione con le università, incoraggiamento alle università perché creino i loro incubatori e venture capital funds, ecc.). b) Lo stato può decidere che si debba fare uno sforzo per sostenere l'internazionalizzazione delle imprese e il loro svi luppo sui mercati internazionali. A questo scopo lo stato rafforzerà o creerà gli strumenti che possono servire per raggiungere questo scopo. c) Lo stato può e deve decidere quali sono le priorità per l'assegnazione di fondi per il sostegno pubblico alla ricerca. Per esempio può decidere che l'Italia abbia delle buone capacità matematiche e che vale la pena di scommettere sullo sviluppo di certi tipi di software. Ma ci saranno sicuramente tanti altri esempi anche più validi. d) Lo stato deve decidere, in funzione dello sviluppo economico che vuole raggiungere, che infrastrutture devono essere costruite o migliorate. Ma lo stato non deve intervenire nell'industria "A" o nell'industria "B". Lo stato non deve intervenire per sostenere una particolare tecnologia o un particolare business model. Queste sono cose dove lo stato non può avere le conoscenze necessarie. La storia degli ultimi trenta anni è costellata di errori madornali fatti a livello nazionale o a livello europeo. A livello europeo, per un successo con lo standard GSM, ti posso parlare - per esperienza diretta - della creazione di un meraviglioso sistema di posta elettronica ipersicura che doveva dare un vantaggio strategico all'Europa: quella basata sul protocollo X400, presto da sostituire con quello ancora migliore chiamato X500. Oppure il sostegno dato agli standard detti "Mac" per la televisione analogica ad alta definizione. E sono sicuro che Giorgio V. potrà citare altri casi.

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Del resto nessuno stato fa più scelte di questo tipo e quando c'è qualcuno che lo fa spesso ci sono dietro fosche storie di sostegno, per ragioni politiche, a questa o quell'impresa - forse perché si trova in una zona elettoralmente importante per il partito al governo. Sono convinto che : i) nello stato non ci possono essere le conoscenze che permettano decisioni di questo genere; ii) anche ci fossero, i tempi delle decisioni pubbliche sono biblici e comunque saranno sempre accompagnati da recriminazione perenni (guarda i casi dove lo stato ha dovuto decidere: l'acquisto degli F35, la costruzione del ponte di Messina, la costruzione delle lineee ad alta velocità e via di seguito); iii) decisioni pubbliche in questi campi, anche se giuste, saranno sempre sospettate di essere state prese per motivi elettorali o di bassa politica. Quindi, "si" - certamente - all'intervento dello stato per le grandi decisioni che ho elencato all'inizio. Assoluamente "no" agli interventi - anche attraverso la Cassa Depositi e Prestiti - nella banda larga, nell'energia o in questa o quella tecnologia specifica. Giuseppe Ardizzone ha detto: http://www.corriere.it/editoriali/13_febbraio_03/troppe-illusioni-s... articolo che fa discutere e che vi sottopongo. Non sono d'accordo sulla liquidazione di un ruolo d'indirizzo dello Stato .Certo bisogna andare coi piedi di piombo ma alcune iniziative di massima sono comunque da realizzare . Ad esempio all'interno del grande piano Europa 2020.

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 5 Febbraio 2013 a 18:37 Tutto questo mi fa pensare all'utilità di interventi di carattere molto generale lasciando invece a strutture molto più vicine al mercato l'opportuna valutazione dei singoli progetti. L'unica esperienza diretta che ho potuto valutare è stata nell'applicazione della legge 488. Devo dire che l'innovazione procedurale introdotta da Tremonti di fare in modo che venisse coinvolto nella valutazione dei progetti il sistema bancario fu corretta. In questo modo l'intervento dei finanziamenti a tasso agevolato concessi doveva essere pari a quelli a rischio pieno concessi dalla banca finanziatrice. In sostanza l'intervento veniva finanziato al 50% a tasso e rischio pieno da parte della Banca e per il 50% con finanziamento agevolato da parte dello Stato. Pur con tutti i limiti del sistema bancario sulla capacità di valutazione dei progetti la molla del rischio faceva accendere un grosso faro illuminato per studiare attentamente i progetti, la loro realizzabilità e validità. Procederei in modo analogo sull'utilizzo dei fondi strutturali europei e sulle varle facilitazioni accordate. Rimane il problema dll'indirizzo generale rispetto ad alcuni settori d'intervento . Tu dici :. "Quindi, "si" - certamente - all'intervento dello stato per le grandi decisioni che ho elencato all'inizio. Assoluamente "no" agli interventi - anche attraverso la Cassa Depositi e Prestiti - nella banda larga, nell'energia o in questa o quella tecnologia specifica" Ho l'impressione che alcune decisioni in tal senso siano già operative e sarà difficile cambiarle. Questo per quanto riguarda i fondi da destinare ai privati . Rimane la valutazione possibile di grandi progetti da finanziare anche con le strutture di Cassa depositi e Prestiti e da parte del sistema finanziario privato che possano costiituire un vantaggio competitivo complessivo per il nostro Paese. Hai ragione quando parli del fatto che l'individuazione di questi progetti non può esere fatta a tavolino da parte della politica o da parte di managers pubblici. Si possono tuttavia creare condizioni di dialogo, di confronto e di sostegno organizzativo/finanziario ai grandi investitori privati italiani e stranieri che vogliano realizzare dei grandi progetti nel nostro Paese. Personalmente avevo sentito tempo fa parlare di un interesse cinese per il ponte sullo stretto ma non se ne parla più ;eppure il project financing è uno strumento che può essere utilizzato in diverse situazioni. In altri casi si può anche sbagliare ma nella storia recente l'intervento di spinta dello stato in alcuni settori come ad esempio l'aero-spaziale o lo sviluppo digitale negli USA ha dato un vantaggio competitivo a quel paese.In altri tempi furono le reti di trasporto o le reti telefoniche ed elettriche a ricevere un ampio sostegno dello Stato. Bisogna pertanto vedere anche quali strumenti si utilizzano Fabio Colasanti ha detto: Giuseppe,

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ti rispondo in questa discussione - ma avrei potuto farlo anche in quella sui piani della Confindustria e della CGIL o in un'altra sulla situazione economica. Cerchiamo di lasciare il "Diario per la discussione politica e ogni altro intervento non catalogabile in una discussione già aperta. Io sono abbastanza d'accordo con Alesina e Giavazzi. Lo stato ha certo un ruolo, eccome, ma dobbiamo essere chiari sulla definizione di questo ruolo. Lo stato ha un ruolo nell'identificare i grandi settori da sostenere e gli interventi per sostenere l'economia. a) Lo stato dove per esempio decidere - come stanno facendo i paesi avanzati - che bisogna sostenere la nuova imprenditoria e sostenere la creazioni di nuove imprese attraverso i tanti stumenti che sono di solito utilizzati (incubatori, creazione di fondi di vunture capital, vantaggi fiscali, incoraggiamento della collaborazione con le università, incoraggiamento alle università perché creino i loro incubatori e venture capital funds, ecc.). b) Lo stato può decidere che si debba fare uno sforzo per sostenere l'internazionalizzazione delle imprese e il loro svi luppo sui mercati internazionali. A questo scopo lo stato rafforzerà o creerà gli strumenti che possono servire per raggiungere questo scopo. c) Lo stato può e deve decidere quali sono le priorità per l'assegnazione di fondi per il sostegno pubblico alla ricerca. Per esempio può decidere che l'Italia abbia delle buone capacità matematiche e che vale la pena di scommettere sullo sviluppo di certi tipi di software. Ma ci saranno sicuramente tanti altri esempi anche più validi. d) Lo stato deve decidere, in funzione dello sviluppo economico che vuole raggiungere, che infrastrutture devono essere costruite o migliorate. Ma lo stato non deve intervenire nell'industria "A" o nell'industria "B". Lo stato non deve intervenire per sostenere una particolare tecnologia o un particolare business model. Queste sono cose dove lo stato non può avere le conoscenze necessarie. La storia degli ultimi trenta anni è costellata di errori madornali fatti a livello nazionale o a livello europeo. A livello europeo, per un successo con lo standard GSM, ti posso parlare - per esperienza diretta - della creazione di un meraviglioso sistema di posta elettronica ipersicura che doveva dare un vantaggio strategico all'Europa: quella basata sul protocollo X400, presto da sostituire con quello ancora migliore chiamato X500. Oppure il sostegno dato agli standard detti "Mac" per la televisione analogica ad alta definizione. E sono sicuro che Giorgio V. potrà citare altri casi. Del resto nessuno stato fa più scelte di questo tipo e quando c'è qualcuno che lo fa spesso ci sono dietro fosche storie di sostegno, per ragioni politiche, a questa o quell'impresa - forse perché si trova in una zona elettoralmente importante per il partito al governo. Sono convinto che : i) nello stato non ci possono essere le conoscenze che permettano decisioni di questo genere; ii) anche ci fossero, i tempi delle decisioni pubbliche sono biblici e comunque saranno sempre accompagnati da recriminazione perenni (guarda i casi dove lo stato ha dovuto decidere: l'acquisto degli F35, la costruzione del ponte di Messina, la costruzione delle lineee ad alta velocità e via di seguito); iii) decisioni pubbliche in questi campi, anche se giuste, saranno sempre sospettate di essere state prese per motivi elettorali o di bassa politica. Quindi, "si" - certamente - all'intervento dello stato per le grandi decisioni che ho elencato all'inizio. Assoluamente "no" agli interventi - anche attraverso la Cassa Depositi e Prestiti - nella banda larga, nell'energia o in questa o quella tecnologia specifica. Giuseppe Ardizzone ha detto: http://www.corriere.it/editoriali/13_febbraio_03/troppe-illusioni-s... articolo che fa discutere e che vi sottopongo. Non sono d'accordo sulla liquidazione di un ruolo d'indirizzo dello Stato .Certo bisogna andare coi piedi di piombo ma alcune iniziative di massima sono comunque da realizzare . Ad esempio all'interno del grande piano Europa 2020.

Risposto da giorgio varaldo su 6 Febbraio 2013 a 20:01

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il settore difesa ed aerospaziale citato da giuseppe ardizzone è in realtà uno dei pochi settori dove anche negli USA la presenza dello stato svolge un ruolo determinante. anche se i principali operatori economici sono formalmente privati questo settore è sottoposto a ferree regole di controllo del mercato che in pratica impediscono la libera concorrenza. nel settore militare ed aerospaziale poi il mercato USA - liberistico sino al parossismo in tutti gli altri settori - deve seguire delle precise regole di buy american sino a pochi anni fa inteso in toto dalla progettazione sino alla manutenzione operativa mentre oggi viene richiesta almeno l'americanità per la costruzione e la manutenzione operativa. infatti le maggiori aziende del settore hanno tutte almeno una filiale made in USA e molto spesso per poter accedere alle ricche commesse militari stringono accordi di collaborazione e sviluppo con aziende USA. non è che nel resto del mondo la situazione sia molto diversa qualsiasi accordo internazionale (come EFA o F35 o le fregate FREMM) prevede sempre una ripartizione fra capitale investito da ogni singolo paese e ricadute produttive nazionali : in buona sostanza se un paese investe x in qualsiasi progetto riceverà la somma in attività produttive. questa richiesta di nazionalizzare le produzioni militari ed aerospaziali spesso porta a veri disastri come accaduto per lo shuttle challenger.. sino ai viaggi precedenti lo scudo termico indispensabile per resistere alle enormi sollecitazioni termiche era costruito in italia (nei pressi di sassuolo) poi la NASA ha deciso di spostare la produzione dello scudo termico in USA sostituendo le mattonelle di SiO2 (silice ) con altre prodotte con lane minerali sinterizzate che al primo rientro hanno ceduto provocando la distruzione dello shuttle e la morte dell'equipaggio

Risposto da Antonino Andaloro su 7 Febbraio 2013 a 8:49 Caro Fabio, l'incremento della crescita secondo me, passa necessariamente dalla presenza di attività legate al terziario avanzato, cioè di tutti quei servizi che scientificamente e qualitativamente contribuiscono in maniera determinante nella gestione delle altre attività già esistenti sul territorio. In questo senso,le attività che nel meridione stentano a decollare,l'agricoltura, l'edilizia,il turismo,la sanità, potrebbero trovare giovamento da una ricerca scientifica creata ad hoc. Vi sono strutture pubbliche abbandonate a se stesse, senza che nessuna autorità,proponga una variazione di destinazione d'uso,gli stessi locali potrebbero essere riutilizzati, in ambulatori sanitari, mercati al coperto. Vi sono strutture sportive costruite e mai completate, o manca il manto erboso, o manca l'idoneità degli spalti, o i servizi igienici fanno schifo,insomma se un'amministrazione comunale non ce la fà a sostenere le spese di ripristino, le diano in gestione ai privati. L'attività agricola, non si giova di nessun contributo scientifico, molti fondi non vengono utilizzati.Le principali produzioni degli agrumi in questi ultimi decenni hanno subito un notevole calo, dovuto a mutamenti climatici,ed alle malattie degli alberi(mal secco) a cui l'imprenditore non è riuscito a porvi rimedio. Il turismo subisce il calo, dal punto di vista ricettivo, siamo strapieni tra alberghi ed immobili che possono dare ospitalità in quasi tutto l'anno, ma mancano molti servizi di qualità per attrarre il turista. I prezzi dei servizi però non sono competitivi, per raggiungere le eolie o le egadi (circa 30 minuti dalla terra ferma) in aliscafo ci vuole 20 euro a persona e se si tratta che il tragitto lo deve fare un'intera famiglia, sono già 80/100 euro che se vanno. Quindi in tutti i sensi và fatta una buona politica sui servizi, ma non serve assolutamente un cachet, ci vuole una buona cura disintossicante.

Risposto da Fabio Colasanti su 9 Febbraio 2013 a 20:25 La Robin Hood Tax (l'addizionale IRES sugli utili delle società energetiche introdotta nel 2008 dal governo Berlusconi; il politico che giura di essere contro gli aumenti delle tasse) è sotto i riflettori della stampa a causa di un'iniziativa di alcune associazioni di consumatori alla quale l'Autorità per l'Energia avrebbe dato seguito aprendo un'inchiesta.

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Il principio della tassa aveva una sua logica: colpire i profitti eccezionali che alcune società stavano realizzando grazie all'aumento del prezzo del petrolio di quel momento (anche se questo avrebbe significato la sua abolizione una volta che i prezzi del petrolio fossero scesi al livello attuale). In ogni caso, è legittimo imporre tasse su ogni tipo di attività, se questa è la scelta della collettività. Ma il caso della Robin Tax mostra l'analfabetismo economico e il populismo che regnano in Italia attraverso una disposizione della tassa di cui si parla molto in questi giorni: la proibizione contenuta nel testo della legge di trasferire sui consumatori il costo della tassa. Una disposizione del genere avrebbe senso solo se fossimo in un regime di prezzi amministrati con un'autorità che fissa i prezzi sulla base di alcuni criteri stabiliti per legge. In una situazione del genere, le disposizioni della legge avrebbero significato che l'autorità incaricata di fissare i prezzi non avrebbe dovuto tener conto del peso di questa tassa nei calcoli che avrebbe effettuato per fissare i prezzi. Ma non siamo in questa situazione. Le imprese sono libere di fissare i prezzi che vogliono, sempre che il mercato sia disposto a pagare il prezzo che richiedono. L'unico limite agli abusi in una situazione del genere viene dalla concorrenza. In questa situazione le imprese cercheranno, in maniera perfettamente legittima, di fissare il prezzo massimo tollerabile dal mercato che copra i loro costi. Che poi questi costi vengano dalle materie prime, dal personale o dal carico fiscale è impossibile da distinguere. Ogni impresa cercherà di fissare un prezzo che permetta di avere almeno il tasso medio di rendimento che si riscontra nel settore (altrimenti i dirigenti saranno cacciati). Voglio vedere che verifiche potrà mai fare l'Autorità (annunciare l'apertura un'inchiesta è facile, concluderla con risultati concreti è un altro paio di maniche). Il mercato dell'energia in Italia vale oltre 65 miliardi (secondo il Sole24Ore), il gettito della Robin Tax è stato di circa 1.4 miliardi di euro all'anno nel 2011 e 2012. Quindi l'aggravio di costo dovuto all'introduzione di questa tassa è stato pari al due per cento circa delle vendite dell'industria. In presenza delle fluttuazioni dei prezzi dell'energia che conosciamo e delle variazioni di tanti altri costi che influenzano la struttura dei prezzi, sfido chiunque a provare un maniera incontrovertibile che l'industria nel suo complesso ha "trasferito" (o "non ha trasferito") il costo della tassa sui consumatori. Incompetenti hanno scritto la legge, incompetenti ne chiedono ora l'applicazione.

Risposto da giovanni de sio cesari su 9 Febbraio 2013 a 20:37 Ho paura che pure quelli che giudicheranno nei tribunali siano ancora piu incompetenti o meglio che qualche magistrato troverà modo di esibirsi in una lunga inchiesta che non si concluderà in niente ma che darà tanta popolarità. Fabio Colasanti ha detto: La Robin Hood Tax (l'addizionale IRES sugli utili delle società energetiche introdotta nel 2008 dal governo Berlusconi; il politico che giura di essere contro gli aumenti delle tasse) è sotto i riflettori della stampa a causa di un'iniziativa di alcune associazioni di consumatori alla quale l'Autorità per l'Energia avrebbe dato seguito aprendo un'inchiesta. Il principio della tassa aveva una sua logica: colpire i profitti eccezionali che alcune società stavano realizzando grazie all'aumento del prezzo del petrolio di quel momento (anche se questo avrebbe significato la sua abolizione una volta che i prezzi del petrolio fossero scesi al livello attuale). In ogni caso, è legittimo imporre tasse su ogni tipo di attività, se questa è la scelta della collettività. Ma il caso della Robin Tax mostra l'analfabetismo economico e il populismo che regnano in Italia attraverso una disposizione della tassa di cui si parla molto in questi giorni: la proibizione contenuta nel testo della legge di trasferire sui consumatori il costo della tassa. Una disposizione del genere avrebbe senso solo se fossimo in un regime di prezzi amministrati con un'autorità che fissa i prezzi sulla base di alcuni criteri stabiliti per legge. In una situazione del genere, le disposizioni della legge avrebbero significato che l'autorità incaricata di fissare i prezzi non avrebbe dovuto tener conto del peso di questa tassa nei calcoli che avrebbe effettuato per fissare i prezzi. Ma non siamo in questa situazione. Le imprese sono libere di fissare i prezzi che vogliono, sempre che il mercato sia disposto a pagare il prezzo che richiedono. L'unico limite agli abusi in una situazione del genere viene dalla concorrenza. In questa situazione le imprese cercheranno, in maniera perfettamente legittima, di fissare il prezzo

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massimo tollerabile dal mercato che copra i loro costi. Che poi questi costi vengano dalle materie prime, dal personale o dal carico fiscale è impossibile da distinguere. Ogni impresa cercherà di fissare un prezzo che permetta di avere almeno il tasso medio di rendimento che si riscontra nel settore (altrimenti i dirigenti saranno cacciati). Voglio vedere che verifiche potrà mai fare l'Autorità (annunciare l'apertura un'inchiesta è facile, concluderla con risultati concreti è un altro paio di maniche). Il mercato dell'energia in Italia vale oltre 65 miliardi (secondo il Sole24Ore), il gettito della Robin Tax è stato di circa 1.4 miliardi di euro all'anno nel 2011 e 2012. Quindi l'aggravio di costo dovuto all'introduzione di questa tassa è stato pari al due per cento circa delle vendite dell'industria. In presenza delle fluttuazioni dei prezzi dell'energia che conosciamo e delle variazioni di tanti altri costi che influenzano la struttura dei prezzi, sfido chiunque a provare un maniera incontrovertibile che l'industria nel suo complesso ha "trasferito" (o "non ha trasferito") il costo della tassa sui consumatori. Incompetenti hanno scritto la legge, incompetenti ne chiedono ora l'applicazione.

Risposto da Salvatore Venuleo su 9 Febbraio 2013 a 23:43 Limpido e inappuntabile l'intervento di Fabio. Con lui quasi sempre d'accordo, tranne che nei nodi decisivi.

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 13 Febbraio 2013 a 10:10 Il problema dell'introduzione in Europa della "golden rule" punto centrale della politica economica del nostro partito. Riporto un articolo che pone la questione all'interno di un più ampio quadro di riferimento http://www.sbilanciamoci.info/Sezioni/globi/Modello-Fed.-La-lezione...

Risposto da Fabio Colasanti su 13 Febbraio 2013 a 11:03 Giuseppe, la "golden rule" è un'idea profondamente sbagliata. Non riesco a capire come il PD ci si aggrappi tanto. Nell'articolo che citi viene indicata come maniera per fare investimenti anti-ciclici ! ! ! Gli investimenti, soprattutto quelli finanziati da fondi pubblici, non possono essere anti-ciclici per la loro stessa natura. Hanno tempi di decisione e realizzazione talmente lunghi che i loro effetti sull'economia si sentono inevitabilmente solo quando la recessione è già passata, i loro effetti diventano pro-ciclici. Questo lo si leggeva già nei manuali di economia in uso nelle università ai miei tempi (anni settanta). Per contrastare un eventuale rallentamento ciclico si devono utilizzare le spese correnti variabili come gli ammortizzatori sociali. Non per nulla queste spese vengono chiamate dagli economisti "stabilizzatori automatici". Il Fiscal Compact, che nessuno nel PD sembra aver letto, prevede che gli "stabilizzatori automatici" possano giocare pienamente in caso di crisi senza violare le regole. Gli obiettivi del Fiscal Compact non sono in temini di "disavanzo", ma di "disavanzo strutturale", ossia il disavanzo che si avrebbe in condizioni di crescita normale. Se ne avrò il tempo preparerò un articolo sulla Golden Rule. Siamo in una situazione simile a quella che ho descritto per l'unificazione politica dell'Europa. Sulla Golden Rule c'è stato un dibattito intenso negli anni novanta quando si è definito il patto si stabilità. Il dibattito è chiuso. Nessuno sostiene la Golden Rule. Nessun governo socialista europeo la sostiene. Ma in Italia, nel PD, nessuno sembra saperlo e si continua a sognare. Non c'è nessuna possibilità che sia mai accettata a livello europeo.

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Cosa sono poi gli investimenti? Sostiene più la crescita economica del paese la costruzione di una nuova autostrada nel meridione o lo spendere la stessa cifra per la ricerca scientifica o la formazione di ricercatori? L'autostrada fa parte degli investimenti, il sostegno alla ricerca scientifica e la formazione dei ricercatori sono spese correnti. Una delle priorità italiane è come ridurre il peso del debito pubblico in maniera da ridurre un po' la cifra di 75 miliardi all'anno di interesssi e ci sono anime pie che parlano di "Golden Rule" ! E' una maniera di chiedere un aumento del disavanzo facendo finta di parlare d'altro. Il problema è che il PD ha basato la sua strategia economica su una differenziazione dall'agenda di Monti centrata su due presupposti sbagliati: a) un rilancio degli investimenti a livello europeo e b) un aumento del disavanzo, giustificato dalla "Golden Rule" o qualcosa di simile. Adesso che la responsabilità di governo si avvicina - speriamolo - non sa che pesci pigliare. Giuseppe Ardizzone ha detto: Il problema dell'introduzione in Europa della "golden rule" punto centrale della politica economica del nostro partito. Riporto un articolo che pone la questione all'interno di un più ampio quadro di riferimento http://www.sbilanciamoci.info/Sezioni/globi/Modello-Fed.-La-lezione...

Risposto da Giampaolo Carboniero su 17 Febbraio 2013 a 19:55 Ma cosa dici Giuseppe, "quelli" sono brave persone, ammodo, benestanti, non sono dei miserabili da 1000 euro al mese, loro hanno titolo a proporre politiche ai governi; per inciso le stesse politiche e alle stesse classi dirigenti che hanno appiccato il fuoco in cui si sta consumando l'esperimento europeo. Quanta supponenza! Giuseppe Picciolo ha detto: A proposito. Confindustria che cos'è? Non è una organizzazione di categoria analoga ad un sindacato di lavoratori? Suscita scandalo che Confindustria abbia un programma ecconomico e lo sottoponga all'attenzione delle forze politiche? Suscita scandalo che importanti esponenti di confindustria, come Bombassei, siano candidati in una lista di una coalizione? Suscita scandalo che un altro importante esponente di Confindustria organizzi un movimento politico i cui membri sono candidati alle elezioni mentre il loro capo, in quanto beneficiario di una concessione governativa (ferrovie) si trova in evidente conflitto di interessi? O la lingua batte solo dove il dente duole? (la CGIL)

Risposto da Giampaolo Carboniero su 17 Febbraio 2013 a 20:08 Le uniche differenze che io vedo sono: da noi il Vaticano e la nefasta influenza da sempre esercitata sulla nostra politica, il fatto di essere stato un paese sulla cortina di ferro e, di conseguenza, a democrazia bloccata, ultima, ma non meno importante differenza, i cinquant'anni incontrastati di DC, collusa con criminalità, raccomandati, evasori, furbi vari; loro hanno da sempre un'etica protestante, sono popoli storicamente abituati a un tenore di vita meno ricco, paesi meno depredati e occupati, una storia nazionale più consolidata. giovanni de sio cesari ha detto: Precisa e interessante e chiarissima risposta : i baltici sono riusciti a superare la crisi e i mediterranei no: per scelte felici e infelici dei rispettivi governi: Pero io mi chiedevo : ma le scelte infelici e felici non dipendono dalle situazioni economica e sociale diversa? In altri termini la scelta felice o infelice sono la causa o l’effetto? E solo un caso che i mediterranei hanno fatto scelte infelici e i baltici scelte felici? In ogni caso le tue parole mi aprono orizzonti nuovi meno pessimistici: alla fine si puo uscire dalla crisi ! Fabio Colasanti ha detto: Caro Giovanni,

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il declino rende le riforme difficili, non c'è dubbio. Le riforme, anche le più difficili, sarebbero fattibili durante i periodi di buona crescita, ma non abbiamo uomini politici con sufficiente lungimiranza e senso di responsabilità. Durante i periodi di difficoltà, si rimpiange di non aver fatto le riforme, ma farle ora è politicamente quasi un suicidio. Fare le riforme durante i buoni periodi è sempre spiacevole e, visto che le riforme non sono urgenti, si rinvia. La battuta che si usa per queste situazione è "Quando piove non si può lavorare sul tetto per ripararlo; quando c'è il sole, non è urgente riparare il tetto". Non dimentichiamo che la Svezia e la Norvegia tra le due guerre mondiali erano paesi molto poveri e paesi d'emigrazione. Che nel 1990, la caduta dell'Unione Sovietica ha provocato una crisi gravissima dell'economia finlandese che era basata sulla produzione di merci per il mercato USSR e che agli inizi degli anni novanta l'economia svedese è stata messa in ginocchio da una crisi bancaria ben più grave di quella che il mondo e l'Europa hanno conosciuto nel 2007/2008. Questi paesi sono usciti dalla povertà e dalle grosse crisi che ho ricordato grazie alla capacità di fare riforme e di non interromperle al cambiare dei governi. Questi paesi hanno fatto aggiustamenti (riforme, liberalizzazioni, tagli dei salari, riforme dei sistemi sociali) molto più duri di quello che l'Italia dovrebbe fare attualmente. La Spagna è un caso doloroso, ma è un caso che mostra di nuovo come è difficile, se non impossibile per i governi prendere decisioni pensando al di la delle prossime elezioni. La Spagna, di fondo, ha problemi molto simili e più gravi di quelli dell'economia italiana (per esempio, non ha la capacità manufatturiera che ha l'Italia). Ha avuto uno sviluppo su buone basi dopo l'entrata nell'unione europea nel 1986. Ma dopo l'ingresso nell'unione monetaria - che per loro è stato più facile che per l'Italia (come Prodi scoprì durante un famoso vertice a Valencia nel 1996) - hanno cominciato anche loro a perdere competiività. La perdita di competitività è stata però mascherata da una enorme bolla speculativa immobiliare. Pensa che per due o tre anni (non ho le cifre sottomano) sono state costruite più case in Spagna che in Germania, Francia e Italia messe assieme. Le banche spagnole - non le grandi, ma le Cajas sotto il controllo dei politici locali - prendevano soldi in prestito sui mercati internazionali e concedevano mutui a porci e cani. Tutte le organizzazioni internazionali hanno scritto che si andava verso un muro. Il governo spagnolo poteva fare tantisssme cose: poteva mettere tasse sui mutui, poteva introdurre norme che limitassero il rapporto tra mutuo e valore della proprietà ipotecata, poteva limitare o rendere più diffcile la concessione di licenze edilizie, poteva dire alle Cajas - sotto il controllo pubblico - di diventare più prudenti e smettere di aumentare il volume dei mutui. Ma il paese era in festa: tutti erano contenti, il valore delle case cresceva, la festa era nel suo pieno. Delle misure per rallentare la bolla prese agli inizi avrebbero avuto un effetto ragionevole e non avrebbero provocato sconquassi. Ma una volta che la bolla aveva raggiunto picchi irrazionali, ogni misura di freno avrebbe iniziato un movimento di vendite e lo scoppio della bolla stessa. Chiunque avesse fischiato per dire che la festa era finita si sarebbe preso una bella responsabilità, sarebbe stato lui il responsabile dello scoppio della bolla. Eppure perché eleggiamo governi? Qulcuno deve prendere queste responsabilità. Poi c'era il fatto che tra elezioni locali e elezioni politiche c'era sempre un'elezione dietro l'angolo. "Si, si dobbiamo fare qualcosa, ma facciamolo dopo le elezioni". Anche il buon Zapatero non si è mostrato all'altezza e non ha avuto il coraggio di fare il necessario. Purtroppo ha anche fatto altri danni con le prime misure di accorpamento delle Cajas e ha preso misure che hanno fatto si che tanti piccoli risparmiatori diventassero soci di Bankia, il conglomerato di sette Cajas nel quale è apparso il buco più grosso del sistema finanziario spagnolo. Questi piccoli risarmiatori oggi hanno perso tutto.

Risposto da giovanni de sio cesari su 17 Febbraio 2013 a 21:35 L’idea che le differenze di civiltà fra nord e sud di Europa dipendessero essenzialmente da fattori religiosi (riforma e controriforma) era una idea con la quale, durante il Risorgimento, si giustificava l’arretratezza italiana e la speranza che, una volta abbattuto il potere della Chiesa, l’Italia sarebbe tornata agli antichi splendori. La teoria non regge a una semplice osservazione: nei paesi di religione mista Germania e (antiche) Fiandre (Belgio e Olanda) le due parti religiose dovrebbero stare a diversi livelli civili e ed economici la qual cosa manifestamente non è. Gli storici invece indicano come causa generale lo spostamento del centro del mondo (europeo) dal mediterraneo all’Atlantico Anche il calvinismo come fonte dell’attivismo americano va molto ridimensionato. Giampaolo Carboniero ha detto:

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Le uniche differenze che io vedo sono: da noi il Vaticano e la nefasta influenza da sempre esercitata sulla nostra politica, il fatto di essere stato un paese sulla cortina di ferro e, di conseguenza, a democrazia bloccata, ultima, ma non meno importante differenza, i cinquant'anni incontrastati di DC, collusa con criminalità, raccomandati, evasori, furbi vari; loro hanno da sempre un'etica protestante, sono popoli storicamente abituati a un tenore di vita meno ricco, paesi meno depredati e occupati, una storia nazionale più consolidata.

Risposto da Fabio Colasanti su 17 Febbraio 2013 a 21:58 Giovanni, rafforzo la tua idea. Come tu dici le differenze di successo economico e di reddito all'interno di Belgio e Germania non sono grandi. Ma le differenze che ci sono sono a favore delle parti (più) cattoliche del paese. Le cattolicissime Fiandre sono più ricche della Vallonia dove il partito socialista è storicamente il primo partito. E in Germania i Länder più ricchi, quelli che contribuiscono al Finanzausgleich, sono la Baviera ed il Baden Wuttenberg, entrambi cattolici. giovanni de sio cesari ha detto: ( ... ) La teoria non regge a una semplice osservazione: nei paesi di religione mista Germania e (antiche) Fiandre (Belgio e Olanda) le due parti religiose dovrebbero stare a diversi livelli civili e ed economici la qual cosa manifestamente non è. Gli storici invece indicano come causa generale lo spostamento del centro del mondo (europeo) dal mediterraneo all’Atlantico Anche il calvinismo come fonte dell’attivismo americano va molto ridimensionato.

Risposto da Fabio Colasanti su 25 Febbraio 2013 a 7:36 Le ricette dell'OCSE per l'Italia (EurActiv.it-22-2-2013) Nessun condono fiscale, riduzione delle tasse e una nuova riforma del mercato del lavoro. Sono solo alcune delle ricette che l’Ocse, nel suo rapporto “Going for growth 2013”, ha auspicato per l’Italia. Entrando, di fatto, nel pieno della battaglia elettorale con una serie di consigli che si intrecciano con le politiche (vecchie e nuove) delle coalizioni in campo. L’Ocse – va detto – riconosce lo sforzo fatto dall’Italia e dagli altri paesi coinvolti più pesantemente dalla crisi. Tutti quanti hanno sopportato un pacchetto di riforme “particolarmente sostenuto”. Tuttavia il loro impegno deve andare avanti anche nei prossimi anni, “per realizzare l'obiettivo di una crescita più forte e più equilibrata,nell’Eurozona e nel resto del mondo”. Si parte dalle tasse. Su questo punto l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico sottolinea che bisogna “migliorare l'efficienza del sistema tributario”, mettendo in atto una riduzione delle distorsioni e degli incentivi all'evasione, diminuendo le alte aliquote fiscali ed ndo le spese fiscali. Quindi, bisogna abbassare la pressione fiscale e disincentivare l’evasione, troppo alta nel nostro paese. In questo quadro, l'Ocse fa anche il punto sulle misure prese finora, cita “alcuni aumenti necessari delle tasse”, che riguardano “soprattutto le imposte indirette”, e ricorda l'introduzione dell'Imu. Fatto questo, è necessario “tassare una più ampia gamma di esternalità ambientali e riaffermare la volontà di evitare i condoni fiscali”. Con le misure straordinarie, in altre parole, non si va da nessuna parte. Occorre mettere un campo unariforma organica e mandarla immediatamente a regime. Discorso simile viene fatto sul mercato del lavoro. In questo caso l’ente parigino chiede di “ridurre la tassazione diretta”, quando la situazione fiscale lo permetterà, dal momento che “il cuneo fiscale sui lavoratori a basso reddito è

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elevato, il codice fiscale è estremamente complicato e l'evasione è alta”. Serve, cioè, un’azione che renda più conveniente alle imprese investire sul proprio personale. Secondo l’Ocse, infatti, l'Italia sconta una pesante perdita di competitività rispetto agli altri paesi europei. La produttività resta troppo bassa e, allo stesso modo, l’occupazione si sta assestando su livelli non più sostenibili nel lungo periodo. Nonostante ci siano “progressi significativi” in varie aree, come ad esempio è accaduto per alcuneliberalizzazioni, l’Ocse raccomanda altri interventi. Su tutte, vengono citate le tutele sul mercato del lavoro, che vanno ribilanciate. Con il sistema attuale, infatti, si punta a proteggere i singoli posti di lavoro anziché tutelare iredditi dei lavoratori. Inoltre, è necessario favorire l’allocazione del lavoro nei segmenti più produttivi. E bisogna ridurre le barriere regolamentari e sulla concorrenza, in grado di scoraggiare gli investimenti stranieri. Una nuova ondata di interventi, infine, deve coinvolgere un settore rimasto finora nell’ombra: l’istruzione. Sul fronte universitario va completamente rivisto il sistema delle tasse. Queste, secondo l’Ocse, andrebbero aumentate e, contemporaneamente, andrebbe introdotto “un sistema di prestiti per studenti con rimborso condizionato al reddito”, sul modello di quanto avviene nei paesi del Nord Europa. Quanto alla scuola, è necessario un miglioramento della sua efficienza, dal momento che “produce scarsi risultati nonostante l'elevato livello di spesa e dovrebbe fare di più per offrire migliori opportunità di formazione alle persone scarsamente qualificate”.

Risposto da Fabio Colasanti su 26 Luglio 2013 a 9:05 Un altro esempio di cosa significhi in Italia aprire un'attività economica. Oltre al caso dei controlli, mi colpiscono i tempi per le varie licenze: oltre dieci anni. http://www.corriere.it/economia/13_luglio_26/esselunga-novara-buroc...

Risposto da Fabio Colasanti su 26 Luglio 2013 a 9:24 Sulla impossibilità di realizzare nuove infrastrutture in Italia. http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/notizie/politica/2...

Risposto da giorgio varaldo su 26 Luglio 2013 a 9:42 fra le sciagurate modifiche dalemiane del tomo V della costituzione sino alla mentalità falso ambientalista che blocca un investimento legato all'utilizzo delle energie alternative come la mancata costruzione della centrale di pompaggio di somplago il paese è ormai mummificato e si sta precipitando a velocità sempre crescente verso il baratro della disoccupazione e della povertà-. quale partito si schiererebbe contro questo sistema di cogestione (anche se è una delle principali cauise della corruzione) quale partito vuol correre il rischio di trovarsi contro le proteste di una vastissima parte del paese che ha elevato a regola aurea il principio del NIMBY? Fabio Colasanti ha detto: Sulla impossibilità di realizzare nuove infrastrutture ion Italia. http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/notizie/politica/2...

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Risposto da Fabio Colasanti su 26 Luglio 2013 a 9:51 Giorgio, l'Italia non cresce perché gli italiani non vogliono che l'economia cresca. Naturalmente nessuno - tranne una piccolissima minoranza - rifiuta esplicitamente la crescita, ma tutti vogliono cose che - senza che loro se ne rendano conto - bloccano la crescita. Nelle discussioni con Giovanni parlavamo di lanciare una discussione proprio su questo: perché gli italiani non vogliono le riforme che sono necessarie per la crescita? Giovanni, in una risposta a Giuseppe A., ha detto una cosa verissima. L'opposizione alle riforme non viene solo dalle corporazioni e dalle lobbies, ma viene dalla maggioranza della popolazione che spera di trarre qualche piccolo vantaggio personale dalla situazione attuale. giorgio varaldo ha detto: fra le sciagurate modifiche dalemiane del tomo V della costituzione sino alla mentalità falso ambientalista che blocca un investimento legato all'utilizzo delle energie alternative come la mancata costruzione della centrale di pompaggio di somplago il paese è ormai mummificato. quale partito si schiererebbe contro questo sistema di cogestione (anche se alimenta la mala erba della corruzione) quale partito vuol correre il rischio di trovarsi contro le proteste di una vastissima parte del paese che ha elevato a regola aurea il principio del NIMBY? Fabio Colasanti ha detto: Sulla impossibilità di realizzare nuove infrastrutture in Italia. http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/notizie/politica/2...

Risposto da Fabio Colasanti su 26 Luglio 2013 a 10:17 Un paio di anni fa si erano visti tanti piani per aggredire direttamente la montagna del debito pubblico attraverso una serie di dismissioni di proprietà pubbliche. Oggi se ne parla poco. Per la dismissione di buona parte del patrimonio immobiliare - la parte costituita da edifici speciali: caserme, vecchi opifici, conventi, fari, ecc.- c'è purtroppo il problema della difficoltà a riutilizzarli per i mille ostacoli amministrativi: trasformare una caserma in un centro commerciale o in abitazioni prende anni, solo per le mille licenze. Ma ci sono le partecipazioni statali. Per parecchio tempo si era detto che venderle avrebbe significato "svenderle". Ma oggi le borse sono a livelli record. E' difficile immaginare che l'anno prossimo le azioni possano assere ad un livello più alto di quello al quale sono oggi (l'anno prossimo i tassi di interessi saranno sicuramente più alti e il prezzo delle azioni più basso). Quindi questo è il momento ideale per vendere. Molti si oppongono alla vendita delle azioni in Finmeccanica, ENEL e altre entità di stato per motivi di principio che non capisco. Che qualcuno mi indichi un esempio negli ultimi venti/trenta anni di utilizzazione "strategica" da parte del governo delle participazione azionarie di sua proprietà. Le partecipazioni statali sono servite solo a creare un giardinetto dove i politici hanno potuto fare i loro comodi, dalla Lega fino a partiti più seri. Lo stato può e deve indirizzare l'attività economica attraverso le leggi e la regolazione delle autorità di controllo, la dove è prevista. Le "partecipazioni statali" sono un concetto senza più nessun contenuto. Dovremmo vendere tutto e ridurre il debito. Aggiungo un'ultima osservazione per contrastare l'analfabetismo che appare su alcuni media. La vendita delle proprietà statatali è un'operazione in conto capitale e non costituisce un'entrata corrente. L'eventuale vendita di azioni di proprietà dello stato non avrà nessun effetto sul disavanzo dell'anno prossimo - come invece si legge su alcuni giornali - ma servirà a ridurre il livello del debito e a risparmiare interessi futuri.

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Risposto da Alessandro Bellotti su 26 Luglio 2013 a 12:32 L'Italia non cresce perchè buona parte dei cittadini italiani stanno sfruttando la non crescita. Mi riferisco a chi un lavoro ce l'ha e mi riferisco soprattutto ai dipendenti pubblici e in generale ai lavoratori con il posto sicuro. Sicuramente i milioni di dipendenti pubblici e chi vive di politica, quindi gente con reddito sicuro e salvaguardato, pensionati di un certo livello, hanno grandi vantaggi a vivere in un paesi in crisi. Vacanze e acquisti di abbigliamento a basso prezzo ad esempio. Poi ci sono gli italiani, (ancora una minoranza) che invece vivono in grande difficoltà. Per questi i governi non hanno mai fatto nulla e non sembra che la tendenza del governo Letta sia diversa. Qualcuno dei 'fregati' che sono soprattutto i giovani, l'ha capito e vota tipicamente M5S. Ci siamo persi una generazione di giovani (Squinzi dice 2 ...). recupereremo il livello di PIL del 2008, se va bene, nel 2020/2023 cioè ci siamo persi 15 anni. A queste cifre impietose, buona parte del paese è indifferente. Anzi, ne ricava vantaggi. Quindi non solo la maggioranza del paese non sa cosa vuol dire la parola 'crisi' ma ha ottenuto e otterrà grandi vantaggi, ancora per diversi anni. Manca la visione e mancano le soluzioni per il 30% del paese pesantemente penalizzato non tanto dalla crisi ma da politiche scellerate che continuano a mantenere lo status quo al restante 70% del paese. Ci manca solo che il tesoro faccia cassa vendendo le partecipazioni in Enel, Eni etc... Ricaverebbe qualche decina di miliardi di euro che verrebbero bruciati in 6 mesi. 2 o 3 punti di PIL. Questo valgono oggi le partecipazioni del tesoro che Saccomanni vorrebbe incassare. Si pensa ancora a incassare senza tappare i buchi. Proprio come vuole fare la CGIL.

Risposto da giorgio varaldo su 26 Luglio 2013 a 13:36 quali garanzie ci sarebbero che una volta risanato parte del debito pubblico il partito trasversale della spesa facile abbia il sopravvento ed in breve il debito - come accade a chi si mette a dieta e che quando la sospende riprende tutti i kili persi ed anche qualcosa di più - ritorni ad essere anche oltre i valori attuali? senza riforme questo rischio è altissimo e ci troveremmo con maggior debito e senza più gioielli!!! e la tragica esperienza del tesoretto di prodi dilapidato in un amen non ci da nessuna garanzia che un governo di sinistra sia esente da simili comportamenti. Fabio Colasanti ha detto: Un paio di anni fa si erano visti tanti piani per aggredire direttamente la montagna del debito pubblico attraverso una serie di dismissioni di proprietà pubbliche. Oggi se ne parla poco. Per la dismissione di buona parte del patrimonio immobiliare - la parte costituita da edifici speciali: caserme, vecchi opifici, conventi, fari, ecc.- c'è purtroppo il problema della difficoltà a riutilizzarli per i mille ostacoli amministrativi: trasformare una caserma in un centro commerciale o in abitazioni prende anni, solo per le mille licenze. Ma ci sono le partecipazioni statali. Per parecchio tempo si era detto che venderle avrebbe significato "svenderle". Ma oggi le borse sono a livelli record. E' difficile immaginare che l'anno prossimo le azioni possano assere ad un livello più alto di quello al quale sono oggi (l'anno prossimo i tassi di interessi saranno sicuramente più alti e il prezzo delle azioni più basso). Quindi questo è il momento ideale per vendere. Molti si oppongono alla vendita delle azioni in Finmeccanica, ENEL e altre entità di stato per motivi di principio che non capisco. Che qualcuno mi indichi un esempio negli ultimi venti/trenta anni di utilizzazione "strategica" da parte del governo delle participazione azionarie di sua proprietà. Le partecipazioni statali sono servite solo a creare un giardinetto dove i politici hanno potuto fare i loro comodi, dalla Lega fino a partiti più seri. Lo stato può e deve indirizzare l'attività economica attraverso le leggi e la regolazione delle autorità di controllo, la dove è prevista. Le "partecipazioni statali" sono un concetto senza più nessun contenuto. Dovremmo vendere tutto e ridurre il debito. Aggiungo un'ultima osservazione per contrastare l'analfabetismo che appare su alcuni media. La vendita delle proprietà statatali è un'operazione in conto capitale e non costituisce un'entrata corrente. L'eventuale vendita di

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azioni di proprietà dello stato non avrà nessun effetto sul disavanzo dell'anno prossimo - come invece si legge su alcuni giornali - ma servirà a ridurre il livello del debito e a risparmiare interessi futuri.

Risposto da giorgio varaldo su 26 Luglio 2013 a 16:48 conviene allo stato mantenere quote azionarie ? la risposta è data dai numeri se la riduzione degli interessi del debito pubblico derivante dalla vendita delle quote azionarie è superiore ai dividendi conviene vendere. se la riduzione degli interessi è inferiore non conviene vendere. ad esempio FINMECCANICA non ha distribuito utili nel 2012 ne prevede di distribuirli nel 2013 quindi conviene vendere. ENEL nel 2013 ha un dividend yeld del 5.69% quindi non conviene vendere. ripeto il timore che le somme incassate dalle vendite possano esser usate per destinazioni diverse dall'abbattimento del debito pubblico quindi senza precise garanzie è meglio non vendere. Giorgio Mauri ha detto: Se l'azienda fa utile lo stato rinuncerebbe ad un guadagno che è suo. O sbaglio ? Normalmente un'azienda è quotata sulla base dell'EBITDA (mi sembra, non sono esperto di queste cose), il quale viene moltiplicato per un certo numero di anni (anche qui non sono sicuro, mi pare siano cinque anni). Supponiamo che l'azienda abbia un utile di 1 miliardo l'anno. Probabilmente vale una decina di miliardi, se la si vendesse. Se lo stato la vende a 3 miliardi incassa subito, vero, ma poi chiuso per sempre. Mi sembra che lo stato abbia le stesse ragioni che può avere un privato a tenersi un'azienda. Se l'azienda funziona è bene che la tenga ! Il problema mi sembra che sia un altro: l'azienda in cui lo stato la fa da padrone ha un management che potrebbe essere interessato a non farla funzionare ! Al di là delle vere e proprie ruberie (MPS), ci sono anche forme di finanziamento illecito (detto in modo grossolano ti riconosco una retribuzione di 3 milioni di euro annui netti, e tu me ne versi 2), menefreghismo (tanto è lo stato che mi paga, che ragioni ho di "rischiare" in nuovi business che comunque un rischio ce l'hanno per definizione?). Comunque, per esemplificare, Il modello che ho in mente è la Renault. Sono convinto che una economia mista sia superiore a quella socialista o a quella esclusivamente capitalista. In aggiunta, vista la complessità del mondo globalizzato, vorrei che lo stato si facesse promotore per favorire il raggruppamento di impresa. In toscana ho visto con i miei occhi svanire nel nulla gran parte dell'industria pratese (15.000 aziende ! roba da matti !) proprio per la disseminazione delle attività e la mancanza di soggetti robusti, in grado di mantenere le quote di mercato con investimenti tecnologici che le piccole aziende non possono fare ! Ma esistono anche altri settori che sono quasi spariti: Quarrata, Ponsacco e Cascina erano i centri di produzione del mobile. Tutte aziende famigliari ! Arrivata IKEA sono state decimate. Bisognava pensarci prima: una riorganizzazione del settore, con una guida capace, avrebbe avuto ampi margini per contrastare la concorrenza. Inoltre avrebbe potuto, una volta attivata, andare lei a conquistare il mercato svedese, e non l'incontrario ! Questi fenomeni stanno avvenendo in altri settori (per esempio la carta), laddove gli imprenditori hanno avuto più fortuna (o cervello) per affrontare le sfide del mercato. Ma sui territori (e questo è uno dei veri mali del paese) la politica pensa solo a se stessa, a come foraggiare i propri esponenti, a come mungere lo stato, ma mai e poi mai a favorire il far impresa, e soprattutto ad aiutare a farla bene, sia con norme e organizzazione dei servizi molto migliori sia in maniera più attiva, facendo qualcosa di analogo a quello che faceva la "comunione e liberazione" dei primi anni. Il tuo taglio "mentale" è, secondo me, fondamentale. Ma il mio approccio più "concreto", più indirizzato ai dettagli, è forse più importante. Detto in altri termini bisogna operare sia a livello macroeconomico sia a livello di microeconomia. Per quello che ho visto con i miei occhi il secondo ha molti più margini del primo, che resta comunque un pò fuori controllo, visto che è regolato da leggi di mercato che non possono essere modificate più di tanto e che condizionano comunque qualsiasi paese. E' vero che l'Europa forte e coesa sarebbe più capace di difendersi, ma è anche vero che anche lei avrebbe dei limiti imposti dalla globalizzazione. PS - se do 1 miliardo e 400 milioni a Ligresti faccio o no un'operazione che condiziona, seppur in piccolissima parte, lo sviluppo economico del paese ? Io dico, come sostiene anche Barison (vicedirettore di sole 24 ore) che lo condiziona. Questo vezzo del "salotto bene", in una visione aristocratica di inizio 700, non ha nulla a che vedere con il capitalismo o

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il socialismo. E' una palla al piede. Come lo sono i finanziamenti dello stato alle testate giornalistiche, l'investimento dello stato nelle TV (diretto (RAI) e indiretto (MEDIASET con le frequenze quasi gratuite). Tutto frutto di una mentalità da pre rivoluzione francese. Quando paragoni i cattolici italiani a quelli del nord europa fai una evidente "forzatura" :) sai benissimo anche tu che la "mentalità" non è il frutto della semplice religione ! Conosco mussulmani che hanno rapporti aperti con la propria moglie ... laddove in turkia esiste ancora il delitto d'onore per cui se uccidi per "onore" ti prendi massimo 3 anni). Fabio Colasanti ha detto: Giorgio, quale è l'utilità per lo stato di detenere quote azionarie - di controllo o no - in alcune imprese ? Giorgio Mauri ha detto: ( ... ) La dismissione delle aziende di stato è davvero utile ? ( ... )

Risposto da Fabio Colasanti su 26 Luglio 2013 a 18:23 Giorgio, sulla convenienza finanziaria a tenere o vendere azioni ha già risposto Giorgio V. La tua affermazione sulla superiorità) dell'economia mista rispetto ad altre forme di economia non è accompagnata da nessun argomento. Con la proprietà delle azioni in Finmeccanica, Enel o altro, la stato non può fare molto per il raggruppamento delle piccole imprese. Giorgio Mauri ha detto: Se l'azienda fa utile lo stato rinuncerebbe ad un guadagno che è suo. O sbaglio ? ( ... )

Risposto da Fabio Colasanti su 26 Luglio 2013 a 19:18 Consumatori: Commissione Ue, italiani non si fidano, soprattutto sul web 24 Luglio 2013 - Angela Lamboglia EurActiv.it Consumatori italiani poco fiduciosi al momento di effettuare acquisti: sono quattro su dieci quelli che si sentono tutelati dalle norme esistenti, contro il 55% della media europea. E la preoccupazione aumenta quando gli acquisti viaggiano in rete: solo il 35% degli italiani si fida dell'e-commerce e il dato scende al 28% per le compere transfrontaliere. A fare il punto è il nono quadro di valutazione dei mercati al consumo, che contiene le pagelle della Commissione europea sulle condizioni dei consumatori all'interno dell'Unione. Nell'ottava edizione del quadro di valutazione, quella del dicembre 2012, l'Italia si collocava al 23° posto su 27 paesi per funzionamento dei mercati. Il nono rapporto propone, invece, un indice numerico che sintetizza una serie di indicatori relativi alla protezione e alle condizioni dei consumatori nei diversi stati membri. L'indice assegnato all'Italia è 56, pari a quello della Lituania, inferiore a quello di Lettonia (59) e Ungheria (60), e ben al di sotto dei valori di Irlanda (69) e Finlandia (73). Indici più bassi, invece, per Bulgaria (50), Cipro (49) e Grecia (47). La fiducia dei consumatori La percentuale dei consumatori che si sente tutelata in modo adeguato dalle misure in vigore varia sensibilmente da un paese dell'Ue all'altro, da un minimo del 18% a un massimo del 76%. In Italia, dopo un balzo della fiducia tra il 2008 e il 2010 (dal 39% al 61%), negli ultimi anni si registra un calo - 44% nel 2011 e 40% nel 2012 -, che allontana lo Stivale

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dalla media comunitaria (55%). Complice, forse, anche la scarsa consapevolezza dei propri diritti che sembra caratterizzare i consumatori italiani - fra i meno informati sul da farsi, secondo il rapporto, se ricevono merce che non hanno ordinato - e la sensazione, condivisa dal 35% dei consumatori, che i prodotti disponibili sul mercato non siano sufficientemente sicuri. Livelli più elevati di preoccupazione in questo senso si registrano solo a Cipro (36%), in Romania (48%) e soprattutto in Grecia (50%), mentre il fenomeno è decisamente più ridotto in Estonia e Olanda (9%), nel Regno Unito (8%) e in Finlandia (7%). Commercio elettronico Anche in tema di e-commerce, i numeri differiscono in maniera significativa all'interno dell'Unione: la quota di consumatori pronti ad impegnarsi in acquisti transfrontalieri varia dal 62% del Lussemburgo al 23% dell'Ungheria, passando per il 28% dell'Italia e il 30% della Spagna. Ma in generale è la fiducia negli acquisti online, anche domestici, a variare di molto da un paese all'altro: il tasso di fiducia più elevato si registra in Irlanda (71%), il più basso in Croazia (29%); prossimi ai due estremi, la Danimarca (67%), da una parte, l'Ungheria e l'Italia (35%) e l'Estonia (34%), dall'altra. Le imprese sembrano adattarsi alla domanda, con un impegno sul web che ricalca il grado di propensione dei consumatori a comprare in rete: così, in Italia la quota di imprese che offrono servizi di e-commerce non va oltre il 6%, mentre in Danimarca si attesta al 29%.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 28 Luglio 2013 a 3:16 Siamo alle solite: se la sanità non funziona, la diamo ai privati, perchè la gestiscono meglio ( e le ultime inchieste della magistratura e i confronti sulla qualità e spesa dicono il contrario); le partecipazioni statali non funzionano? Cediamole ai privati, così funzioneranno (magari delocalizzando le attività più lucrose (agusta p.e., o chiudendo gli impianti) Siccome anche la PA e lo Stato, il catasto, i servizi, non funzionano, cediamo tutto ai privati, avremo il paese di Bengodi. In certi discorsi vedo sempre un doppio binario: da una parte si predica l'efficienza, la trasparenza, la concertazione, la democrazia, dall'altra, in nome dell'emergenza e del "realismo" ( a senso unico naturalmente!), si decreta lo sfascio e la svendita del nostro settore manufatturiero; sarebbe molto più logico, e a costo zero, "rottamare" la dirigenza delle partecipate, sostituendola con il meglio che le nostre università e teste possono schierare in campo ( così, magari, tornerebbe qualche cervello profugo), mettere in piedi un serio piano strategico che le faccia collaborare tra loro e con le Università e gli Enti pubblici, inasprire la legislazione anti-corruzione ( a costo zero!), obbligare alla trasparenza più completa Stato, Enti e imprese ( sempre a costo zero, o quasi), dirottare molti dei Mld. delle Grandi Opere e spese militari su altri interventi più diffusi sul territorio e a forte intensità di manodopera, copiare ( tutta, non solo nelle parti che fanno comodo!) le legislazioni fiscali di altri paesi, con relative pene deterrenti ( senza accampare l'unicità e particolarità del paese); ma tutto questo, naturalmente, sempre " data la criticità economica attuale", anche se pure, in teoria, sottoscritto, è regolarmente spostato nel tempo del poi, quando si potrà, quando non saremo più in emergenza....ecct., cioè...mai! Un progetto politico e strategico per il paese non potrà mai ottenere risultati efficaci se viene proposto e/o realizzato a compartimenti stagni, perchè, come in natura, tutto è interattivo, ci sono simbionti e parassiti, ci sono etica e coerenza o gattopardismo e interessi particolari, c'è il si dice ma non si può fare ( salvo qualcuno), e c'è il si dice e si fa. Per Giorgio V., prova a pensare alla Finmeccanica come alla FIAT, meglio vendere la FIAT o cercare un buon management ( senza pagarlo spropositatamente come Marchionne, Scaroni o Conti, naturalmente) Fabio Colasanti ha detto: Giorgio, sulla convenienza finanziaria a tenere o vendere azioni ha già risposto Giorgio V. La tua affermazione sulla superiorità) dell'economia mista rispetto ad altre forme di economia non è accompagnata da nessun argomento. Con la proprietà delle azioni in Finmeccanica, Enel o altro, la stato non può fare molto per il raggruppamento delle piccole imprese. Giorgio Mauri ha detto: Se l'azienda fa utile lo stato rinuncerebbe ad un guadagno che è suo. O sbaglio ? ( ... )

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Risposto da Fabio Colasanti su 28 Luglio 2013 a 4:49 Giampaolo, la sanità e la Fiat non c'entrano nulla con il tema che stiamo discutendo che è quello del vendere le partecipazioni azionarie dello stato in alcune imprese private per ridurre il debito pubblico. Nella sanità non ci sono participazioni azionarie da vendere sul mercato e la Fiat è un'impresa privata senza quote di proprietà dello stato. Giorgio V ha dato una prima risposta di buon senso: la prima cosa da fare è vedere quanto queste azioni rendono. Se rendono più del costo per lo stato del prendere in prestito sul mercato una cifra equivalente, allora vale la pena di tenerle, altrimenti vanno vendute. Io avevo sollevato un altro argomento. Nel dopoguerra, lo stato aveva deciso di creare imprese sotto il suo controllo per fare cose che il settore privato non era in grado di fare o comunque non faceva. Per esempio, la creazione di grossi impianti siderurgici che richiedevano capitali che il settore privato non aveva, l'investimento nell'approvviggionamento di idrocarburi o l'investimento iin aree del paese dove il settore privato non voleva andare perché troppo rischiose e/o poco redditizie. Non mi sembra che nelle participazione azionarie attuali si riscontrino più queste caratteristiche. Chiedevo che mi si indicasse un solo caso di utilizzo strategico delle partecipazioni azionarie dello stato negli ultlimi trenta/quaranta anni. Quello che vediamo invece è che le partecipazioni azionarie servono alla classe politica per avere nomine da spartirsi e, purtroppo, per avere imprese da spogliare per finanziare partiti o correnti, se non per arricchirsi personalmente. Giampaolo Carboniero ha detto: Siamo alle solite: se la sanità non funziona, la diamo ai privati, perchè la gestiscono meglio ( e le ultime inchieste della magistratura e i confronti sulla qualità e spesa dicono il contrario); le partecipazioni statali non funzionano? Cediamole ai privati, così funzioneranno (magari delocalizzando le attività più lucrose (agusta p.e., o chiudendo gli impianti) Siccome anche la PA e lo Stato, il catasto, i servizi, non funzionano, cediamo tutto ai privati, avremo il paese di Bengodi. In certi discorsi vedo sempre un doppio binario: da una parte si predica l'efficienza, la trasparenza, la concertazione, la democrazia, dall'altra, in nome dell'emergenza e del "realismo" ( a senso unico naturalmente!), si decreta lo sfascio e la svendita del nostro settore manufatturiero; sarebbe molto più logico, e a costo zero, "rottamare" la dirigenza delle partecipate, sostituendola con il meglio che le nostre università e teste possono schierare in campo ( così, magari, tornerebbe qualche cervello profugo), mettere in piedi un serio piano strategico che le faccia collaborare tra loro e con le Università e gli Enti pubblici, inasprire la legislazione anti-corruzione ( a costo zero!), obbligare alla trasparenza più completa Stato, Enti e imprese ( sempre a costo zero, o quasi), dirottare molti dei Mld. delle Grandi Opere e spese militari su altri interventi più diffusi sul territorio e a forte intensità di manodopera, copiare ( tutta, non solo nelle parti che fanno comodo!) le legislazioni fiscali di altri paesi, con relative pene deterrenti ( senza accampare l'unicità e particolarità del paese); ma tutto questo, naturalmente, sempre " data la criticità economica attuale", anche se pure, in teoria, sottoscritto, è regolarmente spostato nel tempo del poi, quando si potrà, quando non saremo più in emergenza....ecct., cioè...mai! Un progetto politico e strategico per il paese non potrà mai ottenere risultati efficaci se viene proposto e/o realizzato a compartimenti stagni, perchè, come in natura, tutto è interattivo, ci sono simbionti e parassiti, ci sono etica e coerenza o gattopardismo e interessi particolari, c'è il si dice ma non si può fare ( salvo qualcuno), e c'è il si dice e si fa. Per Giorgio V., prova a pensare alla Finmeccanica come alla FIAT, meglio vendere la FIAT o cercare un buon management ( senza pagarlo spropositatamente come Marchionne, Scaroni o Conti, naturalmente)

Risposto da Giorgio Mauri su 29 Luglio 2013 a 1:58 Fabio, se rileggi quello che ho scritto trovi le risposte di Varaldo e trovi anche qualche considerazione in più. Fabio Colasanti ha detto:

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Giorgio, sulla convenienza finanziaria a tenere o vendere azioni ha già risposto Giorgio V. La tua affermazione sulla superiorità) dell'economia mista rispetto ad altre forme di economia non è accompagnata da nessun argomento. Con la proprietà delle azioni in Finmeccanica, Enel o altro, la stato non può fare molto per il raggruppamento delle piccole imprese. Giorgio Mauri ha detto: Se l'azienda fa utile lo stato rinuncerebbe ad un guadagno che è suo. O sbaglio ? ( ... )

Risposto da Giorgio Mauri su 29 Luglio 2013 a 2:21 Sulle "cooperative" ci fu una discussione avviata da Sandra poco tempo fa in cui riportava le proposte e le osservazioni fatte in occasione di un meeting della cosiddetta sinistra (se hai pazienza puoi rintracciare facilmente la discussione, tra l'altro molto interessante). Quanto alle prove sono un pò stanco di dover parlare "dimostrando" tutte le volte quello che penso. A parte che in letteratura trovi tutti le pubblicazioni che vuoi sulle ipotesi che avanzo, non amo parlare sorretto dai pareri autorevoli, ma preferisco scrivere quello che ritengo giusto. Infatti quello che si trova in letteratura lo si può leggere comodamente, mentre siti come questo hanno il compito di fare da trade union fra il "sentire comune", la realtà (nelle migliaia di sfaccettature e istanze), e la giuste prassi (qui il discorso si fa più opinabile). Sul fatto poi che esista una "verità" e degli esperti "infallibili" lascio al banalissimo buonsenso la valutazione: se così fosse non ci sarebbe la crisi dell'occidente (visto che è pieno zeppo di esperti!) Ci sono esperti "esperti", altri che "non sono esperti", eppure hanno gli stessi riconoscimenti e successi. Perché l'"esperto" che da un decennio propone la liberalizzazione della droga per combattere il potere del crimine organizzato NON è UN ESPERTO ? Eppure si sanno i numeri (impressionanti), il pericolosissimo livello di colusione con alcune banche e piazze (Londra, per esempio). Quando la realtà ha questa faccia e sento inveire contro la FIOM smetto, molto semplicemente, di ascoltare. Come mi urta sentir parlare di "privatizzazioni" in un periodo storico che vede la crisi netta del capitalismo ! Quanto a casi in cui i privati non ce la fanno a sostenere alcuni impegni mi spieghi perché abbiamo dato 3 miliardi a dei privati per l'Alitalia, non 40 ani fa, ma pochissimo tempo fa ! E dentro c'era anche la famiglia Riva, quella delle acciaierie, o sbaglio ?!? E allora cosa significa questa domanda ? " Non mi sembra che nelle participazione azionarie attuali si riscontrino più queste caratteristiche. Chiedevo che mi si indicasse un solo caso di utilizzo strategico delle partecipazioni azionarie dello stato negli ultlimi trenta/quaranta anni. " E mettiamoci anche le autostrade, un business sicuro, "svenduto" grazie a "rivalutazioni" tutte da dimostrare ! E che dici dei 40 milioni che l'INPS dovrà restituire ai "poveri" ricchi ? Fare discorsi come i tuoi e poi pretendere di essere ascoltato dalla "massa" è utopia pura ! Finché la gente si sentirà propinare certi discorsi voterà Grillo, è ovvio ! Quindi maggiore prudenza, più tatto, altrimenti anche considerazioni giuste rischiano di non transitare. Quando scrivi fa finta di scrivere ad una persona che ha votato M5S, il quale, dopo averti letto, cambierà idea. Io temo che se ti legge non solo non cambia idea ma convince qualcun altro a votare Grillo :) Fabio Colasanti ha detto: Giorgio, sulla convenienza finanziaria a tenere o vendere azioni ha già risposto Giorgio V. La tua affermazione sulla superiorità) dell'economia mista rispetto ad altre forme di economia non è accompagnata da nessun argomento. Con la proprietà delle azioni in Finmeccanica, Enel o altro, la stato non può fare molto per il raggruppamento delle piccole imprese. Giorgio Mauri ha detto: Se l'azienda fa utile lo stato rinuncerebbe ad un guadagno che è suo. O sbaglio ? ( ... )

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Risposto da giorgio varaldo su 29 Luglio 2013 a 8:23 nel 1993 le aziende siderurgiche pubbliche perdevano circa otto miliardi di lire al giorno pari ad oltre 2600 miliardi di lire all'anno debiti ovviamente ripianati dallo stato con danaro preso a prestito sul mercato e con interessi che al tempo superavano il 12% annuo.. sarebbe interessante capire cosa ti urta di queste privatizzazioni. PS per favore riguardo la siderurgia .... Giorgio Mauri ha detto: Sulle "cooperative" ci fu una discussione avviata da Sandra poco tempo fa in cui riportava le proposte e le osservazioni fatte in occasione di un meeting della cosiddetta sinistra (se hai pazienza puoi rintracciare facilmente la discussione, tra l'altro molto interessante). Quanto alle prove sono un pò stanco di dover parlare "dimostrando" tutte le volte quello che penso. A parte che in letteratura trovi tutti le pubblicazioni che vuoi sulle ipotesi che avanzo, non amo parlare sorretto dai pareri autorevoli, ma preferisco scrivere quello che ritengo giusto. Infatti quello che si trova in letteratura lo si può leggere comodamente, mentre siti come questo hanno il compito di fare da trade union fra il "sentire comune", la realtà (nelle migliaia di sfaccettature e istanze), e la giuste prassi (qui il discorso si fa più opinabile). Sul fatto poi che esista una "verità" e degli esperti "infallibili" lascio al banalissimo buonsenso la valutazione: se così fosse non ci sarebbe la crisi dell'occidente (visto che è pieno zeppo di esperti!) Ci sono esperti "esperti", altri che "non sono esperti", eppure hanno gli stessi riconoscimenti e successi. Perché l'"esperto" che da un decennio propone la liberalizzazione della droga per combattere il potere del crimine organizzato NON è UN ESPERTO ? Eppure si sanno i numeri (impressionanti), il pericolosissimo livello di colusione con alcune banche e piazze (Londra, per esempio). Quando la realtà ha questa faccia e sento inveire contro la FIOM smetto, molto semplicemente, di ascoltare. Come mi urta sentir parlare di "privatizzazioni" in un periodo storico che vede la crisi netta del capitalismo ! Quanto a casi in cui i privati non ce la fanno a sostenere alcuni impegni mi spieghi perché abbiamo dato 3 miliardi a dei privati per l'Alitalia, non 40 ani fa, ma pochissimo tempo fa ! E dentro c'era anche la famiglia Riva, quella delle acciaierie, o sbaglio ?!? E allora cosa significa questa domanda ? " Non mi sembra che nelle participazione azionarie attuali si riscontrino più queste caratteristiche. Chiedevo che mi si indicasse un solo caso di utilizzo strategico delle partecipazioni azionarie dello stato negli ultlimi trenta/quaranta anni. " E mettiamoci anche le autostrade, un business sicuro, "svenduto" grazie a "rivalutazioni" tutte da dimostrare ! E che dici dei 40 milioni che l'INPS dovrà restituire ai "poveri" ricchi ? Fare discorsi come i tuoi e poi pretendere di essere ascoltato dalla "massa" è utopia pura ! Finché la gente si sentirà propinare certi discorsi voterà Grillo, è ovvio ! Quindi maggiore prudenza, più tatto, altrimenti anche considerazioni giuste rischiano di non transitare. Quando scrivi fa finta di scrivere ad una persona che ha votato M5S, il quale, dopo averti letto, cambierà idea. Io temo che se ti legge non solo non cambia idea ma convince qualcun altro a votare Grillo :) Fabio Colasanti ha detto: Giorgio, sulla convenienza finanziaria a tenere o vendere azioni ha già risposto Giorgio V. La tua affermazione sulla superiorità) dell'economia mista rispetto ad altre forme di economia non è accompagnata da nessun argomento. Con la proprietà delle azioni in Finmeccanica, Enel o altro, la stato non può fare molto per il raggruppamento delle piccole imprese. Giorgio Mauri ha detto: Se l'azienda fa utile lo stato rinuncerebbe ad un guadagno che è suo. O sbaglio ? ( ... )

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Risposto da Fabio Colasanti su 29 Luglio 2013 a 8:53 Visto che il governo italiano è troppo timido, la Commissione europea chiede che l'aiuto di stato al Monte dei Paschi di Siena - i famosi 3.9 miliardi - siano accompagnati da misure più severe sulla remunerazione dei dirigenti, sulla continuazione dei pagamenti dei dividendi, sulla riduzione dei costi di esercizio, sulla riduzione delle attività speculative (trading per conto proprio) e sulla riduzione dell'esposizione ai titoli pubblici. Ogni aiuto di stato - compresi quelli alle banche - deve essere autorizzato dalla Commissione europea che ne verifica la compatibilità con le regole europee. Il Financial Times scrive oggi di aver ottenuto una copia di una lettera scritta dal commissario europeo alla concorrenza, Joaquim Almunia, a Fabrizio Saccomanni il 16 luglio scorso. Almunia mette come condizione all'autorizzazione europea un vero programma di ristrutturazione della banca. Critica in particolare il fatto che il MPS voglia continuare a pagare dividendi ad alcuni azionisti. È chiaro che la banca - con l'accordo del governo - vuole continuare a dar soldi alla Fondazione MPS, che altrimenti sarebbe in fallimento. Ma ogni volta che si danno aiuti di stato, la prima condizione è che la banca in difficoltà smetta di distribuire dividendi ai suoi azionisti: sarebbe assolutamente illogico che gli aiuti di stato servissero per pagare "utili" agli azionisti. Perché la Fondazione deve costituire un'eccezione a questa regola?

Risposto da Fabio Colasanti su 29 Luglio 2013 a 11:01 Da La Voce. http://www.lavoce.info/unordinata-ripresa-in-vista/

Risposto da Fabio Colasanti su 29 Luglio 2013 a 11:09 Dati interessanti. Grazie. Giorgio Mauri ha detto: Tornando al titolo, riporto due dati in croce sul numero di dipendenti pubblici in Italia, e alcune valutazioni, senza portare nessun commento. Dati utili anche per altre discussioni ( ... )

Risposto da Alberto Rotondi su 29 Luglio 2013 a 12:43 Questi grafici de La Voce: http://www.lavoce.info/bersani-e-la-spesa-pubblica-al-netto-delle-p... mostrano che, in percentuale sul PIL, la spesa pubblica italiana è nella media UE. Inoltre, se si tolgono le pensioni e gli interessi sul debito, la spesa in % sul PIL risulta LA PIU' BASSA DELLA UE!!! Ricordo anche che, dal 2010 incluso a tutto il 2014 (5 anni) tutti gli stipendi pubblici sono congelati, tutti gli avanzamenti di carriera automatici e non sono totalmente bloccati (e a perdere, cioè non saranno mai più retroattivi una volta finito il blocco) e che le liquidazioni sono confiscate e date a rate in tre anni senza interessi ( e questi sono soldi già versati e di proprietà del dipendente!). E' vero che i dipendenti pubblici hanno uno stipendio sicuro, quindi sono avvantaggiati dalla crisi come dice Alessandro, pur subendo il blocco che ho detto prima. Però il problema italiano sono gli interessi sul debito e le pensioni. Per quanto riguarda gli interessi, siamo in avanzo primario di circa 50 miliardi, ma paghiamo 85 miliardi di interessi. Siamo quindi obbligati a emettere una parte di titoli per pagare gli interessi. Fino a quando non arriveremo all'avanzo assoluto (o strutturale) il debito pubblico aumentrà sempre, è ovvio. Letta doveva arrivare all'avanzo strutturale nel 2014, ma ha avuro dalla Ue il "permesso" di spostarlo

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al 2015. Quindi, per altri due anni, il debito pubblico continuerà ad aumentare. Non mi sembra francamente un grande successo. Per quanto riguarda le pensioni, paghiamo la palla al piede dei pensionati baby, dei riscatti di anni con contributi figurativi, ecc, un disastro. Io per prima cosa congelerei per sempre le pensioni baby, per esempio di chi è andato in pensione dopo 15 anni. Niente più rivalutazione. Il brutto del bilancio italiano è che interessi sul debito e pensioni sono spese totalmente improduttive, che ammazzano la crescita. Se vado in deficit perché faccio asili o aiuto le giovani coppie, dò una mano alla produttività e alla crescita, ma questo non è il caso dell'Italia. Per uscire da questo pantano occorrono provvedimenti audaci ed intelligenti. Non sono esperto di queste cose, ma mi vengono in mente ad esempio: 1) vendere le società pubbliche ma solo se questo conviene (vedi Giorgio V.) 2) vendere patrimonio pubblico quel tanto che basta per arrivare all'avanzo strutturale di bilancio e fermare la crescita del debito. 3) congelare per sempre le pensioni al di sopra di un tetto massimo (se ricordo bene è stato calcolato che un tetto 8000 euro lordi al mese porta ad un risparmio di 10 miliardi all'anno) 4) congelare per sempre e non indicizzare più le pensioni baby, almeno fino al compimento del 65-70 mo anno di età del titolare. 5) continuare l blocco degli stipendi e carriere pubbliche (ahime', ci sono anch'io) finché non si raggiunge il pareggio strutturale di bilancio; 5) via le province e i comuni sotto i 5 mila abitanti (qui almeno concordo col M5S) ..... e forse anche la disastrata classe dirigente di questo paese dovrebbe cominciare a fare sacrifici veri e non fasulli come ha fatto finora. O no?

Risposto da giorgio varaldo su 29 Luglio 2013 a 13:05 forse ho male interpretato la tua frase "E dentro c'era anche la famiglia Riva, quella delle acciaierie, o sbaglio ?!?" in ogni caso c'è sempre da rispondere alla domanda "perchè una renault pubblica produce utili ed una alfa romeo sempre pubblica perdite?" Giorgio Mauri ha detto: Mai portato ad esempio la siderurgia ! Ho menzionato Autostrade e Alitalia. Su Telecom ho delle riserve. Siamo l'unico paese d'occidente che ha regalato le frequenze ad un privato. La vicenda Alfa Romeo è demenziale. La mancata valorizzazione di Olivetti (sotto la pressione di Agnelli e Pirelli) è un'altra perla del nostro paese. Sulle Ferrovie non metto lingua, ma la gestione dei trasporti in Italia non mi sembra sia stata un esempio da seguire. Le storie di Cirio e Parmalat sono poco chiare ma di sicuro non ci fanno onore. La "mania" del "capitalismo" di dover ricondurre sempre tutto al privato mi fa semplicemente schifo. La giustificazione che questo vada fatto perché dei politici corrotti non fanno funzionare l'azienda dello stato mi fa ancora più schifo. Il capitalismo che pretende tutto nelle mani del privato e poi si foraggia nei paesi socialisti (per esempio Polonia, Cina) oppure approfitta di agevolazioni fiscali (Brasile, Serbia etc.) mi fa molto semplicemente scoppiare dalla risate. Una classe politica che fa decidere il piano energetico del paese al "popolo" tramite referendum è talmente inetta da meritare la galera. Una classe politica che ha una regione povera in cui serve energia e in cui tutto il territorio è totalmente antisismico e non impianta una manciata di centrali nucleari è ridicola. Ognuno si tenga le sue idee. Ma nessuno metta in bocca agli altri cose non dette, altrimenti diventa una giungla.

Risposto da Fabio Colasanti su 29 Luglio 2013 a 14:23

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Giorgio, Telecom Italia è stata privatizzata a suo tempo, ossia venduta per un certo prezzo. Nessuna frequenza è mai stata regalata a Telecom Italia o agli altri operatori telecom, ne al momento della privatizzazione ne dopo. Al contrario, gli operatori telecom hanno pagato miliardi per le frequenze di cui avevano bisogno. L'investimento fatto dalla cinese Hutchinson Whampoa (il padrone di "3") per comprare le frequenze e costruire una rete è stato il più grosso investimento straniero mai fatto in Italia. Dove la situazione è scandalosa è nel campo televisivo. Le frequenze delle televisioni private sono state "occupate" abusivamente negli anni ottanta e poi rivendute altrettanto abusivamente. Questo è stato possibile dalla stato pietoso in cui si trovava la pubblica amministrazione italiana (e dalla benevolenza dei governi nei confronti delle televisioni private e di chi poi le ha ricomprate). Il catasto delle frequenze è stato realizzato da pochissimo su pressione dell'Unione europea. Giorgio Mauri ha detto: ( ...) Su Telecom ho delle riserve. Siamo l'unico paese d'occidente che ha regalato le frequenze ad un privato. ( ... )

Risposto da Fabio Colasanti su 29 Luglio 2013 a 15:10 Alberto, il fatto che la spesa pubblica italiana al netto di pensioni ed interessi sul debito pubblico sia tra le più basse in Europa, non è ne un caso, ne un merito. La spesa per pensioni e per interessi ha spiazzato, ha sostituito la spesa pubblica per altri scopi. Se l'Italia deve spendere per il debito pubblico, mettiamo, il tre per cento del PIL per interessi in più rispetto ad un altro paese; a parità di prelievo fiscale e spesa pubblica, potrà spendere il tre per cento del PIL in meno su altre voci. Mi ero fatto anch'io tempo fa dei grafici come quelli de La Voce e li riporto qui di seguito. I grafici mostrano due cose. La prima è il continuo aumento e il continuo effetto di spiazzamento della spesa per "prestazioni sociali" (quasi tutto pensioni). Non ostante le riforme, questo tipo di spesa continua ad aumentare in percentuale del totale in maniera progressiva anche nel 2013 e nel 2014. L'altra è l'andamento nel tempo degli interessi sul debito pubblico. Il peso degli interessi è sceso fortemente con l'entrata nell'euro. Purtroppo questo "tesoretto - venti miliardi di euro all'anno in meno tra il 1998 ed il 2003 e ben quaranta miliardi (tre punti di PIL!) in meno tra il 1995 ed il 2003 - non è stato utilizzato per ridurre il disavanzo, ma per aumentare la spesa corrente. Tra il 2010 ed il 2014, la spesa per interessi, che nel 2010 era allo stesso livello del 2003, sarà riaumentata di circa quindi miliardi (un punto di PIL). Le tue conclusioni sull'improduttività delle spese per interessi e sulla necessità di aggredire il debito sono validissime. Purtroppo per tanti anni a destra e a sinsitra si è visto l'aumento del debito pubblico come una cosa senza importanza.

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Alberto Rotondi ha detto: Questi grafici de La Voce: http://www.lavoce.info/bersani-e-la-spesa-pubblica-al-netto-delle-p... mostrano che, in percentuale sul PIL, la spesa pubblica italiana è nella media UE. Inoltre, se si tolgono le pensioni e gli interessi sul debito, la spesa in % sul PIL risulta LA PIU' BASSA DELLA UE!!! ( ... )

Risposto da giorgio varaldo su 29 Luglio 2013 a 16:25 la voce corruzione non appare direttamente bensì è spalmata nella miriade di voci di spesa . se la si vuol cercare occorre pazientemente spulciare tutti i contratti di appalto e fare confronti fra voci omogenee come il costo della ormai famosa siringa, fatto il costo medio tutti gli acquisti a costo superiore sono a rischio corruzione. in merito non ho mai capito l'avversione dimostrata dal PD verso i costi standard e contro il principio della spesa a budget, non vorrei pensar male ma onestamente non riesco a trovar una seria motivazione a sfavore. Giorgio Mauri ha detto:

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Sì, ok, ma nei grafici mancano 60 miliardi di corruzione, di sperperi, di malgoverno. Sono loro il primo dei mali. E fanno parte di loro le pensioni fuori dalla logica di mercato. Se un partito non si pone agli elettori con la precisa volontà di affrontare e risolvere queste disfunzioni perderà sempre le elezioni ! Se si uniranno PD e PDL (+ il centro) perderanno anche loro. Ma nessuna forza politica "classica" pare farsi carico di politiche tese a modificare quegli assetti suicidi. Cosa gravissima, perché favorirà l'avvento di forze politiche molto peggiori, più dannose di quelle attuali, perché la gente non ne può più ! La gente è stanca di parlare di Renzi, di Cuperlo, di Letta e di chiunque altro: vuole risultati concreti, tangibili, non nomi. L'aumento del debito pubblico è dovuto alla necessità di ottenere consenso da parte di chi vuol governare: è questo il male peggiore del Berlusconismo.

Risposto da Fabio Colasanti su 30 Luglio 2013 a 0:19 Stiamo a vedere e speriamo bene. Liberalizzazioni: Vicari, attivato tavolo - Ad ottobre presenteremo piano 29 luglio, 18:27 (ANSA) - ROMA, 29 LUG - ''Come annunciato dal Presidente del Consiglio Letta, il Governo ad ottobre presenterà un piano sulle liberalizzazioni. A tal proposito il Ministero dello Sviluppo Economico ha già attivato un tavolo di lavoro al fine di individuare quelle misure che consentano di facilitare l'accesso alle attività economiche delle imprese''. E' quanto afferma il Sottosegretario al Mise Simona Vicari.

Risposto da Fabio Colasanti su 30 Luglio 2013 a 9:39 La lettera di Almunia a Saccomanni sul MPS. http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2013-07-29/almunia...

Risposto da Giorgio Mauri su 30 Luglio 2013 a 9:43 Simona VICARI Regione di elezione: Sicilia Nata il 17 marzo 1967 a Palermo Residente a Palermo Professione: Architetto Già sindaco di Cefalù e già deputato Assemblea regionale siciliana Elezione: 13 aprile 2008 Proclamazione: 25 aprile 2008 Convalida: 3 novembre 2009 XVI Legislatura Iniziativa legislativa Come Senatrice Ha presentato come primo firmatario i DDL S. 1096 Disposizioni per l'avvio di un programma sperimentale di posizionamento di stampe fotografiche di grandi dimensioni sui muri perimetrali esterni delle strutture carcerarie. S. 1504 Autorizzazione alla sepoltura delle salme dei Re d'Italia Vittorio Emanuele III e Umberto II nel Pantheon in Roma.

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S. 1603 dell'articolo 36 del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14, in materia di graduatorie permanenti con riserva dei docenti. S. 1865 Disposizioni in materia di competenze professionali dei geometri, dei geometri laureati, dei periti industriali con specializzazione in edilizia e dei periti industriali laureati nelle classi di laurea L-7, L-17, L-21 e L-23. S. 2248 Norme in materia di dirigenti scolastici. S. 2267 Riforma della legislazione in materia di ricerca e produzione di idrocarburi, nonché istituzione di una Agenzia per le risorse minerarie ed energetiche e per la sicurezza delle attività estrattive. Delega al Governo per l'adozione di un testo unico delle disposizioni in materia di prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi liquidi e gassosi. S. 2342 Modifica dell'articolo 5 della legge 22 maggio 1975, n. 152, in materia di utilizzo di indumenti a copertura del volto. S. 2888 Equiparazione dei titoli rilasciati dai Conservatori di musica e dall'Istituto superiore di educazione fisica alle lauree magistrali introdotte dal regolamento di cui al decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca 22 ottobre 2004, n. 270. S. 3369 Modifica al testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, in materia di deducibilità e detraibilità delle spese relative al nucleo familiare. S. 3377 Modifica alle Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 in materia di sospensione dell'esecuzione forzata. S. 3441 Delega al Governo in materia di interventi a favore di donne ed altri soggetti vittime di violenza o abuso. Interventi in Assemblea Come Senatrice Sindacato ispettivo Interrogazione n. 3-00197 sull'Archivio storico multimediale del Mediterraneo 29 gennaio 2009 (seduta pom. n. 138) Interrogazioni nn. 3-00819 (già 4-01576), 3-01116 (già 4-02486) e 3-01122 (già 4-01733) sulla tratta ferroviaria Cefalù Ogliastrillo-Castelbuono 21 gennaio 2010 (seduta pom. n. 319) Interrogazione n. 3-01256 su una concessione demaniale marittima in Sicilia 15 aprile 2010 (seduta pom. n. 361) Interrogazioni nn. 3-02201, 3-02344 e 3-02723 (già 4-06511) sui criteri di inserimento del personale docente nelle graduatorie ad esaurimento 15 marzo 2012 (seduta pom. n. 694) Interventi vari Per un'informativa del Governo sulla presenza su Facebook di gruppi inneggianti alla criminalità organizzata 13 gennaio 2009 (seduta pom. n. 122) Relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea relativa all'anno 2007 (Doc. LXXXVII, n. 1) 11 marzo 2009 (seduta pom. n. 170) Discussione delle mozioni nn. 62 (testo 2), 107 (testo 2), 111, 112 e 113 sul clima 1 aprile 2009 (seduta pom. n. 186) Discussione delle mozioni nn. 52, 55 (testo 2), 56 (testo 2), 59 (testo 2) e 187 sul Fondo per le aree sottoutilizzate 29 settembre 2009 (seduta pom. n. 259) Sulla pubblicazione dei dati relativi al trasferimento dei beni demaniali 31 maggio 2010 (seduta pom. n. 391) Sull'assassinio di una donna di origine pakistana da parte di familiari a Novi di Modena 6 ottobre 2010 (seduta ant. n. 433) Discussione delle mozioni nn. 343 (testo 2), 387 (testo 2), 390 (testo 2), 392 (testo 2), 395, 396 e 397 sulle energie rinnovabili 24 marzo 2011 (seduta ant. n. 526) (Doc. LVII, n. 4) Documento di economia e finanza 2011 e connessi allegati 3 maggio 2011 (seduta pom. n. 547)

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Discussione del documento: (Doc. XVI, n. 4) Relazione sulla attività svolta dalla Commissione straordinaria per la verifica dell'andamento generale dei prezzi al consumo e per il controllo della trasparenza dei mercati, negli anni 2009 e 2010 18 maggio 2011 (seduta ant. n. 553) (per dichiarazione di voto) Comunicazioni del Presidente, ai sensi dell'articolo 126, commi 3 e 4, del Regolamento, sul contenuto del disegno di legge di stabilità 20 ottobre 2011 (seduta ant. n. 629) Sull'ordine dei lavori 2 maggio 2012 (seduta ant. n. 717) Discussione delle mozioni nn. 600, 623, 624, 625, 626, 628, 629 e 630 sulla normativa relativa alle fonti energetiche rinnovabili 10 maggio 2012 (seduta ant. n. 721) 17 maggio 2012 (seduta ant. n. 725) Interventi in Commissione Come Senatrice Interventi nella 7ª Commissione permanente (Istruzione pubblica, beni culturali) Sindacato ispettivo Interrogazione n. 3-00717 sull'esclusione di varie tipologie di docenti dall’inserimento nelle graduatorie ad esaurimento 19 maggio 2009 Interrogazione n. 3-01381 relativa al personale ATA dipendente dal comune di Palermo transitato alle dipendenze dello Stato 29 settembre 2010 Interrogazione n. 3-02171 sull'attività di sostegno nelle scuole 27 luglio 2011 Interventi nella 10ª Commissione permanente (Industria, commercio, turismo) Comunicazioni del governo Comunicazioni del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri con delega al turismo sulle linee programmatiche del Governo nella materia di competenza 28 ottobre 2008 Sindacato ispettivo Interrogazione n. 3-03095 sull'attuazione di disposizioni legislative in materia di efficienza energetica e ricorso a fonti rinnovabili 23 ottobre 2012 Interventi vari Documento di programmazione economico-finanziaria relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2009-2013 (Doc. LVII, n. 1) e il connesso allegato infrastrutture (Allegato/I) 1 luglio 2008 Documento di programmazione economico-finanziaria relativo alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2010-2013 e connessi allegati (Doc. LVII, n. 2 - Allegati I, II e III) 21 luglio 2009 (relatore) Audizione del Presidente del GME, del Presidente del GSE e del Presidente dell'Acquirente Unico nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla dinamica dei prezzi della filiera dei prodotti petroliferi, nonché sulle ricadute dei costi dell'energia elettrica e del gas sui redditi delle famiglie e sulla competitività delle imprese 10 dicembre 2008 Audizione del Presidente di Sistema Moda Italia (SMI), nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla condizione competitiva delle imprese industriali italiane, con particolare riguardo ai settori manufatturiero, chimico, meccanico e aerospaziale 17 febbraio 2009 Audizione del Presidente di Federutiliy e di rappresentanti di Confartigianato nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla dinamica dei prezzi della filiera dei prodotti petroliferi, nonché sulle ricadute dei costi dell'energia elettrica e del gas sui redditi delle famiglie e sulla competitività delle imprese 3 marzo 2009 Audizione dell'amministratore delegato di ENI nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla dinamica dei prezzi della filiera dei prodotti petroliferi, nonché sulle ricadute dei costi dell'energia elettrica e del gas sui redditi delle famiglie e sulla competitività delle imprese 1 aprile 2009

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Audizione del Presidente del Gruppo Barilla nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla condizione competitiva delle imprese industriali italiane, con particolare riguardo ai settori manufatturiero, chimico, meccanico e aerospaziale 24 giugno 2009 Audizione del Presidente di Terna S.p.A. nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla dinamica dei prezzi della filiera dei prodotti petroliferi, nonché sulle ricadute dei costi dell'energia elettrica e del gas sui redditi delle famiglie e sulla competitività delle imprese 22 luglio 2009 Audizione dell'amministratore delegato della Fincantieri nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla condizione competitiva delle imprese industriali italiane, con particolare riguardo ai settori manifatturiero, chimico, meccanico e aerospaziale 20 aprile 2010 Audizione del dottor Bernabo` Bocca, presidente di Confturismo nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla condizione competitiva delle imprese industriali italiane, con particolare riguardo ai settori manifatturiero, chimico, meccanico e aerospaziale 6 luglio 2010 Audizione della dottoressa Margherita Stabiumi, presidente dell'Associazione tecnica per la promozione degli acciai sismici per cemento armato (SISMIC), nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla condizione competitiva delle imprese industriali italiane, con particolare riguardo ai settori manifatturiero, chimico, meccanico e aerospaziale 27 luglio 2010 Audizione del Presidente dell’Autorita` per l’energia elettrica ed il gas nell'ambito dell’indagine conoscitiva sulla strategia energetica nazionale 20 ottobre 2010 Audizione del dottor Giuseppe Giordo, amministratore delegato della societa` Alenia Aeronautica S.p.A. nell'ambito dell’indagine conoscitiva sulla condizione competitiva delle imprese industriali italiane, con particolare riguardo ai settori manifatturiero, chimico, meccanico e aerospaziale 10 novembre 2010 Audizione di rappresentanti di Unipol Gruppo Finanziario SpA nell'ambito dell’indagine conoscitiva sul settore dell’assicurazione di autoveicoli, con particolare riferimento al mercato e alla dinamica dei premi dell’assicurazione per responsabilita` civile auto (RCA) 30 marzo 2011 Audizione del Presidente dell'ABI nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull’accesso al credito e sugli strumenti di finanziamento delle imprese, con particolare riguardo alle PMI 23 ottobre 2012 Audizione di rappresentanti dell'ENI nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla strategia energetica nazionale 12 ottobre 2011 Audizione di rappresentanti di Terna nell'ambito dell’indagine conoscitiva sulla strategia energetica nazionale 18 ottobre 2011 Audizione di rappresentanti di Enel e Edison nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla strategia energetica nazionale 26 ottobre 2011 Audizione di rappresentanti di Po Valley Energy e dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla strategia energetica nazionale 9 novembre 2011 Audizione del Presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato nell'ambito dell’indagine conoscitiva sulla condizione competitiva delle imprese industriali italiane, con particolare riguardo ai settori manifatturiero, chimico, meccanico e aerospaziale 17 gennaio 2012 Audizione di rappresentanti della società Landi Renzo S.p.A. nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla condizione competitiva delle imprese industriali italiane, con particolare riguardo ai settori manifatturiero, chimico, meccanico e aerospaziale 25 gennaio 2012 Audizione di rappresentanti di Enel distribuzione nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla strategia energetica nazionale 20 marzo 2012 Audizione di rappresentanti dell'Associazione nazionale patti territoriali e contratti d'area per lo sviluppo locale (ANPACA), nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla condizione competitiva delle imprese industriali italiane, con particolare riguardo ai settori manufatturiero, chimico, meccanico e aerospaziale 8 maggio 2012

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Audizione di rappresentanti di Telespazio nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla condizione competitiva delle imprese industriali italiane, con particolare riguardo ai settori manifatturiero, chimico, meccanico e aerospaziale 17 ottobre 2012 Audizione di rappresentanti di Federesco nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla strategia energetica nazionale 30 ottobre 2012 Audizione del Ministro dello sviluppo economico, Corrado Passera nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla strategia energetica nazionale 20 novembre 2012 Schema di decreto interministeriale concernente il riparto dello stanziamento iscritto nello stato di previsione della spesa dell'ex Ministero del commercio internazionale per l'anno 2008, relativo a contributi ad enti, istituti, associazioni, fondazioni ed altri organismi (n. 38) 21 ottobre 2008 (relatore) 22 ottobre 2008 (relatore) Programma di utilizzo per l'anno 2009 dell'autorizzazione di spesa relativa a studi e ricerche per la politica industriale (n. 99) 8 luglio 2009 Schema di decreto ministeriale concernente il riparto dello stanziamento iscritto nel capitolo 2501 dello stato di previsione della spesa del Ministero dello sviluppo economico per l'anno 2009, relativo a contributi ad enti, istituti, associazioni, fondazioni ed altri organismi operanti nel campo dell'internazionalizzazione (n. 111) 23 settembre 2009 (relatore) Schema di decreto legislativo recante: «Disciplina della localizzazione, della realizzazione e dell’esercizio nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia elettrica nucleare, di impianti di fabbricazione del combustibile nucleare, dei sistemi di stoccaggio del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi, nonche´ delle misure compensative e delle campagne informative al pubblico» (n. 174) 9 febbraio 2010 9 febbraio 2010 Schema di decreto ministeriale concernente la ripartizione per l'anno 2010 del fondo derivante dalle sanzioni amministrative irrogate dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato da destinare ad iniziative a vantaggio dei consumatori (n. 211) 12 maggio 2010 Schema di decreto legislativo recante: «Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE» (n. 302) 20 dicembre 2010 (relatore) 9 febbraio 2011 (relatore) 15 febbraio 2011 (relatore) 16 febbraio 2011 (relatore) Schema di decreto legislativo recante modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 15 febbraio 2010, n. 31, concernente la disciplina della localizzazione, della realizzazione e dell'esercizio nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia elettrica nucleare, di impianti di fabbricazione del combustibile nucleare, dei sistemi di stoccaggio del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi, nonché delle misure compensative e delle campagne informative al pubblico" (n. 333) 22 marzo 2011 (relatore) Proposta di nomina del Presidente dell’ENIT- Agenzia nazionale del turismo (n. 9) 9 luglio 2008 Nomina del professor Enrico Saggese a Presidente dell'Agenzia spaziale italiana - ASI (n. 38) 24 giugno 2009 (relatore) 24 giugno 2009 (relatore) Commissione delle Comunità europee - Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale e al Comitato delle regioni "Una corsia preferenziale per la piccola impresa" (n. 8) 28 ottobre 2008 29 ottobre 2008 Comunicazione della Commissione: "Il futuro quadro normativo in materia di concorrenza applicabile al settore automobilistico" - COM 2009 388 definitivo (n. 53) 21 dicembre 2009 (relatore) Commissione delle Comunità europee - Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alle statistiche europee sul turismo (n. COM (2010) 117 definitivo) 27 aprile 2010 (relatore) 11 maggio 2010 (relatore)

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Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del consiglio sull’efficienza energetica e che abroga le direttive 2004/8/CE e 2006/32/CE (n. COM (2011) 370 definitivo) 20 luglio 2011 (relatore) 26 ottobre 2011 (relatore) 14 dicembre 2011 (relatore) Relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea relativa all'anno 2007 (Doc. LXXXVII, n. 1) 14 gennaio 2009 (relatore) Sui lavori della Commissione 24 giugno 2009 Sui lavori della Commissione 30 marzo 2010 Sui lavori della Commissione 4 maggio 2010 Proposta di indagine conoscitiva sulla sicurezza e sulle tecnologie degli impianti di produzione di energia elettrica da fonte nucleare 29 marzo 2011 Sulla missione a Strasburgo per l'incontro interparlamentare su energia e sviluppo sostenibile 3 dicembre 2008 Sulle recenti vicende degli stabilimenti Fiat di Termini Imerese e di Pomigliano D'Arco 19 gennaio 2010 Sulle recenti vicende degli stabilimenti italiani del gruppo Fiat 20 gennaio 2010 Interventi nelle Commissioni riunite 10ª (Industria, commercio, turismo) e 13ª (Territorio, ambiente, beni ambientali) Atti comunitari nn. 11, 12, 13, 14, 15, 16 (Pacchetto "clima-energia") 18 novembre 2008 (relatore) 19 novembre 2008 (relatore) 3 dicembre 2008 (relatore) Interventi nelle Commissioni congiunte 7^, 10^ e 14^ Senato con VII, X e XIV Camera Audizione, ai sensi dell’articolo 144-quater, comma 2, del Regolamento del Senato e dell’articolo 127-ter, comma 2, del Regolamento della Camera dei deputati, del Commissario europeo per la ricerca, l'innovazione e la scienza Máire Geoghegan-Quinn sulle strategie dell'Unione europea in tema di innovazione e ricerca 5 ottobre 2010 Fabio Colasanti ha detto: Stiamo a vedere e speriamo bene. Liberalizzazioni: Vicari, attivato tavolo - Ad ottobre presenteremo piano 29 luglio, 18:27 (ANSA) - ROMA, 29 LUG - ''Come annunciato dal Presidente del Consiglio Letta, il Governo ad ottobre presenterà un piano sulle liberalizzazioni. A tal proposito il Ministero dello Sviluppo Economico ha già attivato un tavolo di lavoro al fine di individuare quelle misure che consentano di facilitare l'accesso alle attività economiche delle imprese''. E' quanto afferma il Sottosegretario al Mise Simona Vicari.

Risposto da Fabio Colasanti su 30 Luglio 2013 a 9:51 Giorgio, qual'è il senso di questo post? Che vuoi dire? Giorgio Mauri ha detto: Simona VICARI Regione di elezione: Sicilia Nata il 17 marzo 1967 a Palermo Residente a Palermo Professione: Architetto Già sindaco di Cefalù e già deputato Assemblea regionale siciliana Elezione: 13 aprile 2008

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Proclamazione: 25 aprile 2008 Convalida: 3 novembre 2009 XVI Legislatura Iniziativa legislativa Come Senatrice Ha presentato come primo firmatario i DDL S. 1096 ( ... )

Risposto da Giorgio Mauri su 30 Luglio 2013 a 10:02 http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/07/29/monte-dei-paschi-di-sien... Monte dei Paschi, Ue chiede modifiche urgenti al piano di ristrutturazione Almunia minaccia l'apertura di una procedura di infrazione della durata di sei mesi che potrebbe portare a sanzioni o al rimborso forzato dei 3,9 miliardi di Monti bond. Nel mirino compensi dei manager, costi "gonfiati", trattamento dei creditori e restituzione del prestito della Bce di Redazione Il Fatto Quotidiano | 29 luglio 2013 Per Bruxelles il piano di ristrutturazione del Monte dei Paschi di Siena è troppo morbido sul fronte dei compensi dei manager, il taglio dei costi e il trattamento dei creditori e senza modifiche “urgenti” il commissario alla concorrenza, Joaquin Almunia, aprirà una procedura di infrazione della durata minima di sei mesi che potrebbe portare a sanzioni al Paese o al rimborso forzato dei 3,9 miliardi di Monti bond. Lo scrive il Financial Times dando notizia di una lettera di Almunia al ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni datata 16 luglio.

Risposto da Alberto Rotondi su 30 Luglio 2013 a 10:14 spostato in diario isposte a questa discussione

Risposto da Fabio Colasanti su 30 Luglio 2013 a 10:16 Giorgio, e come la ritrovi un'informazione postata in una discussione con un titolo che non ha nulla a che fare con l'informazione che hai postato? Mi sembra veramente tempo perso. Giorgio Mauri ha detto: Giornalismo puro Fabio. Ho imparato, nel mio mestiere, a creare "sacche" di informazione. Viene sempre il giorno in cui tornano utili. Siccome non ricordavo chi fosse la Vicari ho inserito documentazione sul suo conto. Serve anche per capire come costruiamo la nostra classe dirigente, e cosa possiamo attenderci. Sono molto sensibile al problema delle privatizzazioni: non nascondo che preferirei aziende di stato funzionanti, con alti utili, ad aziende nelle mani dei privati. So che è un desiderio utopistico, perché nella pratica le aziende a conduzione statale diventano quasi sempre grandi carrozzoni. Mi limito a guardare alla Renault ... Fabio Colasanti ha detto: Giorgio, qual'è il senso di questo post? Che vuoi dire? Giorgio Mauri ha detto: Simona VICARI Regione di elezione: Sicilia Nata il 17 marzo 1967 a Palermo

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Residente a Palermo Professione: Architetto Già sindaco di Cefalù e già deputato Assemblea regionale siciliana Elezione: 13 aprile 2008 Proclamazione: 25 aprile 2008 Convalida: 3 novembre 2009 XVI Legislatura Iniziativa legislativa Come Senatrice Ha presentato come primo firmatario i DDL S. 1096 ( ... )

Risposto da Alessandro Bellotti su 30 Luglio 2013 a 10:23 In un paese civile, Alberto, politicamente Berlusconi non esisterebbe. In un paese civile ci sarebbe stata una opposizione che, visto il personaggio (Berlusconi), avrebbe fatto ogni cosa (legale e costituzionalmente valida) per impedire l'ascesa politica di questo figuro. E' accaduto esattamente il contrario. Ora si governa assieme.... Questo per non aver accolto alcuni punti del M5S. Si è preferito un governo con Berlusconi. Chissà perchè .... In un paese civile e democratico il presidente della repubblica non avrebbe fatto le dichiarazioni da ultimatum che ha fatto Napolitano prima dell'affare Alfano. O l'attuale governo oppure le coseguenze saranno non prevedibili. O l'attuale governo oppure ? Dovrebbere essere la base del PD a incazzarsi. Ma si sa, la base PD è quella che voterà PD fino alla morte (del PD ovviamente). Un paese democratico non deve avere paura. Paura che viene montata ad arte dallo stesso presidente della repubblica.

Risposto da Salvatore Venuleo su 30 Luglio 2013 a 16:09 Se ho capito bene, Fabio poneva un problema di cartella coerente con l'informazione. Un problema esistente che non ha creato Giorgio per primo. Proprio per questo il tono di Fabio ("mi sembra veramente tempo perso") mi è apparso un tantino sopra le righe. Un tantino. Per fortuna Giorgio è in una fase di estrema moderazione. Saluti a Fabio e a Giorgio. E andiamo oltre. Giorgio Mauri ha detto: Carissimo Fabio, con tutto il rispetto possibile mi sembra tempo perso il tuo, con queste osservazioni molto poco pertinenti, visto che tu stesso hai postato la notizia sulle dichiarazioni della "famosissima" Vicari. A volte mi viene il dubbio che tu sia diventato un pò grillino ! Se si sparla di un grillino va bene, se si verificano le competenze di un sottosegretario brontoli. Come mai ? Fabio Colasanti ha detto: Giorgio, e come la ritrovi un'informazione postata in una discussione con un titolo che non ha nulla a che fare con l'informazione che hai postato? Mi sembra veramente tempo perso. Giorgio Mauri ha detto: Giornalismo puro Fabio. Ho imparato, nel mio mestiere, a creare "sacche" di informazione. Viene sempre il giorno in cui tornano utili.

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Siccome non ricordavo chi fosse la Vicari ho inserito documentazione sul suo conto. Serve anche per capire come costruiamo la nostra classe dirigente, e cosa possiamo attenderci. Sono molto sensibile al problema delle privatizzazioni: non nascondo che preferirei aziende di stato funzionanti, con alti utili, ad aziende nelle mani dei privati. So che è un desiderio utopistico, perché nella pratica le aziende a conduzione statale diventano quasi sempre grandi carrozzoni. Mi limito a guardare alla Renault ... Fabio Colasanti ha detto: Giorgio, qual'è il senso di questo post? Che vuoi dire? Giorgio Mauri ha detto: Simona VICARI Regione di elezione: Sicilia Nata il 17 marzo 1967 a Palermo Residente a Palermo Professione: Architetto Già sindaco di Cefalù e già deputato Assemblea regionale siciliana Elezione: 13 aprile 2008 Proclamazione: 25 aprile 2008 Convalida: 3 novembre 2009 XVI Legislatura Iniziativa legislativa Come Senatrice Ha presentato come primo firmatario i DDL S. 1096 ( ... )

Risposto da Fabio Colasanti su 30 Luglio 2013 a 16:48 Salvatore, allora rispondo. Ho postato un'informazione sulle liberalizzazioni future che il governo vorrebbe annunciare ad ottobre. Mi sembra sia un tema rilevante per molte cose di cui discutiamo. Ho poi trovato in risposta al mio, un post chilometrico di Giorgio con vita, morte e miracoli della signora VIcari (compresa la lista di tutti gli interventi fatti in parlamento nel corso degli anni!), che è il sottosegretario che aveva fatto l'annuncio sulle liberalizzazioni. Ho chiesto a Giorgio quale era il senso di questo post. Non so nemmeno di che partito sia questa signora VIcari (ne la cosa mi interessa) e mi chiedevo se per caso Giorgio non volesse dimostrarci che anche questa signora fa parte della feccia politica che lui denuncia in continuazione. Non è che la semplice lista degli interventi in parlamento della signora mi spiegasse molto sul perché l'informazione era stata messa nella discussione in risposta al mio post sulle liberalizzazioni. Giorgio ha spiegato che gli piace costituire "sacche di informazione" da riutilizzare. Di qui la mia domanda: come? Come è mai possibile pensare di andare a ritrovare tra qualche settimana questa informazione - tra l'altro perfettamente inutile - in una discussione che non ha certo come titolo "VIta, morte e miracoli di Simona VIcari"? Non stavo facendo un'osservazione sulla coerenza delle discussioni, che pure andrebbe fatta. Quando ci arriveremo, dovremmo discutere di come dare un minimo di logica e di disciplina al Forum. Salvatore, continuo sopra le righe per dire che sono stufo di interventi senza senso che non vogliono dire nulla. Un conto è trovare, condividere e commentare informazioni che possono essere rilevanti per le discussioni in corso su tanti problemi della nostra società. Ben altro sono delle elucubrazioni su tutto e tutti, senza logica, senza senso e che già molti altri hanno

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definito perfettamente incomprensibili. Mi sto convincendo che Giuseppe P. abbia ragione. Se il livello degli interventi scende così in basso, forse abbiamo tutti meglio da fare. Salvatore Venuleo ha detto: Se ho capito bene, Fabio poneva un problema di cartella coerente con l'informazione. Un problema esistente che non ha creato Giorgio per primo. Proprio per questo il tono di Fabio ("mi sembra veramente tempo perso") mi è apparso un tantino sopra le righe. Un tantino. Per fortuna Giorgio è in una fase di estrema moderazione. Saluti a Fabio e a Giorgio. E andiamo oltre. Giorgio Mauri ha detto: Carissimo Fabio, con tutto il rispetto possibile mi sembra tempo perso il tuo, con queste osservazioni molto poco pertinenti, visto che tu stesso hai postato la notizia sulle dichiarazioni della "famosissima" Vicari. A volte mi viene il dubbio che tu sia diventato un pò grillino ! Se si sparla di un grillino va bene, se si verificano le competenze di un sottosegretario brontoli. Come mai ? Fabio Colasanti ha detto: Giorgio, e come la ritrovi un'informazione postata in una discussione con un titolo che non ha nulla a che fare con l'informazione che hai postato? Mi sembra veramente tempo perso. Giorgio Mauri ha detto: Giornalismo puro Fabio. Ho imparato, nel mio mestiere, a creare "sacche" di informazione. Viene sempre il giorno in cui tornano utili. Siccome non ricordavo chi fosse la Vicari ho inserito documentazione sul suo conto. Serve anche per capire come costruiamo la nostra classe dirigente, e cosa possiamo attenderci. Sono molto sensibile al problema delle privatizzazioni: non nascondo che preferirei aziende di stato funzionanti, con alti utili, ad aziende nelle mani dei privati. So che è un desiderio utopistico, perché nella pratica le aziende a conduzione statale diventano quasi sempre grandi carrozzoni. Mi limito a guardare alla Renault ... Fabio Colasanti ha detto: Giorgio, qual'è il senso di questo post? Che vuoi dire? Giorgio Mauri ha detto: Simona VICARI Regione di elezione: Sicilia Nata il 17 marzo 1967 a Palermo Residente a Palermo Professione: Architetto Già sindaco di Cefalù e già deputato Assemblea regionale siciliana Elezione: 13 aprile 2008 Proclamazione: 25 aprile 2008 Convalida: 3 novembre 2009 XVI Legislatura Iniziativa legislativa Come Senatrice Ha presentato come primo firmatario i DDL S. 1096 ( ... )

Risposto da Salvatore Venuleo su 30 Luglio 2013 a 18:28 Ci vediamo a settembre a Genova? Giorgio parla di "pregiudizi", nonché di "simpatie/antipatie". Al di là del merito della disputa per la quale anch'io rimanderei ad una riorganizzazione del forum, credo sia giusto riconoscere tali fattori come condizionanti inevitabilmente il forum. Difficile stare sul tema, a prescindere. Sto pensando se sia il caso di postare l'argomento "simpatie/antipatie" in uno spazio idoneo nei gruppi. Giorgio Mauri ha detto:

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Mi sembra giusta la richiesta di chiarimento di Fabio, per cui rispondo in maniera più esauriente. Il tema delle privatizzazioni è da me "sofferto", perché non mi sono piaciuti i casi Società Autostrade (a suo tempo l'artefice di quella privatizzazione, Giancarlo Elia Valori ebbe a dichiarare, poco prima di privatizzarle, che lo stato non avrebbe mai rinunciato alle autostrade [sono stato consulente per alcune di quelle società per anni, e proprio sui temi dei "cespiti" !] e Alitalia (con qualche riserva per Telecom. Quindi voglio "capire" con chi ho a che fare. La Signora Vicari, in forza al PDL, viene dalla Sicilia. ( Qui apro una parentesi su queste tue parole: "mi chiedevo se per caso Giorgio non volesse dimostrarci che anche questa signora fa parte della feccia politica che lui denuncia in continuazione." Mi risulta esattamente l'incontrario, potrei metterti a disposizione svariato POST in cui si dileggiano i membri della regione Sicilia, e non POST scritti da me ! ) Ho brutalmente (non ho il tempo di lavorare di fino) riportato le notizie sulla Signora in questione, ed ho visto che trattasi di un architetto e che nelle sue esperienze ha affrontato temi inerenti le aziende di stato, il loro livello di servizio, etc. per cui mi sembra che si possa dedurre che la persona pare indicata per svolgere il ruolo che le è stato assegnato. Quindi ho dimostrato esattamente l'incontrario di quello di cui mi hai accusato. Quanto al fatto di "esaminare" coloro che siedono in parlamento concordo perfettamente con te, Fabio. E' una vergogna che alcuni esponenti dei grillini siano così ignoranti su argomenti anche molto delicati ! Ma, diversamente da te, sono convinto che persone "inadeguate" ce ne siano tantissime altre. Siccome siamo di fronte a "nomine" calate dall'alto penso che sia "doveroso" conoscerli, perché voglio evitare di fare di ogni erba un fascio. Sicuramente esistono persone validissime nel M5S, come esistono nel PDL, nel PD, nel Centro di Monti: impariamo a conoscerli, è utile a tutti. Di gente come Cosentino, o come tanti altri, il paese non può più permettersene. Ti sento, comunque, molto prevenuto nei miei confronti. Capisco che io ti do fastidio (a pelle) ma una persona adulta ed esperta come te dovrebbe saper gestire con più maestria la propria istintualità. Non credo che tutti quelli che incontri nel tuo lavoro ti siano simpatici :-) Fabio Colasanti ha detto: Salvatore, allora rispondo. Ho postato un'informazione sulle liberalizzazioni future che il governo vorrebbe annunciare ad ottobre. Mi sembra sia un tema rilevante per molte cose di cui discutiamo. Ho poi trovato in risposta al mio, un post chilometrico di Giorgio con vita, morte e miracoli della signora VIcari (compresa la lista di tutti gli interventi fatti in parlamento nel corso degli anni!), che è il sottosegretario che aveva fatto l'annuncio sulle liberalizzazioni. Ho chiesto a Giorgio quale era il senso di questo post. Non so nemmeno di che partito sia questa signora VIcari (ne la cosa mi interessa) e mi chiedevo se per caso Giorgio non volesse dimostrarci che anche questa signora fa parte della feccia politica che lui denuncia in continuazione. Non è che la semplice lista degli interventi in parlamento della signora mi spiegasse molto sul perché l'informazione era stata messa nella discussione in risposta al mio post sulle liberalizzazioni. Giorgio ha spiegato che gli piace costituire "sacche di informazione" da riutilizzare. Di qui la mia domanda: come? Come è mai possibile pensare di andare a ritrovare tra qualche settimana questa informazione - tra l'altro perfettamente inutile - in una discussione che non ha certo come titolo "VIta, morte e miracoli di Simona VIcari"? Non stavo facendo un'osservazione sulla coerenza delle discussioni, che pure andrebbe fatta. Quando ci arriveremo, dovremmo discutere di come dare un minimo di logica e di disciplina al Forum. Salvatore, continuo sopra le righe per dire che sono stufo di interventi senza senso che non vogliono dire nulla. Un conto è trovare, condividere e commentare informazioni che possono essere rilevanti per le discussioni in corso su tanti problemi della nostra società. Ben altro sono delle elucubrazioni su tutto e tutti, senza logica, senza senso e che già molti altri hanno definito perfettamente incomprensibili. Mi sto convincendo che Giuseppe P. abbia ragione. Se il livello degli interventi scende così in basso, forse abbiamo tutti meglio da fare. Salvatore Venuleo ha detto: Se ho capito bene, Fabio poneva un problema di cartella coerente con l'informazione. Un problema esistente che non ha creato Giorgio per primo. Proprio per questo il tono di Fabio ("mi sembra veramente tempo perso") mi è apparso un tantino sopra le righe. Un tantino. Per fortuna Giorgio è in una fase di estrema moderazione. Saluti a Fabio e a Giorgio. E andiamo oltre.

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Risposto da Fabio Colasanti su 30 Luglio 2013 a 18:33 Notizia di oggi: (ANSA) - ROMA, 30 LUG - La stamperia francese Cpi e i suoi 3.600 addetti potrebbero passare in mano italiane entro una settimana. Grafica Veneta, società padovana con una produzione libraria da 150 milioni di copie l'anno, ha presentato un'offerta d'acquisto da 100 milioni di euro e un piano per il rilancio dell'azienda leader in Europa. A darne notizia è il ministro dello Sviluppo economico, Flavio Zanonato, su Twitter. ''Italiani comprano aziende francese non il contrario'', scrive il ministro. Il ministro Zanonato, o chi twitta per lui, hanno reagito sulla base dei commenti di stampa che si sono visti negli ultimi mesi e che presentano come una catastrofe il fatto che investitori stranieri comprino imprese italiane. Visto che questa volta si tratta di un'impresa italiana che compra un'impresa francese, il ministro esulta e si affretta a twittare la buona notizia. Ma perché dovrebbe essere una buona notizia il fatto che la Grafica Veneta acquista la società francese Cpi? Forse che l'impresa si trasferirà in Italia? Certamente no. E allora cosa cambia per l'economia francese e per l'economia italiana con il cambio di proprietà? Cambia qualcosa, ma di un'importanza infima. La Grafica Veneta, se le cose vanno bene, riuscirà a incassare sei o sette milioni all'anno come utile sull'investimento di cento milioni fatto. Li porterà in Italia? Forse si, forse no; ma contabilmente saranno comunque redditi di un soggetto italiano. D'altro lato, l'acquisto della Cpi significa l'esportazione di cento milioni dall'Italia. Il ministro Zanonato dovrebbe invece porsi un'altra domanda. C'era un'impresa italiana con la capacità di fare un investimento di un centinaio di milioni, preferibilmente nel suo settore dove i dirigenti hanno una certa competenza. Come mai sono andati ad investire in Francia? Non c'era nessuna impresa del settore che avrebbe potuto essere comprata in Italia? È possibile. Ma è anche possibile che la Grafica Veneta abbia deciso di cercare all'estero perché molto pessimista sulle possibilità di fare investimenti redditizi in Italia. Al tempo stesso, il fatto che investitori esteri comprino imprese in Italia significa che c'è qualcuno che pensa che, non ostante tutto quello che è sotto i nostri occhi, sia ancora possibile gestire imprese in Italia. Purtroppo, le statistiche ci dicono che sono pochissimi quelli che vengono ad investire in Italia. Ma allora quale è la buona notizia? Che investitori stranieri comprino in Italia o, come pensa il ministro, che imprese italiane facciano investimenti all'estero?

Risposto da Fabio Colasanti su 31 Luglio 2013 a 9:18 Una notizia che interesserà soprattutto Giuseppe A. In Italia ci si lamenta del "credit crunch", cioè del fatto che le banche non prestano abbastanza alle imprese. La Confindustria e il Sole24Ore, molto sensibile agli argomenti della prima, si lamentano in continuazione di questo fatto. Ma siamo in una situazione analoga a quella della cosidettà "austerità" nelle politiche di bilancio e siamo di fronte alle stesse difficoltà di linguaggio e di comprensione. Nel caso della cosidetta "austerità" ci sono quelli che si lamentano che il taglio dei bilanci riduce la crescita. Bella scoperta. Lo sanno tutti che è così. Tutti, se possibile, farebbero a meno dei tagli di bilancio, ma ci sono situazioni in cui i paesi non hanno scelta.

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La stessa cosa sta succedendo per le banche. Negli ultimi quindici/venti anni le banche hanno prestato troppo. La crisi del 2007/2008 è stata dovuta al fatto che le banche si sono trovate senza abbastanza capitali propri per far fronte alle perdite e hanno avuto bisogno di aiuti pubblici. In Europa, i fondi pubblici che gli stati hanno anticipato alle banche e che non non è stata ancora rimborsata è ancora alla cifra spettacolare di 1700 miliardi, una cifra più alta del PIL italiano. Per evitare una nuova crisi finanziaria - ed evitare che le banche ricattino di nuovo i poteri pubblici - è necessario che le banche aumentino il proprio capitale e che riducano l'ammontare delle loro "attività" (prestiti e altri investimenti). Questo ha esattamente la stessa logica e gli stessi inconvenienti dell'austerità nelle finanze pubbliche. Questo riduce la crescita; è qualcosa di cui tutti farebbero a meno, ma che non possiamo evitare. In un articolo sulla prima pagina il Financial Times di oggi annuncia la decisione della Deutsche Bank e della Barclays di aumentare il loro capitale (questo diluisce il capitale esistente e provoca un forte deprezzamento delle azioni delle due banche). Ma al tempo stesso la Deutsche Bank ha annunciato che ridurrà le sue attività del 20 per cento nei prossimi due anni! La Barclays ridurra le sue attività del 5 per cento a breve termine. La riduzione delle attività delle banche, il credit crunch, è un passaggio inevitabile con il quale dobbiamo convivere. Purtroppo riduzione dei disavanzi e riduzione delle attività delle banche si stanno verificando nello stesso tempo e questo (con la riduzione dei livelli di debito privato in molti paesi) spiega la lunghezza e la profondità della crisi attuale. Dobbiamo smettere di criticare il "credit crunch", così come dobbiamo smettere di criticare la "austerità" (questo non significa che in entrambi i casi non sia possibile fare altre cose che ridurrebbero le dimensioni dei due fenomeni; per esempio aumenti di capitale delle banche nel primo caso e riforme strutturale nel secondo). Il "credit crunch" in Italia è inevitabile. È reso più acuto dalle difficoltà che hanno le banche italiane ad aumentare il proprio capitale vista la reticenza a cambiare la struttura proprietaria (il sistema delle "Fondazioni" avrà fatto dei danni enormi). Per aiutare le nostre imprese bisogna trovare altre strade: la prima è il pagamento degli arretrati della pubblica amministrazione ed il ritorno a pagamenti nei tempi previsti. E, per finire, un paragrafo dal bollettino economico che ricevo ogni giorno. Italian banks need capital increase Italian mid-sized banks may have to raise new equity in the short and medium term, according to Fitch, as reported by Reuters. The non-performing loans ratio has been increasing throughout the crisis, and those banks needs to improve credit risk systems. In addition, they need to adopt internal rating models and a new deleveraging model to strengthen their balance sheets, Fitch said. Those banks likely to be subject to ECB supervision are projected to see the amount of impaired loans to worsen further throughout 2013 and 2014. Right now, only two banks, Banca Popolare di Milano and Banca Popolare di Vicenza, have announced and approved new share issues to take place in the second half of 2013, for at least €5bn in total.

Risposto da Fabio Colasanti su 31 Luglio 2013 a 9:43 Da leggere. http://www.formiche.net/2013/07/30/vendere-eni-ed-enel-per-abbassar...

Risposto da giorgio varaldo su 31 Luglio 2013 a 10:24 da cosa dicono sia il direttore della mia banca sia alcuni conoscenti piccoli imprenditori la mancata concessione di crediti dipende dall'incertezza sui tempi di liquidazione dei pagamenti. e questa incertezza è dovuta sia ai cronici ritardi delle amministrazioni pubbliche sia da una carenza legislativa per quanto riguarda i privati ,quale direttore di banca può aumentare il fido di una azienda se non vi sono sicurezze sui tempi di rientro? e la cosa buffa è che - con una ridondanza di leggi e decreti inutili e spesso vessatori - c'è il vuoto legislativo riguardo al ritardo dei pagamenti che - assieme al falso in bilancio - da una ulteriore spinta al collasso del sistema produttivo. tanto per citare cosa succede all'estero se in francia una fattura non viene saldata entro 30 gg può scattare la procedura di amministrazione controllata.

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si ha notizie di casi nei quali aziende straniere fornitrici di aziende italiane prima della spedizione degli ordinativi chiedano emissione di lettera di credito confermata ed irrevocabile esattamente come si fa per i paesi a rischio del terzo e del quarto mondo. e cosa ancor più strana su questo argomento c'è un silenzio tripartisan. Fabio Colasanti ha detto: Una notizia che interesserà soprattutto Giuseppe A. In Italia ci si lamenta del "credit crunch", cioè del fatto che le banche non prestano abbastanza alle imprese. La Confindustria e il Sole24Ore, molto sensibile agli argomenti della prima, si lamentano in continuazione di questo fatto. Ma siamo in una situazione analoga a quella della cosidettà "austerità" nelle politiche di bilancio e siamo di fronte alle stesse difficoltà di linguaggio e di comprensione. Nel caso della cosidetta "austerità" ci sono quelli che si lamentano che il taglio dei bilanci riduce la crescita. Bella scoperta. Lo sanno tutti che è così. Tutti, se possibile, farebbero a meno dei tagli di bilancio, ma ci sono situazioni in cui i paesi non hanno scelta. La stessa cosa sta succedendo per le banche. Negli ultimi quindici/venti anni le banche hanno prestato troppo. La crisi del 2007/2008 è stata dovuta al fatto che le banche si sono trovate senza abbastanza capitali propri per far fronte alle perdite e hanno avuto bisogno di aiuti pubblici. In Europa, i fondi pubblici che gli stati hanno anticipato alle banche e che non non è stata ancora rimborsata è ancora alla cifra spettacolare di 1700 miliardi, una cifra più alta del PIL italiano. Per evitare una nuova crisi finanziaria - ed evitare che le banche ricattino di nuovo i poteri pubblici - è necessario che le banche aumentino il proprio capitale e che riducano l'ammontare delle loro "attività" (prestiti e altri investimenti). Questo ha esattamente la stessa logica e gli stessi inconvenienti dell'austerità nelle finanze pubbliche. Questo riduce la crescita; è qualcosa di cui tutti farebbero a meno, ma che non possiamo evitare. In un articolo sulla prima pagina il Financial Times di oggi annuncia la decisione della Deutsche Bank e della Barclays di aumentare il loro capitale (questo diluisce il capitale esistente e provoca un forte deprezzamento delle azioni delle due banche). Ma al tempo stesso la Deutsche Bank ha annunciato che ridurrà le sue attività del 20 per cento nei prossimi due anni! La Barclays ridurra le sue attività del 5 per cento a breve termine. La riduzione delle attività delle banche, il credit crunch, è un passaggio inevitabile con il quale dobbiamo convivere. Purtroppo riduzione dei disavanzi e riduzione delle attività delle banche si stanno verificando nello stesso tempo e questo (con la riduzione dei livelli di debito privato in molti paesi) spiega la lunghezza e la profondità della crisi attuale. Dobbiamo smettere di criticare il "credit crunch", così come dobbiamo smettere di criticare la "austerità" (questo non significa che in entrambi i casi non sia possibile fare altre cose che ridurrebbero le dimensioni dei due fenomeni; per esempio aumenti di capitale delle banche nel primo caso e riforme strutturale nel secondo). Il "credit crunch" in Italia è inevitabile. È reso più acuto dalle difficoltà che hanno le banche italiane ad aumentare il proprio capitale vista la reticenza a cambiare la struttura proprietaria (il sistema delle "Fondazioni" avrà fatto dei danni enormi). Per aiutare le nostre imprese bisogna trovare altre strade: la prima è il pagamento degli arretrati della pubblica amministrazione ed il ritorno a pagamenti nei tempi previsti. E, per finire, un paragrafo dal bollettino economico che ricevo ogni giorno. Italian banks need capital increase Italian mid-sized banks may have to raise new equity in the short and medium term, according to Fitch, as reported by Reuters. The non-performing loans ratio has been increasing throughout the crisis, and those banks needs to improve credit risk systems. In addition, they need to adopt internal rating models and a new deleveraging model to strengthen their balance sheets, Fitch said. Those banks likely to be subject to ECB supervision are projected to see the amount of impaired loans to worsen further throughout 2013 and 2014. Right now, only two banks, Banca Popolare di Milano and Banca Popolare di Vicenza, have announced and approved new share issues to take place in the second half of 2013, for at least €5bn in total.

Risposto da Fabio Colasanti su 31 Luglio 2013 a 16:03 Per chi avesse ancora un dubbio sul problema rappresentato dall'eccesso di norme nel nostro paese.

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http://www.corriere.it/editoriali/13_luglio_31/sformato-legislativo...

Risposto da Giorgio Mauri su 31 Luglio 2013 a 16:22 Quel che dici è oro. Quel che non si capisce è perché chiunque governi stia fermo. Siccome è lapalissiano cosa occorre fare se non lo fanno significa che ci sono delle ragioni molto solide. Che dicano quali sono queste ragioni ! almeno capiamo anche noi. Per esempio, se "lo stato" è il primo a non rispettare i termini di pagamento come si può inserire una norma che lo penalizzi ? E il bello è che le mazzette sono soggette a iter temporali completamente diversi. Sorge il dubbio che ci sia del "marcio": ma, evidentemente, sono "prevenuto", infatti va tutto bene, e da tanti anni, direi decenni. Ma sono un "lamentone", peggio del Berlusca. giorgio varaldo ha detto: da cosa dicono sia il direttore della mia banca sia alcuni conoscenti piccoli imprenditori la mancata concessione di crediti dipende dall'incertezza sui tempi di liquidazione dei pagamenti. e questa incertezza è dovuta sia ai cronici ritardi delle amministrazioni pubbliche sia da una carenza legislativa per quanto riguarda i privati ,quale direttore di banca può aumentare il fido di una azienda se non vi sono sicurezze sui tempi di rientro? e la cosa buffa è che - con una ridondanza di leggi e decreti inutili e spesso vessatori - c'è il vuoto legislativo riguardo al ritardo dei pagamenti che - assieme al falso in bilancio - da una ulteriore spinta al collasso del sistema produttivo. tanto per citare cosa succede all'estero se in francia una fattura non viene saldata entro 30 gg può scattare la procedura di amministrazione controllata. si ha notizie di casi nei quali aziende straniere fornitrici di aziende italiane prima della spedizione degli ordinativi chiedano emissione di lettera di credito confermata ed irrevocabile esattamente come si fa per i paesi a rischio del terzo e del quarto mondo. e cosa ancor più strana su questo argomento c'è un silenzio tripartisan. Fabio Colasanti ha detto: Una notizia che interesserà soprattutto Giuseppe A. In Italia ci si lamenta del "credit crunch", cioè del fatto che le banche non prestano abbastanza alle imprese. La Confindustria e il Sole24Ore, molto sensibile agli argomenti della prima, si lamentano in continuazione di questo fatto. Ma siamo in una situazione analoga a quella della cosidettà "austerità" nelle politiche di bilancio e siamo di fronte alle stesse difficoltà di linguaggio e di comprensione. Nel caso della cosidetta "austerità" ci sono quelli che si lamentano che il taglio dei bilanci riduce la crescita. Bella scoperta. Lo sanno tutti che è così. Tutti, se possibile, farebbero a meno dei tagli di bilancio, ma ci sono situazioni in cui i paesi non hanno scelta. La stessa cosa sta succedendo per le banche. Negli ultimi quindici/venti anni le banche hanno prestato troppo. La crisi del 2007/2008 è stata dovuta al fatto che le banche si sono trovate senza abbastanza capitali propri per far fronte alle perdite e hanno avuto bisogno di aiuti pubblici. In Europa, i fondi pubblici che gli stati hanno anticipato alle banche e che non non è stata ancora rimborsata è ancora alla cifra spettacolare di 1700 miliardi, una cifra più alta del PIL italiano. Per evitare una nuova crisi finanziaria - ed evitare che le banche ricattino di nuovo i poteri pubblici - è necessario che le banche aumentino il proprio capitale e che riducano l'ammontare delle loro "attività" (prestiti e altri investimenti). Questo ha esattamente la stessa logica e gli stessi inconvenienti dell'austerità nelle finanze pubbliche. Questo riduce la crescita; è qualcosa di cui tutti farebbero a meno, ma che non possiamo evitare. In un articolo sulla prima pagina il Financial Times di oggi annuncia la decisione della Deutsche Bank e della Barclays di aumentare il loro capitale (questo diluisce il capitale esistente e provoca un forte deprezzamento delle azioni delle due banche). Ma al tempo stesso la Deutsche Bank ha annunciato che ridurrà le sue attività del 20 per cento nei prossimi due anni! La Barclays ridurra le sue attività del 5 per cento a breve termine. La riduzione delle attività delle banche, il credit crunch, è un passaggio inevitabile con il quale dobbiamo convivere. Purtroppo riduzione dei disavanzi e riduzione delle attività delle banche si stanno verificando nello stesso tempo e questo (con la riduzione dei livelli di debito privato in molti paesi) spiega la lunghezza e la profondità della crisi attuale. Dobbiamo smettere di criticare il "credit crunch", così come dobbiamo smettere di criticare la "austerità" (questo non significa che in entrambi i casi non

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sia possibile fare altre cose che ridurrebbero le dimensioni dei due fenomeni; per esempio aumenti di capitale delle banche nel primo caso e riforme strutturale nel secondo). Il "credit crunch" in Italia è inevitabile. È reso più acuto dalle difficoltà che hanno le banche italiane ad aumentare il proprio capitale vista la reticenza a cambiare la struttura proprietaria (il sistema delle "Fondazioni" avrà fatto dei danni enormi). Per aiutare le nostre imprese bisogna trovare altre strade: la prima è il pagamento degli arretrati della pubblica amministrazione ed il ritorno a pagamenti nei tempi previsti. E, per finire, un paragrafo dal bollettino economico che ricevo ogni giorno. Italian banks need capital increase Italian mid-sized banks may have to raise new equity in the short and medium term, according to Fitch, as reported by Reuters. The non-performing loans ratio has been increasing throughout the crisis, and those banks needs to improve credit risk systems. In addition, they need to adopt internal rating models and a new deleveraging model to strengthen their balance sheets, Fitch said. Those banks likely to be subject to ECB supervision are projected to see the amount of impaired loans to worsen further throughout 2013 and 2014. Right now, only two banks, Banca Popolare di Milano and Banca Popolare di Vicenza, have announced and approved new share issues to take place in the second half of 2013, for at least €5bn in total.

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 31 Luglio 2013 a 17:14 importante. http://www.repubblica.it/economia/2013/07/31/news/dl_lavoro_sblocca.

Risposto da Fabio Colasanti su 31 Luglio 2013 a 17:31 Giuseppe, è importantissimo. Quello che mi stupisce è il fatto che nessuno sembra rendersi conto del fatto che dall'inizio dell'anno c'è stato un allentamento sensibile della rigidità delle politiche di bilancio di tanti paesi europei. Nel caso dell'Italia si è addirittura fatto del deficit spending per una cifra molto alta. A fine 2012 l'Italia era su di una traiettoria di pareggio del bilancio strutturale per la fine del 2013 (certificata da OCSE e Commissione europea). Visto che l'economia era in recessione, "pareggio strutturale" significava disavanzo effettivo attorno all'un per cento o qualcosa di più (Il Fiscal Compact non è così rigido come viene descritto; è perfino più flessibile del vecchio Patto di Stabilità). All'inizio del 2013 il governo Monti ha deciso di riaprire i cordoni della borsa e ha avuto l'accordo della Commissione europea per riportare il disavanzo al 3 per cento del PIL. Quindi si è fatto del "deficit spending" per oltre un punto e mezzo del PIL Il grosso della spesa in più è stato proprio la cifra per i rimborsi dei debiti della pubblica amministrazione. 25 miliardi è più di un punto e mezzo di PIL. La manovra restrittiva di Monti con il decreto "Salva Italia" di fine 2011 è stata di venti miliardi netti (trenta di maggiori entrate e dieci di nuove uscite). La manovra espansiva dell'inizio del 2013 è stata attorno ai 25 miliardi (c'era qualche altra cosa oltre al rimborso dei debiti della pubblica amministrazione). Non c'è quindi da stupirsi se il disavanzo è ancora alto. L'effetto netto delle due grosse manovre del governo Monti è stato leggermente espansivo ! Ma tutti credono che si sia nell'austerità la più feroce. Giuseppe Ardizzone ha detto: importante. http://www.repubblica.it/economia/2013/07/31/news/dl_lavoro_sblocca...

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Risposto da Fabio Colasanti su 31 Luglio 2013 a 17:54 Faccio, in questa discussione, un'osservazione che può sembrare pedante, ma è importante. C'è una grossa differenza tra entrate ricorrenti, regolari e i ricavi dalla vendita dei gioielli di famiglia. Quandi si parla del disavanzo dello stato, si parla del disavanzo tra quello che lo stato incassa in maniera ricorrente - le entrate correnti e in conto capitale (tasse, contributi sociali e poche altre cose) - e quello che lo stato spende in maniera regolare: uscite correnti (pensioni, stipendi, interessi sul debito) e per uscite in conto capitale (investimenti). Se si vuole influenzare il disavanzo si deve agire sulle entrate e le uscite ricorrenti. Il ricavo dalla vendita del patrimonio immobiliare dello stato o delle participazioni azionarie non può essere preso in conto nel calcolo del disavanzo (non solo è profondamente sbagliato, ma ne l'Istat ne le autortà europee lo accetterebbero mai). Serve solo per ridurre il debito. Il ragionamento è semplice. Se io spendo ogni anno più di quello che guadagno, accumulo debiti. Se poi decido di vendere l'appartamentino che mi ha lasciato mia zia, miglioro la mia posizione finanziaria, forse avrò anche to i miei debiti, ma non ho ridotto il divario tra quello che spendo e quello che guadagno, non ho smesso di fare nuovi debiti. Se voglio smettere di fare debiti dovrò ridurre le spese o trovare la maniera di guadagnare di più. Sembra un ragionamento ovvio, ma tanti sembrano considerare che la vendita delle partecipazioni azionarie dello stato possa essere utilizzata per finanziare il disavanzo o un suo aumento ! Perfino Gutgeld, secondo quanto gli viene attribuito dall'autore dell'articolo che Giuseppe A. ha postato nella discussione "Diario luglio" (quanta McKinsey nel governo).

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 1 Agosto 2013 a 20:43 Molti all'interno del nostro Circolo dicono queste cose da diverso tempo: http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2013-08-01/allitalia... aggiungerei il ruolo decisivo che ( oltre alle misure strettamente tecniche) riveste in economia la capacità di mobilitazione collettiva che è propria della politica nel senso più alto del termine. Senza la capacità politica di creare speranza e mobilitazione collettiva i problemi economici di un paese non si risolvono anche se le possibili soluzioni sono conosciute e discusse ampiamente.

Risposto da giorgio varaldo su 1 Agosto 2013 a 22:08 ok belle parole ma in pratica quale soluzione proponi? Sandra Del Fabro ha detto: Il PDL ora vuole restare al governo per fare modifiche costituzionali a favore di Berlusconi e del suo "sistema". Bisogna staccare ora, Cicchitto ha appena detto al TG7 che ora condurrano al governo una battaglia sul nodo giustizia!!!

Risposto da Fabio Colasanti su 1 Agosto 2013 a 22:16 Sandra,

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il problema è sempre lo stesso: con chi ? Sandra Del Fabro ha detto: ( ... ) basta, ci vuole un nuovo governo. ( ... )

Risposto da Fabio Colasanti su 1 Agosto 2013 a 22:18 Giuseppe, mille grazie. L'articolo di Gianni Toniolo è ottimo, è un ottimo storico dell'economia e uno dei migliori analisti del nostro sistema produttivo. Sarebbe interessante avere commenti da parte di chi non è d'accordo con le sue parole. Estraggo due brevi passaggi tra tanti. "L'indicatore sintetico più eloquente del nostro mancato aggiustamento è dato da quanto produciamo in media per ogni ora lavorata (produttività del lavoro). Nel 1994 questo indicatore era pari all'85% di quello statunitense, nel 2007 era sceso al 68 per cento. La recente storia economica italiana è racchiusa in queste due cifre." "Abbiamo sprecato molto tempo pensando che bisognasse (e bastasse) «convincere l'Ue» a lasciarci spendere di più. Il vincolo che morde non è quello europeo ma quello dei detentori del nostro debito. Da un anno, la Banca centrale europea compra per noi tempo da impiegare nel metterci al passo con il mondo nel quale dobbiamo competere. Sinora questo tempo non è stato impiegato al meglio." Giuseppe Ardizzone ha detto: Molti all'interno del nostro Circolo dicono queste cose da diverso tempo: http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2013-08-01/allitalia... aggiungerei il ruolo decisivo che ( oltre alle misure strettamente tecniche) riveste in economia la capacità di mobilitazione collettiva che è propria della politica nel senso più alto del termine. Senza la capacità politica di creare speranza e mobilitazione collettiva i problemi economici di un paese non si risolvono anche se le possibili soluzioni sono conosciute e discusse ampiamente.

Risposto da Fabio Colasanti su 2 Agosto 2013 a 2:12 E' una cosa da poco, ma mostra quanto sia difficile arrivare a relazioni di lavoro più normali e meno conflittuali. Io penso che sia assolutamente legittimo chiedere al personale in contatto con il pubblico di essere cortese e sorridente. http://nuvola.corriere.it/2013/08/01/ma-le-commesse-hanno-il-diritt...

Risposto da Fabio Colasanti su 2 Agosto 2013 a 2:22 Un'opinione interessante su chi difende la spesa pubblica, sul "partito della spesa pubblica". http://www.corriere.it/editoriali/13_luglio_28/spesa-facile-non-ci-...

Risposto da giorgio varaldo su 2 Agosto 2013 a 8:46 a cosa serve il CFS? a curare il nostro patrimonio boschivo , a prevenire gli incendi, ad evitare inquinamenti selvaggi come accaduto in campania? nooo a multare motociclisti.

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e come si fa a multare un motociclista? semplice in auto si procede a 30 all'ora in una strada dove il limite è 90 all'ora. non so chi di lor signori abbia mai guidato una moto moderna in estate in salita a 30 all'ora dopo pochi secondi la temperatura nella tuta e dentro il casco arriva a livelli africani e dal radiatore arriva diritto sulle gambe una folta di aria calda da cuocere ...e se il motociclista supera l'auto civetta della forestale si trova immortalato da una bella foto e fermato pochi km più avanti da una pattuglia sempre della forestale avvisata via radio... .http://www.dueruote.it/notizie/sicurezza/cos-e-successo-sul-passo-d... vabbè chi se ne frega tanto i problemi del paese sono altri!!! chissà se avremo mai un paese nel quale ognuno svolga con dedizione il proprio compito...

Risposto da Fabio Colasanti su 2 Agosto 2013 a 9:32 Grande annuncio dalla Cassa Depositi e Prestiti: http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2013-08-01/utile-n... Ma bisogna chiedersi: in cosa l'azione della Cassa nei prossimi anni sarà diversa dalla azione della stessa nel recente passato? Le risorse sono esattamente le stesse e le possibilità di azione anche. Dove sono le differenze? Perché l'azione della Cassa nei prossimi anni dovrebbe sostenere la crescita nei prossimi anni più di quanto abbia fatto nel passato recente? Tutti continuano a fare grandi annunci populistici e la stampa, beota, li accetta e amplifica senza porsi mai una domanda. Queste non sono cose che dipendono da Berlusconi o dal berlusconismo. Questi sono problemi italiani storici dovuti ad un pubblico poco critico e che si aspetta sempre favori dal "politico" o dal "potente" di turno.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 3 Agosto 2013 a 1:31 Proposta: ci iscriviamo in massa al PDL e cambiamo padrone? O facciamo diventare il PD una succursale del PDL? O buttiamo il cuore oltre l'ostacolo, confidando negli italiani? C vuole troppo coraggio? Stay hungry, stay foolish ha detto qualcuno di nostra conoscenza, affamati di giustizia, uguaglianza, legalità, trasparenza, bene pubblico, lungimiranza, o ci accontentiamo dell'attuale fast food che ci fa ammalare e morire? Magari felici, obesi e contenti? giorgio varaldo ha detto: ok belle parole ma in pratica quale soluzione proponi? Sandra Del Fabro ha detto: Il PDL ora vuole restare al governo per fare modifiche costituzionali a favore di Berlusconi e del suo "sistema". Bisogna staccare ora, Cicchitto ha appena detto al TG7 che ora condurrano al governo una battaglia sul nodo giustizia!!!

Risposto da Giampaolo Carboniero su 3 Agosto 2013 a 1:44 Perchè limitare e ridurre tutto, analisi, discussioni, proposte, sempre e solo all'aspetto economico-finanziario, anche se poi, però solo a parole, si continua a dire che anche gli altri aspetti sono capitali? Giustizia, trasparenza, legalità, bene generale, strategie a medio-lungo termine sono solo parole d'ordine? Specchietti per le allodole? Richiami per i gonzi? Non sorge mai il sospetto che tutti questi aspetti della nostra società non possano essere considerati come realtà a sè stanti ma debbano essere visti come sfaccettature, cause-effetto di un contesto più ampio in cui, se vogliamo, l'aspetto economico è quello storicamente meno importante, anche se oggigiorno preponderante, e solo riflesso di scelte particolari?

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Fabio Colasanti ha detto: Giuseppe, mille grazie. L'articolo di Gianni Toniolo è ottimo, è un ottimo storico dell'economia e uno dei migliori analisti del nostro sistema produttivo. Sarebbe interessante avere commenti da parte di chi non è d'accordo con le sue parole. Estraggo due brevi passaggi tra tanti. "L'indicatore sintetico più eloquente del nostro mancato aggiustamento è dato da quanto produciamo in media per ogni ora lavorata (produttività del lavoro). Nel 1994 questo indicatore era pari all'85% di quello statunitense, nel 2007 era sceso al 68 per cento. La recente storia economica italiana è racchiusa in queste due cifre." "Abbiamo sprecato molto tempo pensando che bisognasse (e bastasse) «convincere l'Ue» a lasciarci spendere di più. Il vincolo che morde non è quello europeo ma quello dei detentori del nostro debito. Da un anno, la Banca centrale europea compra per noi tempo da impiegare nel metterci al passo con il mondo nel quale dobbiamo competere. Sinora questo tempo non è stato impiegato al meglio." Giuseppe Ardizzone ha detto: Molti all'interno del nostro Circolo dicono queste cose da diverso tempo: http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2013-08-01/allitalia... aggiungerei il ruolo decisivo che ( oltre alle misure strettamente tecniche) riveste in economia la capacità di mobilitazione collettiva che è propria della politica nel senso più alto del termine. Senza la capacità politica di creare speranza e mobilitazione collettiva i problemi economici di un paese non si risolvono anche se le possibili soluzioni sono conosciute e discusse ampiamente.

Risposto da Fabio Colasanti su 3 Agosto 2013 a 2:14 Giampaolo, non capisco la tua osservazione. Non sei d'accordo che l'Italia è in recessione, che la disoccupazione sta aumentando ogni giorno e che quella giovanile ha raggiunto livelli scandalosi? La risposta a questi problemi è la crescita economica. Senza crescita economica non si creano posti di lavoro e non si riduce la disoccupazione. La disoccupazione non è solo fonte di povertà economica, ma costituisce anche una perdità di dignità. Mi sembra ovvio che nella situazione attuale la priorità delle priorità italiane sia quindi la crescita. Come tu stesso riconosci tutti sanno benissimo che bisogna fare anche mille altre cose, ma se non c'è la crescita rimaniamo in una situazione drammatica. Senza crescita economica non abbiamo nemmeno le risorse per fare le altre mille cose necessarie per far funzionare meglio la società. Guarda quello che ho scritto sui sondaggi sulla Merkel (l'ho postato su "Diario di agosto", pagina 4) e sul fatto che quello che i cittadini tedeschi - e di ogni altro paese - vogliono prima di tutto è stare bene economicamente, avere la sicurezza del domani. Giampaolo Carboniero ha detto: Perchè limitare e ridurre tutto, analisi, discussioni, proposte, sempre e solo all'aspetto economico-finanziario, anche se poi, però solo a parole, si continua a dire che anche gli altri aspetti sono capitali? Giustizia, trasparenza, legalità, bene generale, strategie a medio-lungo termine sono solo parole d'ordine? Specchietti per le allodole? Richiami per i gonzi? Non sorge mai il sospetto che tutti questi aspetti della nostra società non possano essere considerati come realtà a sè stanti ma debbano essere visti come sfaccettature, cause-effetto di un contesto più ampio in cui, se vogliamo, l'aspetto economico è quello storicamente meno importante, anche se oggigiorno preponderante, e solo riflesso di scelte particolari? Fabio Colasanti ha detto: Giuseppe, mille grazie. L'articolo di Gianni Toniolo è ottimo, è un ottimo storico dell'economia e uno dei migliori analisti del nostro sistema produttivo. Sarebbe interessante avere commenti da parte di chi non è d'accordo con le sue parole. Estraggo due brevi passaggi tra tanti. "L'indicatore sintetico più eloquente del nostro mancato aggiustamento è dato da quanto produciamo in media per ogni ora lavorata (produttività del lavoro). Nel 1994 questo indicatore era pari all'85% di quello statunitense, nel 2007 era sceso al 68 per cento. La recente storia economica italiana è racchiusa in queste due cifre."

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"Abbiamo sprecato molto tempo pensando che bisognasse (e bastasse) «convincere l'Ue» a lasciarci spendere di più. Il vincolo che morde non è quello europeo ma quello dei detentori del nostro debito. Da un anno, la Banca centrale europea compra per noi tempo da impiegare nel metterci al passo con il mondo nel quale dobbiamo competere. Sinora questo tempo non è stato impiegato al meglio."

Risposto da Giampaolo Carboniero su 3 Agosto 2013 a 2:24 Certo, ma non sono d'accordo che i problemi siano solo economici, anzi, quelli economici,secondo me, derivano da cause in settori diversi che sono all'origine della nostra stagnazione e mancata crescita; se non si curano queste cause, faremo come Sisifo. Fabio Colasanti ha detto: Giampaolo, non capisco la tua osservazione. Non sei d'accordo che l'Italia è in recessione, che la disoccupazione sta aumentando ogni giorno e che quella giovanile ha raggiunto livelli scandalosi? La risposta a questi problemi è la crescita economica. Senza crescita economica non si creano posti di lavoro e non si riduce la disoccupazione. La disoccupazione non è solo fonte di povertà economica, ma costituisce anche una perdità di dignità. Mi sembra ovvio che nella situazione attuale la priorità delle priorità italiane sia quindi la crescita. Come tu stesso riconosci tutti sanno benissimo che bisogna fare anche mille altre cose, ma se non c'è la crescita rimaniamo in una situazione drammatica. Guarda quello che ho scritto sui sondaggi sulla Merkel (l'ho postato su Diario di agosto) e sul fatto che quello che i cittadini tedeschi - e di ogni altro paese - vogliono prima di tutto è stare bene economicamente, avere la sicurezza del domani. Giampaolo Carboniero ha detto: Perchè limitare e ridurre tutto, analisi, discussioni, proposte, sempre e solo all'aspetto economico-finanziario, anche se poi, però solo a parole, si continua a dire che anche gli altri aspetti sono capitali? Giustizia, trasparenza, legalità, bene generale, strategie a medio-lungo termine sono solo parole d'ordine? Specchietti per le allodole? Richiami per i gonzi? Non sorge mai il sospetto che tutti questi aspetti della nostra società non possano essere considerati come realtà a sè stanti ma debbano essere visti come sfaccettature, cause-effetto di un contesto più ampio in cui, se vogliamo, l'aspetto economico è quello storicamente meno importante, anche se oggigiorno preponderante, e solo riflesso di scelte particolari? Fabio Colasanti ha detto: Giuseppe, mille grazie. L'articolo di Gianni Toniolo è ottimo, è un ottimo storico dell'economia e uno dei migliori analisti del nostro sistema produttivo. Sarebbe interessante avere commenti da parte di chi non è d'accordo con le sue parole. Estraggo due brevi passaggi tra tanti. "L'indicatore sintetico più eloquente del nostro mancato aggiustamento è dato da quanto produciamo in media per ogni ora lavorata (produttività del lavoro). Nel 1994 questo indicatore era pari all'85% di quello statunitense, nel 2007 era sceso al 68 per cento. La recente storia economica italiana è racchiusa in queste due cifre." "Abbiamo sprecato molto tempo pensando che bisognasse (e bastasse) «convincere l'Ue» a lasciarci spendere di più. Il vincolo che morde non è quello europeo ma quello dei detentori del nostro debito. Da un anno, la Banca centrale europea compra per noi tempo da impiegare nel metterci al passo con il mondo nel quale dobbiamo competere. Sinora questo tempo non è stato impiegato al meglio."

Risposto da Fabio Colasanti su 3 Agosto 2013 a 2:34 Giampaolo,

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nessuno dice il contrario. Tutte le riforme strutturali che sono chieste da tanti economisti, osservatori e organizzazioni internazionali coprono il funzionamento della giustizia civile, la lotta alla corruzione, la qualità delle scuole e dell'università, l'insufficenza nella spesa di ricerca, la qualità delle infrastrutture, l'inefficienza della burocrazia, l'insufficienza del mercato delle case in affitto e mille altre cose. Se le cose non funzionano in questi altri campi non solo la società sta peggio, ma anche l'economia soffre. Ma rimane il fatto che l'emergenza attuale italiana è soprattutto economica: siamo un paese in declino economico da oltre quindici anni e l'impoverimento progressivo sta cominciando a diventare evidente a tutti. Ripropongo un grafico che avevo postato in un'altra discussione (a proposito della crescita in America), ma che mostra bene le dimensioni del dramma italiano (tra l'altro mi rendo conto di aver anticipato con questo grafico esattamente l'affermazione di Gianni Toniolo sul differenziale di produttività con gli Stati Uniti che, secondo lui, riassumerebbe in due cifre il dramma italiano).

Giampaolo Carboniero ha detto: Certo, ma non sono d'accordo che i problemi siano solo economici, anzi, quelli economici,secondo me, derivano da cause in settori diversi che sono all'origine della nostra stagnazione e mancata crescita; se non si curano queste cause, faremo come Sisifo. Fabio Colasanti ha detto: Giampaolo, non capisco la tua osservazione. Non sei d'accordo che l'Italia è in recessione, che la disoccupazione sta aumentando ogni giorno e che quella giovanile ha raggiunto livelli scandalosi? La risposta a questi problemi è la crescita economica. Senza crescita economica non si creano posti di lavoro e non si riduce la disoccupazione. La disoccupazione non è solo fonte di povertà economica, ma costituisce anche una perdità di dignità. Mi sembra ovvio che nella situazione attuale la priorità delle priorità italiane sia quindi la crescita. Come tu stesso riconosci tutti sanno benissimo che bisogna fare anche mille altre cose, ma se non c'è la crescita rimaniamo in una situazione drammatica. Guarda quello che ho scritto sui sondaggi sulla Merkel (l'ho postato su Diario di agosto) e sul fatto che quello che i cittadini tedeschi - e di ogni altro paese - vogliono prima di tutto è stare bene economicamente, avere la sicurezza del domani. Giampaolo Carboniero ha detto: Perchè limitare e ridurre tutto, analisi, discussioni, proposte, sempre e solo all'aspetto economico-finanziario, anche se poi, però solo a parole, si continua a dire che anche gli altri aspetti sono capitali? Giustizia, trasparenza, legalità, bene generale, strategie a medio-lungo termine sono solo parole d'ordine? Specchietti per le allodole? Richiami per i gonzi? Non sorge mai il sospetto che tutti questi aspetti della nostra società non possano essere considerati come realtà a sè stanti ma debbano essere visti come sfaccettature, cause-effetto di un contesto più ampio in cui, se vogliamo, l'aspetto economico è quello storicamente meno importante, anche se oggigiorno preponderante, e solo riflesso di scelte particolari? Fabio Colasanti ha detto: Giuseppe,

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mille grazie. L'articolo di Gianni Toniolo è ottimo, è un ottimo storico dell'economia e uno dei migliori analisti del nostro sistema produttivo. Sarebbe interessante avere commenti da parte di chi non è d'accordo con le sue parole. Estraggo due brevi passaggi tra tanti. "L'indicatore sintetico più eloquente del nostro mancato aggiustamento è dato da quanto produciamo in media per ogni ora lavorata (produttività del lavoro). Nel 1994 questo indicatore era pari all'85% di quello statunitense, nel 2007 era sceso al 68 per cento. La recente storia economica italiana è racchiusa in queste due cifre." "Abbiamo sprecato molto tempo pensando che bisognasse (e bastasse) «convincere l'Ue» a lasciarci spendere di più. Il vincolo che morde non è quello europeo ma quello dei detentori del nostro debito. Da un anno, la Banca centrale europea compra per noi tempo da impiegare nel metterci al passo con il mondo nel quale dobbiamo competere. Sinora questo tempo non è stato impiegato al meglio."

Risposto da Fabio Colasanti su 3 Agosto 2013 a 3:46 Giampaolo, aggiungo un altro grafico triste. L'Italia è oggi un paese più povero della media dei paesi dell'Unione europea - che pure comprende parecchi paesi dell'est Europa che consideravamo molto poveri- e significativamente più povero dei paesi dell'eurozona. Qualche anno fa non era così.

Le conclusioni non cambiano anche se si prendono i dati in Parità di Potere d'Acquisto (PPA) per tenere conto delle differenze nel livello dei prezzi.

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Risposto da giovanni de sio cesari su 3 Agosto 2013 a 9:22 Scusa Fabio Forse leggo male il grafico: ma mi pare che l’Italia mantenga la stessa posizione relativa nell’eurozona ( a prezzi costanti) : la media scende come quella italiana . Potresti indicarmi anche i livelli di Spagna e Portogallo ? magari di tutti i paesi ? Grazie Fabio Colasanti ha detto: Giampaolo, aggiungo un altro grafico triste. L'Italia è oggi un paese più povero della media dei paesi dell'Unione europea - che pure comprende parecchi paesi dell'est Europa che consideravamo molto poveri- e significativamente più povero dei paesi dell'eurozona. Qualche anno fa non era così. Le conclusioni non cambiano anche se si prendono i dati in Parità di Potere d'Acquisto (PPA) per tenere conto delle differenze nel livello dei prezzi.

Risposto da giovanni de sio cesari su 3 Agosto 2013 a 9:33 Fabio ancora un chiarimento dal grafico sembrerebbe che nel 2000 avevano un PIL addirittura superiore a quello USA : Ch esignifica "livello" del PIL Fabio Colasanti ha detto: Giampaolo, nessuno dice il contrario. Tutte le riforme strutturali che sono chieste da tanti economisti, osservatori e organizzazioni internazionali coprono il funzionamento della giustizia civile, la lotta alla corruzione, la qualità delle scuole e dell'università, l'insufficenza nella spesa di ricerca, la qualità delle infrastrutture, l'inefficienza della burocrazia, l'insufficienza del mercato delle case in affitto e mille altre cose. Se le cose non funzionano in questi altri campi non solo la società sta peggio, ma anche l'economia soffre. Ma rimane il fatto che l'emergenza attuale italiana è soprattutto economica: siamo un paese in declino economico da oltre quindici anni e l'impoverimento progressivo sta cominciando a diventare evidente a tutti. Ripropongo un grafico che avevo postato in un'altra discussione (a proposito della crescita in America), ma che mostra bene le dimensioni del dramma italiano (tra l'altro mi rendo conto di aver anticipato con questo grafico esattamente l'affermazione di Gianni Toniolo sul differenziale di produttività con gli Stati Uniti che, secondo lui, riassumerebbe in due cifre il dramma italiano).

Risposto da Salvatore Venuleo su 3 Agosto 2013 a 9:44 Tu ti dici d'accordo con Giampiero ma poi non lo sembri più. Giampiero sostiene (e sono d'accordissimo con lui) che non dobbiamo guardare solo all'economia. E dice che se anche guardiamo all'economia, dobbiamo capire che l'economia discende da altri fattori ancor più che da se stessa. Li enumero così': innanzitutto fiducia nella coesione nazionale, impegno in un progetto condiviso di cambiamento, giustizia giusta e rapida, semplificazioni, diritto reale al lavoro per tutti (costi quel che costi), difesa dell'ambiente e del patrimonio culturale, mobilità protetta e garantita del fattore lavoro, ri-alfabetizzazione degli italiani. Se facessimo questo, ci lasceremmo alle spalle Cina, Germania, Usa, etc. Poi l'Italia ricca e generosa, ricca anche perché generosa ovvero che non perde tempo in cosucce, andrebbe in soccorso dei paesi sviluppati. Fabio Colasanti ha detto:

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Giampaolo, nessuno dice il contrario. Tutte le riforme strutturali che sono chieste da tanti economisti, osservatori e organizzazioni internazionali coprono il funzionamento della giustizia civile, la lotta alla corruzione, la qualità delle scuole e dell'università, l'insufficenza nella spesa di ricerca, la qualità delle infrastrutture, l'inefficienza della burocrazia, l'insufficienza del mercato delle case in affitto e mille altre cose. Se le cose non funzionano in questi altri campi non solo la società sta peggio, ma anche l'economia soffre. Ma rimane il fatto che l'emergenza attuale italiana è soprattutto economica: siamo un paese in declino economico da oltre quindici anni e l'impoverimento progressivo sta cominciando a diventare evidente a tutti. Ripropongo un grafico che avevo postato in un'altra discussione (a proposito della crescita in America), ma che mostra bene le dimensioni del dramma italiano (tra l'altro mi rendo conto di aver anticipato con questo grafico esattamente l'affermazione di Gianni Toniolo sul differenziale di produttività con gli Stati Uniti che, secondo lui, riassumerebbe in due cifre il dramma italiano). Giampaolo Carboniero ha detto: Certo, ma non sono d'accordo che i problemi siano solo economici, anzi, quelli economici,secondo me, derivano da cause in settori diversi che sono all'origine della nostra stagnazione e mancata crescita; se non si curano queste cause, faremo come Sisifo. Fabio Colasanti ha detto: Giampaolo, non capisco la tua osservazione. Non sei d'accordo che l'Italia è in recessione, che la disoccupazione sta aumentando ogni giorno e che quella giovanile ha raggiunto livelli scandalosi? La risposta a questi problemi è la crescita economica. Senza crescita economica non si creano posti di lavoro e non si riduce la disoccupazione. La disoccupazione non è solo fonte di povertà economica, ma costituisce anche una perdità di dignità. Mi sembra ovvio che nella situazione attuale la priorità delle priorità italiane sia quindi la crescita. Come tu stesso riconosci tutti sanno benissimo che bisogna fare anche mille altre cose, ma se non c'è la crescita rimaniamo in una situazione drammatica. Guarda quello che ho scritto sui sondaggi sulla Merkel (l'ho postato su Diario di agosto) e sul fatto che quello che i cittadini tedeschi - e di ogni altro paese - vogliono prima di tutto è stare bene economicamente, avere la sicurezza del domani. Giampaolo Carboniero ha detto: Perchè limitare e ridurre tutto, analisi, discussioni, proposte, sempre e solo all'aspetto economico-finanziario, anche se poi, però solo a parole, si continua a dire che anche gli altri aspetti sono capitali? Giustizia, trasparenza, legalità, bene generale, strategie a medio-lungo termine sono solo parole d'ordine? Specchietti per le allodole? Richiami per i gonzi? Non sorge mai il sospetto che tutti questi aspetti della nostra società non possano essere considerati come realtà a sè stanti ma debbano essere visti come sfaccettature, cause-effetto di un contesto più ampio in cui, se vogliamo, l'aspetto economico è quello storicamente meno importante, anche se oggigiorno preponderante, e solo riflesso di scelte particolari? Fabio Colasanti ha detto: Giuseppe, mille grazie. L'articolo di Gianni Toniolo è ottimo, è un ottimo storico dell'economia e uno dei migliori analisti del nostro sistema produttivo. Sarebbe interessante avere commenti da parte di chi non è d'accordo con le sue parole. Estraggo due brevi passaggi tra tanti. "L'indicatore sintetico più eloquente del nostro mancato aggiustamento è dato da quanto produciamo in media per ogni ora lavorata (produttività del lavoro). Nel 1994 questo indicatore era pari all'85% di quello statunitense, nel 2007 era sceso al 68 per cento. La recente storia economica italiana è racchiusa in queste due cifre." "Abbiamo sprecato molto tempo pensando che bisognasse (e bastasse) «convincere l'Ue» a lasciarci spendere di più. Il vincolo che morde non è quello europeo ma quello dei detentori del nostro debito. Da un anno, la Banca centrale europea compra per noi tempo da impiegare nel metterci al passo con il mondo nel quale dobbiamo competere. Sinora questo tempo non è stato impiegato al meglio."

Risposto da Fabio Colasanti su 3 Agosto 2013 a 11:11

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Giovanni, le due linee nel grafico danno la posizione dell'Italia rispetto alla media dell'Unione europea (linea blu) e rispetto alla media dell'eurozona. Le due linee sono importanti perché nel primo caso si può immaginare che una certa riduzione della posizione italiana sia la conseguenza logica del necessario recupero di altri paesi. Nel caso dell'eurozona si tratta invece di paesi di lunga storia industriale.

Nel 1993 (la banca dati della Commissione europea non ha dati per tutti i paesi per un periodo storico più lungo) il livello del PIL pro capite italiano (misurato a prezzi costanti) era pari al 119.68 per cento di quello della media dell'Unione europea. Eravamo del 20 per cento più ricchi rispetto alla media dei paesi dell'Unione europea. Da allora la nostra ricchezza relativa è scesa in maniera quasi continua e nel 2013 è al 96.9 per cento, quindi al di sotto della media dei paesi europei. Nel 1993, il PIL italiano pro capite - sempre misurato nella tessa maniera - era pari al 101.96 per cento di quello medio dell'eurozona (linea rossa). Quindi eravamo una "nticchia" più ricchi della media dei paesi dell'eurozona. Nel 2000 avevamo esattamente lo stesso livello di PIL della media dell'eurozona e nel 2013 siamo all'88.09 per cento. Siamo quindi più poveri della media dell'eurozona del dodici per cento circa. Ricordo, prima che altri lo facciano osservare, che il PIL misura solo la quantità totale di ricchezza prodotta nel paese e non ci dice nulla sulla distribuzione dei redditi, sulla salute, sull'inquinamento e su tanti altri aspetti che sono misurati da altre statistiche. giovanni de sio cesari ha detto: Scusa Fabio Forse leggo male il grafico: ma mi pare che l’Italia mantenga la stessa posizione relativa nell’eurozona ( a prezzi costanti) : la media scende come quella italiana . ( ... )

Risposto da Fabio Colasanti su 3 Agosto 2013 a 11:15 Giovanni, queste sono le posizioni relative di Irlanda, Italia, Spagna, Portogallo e Grecia espresse in percentuale del PIL pro capite medio (a prezzi costanti) dell'eurozona.

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giovanni de sio cesari ha detto: ( ... ) Potresti indicarmi anche i livelli di Spagna e Portogallo ? magari di tutti i paesi ? Grazie

Risposto da Fabio Colasanti su 3 Agosto 2013 a 11:20 Giovanni, il grafico pone i due prodotti interni lordi (PIL) uguali convenzionalmente nel 2000 e misura come il PIL dei due paesi si è sviluppato rispetto a quella data. Nel 2001 la nostra crescita economica è stata leggermente più forte di quella degli Stati Uniti, ma poi gli USA sono cresciuti molto più di noi. Il nostro PIL pro capite in termini reali è oggi più o meno al livello dove era nel 2000 e quello americano è invece più alto del livello di quell'anno di oltre il venticinque per cento !

Più tardi produrrò un grafico con i livelli assoluti dei due PIL pro-caite. giovanni de sio cesari ha detto: Fabio ancora un chiarimento dal grafico sembrerebbe che nel 2000 avevano un PIL addirittura superiore a quello USA : Ch esignifica "livello" del PIL

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Risposto da Fabio Colasanti su 3 Agosto 2013 a 11:24 Salvatore, ripeto la mia posizione. a) Penso che in Italia ci siano mille cose da fare, non solo quelle che impattano direttamente sull'economia, b) ma penso anche che la priorità delle priorità oggi sia l'economia. Abbiamo un livello pauroso di disoccupazione e una povertà crescente. Questi problemi si risolvono solo con la crescita economica Salvatore Venuleo ha detto: Tu ti dici d'accordo con Giampiero ma poi non lo sembri più. Giampiero sostiene (e sono d'accordissimo con lui) che non dobbiamo guardare solo all'economia. E dice che se anche guardiamo all'economia, dobbiamo capire che l'economia discende da altri fattori ancor più che da se stessa. Li enumero così': innanzitutto fiducia nella coesione nazionale, impegno in un progetto condiviso di cambiamento, giustizia giusta e rapida, semplificazioni, diritto reale al lavoro per tutti (costi quel che costi), difesa dell'ambiente e del patrimonio culturale, mobilità protetta e garantita del fattore lavoro, ri-alfabetizzazione degli italiani. Se facessimo questo, ci lasceremmo alle spalle Cina, Germania, Usa, etc. Poi l'Italia ricca e generosa, ricca anche perché generosa ovvero che non perde tempo in cosucce, andrebbe in soccorso dei paesi sviluppati.

Risposto da giovanni de sio cesari su 3 Agosto 2013 a 11:41 Ti ringrazio, Fabio sullo smartphone (modesto) non riuscivo a leggere bene le indicazioni: mi sembreava ben strano, però. Certo: i grafiici fotografano un disastro: che è ancora maggiore perche non indicano anche la polarizzazione delle retribuzioni : e soprattutto la disoccupazione. Alla fine non sarebbe cosa grave se tutti ugualmente avessimo avuto un declino uguale Fabio Colasanti ha detto: Giovanni, queste sono le posizioni relative di Irlanda, Italia, Spagna, Portogallo e Grecia espresse in percentuale del PIL pro capite medio (a prezzi costanti) dell'eurozona.

giovanni de sio cesari ha detto:

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( ... ) Potresti indicarmi anche i livelli di Spagna e Portogallo ? magari di tutti i paesi ? Grazie

Risposto da giovanni de sio cesari su 3 Agosto 2013 a 11:45 Salvatore Ma certo: è il classico problema marxiano del rapporto fra struttura e sovrastruttura. Per Marx era l’economia (struttura) che determinava tutto il resto (sovrastrutture) mentre gli oppositori sostenevano che anche tutto il resto ( ovrastruttura) determina l’economia (struttura). Ma a prescindere da problemi teorici io penso che per fare le mitiche riforme occorre innanzi tutto qualcuno che le possa fare. Ora la nostra costituzione è si, come dice Benigni, la più bella del mondo, ma è anche una delle più inefficienti. L’ordinamento attuale rende impossibile praticamente al governo attuare vere riforme. La prima emergenza forse sarebbe proprio modificare quell’ordinamento. Salvatore Venuleo ha detto: Tu ti dici d'accordo con Giampiero ma poi non lo sembri più. Giampiero sostiene (e sono d'accordissimo con lui) che non dobbiamo guardare solo all'economia. E dice che se anche guardiamo all'economia, dobbiamo capire che l'economia discende da altri fattori ancor più che da se stessa. Li enumero così': innanzitutto fiducia nella coesione nazionale, impegno in un progetto condiviso di cambiamento, giustizia giusta e rapida, semplificazioni, diritto reale al lavoro per tutti (costi quel che costi), difesa dell'ambiente e del patrimonio culturale, mobilità protetta e garantita del fattore lavoro, ri-alfabetizzazione degli italiani. Se facessimo questo, ci lasceremmo alle spalle Cina, Germania, Usa, etc. Poi l'Italia ricca e generosa, ricca anche perché generosa ovvero che non perde tempo in cosucce, andrebbe in soccorso dei paesi sviluppati.

Risposto da Salvatore Venuleo su 3 Agosto 2013 a 12:07 Mi pare che Marx e i marxisti abbiano anche polemizzato contro una concezione "unidirezionale", "deterministica" riguardo il rapporto fra struttura e sovrastruttura. Marx diceva di non essere marxista. E comunque "economia" o "struttura" non sarebbe tanto Pil quanto "rapporti di produzione". Quasi certamente non sono marxista. Benché cauto a buttare a mare l'immensa intelligenza contenuta nelle sue opere. Ancora abbastanza attuale. Più attuale rispetto ad altri pensatori prima di lui che ancora citiamo (Vico, Machiavelli, etc. per non scomodare il cristianesimo). Riguardo la riforma costituzionale, sono parzialmente d'accordo. Più decisiva sicuramente sarebbe la riforma elettorale. Quale? O in avanti con l'uninominale a doppio turno. O indietro verso l'intelligenza della prima Repubblica. Sono pieno di dubbi su questa alternativa. Certamente la prima Repubblica non ha conosciuto l'idolatria di un solo uomo al comando. Il leader era il punto di equilibrio provvisorio di rapporti di forza. E non esisteva la diffusa epidemia della perdita di autostima di troppi uomini che si sentono nulla senza Lui. E' un fenomeno che angoscia e lascia senza parole. giovanni de sio cesari ha detto: Salvatore Ma certo: è il classico problema marxiano del rapporto fra struttura e sovrastruttura. Per Marx era l’economia (struttura) che determinava tutto il resto (sovrastrutture) mentre gli oppositori sostenevano che anche tutto il resto ( ovrastruttura) determina l’economia (struttura). Ma a prescindere da problemi teorici io penso che per fare le mitiche riforme occorre innanzi tutto qualcuno che le possa fare. Ora la nostra costituzione è si, come dice Benigni, la più bella del mondo, ma è anche una delle più inefficienti. L’ordinamento attuale rende impossibile praticamente al governo attuare vere riforme. La prima emergenza forse sarebbe proprio modificare quell’ordinamento. Salvatore Venuleo ha detto: Tu ti dici d'accordo con Giampiero ma poi non lo sembri più. Giampiero sostiene (e sono d'accordissimo con lui) che non dobbiamo guardare solo all'economia. E dice che se anche guardiamo all'economia, dobbiamo capire che l'economia discende da altri fattori ancor più che da se stessa. Li enumero così': innanzitutto fiducia nella coesione nazionale, impegno in un progetto condiviso di cambiamento, giustizia giusta e rapida, semplificazioni, diritto reale al lavoro per

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tutti (costi quel che costi), difesa dell'ambiente e del patrimonio culturale, mobilità protetta e garantita del fattore lavoro, ri-alfabetizzazione degli italiani. Se facessimo questo, ci lasceremmo alle spalle Cina, Germania, Usa, etc. Poi l'Italia ricca e generosa, ricca anche perché generosa ovvero che non perde tempo in cosucce, andrebbe in soccorso dei paesi sviluppati.

Risposto da Fabio Colasanti su 3 Agosto 2013 a 12:45 Giovanni, ecco altri dati che hai chiesto. Si tratta dello stesso grafico che avevo postato per i cinque paesi "in difficoltà", ma questa volta è per i quattro paesi più grandi della zona euro. Il grafico mostra due cose importanti. La prima è che conferma che le fortune economiche (relative) della Germania sono cominciate con le riforme introdotte da Schröder e non con l'ingresso nell'unione monetaria. Nei primi sette anni di unione monetaria la posizione relativa della Germania è peggiorata in maniera continua. Nel 2003/2004 Schröder ha fatto riforme importanti che hanno cominciato a dare risultati positivi a partire dal 2006 (cosa che conferma anche che purtroppo le riforme strutturali producono risultati dopo qualche tempo). La seconda è che le posizioni relative di Germania e Spagna rispetto alla media sono oggi migliori di quelle che erano nel 1993. Le difficoltà attuali non hanno eroso completamente i progressi relativi fatti dalla Spagna fino al 2005/2006. Invece l'Italia sta molto peggio, ma anche la posizione relativa della Francia si è deteriorata.

Il grafico precedente dava le posizioni "relative" (rispetto alla media dell'eurozona posta uguale a 100). Ne riporto un altro che da l'andamento del PIL pro capite in termini reali dei quattro paesi rispetto al livello che ogni paese aveva nel 1993 (la stessa operazione che avevo fatto nel grafico per Stati Uniti e Italia). Questo nuovo grafico mostra che il livello reale el PIL pro capite italiano è oggi superiore a quello del 1993 di circa l'otto per cento (una crescita media annua ben inferiore al mezzo punto percentuale!). Quelli di Germania e Spagna sono superiori al livello del 1993 di oltre il trenta per cento (una crescita media annua di un punto e mezzo). Comunque si rigirino le cifre il risultato è sempre lo stesso: l'Italia è un paese in declino economico chiaro e significativo da quindici/venti anni.

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Risposto da Salvatore Venuleo su 3 Agosto 2013 a 13:32 Anch'io ripeto la mia posizione. Non mi risulta che la cosiddetta "crescita economica", garantisca meno povertà e meno disoccupazione. La distribuzione dei redditi (equità), le regole del mercato del lavoro e le protezioni sociali non sono un dettaglio. Tu dirai che comunque queste cose hanno senso ed efficacia se la torta cresce. Io dirò che la torta può diventare enorme e lasciare i più (sempre più) a frugare fra gli avanzi. Ah, quante anime nel Pd e nelle sue vicinanze! Ciao, Fabio. Fabio Colasanti ha detto: Salvatore, ripeto la mia posizione. a) Penso che in Italia ci siano mille cose da fare, non solo quelle che impattano direttamente sull'economia, b) ma penso anche che la priorità delle priorità oggi sia l'economia. Abbiamo un livello pauroso di disoccupazione e una povertà crescente. Questi problemi si risolvono solo con la crescita economica Salvatore Venuleo ha detto: Tu ti dici d'accordo con Giampiero ma poi non lo sembri più. Giampiero sostiene (e sono d'accordissimo con lui) che non dobbiamo guardare solo all'economia. E dice che se anche guardiamo all'economia, dobbiamo capire che l'economia discende da altri fattori ancor più che da se stessa. Li enumero così': innanzitutto fiducia nella coesione nazionale, impegno in un progetto condiviso di cambiamento, giustizia giusta e rapida, semplificazioni, diritto reale al lavoro per tutti (costi quel che costi), difesa dell'ambiente e del patrimonio culturale, mobilità protetta e garantita del fattore lavoro, ri-alfabetizzazione degli italiani. Se facessimo questo, ci lasceremmo alle spalle Cina, Germania, Usa, etc. Poi l'Italia ricca e generosa, ricca anche perché generosa ovvero che non perde tempo in cosucce, andrebbe in soccorso dei paesi sviluppati.

Risposto da Fabio Colasanti su 3 Agosto 2013 a 14:38 Giovanni, ecco il grafico con i livelli assoluti di PIL pro capite di Italia e Stati Uniti (prezzi e tassi di cambio del 2005).

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Risposto da Fabio Colasanti su 3 Agosto 2013 a 14:52 Salvatore, effettivamente ci potrebbe essere un fortissimo e rapido aumento - peraltro molto improbabile - delle disuguaglianze dei redditi che concentri tutta la nuova ricchezza in alcuni gruppi. In questo caso la ricchezza media (PIL pro capite) potrebbe aumentare senza che il livello di povertà di parte della popolazione sia to. Ma cambiamenti nella diseguaglianza dei redditi sono lenti nel tempo. Se nei prossimi due/tre anni il PIL italiano aumentasse, mettiamo, del 7/8 per cento ci guadagnerebbero tutti; forse alcuni di più, altri di meno, ma staremmo comunque tutti molto meglio. Ma senza aumento del PIL non è possibile un aumento dell'occupazione. In una fase di ripresa, le imprese inizialmente fanno lavorare di più i lavoratori già occupati e ne assumono di nuovi dopo qualche tempo. Questo è il motivo per il quale le variazioni dell'occupazione seguono quelle dell'attività economica con un ritardo di circa dodici mesi (il ritardo si verifica in entrambi i sensi; quando l'attività economic declina, le imprese non licenziano subito, ma solo dopo parecchi mesi quando il rallentamento è chiaro e forte). Ma senza crescita economica l'occupazione non può crescere. Solo gli stregoni (evidentemente opinione mia personale) della "decrescita felice" sostengono un'assurdità simile. In ogni caso non se ne vedono esempi storrici (faccio astrazione da piccole variazioni statistiche qui e la che possono essere la conseguenza di nuova legilazione sui contratti o nuovi metodi di rilevazione statistica). Non esiste nessuno al mondo che sostenga che lo stato non debba intervenire per assicurare un risultato più equo di quello che il solo mercato possa produrre. Tuttigli stati intervengono e come, dagli Stati Uniti a Singapore passando evidentemente per tutti gli stati europei. Quindi nessuno, ma veramente nessuno sostiene che la crescita da sola risolva tutti i problemi. Ma senza crescita non si risolve nessun problema. Se a sinistra non usciamo da questo circolo vizioso del ritenere che la crescita economica sia qualcosa di negativo (per alcuni quasi "peccaminoso") e, in ogni caso, impossibile da ottenere, non potremo mai offrire agli elettori una prospettiva di miglioramento realistica. Ci affosseremo sempre più nel sogno impossibile di un isolamento progressivo dall'economia mondiale. E non vinceremo mai le elezioni perché la maggioranza degli elettori non vuole star peggio di come sta oggi (guarda il post sui sondaggi sulla Merkel che ho postato a pagina 4 della discussione "Diario agosto"). Salvatore Venuleo ha detto: Anch'io ripeto la mia posizione. Non mi risulta che la cosiddetta "crescita economica", garantisca meno povertà e meno disoccupazione. La distribuzione dei redditi (equità), le regole del mercato del lavoro e le protezioni sociali non sono un dettaglio. Tu dirai che comunque queste cose hanno senso ed efficacia se la torta cresce. Io dirò che la torta può diventare enorme e lasciare i più (sempre più) a frugare fra gli avanzi. Ah, quante anime nel Pd e nelle sue vicinanze! Ciao, Fabio.

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Fabio Colasanti ha detto: Salvatore, ripeto la mia posizione. a) Penso che in Italia ci siano mille cose da fare, non solo quelle che impattano direttamente sull'economia, b) ma penso anche che la priorità delle priorità oggi sia l'economia. Abbiamo un livello pauroso di disoccupazione e una povertà crescente. Questi problemi si risolvono solo con la crescita economica

Risposto da Giampaolo Carboniero su 4 Agosto 2013 a 1:05 E allora, oltre che di economia, ribadisco la mia posizione che la ritiene un sottoprodotto di altri comportamenti della società, cominciamo a decidere quali, tra le riforma auspicate, come dici, da economisti, osservatori e organizzazioni internazionali, io aggiungerei anche qualche buona testa nostrana, circa il funzionamento della giustizia civile, la lotta alla corruzione, la qualità delle scuole e dell'Università, l'insufficiente finanziamento della ricerca, la qualità delle infrastrutture, l'inefficienza della PA, l'inesistenza di un mercato delle case in affitto, aggiungerei i problemi energetici, la manutenzione idrogeologica, e mille altre cose; quali, dicevo, tra queste riforme affrontiamo per prima, e in che maniera, considerando che dovremmo costruire un ordine di priorità e renderle coerenti fra loro, oltre che funzionali alla specificità del nostro paese. Sulle misure economiche abbiamo già chiarito di essere su sponde opposte ( io, essendo ignorante in materia, ascolto i suggerimenti di alcuni premi Nobel dell'economia, tu segui, mi sembra, pedissequamente, le ricette proposte dalla scuola economica che va per la maggiore ( che si è formata in questi ultimi 40-50 anni e che io considero funzionale agli interessi di certi ristretti gruppi sociali, formatisi, appunto, dagli anni '70 in poi ). Mi piacerebbe conoscere le tue opinioni, pertanto, sulla scala di priorità delle riforme proposte, i mezzi per attuarle, e il come, motivando sia le priorità che i mezzi e i modi; vedremo allora dove l'economia risulterà essere posizionata in questa scala ordinata, funzionale e coerente ( visto che tantissime riforme sarebbero a costo zero o quasi e produrrebbero risultati anche economici).

Risposto da Giampaolo Carboniero su 4 Agosto 2013 a 1:11 Giampaolo, Salvatore, Giampaolo, ciao. Salvatore Venuleo ha detto: Tu ti dici d'accordo con Giampiero ma poi non lo sembri più. Giampiero sostiene (e sono d'accordissimo con lui) che non dobbiamo guardare solo all'economia. E dice che se anche guardiamo all'economia, dobbiamo capire che l'economia discende da altri fattori ancor più che da se stessa. Li enumero così': innanzitutto fiducia nella coesione nazionale, impegno in un progetto condiviso di cambiamento, giustizia giusta e rapida, semplificazioni, diritto reale al lavoro per tutti (costi quel che costi), difesa dell'ambiente e del patrimonio culturale, mobilità protetta e garantita del fattore lavoro, ri-alfabetizzazione degli italiani. Se facessimo questo, ci lasceremmo alle spalle Cina, Germania, Usa, etc. Poi l'Italia ricca e generosa, ricca anche perché generosa ovvero che non perde tempo in cosucce, andrebbe in soccorso dei paesi sviluppati. Fabio Colasanti ha detto: Giampaolo, ( ... )

Risposto da Fabio Colasanti su 4 Agosto 2013 a 2:31 Giampaolo,

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non capisco la tua domanda. L'economia, la crescita economica non è qualcosa che possa essere al terzo o al quarto posto delle priorità "dopo la sanità e prima della scuole", o al quinto posto "dopo la giustizia" o, secondo altriancora, al primo posto. La crescita economica è una necessità trasversale che accompagna tutto quello che preoccupa una società, che fa un governo. La crescita economica è necessaria per tre ragioni principali: a) perché senza crescita economica non si creano posti di lavoro e la disoccupazione è un dramma sociale. L'Italia è, dopo Malta, il paese con il più basso tasso di "occupazione" in Europa. Questo risultato drmmatico è la contropartita del fatto che l'Italia è, negli ultimi quindici anni, il paese industrializzato con il più basso tasso di crescita. Avrai visto i tanti grafici che ho postato e che mostrano il drammatico declino economico italiano. Siamo passati in venti anni dall'essere un paese che era il venti per cento più ricco della media euopea ad un paese che è oggi al di sotto di questa media. b) perché senza crescita economica non ci sono le risorse necessarie per fare le mille cose di cui abbiamo bisogno nella nostra società: dall'introduzione di meccanismi decenti di assistenza sociale, alla protezione del territorio, passando per la costruzione di infrastrutture ed una maggior spesa per la ricerca e l'università. c) nel caso italiano, c'è poi un urgente bisogno di crescita anche per cominciare ad abbattere la palla al piede rappresentata dall'enorme debito pubblico che ci trasciniamo dietro. Quindi il problema di inserire la "crescita economica" tra le priorità di politica economica non si pone. La crescita economica è una cosa di cui abbiamo bisogno sempre; incoraggiarla deve essere una costante di tutta la nostra politica. Nel caso particolare italiano, l'urgenza di fare qualcosa per la crescita è molto maggiore che per ogni altro pase europeo o mondiale. La crescita economica è una condizione necessaria, ma non sufficiente alla creazione di una società migliore. Ripeto, non è sufficiente, ma è assolutamente necessaria. Esiste poi una relazione tra le mille cose da fare e la crescita economica. Nella grandissima maggioranza dei casi, le mille cose che si debbono fare in Italia sono cose che sostengono la crescita. Cresce di più un paese dove non c'è corruzione, dove la giustizia è rapida ed efficace, dove ci sono poche tensioni sociali perché c'è un buon sistema di assistenza sociale e dove il mercato del lavoro è più flessibile perché ci sono buoni ammortizzatori sociali. Cresce di più un paese dove la sanità funziona bene, dove la scuola è di buona qualità, dove l'università fornisce eccellenza e dove lo stato investe in ricerca e favorisce l'innovazione. Cresce di più un paese dove la criminalità è bassa, dove il mercato dell'affitto funziona bene e la gente può cambiare residenza quando vuole, dove ci sono buone infrastrutture, dove ci sono bassi rischi di inondazioni e di altri disastri e dove l'amministrazione pubblica è efficiente. In tutti questi casi, più si fa per migliorare la situazione nei campi elencati, più si sostiene la crescita Ma ci sono però anche dei casi dove dobbiamo essere coscienti del fatto che il raggiungimento di certi obiettivi ha un costo in termini di crescita economica o che esistono diverse maniere di raggiungere gli stessi obiettivi con conseguenze diverse sulla crescita. Prendo come un esempio un tema cui abbiamo già discusso varie volte: il costo dell'energia. Stasera nel dossier del Tg2 hanno ricordato che il costo dell'energia in Italia è molto più alto di quello, per esempio, negli Stati Uniti: il doppio per l'energia elettrica ed il triplo per il gas. Il costo dell'energia in Italia è anche sensibilmente più alto che negli altri paesi europei. E' stato spiegato che una delle ragioni per questo costo più alto è il nostro rifiuto del nucleare ed il livello molto alto delle sovvenzioni all'energia eolica e all'energia fotovoltaica. Questo costo maggiore ha sicuramente un effetto di freno sulla crescita. È assolutamente legittimo decidere di accettare questo costo per motivi più importanti (per esempio, il fatto di diminuire le emissioni di anidride carbonica), ma non si può negare che questo costo esista e che questo effetto di freno ci sia. Si potevano scegliere anche vie diverse. La scelta di abbandonare il nucleare e di sostenere l'eolico e il fotovoltaico sono state prese dalla comunità nazionale nel suo interesse. Ma invece di rigettare il maggior prezzo sui consumatori - famiglie e imprese - si poteva stabilire che il maggior costo fosse sopportato dall'intera comunità nazionale finanziandolo con trasferimenti dal bilancio dello stato (quindi facendolo finanziare dalla tassazione generale) senza aggravare la competitività della nostra industria. Sarebbe stato molto più logico e avrebbe ridotto considerevolmente - ma non del tutto - l'effetto negativo sulla crescita. Ci sono anche altri casi dello stesso tipo. Ogni volta che si prende una misura ci si deve chiedere se non si è in uno dei casi dove il raggiungimento di un certo obiettivo potrebbe avere un costo in termini di crescita ed occupazione. Per questo si devono fare obbligatoriamente le analisi d'impatto e poi si deciderà a ragion veduta. Ma è certo che paesi con una situazione migliore dal punto di vista dell'occupazione e dei bisogni possono permettersi "trade offs" migliori di quelli che possiamo permetterci noi. Noi dobbiamo, in questi casi difficili, dare una preferenza più forte alla crescita economica.

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Il mio modello di società sono le economie scandinave che hanno raggiunto alti livelli di solidarietà, di protezione dell'ambiente e di protezione dei consumatori grazie al fatto di aver abbracciato pienamente l'economia di mercato. La Danimarca è alla pari con gli Stati Uniti, Singapore e la Nuova Zelanda come paese dove è più facile lanciare attività imprenditoriali. Per quanto riguarda le mie conoscenze di economia mi sono certo formato quaranta anni fa, ma ti assicuro che non ho perso il contatto con gli sviluppi recenti. Mi sono laureato a Roma - bene - con il professor Federico Caffé avendo come assistente che mi ha seguito nella preparazione della tesi di laurea Ezio Tarantelli. Con Ezio Tarantelli eravamo poi diventati amici e ci siamo frequentati anche quando io ho cominciato a lavorare come economista alla Commissione europea nel 1977. Per questo divento livido quando sento parlare delle Brigate Rosse e non tollero nessuna simpatia nei confronti di questi disgraziati. Ho anche seguito un corso post-universitario di economia di un anno al Collegio d'Europa di Bruges. Alla Commissione europea mi sono occupato per oltre venti anni della situazione delle finanze pubbliche italiane (facevo parte delle "troike" di allora), del Sistema monetario europeo, dei suoi riallineamenti, della creazione dell'unione monetaria e sono poi diventato negli anni novanta la persona che coordinava la produzione dei documenti di macroeconomia della Commissione. Il capitolo macroeconomico del Libro Bianco di Jacques Delors del 1993 l'ho scritto io personalmente (sotto il controllo di tante altre persone a cominciare da Delors stesso). Ho lasciato la macroeconomia attiva quando sono diventato direttore generale nel 2000, ma non ho certo smesso di seguirla. L'ultimo seminario al quale ho partecipato - unione bancaria, riequilibri delle bilance dei pagamenti e relazioni tra politica monetaria e gestione del debito pubblico - è stato a Loveno di Menaggio dal 18 al 21 luglio scorso. Ero uno dei tre organizzatori.

Risposto da giovanni de sio cesari su 4 Agosto 2013 a 10:36 Salvatore Certamente, hai ragione: il rapporto struttura sovrastruttura è stato discusso per un secolo all’interno anche del movimento marxista. E certamente l’economia per Marx non è il PIL, ma i rapporti di produzione (direi : il modo con il quale si produce ). Tuttavia mi pare che il rapporto fra l’economia e le altre esigenze di cui si discuteva corrispondeva proprio a quello maxista di strattura e sovrastruttura. Per i sisteni elettorali: quello della prima repubblica fu superato proprio perche produceva instabilità continua (durata media di un governo : un anno). Anche il porcellum era un tentativo di superare la instabilità : magari se fosse stato esteso al senato ora avremmo un governo PD. Però io credo che un sistema elettorale non sia risolutivo perche i partiti i gruppi si adattano: si uniscono per acchiappare il premio di maggioranza e subito dopo si dividono rendendo vana ogni possibilità di azione incisiva : fino ad ora è sempre successo cosi. C redo che occorrerebbe un presidenzialismo sull’esempio dell’elezione del sindaco. Andrebbero poi rivisti tutti quegli istituti pesi e contrappesi che i padri Costituzuionali idearono per un contrappeso alla dittatura fascista e che attualmente rendono difficilissima ogni azione Salvatore Venuleo ha detto: Mi pare che Marx e i marxisti abbiano anche polemizzato contro una concezione "unidirezionale", "deterministica" riguardo il rapporto fra struttura e sovrastruttura. Marx diceva di non essere marxista. E comunque "economia" o "struttura" non sarebbe tanto Pil quanto "rapporti di produzione". Quasi certamente non sono marxista. Benché cauto a buttare a mare l'immensa intelligenza contenuta nelle sue opere. Ancora abbastanza attuale. Più attuale rispetto ad altri pensatori prima di lui che ancora citiamo (Vico, Machiavelli, etc. per non scomodare il cristianesimo). Riguardo la riforma costituzionale, sono parzialmente d'accordo. Più decisiva sicuramente sarebbe la riforma elettorale. Quale? O in avanti con l'uninominale a doppio turno. O indietro verso l'intelligenza della prima Repubblica. Sono pieno di dubbi su questa alternativa. Certamente la prima Repubblica non ha conosciuto l'idolatria di un solo uomo al comando. Il leader era il punto di equilibrio provvisorio di rapporti di forza. E non esisteva la diffusa epidemia della perdita di autostima di troppi uomini che si sentono nulla senza Lui. E' un fenomeno che angoscia e lascia senza parole.

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Risposto da giovanni de sio cesari su 4 Agosto 2013 a 10:43 Fabio, per dirla come Xiao Ping (a mio giudizio il più grande politico del secolo scorso) “ se il comunismo significa benessere del popolo non è contrario ad esso che alcuni raggiungono prima il benessere e aiutano gli altri a raggiungerlo “. Tuttavia questo vale per la crescita: nelle decadenze invece le disuguaglianze tendono fatalmente ad aumentare. Ora Fabio (gli economisti) e Giorgio (con i suoi incisivi esempi concreti ) dicono che occorrono riforme e crescita: ma non prendono in esame il caso che le riforme non si facciano e che una crescita sostanziosa quindi non si ci sarà. A me pare invece purtroppo il caso più probabile e mi chiedo: (in questi caso deprecabilissimo) cosa si potrebbe fare, cosa accadrebbe. Fabio Colasanti ha detto: Salvatore, effettivamente ci potrebbe essere un fortissimo e rapido aumento - peraltro molto improbabile - delle disuguaglianze dei redditi che concentri tutta la nuova ricchezza in alcuni gruppi. In questo caso la ricchezza media (PIL pro capite) potrebbe aumentare senza che il livello di povertà di parte della popolazione sia modificato. Ma cambiamenti nella diseguaglianza dei redditi sono lenti nel tempo. Se nei prossimi due/tre anni il PIL italiano aumentasse, mettiamo, del 7/8 per cento ci guadagnerebbero tutti; forse alcuni di più, altri di meno, ma staremmo comunque tutti molto meglio. Ma senza aumento del PIL non è possibile un aumento dell'occupazione. In una fase di ripresa, le imprese inizialmente fanno lavorare di più i lavoratori già occupati e ne assumono di nuovi dopo qualche tempo. Questo è il motivo per il quale le variazioni dell'occupazione seguono quelle dell'attività economica con un ritardo di circa dodici mesi (il ritardo si verifica in entrambi i sensi; quando l'attività economic declina, le imprese non licenziano subito, ma solo dopo parecchi mesi quando il rallentamento è chiaro e forte). Ma senza crescita economica l'occupazione non può crescere. Solo gli stregoni (evidentemente opinione mia personale) della "decrescita felice" sostengono un'assurdità simile. In ogni caso non se ne vedono esempi storrici (faccio astrazione da piccole variazioni statistiche qui e la che possono essere la conseguenza di nuova legilazione sui contratti o nuovi metodi di rilevazione statistica). Non esiste nessuno al mondo che sostenga che lo stato non debba intervenire per assicurare un risultato più equo di quello che il solo mercato possa produrre. Tutti gli stati intervengono e come, dagli Stati Uniti a Singapore passando evidentemente per tutti gli stati europei. Quindi nessuno, ma veramente nessuno sostiene che la crescita da sola risolva tutti i problemi. Ma senza crescita non si risolve nessun problema. Se a sinistra non usciamo da questo circolo vizioso del ritenere che la crescita economica sia qualcosa di negativo (per alcuni quasi "peccaminoso") e, in ogni caso, impossibile da ottenere, non potremo mai offrire agli elettori una prospettiva di miglioramento realistica. Ci affosseremo sempre più nel sogno impossibile di un isolamento progressivo dall'economia mondiale. E non vinceremo mai le elezioni perché la maggioranza degli elettori non vuole star peggio di come sta oggi (guarda il post sui sondaggi sulla Merkel che ho postato a pagina 4 della discussione "Diario agosto").

Risposto da Fabio Colasanti su 4 Agosto 2013 a 12:15 Giovanni, un'osservazione e un tentativo di risposta alla tua domanda. L'osservazione è che la riduzione e l'aumento delle disuguaglianza nei redditi all'interno dei paesi sono provocate da fattori più fondamentali che la crescita economica o le recessioni. All'interno dei paesi abbiamo visto una riduzione progressiva delle differenze di reddito - con alti e bassi, ma con un trend chiaro - tra la fine del 19esimo secolo e la fine degli anni settanta del ventesimo secolo: ottanta-novanta anni di miglioramento progressivo e continuo della distribuzione dei redditi. Dagli anni ottanta in poi vediamo invece un nuovo aumento delle disuguaglianze. Queste due tendenze sono comuni a tutti i paesi industrializzati dagli Stati Uniti all'Europa. Tra paesi invece le differenze di

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reddito si stanno riducendo fortemente da quando la "globalizzazione" è diventata un fenomeno visibile da tutti. Hanno cominciato a crescere fortemente Asia e America Latina e adesso ci troviamo nella situazizone fortunata dove il continente con il più alto tasso di crescita è, al momento, l'Africa. Vengo alla tua domanda su cosa succede in caso di assenza di riforme. La risposta è sotto i nostri occhi; è in quello che sta succededo in Italia da quindici/venti anni: crescita bassa o nulla, disoccupazione alta e in gran parte nascosta, ripresa dell'emigrazione, soprattutto dei giovani. Deterioramento progressivo delle infrastrutture, impoverimento relativo della popolazione (hai visto il grafico di come siamo passati da un reddito pro capite superiore del 20 per cento alla media comunitaria ad uno al di sotto della media), aumento delle tensioni sociali, aumento della criminalità, fuga verso movimenti millenaristi: M5S o populisti di destra. Forse si arriverà al trauma dell'uscita dall'euro. Dopo il cataclisma dell'uscita - che ci costerà tre o quattro anni di disastro finanziario con default su debito pubblico e perdita della possibilità di avere in futuro disavanzi di bilancio e una perdita ulteriore sostanziale di PIL e occupazione - ci si assesterà su di un trend di svalutazioni e inflazione forte come negli anni ottanta e novanta. La produzione si orienterà sempre più verso prodotti a basso valore aggiunto - saremo sempre più in concorrenza con la Cina. Avremo forse un pochino di crescita in più perché con le svalutazioni otterremo per via nascosta quello che oggi siamo incapaci di accettare razionalmente: l'abbassamento dei salari. Con le svalutazioni si impoverisce tutta la nazione, con le svalutazioni si no gli aumenti salariali che i lavoratori credono di aver ottenuto con i rinnovi contrattuali. Purtroppo la memoria collettiva è quella che è. Molta gente sembra aver dimenticato quanto poveri fossimo nel passato e quanto difficile fosse per un italiano fare un viaggio all'estero fino agli anni ottanta/novanta. Ogni volta che si usciva dall'Italia andando verso il nord Europa o in America tutti i prezzi erano incredibilmente alti. Ci si sentiva poverissimi, anche le persone che in Italia pensavano di stare bene. Quando sono arrivato a Bruxelles nell'ottobre del 1977 ho scoperto che l'abbonamento al circolo del tennis mi sarebbe costato otto volte quello che pagavo a Roma. Ricordo un viaggio di lavoro a Stoccolma nell'aprile del 1977 con il vicedirettore generale della impresa per la quale lavoravo - l'Italcable Spa - e ricordo i commenti che faceva questo signore sui prezzi svedesi. Non andammo una sola volta in un bar o in un ristorante: i nostri stipendi, anche quello del vice-dirttore generale, non ce lo permettevano. Ma grazie a questi bassi stipendi l'Italia era competitiva sui mercati internazionali. Forse questa situazione che abbiamo conosciuto dopo il "miracolo economico" - che forse era solo un recupero rispetto all'arretratezza in cui ci aveva mantenuta l'autarchia del fascismo - è l'unica possibile per l'economia italiana. Ripeto spesso che ho l'impressione che molti si illudano di poter alzare il ponte levatoio e di isolare l'Italia dagli scambi mondiali. Ma poi spesso queste sono le stesse persone che parlano di uscire dall'euro. Per far che ? Per svalutare e per esportare di più sui mercati mondiali. Mi sembra ironico e perfettamente contraddittorio.

Risposto da Salvatore Venuleo su 4 Agosto 2013 a 12:21 @Fabio Capisco davvero il tuo controllato fastidio a dover ribadire il tuo curriculum superlativo in materia economica. Vorrei rassicurarti che tutti gli amici (a partire da me) sono fieri e felici di disporre della tua disponibilità. Infatti sei forse il solo che è spesso sollecitato nelle discussioni ad esprimere il proprio punto di vista. A nessuno salta in mente, giustamente, di sollecitare il parere di Salvatore. Ciò detto, l'economia non è una scienza esatta. Non tutto si può ragionevolmente sostenere, ma molte tesi alternative sì. Quasi allo stesso modo avviene per la filosofia, ad esempio. Un filosofo accademico conosce la storia della filosofia assai più dell'anonimo passante. Ed è più attento ai passaggi logici e alla correttezza del linguaggio. Ciò non garantisce affatto che la sua visione del mondo sia più rispondente al vero rispetto a quella dell'illuminato ignorante. Quest'ultimo avvantaggiato dall'essere (magari casualmente) collocato dalla vita e dalla storia in una posizione che consente il migliore punto di vista. Questa mia tesi mi appare inoppugnabile, pena ferire mortalmente i presupposti della democrazia. Contrastandola si finisce con l'abbracciare i presupposti della Repubblica di Patone in cui i governanti debbono essere necessariamente filosofi (oggi si direbbe "economisti"). Si può abbracciare. Io non l'abbraccio. Ad esempio continua ad apparirmi frutto di uno sguardo "supertecnico" ma fallace il credere ovvio (come tu fai in altra discussione) che "prima venga lo sviluppo e poi il reddito di cittadinanza". A me pare proprio il contrario. Ho cercato di dire in modo non tecnico ciò che mi appare di palmare evidenza. Non può esserci ragione alcuna per preferire di mantenere inoccupati milioni di cittadini e di preferire sostenerli con mance ed elemosine (e furti, scippi e criminalità varia) piuttosto che spendere l'equivalente in un reddito offerto in cambio di impegno alla formazione e al lavoro socialmente utile. Io chiamo questo: investimento. Per inciso considero questo punto di vista un possibile discrimine fra quella che io chiamo "sinistra" e altri punti di vista anche "democratici".

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P.S. Inutile confermare che condivido per convinzione o intuizione il 99% delle tue analisi. Resta quel pesantissimo 1% di dissenso. Il paradosso matematico vuol dire semplicemente che condividerei il 99% delle tue parole. Tranne spostare talvolta una virgola. Hai presente? Ibis redibis numquam morieris in bello. Tu metti la virgola dopo "redibis"; io dopo "numquam". Per il resto siamo d'accordo.

Risposto da Fabio Colasanti su 4 Agosto 2013 a 13:20 Salvatore, il motivo per il quale penso che il "reddito di cittadinanza" potrà essere introdotto in maniera sostanziale solo dopo che ci sarà stata una ripresa economica è semplice, intuitivo ed è ben spiegato nel pezzo de La Voce che Alberto ha postato. Oggi non ci sono le risorse. Quando ci sarà la ripresa ci saranno entrate fiscali in più che potranno essere utilizzate per l'introduzione di un reddito di cittadinanza (se la società non decide di utilizzare le nuove risorse per qualche altro scopo). Oggi per introdurre il reddito di cittadinanza devi, come proposto da La Voce, sopprimere progressivamente le pensioni sociali. Per trovare le risorse per il reddito di cittadinanza devi sopprimere altre spese. Non è facile. Avere nuove risorse per le mille cose importanti da fare è una dalle tante ragioni per le quali abbiamo assolutamente bisogno di più crescita. Senza crescita, ogni nuova spesa da luogo ad una battaglia redistributiva con costi sociali altissimi.

Risposto da giorgio varaldo su 5 Agosto 2013 a 8:44 quale risposta nel caso non si facciano riforme? quella che ho dato qualche sera fa al paesello quando c'era chi manifestava contentezza per il blocco dei lavori di potenziamento della centrale di somplago: tirate fuori dalla soffitta le valigie che avete usato quando eravate emigranti, serviranno a figli e nipoti. giovanni de sio cesari ha detto: Fabio, per dirla come Xiao Ping (a mio giudizio il più grande politico del secolo scorso) “ se il comunismo significa benessere del popolo non è contrario ad esso che alcuni raggiungono prima il benessere e aiutano gli altri a raggiungerlo “. Tuttavia questo vale per la crescita: nelle decadenze invece le disuguaglianze tendono fatalmente ad aumentare. Ora Fabio (gli economisti) e Giorgio (con i suoi incisivi esempi concreti ) dicono che occorrono riforme e crescita: ma non prendono in esame il caso che le riforme non si facciano e che una crescita sostanziosa quindi non si ci sarà. A me pare invece purtroppo il caso più probabile e mi chiedo: (in questi caso deprecabilissimo) cosa si potrebbe fare, cosa accadrebbe. Fabio Colasanti ha detto: Salvatore, effettivamente ci potrebbe essere un fortissimo e rapido aumento - peraltro molto improbabile - delle disuguaglianze dei redditi che concentri tutta la nuova ricchezza in alcuni gruppi. In questo caso la ricchezza media (PIL pro capite) potrebbe aumentare senza che il livello di povertà di parte della popolazione sia modificato. Ma cambiamenti nella diseguaglianza dei redditi sono lenti nel tempo. Se nei prossimi due/tre anni il PIL italiano aumentasse, mettiamo, del 7/8 per cento ci guadagnerebbero tutti; forse alcuni di più, altri di meno, ma staremmo comunque tutti molto meglio. Ma senza aumento del PIL non è possibile un aumento dell'occupazione. In una fase di ripresa, le imprese inizialmente fanno lavorare di più i lavoratori già occupati e ne assumono di nuovi dopo qualche tempo. Questo è il motivo per il quale le variazioni dell'occupazione seguono quelle dell'attività economica con un ritardo di circa dodici mesi (il ritardo si verifica in entrambi i sensi; quando l'attività economic declina, le imprese non licenziano subito, ma solo dopo parecchi mesi quando il rallentamento è chiaro e forte). Ma senza crescita economica l'occupazione non può crescere.

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Solo gli stregoni (evidentemente opinione mia personale) della "decrescita felice" sostengono un'assurdità simile. In ogni caso non se ne vedono esempi storrici (faccio astrazione da piccole variazioni statistiche qui e la che possono essere la conseguenza di nuova legilazione sui contratti o nuovi metodi di rilevazione statistica). Non esiste nessuno al mondo che sostenga che lo stato non debba intervenire per assicurare un risultato più equo di quello che il solo mercato possa produrre. Tutti gli stati intervengono e come, dagli Stati Uniti a Singapore passando evidentemente per tutti gli stati europei. Quindi nessuno, ma veramente nessuno sostiene che la crescita da sola risolva tutti i problemi. Ma senza crescita non si risolve nessun problema. Se a sinistra non usciamo da questo circolo vizioso del ritenere che la crescita economica sia qualcosa di negativo (per alcuni quasi "peccaminoso") e, in ogni caso, impossibile da ottenere, non potremo mai offrire agli elettori una prospettiva di miglioramento realistica. Ci affosseremo sempre più nel sogno impossibile di un isolamento progressivo dall'economia mondiale. E non vinceremo mai le elezioni perché la maggioranza degli elettori non vuole star peggio di come sta oggi (guarda il post sui sondaggi sulla Merkel che ho postato a pagina 4 della discussione "Diario agosto").

Risposto da giorgio varaldo su 5 Agosto 2013 a 13:09 sarebbe interessante se fassina provasse a spiegare magari con dei numeri come ridurre il debito pubblico. o non è che osteggiando la privatizzazione di aziende che come FINMECCANICA non rendono all'erario neanche un centesimo si prepara ad occupare (o lui o qualche parente) il posto di belsito? Giorgio Mauri ha detto: PRIVATIZZAZIONI http://www.unita.it/italia/quale-pd/privatizzare-eni-e-enel-br-da-f... Privatizzare Eni e Enel? Da Fassina no a Renzi Di Bianca Di Giovanni 1 agosto 2013 Sinceramente non capisco la polemica. Era solo un’ipotesi, ma non faccio le barricate su questo». Yoram Gutgeld, membro Pd della commissione Finanze alla Camera, commenta con distacco la raffica di reazioni suscitata dalla sua proposta di vendere quote Eni e Enel. La replica di Stefano Fassina è stata lapidaria: «Il Pd è radicalmente contrario a ipotesi di privatizzazione di società a partecipazione statale come Eni, Finmeccanica, Enel e di tutte le altre principali partecipate». Non si è fatta attendere neanche la presa di distanza di un lettiano di ferro come Francesco Boccia: «L'ipotesi di privatizzazioni delle società a partecipazione statale come Eni, Finmeccanica, Enel e le altre principali partecipate non è un tema all'ordine del giorno per l'Italia. Per fortuna, non esiste nessuna necessità di vendere i gioielli di famiglia che sono peraltro fondamentali per il rilancio delle politiche industriali». A chiudere il cerchio, l’esternazione del responsabile economico del aprtito Matteo Colaninno. «ok alle privatizzazioni, ma solo di asset non strategici e di patrimonio immobiliare». Questa la linea della segreteria, e anche dell’esecutivo Letta. Insomma, l’ipotesi, contenuta in una slide presentata in un convegno di due giorni fa, ha provocato un mezzo terremoto mediatico all’interno del Pd, alimentato anche dal fatto che il convegno in questione era dei renziani, che si sono ritrovati a subire il fuoco di fila dell’attuale maggioranza. «Nessuna voglia di fare polemiche, il Pd non ne ha certo bisogno - dichiara Dario Nardella, tra i più vicini al sindaco di Firenze - Si trattava di un convegno in cui si sono fatte diverse ipotesi». Anche Gutgeld getta acqua sul fuoco. «Il mio ragionamento è questo - spiega - L’Italia ha bisogno di abbassare le tasse al più presto. Impossibile farlo con tagli intelligenti, perché ci vuole tempo. Stessa cosa per la lotta all’evasione. Dunque, cosa fare? L’unica cosa che si può fare subito è la vendita di patrimonio: ricavare 12-15 miliardi per cominciare ad abbassare l’Irpef sul primo scaglione di reddito. A questo punto le ipotesi possono essere diverse opzioni. Mi è venuta in mente subito quella di Eni e Enel perché è quella più facile. Io penso comunque che si possono trovare soluzioni tecniche per vendere delle quote, mantenendo in capo allo Stato un potere di controllo, come è accaduto con Telecom attraverso la golden share». A dirla proprio tutta, sulla golden share l’Italia ha già perecchi problemi con l’Ue, e l’esempio Telecom sarebbe da evitare quando si parla di privatizzazioni vista la mole di debiti che si è abbattuta sul gruppo da quando lo Stato ha lasciato il campo ai privati. Ma per Gutgeld il punto non sta qui. «Vogliamo o non vogliamo abbassare subito le tasse? - insiste - Allora dobbiamo trovare subito delle risorse. L’unico modo per farlo è questo. Rispetto che non vuole vendere queste aziende, è una posizione legittima. Si può scegliere allora di vendere qualcos’altro, per me è importante il contesto in cui si fa questa operazione». Davvero poco credibile

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che si consideri la scelta su Eni e Enel un dato secondario, soprattutto nel centrosinistra. «Io pensavo che fosse fondante per il centrosinistra la difesa dello Stato sociale e quella delle fasce deboli - replica il parlamentare Pd - Ma se vogliamo metterci anche le aziende energetiche, non mi oppongo. Era solo un esempio. Ripeto: si può sempre trovare la soluzione tecnica per ricavare risorse e mantenere dentro la presenza dello Stato». Resta il fatto che difficilmente l’Europa accetterebbe un taglio di tasse (misura strutturale) coperto con un intervento una tantum. «Ecco, questa è un’obiezione giusta - continua Gutgeld - Ma visto che si parla tanto di trattare con l’Europa, bisognerebbe farlo su questo. Ovvero, consentire che un Paese in recessione vari misure temporanee orientate alla crescita. Si tratta solo di guadagnare tempo, per riuscire a operare i tagli di spesa necessari». POLEMICHE Questa la proposta di Gutgeld. Ma la scintilla privatizzazioni ormai ha attizzato un vero falò. Scelta civica se la prende con Fassina, accusandolo di non essere in linea con il programma Letta. Solo pochi giorni fa il premier dalla Grecia aveva annunciato un piano privatizzazioni da presentare in autunno. Qualche giorno prima era stato Fabrizio Saccomanni a parlarne, indicando anche i «gioielli di Stato» come possibili strumenti collaterali del debito, per abbassare i rendimenti. Insomma, qualcosa si sta muovendo nelle stanze del governo. Anche se nessuno può veramente dire che Letta voglia cedere quote delle società quotate. Molto più probabile che punti ad accelerare il piano di dismissioni immobiliari già avviato da Mario Monti, attraverso due canali: una società del tesoro per la vendita e la valorizzazione dei beni demaniali, e la cassa depositi per la valorizzazione di quelli degli enti locali. Sul tavolo poi c’è l’eterna questione della privatizzazione delle Poste (oggi al 100% pubblica), di Ferrovie e di Fincantieri. Ma prima di passare alla vendita, il governo vuole rafforzare il comparto delle reti, elemento essenziale per la creazione di un mercato competitivo. Per questo sta studiando l’ipotesi di una grande società delle reti.

Risposto da Fabio Colasanti su 5 Agosto 2013 a 14:17 Giorgio, ho chiesto varie volte, e da varie settimane, che mi si spiegasse quali sono le azioni "strategiche" che lo stato potrebbe fare attraverso il possesso di queste quote azionarie (a parte nominare in posizioni dirigenziali Belsito e altri politici trombati). Ho chiesto che mi si spieghi quali sono i comportamenti di queste imprese che lo stato auspica e che non sarebbe possibile ottenere attraverso i poteri normali dello stato (leggi, norme e azione delle autorità di regolamentazione), ma che diventerebbero possibili grazie al controllo di una parte delle azioni. Ho anche chiesto che mi si indichi un solo esempio, tratto dall'esperienza degli ultimi trenta anni, di un tale utilizzo strategico delle quote azionarie. Sto aspettando ancora. giorgio varaldo ha detto: sarebbe interessante se fassina provasse a spiegare magari con dei numeri come ridurre il debito pubblico. o non è che osteggiando la privatizzazione di aziende che come FINMECCANICA non rendono all'erario neanche un centesimo si prepara ad occupare (o lui o qualche parente) il posto di belsito? Giorgio Mauri ha detto: PRIVATIZZAZIONI http://www.unita.it/italia/quale-pd/privatizzare-eni-e-enel-br-da-f... Privatizzare Eni e Enel? Da Fassina no a Renzi Di Bianca Di Giovanni 1 agosto 2013 Sinceramente non capisco la polemica. Era solo un’ipotesi, ma non faccio le barricate su questo». Yoram Gutgeld, membro Pd della commissione Finanze alla Camera, commenta con distacco la raffica di reazioni suscitata dalla sua proposta di vendere quote Eni e Enel. La replica di Stefano Fassina è stata lapidaria: «Il Pd è radicalmente contrario a ipotesi di privatizzazione di società a partecipazione statale come Eni, Finmeccanica, Enel e di tutte le altre principali partecipate». Non si è fatta attendere neanche la presa di distanza di un lettiano di ferro come Francesco Boccia: «L'ipotesi di privatizzazioni delle società a

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partecipazione statale come Eni, Finmeccanica, Enel e le altre principali partecipate non è un tema all'ordine del giorno per l'Italia. Per fortuna, non esiste nessuna necessità di vendere i gioielli di famiglia che sono peraltro fondamentali per il rilancio delle politiche industriali». A chiudere il cerchio, l’esternazione del responsabile economico del aprtito Matteo Colaninno. «ok alle privatizzazioni, ma solo di asset non strategici e di patrimonio immobiliare». Questa la linea della segreteria, e anche dell’esecutivo Letta. Insomma, l’ipotesi, contenuta in una slide presentata in un convegno di due giorni fa, ha provocato un mezzo terremoto mediatico all’interno del Pd, alimentato anche dal fatto che il convegno in questione era dei renziani, che si sono ritrovati a subire il fuoco di fila dell’attuale maggioranza. «Nessuna voglia di fare polemiche, il Pd non ne ha certo bisogno - dichiara Dario Nardella, tra i più vicini al sindaco di Firenze - Si trattava di un convegno in cui si sono fatte diverse ipotesi». Anche Gutgeld getta acqua sul fuoco. «Il mio ragionamento è questo - spiega - L’Italia ha bisogno di abbassare le tasse al più presto. Impossibile farlo con tagli intelligenti, perché ci vuole tempo. Stessa cosa per la lotta all’evasione. Dunque, cosa fare? L’unica cosa che si può fare subito è la vendita di patrimonio: ricavare 12-15 miliardi per cominciare ad abbassare l’Irpef sul primo scaglione di reddito. A questo punto le ipotesi possono essere diverse opzioni. Mi è venuta in mente subito quella di Eni e Enel perché è quella più facile. Io penso comunque che si possono trovare soluzioni tecniche per vendere delle quote, mantenendo in capo allo Stato un potere di controllo, come è accaduto con Telecom attraverso la golden share». A dirla proprio tutta, sulla golden share l’Italia ha già perecchi problemi con l’Ue, e l’esempio Telecom sarebbe da evitare quando si parla di privatizzazioni vista la mole di debiti che si è abbattuta sul gruppo da quando lo Stato ha lasciato il campo ai privati. Ma per Gutgeld il punto non sta qui. «Vogliamo o non vogliamo abbassare subito le tasse? - insiste - Allora dobbiamo trovare subito delle risorse. L’unico modo per farlo è questo. Rispetto che non vuole vendere queste aziende, è una posizione legittima. Si può scegliere allora di vendere qualcos’altro, per me è importante il contesto in cui si fa questa operazione». Davvero poco credibile che si consideri la scelta su Eni e Enel un dato secondario, soprattutto nel centrosinistra. «Io pensavo che fosse fondante per il centrosinistra la difesa dello Stato sociale e quella delle fasce deboli - replica il parlamentare Pd - Ma se vogliamo metterci anche le aziende energetiche, non mi oppongo. Era solo un esempio. Ripeto: si può sempre trovare la soluzione tecnica per ricavare risorse e mantenere dentro la presenza dello Stato». Resta il fatto che difficilmente l’Europa accetterebbe un taglio di tasse (misura strutturale) coperto con un intervento una tantum. «Ecco, questa è un’obiezione giusta - continua Gutgeld - Ma visto che si parla tanto di trattare con l’Europa, bisognerebbe farlo su questo. Ovvero, consentire che un Paese in recessione vari misure temporanee orientate alla crescita. Si tratta solo di guadagnare tempo, per riuscire a operare i tagli di spesa necessari». POLEMICHE Questa la proposta di Gutgeld. Ma la scintilla privatizzazioni ormai ha attizzato un vero falò. Scelta civica se la prende con Fassina, accusandolo di non essere in linea con il programma Letta. Solo pochi giorni fa il premier dalla Grecia aveva annunciato un piano privatizzazioni da presentare in autunno. Qualche giorno prima era stato Fabrizio Saccomanni a parlarne, indicando anche i «gioielli di Stato» come possibili strumenti collaterali del debito, per abbassare i rendimenti. Insomma, qualcosa si sta muovendo nelle stanze del governo. Anche se nessuno può veramente dire che Letta voglia cedere quote delle società quotate. Molto più probabile che punti ad accelerare il piano di dismissioni immobiliari già avviato da Mario Monti, attraverso due canali: una società del tesoro per la vendita e la valorizzazione dei beni demaniali, e la cassa depositi per la valorizzazione di quelli degli enti locali. Sul tavolo poi c’è l’eterna questione della privatizzazione delle Poste (oggi al 100% pubblica), di Ferrovie e di Fincantieri. Ma prima di passare alla vendita, il governo vuole rafforzare il comparto delle reti, elemento essenziale per la creazione di un mercato competitivo. Per questo sta studiando l’ipotesi di una grande società delle reti.

Risposto da Giorgio Mauri su 5 Agosto 2013 a 14:35 Fabio, gli esempi che chiedi non ci sono (non so se quello della Renault sia un caso di interesse). Purtroppo ci sono, però, gli esempi "opposti". Come citato anche nell'articolo: "A dirla proprio tutta, sulla golden share l’Italia ha già perecchi problemi con l’Ue, e l’esempio Telecom sarebbe da evitare quando si parla di privatizzazioni vista la mole di debiti che si è abbattuta sul gruppo da quando lo Stato ha lasciato il campo ai privati." Ma sono da aggiungere Società Autostrade, Alitalia, i "casini" procurati dall'ILVA, il regalo di Alfa Romeo, le manovre che videro al centro la Cirio (con Prodi, De Benedetti, caso Tanzi & Parmalat).

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Quindi, per cortesia, anzi che chiedere da tempo cose opinabili, fai tu la lista delle privatizzazioni e i relativi guadagni/perdite dello stato : i numeri li hai a disposizione, tutti. Non dico tanto, ma almeno un caso di privatizzazione che abbia colto nel segno spero proprio che tu sia in grado di portarla. Una, una sola. Fabio Colasanti ha detto: Giorgio, ho chiesto varie volte, e da varie settimane, che mi si spiegasse quali sono le azioni "strategiche" che lo stato potrebbe fare attraverso il possesso di queste quote azionarie (a parte nominare in posizioni dirigenziali Belsito e altri politici trombati). Ho chiesto che mi si spieghi quali sono i comportamenti di queste imprese che lo stato auspica e che non sarebbe possibile ottenere attraverso i poteri normali dello stato (leggi, norme e azione delle autorità di regolamentazione), ma che diventerebbero possibili grazie al controllo di una parte delle azioni. Ho anche chiesto che mi si indichi un solo esempio, tratto dall'esperienza degli ultimi trenta anni, di un tale utilizzo strategico delle quote azionarie. Sto aspettando ancora. giorgio varaldo ha detto: sarebbe interessante se fassina provasse a spiegare magari con dei numeri come ridurre il debito pubblico. o non è che osteggiando la privatizzazione di aziende che come FINMECCANICA non rendono all'erario neanche un centesimo si prepara ad occupare (o lui o qualche parente) il posto di belsito? Giorgio Mauri ha detto: PRIVATIZZAZIONI http://www.unita.it/italia/quale-pd/privatizzare-eni-e-enel-br-da-f... Privatizzare Eni e Enel? Da Fassina no a Renzi Di Bianca Di Giovanni 1 agosto 2013 Sinceramente non capisco la polemica. Era solo un’ipotesi, ma non faccio le barricate su questo». Yoram Gutgeld, membro Pd della commissione Finanze alla Camera, commenta con distacco la raffica di reazioni suscitata dalla sua proposta di vendere quote Eni e Enel. La replica di Stefano Fassina è stata lapidaria: «Il Pd è radicalmente contrario a ipotesi di privatizzazione di società a partecipazione statale come Eni, Finmeccanica, Enel e di tutte le altre principali partecipate». Non si è fatta attendere neanche la presa di distanza di un lettiano di ferro come Francesco Boccia: «L'ipotesi di privatizzazioni delle società a partecipazione statale come Eni, Finmeccanica, Enel e le altre principali partecipate non è un tema all'ordine del giorno per l'Italia. Per fortuna, non esiste nessuna necessità di vendere i gioielli di famiglia che sono peraltro fondamentali per il rilancio delle politiche industriali». A chiudere il cerchio, l’esternazione del responsabile economico del aprtito Matteo Colaninno. «ok alle privatizzazioni, ma solo di asset non strategici e di patrimonio immobiliare». Questa la linea della segreteria, e anche dell’esecutivo Letta. Insomma, l’ipotesi, contenuta in una slide presentata in un convegno di due giorni fa, ha provocato un mezzo terremoto mediatico all’interno del Pd, alimentato anche dal fatto che il convegno in questione era dei renziani, che si sono ritrovati a subire il fuoco di fila dell’attuale maggioranza. «Nessuna voglia di fare polemiche, il Pd non ne ha certo bisogno - dichiara Dario Nardella, tra i più vicini al sindaco di Firenze - Si trattava di un convegno in cui si sono fatte diverse ipotesi». Anche Gutgeld getta acqua sul fuoco. «Il mio ragionamento è questo - spiega - L’Italia ha bisogno di abbassare le tasse al più presto. Impossibile farlo con tagli intelligenti, perché ci vuole tempo. Stessa cosa per la lotta all’evasione. Dunque, cosa fare? L’unica cosa che si può fare subito è la vendita di patrimonio: ricavare 12-15 miliardi per cominciare ad abbassare l’Irpef sul primo scaglione di reddito. A questo punto le ipotesi possono essere diverse opzioni. Mi è venuta in mente subito quella di Eni e Enel perché è quella più facile. Io penso comunque che si possono trovare soluzioni tecniche per vendere delle quote, mantenendo in capo allo Stato un potere di controllo, come è accaduto con Telecom attraverso la golden share». A dirla proprio tutta, sulla golden share l’Italia ha già perecchi problemi con l’Ue, e l’esempio Telecom sarebbe da evitare quando si parla di privatizzazioni vista la mole di debiti che si è abbattuta sul gruppo da quando lo Stato ha lasciato il campo ai privati. Ma per Gutgeld il punto non sta qui. «Vogliamo o non vogliamo abbassare subito le tasse? - insiste - Allora dobbiamo trovare subito delle risorse. L’unico modo per farlo è questo. Rispetto che non vuole vendere queste aziende, è una posizione legittima. Si può scegliere allora di vendere qualcos’altro, per me è importante il contesto in cui si fa questa operazione». Davvero poco credibile che si consideri la scelta su Eni e Enel un dato secondario, soprattutto nel centrosinistra. «Io pensavo che fosse fondante per il centrosinistra la difesa dello Stato sociale e quella delle fasce deboli - replica il parlamentare Pd - Ma se

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vogliamo metterci anche le aziende energetiche, non mi oppongo. Era solo un esempio. Ripeto: si può sempre trovare la soluzione tecnica per ricavare risorse e mantenere dentro la presenza dello Stato». Resta il fatto che difficilmente l’Europa accetterebbe un taglio di tasse (misura strutturale) coperto con un intervento una tantum. «Ecco, questa è un’obiezione giusta - continua Gutgeld - Ma visto che si parla tanto di trattare con l’Europa, bisognerebbe farlo su questo. Ovvero, consentire che un Paese in recessione vari misure temporanee orientate alla crescita. Si tratta solo di guadagnare tempo, per riuscire a operare i tagli di spesa necessari». POLEMICHE Questa la proposta di Gutgeld. Ma la scintilla privatizzazioni ormai ha attizzato un vero falò. Scelta civica se la prende con Fassina, accusandolo di non essere in linea con il programma Letta. Solo pochi giorni fa il premier dalla Grecia aveva annunciato un piano privatizzazioni da presentare in autunno. Qualche giorno prima era stato Fabrizio Saccomanni a parlarne, indicando anche i «gioielli di Stato» come possibili strumenti collaterali del debito, per abbassare i rendimenti. Insomma, qualcosa si sta muovendo nelle stanze del governo. Anche se nessuno può veramente dire che Letta voglia cedere quote delle società quotate. Molto più probabile che punti ad accelerare il piano di dismissioni immobiliari già avviato da Mario Monti, attraverso due canali: una società del tesoro per la vendita e la valorizzazione dei beni demaniali, e la cassa depositi per la valorizzazione di quelli degli enti locali. Sul tavolo poi c’è l’eterna questione della privatizzazione delle Poste (oggi al 100% pubblica), di Ferrovie e di Fincantieri. Ma prima di passare alla vendita, il governo vuole rafforzare il comparto delle reti, elemento essenziale per la creazione di un mercato competitivo. Per questo sta studiando l’ipotesi di una grande società delle reti.

Risposto da Fabio Colasanti su 5 Agosto 2013 a 14:37 Giorgio, ma certo che le banche licenziano. Negli ultimi venti anni le banche avevano allargato a dismisura le loro attività e adesso che i governi hanno ripreso a regolamentarle e hanno imposto limiti più stretti per le loro attività riducono le loro dimensioni. Ci mancherebbe pure che dopo aver - giustamente - strillato per anni contro l'espansione ingiustificata delle attività finanziarie ci fosse ora qualcuno a sinistra che si lamentasse perché le banche licenziano. Un minimo di coerenza, per favore. Negli Stati Uniti abbiamo visto una riduzione sostanziale delle attività bancarie. Il governo americano ha messo delle condizioni molto severe per l'utilizzazione dei 700 miliardi del TARP. Questo ha portato alla chiusura di 500 banche e alla ristrutturazione di molte banche. Oggi il volume delle "attività" (presiti e altri investimenti) delle banche americane è pari al 100 per cento del PIL americano. Nell'eurozona - dove ci sono molti più legami malsani tra politica e banche e anche tante banche pubbliche - il volume delle attività del sistema bancario è pari al 350 per cento del PIL dell'eurozona. Il sistema bancario dell'eurozona è quindi tre volte e e mezza più grande di quello americano ! I nostri governi (eurozona) non solo hanno dato alle banche ben 1700 miliardi di euro, ma non hanno mai avuto il coraggio di imporre la chiusura o la ristrutturazione delle banche che non ce la fanno più. Le tensioni di questi giorni tra Commissione europea e governo italiano sulle condizioni da imporre al MPS sono un esempio di questa situazione. Giorgio Mauri ha detto: http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/08/05/usa-crisi-e-costata-14mi... Usa, “la crisi è costata 14mila miliardi”. E le banche si riprendono licenziando ( . )

Risposto da Fabio Colasanti su 5 Agosto 2013 a 14:43

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Giorgio, se non ci sono esempi del tipo che chiedo, cosa si oppone alla vendita - a condizioni di mercato - delle azioni in Finmeccanica, Eni e di tante altre società? Il fatto che alcune privatizzazioni del passato siano state fatte male non ha nessuna rilevanza per la vendita oggi - da fare progressivamente e in piccole quantità - di azioni sul mercato. Asesso non si tratta di "privatizzare" come nel passato - operazione complessa e delicata - ma di vendere azioni sul mercato nel momento più propizio (adesso che le quotazione di borsa sono alle stelle e tanta gente dice che non può durare); si tratta di vendere azioni di società che sono già giuridicamente società private. E in più abbiamo una situazione del debito pubblico che richiede interventi urgenti. Giorgio Mauri ha detto: Fabio, gli esempi che chiedi non ci sono (non so se quello della Renault sia un caso di interesse). Purtroppo ci sono, però, gli esempi "opposti". Come citato anche nell'articolo: "A dirla proprio tutta, sulla golden share l’Italia ha già perecchi problemi con l’Ue, e l’esempio Telecom sarebbe da evitare quando si parla di privatizzazioni vista la mole di debiti che si è abbattuta sul gruppo da quando lo Stato ha lasciato il campo ai privati." Ma sono da aggiungere Società Autostrade, Alitalia, i "casini" procurati dall'ILVA, il regalo di Alfa Romeo, le manovre che videro al centro la Cirio (con Prodi, De Benedetti, caso Tanzi & Parmalat). Quindi, per cortesia, anzi che chiedere da tempo cose opinabili, fai tu la lista delle privatizzazioni e i relativi guadagni/perdite dello stato : i numeri li hai a disposizione, tutti. Non dico tanto, ma almeno un caso di privatizzazione che abbia colto nel segno spero proprio che tu sia in grado di portarla. Una, una sola.

Risposto da giorgio varaldo su 5 Agosto 2013 a 14:53 ossignur che fatica ripetere ogni volta che ILVA costava allo stato otto miliardi di lire al giorno ed alfa romeo almeno 600 all'anno , degli aiuti statali per risanare i bilanci delle aziende IRI e per chiudere il contenzioso con l'europa dell'accordo andreatta-van miert? e che nel bilancio 1992 l'IRI su un fatturato di 75.912 miliardi aveva perdite per 5.182 miliardi ovviamente ripianate da pantalone con danaro preso a prestito ad un interesse del 12% e con gli interessi che continuiamo a pagare ancor ora dopo oltre 20 anni? l'esempio renault lo sai meglio di me che non è comparabile, nessun politico francese francese si sognerebbe di dire una parola sull'attività di carlos ghosn così come nessun politico italiano si sarebbe mai sognato di mettere come AD alfa romeo un carlos ghosn!! (mica è un belsito!) Giorgio Mauri ha detto: Fabio, gli esempi che chiedi non ci sono (non so se quello della Renault sia un caso di interesse). Purtroppo ci sono, però, gli esempi "opposti". Come citato anche nell'articolo: "A dirla proprio tutta, sulla golden share l’Italia ha già perecchi problemi con l’Ue, e l’esempio Telecom sarebbe da evitare quando si parla di privatizzazioni vista la mole di debiti che si è abbattuta sul gruppo da quando lo Stato ha lasciato il campo ai privati." Ma sono da aggiungere Società Autostrade, Alitalia, i "casini" procurati dall'ILVA, il regalo di Alfa Romeo, le manovre che videro al centro la Cirio (con Prodi, De Benedetti, caso Tanzi & Parmalat). Quindi, per cortesia, fai anzi tu la lista delle privatizzazioni che hanno recato guadagno allo stato : i numeri li hai a disposizione, tutti ! Fabio Colasanti ha detto: Giorgio, ho chiesto varie volte, e da varie settimane, che mi si spiegasse quali sono le azioni "strategiche" che lo stato potrebbe fare attraverso il possesso di queste quote azionarie (a parte nominare in posizioni dirigenziali Belsito e altri politici trombati). Ho chiesto che mi si spieghi quali sono i comportamenti di queste imprese che lo stato auspica e che non sarebbe possibile ottenere attraverso i poteri normali dello stato (leggi, norme e azione delle autorità di regolamentazione), ma che diventerebbero possibili grazie al controllo di una parte delle azioni. Ho anche chiesto che mi si indichi un solo esempio, tratto dall'esperienza degli ultimi trenta anni, di un tale utilizzo strategico delle quote azionarie.

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Sto aspettando ancora. giorgio varaldo ha detto: sarebbe interessante se fassina provasse a spiegare magari con dei numeri come ridurre il debito pubblico. o non è che osteggiando la privatizzazione di aziende che come FINMECCANICA non rendono all'erario neanche un centesimo si prepara ad occupare (o lui o qualche parente) il posto di belsito?

Risposto da giovanni de sio cesari su 5 Agosto 2013 a 17:18 Fabio Complimenti per il brillante curriculum. Ma io non mi baso sui curriculum per capire quanto valgono le persone. Ho una lunga pratica in proposito durata 40 anni. Mi basta solo leggere un po' per valutare coerenza, preparazione, focalizzazione dei problemi, attinenza all’argomento, consapevolezza delle complessità. Apprezzo soprattutto in te la capacitaàdi spiegare con semplicità problemi complessi che è il segno della vera padronanza; nascondersi dietro paroloni e tecnicismi è segno di scarsa chiarezza della conoscenza. Apprezzo anche molte altri componennti di questo sito, veramente nteressante. che non cito per non dare l’impressione di dare pagelle. Fabio Colasanti ha detto: Per quanto riguarda le mie conoscenze di economia mi sono certo formato quaranta anni fa, ma ti assicuro che non ho perso il contatto con gli sviluppi recenti. Mi sono laureato a Roma - bene - con il professor Federico Caffé avendo come assistente che mi ha seguito nella preparazione della tesi di laurea Ezio Tarantelli. Con Ezio Tarantelli eravamo poi diventati amici e ci siamo frequentati anche quando io ho cominciato a lavorare come economista alla Commissione europea nel 1977. Per questo divento livido quando sento parlare delle Brigate Rosse e non tollero nessuna simpatia nei confronti di questi disgraziati. Ho anche seguito un corso post-universitario di economia di un anno al Collegio d'Europa di Bruges. Alla Commissione europea mi sono occupato per oltre venti anni della situazione delle finanze pubbliche italiane (facevo parte delle "troike" di allora), del Sistema monetario europeo, dei suoi riallineamenti, della creazione dell'unione monetaria e sono poi diventato negli anni novanta la persona che coordinava la produzione dei documenti di macroeconomia della Commissione. Il capitolo macroeconomico del Libro Bianco di Jacques Delors del 1993 l'ho scritto io personalmente (sotto il controllo di tante altre persone a cominciare da Delors stesso). Ho lasciato la macroeconomia attiva quando sono diventato direttore generale nel 2000, ma non ho certo smesso di seguirla. L'ultimo seminario al quale ho partecipato - unione bancaria, riequilibri delle bilance dei pagamenti e relazioni tra politica monetaria e gestione del debito pubblico - è stato a Loveno di Menaggio dal 18 al 21 luglio scorso. Ero uno dei tre organizzatori.

Risposto da giovanni de sio cesari su 5 Agosto 2013 a 17:22 Fabio, un quadro nero, certamente, ma molto attendibile. Tuttavia mi pare che questa sia l’esito se le cose continueranno a procedere come procedono ora: la rana a fuoco lento di Chomski. E’ possibile cambiare il corso delle cose? Dirai ancora : si, fare le riforme, naturalmente. Non c’è dubbio. Ma io ripeterei che le riforme in questa situazione NON si fanno (questo è il punto). Allora potremmo ad esempio pagare tutti insieme i 120 miliardi di debito verso le aziende, uscire dall’euro, fare default, tagliare al 50% tutte le pensioni Insomma rischiare di andare alla catastrofe senza scivolarci continuamente e implacabilmente per 20 anni. Non è un “cupio dissolvi”: ma il tentativo di ricominciare daccapo perche alla fine noi abbiamo risorse materiali e umane che non riusciamo a utilizzare perche siamo come ingessati nei mille insormontabili privilegi corporativi : solo rompendo tutto si potrebbe iniziare nuovamente.

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Questa è la domano che mi pongo. Fabio Colasanti ha detto: Giovanni, un'osservazione e un tentativo di risposta alla tua domanda. L'osservazione è che la riduzione e l'aumento delle disuguaglianza nei redditi all'interno dei paesi sono provocate da fattori più fondamentali che la crescita economica o le recessioni. All'interno dei paesi abbiamo visto una riduzione progressiva delle differenze di reddito - con alti e bassi, ma con un trend chiaro - tra la fine del 19esimo secolo e la fine degli anni settanta del ventesimo secolo: ottanta-novanta anni di miglioramento progressivo e continuo della distribuzione dei redditi. Dagli anni ottanta in poi vediamo invece un nuovo aumento delle disuguaglianze. Queste due tendenze sono comuni a tutti i paesi industrializzati dagli Stati Uniti all'Europa. Tra paesi invece le differenze di reddito si stanno riducendo fortemente da quando la "globalizzazione" è diventata un fenomeno visibile da tutti. Hanno cominciato a crescere fortemente Asia e America Latina e adesso ci troviamo nella situazizone fortunata dove il continente con il più alto tasso di crescita è, al momento, l'Africa. Vengo alla tua domanda su cosa succede in caso di assenza di riforme. La risposta è sotto i nostri occhi; è in quello che sta succededo in Italia da quindici/venti anni: crescita bassa o nulla, disoccupazione alta e in gran parte nascosta, ripresa dell'emigrazione, soprattutto dei giovani. Deterioramento progressivo delle infrastrutture, impoverimento relativo della popolazione (hai visto il grafico di come siamo passati da un reddito pro capite superiore del 20 per cento alla media comunitaria ad uno al di sotto della media), aumento delle tensioni sociali, aumento della criminalità, fuga verso movimenti millenaristi: M5S o populisti di destra. Forse si arriverà al trauma dell'uscita dall'euro. Dopo il cataclisma dell'uscita - che ci costerà tre o quattro anni di disastro finanziario con default su debito pubblico e perdita della possibilità di avere in futuro disavanzi di bilancio e una perdita ulteriore sostanziale di PIL e occupazione - ci si assesterà su di un trend di svalutazioni e inflazione forte come negli anni ottanta e novanta. La produzione si orienterà sempre più verso prodotti a basso valore aggiunto - saremo sempre più in concorrenza con la Cina. Avremo forse un pochino di crescita in più perché con le svalutazioni otterremo per via nascosta quello che oggi siamo incapaci di accettare razionalmente: l'abbassamento dei salari. Con le svalutazioni si impoverisce tutta la nazione, con le svalutazioni si no gli aumenti salariali che i lavoratori credono di aver ottenuto con i rinnovi contrattuali. Purtroppo la memoria collettiva è quella che è. Molta gente sembra aver dimenticato quanto poveri fossimo nel passato e quanto difficile fosse per un italiano fare un viaggio all'estero fino agli anni ottanta/novanta. Ogni volta che si usciva dall'Italia andando verso il nord Europa o in America tutti i prezzi erano incredibilmente alti. Ci si sentiva poverissimi, anche le persone che in Italia pensavano di stare bene. Quando sono arrivato a Bruxelles nell'ottobre del 1977 ho scoperto che l'abbonamento al circolo del tennis mi sarebbe costato otto volte quello che pagavo a Roma. Ricordo un viaggio di lavoro a Stoccolma nell'aprile del 1977 con il vicedirettore generale della impresa per la quale lavoravo - l'Italcable Spa - e ricordo i commenti che faceva questo signore sui prezzi svedesi. Non andammo una sola volta in un bar o in un ristorante: i nostri stipendi, anche quello del vice-dirttore generale, non ce lo permettevano. Ma grazie a questi bassi stipendi l'Italia era competitiva sui mercati internazionali. Forse questa situazione che abbiamo conosciuto dopo il "miracolo economico" - che forse era solo un recupero rispetto all'arretratezza in cui ci aveva mantenuta l'autarchia del fascismo - è l'unica possibile per l'economia italiana. Ripeto spesso che ho l'impressione che molti si illudano di poter alzare il ponte levatoio e di isolare l'Italia dagli scambi mondiali. Ma poi spesso queste sono le stesse persone che parlano di uscire dall'euro. Per far che ? Per svalutare e per esportare di più sui mercati mondiali. Mi sembra ironico e perfettamente contraddittorio.

Risposto da giovanni de sio cesari su 5 Agosto 2013 a 17:24 Giorgio, per me questa non è eventualità futura, ma una realtà del presente: un mio figlio è stato costretto ad andare all’altro capo di Italia e un altro all’altro capo del mondo. Se non hanno la valigia di cartone è solo perchè noi genitori dei tempi fortunati avevamo di che comprare una migliore. Caro Giorgio,. dieci anni fa, quando ci siamo conosciuti ( è passato tanto tempo) io non immaginavo nulla del genere: noi che da almeno cinque generazioni non avevamo mai dovuto cambiare città.

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giorgio varaldo ha detto: quale risposta nel caso non si facciano riforme? quella che ho dato qualche sera fa al paesello quando c'era chi manifestava contentezza per il blocco dei lavori di potenziamento della centrale di somplago: tirate fuori dalla soffitta le valigie che avete usato quando eravate emigranti, serviranno a figli e nipoti.

Risposto da Fabio Colasanti su 5 Agosto 2013 a 17:39 Giovanni, grazie per le gentili parole. Ma i curriculum non hanno una grande importanza e non dovrebbero essere esibiti. E' che nell'intervento al quale rispondevo avevo letto una certa critica a conoscenze economiche superate (oltre che funzionali a non so quali interessi). giovanni de sio cesari ha detto: Fabio Complimenti per il brillante curriculum. Ma io non mi baso sui curriculum per capire quanto valgono le persone. Ho una lunga pratica in proposito durata 40 anni. Mi basta solo leggere un po' per valutare coerenza, preparazione, focalizzazione dei problemi, attinenza all’argomento, consapevolezza delle complessità. Apprezzo soprattutto in te la capacitaàdi spiegare con semplicità problemi complessi che è il segno della vera padronanza; nascondersi dietro paroloni e tecnicismi è segno di scarsa chiarezza della conoscenza. Apprezzo anche molte altri componennti di questo sito, veramente nteressante. che non cito per non dare l’impressione di dare pagelle. Fabio Colasanti ha detto: Per quanto riguarda le mie conoscenze di economia mi sono certo formato quaranta anni fa, ma ti assicuro che non ho perso il contatto con gli sviluppi recenti. Mi sono laureato a Roma - bene - con il professor Federico Caffé avendo come assistente che mi ha seguito nella preparazione della tesi di laurea Ezio Tarantelli. Con Ezio Tarantelli eravamo poi diventati amici e ci siamo frequentati anche quando io ho cominciato a lavorare come economista alla Commissione europea nel 1977. Per questo divento livido quando sento parlare delle Brigate Rosse e non tollero nessuna simpatia nei confronti di questi disgraziati. Ho anche seguito un corso post-universitario di economia di un anno al Collegio d'Europa di Bruges. Alla Commissione europea mi sono occupato per oltre venti anni della situazione delle finanze pubbliche italiane (facevo parte delle "troike" di allora), del Sistema monetario europeo, dei suoi riallineamenti, della creazione dell'unione monetaria e sono poi diventato negli anni novanta la persona che coordinava la produzione dei documenti di macroeconomia della Commissione. Il capitolo macroeconomico del Libro Bianco di Jacques Delors del 1993 l'ho scritto io personalmente (sotto il controllo di tante altre persone a cominciare da Delors stesso). Ho lasciato la macroeconomia attiva quando sono diventato direttore generale nel 2000, ma non ho certo smesso di seguirla. L'ultimo seminario al quale ho partecipato - unione bancaria, riequilibri delle bilance dei pagamenti e relazioni tra politica monetaria e gestione del debito pubblico - è stato a Loveno di Menaggio dal 18 al 21 luglio scorso. Ero uno dei tre organizzatori.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 5 Agosto 2013 a 18:38 In Italia, con il malcostume e la corruzione attuali, molto difficile; domani, risolte le problematiche relative al management, la sua qualità, i metodi e i percorsi per la sua individuazione, con un governo che abbia in mente un disegno strategico, penso all'esperienza della Renault, all'agenzia unica per l'energia sudcoreana, alle migliori pratiche europee di gestione di beni comuni ( rimunicipalizzazione dgli acquedotti, p.e.), EDF (peccato abbia puntato principalmente sul nucleare), ecct.: il catalogo cui attingere non è completamente sguarnito, anche se dimagrito dalla voracità della finanza e dalla pochezza di tanti politici. Fabio Colasanti ha detto: Giorgio, ho chiesto varie volte, e da varie settimane, che mi si spiegasse quali sono le azioni "strategiche" che lo stato potrebbe fare attraverso il possesso di queste quote azionarie (a parte nominare in posizioni dirigenziali Belsito e altri politici trombati).

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Ho chiesto che mi si spieghi quali sono i comportamenti di queste imprese che lo stato auspica e che non sarebbe possibile ottenere attraverso i poteri normali dello stato (leggi, norme e azione delle autorità di regolamentazione), ma che diventerebbero possibili grazie al controllo di una parte delle azioni. Ho anche chiesto che mi si indichi un solo esempio, tratto dall'esperienza degli ultimi trenta anni, di un tale utilizzo strategico delle quote azionarie. Sto aspettando ancora.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 5 Agosto 2013 a 18:51 Io ho solo accennato al fatto che tu fai riferimento a teorie e scuole economiche di parte, non mi risulta che l'economia sia una scienza esatta, altrimenti non saremmo in queste peste ( oppure ci siamo perchè sono applicate certe teorie economiche); constato che nel mondo ci sono tanti altri autorevoli punti di vista che però, visto che non sono funzionali ai grandi interessi delle lobbies e corporations, vengono tenuti in regime di apartheid. Fabio Colasanti ha detto: Giovanni, grazie per le gentili parole. Ma i curriculum non hanno una grande importanza e non dovrebbero essere esibiti. E' che nell'intervento al quale rispondevo avevo letto una certa critica a conoscenze economiche superate (oltre che funzionali a non so quali interessi).

Risposto da giorgio varaldo su 5 Agosto 2013 a 19:02 mi auguro che per malcostume e corruzione tu intenda sopratutto l'uso delle aziende pubbliche come dispensatrici di incarichi altamente remunerati a politici trombati. i manager pubblici francesi provengono tutti dall'ENA una gran parte dei nostri si è fatta le ossa portando borse Giampaolo Carboniero ha detto: In Italia, con il malcostume e la corruzione attuali, molto difficile; domani, risolte le problematiche relative al management, la sua qualità, i metodi e i percorsi per la sua individuazione, con un governo che abbia in mente un disegno strategico, penso all'esperienza della Renault, all'agenzia unica per l'energia sudcoreana, alle migliori pratiche europee di gestione di beni comuni ( rimunicipalizzazione dgli acquedotti, p.e.), EDF (peccato abbia puntato principalmente sul nucleare), ecct.: il catalogo cui attingere non è completamente sguarnito, anche se dimagrito dalla voracità della finanza e dalla pochezza di tanti politici. Fabio Colasanti ha detto: Giorgio, ho chiesto varie volte, e da varie settimane, che mi si spiegasse quali sono le azioni "strategiche" che lo stato potrebbe fare attraverso il possesso di queste quote azionarie (a parte nominare in posizioni dirigenziali Belsito e altri politici trombati). Ho chiesto che mi si spieghi quali sono i comportamenti di queste imprese che lo stato auspica e che non sarebbe possibile ottenere attraverso i poteri normali dello stato (leggi, norme e azione delle autorità di regolamentazione), ma che diventerebbero possibili grazie al controllo di una parte delle azioni. Ho anche chiesto che mi si indichi un solo esempio, tratto dall'esperienza degli ultimi trenta anni, di un tale utilizzo strategico delle quote azionarie. Sto aspettando ancora.

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Risposto da Alessandro Bellotti su 5 Agosto 2013 a 19:08 Se si privatizzano ENI ed ENEL si incassano se va bene 2 punti di PIL. Sapete come la penso e quali secondo me i motivi per i quali l'Italia è così diversa dalla Germania. Francamente mi sembra inutile incassare 2 punti di PIL vendendo ENI ed ENEL. Si annullino o si rimandino di 10 anni investimenti e spese inutili. In primis F35 e buco in Valsusa. La storia ci insegna che le 'vendite di stato' non hanno mai aggiustato i conti pubblici. Hanno semplicemente ingrassato i soliti noti della finanza italiana. Si poteva vendere Alitalia ma qualcuno ha pensato di tenersela facendo pagare un pò di miliardi ai soliti mentre altri 'soliti', chissà percè, faranno affari. L'Italia non è un paese moralmente corretto per avventurarsi in grandi opere o grandi privatizzazioni. Prima si faccia pulizia e si pretenda che la classe politica che vende quote di aziende italiane (aziende cioè di tutti) sia fuori da ogni possibile sospetto. Finchè al governo c'è la gente che c'è ora evidentemente qualsiasi provvedimento di privatizzazione o di grandi spese deve essere fermato. Prima si faccia pulizia negli affari che sono stati fatti negli ultimi 20 anni. Vorrei che si capisse che anche MPS è stata privatizzata ed oggi ha un buco di 20 miliardi di euro. Memorabile quando il comico, dopo aver comprato 2 azioni, è andato a chiedere informazioni sull'entità del buco e il simpatizzante PD ha negato. Ma in che mani è la finanza italiana ? Chi risponde oggi dei 20 miliardi di buco di MPS ? Perchè si è consentito ad 'imprenditori' di comprarsi a debito le migliori aziende ex pubbliche ? Prima di pensare di privatizzare si impediscano comportamenti di 'sudiciume economico' e si chieda il conto del passato. Vi sembra una cosa 'normale' che si possa, in uno stato civile, realizzare utili da fantascienza svendendo il patrimonio immobiliare e si decida di 'abbassare' detti utili con stock option da quasi 1 miliardo di euro tassate al 12,50 % ? Possibile che si sia consentito per decenni alla famiglia Ligresti di dissanguare decine e decine di aziende con compensi multi milionari ? Incassare 2 punti di PIL da privatizzazioni senza mettere mano a sprechi e privilegi porta a pensare che tali privatizzazioni servano proprio per mantenere lo status quo. I 30 miliardi incassati valgono meno della metà di quanto ci costa la corruzione. Scusa Fabio, quali sarebbero le quotazioni 'alle stelle' di ENI e di ENEL ?

Risposto da giorgio varaldo su 5 Agosto 2013 a 19:19 l'economista moderno lavora su modelli matematici di previsione che fotografano l'andamento dell'economia reale. a meno di pacchiani errori di calcolo il modello elaborato da un emiliano brancaccio non può differire in modo sostanziale dallo stesso modello elaborato da giavazzi ed alesina. le differenze emergono quando si passa dalla teoria alla applicazione pratica. brancaccio vuole che la germania aumenti gli stipendi mentre altri propongono che i PIGS li riducano . dal punto di vista matematico il risultato sarebbe lo stesso mentre dal punto di vista politico le due soluzioni avrebbero un ben diverso impatto sociale. quindi sarebbe meglio non parlare di economia come scienza non esatta ma di diverse chiavi politiche di interpretazione e di possibilità reali di applicazione (esempio: anche i ciuchi sanno che le pensioni pagate con il sistema contributivo portano il sistema al disastro ma nessuno vuol far nulla per applicare il sistema retributivo) . ovvio che se come economisti si spacciano i vari gallino è meglio parlar di calcio. Giampaolo Carboniero ha detto: Io ho solo accennato al fatto che tu fai riferimento a teorie e scuole economiche di parte, non mi risulta che l'economia sia una scienza esatta, altrimenti non saremmo in queste peste ( oppure ci siamo perchè sono applicate certe teorie economiche); constato che nel mondo ci sono tanti altri autorevoli punti di vista che però, visto che non sono funzionali ai grandi interessi delle lobbies e corporations, vengono tenuti in regime di apartheid.

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Risposto da giorgio varaldo su 5 Agosto 2013 a 19:34 ho già scritto in altro post che essendo il dividend yeld ENEL superiore al tasso di interesse non conviene vendere. FINMECCANICA non distribuisce dividendi quindi capitale che non rende nulla pertanto meglio vendere.

visto l'andamento delle azioni sarebbe stato meglio vendere nel 2008 oppure almeno a gennaio 2013 (prima della sciagurata azione giudiziaria della magistratura milanese) PS: ENEL e FINMECCANICA non sono aziende pubbliche bensì aziende private con lo stato detentore di un consistente pacchetto azionario, non credo esistano investitori sani di mente desiderosi di investire capitali in aziende pubbliche italiane. Alessandro Bellotti ha detto: Se si privatizzano ENI ed ENEL si incassano se va bene 2 punti di PIL. Sapete come la penso e quali secondo me i motivi per i quali l'Italia è così diversa dalla Germania. Francamente mi sembra inutile incassare 2 punti di PIL vendendo ENI ed ENEL.

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Si annullino o si rimandino di 10 anni investimenti e spese inutili. In primis F35 e buco in Valsusa. La storia ci insegna che le 'vendite di stato' non hanno mai aggiustato i conti pubblici. Hanno semplicemente ingrassato i soliti noti della finanza italiana. Si poteva vendere Alitalia ma qualcuno ha pensato di tenersela facendo pagare un pò di miliardi ai soliti mentre altri 'soliti', chissà percè, faranno affari. L'Italia non è un paese moralmente corretto per avventurarsi in grandi opere o grandi privatizzazioni. Prima si faccia pulizia e si pretenda che la classe politica che vende quote di aziende italiane (aziende cioè di tutti) sia fuori da ogni possibile sospetto. Finchè al governo c'è la gente che c'è ora evidentemente qualsiasi provvedimento di privatizzazione o di grandi spese deve essere fermato. Prima si faccia pulizia negli affari che sono stati fatti negli ultimi 20 anni. Vorrei che si capisse che anche MPS è stata privatizzata ed oggi ha un buco di 20 miliardi di euro. Memorabile quando il comico, dopo aver comprato 2 azioni, è andato a chiedere informazioni sull'entità del buco e il simpatizzante PD ha negato. Ma in che mani è la finanza italiana ? Chi risponde oggi dei 20 miliardi di buco di MPS ? Perchè si è consentito ad 'imprenditori' di comprarsi a debito le migliori aziende ex pubbliche ? Prima di pensare di privatizzare si impediscano comportamenti di 'sudiciume economico' e si chieda il conto del passato. Vi sembra una cosa 'normale' che si possa, in uno stato civile, realizzare utili da fantascienza svendendo il patrimonio immobiliare e si decida di 'abbassare' detti utili con stock option da quasi 1 miliardo di euro tassate al 12,50 % ? Possibile che si sia consentito per decenni alla famiglia Ligresti di dissanguare decine e decine di aziende con compensi multi milionari ? Incassare 2 punti di PIL da privatizzazioni senza mettere mano a sprechi e privilegi porta a pensare che tali privatizzazioni servano proprio per mantenere lo status quo. I 30 miliardi incassati valgono meno della metà di quanto ci costa la corruzione. Scusa Fabio, quali sarebbero le quotazioni 'alle stelle' di ENI e di ENEL ?

Risposto da Fabio Colasanti su 5 Agosto 2013 a 19:36 Giovanni, fare una previsione di cosa potrebbe succedere, di cosa si potrebbe fare è difficile. Si tratta di una materia più di politica che economica. Serve veramente un fine conoscitore della psiche del nostro paese. Come economista posso solo ricordare alcuni punti fermi che si ricavano dalle esperienze che abbiamo visto nel passato recente. Ci sono tante cose da dire. Per il momento, mi concentro solo su alcune conseguenze probabili di un'operazione di ristrutturazione (default) del debito pubblico italiano. E' una possibilità che ogni tanto viene evocata. Effettivamente, l'Italia potrebbe pensarci perché soddisfa almeno una condizione di base (che, per esempio, la Grecia non soddisfa), quella di avere un avanzo "primario", cioè lo stato italiano incassa con le sue entrate correnti di che pagare le sue spese correnti (esclusi gli interessi). Se domani l'Italia smettesse di pagare gli interessi sul debito pubblico e smettesse di rimborsare i titoli in scadenza, la macchina dello stato non si fermerebbe subito perché oggi lo stato incassa tasse in misura sufficiente per pagare le sue spese di funzionamento. La Grecia, se lo facesse, non riuscirebbe a pagare parte degli stipendi pubblici o parte delle pensioni. Ma quali sarebbero i vantaggi attesi da una ristrutturazione? Bisogna analizzare la maniera nella quale il debito pubblico pesa sulla politica economica. Questo avviene attraverso due canali. Quello immediato è il costo del servizio del debito pubblico, soldi veramente non produttivi, ma che non possono non essere spesi. Quello che urta di più alcune persone è invece l'effetto indiretto, perché obbliga a condurre politiche che facciano pensare che il paese sarà sempre in grado di rimborsare i suoi debiti. Se il paese facesse qualcosa che possa far pensare ad un indebolimento della sua capacità di crescita o una sua incapacità a controllare l'andamento futuro delle finanze pubbliche questo si tradurrebbe immediatamente in un aumento dei tassi di interesse richiesti per concedere nuovi prestiti. Questo solleva - giustamente - un problema di legittimità costituzionale, anche se bisogna osservare che quello che preoccupa i "mercati" è un eventuale indebolimento della crescita del paese o una sua perdita di controllo sulle finanze pubbliche. Che chi solleva il problema costituzionale voglia l'indebolimento della crescita del paese e la perdita di controllo sulle sue finanze pubbliche?

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Oggi l'Italia paga interessi sul suo debito pubblico per una cifra pari a 5 punti e mezzo del PIL. È una cifra alta, ma sempre più bassa di quella che l'Italia ha pagato nel passato. Nel 1995 e nel 1996 l'Italia pagava interessi per più di 11 punti del PIL e nel 1992 e nel 1993 è arrivata a quasi 13 punti del PIL. La ristrutturazione del debito potrebbe essere parziale - molto difficile da organizzare - o totale: si dichiara il default e poi si discute su come pagare qualcosa. Nel caso della Grecia si è organizzato un taglio del 70 per cento del valore dei titoli pubblici greci detenuti dai privati, ma la cosa è stata gestita dai creditori pubblici che avevano "fatto uscire dal mercato" il paese. Le dimensioni del debito pubblico italiano sono tali che nessuno sarebbe in grado di pilotare un'operazione simile. Se lo stato italiano prendesse l'iniziativa rischierebbe di non ottenere nulla. Si potrebbe immaginare che il Tesoro prenda contatto con gli organismi finanziari che detengono il grosso del nostro debito e proponga un allungamento delle scadenze di alcune classi di titoli. Questo significherebbe una riduzione del valore dei titoli detenuti dai creditori, un allungamento delle scadenze del Tesoro, ma implicherebbe inevitabilmente un forte aumento dei tassi di interesse su tutto il resto del debito pubblico italiano. Alla fine il costo del debito per lo stato italiano potrebbe perfino aumentare. Ristrutturare il debito - anche per il panico che inevitabilmente si scatenerebbe - significherebbe quasi sicuramente un default classico. A questo punto, visto che il paese non pagherebbe più gli interessi (e non rimborserebbe i titoli in scadenza) questo significherebbe un rsiparmio sulle spese pari ad oltre cinque punti di PIL, ottantacinque miliardi nel 2013. Ma questo non significherebbe affatto il poter spendere gli ottantacinque miliardi per altre cose. Un paese in default non potrà presentersi sul mercato a chiedere nuovi prestiti per tantissimi anni. Questo significa che lo stato italiano potrebbe spendere per altre cose solo il margine fino all'equilibrio primario, ma non tutto quello che spendeva prima per interessi. Nel caso italiano questo significherebbe concretamente poter spendere per altre spese poco più di trenta miliardi sugli ottantacinque che venivano spesi per il servizio del debito. Come ho appena detto un paese in default non avrebbe più accesso al mercato dei capitali. Nel caso provasse a farlo i tassi di interesse sarebbero altissimi perché tutti cercherebbero di garantirsi da una nuova operazione di default. Questo significa che per i prossimi venti anni, l'Italia dovrebbe avere sempre il bilancio in equilibrio, perché non potrebbe prendere in prestito nulla (l'Argentina ancora oggi non può andare sul mercato dei capitali). Ci metteremmo in una situazione di disciplina di bilancio ben più rigorosa di quella imposta dal Fiscal Compact o del Patto di stabilità. La contropartita dell'alleggerimento del debito pubblico sarebbe evidentemente una perdita per chi detiene titoli di stato italiani. Il grosso di questi titoli sono detenuti dalle banche, da organismi e da risparmiatori italiani. Per risparmiatori ed altri organismi sarebbe una perdita secca (immaginiamo le conseguenze sugli investimenti e i consumi), per le banche significherebbe il fallimento immediato (come si è visto in Grecia). Non ho le cifre esatte, ma una stima per difetto indica che le banche italiane detengano titoli italiani per ben oltre mille miliardi di euro. Chi potrebbe mai rifinanziare le nostre banche? Oggi ci lamentiamo di un certo credit crunch, ma se facessimo default ci sarebbe un blocco di tutta l'attività bancaria e un blocco corrispondente di ogni attività produttiva. In Argentina questo ha provocato una situazione di sommossa popolare -cacerolazos e altro - che è costata oltre venti morti. La gente non è scesa in strada - come racconta Marcelli sul Fatto quotidiano - per ripudiare il debito, la gente è scesa in strada per riavere i suoi depositi. Oggi esiste in Europa una garanzia dei depositi fino a centomila euro. Ma da chi sono garantiti i nostri depositi? Dallo stato italiano. Possiamo immaginare quanto varrebbe questa garanzia in caso di default. La crisi del debito e delle banche è costata all'Argentina una caduta del PIL del venti per cento in due anni. Quanto ci costerebbe a noi? Un eventuale default aprirebbe poi la porta a cause legali per anni. L'Argentina è stata condannata l'anno scorso - undici anni dopo il default - a pagare cifre sostanziali ad alcuni creditori. Qualche mese fa la nave scuola della marina argentina è stata sequestrata in un porto africano per conto di alcuni creditori. Gli argentini che viaggiano all'estero - pochi - hanno grosse difficoltà a pagare se non hanno un conto in banca e una carta di credito in altri paesi. Giorgio V. ci ricordava che già oggi molte ditte straniere vendono a ditte italiane sono dopo che quesste hanno effettuato il pagamento. Questa pratica diventerebbe la norma. Le conseguenze della crisi bancaria e finanziaria sull'economia reale sarebbero sicuramente forti. A questo punto anche l'ipotesi di partenza - avanzo primario - non terrebbe più. Le entrate dello stato diminuirebbero fortemente e

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lo stato sarebbe obbligato a tagliare stipendi e pensioni perché non avrebbe di che pagarli. Il default - come ho spiegato - condurrebbe a una disciplina di bilancio feroce: mai più una lira di debito (perché nessuno ti fa credito). Lo stato non potrebbe certo pagare gli arretrati ai fornitori indebitandosi visto che si è chiuso questa porta. Tu parli di raccogliere 120 miliardi all'interno del paese per saldarli. Come? 120 miliardi è una cifra pari a sei volte la manovra netta operata da Monti a fine del 2011. Attraverso che tassa la raccogli? Per quanto riguarda la ricchezza degli italiani noi conosciamo solo quella immobiliare. Oggi l'IMU sulla prima casa da 4 miliardi, se vai a vedere il gettito complessivo - compresi i fabbricati industriali - arriviamo a venti miliardi circa. Tu parli quindi di una cifra pari a sei volte il gettito totale dell'IMU. E non dimenticare che dovresti raccogliere questa cifra in una situazione dove le banche sarebbero tutte fallite e dove l'attività economica sarebbe in caduta libera! Non appena si cominciasse a parlare di default - immaginate se ci fossero nuove elezioni e i sondaggi indicassero un aumento delle intenzioni di voto per il M5S - ci sarebbe una fuga immediata di capitali - in gran parte l'abbiamo già vista; gli italiani sono oggi (insieme ai greci) tra i grandi acquirenti di appartamenti a Londra e a Berlino. Il governo dovrebbe introdurre subito controlli severissimi per i movimenti dei capitali. A questo punto viaggiare all'estero per gli italiani ritornerebbe ad essere l'avventura - per pochissimi - che è stato negli anni settanta. Per le imprese significherebbe mille operazioni burocratiche in più (e i capitali fuggirebbero comunque, perché è quasi impossibile controllare la sotto o sovrafatturazione da parte degli operatori commerciali). Più rifletto alle conseguenza di un default, più scopro aspetti che fanno paura. Purtroppo il default è una possibilità che ci potrebbe essere imposta se si ricreasse una situazione come quella di fine 2011 o peggiore. Ma non riesco veramente a vedere come possa essere scelta liberamente da qualcuno. Eppure ci sono degli stregoni che suggeriscono di andare per questa strada. giovanni de sio cesari ha detto: Fabio, un quadro nero, certamente, ma molto attendibile. Tuttavia mi pare che questa sia l’esito se le cose continueranno a procedere come procedono ora: la rana a fuoco lento di Chomski. E’ possibile cambiare il corso delle cose? Dirai ancora : si, fare le riforme, naturalmente. Non c’è dubbio. Ma io ripeterei che le riforme in questa situazione NON si fanno (questo è il punto). Allora potremmo ad esempio pagare tutti insieme i 120 miliardi di debito verso le aziende, uscire dall’euro, fare default, tagliare al 50% tutte le pensioni Insomma rischiare di andare alla catastrofe senza scivolarci continuamente e implacabilmente per 20 anni. Non è un “cupio dissolvi”: ma il tentativo di ricominciare daccapo perche alla fine noi abbiamo risorse materiali e umane che non riusciamo a utilizzare perche siamo come ingessati nei mille insormontabili privilegi corporativi : solo rompendo tutto si potrebbe iniziare nuovamente. Questa è la domano che mi pongo.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 5 Agosto 2013 a 19:37 Appunto, e non dovrebbe essere la norma; e sai di quanti punti salirebbe il PIL? Da noi anche l'ENA sarebbe uno stipendificio. giorgio varaldo ha detto: mi auguro che per malcostume e corruzione tu intenda sopratutto l'uso delle aziende pubbliche come dispensatrici di incarichi altamente remunerati a politici trombati. i manager pubblici francesi provengono tutti dall'ENA una gran parte dei nostri si è fatta le ossa portando borse Giampaolo Carboniero ha detto: In Italia, con il malcostume e la corruzione attuali, molto difficile; domani, risolte le problematiche relative al management, la sua qualità, i metodi e i percorsi per la sua individuazione, con un governo che abbia in mente un disegno strategico, penso all'esperienza della Renault, all'agenzia unica per l'energia sudcoreana, alle migliori pratiche europee di gestione di beni comuni ( rimunicipalizzazione dgli acquedotti, p.e.), EDF (peccato abbia puntato principalmente sul nucleare), ecct.: il catalogo cui attingere non è completamente sguarnito, anche se dimagrito dalla voracità della finanza e dalla pochezza di tanti politici.

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Risposto da Fabio Colasanti su 5 Agosto 2013 a 19:40 Giorgio, giriamo in tondo. Se non esistono motivi legittimi perché lo stato sia proprietario di azioni in alcune imprese, perché dobbiamo accettare che continui ad esserlo quando questo azionariato viene utilizzato per piazzare persone (o per cose peggiori) e quando lo stato ha bisogno di soldi. Giorgio Mauri ha detto: Cari ragazzi (Fabio & Giorgio), mi sembra che siamo d'accordo :) Ovviamente laddove risulti "equo" vendere (non dico vantaggioso !) lo stato è giusto che venda. Mi sta bene. Quello che nelle vostre ipotesi non "leggo" è qualcosa che la classe politica italiana ci ha fatto credere "impossibile", e cioè che possa esistere una classe politica "virtuosa" in grado di gestire le aziende dello stato nell'interesse generale, e con costi per il management allineati a quelli del mercato reale. La mia "visione" del futuro privilegia la ricerca di un assetto del government virtuoso. Perché ? Perché anche con il "privato" se la classe dirigente di un paese è "corrotta" e "inetta" il verso di mandare tutto a rotoli lo trovano lo stesso. Voglio dire che se strumentalmente, per bisogno di liquidità, si fanno azioni sul mercato per piazzare i beni dello stato, mi sta bene. Ma non mi sta bene se lo si fa a priori, per "scelta politica", e tanto meno per liberarsi da una classe dirigente inadeguata. In questo ultimo caso bisogna agire sulla classe dirigente, direttamente, non togliendo loro il controllo diretto su alcune attività dello stato.

Risposto da Fabio Colasanti su 5 Agosto 2013 a 19:44 Giampaolo, è possibile che alcuni punti di vista non siano seguiti perché "non sono funzionali agli interessi delle grandi lobbies" o perché non sono corretti. Giampaolo Carboniero ha detto: Io ho solo accennato al fatto che tu fai riferimento a teorie e scuole economiche di parte, non mi risulta che l'economia sia una scienza esatta, altrimenti non saremmo in queste peste ( oppure ci siamo perchè sono applicate certe teorie economiche); constato che nel mondo ci sono tanti altri autorevoli punti di vista che però, visto che non sono funzionali ai grandi interessi delle lobbies e corporations, vengono tenuti in regime di apartheid.

Risposto da Fabio Colasanti su 5 Agosto 2013 a 19:50 Giorgio, anch'io - come il FMI, la Commissione e tanti altri - dico che i salari in Germania dovrebbero aumentare più rapidamente. Nel 2011 l'hanno perfino detto Wolfgang Schäuble ed il ministro de lavoro tedesco, Ursula Van der Leyden. Purtroppo il primo che mette in guardia contro "aumenti salariali eccessivi" che mettano a rischio la competitvità tedesca è il signor Hüber, presidente dei metalmeccanici tedeschi (IG Metall). Quando l'ho fatto notare in una discussione un paio di settimane fa e ho scritto che Landini dovrebbe cercare di convincerlo, mi sono beccato le solite critiche di anti-sinistra, anti-CGIL, lesa maestà, eccetera. giorgio varaldo ha detto: l'economista moderno lavora su modelli matematici di previsione che fotografano l'andamento dell'economia reale. a meno di pacchiani errori di calcolo il modello elaborato da un emiliano brancaccio non può differire in modo sostanziale dallo stesso modello elaborato da giavazzi ed alesina. le differenze emergono quando si passa dalla teoria alla applicazione pratica. brancaccio vuole che la germania aumenti gli stipendi mentre altri propongono che i PIGS li riducano . dal punto di vista matematico il risultato sarebbe lo stesso mentre dal punto di vista politico le due soluzioni avrebbero un ben diverso impatto sociale.

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quindi sarebbe meglio non parlare di economia come scienza non esatta ma di diverse chiavi politiche di interpretazione e di possibilità reali di applicazione (esempio: anche i ciuchi sanno che le pensioni pagate con il sistema contributivo portano il sistema al disastro ma nessuno vuol far nulla per applicare il sistema retributivo) . ovvio che se come economisti si spacciano i vari gallino è meglio parlar di calcio.

Risposto da Fabio Colasanti su 5 Agosto 2013 a 19:58 Giorgio, nella campagna elettorale del 2006 Prodi aveva proposto: a) Niente pubblicità alla RAI; b) Rai Uno con forte manadto di servizio pubblico e finanziata solo da canone. c) vendita sul mercato di Rai Due; d) Rai Tre con compiti di televisione regionale e alcune cose ad hoc. Ovviamente questo significava una cura dimagrante fortissima e non se ne è fatto nulla. Gentiloni aveva avuto l'incarico di tradurre questi principi in proposte concrete, ma il governo è caduto prima che se ne cominciasse a discutere. Il "partito trasversale RAI" è fortissimo. Giorgio Mauri ha detto: Visto che l'argomento privatizzazioni è "caldo" inviterei a formulare delle soluzioni per la RAI (e testate giornalistiche), anche se si tratta di azienda di stato "molto particolare" perché con una tassa ad hoc. E nel discorso metterei dentro anche delle riflessioni sul modo di gestire un "bene pubblico" (le frequenze) che solo in Italia vivono di una condizione di privilegio. Dipanare questo caso può aiutare a capire meglio il paese, a portare in evidenza i mali profondi che lo attanagliano a un regime incapace di renderci competitivi, molto più di quanto vogliano farci intendere con le vicende dei sindacati. Sono sempre dell'avviso che se si riesce a risolvere anche un solo caso il risultato sarebbe eccellente, perché farebbe da apripista. PS - quanto al "resto" che dire di mettere mano ad una legge sul conflitto di interessi "seria", visto che finora hanno nascosto tutto dietro all'immagine di Berlusconi, mentre invece la sostanza è che quel conflitto interessa e coinvolge migliaia e migliaia di persone e produce un danno inestimabile per lo sviluppo del paese ? Un discorso a parte lo meriterebbe Banca Italia, ma so che non "fa presa" in questo circolo. Dobbiamo capire che i costi enormi del lavoro in Italia sono quelli su cui poggiano le posizioni di "rendita", e che non si può chiedere ad un cittadino di "pagare le tasse" mantenendo in piedi l'apparato attuale. E' stata una corsa di "benpensanti" quella che ci ha condotto sul precipizio, sorretta dal debito, che è difficilissimo invertire. Intanto, per farsi le ossa, iniziamo a pensare come risolvere il "bubbone" dei 13.000 dipendenti RAI.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 5 Agosto 2013 a 19:59 I tuoi punti di riferimento restano sempre Giavazzi e Alesina & Co., le cui teorie non mi sembra stiano distribuendo benefici e sviluppo ai popoli delle nazioni in crisi; i miei sono Keynes ( le cui teorie hanno creato lavoro e benessere al popolo americano), Stiglitz, Krugman, ma, come detto, quelli al di fuori del "pensiero unico" sono sotto editto ( ne parlano infatti tutti i giornali europei!). Si resta sempre aggrappati alle teorie economiche liberiste del passato, inattuabili e deleterie nella nuova e diversa situazione di crisi mondiale ( la globalizzazione avrebbe dovuto rimodulare e fatto rivedere un po' tutti i modelli economici e matematici di cui parli; le soluzioni diverse dovrebbero, tutte, a mio modo di vedere, assumere come finalità prioritaria gli interessi della maggioranza dei cittadini, non di una parte, anche se più ricca e informata, o di qualche istituzione, e non mirate principalmente allo status quo della Nomenklatura economica efinanziaria; la crescita è il risultato di scelte politiche, non necessariamente economiche). giorgio varaldo ha detto: l'economista moderno lavora su modelli matematici di previsione che fotografano l'andamento dell'economia reale. a meno di pacchiani errori di calcolo il modello elaborato da un emiliano brancaccio non può differire in modo sostanziale dallo stesso modello elaborato da giavazzi ed alesina. le differenze emergono quando si passa dalla teoria alla applicazione pratica. brancaccio vuole che la germania aumenti gli stipendi mentre altri propongono che i PIGS li riducano .

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dal punto di vista matematico il risultato sarebbe lo stesso mentre dal punto di vista politico le due soluzioni avrebbero un ben diverso impatto sociale. quindi sarebbe meglio non parlare di economia come scienza non esatta ma di diverse chiavi politiche di interpretazione e di possibilità reali di applicazione (esempio: anche i ciuchi sanno che le pensioni pagate con il sistema contributivo portano il sistema al disastro ma nessuno vuol far nulla per applicare il sistema retributivo) . ovvio che se come economisti si spacciano i vari gallino è meglio parlar di calcio. Giampaolo Carboniero ha detto: Io ho solo accennato al fatto che tu fai riferimento a teorie e scuole economiche di parte, non mi risulta che l'economia sia una scienza esatta, altrimenti non saremmo in queste peste ( oppure ci siamo perchè sono applicate certe teorie economiche); constato che nel mondo ci sono tanti altri autorevoli punti di vista che però, visto che non sono funzionali ai grandi interessi delle lobbies e corporations, vengono tenuti in regime di apartheid. Fabio Colasanti ha detto: Giovanni, grazie per le gentili parole. Ma i curriculum non hanno una grande importanza e non dovrebbero essere esibiti. E' che nell'intervento al quale rispondevo avevo letto una certa critica a conoscenze economiche superate (oltre che funzionali a non so quali interessi). giovanni de sio cesari ha detto: Fabio Complimenti per il brillante curriculum. Ma io non mi baso sui curriculum per capire quanto valgono le persone. Ho una lunga pratica in proposito durata 40 anni. Mi basta solo leggere un po' per valutare coerenza, preparazione, focalizzazione dei problemi, attinenza all’argomento, consapevolezza delle complessità. Apprezzo soprattutto in te la capacitaàdi spiegare con semplicità problemi complessi che è il segno della vera padronanza; nascondersi dietro paroloni e tecnicismi è segno di scarsa chiarezza della conoscenza. Apprezzo anche molte altri componennti di questo sito, veramente nteressante. che non cito per non dare l’impressione di dare pagelle. Fabio Colasanti ha detto: Per quanto riguarda le mie conoscenze di economia mi sono certo formato quaranta anni fa, ma ti assicuro che non ho perso il contatto con gli sviluppi recenti. Mi sono laureato a Roma - bene - con il professor Federico Caffé avendo come assistente che mi ha seguito nella preparazione della tesi di laurea Ezio Tarantelli. Con Ezio Tarantelli eravamo poi diventati amici e ci siamo frequentati anche quando io ho cominciato a lavorare come economista alla Commissione europea nel 1977. Per questo divento livido quando sento parlare delle Brigate Rosse e non tollero nessuna simpatia nei confronti di questi disgraziati. Ho anche seguito un corso post-universitario di economia di un anno al Collegio d'Europa di Bruges. Alla Commissione europea mi sono occupato per oltre venti anni della situazione delle finanze pubbliche italiane (facevo parte delle "troike" di allora), del Sistema monetario europeo, dei suoi riallineamenti, della creazione dell'unione monetaria e sono poi diventato negli anni novanta la persona che coordinava la produzione dei documenti di macroeconomia della Commissione. Il capitolo macroeconomico del Libro Bianco di Jacques Delors del 1993 l'ho scritto io personalmente (sotto il controllo di tante altre persone a cominciare da Delors stesso). Ho lasciato la macroeconomia attiva quando sono diventato direttore generale nel 2000, ma non ho certo smesso di seguirla. L'ultimo seminario al quale ho partecipato - unione bancaria, riequilibri delle bilance dei pagamenti e relazioni tra politica monetaria e gestione del debito pubblico - è stato a Loveno di Menaggio dal 18 al 21 luglio scorso. Ero uno dei tre organizzatori.

Risposto da giorgio varaldo su 5 Agosto 2013 a 20:11 non riesco a capire questo vizio di mettere in bocca ad altri cosa non si sognano mai di affermare quando mai ho scritto che mi ritrovo in cosa dicono giavazzi ed alesina? se mai ho sempre espresso ammirazione per i lavori di brancaccio!! il modello keynsiano funziona ancor bene ora ma presenta un piccolo problema: rispetto agli anni 30 oggi non ci sono più barriere doganali quindi una maggior spesa pubblica italiana provocherebbe si un miglioramento dell'economia .. peccato che a migliorare sarebbero quelle cinesi e tedesca. Giampaolo Carboniero ha detto: I tuoi punti di riferimento restano sempre Giavazzi e Alesina & Co., le cui teorie non mi sembra stiano distribuendo benefici e sviluppo ai popoli delle nazioni in crisi; i miei sono Keynes ( le cui teorie hanno creato lavoro e benessere al

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popolo americano), Stiglitz, Krugman, ma, come detto, quelli al di fuori del "pensiero unico" sono sotto editto ( ne parlano infatti tutti i giornali europei!). Si resta sempre aggrappati alle teorie economiche liberiste del passato, inattuabili e deleterie nella nuova e diversa situazione di crisi mondiale ( la globalizzazione avrebbe dovuto rimodulare e fatto rivedere un po' tutti i modelli economici e matematici di cui parli; le soluzioni diverse dovrebbero, tutte, a mio modo di vedere, assumere come finalità prioritaria gli interessi della maggioranza dei cittadini, non di una parte, anche se più ricca e informata, o di qualche istituzione, e non mirate principalmente allo status quo della Nomenklatura economica efinanziaria; la crescita è il risultato di scelte politiche, non necessariamente economiche). giorgio varaldo ha detto: l'economista moderno lavora su modelli matematici di previsione che fotografano l'andamento dell'economia reale. a meno di pacchiani errori di calcolo il modello elaborato da un emiliano brancaccio non può differire in modo sostanziale dallo stesso modello elaborato da giavazzi ed alesina. le differenze emergono quando si passa dalla teoria alla applicazione pratica. brancaccio vuole che la germania aumenti gli stipendi mentre altri propongono che i PIGS li riducano . dal punto di vista matematico il risultato sarebbe lo stesso mentre dal punto di vista politico le due soluzioni avrebbero un ben diverso impatto sociale. quindi sarebbe meglio non parlare di economia come scienza non esatta ma di diverse chiavi politiche di interpretazione e di possibilità reali di applicazione (esempio: anche i ciuchi sanno che le pensioni pagate con il sistema contributivo portano il sistema al disastro ma nessuno vuol far nulla per applicare il sistema retributivo) . ovvio che se come economisti si spacciano i vari gallino è meglio parlar di calcio.

Risposto da Fabio Colasanti su 5 Agosto 2013 a 20:18 Giampaolo, è profondamente sbagliato parlare di "teorie" per gli economisti che citi. Ogni persona - come in ogni campo dell'attività umana - si porta dietro i suoi valori e le sue preferenze sociali. Ma gli economisti offrono raccomandazioni non sulla base di teorie, ma di analisi statistiche concrete del comportamento delle persone e delle imprese. Queste analisi non danno quasi mai risultati incontrovertibili e per questo ci sono mille opinioni diverse. Inoltre i comportamenti umani non sono immutabili e regolarità che erano state osservate nel passato possono non esistere più oggi. Keynes ha avuto intuizioni brillantissime ed è uno dei migliori economisti della storia. Ma se vedesse che ci sono paesi con un livello del debito pubblico di oltre il cento per cento del PIL non crederebbe ai suoi occhi. Quando Roosevelt ha lanciato il New Deal il rapporto debito pubblico/PIL degli Stati Uniti era pari al venti per cento. Dopo il New Deal, immediatamente prima della seconda guerra mondiale, il rapporto era salito a ben il 40 per cento del PIL. Krugman dice che gli Stati Uniti e la Germania dovrebbero spendere di più, ma dice anche che l'Italia non ha scelta. L'idea di gente "aggrappata" a teorie liberiste del passato è una costruzione inventata da alcuni stregoni dell'estrema sinistra senza alcun riscontro nella realtà. Come forse alcuni a destra demonizzano la sinistra prendendo come esempio le posizioni di alcune persone strane (ricordate quanto spesso Bertinotti era invitato dalle televisioni di Berlusconi?), così a sinistra si sta conducendo una battaglia irrealista conto un "liberismo" che non esiste. Giampaolo Carboniero ha detto: I tuoi punti di riferimento restano sempre Giavazzi e Alesina & Co., le cui teorie non mi sembra stiano distribuendo benefici e sviluppo ai popoli delle nazioni in crisi; i miei sono Keynes ( le cui teorie hanno creato lavoro e benessere al popolo americano), Stiglitz, Krugman, ma, come detto, quelli al di fuori del "pensiero unico" sono sotto editto ( ne parlano infatti tutti i giornali europei!). Si resta sempre aggrappati alle teorie economiche liberiste del passato, inattuabili e deleterie nella nuova e diversa situazione di crisi mondiale ( la globalizzazione avrebbe dovuto rimodulare e fatto rivedere un po' tutti i modelli economici e matematici di cui parli; le soluzioni diverse dovrebbero, tutte, a mio modo di vedere, assumere come finalità prioritaria gli interessi della maggioranza dei cittadini, non di una parte, anche se più ricca e informata, o di qualche istituzione, e non mirate principalmente allo status quo della Nomenklatura economica efinanziaria; la crescita è il risultato di scelte politiche, non necessariamente economiche). giorgio varaldo ha detto: l'economista moderno lavora su modelli matematici di previsione che fotografano l'andamento dell'economia reale. a meno di pacchiani errori di calcolo il modello elaborato da un emiliano brancaccio non può differire in modo sostanziale dallo stesso modello elaborato da giavazzi ed alesina.

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le differenze emergono quando si passa dalla teoria alla applicazione pratica. brancaccio vuole che la germania aumenti gli stipendi mentre altri propongono che i PIGS li riducano . dal punto di vista matematico il risultato sarebbe lo stesso mentre dal punto di vista politico le due soluzioni avrebbero un ben diverso impatto sociale. quindi sarebbe meglio non parlare di economia come scienza non esatta ma di diverse chiavi politiche di interpretazione e di possibilità reali di applicazione (esempio: anche i ciuchi sanno che le pensioni pagate con il sistema contributivo portano il sistema al disastro ma nessuno vuol far nulla per applicare il sistema retributivo) . ovvio che se come economisti si spacciano i vari gallino è meglio parlar di calcio.

Risposto da Alberto Rotondi su 5 Agosto 2013 a 22:11 Alessandro, da dove hai preso notizia che il buco MPS è di 20 miliardi? Alessandro Bellotti ha detto: Se si privatizzano ENI ed ENEL si incassano se va bene 2 punti di PIL. Sapete come la penso e quali secondo me i motivi per i quali l'Italia è così diversa dalla Germania. Francamente mi sembra inutile incassare 2 punti di PIL vendendo ENI ed ENEL. Si annullino o si rimandino di 10 anni investimenti e spese inutili. In primis F35 e buco in Valsusa. La storia ci insegna che le 'vendite di stato' non hanno mai aggiustato i conti pubblici. Hanno semplicemente ingrassato i soliti noti della finanza italiana. Si poteva vendere Alitalia ma qualcuno ha pensato di tenersela facendo pagare un pò di miliardi ai soliti mentre altri 'soliti', chissà percè, faranno affari. L'Italia non è un paese moralmente corretto per avventurarsi in grandi opere o grandi privatizzazioni. Prima si faccia pulizia e si pretenda che la classe politica che vende quote di aziende italiane (aziende cioè di tutti) sia fuori da ogni possibile sospetto. Finchè al governo c'è la gente che c'è ora evidentemente qualsiasi provvedimento di privatizzazione o di grandi spese deve essere fermato. Prima si faccia pulizia negli affari che sono stati fatti negli ultimi 20 anni. Vorrei che si capisse che anche MPS è stata privatizzata ed oggi ha un buco di 20 miliardi di euro. Memorabile quando il comico, dopo aver comprato 2 azioni, è andato a chiedere informazioni sull'entità del buco e il simpatizzante PD ha negato. Ma in che mani è la finanza italiana ? Chi risponde oggi dei 20 miliardi di buco di MPS ? Perchè si è consentito ad 'imprenditori' di comprarsi a debito le migliori aziende ex pubbliche ? Prima di pensare di privatizzare si impediscano comportamenti di 'sudiciume economico' e si chieda il conto del passato. Vi sembra una cosa 'normale' che si possa, in uno stato civile, realizzare utili da fantascienza svendendo il patrimonio immobiliare e si decida di 'abbassare' detti utili con stock option da quasi 1 miliardo di euro tassate al 12,50 % ? Possibile che si sia consentito per decenni alla famiglia Ligresti di dissanguare decine e decine di aziende con compensi multi milionari ? Incassare 2 punti di PIL da privatizzazioni senza mettere mano a sprechi e privilegi porta a pensare che tali privatizzazioni servano proprio per mantenere lo status quo. I 30 miliardi incassati valgono meno della metà di quanto ci costa la corruzione. Scusa Fabio, quali sarebbero le quotazioni 'alle stelle' di ENI e di ENEL ?

Risposto da Fabio Colasanti su 5 Agosto 2013 a 22:23 Alessandro, come fai a dire che MPS è stata privatizzata quando la proprietà è stata trasferita ad una Fondazione dove i membri del consiglio di amministrazione sono nominati da comune, provincia e regione ?

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I problemi del MPS - che per quanto si sa avrebbe bisogno di 3.9 miliardi e non 20 - sono dovuti proprio al fatto che non è stata privatizzata. Fosse stata privatizzata, avrebbe potuto aumentare il suo capitale più facilmente e avrebbe avuto già anni fa un management di professionisti e non di persone gradite alla politica. Alessandro Bellotti ha detto: ( ... ) Vorrei che si capisse che anche MPS è stata privatizzata ed oggi ha un buco di 20 miliardi di euro. ( ... )

Risposto da Fabio Colasanti su 5 Agosto 2013 a 22:31 Alessandro, da settimane gli indici di Borsa (Dow Jones, Dax, e altri) hanno raggiunto nuovi livelli record. Ogni settimana chiudono ad un livello leggermente più alto. Sono in molti a pensare e a scrivere che le borse siano in preda ad una nuova bolla provocata dall'abbondanza di liquidità e che c'è da attendersi ad una forte correzione al ribasso. Il dubbio come sempre sembra essere sul momento: correzione subito o verso la fine dell'anno quano la Fed rallenterà i suoi acquisti? Rimane comunque il fatto che le azioni sono ai livelli più alti conosciuti nella storia delle borse (ogni ditta avrà poi valori più alti o più bassi a seconda di come vanno le cose nel caso particolare). Quindi a priori questo è un momento buono per vendere. E' molto poco probabile che le azioni di qualsiasi ditta tra sei mesi o tra un anno possano valere di più di quanto valgano oggi. Può succedere - e succede anche spesso - che ci siano sorprese; ma sono appunto sorprese basate su elementi che oggi non sono conosciuti. http://www.ilsole24ore.com/fcsvc?cmd=checkcredit&chId=30&do... Alessandro Bellotti ha detto: ( ... ) Scusa Fabio, quali sarebbero le quotazioni 'alle stelle' di ENI e di ENEL ?

Risposto da giovanni de sio cesari su 6 Agosto 2013 a 9:53 Fabio, ti ringrazio. Ho letto con grande interesse le tue ipotesi che mi riprometto di approfondire in seguito con una lettura piu approfondita. Ricordo che io non mi pongo il problema: default-si e default-no, ma default fra 20 anni (come la rana) oppure default ora. Vedo il default (uscita dall’euro e simili) comunque come un disastro. Mi chiedo se affrontarlo ora da vivi o domani da morti. Fabio Colasanti ha detto: Giovanni, fare una previsione di cosa potrebbe succedere, di cosa si potrebbe fare è difficile. Si tratta di una materia più di politica che economica. Serve veramente un fine conoscitore della psiche del nostro paese. Come economista posso solo ricordare alcuni punti fermi che si ricavano dalle esperienze che abbiamo visto nel passato recente. Ci sono tante cose da dire. Per il momento, mi concentro solo su alcune conseguenze probabili di un'operazione di ristrutturazione (default) del debito pubblico italiano. E' una possibilità che ogni tanto viene evocata. Effettivamente, l'Italia potrebbe pensarci perché soddisfa almeno una condizione di base (che, per esempio, la Grecia non soddisfa), quella di avere un avanzo "primario", cioè lo stato italiano incassa con le sue entrate correnti di che pagare le sue spese correnti (esclusi gli interessi). Se domani l'Italia smettesse di pagare gli interessi sul debito pubblico e smettesse di rimborsare i titoli in scadenza, la macchina dello stato non si fermerebbe subito perché oggi lo stato incassa tasse in misura sufficiente per pagare le sue spese di funzionamento. La Grecia, se lo facesse, non riuscirebbe a pagare parte degli stipendi pubblici o parte delle pensioni.

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Ma quali sarebbero i vantaggi attesi da una ristrutturazione? Bisogna analizzare la maniera nella quale il debito pubblico pesa sulla politica economica. Questo avviene attraverso due canali. Quello immediato è il costo del servizio del debito pubblico, soldi veramente non produttivi, ma che non possono non essere spesi. Quello che urta di più alcune persone è invece l'effetto indiretto, perché obbliga a condurre politiche che facciano pensare che il paese sarà sempre in grado di rimborsare i suoi debiti. Se il paese facesse qualcosa che possa far pensare ad un indebolimento della sua capacità di crescita o una sua incapacità a controllare l'andamento futuro delle finanze pubbliche questo si tradurrebbe immediatamente in un aumento dei tassi di interesse richiesti per concedere nuovi prestiti. Questo solleva - giustamente - un problema di legittimità costituzionale, anche se bisogna osservare che quello che preoccupa i "mercati" è un eventuale indebolimento della crescita del paese o una sua perdita di controllo sulle finanze pubbliche. Che chi solleva il problema costituzionale voglia l'indebolimento della crescita del paese e la perdita di controllo sulle sue finanze pubbliche? Oggi l'Italia paga interessi sul suo debito pubblico per una cifra pari a 5 punti e mezzo del PIL. È una cifra alta, ma sempre più bassa di quella che l'Italia ha pagato nel passato. Nel 1995 e nel 1996 l'Italia pagava interessi per più di 11 punti del PIL e nel 1992 e nel 1993 è arrivata a quasi 13 punti del PIL. La ristrutturazione del debito potrebbe essere parziale - molto difficile da organizzare - o totale: si dichiara il default e poi si discute su come pagare qualcosa. Nel caso della Grecia si è organizzato un taglio del 70 per cento del valore dei titoli pubblici greci detenuti dai privati, ma la cosa è stata gestita dai creditori pubblici che avevano "fatto uscire dal mercato" il paese. Le dimensioni del debito pubblico italiano sono tali che nessuno sarebbe in grado di pilotare un'operazione simile. Se lo stato italiano prendesse l'iniziativa rischierebbe di non ottenere nulla. Si potrebbe immaginare che il Tesoro prenda contatto con gli organismi finanziari che detengono il grosso del nostro debito e proponga un allungamento delle scadenze di alcune classi di titoli. Questo significherebbe una riduzione del valore dei titoli detenuti dai creditori, un allungamento delle scadenze del Tesoro, ma implicherebbe inevitabilmente un forte aumento dei tassi di interesse su tutto il resto del debito pubblico italiano. Alla fine il costo del debito per lo stato italiano potrebbe perfino aumentare. Ristrutturare il debito - anche per il panico che inevitabilmente si scatenerebbe - significherebbe quasi sicuramente un default classico. A questo punto, visto che il paese non pagherebbe più gli interessi (e non rimborserebbe i titoli in scadenza) questo significherebbe un rsiparmio sulle spese pari ad oltre cinque punti di PIL, ottantacinque miliardi nel 2013. Ma questo non significherebbe affatto il poter spendere gli ottantacinque miliardi per altre cose. Un paese in default non potrà presentersi sul mercato a chiedere nuovi prestiti per tantissimi anni. Questo significa che lo stato italiano potrebbe spendere per altre cose solo il margine fino all'equilibrio primario, ma non tutto quello che spendeva prima per interessi. Nel caso italiano questo significherebbe concretamente poter spendere per altre spese poco più di trenta miliardi sugli ottantacinque che venivano spesi per il servizio del debito. Come ho appena detto un paese in default non avrebbe più accesso al mercato dei capitali. Nel caso provasse a farlo i tassi di interesse sarebbero altissimi perché tutti cercherebbero di garantirsi da una nuova operazione di default. Questo significa che per i prossimi venti anni, l'Italia dovrebbe avere sempre il bilancio in equilibrio, perché non potrebbe prendere in prestito nulla (l'Argentina ancora oggi non può andare sul mercato dei capitali). Ci metteremmo in una situazione di disciplina di bilancio ben più rigorosa di quella imposta dal Fiscal Compact o del Patto di stabilità. La contropartita dell'alleggerimento del debito pubblico sarebbe evidentemente una perdita per chi detiene titoli di stato italiani. Il grosso di questi titoli sono detenuti dalle banche, da organismi e da risparmiatori italiani. Per risparmiatori ed altri organismi sarebbe una perdita secca (immaginiamo le conseguenze sugli investimenti e i consumi), per le banche significherebbe il fallimento immediato (come si è visto in Grecia). Non ho le cifre esatte, ma una stima per difetto indica che le banche italiane detengano titoli italiani per ben oltre mille miliardi di euro. Chi potrebbe mai rifinanziare le nostre banche? Oggi ci lamentiamo di un certo credit crunch, ma se facessimo default ci sarebbe un blocco di tutta l'attività bancaria e un blocco corrispondente di ogni attività produttiva. In Argentina questo ha provocato una situazione di sommossa popolare - cacerolazos e altro - che è costata oltre venti morti. La gente non è scesa in strada - come racconta Marcelli sul Fatto quotidiano - per ripudiare il debito, la gente è scesa in strada per riavere i suoi depositi. Oggi esiste in Europa una garanzia dei depositi fino a centomila euro. Ma da chi sono garantiti i nostri depositi? Dallo stato italiano. Possiamo immaginare quanto varrebbe questa garanzia in caso di default. La crisi del debito e delle banche è costata all'Argentina una caduta del PIL del venti per cento in due anni. Quanto ci costerebbe a noi?

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Un eventuale default aprirebbe poi la porta a cause legali per anni. L'Argentina è stata condannata l'anno scorso - undici anni dopo il default - a pagare cifre sostanziali ad alcuni creditori. Qualche mese fa la nave scuola della marina argentina è stata sequestrata in un porto africano per conto di alcuni creditori. Gli argentini che viaggiano all'estero - pochi - hanno grosse difficoltà a pagare se non hanno un conto in banca e una carta di credito in altri paesi. Giorgio V. ci ricordava che già oggi molte ditte straniere vendono a ditte italiane sono dopo che quesste hanno effettuato il pagamento. Questa pratica diventerebbe la norma. Le conseguenze della crisi bancaria e finanziaria sull'economia reale sarebbero sicuramente forti. A questo punto anche l'ipotesi di partenza - avanzo primario - non terrebbe più. Le entrate dello stato diminuirebbero fortemente e lo stato sarebbe obbligato a tagliare stipendi e pensioni perché non avrebbe di che pagarli. Il default - come ho spiegato - condurrebbe a una disciplina di bilancio feroce: mai più una lira di debito (perché nessuno ti fa credito). Lo stato non potrebbe certo pagare gli arretrati ai fornitori indebitandosi visto che si è chiuso questa porta. Tu parli di raccogliere 120 miliardi all'interno del paese per saldarli. Come? 120 miliardi è una cifra pari a sei volte la manovra netta operata da Monti a fine del 2011. Attraverso che tassa la raccogli? Per quanto riguarda la ricchezza degli italiani noi conosciamo solo quella immobiliare. Oggi l'IMU sulla prima casa da 4 miliardi, se vai a vedere il gettito complessivo - compresi i fabbricati industriali - arriviamo a venti miliardi circa. Tu parli quindi di una cifra pari a sei volte il gettito totale dell'IMU. E non dimenticare che dovresti raccogliere questa cifra in una situazione dove le banche sarebbero tutte fallite e dove l'attività economica sarebbe in caduta libera! Non appena si cominciasse a parlare di default - immaginate se ci fossero nuove elezioni e i sondaggi indicassero un aumento delle intenzioni di voto per il M5S - ci sarebbe una fuga immediata di capitali - in gran parte l'abbiamo già vista; gli italiani sono oggi (insieme ai greci) tra i grandi acquirenti di appartamenti a Londra e a Berlino. Il governo dovrebbe introdurre subito controlli severissimi per i movimenti dei capitali. A questo punto viaggiare all'estero per gli italiani ritornerebbe ad essere l'avventura - per pochissimi - che è stato negli anni settanta. Per le imprese significherebbe mille operazioni burocratiche in più (e i capitali fuggirebbero comunque, perché è quasi impossibile controllare la sotto o sovrafatturazione da parte degli operatori commerciali). Più rifletto alle conseguenza di un default, più scopro aspetti che fanno paura. Purtroppo il default è una possibilità che ci potrebbe essere imposta se si ricreasse una situazione come quella di fine 2011 o peggiore. Ma non riesco veramente a vedere come possa essere scelta liberamente da qualcuno. Eppure ci sono degli stregoni che suggeriscono di andare per questa strada.

Risposto da Fabio Colasanti su 7 Agosto 2013 a 23:42 Non ostante gli sforzi, la situazione rimane grave. http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/associata/2013/08/07/Corte-...

Risposto da giorgio varaldo su 7 Agosto 2013 a 23:52 stasera su rai 2 debora serracchiani ha illustrato la situazione carburanti friulana. visto che il prezzo dei carburanti in austria e slovenia è molto pià basso di quelli italiani per evitare che tutti si vada a far carburante all'estero per gli abitanti della fascia confinaria è prevista una riduzione del prezzo, ad esempio io abitando vicino alla slovenia pago la benzina 21 centesimi ed il diesel 11 centesimi meno del prezzo in vigore nel paese. secondo la debora per lo stato è preferibile rinunciare ad una parte delle accise piuttosto di perderle tutte se il carburante viene acquistato in slovenia. quanti casi del genere sono compresi in quei 46 miliardi di euro perduti dal fisco per evasione?

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per quale motivo non viene esteso il principio della detrazione delle fatture dalle tasse come è stato fatto per le ristrutturazioni edilizie? ovvio che se non avessi la tessera carburante regionale andrei sempre a far carburante in slovenia e per quale motivo non posso scaricare le fatture da parte di imbianchini idraulici ecc ecc come ho fatto per la nuova caldaia di riscaldamento nella casa del paesello? Fabio Colasanti ha detto: Non ostante gli sforzi, la situazione rimane grave. http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/associata/2013/08/07/Corte-...

Risposto da Fabio Colasanti su 8 Agosto 2013 a 11:49 Attualmente prevale un clima di moderatissimo ottimismo e si parla della prossima fine della recessione. È sicuramente vero che verso la fine dell'anno avremo forse un Pil in leggerissima crescita, ma il quadro rimane molto preoccupante. Riporto un articolo di un professore del MIT che è stato nel 2007-2008 capo economista del Fondo Monetario Internazionale. Ricorda tutti i rischi della situazione italiana: altssimo livello del debito, banche debolissime che hanno bisogno di capitali, crescita strutturalmente bassissima. Sottolinea come secondo alcuni studi del Fondo Monetario l'Italia è, dopo la Grecia, il paese che negli ultimi anni ha fatto meno di tutti per migliorare le sue strutture di produzione (riforme strutturali) non ostante un livello degli investimenti superiore alla Germania e una quantità di investimenti pubblici in infrastrutture nella media europea. Ma secondo lui e secondo Daniel Gros c'è un campo dove l'Italia fa peggio della Grecia, è quello del ruolo dello stato, del ruolo della pubblica amministrazione: corruzione, incapacità dell'amministrazione pubblica, giustizia civile in Italia sono tra le peggiori al mondo. Johnson ricorda però che le medie nazionali mascherano la natura dualistica dell'Italia: cita il caso di permessi che a Milano vengono dati in un mese e a Palermo in sei. If You Think Europe Is Fine, Look at Italy By Simon Johnson Aug 7, Bloomberg It has become fashionable not to worry about Europe and the euro area. This complacency has a serious flaw: Italy. Optimists argue that Europe is on the mend. The central bank is maintaining stimulus,Germany’s export potential remains large, and France will continue to be a haven for investors. Struggling countries such as Greece and Portugal represent less than a 10th of the euro area’s economic output and population. Enter Italy. It is the third-largest economy in the euro area, with a population of more than 60 million and gross domestic product of more than $2 trillion. The government’s debt burden, at about 1.3 times GDP, is among the largest in the world (That’s the International Monetary Fund’s estimate of gross debt, which is the most reliable series to use for cross-country comparisons; net debt, which includes some government assets, is projected to be 105.8 percent of GDP this year.). Troubling as Italy’s public finances may be, they are not the main reason to be concerned. There is no magic threshold above which government debt will crush the economy, and countries have grown their way out of even larger debt burdens. The problem is that Italy is growing far too slowly and has been doing so for a long time. During the 1990s, the country’s economy expanded at an average annual inflation-adjusted rate of just 1.2 percent, compared with the euro area’s 1.8 percent. From there, it only got worse: Italy’s average growth rate since 2000 has been 0.4 percent, compared with 1.3 percent for the euro area. Anaemic Growth Why such anaemic growth? It’s not for lack of trying. Italy’s investment rate is higher than Germany’s. Infrastructure investment is in line with euro-area averages. Human capital, measured as the level of education, has

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improved steadily. Labor-market and product-market regulation have converged toward Germany’s levels. Research and development spending, albeit low relative to European Union averages, has improved in recent years. The main obstacle to growth in Italy is the government itself. As Daniel Gros, a leading European economist, put it in 2011: “The only factors that have deteriorated absolutely and relative to the core of the Eurozone are indicators of governance -- such as corruption and rule of law.” On some measures of governance, Italy does worse than even Greece. Presumably, Italy’s national averages mask important regional differences. If some parts of northern Italy are no different from Germany or Austria in terms of ease of doing business, then the situation in other parts of the country must be really bad. A recentreport from the World Bank, for example, found that a municipal building permit takes six months to obtain in Palermo, compared with just one month in Milan. Italy doesn’t rank high in terms of entrepreneurial activity: According to the World Bank, the country has 1.63 newly registered corporations per 1,000 working-age people, far less than the U.K.’s 10.41 but more than Germany’s 1.35. The specific difficulty, though, seems to be the conditions that allow -- or don’t allow -- small businesses to become large. There is no definitive understanding of what prevents businesses from getting big, and no shortage of possible explanations. The tax regime, labor regulation and corporate culture are all potential culprits. Perhaps the traditional family-led business model does well on a small scale but can’t easily adopt the organizational practices needed to build multinational companies. Demographic Challenge The kinds of so-called structural reforms actually being considered, such as small changes in tax and labor rules, seem unlikely to improve the picture. With the possible exception of the pension system, it is hard to find examples of successful reforms in Italy. And like many European countries, Italy must deal with the demographic challenge of an aging population and a lack of immigrants to renew the labor force. (For a more optimistic view, see this IMF working paper and the agenda articulated by the Organization for Economic Cooperation and Development.) It is in this broader economic context that Italy’s government debt becomes a threat. Even if interest rates stay low for a long time, just keeping the debt burden stable as a percentage of GDP will require impressive spending restraint. At any point, the market could lose faith in Italy’s ability to handle its financial challenges. Consider, for example, the possibility of distress at one or more of Italy’s banks, which are among the largest holders and buyers of the government’s debt. Where would the government find the money to recapitalize a large bank? If the banks weren’t in a position to lend the government money, who would do so? Or what if Italy’s perpetual political demi-crisis escalates? If called upon to handle a crisis, could the Italian government take decisive steps of any kind? There is plenty to worry about in Italy, and that means there’s plenty to worry about in the euro area. (Simon Johnson, a professor at the MIT Sloan School of Management as well as a senior fellow at the Peterson Institute for International Economics, is co-author of “White House Burning: The Founding Fathers, Our National Debt, and Why It Matters to You.”) To contact the writer of this article: Simon Johnson at sjohnson@mit.edu.

Risposto da Fabio Colasanti su 9 Agosto 2013 a 2:04 Col passare del tempo non migliora. http://www.repubblica.it/politica/2013/08/08/foto/italia_fuori_dall...

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Risposto da Fabio Colasanti su 9 Agosto 2013 a 8:01 Saccomanni sta cercando di imporre un po' di senso comune. Forse con Letta si sono detti che questo è il momento di approfittare della debolezza del PdL e di prendere una misura fiscale più ragionevole. Stiamo a vedere come reagirà il PdL. http://www.repubblica.it/economia/2013/08/08/news/imu_saccomanni_pr...

Risposto da Fabio Colasanti su 9 Agosto 2013 a 8:53 Per chi avesse ancora dubbi sul fatto che l'Italia è un paese troppo complicato dal punto di vista amministrativo/legislativo pubblico questo riquadro che ho trovato per caso. Viene da un documento della UIL sul lavoro degli stranieri in Italia. Mi scuso per i caratteri molto piccoli, ma era l'unica maniera di avere tutto il riquadro in una schermata. Il riquadro presenta la lista dei moduli dei quali si può avere bisogno..

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Risposto da Fabio Colasanti su 11 Agosto 2013 a 15:50 Mi lamento di nuovo della qualità della nostra stampa. Massimo Giannini è un ottimo giornalista, ma si è fatto prendere dalla fretta e dalla necessità di scrivere qualcosa su telecom Italia che facesse "effetto". Ne è uscito fuori l'articolo che riporto qui di seguito (pubblicato su La Repubblica di oggi) e che raggiunge le sue conclusioni sulla base di meno della metà degli elementi da prendere in considerazione. Essenzialmente la tesi di Giannini è che "noi" (chi ?) avremmo rovinato un'impresa italiana che quando si chiamava Stet era una gallina dalle uova d'oro e oggi, col nome di Telecom Italia, è in rovina. Nell'articolo non ci sono vere spiegazioni di questo fatto, a parte alcuni riferimenti derogatori alle varie proprietà che si sono succedute e che forse non hanno brillato per lungimiranza. Riporto qui di seguito gli elementi principali che mancano nell'analisi di Massimo Giannini. Parto da quello più ovvio. Paragonare i risultati economici della Stet - "gallina dalle uova d'oro" - a quelli di Telecom Italia oggi è un non senso. La prima operava in un regime di monopolio, la seconda si trova a vivere nel mercato creato da venti anni di liberalizzazione delle telecomunicazioni in Europa che ha provocato un cambiamento enorme nei servizi offerti e ha fatto scendere i prezzi in una maniera incredibile. La Stet aveva il 100 per cento del mercato; Telecom Italia nel 2012 aveva il 47.6 dei ricavi (Relazione Annuale Agcom 2013) di un settore telecom che a sua volta subisce gli effetti della concorrenza di nuovi operatori senza infrastrutture (Skype, Yahoo, Google, Microsoft, Apple e tanti altri). Basta pensare a Skype e ai servizi di messaggeria gratuita che stanno spiazzando gli SMS. Secondo. Sappiamo tutti che i mercati sono "non lineari" (eufemismo per dire che sono spesso irrazionali e preda di mode che conducono a bolle speculative). Un grafico che avevo pubblicato qualche giorno fa rispondendo a Giorgio M. mostrava come una bolla speculativa di questo tipo si sia prodotta in Europa nel 2000/2001. Era il tempo in cui si pensava che la telefonia mobile di terza generazione (3G) avrebbe prodotto guadagni incredibili. I prezzi delle azioni del settore erano stati moltiplicati per tre tra il 1997/1998 ed il picco (oggi sono ad un valore che è inferiore ad un quinto di questo picco). Giannini afferma che la privatizzazione sarebbe stata fatta "per due spiccioli". Forse è vero se il giudizio è basato sui prezzi raggiunti quattro/cinque anni dopo, ma non son sicuro che nel 1996/1997 il prezzo della privatizzazione fosse tanto fuori mercato. E' certo che l'apparire della bolla ha fatto venir voglia di dare la scalata ad una impresa che sembrava appetibile (e ha fatto si che le banche accettassero di finanziare le scalate) e ne abbiamo viste due, una dopo l'altra (Colaninno 1999; Pirelli 2001), finanziate in gran parte con debiti che pesano ancora oggi sulle spalle di Telecom Italia. Terzo. Giannini non dice nulla sulle trasformazioni che hanno avuto luogo nel settore negli ultimi anni. Non per nulla le azioni del settore sono oggi a livelli inferiori ad un quinto di quelli raggiunti al picco, ben inferiori a quelli degli anni novanta e ad un livello inferiore a quello del resto degli altri comparti industriali. Dalla fine degli anni novanta, a livello europeo si messa in opera una politica di liberalizzazione forzata del settore che ha portato benefici enormi ai consumatori, ma ha colpito duramente gli ex-monopolisti. Tra l'altro le autorità hanno deciso una serie di interventi che hanno forzato verso il basso i prezzi dei servizi di telecomunicazione (tariffe di terminazione, prezzo per l'accesso alla rete in rame, tariffe di roaming, solo per citare i tre campi di intervento più pesanti). Al 31 dicembre 2012 il debito netto di Telefonica era di 51.3 miliardi di euro, quello di Deutsche Telekom era di 36.9 miliardi, quello di France Telecom era di 30.5 miliardi e quello di Telecom Italia di 29 miliardi. Inoltre, nel corso degli ultimi tre/quattro anni i ricavi di tutto il settore telecom europeo sono stati in diminuzione. Quarto. Se i guai di Telecom Italia fossero solo dovuti ad una cattiva gestione - che sicuramente in parte c'è anche stata - non si capisce che jella unica avrebbe colpito questa impresa che in tre gestioni diverse avrebbe sempre avuto pessimi manager. I gruppi che hanno controllato l'impresa rimpiangono amaramente la scelta fatta. La toccata e fuga di Colaninno prima dell'esaurimento della bolla gli ha permesso di uscirne bene. Tronchetti Provera avrà anche "caricato di debiti e spolpato" l'impresa, ma nell'operazione ha comunque perso una barca di soldi. I soci attuali di Telco, come indica Giannini stesso, hanno speso otto miliardi per qualcosa che oggi vale un miliardo e mezzo. Le azioni di Telecom Italia che Tronchetti Prvera aveva comprato per circa quattro euro per azione nel 2001 valgono oggi 45 centesimi di euro. Solo incompetenza? Non è forse che una buona parte di questi soldi "spariti" sono stati trasferiti nelle tasche dei consumatori e degli operatori alternativi, che ai tempi della Stet non esistevano? Quinto. Parte dei problemi di Telecom Italia vengono anche dai vincoli politici. Giannini indica che una delle soluzioni oggi possibili sia la rivendita di Telecom Italia all'AT&T. Se ne era già parlato qualche hanno fa, ma l'operazione fu bloccata per le reazioni politiche e fu preferito l'ingresso di Telefonica come partner strategico.

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Eppure per Telecom Italia sarebbe stato mille volte meglio la vendita alla AT&T. Telefonica non ha nessun interesse a che Telecom Italia espanda le sue attività in Europa o in America Latina. AT&T, che non è invece presente in Europa avrebbe probabilmente utilizzato Telecom Italia come una testa di ponte nel mercato europeo e l'avrebbe spinta ad essere presente su altri mercati, probabilmente più dinamici del nostro. Ma quando si cominciò a parlare di un acquisto da parte della AT&T ci fu una reazione isterica: "no alla cessione agli americani di un'infrastruttura strategica". Si sarebbe quasi detto che si temesse che la AT&T comprasse Telecom Italia per arrotolare la rete e portarsela via. Probabilmente Giannini ha ragione e la cessione a AT&T sarebbe una buona soluzione, ma sarà permessa? Molti strilleranno he l'AT&T comprerebbe Telecom Italia - società privata e non statale - per un boccone di pane; ma se le sue azioni valgono 45 centesimi, anche con tutte le irrazionalità dei mercati, ci sarà pure una ragione. Chi compra Telecom Italia si accolla 29 miliardi di debiti, non un bruscolino. Telecom, un'estate all'ultima spiaggia Massimo Giannini, La Repubblica 11 agosto 2013 Un tempo, quando era ancora Stet, la chiamavano la «gallina dalle uova d’oro». La guidava un boiardo, che difendeva con cocciutaggine la poltrona e il potere dello Stato padrone, ma aveva intuito il Bengodi dell’America Latina, aveva scommesso sulla cablatura delle Penisola con l’Adsl, aveva fiutato il business della fibra ottica. Ernesto Pascale fece una brutta fine, arrivarono i governi Amato e Ciampi, sulle tlc si consumò la battaglia campale tra Prodi e i Poteri Forti, si fece «la madre di tutte le privatizzazioni», la ex Stet finì nell’ordine: al «nocciolino duro» dei furbetti della Galassia del Nord (che la conquistarono con due spiccioli), ai «capitani coraggiosi» Colaninno e Gnutti (che la scardinarono con la leva finanziaria), a Tronchetti Provera (che la prese a debito e la spolpò a dovere) e infine ai «buoni samaritani» di Telco (che si strapparono il mantello per 8 miliardi, e oggi si ritrovano in tasca 1 miliardo e mezzo). Perché meravigliarsi, se Telecom Italia è ormai arrivata al capolinea? A suonare le campane quasi a morto, in cima a una settimana in cui il titolo è scivolato a quota 45 centesimi, è stata nientemeno che la prestigiosa Lex Column: «Roma non è stata costruita in un giorno, ma la soluzione per i guai di Telecom rischia di richiedere quasi lo stesso tempo». Gli investitori «stiano attenti»: con un debito lordo che senza interventi straordinari si avvicina ai 40 miliardi, ed è ormai pari a tre volte e mezzo gli utili previsti quest’anno, le prospettive sono pessime. Come dar torto al “Financial Times”? Franco Bernabè ha ormai sparato inutilmente le ultime cartucce. La trattativa con i cinesi di 3 si è arenata, lo scorporo della rete è bloccato, l’Agcom ha calato la scure della riduzione del canone mensile dell’unbundling. Come se ne esce, è ormai un mistero. Si dovrebbero svenare gli azionisti di Telco, immettendo denaro fresco per almeno la metà della capitalizzazione attuale. Impensabile. Si potrebbe vendere Tim Brazil, che se finisse nelle mani di Carlos Slim per un valore doppio rispetto a quelli di mercato (6 miliardi) abbatterebbe il rapporto debito/Ebitda da 2,4 a 2,1 volte, ma depaupererebbe irrimediabilmente il valore del gruppo. Impensabile. E allora? Non resta che piangere un’altra grande industria italiana distrutta, e rimpiangere la vecchia Stet di Pascale? Ubs stima un debito netto inchiodato a 29,4 miliardi, un calo del 12% per l’Ebitda anno su anno e del 40% dell’utile netto. La resa dei conti sarà a settembre. Mediobanca, Generali e Intesa devono studiare una exit strategy, che al momento non c’è. Ci sono solo ipotesi. L’ultima, sentita a Milano, prevede lo scioglimento di Telco, l’uscita di scena di Bernabè, l’arrivo di Flavio Cattaneo dall’esilio dorato di Terna, l’ingresso di un colosso globale tipo At&t. Scenari da «ultima spiaggia». Buona estate a tutti. m.giannini@repubblica.it

Risposto da Fabio Colasanti su 11 Agosto 2013 a 18:52 Laura, è giusto. Ma per gli olandesi non cambia molto. E' un fatto che la forte concorrenza imposta dalle regole europee è stata certo utile per far scendere i prezzi e far entrare nel mercato molti operatori alternativi che quindici anni fa non esistevano. Ma questa concorrenza ha inevitabilmente indebolito la redditività delle grosse imprese europee il cui valore in borsa è sceso fortemente, facendole diventare delle prede di investitori con liquidirà abbondanti, spesso di altri paesi. Ma per l'utente medio europeo che gli azionisti dell'impresa di telecomunicazioni con la quale è abbonato siano tedeschi, olandesi, americani, messicani o cinesi non cambia nulla. Il settore è talmente inquadrato da mille regole che le imprese hanno ben pochi margini di manovra.

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laura sgaravatto ha detto: ))))))))))) c'è pure in corso da parte di Carlos Slim un assalto alla KPN...giusto ??

Risposto da Fabio Colasanti su 12 Agosto 2013 a 10:31 Il lavoro sulle pensioni non è finito con le riforme Fornero. http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-08-11/ecco-come-pension...

Risposto da Giorgio Mauri su 12 Agosto 2013 a 23:42 Oh, qualcosa di serio ! Ma dove sono i "cervelloni" come Monti (che è uno che ha governato, non un "simpatizzante"), come Renzi (mai sentito nulla in questa direzione), come Bersani, come Berlusconi, come Tremonti, come tutti gli altri cialtroni che giocano a fare i govenanti ? Pensano all'IMU ? Oppure pensano all' AGIBILITA' di Berlusconi ? Con Napolitano preoccupatissimo. Ma che vadano a "vangare". laura sgaravatto ha detto: “Sono veneto e creo mille posti di lavoro. In Carinzia” Luigi Marcadella http://www.linkiesta.it/carinzia-dreaming Parla Francesco Biasion, patron della Bifrangi spa, deluso dalla asfissiante burocrazia italiana «Non credo più al sistema Italia, non penso che si possa più fare impresa nel nostro Paese. Io sono un imprenditore onesto e vengo trattato dalle istituzioni alla stregua di un delinquente. E se vuole le faccio i nomi: sindacati, magistratura, amministrazione comunale, burocrazia locale. Le ultime multinazionali rimaste se ne andranno via una a una. Se tutto il sistema rema contro gli imprenditori, regole del mercato del lavoro, certezza del diritto, istituzioni, non ha più senso restare qui». È lo sfogo amarissimo di Francesco Biasion, presidente della Bifrangi Spa, un colosso dell’industria veneta che dà lavoro a circa cinquecento persone, più di un migliaio nel mondo. 108 milioni di fatturato per Bifrangi Spa e circa 70 milioni per Bifrangi Uk nel 2011. Siamo a Mussolente, quaranta chilometri da Vicenza, profondo Nordest, locomotiva economica del Paese. La Bifrangi aprirà il prossimo stabilimento in Carinzia, dove secondo l’imprenditore vicentino chi fa impresa è visto «come un Dio in terra». In Italia lo hanno fiaccato le pastoie burocratiche di un Paese che non permette di investire in un’azienda che dà lavoro a centinaia di dipendenti, ma che consente invece di aprire un locale di lap dance o una sala scommesse in un mese. «Lunedì sono stato in Carinzia per definire le pratiche burocratiche per aprire il nuovo stabilimento. In un solo giorno abbiamo fatto tutto: mi hanno dato il terreno, aperto la partiva iva, acceso i conti correnti. In Italia ci avrei messo forse dieci anni. In Austria riceveremo anche una percentuale a fondo perduto sull’investimento. Di nostro ci metteremo capitali che vanno sull’ordine dei 40-50 milioni di euro in 3-4 anni». Soldi che non verranno investiti in Veneto, occupazione che andrà a beneficio delle statistiche austriache. A settembre del 2014 la produzione industriale partirà con trenta dipendenti, che diventeranno 300 in dieci anni. Ma quella di Francesco Biasion non è una scelta che nasce in una notte di mezza estate, la “guerra” della Bifrangi Spa contro i tentacoli amministrativi dello Stato è lunga e complessa. La Bifrangi produce componenti meccaniche per multinazionali come John Deere, Nsk, Caterpillar, Skf, e per tutte le case automobilistiche di livello internazionale. Ha lottato per anni con le istituzioni locali per poter installare nel sito aziendale di Mussolente un maglio in grado di sprigionare forza per 55 mila tonnellate, il più grande e potente del mondo. Biasion si è stancato e ora il “gigante meccanico” lavora a pieno ritmo a Houston, negli Stati Uniti.

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«Lei pensa che qualche politico sia venuto per farci desistere dallo spostamento in America del nostro fiore all’occhiello industriale? Nessuno, nemmeno una telefonata. Ci hanno ostacolato in prevalenza a livello locale: avevamo il via libera da Regione, Provincia, Arpav, Spisal, Vigili del Fuoco. La “pratica” non è arrivata neanche in consiglio comunale, si è fermata nei meandri della burocrazia degli uffici tecnici». Bifrangi ha spostato successivamente a Lincoln, nel Regno Unito, una pressa a vite da 32 mila tonnellate di potenza, 14 metri di altezza e 1750 tonnellate di stazza, per lo stampaggio a caldo dell’acciaio, il primo impianto del genere in Gran Bretagna e uno dei pochi esistenti al mondo. Un investimento da 100 milioni di euro in cinque anni. Cosa abbiamo perso come circuito economico Veneto? Milioni di euro di investimenti in edilizia, idraulica, meccanica di alto livello, impiego di manodopera qualificata. «Con il nostro nuovo stabilimento in Carinzia creeremo non meno di mille posti, tra operai e tecnici. L’acciaio che impiegheremo, migliaia di tonnellate, non verrà certamente comprato in Italia. Si compra il più vicino possibile allo stabilimento. Pensi che io non ho nemmeno guardato le differenze del costo del lavoro tra il Veneto e la Carinzia. Neanche la tassazione. Ma in Austria ci sono le condizioni istituzionali per creare valore: in Carinzia posso licenziare l’operaio che oltre a non lavorare rema contro l’impresa, o passa metà dell’anno in finta malattia. A Mussolente facciamo fatica a dare un ordine di officina ad un dipendente». Va detto che alla Bifrangi hanno cercato in tutti i modi di mettere i bastoni tra le ruote. Prima il sequestro del terreno adiacente alla fabbrica, voluto dai vigili urbani. Poi il “no” alla costruzione di alloggi per i lavoratori. Sempre “niet” per la riqualificazione residenziale della vecchia sede della fabbrica. La Bifrangi è stata anche denunciata all’Agenzia delle Entrate per una contestazione su una recinzione metallica. Francesco Biasion è un imprenditore che potrebbe rappresentare tutta la vecchia guardia di artigiani veneti che nel dopoguerra hanno creato dal nulla multinazionali con bilanci milionari. Quando siamo andati a trovarlo, tardo pomeriggio, caldo agostano infernale, ci ha accolto in una delle officine dello stabilimento, mani sporche di olio e scarpe da lavoro. Si vedeva lontano un miglio che non resisterebbe una settimana lontano dalla sua fabbrica, ma dell’Italia e della politica non vuole assolutamente più sapere niente. «In Carinzia mi ha accolto la televisione, il governatore, la giunta comunale e la guardia di finanza locale. Hanno offerto un grande pranzo di benvenuto per trenta persone. D’altronde lì porteremo sviluppo, un indotto calcolato in circa 40 imprese satelliti del luogo. I nostri mozzi sono famosi in tutto il mondo, la nostra tecnologia nello stampaggio è all’avanguardia per competere con tutti i migliori costruttori mondiali. A Mussolente ho dovuto contrastare persino un tentativo del Comune di inserire nel piano regolatore una strada che doveva attraversare i capannoni dello stabilimento».

Risposto da giorgio varaldo su 12 Agosto 2013 a 23:56 deve esserti sfuggito , renzi il problema delle autorizzazioni e della burocrazia asfissiante lo ha segnalato molte volte. lo stesso problema deve invece esser sfuggito a fassina quindi anche a bersani. Giorgio Mauri ha detto: Oh, qualcosa di serio ! Ma dove sono i "cervelloni" come Monti (che è uno che ha governato, non un "simpatizzante"), come Renzi (mai sentito nulla in questa direzione), come Bersani, come Berlusconi, come Tremonti, come tutti gli altri cialtroni che giocano a fare i govenanti ? Pensano all'IMU ? Oppure pensano all' AGIBILITA' di Berlusconi ? Con Napolitano preoccupatissimo. Ma che vadano a "vangare". laura sgaravatto ha detto: “Sono veneto e creo mille posti di lavoro. In Carinzia” Luigi Marcadella http://www.linkiesta.it/carinzia-dreaming Parla Francesco Biasion, patron della Bifrangi spa, deluso dalla asfissiante burocrazia italiana

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«Non credo più al sistema Italia, non penso che si possa più fare impresa nel nostro Paese. Io sono un imprenditore onesto e vengo trattato dalle istituzioni alla stregua di un delinquente. E se vuole le faccio i nomi: sindacati, magistratura, amministrazione comunale, burocrazia locale. Le ultime multinazionali rimaste se ne andranno via una a una. Se tutto il sistema rema contro gli imprenditori, regole del mercato del lavoro, certezza del diritto, istituzioni, non ha più senso restare qui». È lo sfogo amarissimo di Francesco Biasion, presidente della Bifrangi Spa, un colosso dell’industria veneta che dà lavoro a circa cinquecento persone, più di un migliaio nel mondo. 108 milioni di fatturato per Bifrangi Spa e circa 70 milioni per Bifrangi Uk nel 2011. Siamo a Mussolente, quaranta chilometri da Vicenza, profondo Nordest, locomotiva economica del Paese. La Bifrangi aprirà il prossimo stabilimento in Carinzia, dove secondo l’imprenditore vicentino chi fa impresa è visto «come un Dio in terra». In Italia lo hanno fiaccato le pastoie burocratiche di un Paese che non permette di investire in un’azienda che dà lavoro a centinaia di dipendenti, ma che consente invece di aprire un locale di lap dance o una sala scommesse in un mese. «Lunedì sono stato in Carinzia per definire le pratiche burocratiche per aprire il nuovo stabilimento. In un solo giorno abbiamo fatto tutto: mi hanno dato il terreno, aperto la partiva iva, acceso i conti correnti. In Italia ci avrei messo forse dieci anni. In Austria riceveremo anche una percentuale a fondo perduto sull’investimento. Di nostro ci metteremo capitali che vanno sull’ordine dei 40-50 milioni di euro in 3-4 anni». Soldi che non verranno investiti in Veneto, occupazione che andrà a beneficio delle statistiche austriache. A settembre del 2014 la produzione industriale partirà con trenta dipendenti, che diventeranno 300 in dieci anni. Ma quella di Francesco Biasion non è una scelta che nasce in una notte di mezza estate, la “guerra” della Bifrangi Spa contro i tentacoli amministrativi dello Stato è lunga e complessa. La Bifrangi produce componenti meccaniche per multinazionali come John Deere, Nsk, Caterpillar, Skf, e per tutte le case automobilistiche di livello internazionale. Ha lottato per anni con le istituzioni locali per poter installare nel sito aziendale di Mussolente un maglio in grado di sprigionare forza per 55 mila tonnellate, il più grande e potente del mondo. Biasion si è stancato e ora il “gigante meccanico” lavora a pieno ritmo a Houston, negli Stati Uniti. «Lei pensa che qualche politico sia venuto per farci desistere dallo spostamento in America del nostro fiore all’occhiello industriale? Nessuno, nemmeno una telefonata. Ci hanno ostacolato in prevalenza a livello locale: avevamo il via libera da Regione, Provincia, Arpav, Spisal, Vigili del Fuoco. La “pratica” non è arrivata neanche in consiglio comunale, si è fermata nei meandri della burocrazia degli uffici tecnici». Bifrangi ha spostato successivamente a Lincoln, nel Regno Unito, una pressa a vite da 32 mila tonnellate di potenza, 14 metri di altezza e 1750 tonnellate di stazza, per lo stampaggio a caldo dell’acciaio, il primo impianto del genere in Gran Bretagna e uno dei pochi esistenti al mondo. Un investimento da 100 milioni di euro in cinque anni. Cosa abbiamo perso come circuito economico Veneto? Milioni di euro di investimenti in edilizia, idraulica, meccanica di alto livello, impiego di manodopera qualificata. «Con il nostro nuovo stabilimento in Carinzia creeremo non meno di mille posti, tra operai e tecnici. L’acciaio che impiegheremo, migliaia di tonnellate, non verrà certamente comprato in Italia. Si compra il più vicino possibile allo stabilimento. Pensi che io non ho nemmeno guardato le differenze del costo del lavoro tra il Veneto e la Carinzia. Neanche la tassazione. Ma in Austria ci sono le condizioni istituzionali per creare valore: in Carinzia posso licenziare l’operaio che oltre a non lavorare rema contro l’impresa, o passa metà dell’anno in finta malattia. A Mussolente facciamo fatica a dare un ordine di officina ad un dipendente». Va detto che alla Bifrangi hanno cercato in tutti i modi di mettere i bastoni tra le ruote. Prima il sequestro del terreno adiacente alla fabbrica, voluto dai vigili urbani. Poi il “no” alla costruzione di alloggi per i lavoratori. Sempre “niet” per la riqualificazione residenziale della vecchia sede della fabbrica. La Bifrangi è stata anche denunciata all’Agenzia delle Entrate per una contestazione su una recinzione metallica. Francesco Biasion è un imprenditore che potrebbe rappresentare tutta la vecchia guardia di artigiani veneti che nel dopoguerra hanno creato dal nulla multinazionali con bilanci milionari. Quando siamo andati a trovarlo, tardo pomeriggio, caldo agostano infernale, ci ha accolto in una delle officine dello stabilimento, mani sporche di olio e scarpe da lavoro. Si vedeva lontano un miglio che non resisterebbe una settimana lontano dalla sua fabbrica, ma dell’Italia e della politica non vuole assolutamente più sapere niente.

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«In Carinzia mi ha accolto la televisione, il governatore, la giunta comunale e la guardia di finanza locale. Hanno offerto un grande pranzo di benvenuto per trenta persone. D’altronde lì porteremo sviluppo, un indotto calcolato in circa 40 imprese satelliti del luogo. I nostri mozzi sono famosi in tutto il mondo, la nostra tecnologia nello stampaggio è all’avanguardia per competere con tutti i migliori costruttori mondiali. A Mussolente ho dovuto contrastare persino un tentativo del Comune di inserire nel piano regolatore una strada che doveva attraversare i capannoni dello stabilimento».

Risposto da giorgio varaldo su 13 Agosto 2013 a 0:12 quando l'incompetenza fa solo danni non c'era già abbastanza burocrazia che ecco arrivare il durt certficato energetico per la compravendita delle case. http://www.movimentolibertario.com/2013/08/ecco-lultimo-orpello-bur... imbecilli i fanatici pseudoecologisti del M5S e pure ignoranti in quanto per la compravendita di case è già previsto il rilascio del certificato energetico. a che avrebbe dovuto servire questo durt non ci è dato a sapere. certo che in un momento di crisi profonda dell'edilizia ci voleva proprio un simile atto di demenza per dare il colpo di grazia al sistema. meno male che c'è ancora qualcuno che ragiona e dal decreto del fare il durt è stato cancellato.

Risposto da Fabio Colasanti su 13 Agosto 2013 a 2:29 "Quando il mio partito dice di voler essere il partito del lavoro dice una cosa bella e rassicurante. Bene, bravi, bis. Ma di quale lavoro stiamo parlando? Se al Nord gli operai votano Pdl come primo partito e noi ce la giochiamo sul filo dei sondaggi con la Lega per la medaglia d'argento, qualcosa vorrà pur dire. Il modello fordista dell'occupazione è sufficiente a capire la direzione verso la quale ci stiamo muovendo? E visto che vogliamo essere il partito del lavoro, perché non mettiamo mano - anche a livello locale - a una gigantesca riforma del sistema della formazione professionale? Difficile individuare in Italia un sistema che funzioni peggio di questo. Anche nei casi in cui tutte le norme sono rispettate e gli interventi sono leciti e legittimi è difficile sostenere che questo non sia il grande bubbone dei sistemi territoriali locali italiani. Le associazioni sindacali e di categoria fanno il bello e il cattivo tempo, ma spesso non ancorano i loro interventi a una reale efficacia dell'azione formativa. Detto fuori dal politichese è forte la sensazione di sprecare soldi in iniziative formative che difficilmente funzionano davvero. Pronto da subito a discutere dei diritti, e dei doveri, dei lavoratori. Ma con i numeri del mercato globale citati sopra la mia principale preoccupazione è evitare che, a forza di chiacchiere e di non firmare accordi, cresca il numero dei disoccupati, non dei lavoratori. Io sono entrato nelle case delle famiglie dei cassaintegrati e dei licenziati. Ho preso il caffé e parlato di prospettive in luoghi dove il tunnel sembra infinito. Ho visto gli sguardi pieni di dolore composto di chi si gira vero un figlio piccolo sapendo che è stato licenziato e che ritrovare un'occupazione a quarantacinque anni non è la cosa più facile del mondo. Ho giurato a me stesso che farò di tutto perché su questo tema ci sia il massimo impegno possibile e allora va bene ogni discussione sulle clausole dei contratti. Ma quando il rischio è che portino via l'azienda, che delocalizzino anche le nostre speranze, penso che sia di sinistra stare dalla parte degli investimenti, non combattere una battaglia che ha come primo risultato l'aumento dei senza lavoro. Si tratta di un ricatto? Mi sembra una parola forte. Ma se vogliamo usarla va bene, mi sta bene anche la parola ricatto. Se c'è qualcuno che ricatta, tuttavia, non è l'amministratore delegato dell'azienda X o Y; è il mondo che cambia a ricattarci. Nei prossimi venti anni l'Europa dimezzerà la propria forza nella suddivisione della torta della ricchezza mondiale. Non voglio creare allarmismi, ma ne possiamo parlare? Preferiamo esserne consapevoli o prendere la linea dai sindacati che gridano più forte? Oppure, ancora più debolmente, ci rifugeremo nella consueta linea politica che non vuole scontentare nessuno, del "ma anche" e del "né con né con"?

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Secondo tarlo da sconfiggere. "L'imprenditore è comunque un evasore. Un evasore in potenza, se non in atto. Ma comunque un problema". Intendiamoci: Così non ve lo dicono mai. Ma lo pensano spesso. Sono tanti gli approfittatori che usufruiscono della definizione di imprenditore per fare più semplicemente i fatti propri. Ma c'è un sacco di gente che dirige la propria azienda con una passione struggente. Dobbiamo smettere di pensare che gli imprenditori siano tutti ladri potenziali, salvo poi spesso vivere con timore reverenziale il rapporto con la locale Confindustria che invece - non ho paura a dirlo - in tante città è guidata da chi l'azienda non ce l'ha più. (...) Sono invece da elogiare le tante piccolissime aziende che resistono, che costituiscono il cuore di questo Paese e che risultano spesso indigeste alla sinistra. Come se un imprenditore non possa essere uno che lavora, che rischia, che ci mette del suo. Certo ci saranno personaggi discutibili, cinici egoisti, evasori e potete aggiungere voi ogni cliché. Ma la maggioranza degli imprenditori è gente da elogiare. Sono persone che se investissero i propri soldi in speculazioni finanziarie o immobiliari - nonostante la crisi - guadagnerebbe di più di quanto facciano alzando un bandone ogni mattina. Anche perché finché la tassazione sarà più alta per chi investe sul lavoro rispetto a chi gioca in borsa o specula sui titoli finanziari ... Nella maggioranza dei casi l'imprenditore, specie il piccolo imprenditore, fa quello che fa perché è appassionato, perché ci crede, perché ha voglia di rischiare. E' convinto davvero del valore sociale di ciò che fa. Ha un elevato concetto dell'onore. Considera il dipendente come parte della famiglia allargata, un compagno di strada con cui condividere gioie e insuccessi, non una fastidiosa necessità. Non è un caso che una recente indagine mostri come i due terzi delle piccolissime aziende del Nordest siano guidate da ex operai o artigiani che hanno lasciato il posto fisso per mettersi in gioco." (Fuori!, Matteo Renzi, 2011, BUR pagine 129-132)

Risposto da Fabio Colasanti su 13 Agosto 2013 a 2:42 Giorgio, non esiste nessuno che difenda queste aberrazioni (Camera, Senato, Banca d'Italia, Rao, alcune autortà, ecc.). Da Monti in poi tutti chiedono trasparenza e la correzione di questi abusi. Eppure non succede quasi nulla. La domanda da farsi è "perché". Chi blocca (per esempio la Corte Costituzionale)? Chi sono quelli in parlamento che agiscono per conto di queste corporazioni? Basta pensare all'indegno balletto al Senato sul tetto alle remunerazioni dei dirigenti pubblici. Nella stampa mi sembra che solo Stella e Rizzo sul Corriere della Sera si occupino regolarmente di queste cose. Il Fatto Quotidiano ne parla anche, ma il resto della stampa tace. Giorgio Mauri ha detto: Pensioni d'oro: 33.000 Pensioni superiori a 3.000 euro: 900.000 Costo medio di un dipendente della Banca d'Italia: prima o poi lo pubblicheranno (una ventina di anni fa era sui 170 milioni) http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-08-12/stipendi-dipenden... Gli stipendi d'oro dei dipendenti della Camera: 406mila euro al segretario generale, 136mila al barbiere ( ... )

Risposto da mariella alois su 13 Agosto 2013 a 13:13 Tito Boeri scrive oggi su Repubblica (pag.29) un bell'articolo "pensioni d'oro, e' l'ora della trasparenza"; Boeri pone alcuni quesiti ,cui spero verrà dato un seguito, una risposta. Boeri suggerisce in particolare "di rendere pubblico al piu' presto quanto i beneficiari di questi mega assegni hanno versato nel corso della loro intera carriera lavorativa".In altre parole -scrive Boeri- bisogna rendere noti non solo i livelli delle pensioni d'oro ,ma anche i rendimenti impliciti che sono stati concessi dal sistema previdenziale pubblico ai contributi versati dai pensionati d'oro e dai loro datori di lavoro......" Indipendentemente dalla crisi economica attuale , pensioni o salari di questo ammontare erano spropositate per i lvelli di reddito del resto degli italiani da sempre.

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C'é percio' da chiedersi come é possibile che tutto cio' venga attuato e perpretato senza che noi ,noi italiani intendo,ce ne accorgessimo ?Dove eravamo? Perché abbiamo lasciato la classe politica derubarci per anni senza batter ciglio? Cosa possiamo fare perché cio' non accada piu'? E' chiaro che per cambiare questo stato di cose ,non basta cambiare di partito o governanti. Dobbiamo essere noi stessi , piu' attivi ,piu' partecipi alla vita politica ,ma anche piu' esigenti con chi ci governa e attenti ai risultati ottenuti,che potremo far si che nessuno piu' si approfitti di noi in futuro. Fabio Colasanti ha detto: Giorgio, non esiste nessuno che difenda queste aberrazioni (Camera, Senato, Banca d'Italia, Rao, alcune autortà, ecc.). Da Monti in poi tutti chiedono trasparenza e la correzione di questi abusi. Eppure non succede quasi nulla. La domanda da farsi è "perché". Chi blocca (per esempio la Corte Costituzionale)? Chi sono quelli in parlamento che agiscono per conto di queste corporazioni? Basta pensare all'indegno balletto al Senato sul tetto alle remunerazioni dei dirigenti pubblici. Nella stampa mi sembra che solo Stella e Rizzo sul Corriere della Sera si occupino regolarmente di queste cose. Il Fatto Quotidiano ne parla anche, ma il resto della stampa tace. Giorgio Mauri ha detto: Pensioni d'oro: 33.000 Pensioni superiori a 3.000 euro: 900.000 Costo medio di un dipendente della Banca d'Italia: prima o poi lo pubblicheranno (una ventina di anni fa era sui 170 milioni) http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-08-12/stipendi-dipenden... Gli stipendi d'oro dei dipendenti della Camera: 406mila euro al segretario generale, 136mila al barbiere ( ... )

Risposto da Fabio Colasanti su 13 Agosto 2013 a 14:58 Per Giorgio M., i tuoi commenti al pezzo dal libro di Renzi confermano in pieno la sua analisi, confermano l'esistenza di quello che lui chiama il "secondo tarlo da sconfiggere", ossia l'esistenza in parte della sinistra di un pregiudizio anti-imprenditoria, anti-imprenditori. Al meglio, gli imprenditori sono "tollerati", sono un "male necessario" di cui potremo però liberarci se vivessimo "in un altro sistema" o se la proprietà delle imprese fosse nelle mani pubbliche Fintantoché in Italia questo "tarlo" sarà presente, non dovremo stupirci di atteggiamenti quali quelli che fanno fuggire verso la Carinzia o il canton Ticino gli industriali stufi di vessazioni o l'opposizione alla costruzione di infrastrutture, l'opposizione alla necessità di produrre, trasportare e immagazzinare energia e la mancanza di entusiasmo per la semplificazione amministrativa (che significa sopprimere tante leggi superflue che tanti invece vogliono mantenere). Questo "tarlo" si nutre anche di informazioni erronee. Qualcuno nel Circolo qualche mese fa affermava che se un'impresa va fallita, gli azionisti non perdono nulla e tu stesso hai recentemente affermato che ogni volta che qualcuno compra un'impresa "ci guadagna almeno il venti per cento" quando ti facevo osservare che gli azionisti di Telecom Italia dal 2002 in poi hanno perso una barca di soldi (hai visto il pezzo di Giannini di domenica scorsa su Telecom Italia ed il mio commento?). Questo pregiudizio comunque non esiste nella dirigenza e nella maggioranza del PD. Lo si trova in una minoranza del PD e nella vasta galassia di sinistra al suo esterno.

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 13 Agosto 2013 a 20:46 Mariella

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in realtà tutte le pensioni calcolate con il metodo retributivo e tutti i dipendenti pubblici che sono andati in pensione a partire dal minimo consentito ( 19 anni sei mesi e un giorno) non hanno corrispondenza fra i contributi versati e le prestazioni. Questo a prescindere dall'importo della pensione percepita. Questo sistema ha funzionato per moltissimi anni poi è stato oggetto di riforma con un periodo intermedio di transizione in base ai contributi versati fino a quel momento. Andare a ricalcolare il tutto è pura demagogia. Il modo migliore di affrontare il nodo del privilegio è la progressività dell'imposizione fiscale sul reddito percepito. Questo è l'unico modo costituzionale che assicura l'eguaglianza del cittadino davanti alla legge altrimenti se invece riteniamo che l'eguaglianza sia di altro tipo creeremmo l'impossibilità di qualsiasi riforma e lasceremmo alla pura soggettività di giudizio il compito di definire congrui o sostenibili le varie tipologie di reddito nei confronti delle varie attività lavorative. Ad esempio, perché oggi per ottenere una laurea specialistica (il cui valore è equiparato a quello dei vecchi titoli di studio antecedenti alla riforma, di durata quadriennale) occorrono almeno cinque anni? Gli eccessi andrebbero scoraggiati generalmente con un' imposizione fiscale adeguata . mariella alois ha detto: Tito Boeri scrive oggi su Repubblica (pag.29) un bell'articolo "pensioni d'oro, e' l'ora della trasparenza"; Boeri pone alcuni quesiti ,cui spero verrà dato un seguito, una risposta. Boeri suggerisce in particolare "di rendere pubblico al piu' presto quanto i beneficiari di questi mega assegni hanno versato nel corso della loro intera carriera lavorativa".In altre parole -scrive Boeri- bisogna rendere noti non solo i livelli delle pensioni d'oro ,ma anche i rendimenti impliciti che sono stati concessi dal sistema previdenziale pubblico ai contributi versati dai pensionati d'oro e dai loro datori di lavoro......" Indipendentemente dalla crisi economica attuale , pensioni o salari di questo ammontare erano spropositate per i lvelli di reddito del resto degli italiani da sempre. C'é percio' da chiedersi come é possibile che tutto cio' venga attuato e perpretato senza che noi ,noi italiani intendo,ce ne accorgessimo ?Dove eravamo? Perché abbiamo lasciato la classe politica derubarci per anni senza batter ciglio? Cosa possiamo fare perché cio' non accada piu'? E' chiaro che per cambiare questo stato di cose ,non basta cambiare di partito o governanti. Dobbiamo essere noi stessi , piu' attivi ,piu' partecipi alla vita politica ,ma anche piu' esigenti con chi ci governa e attenti ai risultati ottenuti,che potremo far si che nessuno piu' si approfitti di noi in futuro. Fabio Colasanti ha detto: Giorgio, non esiste nessuno che difenda queste aberrazioni (Camera, Senato, Banca d'Italia, Rao, alcune autortà, ecc.). Da Monti in poi tutti chiedono trasparenza e la correzione di questi abusi. Eppure non succede quasi nulla. La domanda da farsi è "perché". Chi blocca (per esempio la Corte Costituzionale)? Chi sono quelli in parlamento che agiscono per conto di queste corporazioni? Basta pensare all'indegno balletto al Senato sul tetto alle remunerazioni dei dirigenti pubblici. Nella stampa mi sembra che solo Stella e Rizzo sul Corriere della Sera si occupino regolarmente di queste cose. Il Fatto Quotidiano ne parla anche, ma il resto della stampa tace. Giorgio Mauri ha detto: Pensioni d'oro: 33.000 Pensioni superiori a 3.000 euro: 900.000 Costo medio di un dipendente della Banca d'Italia: prima o poi lo pubblicheranno (una ventina di anni fa era sui 170 milioni) http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-08-12/stipendi-dipenden... Gli stipendi d'oro dei dipendenti della Camera: 406mila euro al segretario generale, 136mila al barbiere ( ... )

Risposto da Fabio Colasanti su 15 Agosto 2013 a 10:22 Aggiungo alcuni passi sullo stesso tema dal libro di Walter Veltroni. "Prima la sinistra si libererà da vecchi pregiudizi e smetterà di pensare che chi intraprende è un padrone, meglio sarà. Chi rischia di suo, chi inventa un'idea produttiva, chi da occupazione è un eroe del lavoro. E vorrei non lo scoprissimo solo quando un imprenditore si suicida pur di non licenziare i suoi operai.

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( ... ) Altro che "Agnelli e Pirelli ladri gemelli". Impresa e lavoro sono la stessa cosa, abituiamoci anche terminologicamente a capire che questa oggi, non nell'autunno caldo, è la verità italiana. ( ... ) Forse è necessario un nuovo grande patto sociale tra le parti che ora, si deve sapere, sono tre, non più due: sindacati, Confindustria e Rete imprese. Si deve capire che la contrattazione decentrata, per le imprese piccole e medie, non è un cedimento al nemico di classe ma un modo per dare corpo a questa comunità di relazione di destino, tanto che penso sia matura anche una riflessione sulla partecipazione dei lavoratori ai consigli di amministrazione delle aziende, come accade in Germania, dove i sindacati sono forti." (E se noi domani. L'Italia e la sinistra che vorrei, Walter Veltroni, Rizzoli, 2013, pagine 89-90) Fabio Colasanti ha detto: "Quando il mio partito dice di voler essere il partito del lavoro dice una cosa bella e rassicurante. Bene, bravi, bis. Ma di quale lavoro stiamo parlando? Se al Nord gli operai votano Pdl come primo partito e noi ce la giochiamo sul filo dei sondaggi con la Lega per la medaglia d'argento, qualcosa vorrà pur dire. Il modello fordista dell'occupazione è sufficiente a capire la direzione verso la quale ci stiamo muovendo? E visto che vogliamo essere il partito del lavoro, perché non mettiamo mano - anche a livello locale - a una gigantesca riforma del sistema della formazione professionale? Difficile individuare in Italia un sistema che funzioni peggio di questo. Anche nei casi in cui tutte le norme sono rispettate e gli interventi sono leciti e legittimi è difficile sostenere che questo non sia il grande bubbone dei sistemi territoriali locali italiani. Le associazioni sindacali e di categoria fanno il bello e il cattivo tempo, ma spesso non ancorano i loro interventi a una reale efficacia dell'azione formativa. Detto fuori dal politichese è forte la sensazione di sprecare soldi in iniziative formative che difficilmente funzionano davvero. Pronto da subito a discutere dei diritti, e dei doveri, dei lavoratori. Ma con i numeri del mercato globale citati sopra la mia principale preoccupazione è evitare che, a forza di chiacchiere e di non firmare accordi, cresca il numero dei disoccupati, non dei lavoratori. Io sono entrato nelle case delle famiglie dei cassaintegrati e dei licenziati. Ho preso il caffé e parlato di prospettive in luoghi dove il tunnel sembra infinito. Ho visto gli sguardi pieni di dolore composto di chi si gira vero un figlio piccolo sapendo che è stato licenziato e che ritrovare un'occupazione a quarantacinque anni non è la cosa più facile del mondo. Ho giurato a me stesso che farò di tutto perché su questo tema ci sia il massimo impegno possibile e allora va bene ogni discussione sulle clausole dei contratti. Ma quando il rischio è che portino via l'azienda, che delocalizzino anche le nostre speranze, penso che sia di sinistra stare dalla parte degli investimenti, non combattere una battaglia che ha come primo risultato l'aumento dei senza lavoro. Si tratta di un ricatto? Mi sembra una parola forte. Ma se vogliamo usarla va bene, mi sta bene anche la parola ricatto. Se c'è qualcuno che ricatta, tuttavia, non è l'amministratore delegato dell'azienda X o Y; è il mondo che cambia a ricattarci. Nei prossimi venti anni l'Europa dimezzerà la propria forza nella suddivisione della torta della ricchezza mondiale. Non voglio creare allarmismi, ma ne possiamo parlare? Preferiamo esserne consapevoli o prendere la linea dai sindacati che gridano più forte? Oppure, ancora più debolmente, ci rifugeremo nella consueta linea politica che non vuole scontentare nessuno, del "ma anche" e del "né con né con"? Secondo tarlo da sconfiggere. "L'imprenditore è comunque un evasore. Un evasore in potenza, se non in atto. Ma comunque un problema". Intendiamoci: Così non ve lo dicono mai. Ma lo pensano spesso. Sono tanti gli approfittatori che usufruiscono della definizione di imprenditore per fare più semplicemente i fatti propri. Ma c'è un sacco di gente che dirige la propria azienda con una passione struggente. Dobbiamo smettere di pensare che gli imprenditori siano tutti ladri potenziali, salvo poi spesso vivere con timore reverenziale il rapporto con la locale Confindustria che invece - non ho paura a dirlo - in tante città è guidata da chi l'azienda non ce l'ha più. (...) Sono invece da elogiare le tante piccolissime aziende che resistono, che costituiscono il cuore di questo Paese e che risultano spesso indigeste alla sinistra. Come se un imprenditore non possa essere uno che lavora, che rischia, che ci mette del suo. Certo ci saranno personaggi discutibili, cinici egoisti, evasori e potete aggiungere voi ogni cliché. Ma la maggioranza degli imprenditori è gente da elogiare. Sono persone che se investissero i propri soldi in speculazioni finanziarie o immobiliari - nonostante la crisi - guadagnerebbe di più di quanto facciano alzando un bandone ogni mattina. Anche perché finché la tassazione sarà più alta per chi investe sul lavoro rispetto a chi gioca in borsa o specula sui titoli finanziari ... Nella maggioranza dei casi l'imprenditore, specie il piccolo imprenditore, fa quello che fa perché è appassionato, perché ci crede, perché ha voglia di rischiare. E' convinto davvero del valore sociale di ciò che fa. Ha un elevato concetto dell'onore. Considera il dipendente come parte della famiglia allargata, un compagno di strada con cui condividere gioie e insuccessi, non una fastidiosa necessità. Non è un caso che una recente indagine mostri come i due terzi delle piccolissime aziende del Nordest siano guidate da ex operai o artigiani che hanno lasciato il posto fisso per mettersi in gioco." (Fuori!, Matteo Renzi, 2011, BUR pagine 129-132)

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Risposto da mariella alois su 15 Agosto 2013 a 11:50 Grazie Giuseppe confesso che non conosco per nulla il sistema pensionistico in italia e il metodo di calcolo. Pero' gli ammontari mensili delle pensioni d'oro di cui ha parlato di recente la stampa,restano in ogni caso aberranti e iniqui se paragonati ai redditi medi in Italia. Sopratutto se consideriamo gli effetti della recente riforma Fornero su quei lavoratori "esodati"ancora in attesa di una soluzione.E' pur vero :a chi troppo e a chi niente....... Giuseppe Ardizzone ha detto: Mariella in realtà tutte le pensioni calcolate con il metodo retributivo e tutti i dipendenti pubblici che sono andati in pensione a partire dal minimo consentito ( 19 anni sei mesi e un giorno) non hanno corrispondenza fra i contributi versati e le prestazioni. Questo a prescindere dall'importo della pensione percepita. Questo sistema ha funzionato per moltissimi anni poi è stato oggetto di riforma con un periodo intermedio di transizione in base ai contributi versati fino a quel momento. Andare a ricalcolare il tutto è pura demagogia. Il modo migliore di affrontare il nodo del privilegio è la progressività dell'imposizione fiscale sul reddito percepito. Questo è l'unico modo costituzionale che assicura l'eguaglianza del cittadino davanti alla legge altrimenti se invece riteniamo che l'eguaglianza sia di altro tipo creeremmo l'impossibilità di qualsiasi riforma e lasceremmo alla pura soggettività di giudizio il compito di definire congrui o sostenibili le varie tipologie di reddito nei confronti delle varie attività lavorative. Ad esempio, perché oggi per ottenere una laurea specialistica (il cui valore è equiparato a quello dei vecchi titoli di studio antecedenti alla riforma, di durata quadriennale) occorrono almeno cinque anni? Gli eccessi andrebbero scoraggiati generalmente con un' imposizione fiscale adeguata . mariella alois ha detto: Tito Boeri scrive oggi su Repubblica (pag.29) un bell'articolo "pensioni d'oro, e' l'ora della trasparenza"; Boeri pone alcuni quesiti ,cui spero verrà dato un seguito, una risposta. Boeri suggerisce in particolare "di rendere pubblico al piu' presto quanto i beneficiari di questi mega assegni hanno versato nel corso della loro intera carriera lavorativa".In altre parole -scrive Boeri- bisogna rendere noti non solo i livelli delle pensioni d'oro ,ma anche i rendimenti impliciti che sono stati concessi dal sistema previdenziale pubblico ai contributi versati dai pensionati d'oro e dai loro datori di lavoro......" Indipendentemente dalla crisi economica attuale , pensioni o salari di questo ammontare erano spropositate per i lvelli di reddito del resto degli italiani da sempre. C'é percio' da chiedersi come é possibile che tutto cio' venga attuato e perpretato senza che noi ,noi italiani intendo,ce ne accorgessimo ?Dove eravamo? Perché abbiamo lasciato la classe politica derubarci per anni senza batter ciglio? Cosa possiamo fare perché cio' non accada piu'? E' chiaro che per cambiare questo stato di cose ,non basta cambiare di partito o governanti. Dobbiamo essere noi stessi , piu' attivi ,piu' partecipi alla vita politica ,ma anche piu' esigenti con chi ci governa e attenti ai risultati ottenuti,che potremo far si che nessuno piu' si approfitti di noi in futuro. Fabio Colasanti ha detto: Giorgio, non esiste nessuno che difenda queste aberrazioni (Camera, Senato, Banca d'Italia, Rao, alcune autortà, ecc.). Da Monti in poi tutti chiedono trasparenza e la correzione di questi abusi. Eppure non succede quasi nulla. La domanda da farsi è "perché". Chi blocca (per esempio la Corte Costituzionale)? Chi sono quelli in parlamento che agiscono per conto di queste corporazioni? Basta pensare all'indegno balletto al Senato sul tetto alle remunerazioni dei dirigenti pubblici. Nella stampa mi sembra che solo Stella e Rizzo sul Corriere della Sera si occupino regolarmente di queste cose. Il Fatto Quotidiano ne parla anche, ma il resto della stampa tace. Giorgio Mauri ha detto: Pensioni d'oro: 33.000 Pensioni superiori a 3.000 euro: 900.000 Costo medio di un dipendente della Banca d'Italia: prima o poi lo pubblicheranno (una ventina di anni fa era sui 170 milioni) http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-08-12/stipendi-dipenden...

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Gli stipendi d'oro dei dipendenti della Camera: 406mila euro al segretario generale, 136mila al barbiere ( ... )

Risposto da Fabio Colasanti su 15 Agosto 2013 a 13:00 Mariella, la risposta di Giuseppe (peraltro giustissima) è un esempio del divario oggettivo che esiste tra percezioni - comprensibilissime - della "base", del cittadino comune, e impossibilità di introdurre la soluzione che la base, il cittadino comune vorrebbero. Questo è il motivo per il quale metto in guardia contro la democrazia diretta e contro l'illusione di elaborare "dal basso" un programma di partito. Spiego meglio il caso di cui parliamo. Pensioni di 90mila, 50mila o 40mila euro al mese appaiono e sono uno scandalo. Soprattutto perché il termine pensione è associato alla basse cifre che sappiamo sono ricevute dalla stragrande maggioranza dei pensionati. Ma molto più scandalose sono le differenze di stipendio che per motivi poco comprensibili non sembrano sucitare le stesse reazioni. La pensione più alta pagata dall'INPS, come oramai tutti sappiamo, è quella di 91mila euro al mese pagata a Mauro Sentinelli, ex-direttore generale di TIM, il braccio mobile di Telecom Italia. Mauro Sentinelli che ha contribuito fortemente a creare il business della telefonia mobile - è stato anche vicepresidente dall'associazione mondiale degli operatori mobili (GSMA) ed è stato membro fondatore del gruppo che ha creato il sistema di telefonia GSM oltre che inventore delle carte pre-pagate - negli ultimi anni con TIM aveva uno stipendio annuo di cinque milioni di euro. Rispetto alle remunerazioni medie italiane, i cinque milioni sono molto più alti e "scandalosi" che i 90mila euro di pensione rispetto alle pensioni medie. Eppure non ricordo di aver mai letto molto contro la remunerazione di Mauro Sentinelli (il suo capo, Tronchetti Provera aveva una remunerazone annua ancora più elevata). Ma quello che Tito Boeri essenzialmente solleva è che le pensioni per decine di migliaia di euro al mese sono probabilmente dovute all'applicazione del sistema "retributivo" e non al pagamento di contributi effettivi e nel tuo post tu sembravi suggerire che forse bisognerebbe rimettere in discussione questo principio per poter ottenre un abbassamento di queste pensioni altissime. Giusto e comprensibile. Giuseppe però ha osservato che quasi tutti i dipendenti pubblici oggi in pensione e moltissimi dipendenti privati (fino all'entrata in vigore della riforma Fornero) sono esattamente nella stessa situazione. Se si ricalcolassero con il sistema contributivo le pensioni di Mauro Sentinelli e degli altri pensionati con pensione "ricche" si dovrebbero ricalcolare le pensioni di milioni di persone, cosa che scatenerebbe una guerra civile nel paese (oltre che condannare all'un per cento dei voti per trenta anni il partito che facesse la proposta). Questo mostra bene come la soluzione che sembra ovvia e logica al cittadino medio non sia applicabile in pratica. Questa è una situazione che si ripete spesso in tanti altri campi. L'anti-politica si nutre in primo luogo dei tanti scandali che sono sotto i nostri occhi, ma anche dell'incomprensione per tanti casi di questo genere. A volte uno "scandalo" sembra tale solo perché non si è sufficientemente informati sui fatti (vedi gli scambi su Telecom Italia che abbiamo avuto con Alessandro e Giorgio M.), altre volte perché non si capisce perché non si applichi la soluzione che sembra ovvia. Penso che il PD dovrebbe fare molto di più per spiegare meglio, anche utilizzando in maniera professionale la rete (tra l'altro ho scritto tre volte al PD per far presenti i problemi sul sito e sul meccanismo di iscrizione on line e aspetto ancora un segno di vita. Una qualsiasi ditta privata mi avrebbe almeno mandato un riscontro dicendo che il mio era stato ricevuto e che avrei avuto una risposta sul fondo il più presto possibile). Sul problema delle pensioni l'unica possibilità di intervento che vedo è quella fiscale indicata da Giuseppe, ma che ha tempi molto lunghi, non vedo il governo attuale aumentare le aliquote più alte dell'IRPEF o l'istituzione di un prelievo ad hoc sulle pensioni che superino certi livelli, ma questo prelievo dovrebbe applicarsi a tutte le pensioni, indipendentemente dalla maniera come state determinate (e dovrebbe forse applicarsi anche alle pensioni private). mariella alois ha detto: Grazie Giuseppe confesso che non conosco per nulla il sistema pensionistico in italia e il metodo di calcolo.

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Pero' gli ammontari mensili delle pensioni d'oro di cui ha parlato di recente la stampa,restano in ogni caso aberranti e iniqui se paragonati ai redditi medi in Italia. Sopratutto se consideriamo gli effetti della recente riforma Fornero su quei lavoratori "esodati"ancora in attesa di una soluzione.E' pur vero :a chi troppo e a chi niente.......

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 15 Agosto 2013 a 13:12 Mariella, l'aberrazione del livello di pensioni alte testimonia quanto sia stato e sia ancora aberrante la diseguaglianza dei redditi da lavoro esistente in Italia. La tassazione progressiva mi sembra l'unica arma possibile e semplice. Negli Stati Uniti fino agli anni '50 le aliquote fiscali sui redditi elevati erano molto forti. In Francia si è gridato alla scandalo per le misure proposte da Hollande ed il progressista Depardieu ha preferito " emigrare" pur di non pagarle. E' molto più facile " tosare" particolari categorie deboli del ceto medio :gli anziani, che sono il vero obiettivo economico del dibattito in corso. Applicare su tutti i redditi elevati, ad esempio a cominciare da oltre i 75.000 euro una aliquota più alta è poco elegante, fa scappare i soldi all'estero ed elettoralmente è controproducente.!?! Buon Ferragosto mariella alois ha detto: Grazie Giuseppe confesso che non conosco per nulla il sistema pensionistico in italia e il metodo di calcolo. Pero' gli ammontari mensili delle pensioni d'oro di cui ha parlato di recente la stampa,restano in ogni caso aberranti e iniqui se paragonati ai redditi medi in Italia. Sopratutto se consideriamo gli effetti della recente riforma Fornero su quei lavoratori "esodati"ancora in attesa di una soluzione.E' pur vero :a chi troppo e a chi niente.......

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 16 Agosto 2013 a 14:13 Al di la di tutto basterebbero quttro cose semplici per il nostro paese da fare subito con una guida forte e sicura: a) lotta senza quartiere alla criminalità organizzata e ad ogni forma di corruzione b) introduzione di una forte progressività sui redditi con diversi scaglioni oltre i 75.000 euro c) utilizzo di tutte le risorse per abbattere il cuneo fiscale sul lavoro e recuperare condizioni di competitività immediata d) riforme strutturali e liberalizzazioni a costo zero Se tutti mediamente possiamo essere d'accordo , come mai non si fanno? Come mai neanche un partito come il PD che chiede con ambizione ai propri elettori la fiducia per governare il paese ha la determinazione di portare avanti con "durezza" questi punti? I tempi stanno cambiando e se non vogliamo che diventino peggiori e incontrollabili , bisogna essere duri e determinati ora.

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 16 Agosto 2013 a 14:15 sul piano strutturale aggiungo quello che diciamo da sempre: aprire un percorso di dismissione del patrimonio pubblico destinato ad abbattere il debito consolidato. Giuseppe Ardizzone ha detto: Al di la di tutto basterebbero quttro cose semplici per il nostro paese da fare subito con una guida forte e sicura: a) lotta senza quartiere alla criminalità organizzata e ad ogni forma di corruzione b) introduzione di una forte progressività sui redditi con diversi scaglioni oltre i 75.000 euro

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c) utilizzo di tutte le risorse per abbattere il cuneo fiscale sul lavoro e recuperare condizioni di competitività immediata d) riforme strutturali e liberalizzazioni a costo zero Se tutti mediamente possiamo essere d'accordo , come mai non si fanno? Come mai neanche un partito come il PD che chiede con ambizione ai propri elettori la fiducia per governare il paese ha la determinazione di portare avanti con "durezza" questi punti? I tempi stanno cambiando e se non vogliamo che diventino peggiori e incontrollabili , bisogna essere duri e determinati ora.

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 16 Agosto 2013 a 18:47 D'altra parte nel sito del nostro partito sono indicati i "nostri obiettivi " e mi sembra che siano un pò diversi: http://www.partitodemocratico.it/doc/258662/ecco-i-nostri-obiettivi...

Risposto da Fabio Colasanti su 17 Agosto 2013 a 0:07 Apertura di un punto di vendita Eatitaly a Bari. I sindacati contestano il numero troppo alto di contratti a termine. Ma le assunzioni a tempo determinato contro le quali si scagliano i sindacati sono dovute al fatto che il punto vendita di Eatitaly a Bari ha una licenza per soli sei mesi. Ma per quale motivo la licenza di Eatitaly deve essere valida solo per sei mesi ? Perché per avere l'autorizzazione ad aprire un supermercato ci vogliono anni e non è sicuro che alla fine della procedura la licenza sia concessa (molte vengono rifiutate) e quindi Eatitaly ha aperto come "fiera-mercato" all'interno della Fiera del Levante. Oscar Farinetti aveva chiesto la licenza almeno fino al 30 giugno del 2014, ma la Regione l'ha concessa solo fino a fine gennaio. Siamo di nuovo di fronte ad un caso dove la crescita e l'occupazione sono bloccate dalla complessità delle mille norme italiane. Eatitaly è apparentemente un'impresa che funziona bene. Perché non deve poter aprire? Perché l'autorizzazione di apertura di un supermercato deve essere qualosa che prende anni e deve essere una pratica dal risultato incerto? Per fortuna di Bari, Farinetti ha deciso di cercare una maniera di aggirare le nostre norme bizantine. Ma un investitore straniero non vorrà mai mettersi in una situazione del genere. Aggirare le norme significa poi mettersi in situazioni delicate che diventano un brodo di cultura per la corruzione. E a fine gennaio che si fa? Si chiude un punto vendita la cui istallazione è costata 15 milioni e che da lavoro a 173 persone? Ma quando ci sarà mai una rivolta popolare contro le migliaia di norme che abbiamo? Quando si renderà conto l'opinione pubblica i quanto ci costano queste norme? Purtroppo - e qui rispondo parzialmente a Giuseppe A. - non esiste ancora una grande presa di coscienza del costo di e dell'inutilità di queste norme, ne in Italia e ne nel PD. http://www.huffingtonpost.it/2013/08/16/eataly-bari-farinetti-rispo... http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/bari/notizie/cronaca/2013... http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/bari/notizie/economia/201... http://roma.corriere.it/roma/notizie/cronaca/13_maggio_22/farinetti...

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 18 Agosto 2013 a 10:53 E' inutile girarci intorno.

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Non ci sono soldi per rimandare l'aumento dell'IVA. Si può e si deve differenziarne l'applicazione in modo da colpire i consumi di lusso e sui settori ad alto impatto ambientale ecc. Lo stesso vale per l'IMU gli sgravi sulla prima casa deveno essere ottenuti a saldo zero con l'inasprimento dell'imposta su altre tipologie. Tutti i soldi vanno utilizzati per estendere le misure a favore delle assunzioni a tempo indeterminato dei giovani estendendone l'età fino a 40 anni e per ridurre drasticamente il cuneo fiscale sul lavoro. Nel breve per ridare competitività alle nostre imprese e "sistemare" lo scempio effettuato su almeno due generazioni di giovani non si può fare altro. E' nel segno del lavoro per i giovani e della competitività delle imprese che deve ripartire la crescita.

Risposto da giorgio varaldo su 18 Agosto 2013 a 11:26 a parte che l'efficacia di ogni intervento riguardo all'economia è funzione delle riforme e nella situazione attuale - senza riforme - sarà pressoché nulla concordo sul principio di aumento selettivo dell'IVA. dove sono in totale disaccordo è sui settori interessati all'aumento, colpire il lusso demagogicamente suona bene ma - come dimostrato nei casi della nautica e delle auto di lusso - serve solo a peggiorare la situazione.occupazione.. si dovrebbe aumentare l''IVA nei settori merceologici caratterizzati da basso contenuto di lavoro e tipico è il settore telefonia mobile nel quale le eventuali ricadute negative ricadrebbero essenzialmente sull'importazione..

Risposto da Salvatore Venuleo su 18 Agosto 2013 a 12:05 colpire il lusso demagogicamente suona bene ma - come dimostrato nei casi della nautica e delle auto di lusso - serve solo a peggiorare la situazione.occupazione.. Forse è vero, ma se è vero, è la prova che bisogna cambiare le regole del gioco. Come per gli effetti occupazionali salvifici degli F35, della guerra, delle distruzioni, dello spreco. giorgio varaldo ha detto: a parte che l'efficacia di ogni intervento riguardo all'economia è funzione delle riforme e nella situazione attuale - senza riforme - sarà pressoché nulla concordo sul principio di aumento selettivo dell'IVA. dove sono in totale disaccordo è sui settori interessati all'aumento, colpire il lusso demagogicamente suona bene ma - come dimostrato nei casi della nautica e delle auto di lusso - serve solo a peggiorare la situazione.occupazione.. si dovrebbe aumentare l''IVA nei settori merceologici caratterizzati da basso contenuto di lavoro e tipico è il settore telefonia mobile nel quale le eventuali ricadute negative ricadrebbero essenzialmente sull'importazione..

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 18 Agosto 2013 a 12:20 Giorgio non voglio entrare sulla questione della rimodulazione dell'IVA importante ma da approfonditre tecnicamente come ha giustamente sottolineato. Quello che m'interessa è sapere se condividi quanto ho riportato in neretto: Tutti i soldi vanno utilizzati per estendere le misure a favore delle assunzioni a tempo indeterminato dei giovani estendendone l'età fino a 40 anni e per ridurre drasticamente il cuneo fiscale sul lavoro. Nel breve per ridare competitività alle nostre imprese e "sistemare" lo scempio effettuato su almeno due generazioni di giovani non si può fare altro. E' nel segno del lavoro per i giovani e della competitività delle imprese che deve ripartire la crescita. Sai poi che sono d'accordo per chè tutto questo accada in un quadro strategico di cui abbiamo parlato innumerevoli volte .. Quello che non sopporto è che non vi sia questa parola d'ordine strategica sul breve termine( neanche nel nostro partito) e che un governo che dovrebbe essere lì per l'emergenza non si muova su queste cose con risolutezza.

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giorgio varaldo ha detto: a parte che l'efficacia di ogni intervento riguardo all'economia è funzione delle riforme e nella situazione attuale - senza riforme - sarà pressoché nulla concordo sul principio di aumento selettivo dell'IVA. dove sono in totale disaccordo è sui settori interessati all'aumento, colpire il lusso demagogicamente suona bene ma - come dimostrato nei casi della nautica e delle auto di lusso - serve solo a peggiorare la situazione.occupazione.. si dovrebbe aumentare l''IVA nei settori merceologici caratterizzati da basso contenuto di lavoro e tipico è il settore telefonia mobile nel quale le eventuali ricadute negative ricadrebbero essenzialmente sull'importazione..

Risposto da Fabio Colasanti su 18 Agosto 2013 a 12:41 Sono d'accordo Giuseppe Ardizzone ha detto: E' inutile girarci intorno. Non ci sono soldi per rimandare l'aumento dell'IVA. Si può e si deve differenziarne l'applicazione in modo da colpire i consumi di lusso e sui settori ad alto impatto ambientale ecc. Lo stesso vale per l'IMU gli sgravi sulla prima casa deveno essere ottenuti a saldo zero con l'inasprimento dell'imposta su altre tipologie. Tutti i soldi vanno utilizzati per estendere le misure a favore delle assunzioni a tempo indeterminato dei giovani estendendone l'età fino a 40 anni e per ridurre drasticamente il cuneo fiscale sul lavoro. Nel breve per ridare competitività alle nostre imprese e "sistemare" lo scempio effettuato su almeno due generazioni di giovani non si può fare altro. E' nel segno del lavoro per i giovani e della competitività delle imprese che deve ripartire la crescita.

Risposto da giorgio varaldo su 18 Agosto 2013 a 21:44 condivido!! Giuseppe Ardizzone ha detto: Giorgio non voglio entrare sulla questione della rimodulazione dell'IVA importante ma da approfonditre tecnicamente come ha giustamente sottolineato. Quello che m'interessa è sapere se condividi quanto ho riportato in neretto: Tutti i soldi vanno utilizzati per estendere le misure a favore delle assunzioni a tempo indeterminato dei giovani estendendone l'età fino a 40 anni e per ridurre drasticamente il cuneo fiscale sul lavoro. Nel breve per ridare competitività alle nostre imprese e "sistemare" lo scempio effettuato su almeno due generazioni di giovani non si può fare altro. E' nel segno del lavoro per i giovani e della competitività delle imprese che deve ripartire la crescita. Sai poi che sono d'accordo per chè tutto questo accada in un quadro strategico di cui abbiamo parlato innumerevoli volte .. Quello che non sopporto è che non vi sia questa parola d'ordine strategica sul breve termine( neanche nel nostro partito) e che un governo che dovrebbe essere lì per l'emergenza non si muova su queste cose con risolutezza. giorgio varaldo ha detto: a parte che l'efficacia di ogni intervento riguardo all'economia è funzione delle riforme e nella situazione attuale - senza riforme - sarà pressoché nulla concordo sul principio di aumento selettivo dell'IVA. dove sono in totale disaccordo è sui settori interessati all'aumento, colpire il lusso demagogicamente suona bene ma - come dimostrato nei casi della nautica e delle auto di lusso - serve solo a peggiorare la situazione.occupazione.. si dovrebbe aumentare l''IVA nei settori merceologici caratterizzati da basso contenuto di lavoro e tipico è il settore telefonia mobile nel quale le eventuali ricadute negative ricadrebbero essenzialmente sull'importazione..

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Risposto da giorgio varaldo su 18 Agosto 2013 a 22:09 ok salvatore, quando cambieranno le regole del gioco ne riparleremo. per il momento è consigliabile seguire quelle in vigore. Salvatore Venuleo ha detto: colpire il lusso demagogicamente suona bene ma - come dimostrato nei casi della nautica e delle auto di lusso - serve solo a peggiorare la situazione.occupazione.. Forse è vero, ma se è vero, è la prova che bisogna cambiare le regole del gioco. Come per gli effetti occupazionali salvifici degli F35, della guerra, delle distruzioni, dello spreco. giorgio varaldo ha detto: a parte che l'efficacia di ogni intervento riguardo all'economia è funzione delle riforme e nella situazione attuale - senza riforme - sarà pressoché nulla concordo sul principio di aumento selettivo dell'IVA. dove sono in totale disaccordo è sui settori interessati all'aumento, colpire il lusso demagogicamente suona bene ma - come dimostrato nei casi della nautica e delle auto di lusso - serve solo a peggiorare la situazione.occupazione.. si dovrebbe aumentare l''IVA nei settori merceologici caratterizzati da basso contenuto di lavoro e tipico è il settore telefonia mobile nel quale le eventuali ricadute negative ricadrebbero essenzialmente sull'importazione..

Risposto da Salvatore Venuleo su 18 Agosto 2013 a 22:21 Ma tu vuoi cambiarle le regole? Io sì. giorgio varaldo ha detto: ok salvatore, quando cambieranno le regole del gioco ne riparleremo. per il momento è consigliabile seguire quelle in vigore. Salvatore Venuleo ha detto: colpire il lusso demagogicamente suona bene ma - come dimostrato nei casi della nautica e delle auto di lusso - serve solo a peggiorare la situazione.occupazione.. Forse è vero, ma se è vero, è la prova che bisogna cambiare le regole del gioco. Come per gli effetti occupazionali salvifici degli F35, della guerra, delle distruzioni, dello spreco. giorgio varaldo ha detto: a parte che l'efficacia di ogni intervento riguardo all'economia è funzione delle riforme e nella situazione attuale - senza riforme - sarà pressoché nulla concordo sul principio di aumento selettivo dell'IVA. dove sono in totale disaccordo è sui settori interessati all'aumento, colpire il lusso demagogicamente suona bene ma - come dimostrato nei casi della nautica e delle auto di lusso - serve solo a peggiorare la situazione.occupazione.. si dovrebbe aumentare l''IVA nei settori merceologici caratterizzati da basso contenuto di lavoro e tipico è il settore telefonia mobile nel quale le eventuali ricadute negative ricadrebbero essenzialmente sull'importazione..

Risposto da adriano succi su 18 Agosto 2013 a 23:54 L' Italia è sempre stato un Paese con ottimi artigiani del "lusso". In fin dei conti lo erano anche Michelangelo e Raffaello che, secondo certi criteri di sinistra, potrebbero essere considerati dai duri e puri come dei servi del capitalismo (banchieri e potenti Toscani) o dei reazionari romani, i Papi di allora. Non so se costruire le automobili più belle de mondo o gli Yacht "da sooogno" come direbbe Crozza/Briatore, sia deprecabile perché poi li useranno solo dei ricconi e non il precario da 800€ al mese, io però mi accontenterei del fatto che per fare quelle cose così sfiziose, ci debbano lavorare tanti giovani scelti con criteri di capacità e non di

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raccomandazione e poi, quando mi capita di parlare con uno straniero, anche se io non ho alcun merito, mi piace sentirmi compartecipe degli Italiani, capaci di costruire quelle opere d' arte. Ma io, forse, mi accontento di poco.

Risposto da adriano succi su 18 Agosto 2013 a 23:58 Mi sembra piuttosto improbabile un corteo contro "le migliaia di norme …". Mi sembra più fattibile una presa d' atto che personaggi politici e partiti che puntellano questo sistema , con la scusa di proteggere i più deboli, ma in realtà cerca solo di giustificare la propria esistenza e, di fatto, contribuisce al declino che stiamo vivendo. L' ho detto e lo ripeto: Di Sinistra è chi crea posti di lavoro dignitosi, gli altri, sono qualcos'altro. I Vendola di turno possono anche riempirsi la bocca di parole nostalgiche e retoriche, ma se per caso Farinetti, come già hanno fatto tanti altri, si scocciasse e togliesse il disturbo, i 150 disoccupati che avrebbero il lavoro sfumato, sarebbero autorizzati ad andare a casa di Vendola & C a chiedergli: "E adesso ci mantenete voi"? Farinetti ringrazia Alemanno che ha capito le sue ragioni. Credo che ormai anche la grande maggioranza del Popolo si Sinistra comprenda bene le sue ragioni. Rimane una sempre più ridotta minoranza (almeno spero) e sopratutto le nomenclature e gli apparati politici e sindacali. Per questi, temo che non ci possa più essere una parola più morbida di: Rottamazione.

Risposto da giorgio varaldo su 19 Agosto 2013 a 0:18 conosci la storiella della missione spaziale dei carabinieri ? dal poligono di perdasdefogu viene lanciata la prima navicella dei carabinieri con a bordo il cane fuffi la scimmietta cita e l'appuntato tonon. da terra alla stazione spaziale. fuffi hai rilevato la costellazione di cassiopea con il telescopio? risposta bau bau da terra cita hai controllato il buon funzionamento del computer di bordo? risposta arf arf da terra : appuntato hai dato da mangiare al cane ? si signor comandante . da terra : hai dato da mangiare alla scimmia? si signor comandante da terra. bene mi raccomando non toccar nulla sino a quando si vorranno cambiare le regole secondo le indicazioni dei vendola dei landini dei NO TAV dei no centrale di cavazzo e/o di altri personaggi simili vale l'indicazione data all'appuntato. Salvatore Venuleo ha detto: Ma tu vuoi cambiarle le regole? Io sì. giorgio varaldo ha detto: ok salvatore, quando cambieranno le regole del gioco ne riparleremo. per il momento è consigliabile seguire quelle in vigore. Salvatore Venuleo ha detto: colpire il lusso demagogicamente suona bene ma - come dimostrato nei casi della nautica e delle auto di lusso - serve solo a peggiorare la situazione.occupazione.. Forse è vero, ma se è vero, è la prova che bisogna cambiare le regole del gioco. Come per gli effetti occupazionali salvifici degli F35, della guerra, delle distruzioni, dello spreco.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 19 Agosto 2013 a 0:31

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Più che altro, ti accontenti, come da decenni fanno gli italiani (quelli che contano, naturalmente!), altro che quegli esagitati di radicali, di snoq, di costituzionalisti, di ambientalisti (che per qualcuno sono i veri colpevoli delle disgrazie di questo mondo insieme ai sindacati): quanto meglio si stava quando nessuno rompeva e si poteva trapanare di quà e di là in santa pace, si poteva allegramente bruciare quello che si voleva, e se qualcuno moriva sul lavoro, beh: i costi del progresso, no?, quando i giornalisti scrivevano "solo" quello che gli si diceva, la gente pensava al calcio o alle collezioni di farfalle anzichè alla "sporca politica", quando la gente non sapeva leggere e non tutti votavano, quando si poteva mandare a morte uno perchè ti aveva guardato storto. Che ci pensi qualcun altro alle sorti del mondo, noi abbiamo altro da fare, adesso abbiamo altri problemi, poi ....si vedrà. adriano succi ha detto: L' Italia è sempre stato un Paese con ottimi artigiani del "lusso". In fin dei conti lo erano anche Michelangelo e Raffaello che, secondo certi criteri di sinistra, potrebbero essere considerati dai duri e puri come dei servi del capitalismo (banchieri e potenti Toscani) o dei reazionari romani, i Papi di allora. Non so se costruire le automobili più belle de mondo o gli Yacht "da sooogno" come direbbe Crozza/Briatore, sia deprecabile perché poi li useranno solo dei ricconi e non il precario da 800€ al mese, io però mi accontenterei del fatto che per fare quelle cose così sfiziose, ci debbano lavorare tanti giovani scelti con criteri di capacità e non di raccomandazione e poi, quando mi capita di parlare con uno straniero, anche se io non ho alcun merito, mi piace sentirmi compartecipe degli Italiani, capaci di costruire quelle opere d' arte. Ma io, forse, mi accontento di poco.

Risposto da adriano succi su 19 Agosto 2013 a 0:56 E no, caro Giampaolo, come avrebbe detto Scalfaro, non ci sto! L' alternativa al burocratismo ottuso, al disefficentismo cronico, allo strapotere de "il primato della politica", quando questo serve solo a tenere tutto sotto controllo, fermo (il che in un mondo che si muove significa arretrare), l'alternativa non è che chiunque possa trapanare in santa pace, bruciare quello che si voleva, far morire sul lavoro, e via elencando. L' alternativa è una classe dirigente, per cui anche politica, che è ben consapevole del mondo in cui viviamo, che accetta il fatto che ciò che andava bene cinquantanni fa potrebbe non andare più bene adesso, che l' alternativa al declino non passa solo dal' indispensabile superamento del berlusconismo, ma anche dalla rottamazione di chi, per non perdere gli ultimi scampoli di potere, accetta di far scappare dal' Italia quei pochi che ancora vorrebbero continuare a crederci. Riesci a spiegare in altro modo le centinaia di casi come quello di Eatitaly di Bari? Per me l' avvenire dei nostri figli e nipoti è troppo più importante dei nostalgici orgogli di qualche politico e sindacalista che non riesce a togliere il disturbo. Giampaolo Carboniero ha detto: Più che altro, ti accontenti, come da decenni fanno gli italiani ( quelli che contano, naturalmente!), altro che quegli esagitati di radicali, di snoq, di costituzionalisti, di ambientalisti ( che per qualcuno sono i veri colpevoli delle disgrazie di questo mondo insieme ai sindacati): quanto meglio si stava quando nessuno rompeva e si poteva trapanare di quà e di là in santa pace, si poteva allegramente bruciare quello che si voleva, e se qualcuno moriva sul lavoro, beh: i costi del progresso, no?, quando i giornalisti scrivevano "solo" quello che gli si diceva, la gente pensava al calcio o alle collezioni di farfalle anzichè alla "sporca politica", quando la gente non sapeva leggere e non tutti votavano, quando si poteva mandare a morte uno perchè ti aveva guardato storto. Che ci pensi qualcun altro alle sorti del mondo, noi abbiamo altro da fare, adesso abbiamo altri problemi, poi ....si vedrà.

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Risposto da Fabio Colasanti su 19 Agosto 2013 a 1:54 Giorgio, Bill Gates non ha mai affermato di aver preso la laurea. Oscar Giannino purtroppo si. In Germania c'è una lunga lista di personalità politiche - a cominciare dall'ex-ministro della difesa e astro nascente della CDU Theodor von Gutenberg - che hanno giustamente perso il posto o sofferto una grossissima perdita di immagine per avere "solo" copiato pezzi della tesi di dottorato. Il problema non è "avere la laurea o no", il problema è l'affermare il falso. Sono cose ben diverse. Giorgio Mauri ha detto: ( ... ) 2) Zingales ha "sputtanato" quell'impostore di Giannino, uomo senza nemmeno la laurea !!! Peccato che Bill Gates e tanti altri grandi del secolo scorso, uomini che hanno conquistato il mondo, la laurea non l'avessero proprio mai presa ! ( ... )

Risposto da Fabio Colasanti su 19 Agosto 2013 a 2:16 Giampaaolo, mescoli tante cose diverse. Mi limito a risponderti all'eccesso di norme che è uno degli ostacoli più grossi alla creazione di posti di lavoro. Nessuno vuole l'assenza di norme, nessuno vuole la libertà di fare quello che si vuole, nessuno vuole che si possa trapanare dove si vuole e tutte le altre presunte libertà che tu citi. Sostenere che qualcuno voglia cose del genere è retorica da bar dello sport. E' lo stesso tipo di generalizzazioni ed esagerazioni che si trovano nelle tirate contro il neo-liberismo (cosa assente da questo mondo, ma contro la quale tanti si divertono ad inveire). Siamo nell'Unione europea e dobbiamo quindi adottare le regole per la protezione dei consumatori, per la protezione dell'ambiente, per lo smaltimento dei rifiuti, per le telecomunicazioni, per gli aiuti di stato, per tutto quello che riguarda la caratteristiche tecniche dei prodotti e per tantissime altre cose. Quindi non esiste nessuno al mondo che sia "contro tutte le regole" e che voglia " la libertà di fare quello che si vuole". Smettiamola di affermare cose che non stanno ne in cielo ne in terra. Quello che tanti sottolineano - e sono veramente tanti dalle organizzazioni internazionali, ai commentatori di tanti giornali, agli economisti de La Voce e a tanti membri del Circolo - è che l'Italia ha molte più leggi e norme degli altri paesi europei, che queste norme sono molto più ambiziose (e irrealistiche, delle vere "grida manzoniane") che negli altri paesi, che molte di queste regole sono state prese sotto la pressione di gruppi particolari, di corporazioni o, spesso, sulla base di emozioni immediate e senza un'analisi oggettiva dei fatti e che moltissime di queste regole sono superflue. La Carinzia, il canton Ticino e la Slovenia dove stanno andando tante imprese italiane sono paesi dove non si può fare quello che si vuole, dove non c'è un'assenza di regole. Sono però paesi che vivono molto meglio di noi, con meno regole. Ho già raccontato la storia della visita di mio cognato (geometra) in Belgio. Dovunque andavamo mi faceva notare cose che in Italia "non sarebbero state a norma". E io gli ho chiesto se per caso gli risultava che il Belgio avesse più incidenti sul lavoro, più incidenti domestici, più casi di avvelenamento in esercizi pubblici che l'Italia? La Gabbanelli ha dedicato una puntata alle differenze tra le norme edilizie italiane (caso di un comune dell'Emilia Romagna) e di un comune vicino a Monaco di Baviera. Documenti inviati per posta normale, permesso per la costruzione di una palazzina a tre livelli limitato a qualche pagina contenuta in una busta DIN A4, archivi dell'edilizia del comune tedesco contenuti in due stanze normali mentre il comune emiliano aveva dovuto fare un contratto con una ditta esterna per stoccare le stanze e stanze di documenti da conservare. Principio generale tedesco: regole rigidissime per tutto quello che riguarda l'esterno della costruzione ed i parcheggi; all'interno si può fare quasi quello che si vuole. Va a far un giro in Baviera o nella periferia di una qualsiasi città italiana e dimmi dove vedi i risultati migliore dell'attività di controllo dell'edilizia!

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Guarda anche il problema di "Pensiero Democratico" di cui abbiamo discusso a lungo. Per continuare a pubblicarla come rivista italiana avremmo dovuto trovare un giornalista professionista che avesse accettate di esserne il direttore responsabile. Come rivista belga possiamo pubblicarla indicando come direttore/editore una qualsiasi persona fisica residente in Belgio senza che questa persona debba soddisfare una qualsiasi condizione professionale o altra (nel caso particolare sarò io). Ti risulta che in Belgio ci sia un grosso problema con la stampa? Giovedì sera, a Superquark, Piero Angela, discutendo delle ragioni per le quali le imprese estere non vengono ad istallarsi in Italia, ha ricordato che la legislazione sul lavoro italiana supera le duemila pagine e che contiene moltissimi concetti giuridici molto difficili da tradurre in inglese o altre lingue. Riposto un riquadro da un documento della UIL che indica i "formulari" dei quali si può avere bisogno nel caso si volesse impiegare una persona che non abbia la nazionalità di un paese dell'Unione europea.

Riportiamo per favore la storia delle regole nei suoi limiti veri. Quello che Adriano, Giorgio V., io e tanti altri membri del circolo vogliamo è che l'Italia abbia regole simili a quelle degli altri paesi europei (e che tante regole non dipendano più dalla regione o dal comune). Giampaolo Carboniero ha detto: Più che altro, ti accontenti, come da decenni fanno gli italiani (quelli che contano, naturalmente!), altro che quegli esagitati di radicali, di snoq, di costituzionalisti, di ambientalisti (che per qualcuno sono i veri colpevoli delle disgrazie di questo mondo insieme ai sindacati): quanto meglio si stava quando nessuno rompeva e si poteva trapanare di quà e di là in santa pace, si poteva allegramente bruciare quello che si voleva, e se qualcuno moriva sul lavoro, beh: i costi del progresso, no?, quando i giornalisti scrivevano "solo" quello che gli si diceva, la gente pensava al calcio o alle collezioni di farfalle anzichè alla "sporca politica", quando la gente non sapeva leggere e non tutti votavano, quando si poteva

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mandare a morte uno perchè ti aveva guardato storto. Che ci pensi qualcun altro alle sorti del mondo, noi abbiamo altro da fare, adesso abbiamo altri problemi, poi ....si vedrà.

Risposto da giorgio varaldo su 19 Agosto 2013 a 8:20 a proposito di regole facciamo una riflessione su cosa accade in strada. spesso si ascoltano alla tivvù notizie di incidenti stradali con intere famiglie distrutte da scontri frontali dovute ad invasione di corsia. basta andar per una qualsiasi strada del bel paese e sembra di esser tornati al tempo del famoso slogan pubblicitario "triangoli strissie per mi tuto va ben tuto fa brodo" con moltissimi automobilisti che ignorano la segnaletica stradale sorpassare oltre una o due linee continue con il rischio di fare un frontale è ormai norma e non parlo del vituperato sud italia bensì delle strade del friuli o di qualsiasi altra regione del nord. poi vai in austria o in slovenia (o svizzera o germania ) e vedi che nessuno sorpassa oltre le linee continue . come mai ? ma non tiriamo in ballo il senso civico o l'anarchia latina. non lo fanno semplicemente perchè se lo facessero le probabilità di esser fermati da una pattuglia della milicja o della polizei sono elevatissime ed ad una pesantissima multa da pagare al momento pena il blocco dell'auto non te la toglie neanche il padreterno. nell'italico stivale paese che fra polizia carabinieri guardia di finanza polizia provinciale regionale locale corpo forestale magari qualche ente che mi sfugge fra i paesi europei abbiamo il più alto numero di addetti alle forze dell'ordine per strada non c'è praticamente nessun tutore dell'ordine. e se si trova qualcuno è fermo in una piazzola con l'autovelox in funzione. eppure con oltre 300.000 addetti del settore sicurezza potremmo avere un tutore dell'ordine ogni mezzo chilometro di tutte le strade .... meno male che in autostrada c'è il TUTOR... ottimo strumento per gli abitanti dei paesi europei. ma se hai una auto o un camion rumeno o di un paese etra UE te ne puoi fottere allegramente tanto non ti arriverà mai ne multa ne decurtazione di punti di patente (ammesso la si abbia) mentre negli altri paesi prima citati puoi scommettere che in caso di infrazione una porsche bianco verde o una subaru bianco azzurra (milicja) ti blocca e ti contesta immediatamente l'infrazione. tante regole che nessuno fa rispettare magari qualcuna di meno ma con chi le fa rispettare non sarebbe meglio?

Risposto da Giorgio Mauri su 19 Agosto 2013 a 12:32 E con quale classe politica pensate di ottenere questo obiettivo ? Con i neo "democristiani ? Perché se è così tanto vale entrare in convento. L'assurdo che si legge quasi sempre nelle ipotesi dei "citati" è proprio nel fatto che si denuncia un male e poi si propone come medicina proprio quella che è la causa principale di quel male :-) per giunta denigrando coloro che propongono soluzioni credibili :-))) un pò come la Germania e il FMI che spalleggiano, nelle ultime elezioni in Grecia, il centro (quello dei "soliti corrotti") perché la sinistra chiede l'impossibile, salvo poi concedere al centro stesso esattamente quanto chiedeva la sinistra :-))) con la piccola differenza che il paese lo continua a gestire la stessa classe dirigente che ha dato prova di essere incapace e corrotta. Bel colpo ! Fabio Colasanti ha detto: Giampaaolo, mescoli tante cose diverse. Mi limito a risponderti all'eccesso di norme che è uno degli ostacoli più grossi alla creazione di posti di lavoro. Nessuno vuole l'assenza di norme, nessuno vuole la libertà di fare quello che si vuole, nessuno vuole che si possa trapanare dove si vuole e tutte le altre presunte libertà che tu citi. Sostenere che qualcuno voglia cose del genere è retorica da bar dello sport. E' lo stesso tipo di generalizzazioni ed esagerazioni che si trovano nelle tirate contro il neo-liberismo (cosa assente da questo mondo, ma contro la quale tanti si divertono ad inveire). Siamo nell'Unione europea e dobbiamo quindi adottare le regole per la protezione dei consumatori, per la protezione dell'ambiente, per lo smaltimento dei rifiuti, per le telecomunicazioni, per gli aiuti di stato, per tutto quello che riguarda la caratteristiche tecniche dei prodotti e per tantissime altre cose. Quindi non esiste nessuno al mondo che

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sia "contro tutte le regole" e che voglia " la libertà di fare quello che si vuole". Smettiamola di affermare cose che non stanno ne in cielo ne in terra. Quello che tanti sottolineano - e sono veramente tanti dalle organizzazioni internazionali, ai commentatori di tanti giornali, agli economisti de La Voce e a tanti membri del Circolo - è che l'Italia ha molte più leggi e norme degli altri paesi europei, che queste norme sono molto più ambiziose (e irrealistiche, delle vere "grida manzoniane") che negli altri paesi, che molte di queste regole sono state prese sotto la pressione di gruppi particolari, di corporazioni o, spesso, sulla base di emozioni immediate e senza un'analisi oggettiva dei fatti e che moltissime di queste regole sono superflue. La Carinzia, il canton Ticino e la Slovenia dove stanno andando tante imprese italiane sono paesi dove non si può fare quello che si vuole, dove non c'è un'assenza di regole. Sono però paesi che vivono molto meglio di noi, con meno regole. Ho già raccontato la storia della visita di mio cognato (geometra) in Belgio. Dovunque andavamo mi faceva notare cose che in Italia "non sarebbero state a norma". E io gli ho chiesto se per caso gli risultava che il Belgio avesse più incidenti sul lavoro, più incidenti domestici, più casi di avvelenamento in esercizi pubblici che l'Italia? La Gabbanelli ha dedicato una puntata alle differenze tra le norme edilizie italiane (caso di un comune dell'Emilia Romagna) e di un comune vicino a Monaco di Baviera. Documenti inviati per posta normale, permesso per la costruzione di una palazzina a tre livelli limitato a qualche pagina contenuta in una busta DIN A4, archivi dell'edilizia del comune tedesco contenuti in due stanze normali mentre il comune emiliano aveva dovuto fare un contratto con una ditta esterna per stoccare le stanze e stanze di documenti da conservare. Principio generale tedesco: regole rigidissime per tutto quello che riguarda l'esterno della costruzione ed i parcheggi; all'interno si può fare quasi quello che si vuole. Va a far un giro in Baviera o nella periferia di una qualsiasi città italiana e dimmi dove vedi i risultati migliore dell'attività di controllo dell'edilizia! Guarda anche il problema di "Pensiero Democratico" di cui abbiamo discusso a lungo. Per continuare a pubblicarla come rivista italiana avremmo dovuto trovare un giornalista professionista che avesse accettate di esserne il direttore responsabile. Come rivista belga possiamo pubblicarla indicando come direttore/editore una qualsiasi persona fisica residente in Belgio senza che questa persona debba soddisfare una qualsiasi condizione professionale o altra (nel caso particolare sarò io). Ti risulta che in Belgio ci sia un grosso problema con la stampa? Giovedì sera, a Superquark, Piero Angela, discutendo delle ragioni per le quali le imprese estere non vengono ad istallarsi in Italia, ha ricordato che la legislazione sul lavoro italiana supera le duemila pagine e che contiene moltissimi concetti giuridici molto difficili da tradurre in inglese o altre lingue. Riposto un riquadro da un documento della UIL che indica i "formulari" dei quali si può avere bisogno nel caso si volesse impiegare una persona che non abbia la nazionalità di un paese dell'Unione europea. Riportiamo per favore la storia delle regole nei suoi limiti veri. Quello che Adriano, Giorgio V., io e tanti altri membri del circolo vogliamo è che l'Italia abbia regole simili a quelle degli altri paesi europei (e che tante regole non dipendano più dalla regione o dal comune). Giampaolo Carboniero ha detto: Più che altro, ti accontenti, come da decenni fanno gli italiani (quelli che contano, naturalmente!), altro che quegli esagitati di radicali, di snoq, di costituzionalisti, di ambientalisti (che per qualcuno sono i veri colpevoli delle disgrazie di questo mondo insieme ai sindacati): quanto meglio si stava quando nessuno rompeva e si poteva trapanare di quà e di là in santa pace, si poteva allegramente bruciare quello che si voleva, e se qualcuno moriva sul lavoro, beh: i costi del progresso, no?, quando i giornalisti scrivevano "solo" quello che gli si diceva, la gente pensava al calcio o alle collezioni di farfalle anzichè alla "sporca politica", quando la gente non sapeva leggere e non tutti votavano, quando si poteva mandare a morte uno perchè ti aveva guardato storto. Che ci pensi qualcun altro alle sorti del mondo, noi abbiamo altro da fare, adesso abbiamo altri problemi, poi ....si vedrà.

Risposto da Fabio Colasanti su 19 Agosto 2013 a 12:35 Giorgio, stai travisando completamente la posizione di Luigi Zingales. Non ha mai detto quello che tu gli attribuisci sul valore della laurea.

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Ha sollevato unicamente il problema etico dell'affermare di avere un titolo accademico che non si ha. Cosa che era intollerabile per un movimento come quello di Giannino. Ne ha fatto un problema di coerenza ra gli obiettivi del movimento ed il comportamente prsonale di chi ne era stato uno dei fondatori. Sei tu che ha sollevato il presunto problema della denuncia di Luigi Zingales. Se adesso dici che ci sono problemi più importanti (che comunque non spostano una iota sul problema in discussione) devi chiederti perché l'hai sollevato. Giorgio Mauri ha detto: La sostanza del discorso non cambia. Secondo Zingales e secondo i detrattori di Giannino chi non ha la laurea non vale nulla, non ha nessun diritto a "esercitare" la professione. Se Bill Gates avesse detto di essere laureato (ed io pensavo lo fosse) cosa faremmo per punirlo ? smetteremmo di usare Office e Windows ? Ci attacchiamo a questioni di lana caprina quando abbiamo un uomo che tiene in ostaggio un intero paese (era in bancarotta nel 93!) grazie anche alla collusione dei dirigenti del partito che avrebbe dovuto difendere l'Italia da questo scempio ? Dirigenti che sono ancora tutti al loro posto, e che si apprestano ad essere sostituiti dal giovine che ha deciso come cosa saggia e giusta recarsi ad Arcore a far visita a quel bell'imbusto ! Questo ossessionante appello (richiamo) alla forma lasciando liberi tutti, cani e porci, di calpestare a piacimento la sostanza è la maledizione che si è abbattuta sulla nostra società, e verso cui invito tutti i sani di mente a smettere qualsiasi tolleranza ! Dietro a questo insano perbenismo si celano menti e uomini indegni di appartenere al genere umano. O siamo tutti dei Santaché ? Fabio Colasanti ha detto: Giorgio, Bill Gates non ha mai affermato di aver preso la laurea. Oscar Giannino purtroppo si. In Germania c'è una lunga lista di personalità politiche - a cominciare dall'ex-ministro della difesa e astro nascente della CDU Theodor von Gutenberg - che hanno giustamente perso il posto o sofferto una grossissima perdita di immagine per avere "solo" copiato pezzi della tesi di dottorato. Il problema non è "avere la laurea o no", il problema è l'affermare il falso. Sono cose ben diverse. Giorgio Mauri ha detto: ( ... ) 2) Zingales ha "sputtanato" quell'impostore di Giannino, uomo senza nemmeno la laurea !!! Peccato che Bill Gates e tanti altri grandi del secolo scorso, uomini che hanno conquistato il mondo, la laurea non l'avessero proprio mai presa ! ( ... )

Risposto da Salvatore Venuleo su 19 Agosto 2013 a 13:07 Trovo che l'aspetto più importante sia il problema del riconoscimento della competenza, al di là delle qualificazioni accademiche. Avevo posto la questione in "Gianino e l'enigma della competenza". Su questo in molti siamo d'accordo. E forse anche sul superamento del valore legale del titolo di studio. Se non prevale la voglia d i litigare, potremmo elaborare un documento a proposito. A mio avviso la riforma del sistema di istruzione/certificazione, nel segno dell'apprendimento permanente e della certificazione degli apprendimenti formali, non formali e informali sarebbe una Riforma con la R maiuscola. Assai più del tira di qua e di là e dell'ammuina. Fra l'altro ci avvicinerebbe all'Europa. Fabio Colasanti ha detto: Giorgio, stai travisando completamente la posizione di Luigi Zingales. Non ha mai detto quello che tu gli attribuisci sul valore della laurea. Ha sollevato unicamente il problema etico dell'affermare di avere un titolo accademico che non si ha. Cosa che era intollerabile per un movimento come quello di Giannino. Ne ha fatto un problema di coerenza ra gli obiettivi del movimento ed il comportamente prsonale di chi ne era stato uno dei fondatori. Sei tu che ha sollevato il presunto problema della denuncia di Luigi Zingales. Se adesso dici che ci sono problemi più importanti (che comunque non spostano una iota sul problema in discussione) devi chiederti perché l'hai sollevato. Giorgio Mauri ha detto:

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La sostanza del discorso non cambia. Secondo Zingales e secondo i detrattori di Giannino chi non ha la laurea non vale nulla, non ha nessun diritto a "esercitare" la professione. Se Bill Gates avesse detto di essere laureato (ed io pensavo lo fosse) cosa faremmo per punirlo ? smetteremmo di usare Office e Windows ? Ci attacchiamo a questioni di lana caprina quando abbiamo un uomo che tiene in ostaggio un intero paese (era in bancarotta nel 93!) grazie anche alla collusione dei dirigenti del partito che avrebbe dovuto difendere l'Italia da questo scempio ? Dirigenti che sono ancora tutti al loro posto, e che si apprestano ad essere sostituiti dal giovine che ha deciso come cosa saggia e giusta recarsi ad Arcore a far visita a quel bell'imbusto ! Questo ossessionante appello (richiamo) alla forma lasciando liberi tutti, cani e porci, di calpestare a piacimento la sostanza è la maledizione che si è abbattuta sulla nostra società, e verso cui invito tutti i sani di mente a smettere qualsiasi tolleranza ! Dietro a questo insano perbenismo si celano menti e uomini indegni di appartenere al genere umano. O siamo tutti dei Santaché ? Fabio Colasanti ha detto: Giorgio, Bill Gates non ha mai affermato di aver preso la laurea. Oscar Giannino purtroppo si. In Germania c'è una lunga lista di personalità politiche - a cominciare dall'ex-ministro della difesa e astro nascente della CDU Theodor von Gutenberg - che hanno giustamente perso il posto o sofferto una grossissima perdita di immagine per avere "solo" copiato pezzi della tesi di dottorato. Il problema non è "avere la laurea o no", il problema è l'affermare il falso. Sono cose ben diverse. Giorgio Mauri ha detto: ( ... ) 2) Zingales ha "sputtanato" quell'impostore di Giannino, uomo senza nemmeno la laurea !!! Peccato che Bill Gates e tanti altri grandi del secolo scorso, uomini che hanno conquistato il mondo, la laurea non l'avessero proprio mai presa ! ( ... )

Risposto da Fabio Colasanti su 20 Agosto 2013 a 1:48 Un buon articolo che spiega perhé non si riesca a tagliare la spesa pubblica. Mostra come le "corporazioni" riescano quasi sempre a bloccare l'applicazione pratica di tagli e chiusure. In particolare si parla del fatto che tutti i partiti avrebbero deciso di vanificare le decisioni della Severino sull'accorpamento dei tribunali. La corporazione degli avvocati, aiutata dai politici locali, sembra sia riuscita a bloccare anche questo primo timido passo. http://www.corriere.it/editoriali/13_agosto_19/ragnatela-corporativ...

Risposto da Fabio Colasanti su 20 Agosto 2013 a 2:06 Anche con misure che sembrano draconiane, non è che si recuperino somme fenomenali. Bisogna assolutamente continuare a lottare in tutte le maniere contro l'evasione fiscale, ma non bisogna farsi illusioni sui progressi che si possono fare da un anno all'altro. http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/economia/2013/08/19/Reddito...

Risposto da Alessandro Bellotti su 20 Agosto 2013 a 10:04 Il redditometro serve per far lavorare consulenti fiscali e commercialisti. Di queste 'bazze' l'Italia è piena. Si fanno le leggi per far lavorare i soliti (avvocati, notai, commercialisti, consulenti del lavoro, enti di formazione) con i soldi delle aziende. E' una forma di prelievo fiscale camuffato con la scusa della giustizia sociale.

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Una azienda di 20 dipendenti spende ogni anno diversi punti percentuali del fatturato per 'mantenere' i parassiti di cui sopra. Una azienda di 20 dipendenti paga molto meno di Irap che di 'gestione' (avvocato, commercialista, buste paga, notaio etc..). La mia azienda paga circa il 15% del totale degli stipendi erogati in amministrazione, commercialista etc.. Un costo inaccettabile.

Risposto da Salvatore Venuleo su 20 Agosto 2013 a 11:03 Del tutto condivisibile per me. In nome di una sinistra che non deve farsi mai fautrice dello spreco in nome della socialità. Alessandro Bellotti ha detto: Il redditometro serve per far lavorare consulenti fiscali e commercialisti. Di queste 'bazze' l'Italia è piena. Si fanno le leggi per far lavorare i soliti (avvocati, notai, commercialisti, consulenti del lavoro, enti di formazione) con i soldi delle aziende. E' una forma di prelievo fiscale camuffato con la scusa della giustizia sociale. Una azienda di 20 dipendenti spende ogni anno diversi punti percentuali del fatturato per 'mantenere' i parassiti di cui sopra. Una azienda di 20 dipendenti paga molto meno di Irap che di 'gestione' (avvocato, commercialista, buste paga, notaio etc..). La mia azienda paga circa il 15% del totale degli stipendi erogati in amministrazione, commercialista etc.. Un costo inaccettabile.

Risposto da giorgio varaldo su 20 Agosto 2013 a 12:29 La redditivita' degli investimenti bancoposta e' buona il rischio e' minimo quindi la raccolta e' alta amche fra categorie non avvezze alla finamza. Usare i fondi per l'acqua pubblica sarebbe redditizio ? Ed in mancanza di utili chi pagherenbe gli interessi alla posta?

Risposto da Antonino Andaloro su 20 Agosto 2013 a 13:01 E non solo sono i primi a fare dichiarazioni dei redditi che non corrispondono agli incassi reali. In un'altro post avevo aperto questa discussione, ma sembra che questo tema non sia il tallone d'achille dell'' Italia ed invece per me lo è. Questa del redditometro sarà la solita presa in giro fatta ai danni degli italiani onesti che saranno i primi ad essere controllati, mentre chi ha fatto il furbo continuerà a farlo, visto che le loro dichiarazioni dei redditi sono in "linea" con il presunto incasso. Giorgio Mauri ha detto: YES !!! PARASSITI ! Quando si parla di costi dello stato sono questi da menzionare, non gli infermieri negli ospedali che funzionano :-) o gli insegnanti. E sarebbe ora di smetterla ! Infatti il nostro circolo si è fatto portavoce di questa campagna. No, mi sbaglio, il nostro circolo fa altre cose, anche perché fu Di Pietro ad alzare il tiro contro commercialisti ed avvocati, e Di Pietro va osteggiato a priori ! Infatti con questa politica lo hanno trombato fino in fondo ! Solo che si sono ritrovati un siluro lungo circa il 30% da dietro, di cui non hanno ancora capito un tubo, visto che non si fa corrempere, non collude, insomma, detto in soldoni, "non la dà" (roba da matti ! Ma non eravamo diventati tutti grandi troie ?).

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E siccome il parlamento è nelle loro mani occorrerebbe una legge sul conflitto di interessi che mettesse una soglia. Se il rapporto tra cittadini e avvocati è 1 a 400 si sia generosi e si permetta che ci siano addirittura 10 avvocati in parlamento. Di più è troppo !!! Ora sono centinaia ! Alessandro Bellotti ha detto: Il redditometro serve per far lavorare consulenti fiscali e commercialisti. Di queste 'bazze' l'Italia è piena. Si fanno le leggi per far lavorare i soliti (avvocati, notai, commercialisti, consulenti del lavoro, enti di formazione) con i soldi delle aziende. E' una forma di prelievo fiscale camuffato con la scusa della giustizia sociale. Una azienda di 20 dipendenti spende ogni anno diversi punti percentuali del fatturato per 'mantenere' i parassiti di cui sopra. Una azienda di 20 dipendenti paga molto meno di Irap che di 'gestione' (avvocato, commercialista, buste paga, notaio etc..). La mia azienda paga circa il 15% del totale degli stipendi erogati in amministrazione, commercialista etc.. Un costo inaccettabile.

Risposto da Fabio Colasanti su 22 Agosto 2013 a 7:07 Un interessante contributo de La Voce sui problemi del Monte dei Paschi di Siena Mps alla resa dei conti - 21.08.13 -Marco Onado La pulizia effettuata nel Monte dei Paschi di Siena è stata notevole e coraggiosa. Come mai allora il risanamento è ancora in forse? Il sistema di potere ruotava (e ruota tuttora) intorno all’intreccio malsano tra banca, fondazione e politica. Un dossier ripercorre la crisi della banca più antica del mondo. http://www.lavoce.info/mps-alla-resa-dei-conti/

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 22 Agosto 2013 a 10:00 Ti ringrazio per la segnalazione dell'articolo. Il problema del margine su interessi è strutturale e difficilmente le banche moderne accetteranno di rifondare la propria attività solo su questo aspetto. Continueranno a cercare margini costanti da servizi insieme ad un corretto rapporto cost-income ratio.- Sono d'accordo che il destino delle fondazioni è accettare la progressiva uscita dal capitale di controllo dlele banche sia per mantenere le proprie attività sia perchè altrimenti sarebbero chiamate a contribuire alla loro ricapitalizzazione . Con quali soldi? E' importante sottolineare come il processo di allargamento attraverso nuove acquisizioni fa spesso la differenza fra le varie realtà bancarie. Se i capitali per acquisire nuove realtà non sono stati presi dai margini da intermediazione accumulati nel tempo o prevedibili, si è ricorso strategicamente ai margini su derivati, prodotti assicurativi sui generis, margini sostanzialmente da servizi insieme all'esplosione del finanziamento al consumo, mutui, cartolarizzazioni ecc. E' stato a quel punto decisivo cosa si è acquisito. Se si mette dentro una realtà tradizionale che produce utili in abbondanza , hai sostanzialmente operato con un leverage pagato dagli stessi utili delle realtà acquisite. Se invece sei stato costretto ,per allargarti, a integrare realtà già squilibrate , tutto questo si ripercuote pesantemente sulla tua gestione. Ricordiamoci tuttavia il dibattito dell'epoca. Si era di fronte ad una offensiva delle banche straniere ed il sistema bancario italiano veniva considerato troppo piccolo e frammentato per reagire e mantenere una capacità di vita autonoma. Ricordiamo il dibattito che portò alle varie fusioni e privatizzazioni benedette dal Governatore e da tutto il panorama politico italiano. Qualcuno all'interno di questo processo si è fatto male! Ma perchè vi è sembrata lineare anche la vicenda Banca di Roma? Fabio Colasanti ha detto:

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Un interessante contributo de La Voce sui problemi del Monte dei Paschi di Siena Mps alla resa dei conti - 21.08.13 -Marco Onado La pulizia effettuata nel Monte dei Paschi di Siena è stata notevole e coraggiosa. Come mai allora il risanamento è ancora in forse? Il sistema di potere ruotava (e ruota tuttora) intorno all’intreccio malsano tra banca, fondazione e politica. Un dossier ripercorre la crisi della banca più antica del mondo. http://www.lavoce.info/mps-alla-resa-dei-conti/

Risposto da Fabio Colasanti su 24 Agosto 2013 a 14:31 Ancora un rapporto che ripete quello che dovremmo già sapere. Ma le cifre di questo rapporto fanno ancora più male. http://www.corriere.it/economia/13_agosto_24/regioni-competitivita-...

Risposto da giorgio varaldo su 24 Agosto 2013 a 15:01 I dati relativi al friuli sono tragici persi oltre 5000 posti di lavoro nel solo primo trimestre 2013 Senza un vero e proprio terremoto non si intravede nessuna via d'uscita. riuscira' il PD a dare questo scossone?

Risposto da Antonino Andaloro su 26 Agosto 2013 a 12:39 A parte il denaro che entra nei conti correnti dei calciatori, vi sono anche operatori di affari meno in vista che incassano alla grande: http://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-it/2012/04/20/news... Desidero proporre un approfondimento sul denaro che circola negli ambienti sportivi e che probabilmente si perdono le tracce sulle dichiarazioni dei redditi.

Risposto da giorgio varaldo su 26 Agosto 2013 a 14:11 Se tutti gli italiani considerassero gli stadi come ottimi terreni nei quali coltivare patate non ci sarebbero ne giocatori ne procuratori strapagati. Ovvio di abbonamenti a sky o mediasport neanche a parlarne quest'anno la formula uno e' in diretta su sky quindi non si vede la formula uno

Risposto da Fabio Colasanti su 27 Agosto 2013 a 11:23 L'utilizzo dei fondi europei (o meglio il loro non utilizzo e lo sperpero) da parte dell'Italia è uno scandalo che va avanti da anni. Ma non sono sicuro che la creazione di una nuova agenzia sia la strada giusta. Uno dei grandi problemi è il

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fatto che le decisioni sono ripartite tra mille enti. Quello che avrebbe aiutato sarebbe stato ridurne il numero e dare a qualcuno la possibilità di decidere al posto di dovrebbe farlo oggi e non lo fa. Ma l'agenzia potrà solo "coordinare" ! Questo non poteva essere fatto da un ufficio di un ministero - come aveva fatto Barca - invece di creare ancora una nuova struttura? http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-08-25/stabilizzazione-p...

Risposto da giorgio varaldo su 27 Agosto 2013 a 14:04 Sono decisioni prese o da chi non ha nella gestiione aziendale o da chi non ha nessuna intenzione di mettere ordine. Ignoranza o connivenza?

Risposto da Alessandro Bellotti su 28 Agosto 2013 a 15:10 Bisognerebbe chiedere a Zanonato, Laura, come mai la Germania ha ripreso a viaggiare alla velocità della luce (prima andava alla velocità del suono...) nonostante paghi, la Germania, incentivi alle rinnovabili molto più elevati dei nostri. Zanonato spara anche cifre fuori di melone. Per il fotovoltaico paghiamo, non per 20 anni ma già per qualche anno di meno, circa 6 miliardi di euro all'anno di incentivi. Cioè circa un caffè pro-capite ogni 3,5 giorni (un caffè di Modena perchè al Sud costa, il caffè, decisamente meno...). Come si sa il fotovoltaico contribuisce alla bolletta energetica per circa il 6/7 % annuo del fabbisogno elettrico e quindi, oggi, è tutt'altro che inutile. Da notare inoltre che i costi dell' energia elettrica sono governati da meccanismi che spesso esulano dal costo di produzione dell'energia elettrica stessa o da come viene prodotta. I Francesi, ad esempio, del tanto (non da me) decantato nucleare, hanno pagato in gennaio e febbraio 2012 anche 2 Euro a Kwh (circa 10 volte il nostro costo). Questo perchè i francesi si scaldano con l'energia elettrica (!!!!!) e, visto il clima rigido, vennero richiesti per diverse ore al giorno e per diversi giorni oltre 100 Gw alla rete. Innegabile che il costo dell'energia elettrica, in Italia, sia elevato. Ma occorrerebbe analizzare bene le voci in bolletta. Evidentemente Zanonato è 'amico' di qualche gasatore e spara sulle rinnovabili dimenticando che queste, fotovoltaico in testa, in diversi giorni hanno praticamente annullato il costo della stessa.

Risposto da Fabio Colasanti su 28 Agosto 2013 a 16:14 Laura, non conosco i termini dell'accordo, ma mi sembra una buona notizia. laura sgaravatto ha detto: Renzo Rosso (Diesel) sponsorizza il restauro di Ponte Rialto La procedura che porterà al restauro del Ponte di Rialto di Venezia entra nel vivo. E' stato infatti firmato, a Cà Farsetti, sede del Comune, il "contratto di sponsorizzazione per il puro finanziamento delle attività riguardanti la progettazione e l'esecuzione dei lavori di restauro" da parte di Renzo Rosso, presidente del gruppo OTB e sponsor dell'operazione, e Manuel Cattani, direttore della Direzione ai Lavori pubblici. L'atto formalizza lo schema di contratto già presentato lo scorso 14 dicembre, quando fu resa ufficiale l'aggiudicazione della gara a OTB. "Oggi si concretizza un fondamentale rapporto di collaborazione per la tutela del patrimonio di tutti", ha commentato il sindaco Giorgio Orsoni, sottolineando l'importanza del progetto di restauro, che farà rinascere uno dei monumenti simbolo della città e darà al contempo un segnale forte all'economia locale. "Siamo stati davvero fortunati - ha continuato - a trovare chi ci ha seguiti nell'idea vincente di unire pubblico e privato nel recupero di questo

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celebre manufatto. E siamo particolarmente grati a Renzo Rosso, che si è rivelato un interlocutore attento e che ha guardato a questo progetto con tanto interesse ed entusiasmo. A lui rivolgo quindi un grazie a nome di tutti i veneziani, ma anche a nome del mondo intero, perchè mantenere questa città è un impegno che va oltre la città stessa". "Credo in un modello imprenditoriale molto moderno - ha detto a sua volta Rosso - in cui si cerca di lavorare bene tutti insieme. Come dico sempre: da solo un uomo non può fare niente, ma è il team che costruisce. E secondo questo mio modello, quando si crea profitto è giusto anche elargirne una parte ai beni culturali e alla società, soprattutto di questi tempi. Non è il privato che si vuole sostituire allo stato - ha specificato -, ma è il privato che cerca di collaborare affinchè si possa dialogare per avere un mondo migliore". Rosso ha ringraziato a sua volta la città: "chapeau a Venezia per la sua efficienza e per la velocità con la quale è stata conclusa questa operazione". OTB è la holding che fa capo a Renzo Rosso e che controlla marchi e aziende di moda come Diesel, Maison Martin Margiela, Marni, Viktor&Rolf e Staff International, per un fatturato 2012 di circa 1.500 milioni di euro e 6.500 dipendenti nel mondo. ALLELUIA !!!!!!!! )))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))) ciao a tutti )))))))))))))))))

Risposto da Fabio Colasanti su 28 Agosto 2013 a 16:18 Alessandro, abbiamo già avuto questa discussione. Le sovvenzioni per il rinnovabile nel 2012 non sono state i 12 miliardi indicati da Alesina e Giavazzi (che hanno preso la cifra massima autorizzata), ma 7.6 miliardi. Stiamo comunque parlando di mezzo punto di PIL che viene aggiunto alle bollette dell'energia. Non sono bruscolini. Va poi a vedere quello che ha scritto Giorgio Mauri nella discussione sulla "Politica ed economia nel mondo". Osanna la politica energetica degli Stati Uniti che, grazie al fracking, sta portando il paese verso l'autosufficienza. Alessandro Bellotti ha detto: Bisognerebbe chiedere a Zanonato, Laura, come mai la Germania ha ripreso a viaggiare alla velocità della luce (prima andava alla velocità del suono...) nonostante paghi, la Germania, incentivi alle rinnovabili molto più elevati dei nostri. Zanonato spara anche cifre fuori di melone. Per il fotovoltaico paghiamo, non per 20 anni ma già per qualche anno di meno, circa 6 miliardi di euro all'anno di incentivi. Cioè circa un caffè pro-capite ogni 3,5 giorni (un caffè di Modena perchè al Sud costa, il caffè, decisamente meno...). Come si sa il fotovoltaico contribuisce alla bolletta energetica per circa il 6/7 % annuo del fabbisogno elettrico e quindi, oggi, è tutt'altro che inutile. ( ... )

Risposto da giorgio varaldo su 28 Agosto 2013 a 17:16 Zanonato come tutti i politici sa benissimo che il fattore energia e' importante ma non e' la principale causa di fuga delle aziende e di mancanza di investitori stranieri. Come tutti i politici sa benissimo che la principale causa e' la burocrazia ma sa altrettanto bene che razionalizzare la burocrazia significa togliere potere ad una moltitudine di enti e consulenti vari. ed e' questa la motivazione ad evitare accuratamente ogni riforma quindi volta per volta si cerca un "nemico" contro il quale indirizzare la pubblica opinione. e l'obiettivo di non cambiare nulla eccolo li . Quando poi si presenta qualcuno voglioso di riforme ecco comparire una schiera di quisling nostrani -dalla puppato al boccia l'elenco e' chilometrico - pronti a scrivere roboanti e chilometrici programei nei quali la voce riforme e' accuratamente evitata

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Risposto da Cristina Favati su 29 Agosto 2013 a 10:50 http://www.today.it/politica/nuova-service-tax-2014.html

Risposto da Giorgio Mauri su 29 Agosto 2013 a 14:00 Che fare per l'Italia ? Smetterla con le "pugnette" ! Un governo nato morto che continua a recitare il rosario mentre i giornali dedicano tutti i giorni una prima pagina a un delinquente di professione. Che bell'Italia ! Oggi scrivo, senza tema di smentite, che un governo fatto da 50 "Fassina" risanerebbe il paese in pochissimi anni. Basterebbe davvero poco, basterebbe addirittura Fassina ! - - - http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/08/29/letta-decadenza-di-b-non... Imu, la Ue: "Italia copra gettito perso" Fassina: "Ora inevitabile aumento Iva" L'imposta sostituita dalla "service tax". B: "Ora gli italiani hanno più fiducia nel futuro" (leggi) Rehn: "L'Europa studia la decisione dell'esecutivo. Assicurare la stabilità delle finanze pubbliche" Imu, Monti: “Pd smidollato con Pdl”. Ue: “Italia mantenga stabilità conti” Il presidente del Consiglio, ospite di Radio anch'io, annuncia nuovi interventi sulla scuola e sul lavoro. "Prioritaria" la riforma della legge elettorale. Rehn: "Ci fidiamo, ma governo assicuri stabilità della finanza pubblica". Monti: "Letta ha ceduto a Berlusconi" di Redazione Il Fatto Quotidiano | 29 agosto 2013

Risposto da Fabio Colasanti su 30 Agosto 2013 a 2:40

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Ancora sui danni provocati dall'ingerenza della politica nella gestione delle banche. Ancora sui danni provocati dal sistema delle Fondazioni (la maniera che è stata trovata nel passato per privatizzare le banche senza privatizzarle veramente) http://www.lavoce.info/quellinciucio-locale-che-frena-il-credito/

Risposto da Fabio Colasanti su 3 Settembre 2013 a 18:29 Oisto il documento che ieri sindacati e Confindustria hanno sottoscritto. Mi sembra un buon documento, largamente condivisibile. Queste sono le cose che un governo deve fare. C'è anche la del Tomo V della Costituzione. Allegati:

Confindustria-Sindacati-Genova-settembre-2013.pdf, 431 KB

Risposto da Fabio Colasanti su 4 Settembre 2013 a 11:27 Una interessante e triste analisi del pasticcio dell'IMU da parte di un economista de La Voce http://www.lavoce.info/imu-governo-letta-cdm/ Quello che più mi colpisce è l'incredibile complessità del sistema fiscale italiano con Tasi, Tari, Tia e quanto altro ancora. E per non parlare poi della complessità del calcolo dell'IMU, che dipende da mille parametri. La semplicità è un valore forte, non solo per quello che significa per l'amministrazione che deve applicare un sistema fiscale complicato o semplice, ma anche per i cittadini che tendono a non capire e diffidare di meccanismi complessi con tanti parametri ed eccezioni. Qui in Belgio la tassa equivalente alla nostra IMU (précompte immobilier) è fissa per ogni appartamento o casa. E' come il bollo di un auto. Se io decido di spendere una parte irragionevole del mio reddito per comprare un auto di lusso pagherò un bollo alto. Il bollo dell'auto non può dipendere dal mio reddito. Il bollo che si paga su di una Ferrari 350 sarà lo stesso che l'auto sia acquistata da un miliardario o che sia acquistata da un barbiere che ha deciso di spendere la maggior parte del suo reddito su quest'auto. Nella stessa maniera un appartamento di quattro camere pagherà un precompte immobilier più alto di quello su di un appartamento nella stessa zona della città. Il precompte immobilier non dipende affatto dal reddito o dalla situzone familiare di chi vive nell'appartamento. Le perequazione tra ricchi e poveri si fa con l'imposizione diretta e gli aiuti sociali. Questo significa che le modalità per il pagamento del précompte immobilier sono semplicissime. Tre livelli di governo fissano il livello di tassazione, ma il cittadino non se ne rende conto. Riceve a casa un bollettino prestampato con l'importo da pagare. Si paga alla posta, in banca o, quasi sempre, on line. Lo stesso vale per la tassa sui rifiuti e gli altri servizi. Qui a Bruxelles ogni nucleo familiare, indipendentemente dalle sue dimensioni e dal suo reddito, paga 89.00 euro all'anno. La tassa è a questo livello da parecchi anni. Chiaro e semplice.

Risposto da Fabio Colasanti su 5 Settembre 2013 a 23:21 Ancora un articolo che ribadisce le stesso tema: troppe disposizioni legislative, scritte male e con competenze ripartite tra troppi enti. Questa volta chi ne soffre di più sono giovani e le piccole imprese.

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Un dato interessante: i centri pubblici dell'impiego "intermediano" solo tre assunzioni su cento. http://nuvola.corriere.it/2013/09/05/6496/

Risposto da Fabio Colasanti su 7 Settembre 2013 a 19:26 Quanto è difficile tagliare la spesa pubblica ! Il governo Monti - il ministro Severino - aveva deciso di razionalizzare la distribuzione dei tribunali in Italia chiudendo alcuni di quelli troppo piccoli. Questo naturalmente provoca le reazioni di chi lavora in questi tribunali e degli avvocati che hanno organizzato il proprio lavoro in funzione della loro esistenza. Il Senato ha approvato un ordine del giorno, votato da tutta la strana maggioranza, chiedendo di annullare le decisioni della Severino e di "salvare" i tribunali. In questo articolo - da leggere anche per il resto delle altre considerazioni - Giavazzi e Alesina ci ricordano che tra qualche giorno scade il termine per il "salvataggio" dei tribunali da chiudere. Si tratta di una scadenzaa importante. Se il governo seguisse l'ordine del giorno e "salvasse" veramente questi tribunali avrebbe detto a tutti di star tranquilli; non ci sarà mai nessun taglio di sprechi e duplicazioni nella nostra spesa pubblica. Chi vive dei tanti rivoli che escono dal nostro bilancio potrà dormire sogni tranquilli. http://www.corriere.it/editoriali/13_settembre_07/prigionieri-illus...

Risposto da Fabio Colasanti su 10 Settembre 2013 a 14:10 Laura, grazie per questo articolo. Come commento riporto l'ottima frase di Adriano: "Da noi le cose diventano drammatiche senza essere prima diventate serie" laura sgaravatto ha detto: Tanto gentile e tanto onesta pare Wednesday, 4 September, 2013 in Adotta Un Neurone, Famous Last Quotes, Italia Giornata di ordinaria dichiarazia di un paese affetto da una ingravescente forma di demenza politica. ( ... )

Risposto da Cristina Favati su 10 Settembre 2013 a 14:13 http://www.huffingtonpost.it/2013/09/09/rapporto-felicita-mondo-onu... Rapporto ONU sulla "felicità" nel mondo.

Risposto da Fabio Colasanti su 13 Settembre 2013 a 10:52 Ritorno sul tema delle connessioni internet (proccupazione continua di Giorgio che vede la Carnia isolata) e di come il nostro paese stia mancando l'aggancio con la modernità e lo sviluppo tecnologico. A pranzo devo parlare di fronte all'organizzazione dei fornitori "alternativi" di servizi di telecomunicazioni in Belgio. L'alternativo qui significa che sono quelli che fanno concorrenza all'ex-monopolista, Belgacom. Mi hanno mandato uno studio sulla situazione in Belgio che sto sfogliando. Lo studio è, come ho detto sul Belgio, ma ci sono evidentemente dei raffronti tra paesi europei. Fanno veramente male.

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Riporto tre grafici. Il primo è sulla disponibilità di collegamenti internet a 30 Megbit o più nei paesi europei. Le percentuali sono quelle degli abitanti che, volendo, possono collegarsi con una velocità pari o superiore a 30 Mega.

Il secondo è sulla percentuale di persone che si collegano effettivamente con velocità di 30 mega o più.

Il terzo è sulla percentuale dei collegamenti internet esistenti che sono a velocità di 100 Mega o più.

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Stiamo veramente perdendo tutti i treni e allontanandoci sempre più dal resto dei paesi avanzati.

Risposto da Fabio Colasanti su 20 Settembre 2013 a 12:18 Speriamo bene. Destinazione Italia: via libera del governo al Piano per attirare i capitali esteri “Con ‘Destinazione Italia' parte il piano di privatizzazioni”, ha commentato il presidente del Consiglio, Enrico Letta, durante la conferenza stampa seguita al Consiglio dei ministri di oggi. Si tratta di un piano, ha spiegato, “di attrazione degli investimenti a cui diamo molta importanza, ci sarà una consultazione pubblica con soggetti istituzionali e pubblici, è importante dare un segno forte al mondo di coloro che sono interessati a fare investimenti economici e finanziari”. L’Italia, ha aggiunto il premier, ha un drammatico bisogno di investimenti esteri: “Abbiamo scarsa capacità di attrazione e cifre troppo basse di investimenti diretti. Noi vogliamo che questa attrattività cresca”. Il piano include 50 misure, molto secche e semplici, per risolvere i problemi più grossi che le imprese incontrano venendo in Italia. Anche quello della criminalità organizzata: nel piano, ha anticipato Letta, c'è un capitolo dedicato al Mezzogiorno, in cui si indica "come accompagnare gli investitori di fronte all'aggressione implicita o esplicità della criminalità". Il "percorso" prevede una "versione 0.5" del piano Destinazione Italia, il cui testo è stato "aggiustato" in Cdm, ha spiegato ancora il premier, che sarà ora sottoposta a una"consultazione pubblica" con soggetti istituzionali e pubblici che durerà circa 2-3 settimane, per poi tornare in Consiglio dei ministri ed essere approvato in via definitiva"con i contributi che saranno arrivati dai vari soggetti pubblici, privati e istituzionali". “Cominceremo – ha indicato Letta - anche un road show nelle principali piazze finanziarie ed economiche, la cui prima tappa sarà l’incontro a Wall Street la prossima settimana, a cui seguirà una tappa nei Paesi del Golfo il 7-8-9 ottobre”. Il Presidente del Consiglio ha sottolineato che il nostro Paese non ha paura della globalizzazione, “anzi vogliamo stare in questo sistema, con un modello che non è né l’outlet, in cui si svende tutto a poco prezzo, né forte Apache, in cui si difende con le unghie e coi denti tutto ciò che è italiano”.

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Domani il Consiglio dei Ministri approverà la nota di variazione al Def». Con il Piano “inizia un percorso di privatizzazioni” che riguarderà “cose che è giusto privatizzare perché non sempre privato è meglio del pubblico”, come si è visto in esempi passati. In ogni caso, ha concluso Letta, Destinazione Italia "non guarda solo all'estero, ma anche gli investitori italiani che vogliono ritornare in Patria". Il Ministro dello Sviluppo economico, Flavio Zanonato, ha poi illustrato i dettagli del piano, spiegando che viene così definita una policy organica con l’obiettivo di favorire gli investimenti esteri. La missione fondamentale, ha osservato, è di “accompagnare gli investitori esteri e di far in modo che diventi facile investire nel nostro Paese, sia dal punto di vista fiscale che normativo”, cercando di sciogliere quella che per molti è una giungla “inestricabile”. “Ma anticipo - ha proseguito Zanonato - che molte misure favoriranno anche gli investimenti interni". “Le consultazioni che si faranno sia con la parte istituzionale, penso alle Regioni, sia con le parti sociali e le associazioni degli imprenditori - ha puntualizzato - saranno un momento di grande confronto”. Tra gli obiettivi del Piano c’è anche quello “di agevolare gli investimenti in ricerca e sviluppo”; “semplificare la normativa fiscale, favorire un'interlocuzione rapida tra chi vuole investire e il sistema che poi chiederà di pagare le tasse. In modo che siano prevedibili le tasse da pagare. Questa misura è nella delega fiscale e quindi dovremo attuarla con una certa rapidità”.

Risposto da Fabio Colasanti su 20 Settembre 2013 a 19:51 Laura grazie. Il testo è ottimo e ben scritto, ma la realtà che descrive è veramente molto triste. Se Grillo scrive queste fesserie, chissà quante altre persone, anche non sostenitori del M5S, potranno credere cose del genere.

Risposto da giovanni de sio cesari su 20 Settembre 2013 a 22:06 Fabio certo speriamo bene: pero, secondo la tua competenza, si tratta di aria fritta o di provvedimnti efficaci ? Fabio Colasanti ha detto: Speriamo bene. Destinazione Italia: via libera del governo al Piano per attirare i capitali esteri “Con ‘Destinazione Italia' parte il piano di privatizzazioni”, ha commentato il presidente del Consiglio, Enrico Letta, durante la conferenza stampa seguita al Consiglio dei ministri di oggi. Si tratta di un piano, ha spiegato, “di attrazione degli investimenti a cui diamo molta importanza, ci sarà una consultazione pubblica con soggetti istituzionali e pubblici, è importante dare un segno forte al mondo di coloro che sono interessati a fare investimenti economici e finanziari”. L’Italia, ha aggiunto il premier, ha un drammatico bisogno di investimenti esteri: “Abbiamo scarsa capacità di attrazione e cifre troppo basse di investimenti diretti. Noi vogliamo che questa attrattività cresca”. Il piano include 50 misure, molto secche e semplici, per risolvere i problemi più grossi che le imprese incontrano venendo in Italia. Anche quello della criminalità organizzata: nel piano, ha anticipato Letta, c'è un capitolo dedicato al Mezzogiorno, in cui si indica"come accompagnare gli investitori di fronte all'aggressione implicita o esplicità della criminalità". Il "percorso" prevede una "versione 0.5" del piano Destinazione Italia, il cui testo è stato "aggiustato" in Cdm, ha spiegato ancora il premier, che sarà ora sottoposta a una"consultazione pubblica" con soggetti istituzionali e pubblici

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che durerà circa 2-3 settimane, per poi tornare in Consiglio dei ministri ed essere approvato in via definitiva"con i contributi che saranno arrivati dai vari soggetti pubblici, privati e istituzionali". “Cominceremo – ha indicato Letta - anche un road show nelle principali piazze finanziarie ed economiche, la cui prima tappa sarà l’incontro a Wall Street la prossima settimana, a cui seguirà una tappa nei Paesi del Golfo il 7-8-9 ottobre”. Il Presidente del Consiglio ha sottolineato che il nostro Paese non ha paura della globalizzazione, “anzi vogliamo stare in questo sistema, con un modello che non è né l’outlet, in cui si svende tutto a poco prezzo, né forte Apache, in cui si difende con le unghie e coi denti tutto ciò che è italiano”. Domani il Consiglio dei Ministri approverà la nota di variazione al Def». Con il Piano “inizia un percorso di privatizzazioni” che riguarderà “cose che è giusto privatizzare perché non sempre privato è meglio del pubblico”, come si è visto in esempi passati. In ogni caso, ha concluso Letta, Destinazione Italia "non guarda solo all'estero, ma anche gli investitori italiani che vogliono ritornare in Patria". Il Ministro dello Sviluppo economico, Flavio Zanonato, ha poi illustrato i dettagli del piano, spiegando che viene così definita una policy organica con l’obiettivo di favorire gli investimenti esteri. La missione fondamentale, ha osservato, è di “accompagnare gli investitori esteri e di far in modo che diventi facile investire nel nostro Paese, sia dal punto di vista fiscale che normativo”, cercando di sciogliere quella che per molti è una giungla “inestricabile”. “Ma anticipo - ha proseguito Zanonato - che molte misure favoriranno anche gli investimenti interni". “Le consultazioni che si faranno sia con la parte istituzionale, penso alle Regioni, sia con le parti sociali e le associazioni degli imprenditori - ha puntualizzato - saranno un momento di grande confronto”. Tra gli obiettivi del Piano c’è anche quello “di agevolare gli investimenti in ricerca e sviluppo”; “semplificare la normativa fiscale, favorire un'interlocuzione rapida tra chi vuole investire e il sistema che poi chiederà di pagare le tasse. In modo che siano prevedibili le tasse da pagare. Questa misura è nella delega fiscale e quindi dovremo attuarla con una certa rapidità”.

Risposto da Fabio Colasanti su 21 Settembre 2013 a 0:31 Giovanni, non lo so. Non conosco il dettaglio delle misure. Ma penso che siano piccolissimi passi nella direzione giusta. Il governo non ha le risorse finanziarie per fare molto sul piano fiscale e se avesse fatto qualcosa di grosso sul piano della semplificazione avremmo dieci categorie per strada a protestare. giovanni de sio cesari ha detto: Fabio certo speriamo bene: pero, secondo la tua competenza, si tratta di aria fritta o di provvedimnti efficaci ?

Risposto da mariella alois su 21 Settembre 2013 a 17:33 Come dimenticare che alĺ'epoca il "salvataggio" della compagnia di bandiera Alitalia ,permise al buon Berlusconi di vincere le elezioni. Al posto di AirFrance ,convinse una cordata di imprenditori privati a partecipare nel salvataggio. Poiché nessun imprenditore privato avrebbe rischiato i propri capitali in una simile impresa ecco che promise a ognuno di essi qualcosa in contropartita. Guarda caso a Riva,ad esempio, fu consentito di ritardare o rinviare investimenti per la protezione ambientale nel centro siderurgico di Taranto... Cosi ora il contribuente italiano si ritrova a dover risanare tali imprese con l'aggravante di cinque anni persi inutilmente. laura sgaravatto ha detto: La faccia feroce degli straccioni d’Europa Wednesday, 18 September, 2013

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in Adotta Un Neurone, Economia & Mercato, Esteri Il prossimo 26 settembre, nel corso di un vertice bilaterale Italia-Francia, il ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture, Maurizio Lupi, è atteso dare un virile ultimatum ad Air France sul destino di Alitalia. Con la tragicomica sicumera che da sempre fa del nostro paese il Cialtrone d’Europa, il titolo di campioni che ci permette, tra le altre cose, di essere posti sotto ferrea tutela esterna sulle decisioni di politica economica. Ecco una sintesi del penultimatum caricato a pallettoni di carta che Lupi presenterà ai francesi: «Il 26 incontrerò il ministro francese e dirò con chiarezza che Alitalia è un asset strategico per il nostro Paese ed è fondamentale la ricerca di un partner internazionale. Cinque anni fa Alitalia ha individuato il proprio partner in Air France. O Air France ritiene strategica tale alleanza investendo in Alitalia come è accaduto in KLM, oppure riteniamo si debba cercare un nuovo partner. Il governo non sarà supino. Il mercato è cambiato, il posizionamento dell’Italia è strategico e può diventare un hub fondamentale soprattutto guardando ai mercati in sviluppo dell’Est e del Sud-Est asiatico. Il nuovo piano industriale di Alitalia ci è stato sottoposto. E’ un buon piano industriale e il governo può dare il suo supporto per la ricerca di un partner. La priorità va ad Air France ma Alitalia è libera di trovare altri partner strategici» Siamo certi che l’omologo francese di Lupi, di fronte ad una simile assertività, delibererà immediatamente che Air France innaffi di denaro la assai strategica Alitalia, il cui piano industriale verrà a breve esposto al Louvre. L’unico problema è che Air France è il maggior azionista singolo di Alitalia, col 25%, e sta osservando da tempo il deterioramento della situazione del vettore italiano. Certo a Lupi non sfuggirà che, per investire in Alitalia “come è accaduto con KLM”, sarebbe servito che Air France si fosse comprata il vettore italiano. Ma, come forse qualcuno tra voi ricorderà, all’epoca il buon Berlusconi scatenò l’inferno nel tentativo di evitare che i turisti venissero rapiti e portati in Francia. Ricordate, almeno voi? Perché pare che Lupi si sia dimenticato di questo dettaglio. Ma non sembra essersi dimenticato di una delle armi dialetticheusate all’epoca da Berlusconi, che rivendicava pari dignità tra una compagnia che all’epoca macinava utili ed una che era sull’orlo del fallimento. Ecco, quindi, che si torna alle origini: Alitalia è un gioiello strategico, l’Italia “può diventare un hub fondamentale guardando ai mercati in sviluppo dell’Est e del Sud-Est asiatico”, e così spero di voi. Mercati che peraltro erano in forte espansione anche quando il prode Silvio sconfisse il pirata corso Spinetta. Qualcuno a Parigi farà presente a Lupi questi dettagli? Diversamente, il nostro ministro può andare sino in fondo e dire ai mangiarane: “Guardate, non sapete cosa vi perdete, cari dilettanti di un paese in declino per manifesta ottusità della sua classe dirigente. Noi adesso procediamo ad un maxi-aumento di capitale di Alitalia, per il quale c’è la fila di aspiranti nuovi azionisti fuori dalla porta, visto quanto siamo strategici, e vi arrangiate: o partecipate o verrete diluiti pesantemente. Scegliete, quindi, perché a noi italiani non la si fa!” Non vi sentite fremere di ardore patriottico, sapendo di avere la mano giusta di carte

Risposto da adriano succi su 21 Settembre 2013 a 17:49 Il Sito fastidio.net (nomen omen?) , ci informa che Renzi, a proposito della Spagna, avrebbe detto: «Forse in condizioni peggiori delle nostre ha avviato riforme serie e radicali. Questo è il cambiamento che serve alla sinistra» Poi aggiunge: Non è chiaro di quali riforme Renzi stia parlando. Appunto, non è chiaro; non sarebbe il caso di chiarirlo prima di sparare interpretazioni? laura sgaravatto ha detto: Se la Spagna diventa il modello di Renzi Tuesday, 17 September, 2013 in Adotta Un Neurone, Economia & Mercato, Italia Il maggiore problema dei politici italiani è, non da oggi, il desolante provincialismo e la tendenza a non voler approfondire quanto accade fuori dall’Italia. Un vero peccato che questo tratto culturale riemerga pari pari anche nei portatori sani del nuovismo. E’ il caso di Matteo Renzi, che oggi ha scoperto il paese-modello, suo e della non meglio specificata “sinistra” italica. E di quale paese si tratterebbe? Della Spagna, signori e signore: «Forse in condizioni peggiori delle nostre ha avviato riforme serie e radicali. Questo è il cambiamento che serve alla sinistra»

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Non è chiaro di quali riforme Renzi stia parlando. Forse di quella relativa almercato del lavoro, con il taglio dei costi di licenziamento. Suggerire alla sinistra di prendere a modello qualcosa del genere è certamente coraggioso. Però di “riforme coraggiose” della Spagna noi non riusciamo a vederne, e se Renzi aguzzasse maggiormente la vista saprebbe che l’Italia ha fatto una riforma delle pensioni che ci pone di fatto ai vertici europei per severità. Nel frattempo, il signor Rajoy sta appendendosi ai vetri per mantenere integralmente le indicizzazioni pensionistiche, a costo di smontare il fondo per la sicurezza sociale con prelievi fuori luogo. Cesare Damiano approverebbe entusiasticamente. Ma forse non c’è bisogno di strologare troppo. Forse Renzi ha orecchiato che da qualche giorno lo spread decennale sui governativi tra Italia e Spagna vede il nostro paese “sorpassato” da Madrid, e si è lanciato in interpretazioni spericolate al solo fine di punzecchiare il buon Enrico Letta. Se non fosse che proprio oggi lo spread decennale tra i due paesi è tornato ad azzerarsi, mettendo in gravi ambasce tutti i teorici della superiorità riformistica spagnola. Che non esiste, semplicemente. Come direbbero gli americani, “don’t overinterpret the market“, ma soprattutto resta valido l’invito alla nostra classe politica ad uscire dal bar e smettere di vedere causalità in ogni correlazione in cui si inciampa.

Risposto da Fabio Colasanti su 21 Settembre 2013 a 18:00 E in più si buttò alle ortiche ogni principio di concorrenza permettendo che la "nuova Aliatlia" avesse il monopolio dei voli sulla tratta Roma-Milano, con buona pace dei consumatori (per fortuna, i treni ad alta velocità hanno cominciato ad esercitare una certa pressione concorrenziale su questa tratta, ma quando il Berlusca prese la sua decisione la cosa era lungi dall'essere chiara). Hai ragione Mariella quando ricordi che questa decisione aiutò il Berlusca a vincere le elezioni. Quanta gente si fa prendere in giro da uno stupido "nazionalismo" economico ! Che senso aveva la difesa della "italianità" di Alitalia? Per quale motivo un "capitalista" italiano sarebbe meglio di uno straniero ? mariella alois ha detto: Come dimenticare che alĺ'epoca il "salvataggio" della compagnia di bandiera Alitalia ,permise al buon Berlusconi di vincere le elezioni. Al posto di AirFrance ,convinse una cordata di imprenditori privati a partecipare nel salvataggio. Poiché nessun imprenditore privato avrebbe rischiato i propri capitali in una simile impresa ecco che promise a ognuno di essi qualcosa in contropartita. Guarda caso a Riva,ad esempio, fu consentito di ritardare o rinviare investimenti per la protezione ambientale nel centro siderurgico di Taranto... Cosi ora il contribuente italiano si ritrova a dover risanare tali imprese con l'aggravante di cinque anni persi inutilmente. laura sgaravatto ha detto: La faccia feroce degli straccioni d’Europa Wednesday, 18 September, 2013 in Adotta Un Neurone, Economia & Mercato, Esteri Il prossimo 26 settembre, nel corso di un vertice bilaterale Italia-Francia, il ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture, Maurizio Lupi, è atteso dare un virile ultimatum ad Air France sul destino diAlitalia. Con la tragicomica ( ... )

Risposto da Fabio Colasanti su 21 Settembre 2013 a 18:12 Non posso esprimermi in maniera precisa perché non ho investito abbastanza sulla situazione in Spagna, ma è un fatto che in molte capitali europee si considera che la Spagna abbia fatto molti più sforzi di riforma che altri paesi. Ho avuto una conversazione qualche settimana fa con un rappresentante della confindustria tedesca (BDI) che mi spiegava come in Germania ci sia un grande interesse per quello che succede in Spagna e come ci siano molte iniziative comuni in corso da aiuti per la creazione di un sistema di apprendistato in Spagna sul modello tedesco a offerte di posti di apprendista in Germania per giovani spagnoli. Le due cose si stanno realizzando sulla base di intese tra i governi e tra le organizzazioni imprenditoriali dei due paesi. Mi ha parlato anche di timidi segni di riprsa degli investimenti tedeschi in Spagna. Mi ha detto invece che l'opinione corrente in Germania è molto scettica su quello

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che sta succedendo in Italia. L'importanza della riforma delle pensione non viene apprezzata per quel grande cambiamento che è stata, ma si sottolinea purtroppo che lo sforzo di riforma di Monti si è bloccato di fronte all'opposizione dei tassisti. Per gli osservatori tedeschi, il governo attuale non starebbe nemmeno provando a fare liberalizzazioni o riforme degne di questo nome. Mi dispiace non saperne di più, e di non avere il tempo per andare a documentarmi. La Spagna sta sicuramente peggio dell'Italia dal punto di vista delle banche, sta peggio dell'Italia come tessuto industriale, sta meglio dell'Italia come competitività che è riaumentata dopo essersi deteriorata come quella italiana (purtroppo questo è stato ottenuto soprattutto attraverso riduzioni dei salari), ma sta soprattutto meglio dell'Italia come stabilità politica. La Voce ha pubblicato un pezzo qualche giorno fa (deve esssere ancora su una delle prime pagine del sito) dove mostravano che se le esportazioni italiane non stanno andando male, quelle spagnole vanno molto meglio, crescono molto più rapidamente. Sottolineavano però che questa rapida ripresa delle esportazioni è il risultato di una riduzione significativa dei salari laura sgaravatto ha detto: Se la Spagna diventa il modello di Renzi Tuesday, 17 September, 2013 in Adotta Un Neurone, Economia & Mercato, Italia Il maggiore problema dei politici italiani è, non da oggi, il desolante provincialismo e la tendenza a non voler approfondire quanto accade fuori dall’Italia. Un vero peccato che questo tratto culturale riemerga pari pari anche nei portatori sani del nuovismo. E’ il caso di Matteo Renzi, che oggi ha scoperto il paese-modello, suo e della non meglio specificata “sinistra” italica. E di quale paese si tratterebbe? Della Spagna, signori e signore: «Forse in condizioni peggiori delle nostre ha avviato riforme serie e radicali. Questo è il cambiamento che serve alla sinistra» Non è chiaro di quali riforme Renzi stia parlando. Forse di quella relativa almercato del lavoro, con il taglio dei costi di licenziamento. Suggerire alla sinistra di prendere a modello qualcosa del ( ... )

Risposto da Fabio Colasanti su 23 Settembre 2013 a 16:35 Laura, mille grazie. E' un ottimo articolo, con molti insegnamenti. Spero lo leggano tutti. Sottolineo quello che Penati scrive sugli effetti - non sfruttati - dell'apertura al mercato dei capitali grazie all'euro e sulla visione provinciale dei nostri governi. L'ingresso dell'ATT invece di Telefonica qualche anno fa sarebbe stato benefico, ma fu bloccato da una sollevazione politica generale che fa pensare che si credeva che l'ATT si sarebbe portata in America la "rete". laura sgaravatto ha detto: Alessandro Penati per “La Repubblica” Oggi si guarda alla prossima scadenza del patto tra gli azionisti di Telco, la holding che controlla Telecom, e al consiglio di amministrazione del 3 ottobre, come all’inizio di una nuova era. Eppure, quindici anni di lenta agonia suggeriscono scetticismo e, forse, rassegnazione. ( ... )

Risposto da Fabio Colasanti su 23 Settembre 2013 a 16:41 Alle prossime elezioni, questa sarà una manna per il M5S. laura sgaravatto ha detto:

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L’abolizione graduale del finanziamento pubblico ai partiti (anche noti come rimborsi elettorali) proposta dal governo Letta è di quelle graduali. Molto graduali: si arriverà a re una forma di entrate per i partiti – che gli italiani avevano già abolito via referendum – solo nel 2017. Fino ad allora si farà a meno di alcune porzioni di rimborsi, in modo da abituare piano piano i tesorieri a capire come tenere in piedi le strutture senza più i soldi che finora garantivano la sopravvivenza dei partiti tutti. Questo in teoria, perché poi come spesso accade i fatti latitano. Che succede? Succede che questa legge sull’abolizione dei finanziamenti al momento è stata solo annunciata, rimane una semplice proposta del Governo Letta la cui discussione si continua a rinviare. Ma rinvia che rinvia, alla fine la probabilità che, almeno per il 2013, i partiti incassino tutti i soldi che gli spettano si fa sempre più alta. Lo racconta il Messaggero: Se la Camera non dovesse approvare la legge nei prossimi giorni è difficile che il Senato possa esaminarla in tempo utile per approvarla entro la fin dell’anno. In questo caso scatterebbe il pagamento pieno della prima rata del finanziamento pubblico per il 2014, pari a 46 milioni. Sfumerebbe dunque il taglio del 40% previsto per il primo dei tre anni della fase di transizione prevista dalla legge ideata dal governo che rinvia al 2017 l’zione totale del finanziamento pubblico. Quando si dice la coincidenza, viene da pensare. Soprattutto visto che la discussione in aula è stata rimandata più e più volte. L’ultima solo pochi giorni fa: il 19 settembre dovevano iniziare i lavori, rimandati poi a mercoledì 25. Basterà poco quindi per capire se i sospetti sono fondati o meno, anche se qualcuno mette già le mani avanti, Riccardo Nuti del Movimento 5 Stelle: “Martedì ci sarà un’altra conferenza dei capigruppo e vedrete che il provvedimento slitterà di nuovo

Risposto da giorgio varaldo su 23 Settembre 2013 a 17:14 posso dire qualcosa riguardo al settore siderurgico e chiedo a mariella di correggere e se lo ritiene opportuno integrare le mie informazioni che .- ripeto sempre - provengono dai settori operativi. per quanto riguarda la situazione spagna le voci che la rendono preferibile all'italia sono legate alla rapidità delle risposte da parte delle autorità ed alla certezza del diritto. dal punto di vista ambientale la legge spagnola ha recepito in toto le norme europee (e non come nel nostro paese norme di fantasia vedi AIA taranto), in caso di nuovi investimenti l'iter burocratico è caratterizzato sia da tempi ragionevolmente brevi sia dalla certezza del diritto: una volta ottenute le autorizzazioni nessun magistrato spagnolo si sognerebbe di sospendere cautelativamente i lavori in attesa di ulteriori indagini. per anticipare i soliti catastrofisti faccio presente che nella periferia di barcellona a castelbibal c'è l'acciaieria CELSA che produce ben 2,4 milioni di tonnellate di acciaio laura sgaravatto ha detto: Se la Spagna diventa il modello di Renzi Tuesday, 17 September, 2013 in Adotta Un Neurone, Economia & Mercato, Italia Il maggiore problema dei politici italiani è, non da oggi, il desolante provincialismo e la tendenza a non voler approfondire quanto accade fuori dall’Italia. Un vero peccato che questo tratto culturale riemerga pari pari anche nei portatori sani del nuovismo. E’ il caso di Matteo Renzi, che oggi ha scoperto il paese-modello, suo e della non meglio specificata “sinistra” italica. E di quale paese si tratterebbe? Della Spagna, signori e signore: «Forse in condizioni peggiori delle nostre ha avviato riforme serie e radicali. Questo è il cambiamento che serve alla sinistra» Non è chiaro di quali riforme Renzi stia parlando. Forse di quella relativa almercato del lavoro, con il taglio dei costi di licenziamento. Suggerire alla sinistra di prendere a modello qualcosa del genere è certamente coraggioso. Però di “riforme coraggiose” della Spagna noi non riusciamo a vederne, e se Renzi aguzzasse maggiormente la vista saprebbe che l’Italia ha fatto una riforma delle pensioni che ci pone di fatto ai vertici europei per severità. Nel frattempo, il signor Rajoy sta appendendosi ai vetri per mantenere integralmente le indicizzazioni pensionistiche, a costo di smontare il fondo per la sicurezza sociale con prelievi fuori luogo. Cesare Damiano approverebbe entusiasticamente. Ma forse non c’è bisogno di strologare troppo. Forse Renzi ha orecchiato che da qualche giorno lo spread decennale sui governativi tra Italia e Spagna vede il nostro paese “sorpassato” da Madrid, e si è lanciato in interpretazioni spericolate al solo fine di punzecchiare il buon Enrico Letta. Se non fosse che proprio oggi lo spread decennale tra i due paesi è tornato ad azzerarsi, mettendo in gravi ambasce tutti i teorici della superiorità riformistica spagnola. Che non esiste, semplicemente.

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Come direbbero gli americani, “don’t overinterpret the market“, ma soprattutto resta valido l’invito alla nostra classe politica ad uscire dal bar e smettere di vedere causalità in ogni correlazione in cui si inciampa.

Risposto da Fabio Colasanti su 23 Settembre 2013 a 18:44 Non dimentichiamo poi che la Spagna ha una amministrazione pubblica (stato, ministeri) molto buona. L'amministrazione usa l'informatica molto meglio della nostra. Le dichiarazioni dei redditi sono fatte on-line direttamente dai cittadini da almeno dieci anni. Ogni cittadino riceve una carta elettronica che gli permette l'accesso ai servizi pubblici. Uno studente che chiede una borsa di studio o la riduzione delle tasse deve presentare la dichiarazione dei redditi della sua famiglia Invece di andare a chiedere una copia al fisco, da on-line l'autorizzazione di accesso all'università e questa accede direttamente alla dichiarazione. In parte, il miglioramento dell'amministrazione pubblica è stato dovuto ai problemi della transizione post-franchismo. La nuova democrazia ha ereditato un'amministrazione pubblica piena di vecchi pachidermi messi li dal franchismo. Hanno risolto il problema introducendo uno spoils system molto spinto. Ogni nuovo governo nomina tutti i dirigenti delle fascie alte. Finora i partiti hanno utilizzato il sistema in maniera intelligente. Il sistema ha inizialmente permesso di mandare a casa tutti i relitti del franchismo che sono stati sostituiti da giovani o giovanissimi dirigenti che spesso hanno lavorato all'estero, quasi sempre nel settore privato. Visto che poi sanno tutti di non poter rimanere con il nuovo sitema non si incrostano sulle poltrone. Non è un sistema a prova di bomba, ma finora ha dato buoni risultati giorgio varaldo ha detto: posso dire qualcosa riguardo al settore siderurgico e chiedo a mariella di correggere e se lo ritiene opportuno integrare le mie informazioni che .- ripeto sempre - provengono dai settori operativi. per quanto riguarda la situazione spagna le voci che la rendono preferibile all'italia sono legate alla rapidità delle risposte da parte delle autorità ed alla certezza del diritto. dal punto di vista ambientale la legge spagnola ha recepito in toto le norme europee (e non come nel nostro paese norme di fantasia vedi AIA taranto), in caso di nuovi investimenti l'iter burocratico è caratterizzato sia da tempi ragionevolmente brevi sia dalla certezza del diritto: una volta ottenute le autorizzazioni nessun magistrato spagnolo si sognerebbe di sospendere cautelativamente i lavori in attesa di ulteriori indagini. per anticipare i soliti catastrofisti faccio presente che nella periferia di barcellona a castelbibal c'è l'acciaieria CELSA che produce ben 2,4 milioni di tonnellate di acciaio laura sgaravatto ha detto: Se la Spagna diventa il modello di Renzi Tuesday, 17 September, 2013 in Adotta Un Neurone, Economia & Mercato, Italia ( ... )

Risposto da Fabio Colasanti su 25 Settembre 2013 a 15:44 In questi giorni ogni volta che guardo la televisione o sento la radio bollo per le idiozie che sento su Telecom Italia. La quasi totalità dei commenti è basata su di un nazionalismo economico che, nel caso delle telecomuncazioni non ha nessun fondamento. Purtroppo le fesserie vanno dalle dichiarazioni di Letta a quelle del presidente del Copasir. Primo punto. E' vero che Telecom Italia ha la proprietà della più grossa rete di telecomunicazioni che abbiamo in Italia, ma non dell'unica rete. Questa è la situazione che esiste in praticamente tutti i paesi al mondo. Gli unici casi di paesi che hanno deciso di costruire una rete nazionale sono Singapore e il Qatar. L'Australia aveva anche deciso di

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farlo, ma il nuovo governo ha bloccato il progetto. Va precisato che la rete di cui si parla non è la rete tra le grandi città, tra i grandi centri del paese o tra il paese e il resto del mondo. Telecom Italia ha collegamenti di questo tipo, ma li hanno anche Fastweb, Wind, British Telecom e tante altre società. Sulle grandi distanze il mercato è competitivo e c'è un'abbondanza di alternative. Dove Telecom Italia ha ancora un monopolio è nel cosiddetto "ultimo miglio", ossia nel doppino di rame che va dalla centralina locale all'abitazione dell'utente. Salvatore sarà contento di sapere che quando Enrico Letta parla di Telecom Italia come un asset strategico, si riferisce al doppino dall'angolo della piazzetta fino al suo appartamento. Salvatore, dobbiamo difendere la tua linea telefonica che è un asset strategico del paese! Sono convinto che l'ottanta percento dei politici che parlano di Telecom Italia ignorano questo fatto. Tutti i governi si sono detti che un'impresa di stato con la proprietà della rete (ossia dei milioni di linee dalle centraline alle case degli uteni) non sarebbe mai stata più rapida, efficiente e dinamica di una società privata. In più la separazione (detta "strutturale") tra la proprietà del grosso della rete e l'offerta dei servizi rischia di creare una situazione con interessi diversi. Potrebbe apparire una nuova tecnologia che permetterebbe nuovi servizi. Chi offre i servizi sarebbe interessato ad offrirli, ma la società che gestisce la rete può stimare che un upgrade della rete non si giustifichi dal punto di vista dei suoi piani di investimento. Il fatto che nessuno abbia deciso di avere una rete di proprietà nazionale significherà anche qualcosa. In Italia si parla spesso di "scorporo" della rete. Questa è un'operazione che Telecom Italia considera solo nella speranza che qualcuno, la Cassa Depositi e Presiti, paghi una barca di soldi per la rete e che questo possa permetterle di ridurre il suo debito. La Germania e la Francia hanno ancora la proprietà di una parte delle azioni di France Telecom e Deutsche Telekom, ma questo è dovuto alla volontà di difendere i livelli di occupazione in queste due società (cosa che fa storcere il naso ai due CEO che si lamentano amaramente). In queste due società ci sono ancora decine di migliaia di ex-dipendenti dei vecchi ministeri delle poste che hanno lo statuto di dipendenti pubblici. Dal punto di vista della gestione non ci sono grandi differenze tra queste due società e Telecom Italia, entrambe hanno più debiti di Telecom Italia. Secondo punto. Letta ha detto che quella di Telecom Italia non è stata una privatizzazione riuscita. Certo oggi la società sta peggio di come stava nel 1997. Allora aveva la totalità del mercato italiano, oggi non arriva al 50 per cento. Ma questo significa dimenticare che, dalla fine degli anni novanta, in tutta l'Unione europea è stata applicata una politica draconiana di attacco alle posizioni degli ex-monopolisti che sono stati obbligati per legge ad aprire le loro reti a prezzi fissati dal regolatore. In tutti i paesi le società monopoliste del passato sono oggi in ginocchio. Lo abbiamo voluto noi, per difendere i consumatori e la cosa ha funzionato. Non possiamo stupirci se il nostro ex-monopolista oggi sta peggio di come stava quindici anni fa, lo abbiamovoluto noi. Nel Regno Unito British Telecom ha solo il 25 per cento del mercato al dettaglio. Telecom Italia, con il 47 percento, è una di quelle che hanno resistito meglio (molti dicono che è perché non è stata mazziata a sufficenza dai regolatori). Penati sulla Repubblica afferma che la privatizzazione, dal punto di vista finanziario, è stata un successone: oggi lo stato non otterrebbe più il prezzo che ha incassato nel 1997. Penati ricorda che forse si poteva cogliere l'occasione della vendita per separare la rete dal resto, ma questo avrebbe svalutato enormemente il valore della parte da privatizzare e l'incasso realizzabile. Il governo Prodi decise che far cassa era più importante. Terzo punto. Il presidente del Copasir, il leghista Gianni Stucchi, ha deciso che l'occasione era troppo bella e che non si poteva star zitti e ha dichiarato che l'aumento della partecipazione azionaria di Telefonica creerebbe problemi per la sicurezza nazionale. Telefonica era già l'azionista di riferimento di Telco e di Telcom Italia. Le cose oggi non cambiano molto. Sostenere poi che una Telecom Italia in mani italiane, come che quella che ha avuto Tavaroli e i suoi dossier, dia maggior sicurezza, fa piangere. Ma poi Stucchi sembra ignorare che quasi la metà delle comunicazioni mobili italiane e una buona fetta di quelle fisse sono nelle mani di una società russa (Wimpelcom che controlla Wind) e una cinese (Hutchison Whampoa che controlla completamente "Tre"). Ma "Mamma, li spagnoli" ! Concludo riaffermando che Telecom Italia non è certamente stata gestita bene, ma molti dei suoi problemi attuali vengono proprio dalle interferenze partitiche/politiche del passato. La più grave è stata quella di essersi opposti all'ingresso dell'AT&T qualche hanno fa e di aver invece incoraggiato l'arrivo di Telefonica che è, secondo me, il partner sbagliato. Ma Alessandro Penati nel suo articolo della Repubblica che consiglio a tutti di leggere, ci ricorda che ogni volta che lo stato italiano si è occupato di Telecom Italia l'aspetto dello sviluppo futuro della società è stata l'ultima delle sue preoccupazioni. Lo stato si è preoccupato solo di mantenerne il controllo in una maniera od un'altra o che il controllo passasse ad un "amico".

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Risposto da Fabio Colasanti su 25 Settembre 2013 a 19:23 Aggiungo qualcosa sul caso Telecom Italia e su come il dibattito politico sia lontanissimo dai veri problemi. Il caso Telecom Italia mette in risalto il fatto che il diritto delle società in Italia è medioevale. Il sistema delle "scatole cinesi" depriva la maggioranza degli azionisti di ogni diritto ed è una violazione di ogni principio di mercato. L'azionista di "riferimento" di Telecom Italia è una società chiamata Telco che ha solo il 22 per cento delle azioni di Telecom Italia. L'operazione di cui si sta parlando in questi giorni è avvenuta tra gli azionisti di Telco (Telefonica e tre banche italiane) e questo porta alla conclusione paradossale che il CEO di Telecom Italia possa dire di non averne saputo nulla e di aver appreso dell'operazione dalla stampa, cosa probabilmente vera. Telefonica non aveva nessuna voglia di comprare (comprensibile considerando i debiti che ha), ma le tre banche italiane volevano vendere (Medibanca aveva già svalutato leazioni di Telecom Italia nel suo bilancio fino a 0.50 euro, al disotto del valore di mercato). Il patto tra gli azionisti di Telco scadeva il 28 settembre e i tre soci italiani hanno fatto valere la possibilità di sciogliere la società e vendere sul mercato l'attivo della società (azioni di Telecom Italia). Ma azioni di "controllo" valgono di più di azioni normali e lo scioglimento della società (Telco) avrebbe significato la svalutazione forte anche delle azioni di Telefonica. Quest'ultima era il più grosso socio di Telco. Per evitare di vedere le sue azioni svalutate, Telefonica ha acettato controvoglia (è stata obbligata) di comprare progressivamente le azioni degli altri tre (semplifico un po'). Il fatto che Telefonica abbia oggi un peso maggiore in Telecom Italia non è buona per la società e non è buono per gli azionisti che detengono il 78 per cento delle sue azioni. Ma questi non hanno avuto nulla da dire su di un'operazione che li danneggia, ma che si è svolta all'interno di Telco. Bisognerebbe riformare il diritto societario italianoper evitare queste cose e far si che i passaggi di proprietà si facciano in maniera trasparente sul mercato. Avete sentito un solo politico dire una cosa simile nel coro di idiozie "sul ruolo strategico" al quale stiamo assistendo?

Risposto da giorgio varaldo su 25 Settembre 2013 a 22:13 presi dall'affare telekom la politica si è dimenticata del disastro che sta incombendo sul gruppo riva. tutti i partiti meno la lega tacciono e tace il governo letta anzi letta ciancia di ripresa a fine anno. se non si muove il collasso del gruppo riva lascerà oltre 50.000 lavoratori senza lavoro con una ricaduta sul PIL valutabile in oltre due punti percentuali facendo cadere ogni speranza di crescita. lo stesso PD che dovrebbe essere il partito dei lavoratori tace. vista la gravità della situazione e viste le ripercussioni dovremmo preparare un documento in merito ed anche se la mia sarà la solita voce che grida nel deserto propongo di prepararlo.

Risposto da Fabio Colasanti su 25 Settembre 2013 a 23:05 Quinto punto. Aggiungo qualche considerazione sul tormentone dello "scorporo" della rete di Telecom Italia. Un altro punto dove si mescolano posizioni volutamente poco chiare e una mancanza di comprensione dei fatti e dei termini del problema. Il punto di partenza di questa discussione è il fatto che Telecom Italia non investe massicciamente (lo fa, ma entro limiti abbastanza ristretti) per dotare l'Italia di una rete di telecomunicazioni moderna basata sulla fibra ottica. La mancanza di questa rete costituirebbe una palla al piede per lo sviluppo del paese. Questo sarebbe quindi un caso di

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"fallimento di mercato" che richiederebbe la creazione di una società a guida pubblica che costruisse questa rete al posto di Telecom Italia. Per realizzare questa rete sarebbe necessario trasferire da Telecom Italia a questa nuova società la proprietà delle milioni di linee in rame dalle centraline alle residenze degli utenti (la "rete"). La nuova rete sarebbe basata sulla fibra fino alle centrali o agli armadi e poi arriverebbe nelle case sul doppino di rame grazie a tecniche come il VSDL, VSDL2 e il "vectoring". Queste permetterebbero di raggiungere capacità di 60-70 megabit al secondo (in alcuni casi anche di più). Il passaggio generalizzato alla fibra fino alle residenze sarebbe un obiettivo a medio-lungo termine. Questo ragionamento sconta un errore logico di partenza. Telecom Italia non investe di più nella fibra non solo perché - come tutti sappiamo ha forti debiti e una situazione finanziaria non buona - ma soprattutto perché questi investimenti non renderebbero una cifra sufficiente a rimborsare i prestiti contratti per farli. Quanti di noi sarebbero oggi disposti a pagare venti o trenta euro in più al mese per avere 60 o 100 megabit al secondo invece di sette? Ben pochi. Nei paesi scandinavi, quando una società di telecomunicazioni, mettiamo Telia Sonera, porta la fibra in un nuovo quartiere può sperare che almeno la metà delle famiglie raggiunte dalla fibra ("passate" dalla fibra) sottoscriva un contratto. Da noi Fastweb e Telecom Italia hanno dovuto riconoscere che solo una frazione infima delle famiglie raggiunte dalla fibra sottoscrive un contratto. Inoltre, chiunque investa sulla fibra creando una nuova rete sarà obbligato dal regolatore a metterla a disposizione dei suoi concorrenti a prezzi regolamentati. Uno scorporo di questo genere non è mai stato fatto in nessun paese. Purtroppo il ritardo italiano è tale che anche osservatori molto posati come Francesco Caio hanno suggerito anni fa di prendere misure choc per uscire dal circolo vizioso di una sviluppo lento delle telecomunicazioni. Il dibattito va avanti da anni e, secondo me, non porterà ad assolutamente nulla. Ma per vari motivi le posizioni dei partecipanti sono volutamente poco chiare e si prestano a malintesi e fanno continuare un dibattito che non avrebbe dovuto durare più di qualche settimana. Per Telecom Italia, lo scorporo della rete significherebbe farle perdere tutto quello che ancora la distingue dagli altri tantissimi operatori telecom italiani. Senza la rete diventerebbe una società con una piccolissima frazione dell'occupazione attuale e senza grandi prospettive. Tutti gli ex-monopolisti si sono sempre opposti ferocemente ad ogni idea di scorporo (chiamato nel gergo "separazione strutturale"). Ma Telecom Italia non strilla contro l'idea perché pensa che se la sua rete le fosse pagata una barca di soldi, questo potrebbe permetterle di uscire dall'inferno della gestione del debito nel quale si trova da anni. Visto che non ci sono precedenti è difficilissimo dare un prezzo "equo" alla rete di Telecom Italia e girano le cifre più strane. Alcuni dicono che Telecom Italia potrebbe essere tentata se la nuova società le pagasse la rete almeno 13-15 miliardi di euro. Dall'altro lato, non si vede chi potrebbe tirare fuori questi soldi. Si vagheggia di un intervento della Cassa Depositi e Prestiti. Ma questa non sarebbe mai disposta a mettere sul tavolo una cifra come quella che si attribuisce a Telecom Italia (parliamo di una cifra pari ad un punto di PIL). Forse la Cassa Depositi e Prestiti sarebbe disposta a mettere sul tavolo 2 o 3 miliardi (ipotesi mia) a condizione che qualcun altro investisse una cifra analoga. In ogni caso esiste un divario fortissimo tra quello che si immagina Telecom Italia potrebbe richiedere e quello che gli acquirenti potrebbero offrire. Ma Telecom Italia non chiude la porta (tutto può succedere) e Bassanini, presidente della Cassa Depositi e Prestiti non vuole alienarsi il sostegno dei governi dicendo esplicitamente che le cifre richieste da Telecom Italia sono fuori delle sue possibilità e delle sue valutazioni. Ma il prezzo della rete è solo il primo passo. Bisognerebbe poi trovare i miliardi – almeno dieci in una prima fase – per cominciare a creare la rete (Telecom Italia credo investa un paio di miliardi all'anno; se vogliamo far meglio dovremo investire di più se no l'operazione non avrebbe senso). Da dove possono venire? Mistero. E come si ripagherebbero questi miliardi visto che gli italiani non sembrano considerare alte capacità di internet come una necessità? C'è perfino il rischio che i prezzi che si consentirebbe di praticare a questa nuova entità pubblica sarebbero sensibilmente più alti di quelli che oggi sono permessi a Telecom Italia e alle altre società. Sarebbe una bella ironia. Ma anche questo dibattito viene portato avanti a colpi di grandi slogan: "mercato" contro "stato"; "decisioni strategiche per il paese"; finalmente una "politica industriale". Dei fatti di base però non parla nessuno.

Risposto da giovanni de sio cesari su 26 Settembre 2013 a 7:21

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"Quanti di noi sarebbero oggi disposti a pagare venti o trenta euro in più al mese per avere 60 o 100 megabit al secondo invece di sette? “ Scusate la mia profonda ignoranza: ma qualcuno puo spiegarmi a che serve la mitica fibra ottica? A che mi servirebbe avere 100 megabit ? Grazie Fabio Colasanti ha detto: Quinto punto. Aggiungo qualche considerazione sul tormentone dello "scorporo" della rete di Telecom Italia. Un altro punto dove si mescolano posizioni volutamente poco chiare e una mancanza di comprensione dei fatti e dei termini del problema. Il punto di partenza di questa discussione è il fatto che Telecom Italia non investe massicciamente (lo fa, ma entro limiti abbastanza ristretti) per dotare l'Italia di una rete di telecomunicazioni moderna basata sulla fibra ottica. La mancanza di questa rete costituirebbe una palla al piede per lo sviluppo del paese. Questo sarebbe quindi un caso di "fallimento di mercato" che richiederebbe la creazione di una società a guida pubblica che costruisse questa rete al posto di Telecom Italia. Per realizzare questa rete sarebbe necessario trasferire da Telecom Italia a questa nuova società la proprietà delle milioni di linee in rame dalle centraline alle residenze degli utenti (la "rete"). La nuova rete sarebbe basata sulla fibra fino alle centrali o agli armadi e poi arriverebbe nelle case sul doppino di rame grazie a tecniche come il VSDL, VSDL2 e il "vectoring". Queste permetterebbero di raggiungere capacità di 60-70 megabit al secondo (in alcuni casi anche di più). Il passaggio generalizzato alla fibra fino alle residenze sarebbe un obiettivo a medio-lungo termine. Questo ragionamento sconta un errore logico di partenza. Telecom Italia non investe di più nella fibra non solo perché - come tutti sappiamo ha forti debiti e una situazione finanziaria non buona - ma soprattutto perché questi investimenti non renderebbero una cifra sufficiente a rimborsare i prestiti contratti per farli. Quanti di noi sarebbero oggi disposti a pagare venti o trenta euro in più al mese per avere 60 o 100 megabit al secondo invece di sette? Ben pochi. Nei paesi scandinavi, quando una società di telecomunicazioni, mettiamo Telia Sonera, porta la fibra in un nuovo quartiere può sperare che almeno la metà delle famiglie raggiunte dalla fibra ("passate" dalla fibra) sottoscriva un contratto. Da noi Fastweb e Telecom Italia hanno dovuto riconoscere che solo una frazione infima delle famiglie raggiunte dalla fibra sottoscrive un contratto. Inoltre, chiunque investa sulla fibra creando una nuova rete sarà obbligato dal regolatore a metterla a disposizione dei suoi concorrenti a prezzi regolamentati. Uno scorporo di questo genere non è mai stato fatto in nessun paese. Purtroppo il ritardo italiano è tale che anche osservatori molto posati come Francesco Caio hanno suggerito anni fa di prendere misure choc per uscire dal circolo vizioso di una sviluppo lento delle telecomunicazioni. Il dibattito va avanti da anni e, secondo me, non porterà ad assolutamente nulla. Ma per vari motivi le posizioni dei partecipanti sono volutamente poco chiare e si prestano a malintesi e fanno continuare un dibattito che non avrebbe dovuto durare più di qualche settimana. Per Telecom Italia, lo scorporo della rete significherebbe farle perdere tutto quello che ancora la distingue dagli altri tantissimi operatori telecom italiani. Senza la rete diventerebbe una società con una piccolissima frazione dell'occupazione attuale e senza grandi prospettive. Tutti gli ex-monopolisti si sono sempre opposti ferocemente ad ogni idea di scorporo (chiamato nel gergo "separazione strutturale"). Ma Telecom Italia non strilla contro l'idea perché pensa che se la sua rete le fosse pagata una barca di soldi, questo potrebbe permetterle di uscire dall'inferno della gestione del debito nel quale si trova da anni. Visto che non ci sono precedenti è difficilissimo dare un prezzo "equo" alla rete di Telecom Italia e girano le cifre più strane. Alcuni dicono che Telecom Italia potrebbe essere tentata se la nuova società le pagasse la rete almeno 13-15 miliardi di euro. Dall'altro lato, non si vede chi potrebbe tirare fuori questi soldi. Si vagheggia di un intervento della Cassa Depositi e Prestiti. Ma questa non sarebbe mai disposta a mettere sul tavolo una cifra come quella che si attribuisce a Telecom Italia (parliamo di una cifra pari ad un punto di PIL). Forse la Cassa Depositi e Prestiti sarebbe disposta a mettere sul tavolo 2 o 3 miliardi (ipotesi mia) a condizione che qualcun altro investisse una cifra analoga. In ogni caso esiste un divario fortissimo tra quello che si immagina Telecom Italia potrebbe richiedere e quello che gli acquirenti potrebbero offrire. Ma Telecom Italia non chiude la porta (tutto può succedere) e Bassanini, presidente della Cassa Depositi e Prestiti non vuole alienarsi il sostegno dei governi dicendo esplicitamente che le cifre richieste da Telecom Italia sono fuori delle sue possibilità e delle sue valutazioni. Ma il prezzo della rete è solo il primo passo. Bisognerebbe poi trovare i miliardi – almeno dieci in una prima fase – per cominciare a creare la rete (Telecom Italia credo investa un paio di miliardi all'anno; se vogliamo far meglio dovremo

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investire di più se no l'operazione non avrebbe senso). Da dove possono venire? Mistero. E come si ripagherebbero questi miliardi visto che gli italiani non sembrano considerare alte capacità di internet come una necessità? C'è perfino il rischio che i prezzi che si consentirebbe di praticare a questa nuova entità pubblica sarebbero sensibilmente più alti di quelli che oggi sono permessi a Telecom Italia e alle altre società. Sarebbe una bella ironia. Ma anche questo dibattito viene portato avanti a colpi di grandi slogan: "mercato" contro "stato"; "decisioni strategiche per il paese"; finalmente una "politica industriale". Dei fatti di base però non parla nessuno.

Risposto da giovanni de sio cesari su 26 Settembre 2013 a 7:26 Mi pare che la Spagna in mezzo alle difficolta comunque continua ad avere lo slancio a cambiare, ad adeguarsi al mondo moderno che ha avuto dopo il franchismo : noi invece siamo un paese “triste e stanco” come ci defini non ricordo chi, tutti a difendere, fino alla fine, l’esistente : destra e sinistra, politici, sindacati, impiegati e tassisti In spagna vi la Espanolidad , l’orgoglio di essere spagnoli , o piu precisamente , catalani, castigliani, asturiani ecc tutti in gara a chi fa cambia di più , da noi vince chi mostra che, in pratica, non cambierà nulla, Dovremmo avere la voglia di cambiare come in Spagna adriano succi ha detto: Il Sito fastidio.net (nomen omen?) , ci informa che Renzi, a proposito della Spagna, avrebbe detto: «Forse in condizioni peggiori delle nostre ha avviato riforme serie e radicali. Questo è il cambiamento che serve alla sinistra» Poi aggiunge: Non è chiaro di quali riforme Renzi stia parlando. Appunto, non è chiaro; non sarebbe il caso di chiarirlo prima di sparare interpretazioni?

Risposto da giorgio varaldo su 26 Settembre 2013 a 8:13 per l'industria è diventata fondamentale e consentirebbe di poter localizzare impianti anche in zone attualmente sprovviste oltre che permettere il dialogo fra macchine (centro progettazione CAD con le macchine utensili magari distanti centinaia di km ) per evitare di esser copiati dai soliti cinesi molte aziende fornitrici di macchinari industriali non forniscono più i manuali di manutenzione cartacei (dai quali è facile copiare il macchinario) bensì in caso di guasto assicurano la presenza di tecnici specializzati i quali consultano schemi e disegni via web e mentre anche in mezzo alle foreste del sud est asiatico si hanno collegamenti wi-fi ultraveloci in molte zone d'italia non esiste neanche la finta ADSL a 640 kbps. oltre che consentire la diffusione del telelavoro o poter permettere di giocare on line la fibra sostituisce l'antenna televisiva sia normale che satellitare indispensabile in molte zone montane nelle nostre città potrebbe cambiare l'aspetto non avremmo più i tetti pieni di antenne e e di fili volanti : chi ha mai visto una antenna a zurigo? giovanni de sio cesari ha detto: "Quanti di noi sarebbero oggi disposti a pagare venti o trenta euro in più al mese per avere 60 o 100 megabit al secondo invece di sette? “ Scusate la mia profonda ignoranza: ma qualcuno puo spiegarmi a che serve la mitica fibra ottica? A che mi servirebbe avere 100 megabit ? Grazie

Risposto da giovanni de sio cesari su 26 Settembre 2013 a 13:12

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Giorgio grazie per le chiare spiegazioni giorgio varaldo ha detto: per l'industria è diventata fondamentale e consentirebbe di poter localizzare impianti anche in zone attualmente sprovviste oltre che permettere il dialogo fra macchine (centro progettazione CAD con le macchine utensili magari distanti centinaia di km ) per evitare di esser copiati dai soliti cinesi molte aziende fornitrici di macchinari industriali non forniscono più i manuali di manutenzione cartacei (dai quali è facile copiare il macchinario) bensì in caso di guasto assicurano la presenza di tecnici specializzati i quali consultano schemi e disegni via web e mentre anche in mezzo alle foreste del sud est asiatico si hanno collegamenti wi-fi ultraveloci in molte zone d'italia non esiste neanche la finta ADSL a 640 kbps. oltre che consentire la diffusione del telelavoro o poter permettere di giocare on line la fibra sostituisce l'antenna televisiva sia normale che satellitare indispensabile in molte zone montane nelle nostre città potrebbe cambiare l'aspetto non avremmo più i tetti pieni di antenne e e di fili volanti : chi ha mai visto una antenna a zurigo? giovanni de sio cesari ha detto: "Quanti di noi sarebbero oggi disposti a pagare venti o trenta euro in più al mese per avere 60 o 100 megabit al secondo invece di sette? “ Scusate la mia profonda ignoranza: ma qualcuno puo spiegarmi a che serve la mitica fibra ottica? A che mi servirebbe avere 100 megabit ? Grazie

Risposto da Fabio Colasanti su 26 Settembre 2013 a 13:18 Giovanni, Aggiungo qualche considerazione a quanto scritto da Giorgio. Per l'industria è importantissimo avere comunicazioni rapide per i motivi che Giorgio ha ricordato. Il numero di processi che devono essere sincronizzati tra vari centri e il bisogno di scambio di informazioni –spesso molto voluminose – sono altissimi. Le grosse imprese, quando sono situate in zone sviluppate, hanno già oggi collegamenti che vanno ben oltre i 100 megabit. Per le piccole e medie imprese è altrettanto importante. Anche loro hanno bisogni simili alle grandi. Ma per lepiccole c'è un motivo in più. Si sta sviluppando la tecnica del cloud computing. Questa permette alle piccole impresedi non dover creare un reparto informatico con tecnici specializzati e di non dover comprare in continuazione nuovi costosissimi programmi. Lo stoccaggio dei dati può essere fatto con società specializzate che copieranno i dati in due o tre posti diversi. Ma poi le società possono utilizzare programmi sofisticati a distanza. Per esempio la piccola impresa che una volta all'anno deve stampare il suo catalogo può farlo utilizzando, a pagamento, per quattro/cinque giorni un programma di edizione sofisticato on-line invece di comprarlo e non utilizzarlo per il resto dell'anno. Le società di cloud computing permettono di utilizzare on-line moltissimi programmi sofisticati. Nel mio esempio la piccola impresa avrà poi sempre accesso all'ultima versione del programma. Ma per poter utilzzare i servizi di cloud computing bisogna avere connessioni rapide senza molta latenza. Per le piccole e medie imprese, le comunicazioni ad alta velocità sono una maniera di annullare le distanze fisiche.. Io ricevo ogni giorno un bollettino quotidiano con le ultime novità nel campo delle telecomunicazioni, televisione, internet e cose simili (si chiama Key4Biz e ho postato a volte articoli da questa pubblicazione, per esempio quello sui social networks che trasmettono la rabbia più che altri sentimenti). La redazione e il grosso del personale che lo produce sono a Cosenza. Senza telecomunicazioni rapide questo non sarebbe possibile. In questa stessa maniera piccole imprese possono operare in tutto il mondo dalla punta della Cornovaglia ad una piccola isola dell'Egeo (se hanno accesso a buone comunicazioni). Per i privati le utilizzazione maggiori delle alte capacità sono oggi la televisione, il video on demand (scaricare e vedere film) e i giochi. Con le connesioni che la fibra offre una famiglia puo vedere un film nel soggiorno, mentre il figlio si vede la partita di calcio in camera sua. L'accesso via cavo permette di disporre di centinaia dicanai e di aver accesso a

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miglaiai di film. Come Giorgio ha detto, sarebbe meglio utilizzare un collegamento fisso pe la televisione e lasciare le frequenze – che sono una risorsa scarsa – alle applicazioni che richiedono veramente una mobilità. Ma sempre di più si stanno sviluppando l'accesso all'insegnamento (si possono vedere video con le lezioni dei professori di grandi università mondiali), l'insegnamento delle lingue, anche con un insegnante dedicato. Si sviluppano anche le comunicazioni video grazie a Skype e applicazioni più sofisticate. Anche le famiglie potranno avere poi bisogno dei servizi che vanno sotto il nome di "cloud computing". Se elaboro i filmini delle vacanze solo una volta all'anno non vale la pena di comprare il programma sofisticato, lo noleggio on line per qualche ora quando ne ho bisogno. Ma si prevede (ci sono già mille prototipi che funzionano bene) lo sviluppo di tanti servizi alle persone. Si possono immaginare case con sensori e sistemi di allarme che diano informazioni su cosa fanno e sui problemi delle persone anziane (vedere se una persona è andata in cucina, se si muove, se ha preso le medicine, rispondere a domande di aiuto attivando circuiti televisivi, ecc.). Questo potrebbe permettere a tante persone di passare qualche anno in più in maniera autonoma nella propria casa. Ma tutti questi sistemi presuppongono l'esistenza di comunicazioni molto rapide ed efficaci. Nel campo della medicina ci sono già a oggi mille applicazioni che dipendono dall'esistenza di comunicazioni rapide. Il mio medico di famiglia vede i risultati delle mia analisi di laboratorio attraverso il suo compuer, ma vede anche i risultati delle radiografie e degli scanner. Se avesse bisogno di una seconda opinione potrebbe mandare i risultati di questi esami ad un collega e parlarne con lui al telefono mentre entrambi guardano le immagini. Per me che vivo in una città questo è utile, ma non indispensabile. Ma pensa a quanto questo potrebbe essere importante per il medico condotto di un piccolo paese. Oggi esistono molte tecnologie che ci danno comunicazioni ad alta velocità. Nel nord Europa e negli Stati Uniti quella piùdiffusa è spesso il cavo coassiale per la televisione che viene oggi miglioratao con una tecnica chiamata Docsis 3.0 e permette di arrivare facilmente a 100 megabit. Le telecomunicazioni mobili permettono oggi capacità di 20 o 30 megabit a seconda del posto dove si è con la tecnologia chimata LTE (o 4G). La velocità media delle reti di Verizon e ATT negli Stati Uniti è attorno ai 14 megabit. Questa sarebbe un'ottima soluzione intermedia per chi vive in zone dove è troppo difficle portare un cavo. Purtroppo l'Europa e l'Italia hanno un fortissimo ritardo con il 4G (è per il momento disponibile solo nel centro delle grandi città). La tecnologia che da i migliori risultati è però la fibra ottica. Offre tranquillamente capacità di 100 o 200 megabit e con alcuni accorgimenti permette di arrivare oltre il gigabit (1000 megabit). Il problema è però che tutti i responsabili politici sono convinti che comunicazioni ad alta capacità siano indispensabili per i loro paesi. Ma la maggioranza dei consumatori- soprattutto nel sud Europa – non vede perché dovrebbe pagare di più per avere 70 o 100 megabit al secondo. Questo fa si che investire in fibra (o in 4G) non si giustifichi per le società di telecomunicazioni che non vedrebbero i loro ricavi aumentare se facessero i necessari investimenti. Se vogliamo, questo può legittimamente essere visto come un caso di "fallimento di mercato" che giustifica l'intervento pubblico. Ma praticamente nessun paese ha i miliardi di euro che sarebbero necessari per costruire una rete in fibra fino a casa degli utenti.

Risposto da giovanni de sio cesari su 26 Settembre 2013 a 21:18 Fabio molte grazie anche a te. ma non sarebbe preferibile a questo punto LTE Fabio Colasanti ha detto: Giovanni, Aggiungo qualche considerazione a quanto scritto da Giorgio. Per l'industria è importantissimo avere comunicazioni rapide per i motivi che Giorgio ha ricordato. Il numero di processi che devono essere sincronizzati tra vari centri e il bisogno di scambio di informazioni –spesso molto voluminose – sono altissimi. Le grosse imprese, quando sono situate in zone sviluppate, hanno già oggi collegamenti che vanno ben oltre i 100 megabit.

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Per le piccole e medie imprese è altrettanto importante. Anche loro hanno bisogni simili alle grandi. Ma per lepiccole c'è un motivo in più. Si sta sviluppando la tecnica del cloud computing. Questa permette alle piccole impresedi non dover creare un reparto informatico con tecnici specializzati e di non dover comprare in continuazione nuovi costosissimi programmi. Lo stoccaggio dei dati può essere fatto con società specializzate che copieranno i dati in due o tre posti diversi. Ma poi le società possono utilizzare programmi sofisticati a distanza. Per esempio la piccola impresa che una volta all'anno deve stampare il suo catalogo può farlo utilizzando, a pagamento, per quattro/cinque giorni un programma di edizione sofisticato on-line invece di comprarlo e non utilizzarlo per il resto dell'anno. Le società di cloud computing permettono di utilizzare on-line moltissimi programmi sofisticati. Nel mio esempio la piccola impresa avrà poi sempre accesso all'ultima versione del programma. Ma per poter utilzzare i servizi di cloud computing bisogna avere connessioni rapide senza molta latenza. Per le piccole e medie imprese, le comunicazioni ad alta velocità sono una maniera di annullare le distanze fisiche.. Io ricevo ogni giorno un bollettino quotidiano con le ultime novità nel campo delle telecomunicazioni, televisione, internet e cose simili (si chiama Key4Biz e ho postato a volte articoli da questa pubblicazione, per esempio quello sui social networks che trasmettono la rabbia più che altri sentimenti). La redazione e il grosso del personale che lo produce sono a Cosenza. Senza telecomunicazioni rapide questo non sarebbe possibile. In questa stessa maniera piccole imprese possono operare in tutto il mondo dalla punta della Cornovaglia ad una piccola isola dell'Egeo (se hanno accesso a buone comunicazioni). Per i privati le utilizzazione maggiori delle alte capacità sono oggi la televisione, il video on demand (scaricare e vedere film) e i giochi. Con le connesioni che la fibra offre una famiglia puo vedere un film nel soggiorno, mentre il figlio si vede la partita di calcio in camera sua. L'accesso via cavo permette di disporre di centinaia dicanai e di aver accesso a miglaiai di film. Come Giorgio ha detto, sarebbe meglio utilizzare un collegamento fisso pe la televisione e lasciare le frequenze – che sono una risorsa scarsa – alle applicazioni che richiedono veramente una mobilità. Ma sempre di più si stanno sviluppando l'accesso all'insegnamento (si possono vedere video con le lezioni dei professori di grandi università mondiali), l'insegnamento delle lingue, anche con un insegnante dedicato. Si sviluppano anche le comunicazioni video grazie a Skype e applicazioni più sofisticate. Anche le famiglie potranno avere poi bisogno dei servizi che vanno sotto il nome di "cloud computing". Se elaboro i filmini delle vacanze solo una volta all'anno non vale la pena di comprare il programma sofisticato, lo noleggio on line per qualche ora quando ne ho bisogno. Ma si prevede (ci sono già mille prototipi che funzionano bene) lo sviluppo di tanti servizi alle persone. Si possono immaginare case con sensori e sistemi di allarme che diano informazioni su cosa fanno e sui problemi delle persone anziane (vedere se una persona è andata in cucina, se si muove, se ha preso le medicine, rispondere a domande di aiuto attivando circuiti televisivi, ecc.). Questo potrebbe permettere a tante persone di passare qualche anno in più in maniera autonoma nella propria casa. Ma tutti questi sistemi presuppongono l'esistenza di comunicazioni molto rapide ed efficaci. Nel campo della medicina ci sono già a oggi mille applicazioni che dipendono dall'esistenza di comunicazioni rapide. Il mio medico di famiglia vede i risultati delle mia analisi di laboratorio attraverso il suo compuer, ma vede anche i risultati delle radiografie e degli scanner. Se avesse bisogno di una seconda opinione potrebbe mandare i risultati di questi esami ad un collega e parlarne con lui al telefono mentre entrambi guardano le immagini. Per me che vivo in una città questo è utile, ma non indispensabile. Ma pensa a quanto questo potrebbe essere importante per il medico condotto di un piccolo paese. Oggi esistono molte tecnologie che ci danno comunicazioni ad alta velocità. Nel nord Europa e negli Stati Uniti quella piùdiffusa è spesso il cavo coassiale per la televisione che viene oggi miglioratao con una tecnica chiamata Docsis 3.0 e permette di arrivare facilmente a 100 megabit. Le telecomunicazioni mobili permettono oggi capacità di 20 o 30 megabit a seconda del posto dove si è con la tecnologia chimata LTE (o 4G). La velocità media delle reti di Verizon e ATT negli Stati Uniti è attorno ai 14 megabit. Questa sarebbe un'ottima soluzione intermedia per chi vive in zone dove è troppo difficle portare un cavo. Purtroppo l'Europa e l'Italia hanno un fortissimo ritardo con il 4G (è per il momento disponibile solo nel centro delle grandi città). La tecnologia che da i migliori risultati è però la fibra ottica. Offre tranquillamente capacità di 100 o 200 megabit e con alcuni accorgimenti permette di arrivare oltre il gigabit (1000 megabit). Il problema è però che tutti i responsabili politici sono convinti che comunicazioni ad alta capacità siano indispensabili per i loro paesi. Ma la maggioranza dei consumatori- soprattutto nel sud Europa – non vede perché dovrebbe pagare

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di più per avere 70 o 100 megabit al secondo. Questo fa si che investire in fibra (o in 4G) non si giustifichi per le società di telecomunicazioni che non vedrebbero i loro ricavi aumentare se facessero i necessari investimenti. Se vogliamo, questo può legittimamente essere visto come un caso di "fallimento di mercato" che giustifica l'intervento pubblico. Ma praticamente nessun paese ha i miliardi di euro che sarebbero necessari per costruire una rete in fibra fino a casa degli utenti.

Risposto da Fabio Colasanti su 26 Settembre 2013 a 21:25 Giovanni, la tua è un'osservazione di buon senso. LTE ci farà fare un passo avanti considerevole. Pero' questo non è vero per tutti i paesi.. Io a Bruxelles ho una capacità già superiore a quella che LTE mi puo' offrire (via cavo coassiale). La situazione nel nostro paesee è veramente poco brillante. Riposto tre grafici che avevo postato qualche settimana fa.

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La fibra è importante, ma non è l'unica soluzione. Nel caso italiano bisognerà essere realisti e accettare un miglioramento graduale. Nel frattempo bisognerà fare campagne per far capire alla gente cosa puo' fare con l'internet. Siamo uno dei paesi in Europa dove viene utilizzata meno.

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giovanni de sio cesari ha detto: Fabio molte grazie anche a te. ma non sarebbe preferibile a questo punto LTE

Risposto da Fabio Colasanti su 26 Settembre 2013 a 23:19 Siamo alla paranoia più completa e ci stiamo rendendo ridicoli a livello mondiale. Spero che i guai del governo mettano fine alle pazzie in corso sui presunti "rischi alla rete" di Telecom Italia. Secondo La Repubblica http://www.repubblica.it/economia/finanza/2013/09/26/news/vegas_non... Il governo si appresterebbe ad adottare una legge che permetterebbe di bloccare ogni trasferimento a soci stranieri non solo nel campo delle comunicazioni, ma in anche altri settori. E questo mentre Letta è in America ad invitare le imprese americane ad investire in Italia ! ! ! Faccio notare che nell'orgia di dichiarazioni che sono state fatte questi giorni sui presunti rischi alla rete nessuno ha mai specificato di quali rischi si trattasse. Cosa potrebbe un investitore straniero che controllasse Telecom Italia fare con le decine di milioni di doppini di rame che vanno nelle case degli utenti? Cosa potrebbe fare di diverso da un investitore italiano? Che potrebbe fare Telefonica? Prendere il doppino che va dalla frazione di Beroide fino a casa di mia sorella e portarlo in Spagna ? La golden share dovrebbe essere utilizzata per bloccare il passaggio in mano straniere anche delle autostrade? Quali sono i rischi per la sicurezza nazionale del fatto che le nostre autostrade siano controllate da una società non italiana invece che italiana? Dietro queste paure c'è un grado di analfabetismo economico che fa paura. Dove sono i rischi per la sicurezza nazionale dovuti all'aumento della presenza di tlefonica nel capitale di Telco (e quindi di Telecom Italia)? Contro i quali dovremmo premunirci? Abbiamo una grossa fetta delle nostre telecomunicazioni nelle mani di una impresa controllata dai russi e un'altra parte nelle mani di un'impresa cinese e

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adesso strilliamo come aquile per una possibilità di aumento delle azioni detente da Telefonica che era prevista esplicitamente nell'accordo del 2010 al quale nessuno a suo tempo si è opposto (anzi tutti – a destra e a sinistra – erano contenti dell'arrivo di Telefonica anziché dei "pericolosi" americani). Non immagivo che il mondo politico italiano potesse scendere cosi in basso. Tutti stanno sparando dichiarazioni, le une meno fondate delle altre. Chi è conosciuto sembra pensare che non esprimersi sull'argomento lo faccia apparire come una persona che ignora cose importanti, chi è poco conosciuto salta sull'occasione di far parlare di se e comunque quasi tutti sembrano avere una conoscenza molto approssimativa dei fatti. Non sapendo che dire sul fondo, la stragrande maggioranza di chi si esprime ricade sul cliché dell'importanza "strategica" della rete e sull'importanza che resti in mani italiane. Si ricade quindi su di un nazionalismo economico senza giustificazione, ma che, come ogni forma di nazionalismo, si appoggia su sentimenti profondi che "funzionano" sempre. In tanti paesi europei (Irlanda, Olanda, Repubblica Ceca, Ungheria, Romania, Grecia, Polonia; Bulgaria) l'ex monopolista è proprietà di investitori esteri ed in tutti i paesi, il grosso elle telecomunicazioni (cioè gli operatori numro due, tre, quattro e cosi via)sono ugualmente proprietà di investitori esteri. Telecom Italia ha il 47 percento del mercato al dettaglio. Più della metà degli italiani è cliente di Wind, Vodafone, Tre, Fastweb, British Telecom e tante altre società.

Risposto da Fabio Colasanti su 28 Settembre 2013 a 16:48 Laura, per un commento su vari aspetti della vicenda Telecom; leggi: http://www.key4biz.it/News/2013/09/27/Policy/telecom_italia_telefon... Molti punti ti saranno già familiari laura sgaravatto ha detto: Telecom, Bernabé è rottura: tratta la buonuscita Argomenti: Telecomunicazioni | Franco Bernabé | Telecom | Poste Italiane | Telco | Francesco Caio | Massimo Sarmi | Telefonica | Marco Patuano Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/SVOsM

Risposto da Fabio Colasanti su 29 Settembre 2013 a 18:15 Da leggere: http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2013-09-29/salviamoc...

Risposto da giorgio varaldo su 7 Ottobre 2013 a 16:28 Su alitalia c'e' ormai un margine di manovra molto ristretto, stavolta i tagli di personale arrivano veramente. Ricordiamoci che le ferrovie italiane in pochi anni sono passate da 210.000 a meno di 100.000 dipendenti.

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 7 Ottobre 2013 a 19:27 L'ingresso nella partita delle Ferrovie dello Stato potrebbe essere la mossa vincente.

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Risposto da Giampaolo Carboniero su 7 Ottobre 2013 a 21:42 Sì, però, negli anni vicini agli '80 i dipendenti delle FF.SS. erano passati da 40.000 a 200.000. giorgio varaldo ha detto: Su alitalia c'e' ormai un margine di manovra molto ristretto, stavolta i tagli di personale arrivano veramente. Ricordiamoci che le ferrovie italiane in pochi anni sono passate da 210.000 a meno di 100.000 dipendenti.

Risposto da giorgio varaldo su 7 Ottobre 2013 a 22:10 o dove hai preso questi dati? gia negli anni 70 l'organico delle FFSS era abbondantemente superiore alle 200.000 unità http://www.storiaefuturo.com/it/numero_15/articoli/1_privatizzazion... e con il periodo di craxi caratterizzato da ulteriore aumento di personale e nell'ambiente si ricorda ancora lo scandalo delle assunzioni del personale per la stazione di matera mai raggiunta da un treno. ed i tagli pesanti sono avvenuti dopo la privatizzazione del 1992 che ha consentito di re il modello organizzativo e di ridurre di conseguenza il personale. Giampaolo Carboniero ha detto: Sì, però, negli anni vicini agli '80 i dipendenti delle FF.SS. erano passati da 40.000 a 200.000. giorgio varaldo ha detto: Su alitalia c'e' ormai un margine di manovra molto ristretto, stavolta i tagli di personale arrivano veramente. Ricordiamoci che le ferrovie italiane in pochi anni sono passate da 210.000 a meno di 100.000 dipendenti.

Risposto da giorgio varaldo su 7 Ottobre 2013 a 22:25 questa si che è una bella notizia http://www.asaps.it/43166-Mandello:_dopo_la_polizia_di_Berlinola_Gu...

Risposto da Fabio Colasanti su 7 Ottobre 2013 a 23:48 Giuseppe, come ? Perché? Giuseppe Ardizzone ha detto: L'ingresso nella partita delle Ferrovie dello Stato potrebbe essere la mossa vincente.

Risposto da Fabio Colasanti su 13 Ottobre 2013 a 18:33 http://www.lavoce.info/se-il-pd-propone-uningiustizia/ Se il Pd propone un’ingiustizia - 11.10.13 - Gilberto Muraro

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L’emendamento abortito del Pd sull’Imu prima casa, che prevedeva di ristabilirla sugli immobili con più di 750 euro di rendita catastale, era ingiusto e tecnicamente sbagliato. Ci auguriamo che non venga riproposto in altri casi, ad esempio nella service tax. Nella pluriennale telenovela dell’Imu sulla prima casa, la meteora dell’emendamento del Partito democratico, caduta nello spazio di un mattino davanti all’opposizione di principio del Pdl, non meriterebbe menzione, se non come ennesima prova della capacità del Pd di farsi male. Ma l’episodio ha anche rivelato una proposta tecnicamente sbagliata, da nessuno stigmatizzata, che perciò conviene analizzare e ricordare, per evitare di ricaderci (magari con la service tax che attende ancora di essere ben definita). Precisamente, l’emendamento prevedeva di ristabilire l’Imu prima casa sugli immobili con più di 750 euro di rendita catastale: una platea ben più vasta delle case di lusso che già adesso sono colpite e che avrebbe dato un gettito di 1,2 miliardi di euro. Una buona idea il sia pur parziale ritorno all’Imu agli occhi di molti, perché l’euforia dell’abolizione è stata subito spenta dall’annuncio della service tax , che si aggiungerebbe alla Tares per dare un gettito complessivo equivalente. Uguale la somma, diversa la distribuzione del carico fiscale tra le famiglie; e tutto fa pensare che in termini di equità, le cose andrebbero peggio: l’abolizione dell’Imu prima casa è stata un regalo a ricchi. Un meccanismo perverso Ma si è detto che la specifica proposta in esame non era affatto convincente sul piano tecnico. Essa adottava infatti il metodo dell’imposta crescente per classi, che a scuola viene illustrato come cattiva pratica da evitare. Forse esso veniva attenuato dal mantenimento di una piccola detrazione fissa (il punto non era chiaro) che in ogni caso non mutava la sostanza del meccanismo. Immaginiamo che l’Irpef fosse fatta così: fino a 100 non si paga nulla, oltre 100 si paga il 20 per cento su tutto il reddito. Chi ha 99 resta con 99; chi ha 101 cade a 80,8. Attorno al valore critico, insomma, si crea un’inversione dei redditi netti rispetto ai redditi lordi, un’inversione che si estende più o meno nella scala dei redditi a seconda del salto di aliquota. Va bene che il Vangelo dice che gli ultimi saranno i primi, ma il legislatore tributario deve rispettare la graduatoria che esce dal libero mercato. Progressività significa ridurre le distanze, non invertire la scala. La soluzione ovvia è adottare, come si fa con l’imposta personale in tutto il mondo, il metodo a scaglioni, per cui, nell’esempio in esame, chi ha 99 resta con 99 e chi ha 101 resta con 100,8. Il gettito è minore, sicché, per avere lo stesso gettito, con il metodo a scaglioni bisognerà aumentare le aliquote rispetto al metodo per classi; ma resta rispettato il buon senso che non ammette l’inversione. Va detto incidentalmente che il buon senso non viene sempre rispettato in campo pubblico. Uscito dal campo della tassazione, il sistema della classi continuò per molti anni a essere applicato nel campo dei benefici sociali; e c’è da temere che non sia del tutto scomparso. Esempio, se hai un euro in più della soglia, il canone sociale aumenta di 10 euro. Sono le regole che Tremonti giustamente definì “criminogene”. Perché naturalmente l’effetto sarà che l’inquilino nasconderà il maggior reddito, e lo farà con tranquilla coscienza di opporsi a un abuso, anzi a un abuso stupido. Una questione di buon senso e giustizia A questo punto dovrebbe essere chiaro che non sta bene applicare la proposta del sistema per classi all’Imu, per cui chi ha rendita catastale inferiore a 750 (o a qualsiasi altra soglia) non paga niente e chi è sopra paga su tutto il valore. Con l’aggravante che ivalori catastali sono notoriamente inattendibili, tanto è vero che da tempo il Governo promette di riformarli. Quindi, soluzione doppiamente sbagliata: perché contraria al buon senso e perché gravida di ingiustizie. La via giusta è anche qui il sistema a scaglioni: si prevede una deduzione fissa dall’imponibile che automaticamente esenta le case di basso pregio, mentre chi ha valori maggiori paga sull’eccesso di valore rispetto alla deduzione. I problemi di gettito si risolvono con trasparenza, definendo il livello della deduzione e l’aliquota, così rispettando la logica e diminuendo i problemi della giustizia fiscale: diminuendoli, non ndoli, perché per fare piena giustizia non ci sono scorciatoie rispetto alla revisione del catasto.

Risposto da Fabio Colasanti su 14 Ottobre 2013 a 10:27 Interessante. Qalcosa si muove. http://www.lastampa.it/2013/07/04/cultura/scuola/alla-cattolica-un-...

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Risposto da Fabio Colasanti su 14 Ottobre 2013 a 10:45 Un ottimo commento sull'ultima manovrina e su quello che bisognerebbe fare. http://www.lavoce.info/una-legge-di-stabilita-per-uscire-dalla-rece... Una legge di stabilità per uscire dalla recessione La Voce - 11.10.13 - Tito Boeri e Giuseppe Pisauro La “manovrina” vende patrimonio pubblico per ridurre il disavanzo, anziché per abbassare il debito. È un grave precedente, che la Ragioneria non dovrebbe certificare. Speriamo in una manovra ben diversa, che riduca in modo consistente il cuneo fiscale. IL DEBITO E LA CRESCITA Negli ultimi due anni, nonostante la pressione fiscale sia aumentata da 42,5 per cento nel 2011 a 44,3 per cento nel 2013 e la spesa pubblica primaria sia diminuita in termini nominali, il rapporto tra debito pubblico e Pil è aumentato di oltre 12 punti. Le entrate nel 2013 saranno inferiori di circa 30 miliardi alla previsione che il Governo Monti presentò al Parlamento all’atto del suo insediamento, prima quindi di intervenire con la manovra del dicembre 2011. La recessione, insomma, ha quasi interamente vanificato quella manovra e ci consegna addirittura un quadro peggiore di quello che allora sembrava pessimo al punto da indurre, come si ricorderà, il governo appena insediato a intervenire pesantemente. Ciò dimostra che i problemi dei nostri conti pubblici sono dovuti a lustri di bassa crescita seguiti da due pesanti recessioni. Se l’economia non cresce, per quanti sforzi si facciano dal lato delle spese e delle entrate, la sostenibilità della finanza pubblica -misurata sinteticamente dal rapporto debito/Pil- non migliora. L’esigenza più urgente è in questo momento sostenere la domanda di beni per portarci fuori dalla recessione, mentre si portano avanti quelle riforme strutturali che aumenteranno, nel giro di qualche anno, il tasso di crescita potenziale della nostra economia. Per intercettare la domanda che viene dall’estero, bisogna migliorare la competitività delle nostre imprese, abbassando il costo del lavoro per unità di prodotto, ancora nettamente più alto di quello di altri paesi dell’area euro, Spagna compresa. Per rivitalizzare la domanda interna bisogna migliorare le condizioni del mercato del lavoro. Una riduzione immediata e consistente della pressione fiscale sul lavoro permette di perseguire simultaneamente entrambe le strade. BASTA NAVIGARE A VISTA Le regole europee e il funzionamento dei mercati finanziari rendono molto stretti i marginidi intervento. La reazione sin qui del Governo è stata quella di vivere alla giornata. L’emblema di questa visione di brevissimo periodo è nella manovrina varata giovedì per dimostrare che stiamo facendo di tutto per centrare l’obiettivo di contenere il rapporto deficit/Pil sotto al 3 per cento. Oltre a nuovi tagli lineari sulla spesa si destinano vendite del patrimonio pubblico alla riduzione del disavanzo anzichè all’abbattimento del debito. Questa operazione, che la Ragioneria dovrebbe bloccare, crea un grave precedente. Bene che la legge di stabilità che il governo si avvia a varare lunedì prossimo sia ben diversa. Solo nell’ambito di un orizzonte pluriennale, almeno da qui al 2016, è infatti possibile ampliare i margini per condurre politiche di bilancio più espansive, convincendo l’Europa e i mercati della credibilità di un’operazione che deve cercare di attingere il più possibile a fondi europei e può anche prevedere un temporaneo aumento del disavanzo per stimolare la ripresa dell’economia e rendere così più sostenibile anche la finanza pubblica. In altre parole, non dovrebbe essere solo una manovra “lorda”: devono aumentare le risorse messe a disposizione dell’economia. In concreto si tratterebbe di far partire subito un pacchetto di stimolo fiscale, con la riduzione del cuneo e possibilmente anche investimenti pubblici (che restano la voce di bilancio con il moltiplicatore più alto) nella manutezione delle scuole. COME E DI QUANTO RIDURRE IL CUNEO In un paese in cui si continuano a ripetere gli stessi errori, bisogna fare tesoro delleesperienze con riduzioni del cuneo fiscale varate dai governi (sempre di centro-sinistra in passato). Il grafico qui sotto – tratto dalla relazione Banca d’Italia del 2009 – le richiama.

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Quella varata dal Governo Prodi con la Finanziaria del 2007 prevedeva uno sgravio sulla carta di 5 punti del cuneo fiscale, ma da realizzare in modo graduale nell’arco di tre anni. Il primo intervento fu di circa 2 miliardi e mezzo attuato, per quanto riguarda i lavoratori, mediante un incremento delle deduzioni Irpef e, per gli imprenditori, con unalleggerimento dell’Irap. Eppure gli imprenditori sembrano non essersi neanche accorti della misura di Prodi. I lavoratori, forse a maggior ragione, ancora meno. Forse perchè sono al contempo aumentate le addizionali locali dato che il provvedimento era stato finanziato anche con i soliti tagli lineari alla spesa locale e perchè il taglio era molto contenuto. Nella relazione Banca d’Italia del 2008, si legge che “l’entità della flessione, a seconda del comune di residenza, è compresa per la quasi totalità dei comuni tra 0,3 e 0,7 punti percentuali del costo del lavoro per un lavoratore senza carichi familiari”. Fatto sta che l’occupazione, ancora prima dell’inizio della recessione, dal 2007 ha cominciato a diminuire. E non ha smesso di farlo da allora. NON RIPETERE GLI ERRORI DEL PASSATO Oggi non bisogna ripetere gli errori. Il Governo sembra intenzionato a fare la stessa cosa di Prodi: manovra graduale, inizialmente di 2-3 miliardi, a crescere negli anni successivi e attuata tramite Irap e deduzioni Irpef. I tagli alla spesa pubblica locale sono già stati varati con la manovrina e sono lineari. Premessa di aumenti di tasse a livello locale. Invece la riduzione del cuneo fiscale dovrebbe essere consistente, ben visibile da lavoratori e imprese e non finanziata con altre tasse manovrate dal centro o a livello locale. Riteniamo che per essere incisivo il taglio deve valere almeno 15-16 miliardi. Può consistere in una riduzione generalizzata dei contributi sociali che potrebbe, ad esempio, portare i contributi previdenziali dal 32,7 al 30 per cento del salario. Altrimenti può concentrarsi sui salari più bassi, sotto forma di incentivi condizionati all’impiego che permettano di ottenere salari netti più alti, ad esempio, a chi esce dalla disoccupazione pur con lavori part-time e meno remunerativi di quelli che aveva in precedenza. Il vantaggio di operare sui salari bassi è che si avrebbero effetti più importanti sulla domanda interna, data la più alta propensione al consumo di chi ha redditi più bassi. Dal punto di vista tecnico, ciò si può ottenere in vari modi: riducendo di una somma fissa (dell’ordine di grandezza di 1000 euro su base annua) i contributi previdenziali di tutti i lavoratori, oppure introdurre un sussidio condizionato all’impiego (ad esempio tale da portare a 5 euro all’ora ogni lavoro pagato meno di quella cifra).

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Per gli investimenti pubblici è fondamentale concentrarsi su progetti di manutenzione di strutture come le scuole evitando di imbarcarsi in nuove opere dai tempi di realizzazione incerti. La priorità è, comunque, la riduzione del cuneo fiscale. COME FINANZIARLA La riduzione del cuneo fiscale dovrebbe decorrere dal primo gennaio 2014. Il pacchetto verrebbe inizialmente finanziato, almeno in parte, con i fondi europei e in disavanzo oltre che con riduzioni di spesa rese possibili dalla spending review, a crescere fino a garantire la completa copertura dei provvedimenti nel 2016. Per rendere la manovra credibile agli occhi dell’Europa e dei mercati, il Parlamento dovrebbe comunque approvare subito una serie di misure di taglio della spesa, alcune di efficacia immediata e altre che entreranno in vigore nel 2016 se la spending review non dovesse portare ai risultati sperati. Nel caso di interventi concentrati sui salari più bassi, la riduzione del cuneo potrebbe essere finanziata inizialmente tramite il Fondo sociale europeo, che richiede per intervenire sgravi fiscali concentrati sui gruppi più vulnerabili anzichè interventi generalizzati. Nel negoziato con Bruxelles si potrà fare riferimento al precedente della Spagna o della Repubblica Slovacca. Anche gli investimenti pubblici possono essere finanziati dai fondi europei. I tagli della spesa approvati per entrare in vigore nel 2016 dovrebbero essere necessariamente selettivi, dato che anni di tagli lineari ci dimostrano che questi sono spesso più virtuali che effettivi e colpiscono per definizione anche componenti della spesa pubblica (come la scuola e le infrastrutture) che richiederebbero in questo momento maggiori risorse. I tagli selettivi potrebbero incentrarsi sui trasferimenti alle imprese (tra 5 e 10 miliardi), la formazione professionale affidata alle regioni (7 miliardi), gli interventi sulle pensioni d’oro (1 miliardo) ed eventualmente spingersi a considerare una riduzione della copertura del Servizio sanitario nazionale (ad esempio, il medico di base) per chi haredditi elevati. Possibile anche ridurre le disparità territoriali nelle remunerazioni nel pubblico impiego, dove non si tiene minimamente conto delle grandi differenze presenti nel costo della vita, quindi nel potere d’acquisto dei salari, fra diversi mercati del lavoro locali.

Risposto da Fabio Colasanti su 15 Ottobre 2013 a 18:53 Ub altro ottimo pezzo di Tito Boeri che mostra i rischi che stiamo correndo. Banca d’Italia e il mistero delle quote La Voce - 15.10.13 - Tito Boeri http://www.lavoce.info/banca-ditalia-e-il-mistero-delle-quote/ Banca d’Italia ha deciso di affrontare il nodo irrisolto delle quote delle banche nell’istituto di via Nazionale. Ma non è il momento propizio: il rischio è che si crei un’alleanza tra istituti bancari privati e governo per arrivare a una rivalutazione insensata. La storia delle quote A giorni la commissione di esperti incaricati di valutare il patrimonio di Banca d’Italiaconsegnerà il suo rapporto al governatore Ignazio Visco. Ma i principali protagonisti della cosiddetta Cabina di Regia hanno già fatto i loro calcoli e contano su questa operazione per finanziare nuove spese o riduzioni di tasse senza coperture. Vediamo prima di cosa si tratta e poi perché è un’operazione molto pericolosa, in cui le banche che detengono quote di Banca d’Italia e il Governo possono colludere ai danni dei contribuenti. Le banche italiane che un tempo facevano parte del settore pubblico allargato detengono ancora il 94,33 per cento del capitale di Banca d’Italia. Solo il 5 per cento è proprietà di enti pubblici come Inps e Inail. È un retaggio del passato, che risale all’epoca delle banche d’interesse nazionale. Per quanto non abbiano mai consentito a queste banche, poi divenute private, la benché minima possibilità di incidere sugli indirizzi di vigilanza, né su qualsiasi altro aspetto dell’attività della Banca d’Italia, sarebbe opportuno, prima o poi, trasferire le quote ad enti pubblici oppure a una fondazione creata ad hoc, come in Francia. Del resto è lo stesso statuto di via Nazionale a contemplare che la Banca debba essere di proprietà pubblica. Ed è difficilmente immaginabile una banca nazionaleposseduta da soggetti privati stranieri, quali sono già alcuni istituti bancari che detengono le quote e, presumibilmente, altri ancora lo saranno alla

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luce dei processi di aggregazione in atto a livello continentale dopo la crisi. Ma a che prezzo si può organizzare il trasferimento? Quanto vale la Banca d'Italia? A metà settembre è stata insediata una commissione di esperti con il compito di valutare il patrimonio di Banca d’Italia. Il problema è che non è chiaro come si possa valutare una banca centrale, il cui valore è solo nozionale. Al tempo stesso, gli interessi coinvolti nella rivalutazione sono molto forti e spingono nella direzione di far pagare un conto assai salato ai futuri contribuenti per soddisfare interessi di breve periodo. Prima di analizzare gli interessi in campo, bene vedere quali siano i parametri oggettivicui è possibile ancorare una qualche valutazione di via Nazionale. Il capitale nominale della Banca d’Italia è fissato al livello simbolico di 156mila euro, suddiviso in 300mila quote del valore di 0,52 euro ciascuna. Le banche, tuttavia, hanno iscritto nei loro bilanci valori molto superiori oltre che molto difformi tra di loro: la valutazione di una singola quota varia da 41,3 euro per Banca Carige, a 5.380 per Banca Intesa (che è il principale azionista detenendo il 26,8 per cento del capitale) a 13.781 euro per Bnl. Moltiplicando questi valori difformi per il numero di quote possedute da ogni banca si giunge a valutare il patrimonio di Banca d’Italia in circa un miliardo. Una valutazione non dissimile la si ottiene a partire dai rendimenti che le banche ottengono dalle partecipazioni. Il dividendo che la Banca paga ogni anno ai detentori delle quote non può, per statuto, eccedere il 4 per cento delle riserve dell’anno precedente. In pratica i dividendi vengono fissati come percentuale del capitale. Negli ultimi quindici anni sono stati distribuiti in media circa 156 euro a quota (l’1 per mille del capitale nominale) per un totale di circa 46,5 milioni all’anno. Si tratta, inutile sottolinearlo, solo di una parte dell’utile netto di via Nazionale, che viene in gran parte destinato all’incremento delle riserve. In ogni caso, il dividendo rappresenta la redditività attuale dell’asset per i detentori delle quote di partecipazione. Il valore economico delle quote, come in un titolo che dà una rendita annua perpetua di 156 euro è di poco più di 3mila euro, ipotizzando un tasso di interesse, del 5 per cento. Ciò significa che il valore complessivo delle 300mila quote è di poco superiore ai 980 milioni. Insomma, siamo sempre vicini a un miliardo di euro. Con un tasso di interesse più basso, poniamo al 3 per cento in virtù del basso grado di rischio legato a questa partecipazione, si potrebbe arrivare fino a un miliardo e mezzo, non di più. C’è chi sostiene che le quote di Banca d’Italia dovrebbero anche tenere conto del signoraggio, i redditi derivanti dall’emissione di moneta, ma non ha alcun senso che questi redditi da monopolio vengano trasferiti ad enti privati. L’associazione a delinquere Sono in molti al Governo a contare sui risultati di questa rivalutazione per trovare nuovecoperture fantasiose ai tagli dell’Imu o alla cancellazione dell’aumento dell’Iva. Se le banche realizzassero una plusvalenza in conto capitale con questa rivalutazione, le tasse su questi capital gain fornirebbero, infatti, entrate aggiuntive allo Stato. Secondo Renato Brunetta, si veda l’intervista al Sole-24Ore, “non ci vuole grande fantasia per stabilire quanto vale Banca d’Italia. Tutti i numeri sono, infatti, iscritti a bilancio”. In una precedenteintervista al Corriere della Sera aveva parlato di 4-5 miliardi che verrebbero recuperati tassando i capital gain delle banche. Con una tassazione dei capital gain al 20 per cento e partecipazioni oggi iscritte al bilancio delle banche per circa un miliardo, si possono ottenere 4-5 miliardi solo valutando il patrimonio della Banca tra i 21 e i 26 miliardi. Una rivalutazione così cospicua e priva di qualsiasi base oggettiva farebbe ovviamente contente le banche, che vedrebbero rafforzarsi notevolmente la loro posizione patrimoniale, senza colpo ferire. Certo non riceverebbero capitale liquido, ma potrebbero avvicinarsi a soddisfare i requisiti di capitale imposti nell’ambito di Basilea 2 e richiesti dalle nuove autorità di supervisione europee. E, come si è detto, farebbe contento anche ilTesoro, che riceverebbe 4-5 miliardi da chi, per una volta, non protesta affatto pagando delle tasse. Si è così creata una specie di associazione a delinquere che rischia di far passare in secondo piano anche il lavoro del gruppo di esperti. Il problema è che questa rivalutazione collusiva lascia un’eredità pesantissima sui contribuenti futuri, perché dovranno d’ora in poi pagare per il tramite di Banca d’Italia dividendi più alti agli istituti di credito privati. Mantenendo l’attuale riparto a un millesimo delle quote, i dividendi distribuiti salirebbero a circa un miliardo all’anno rispetto ai 45 milioni attuali. Inoltre, prima o poi, la banca centrale, quindi tutti noi, dovranno ricomprarsi le quote a prezzi che sono stati artatamente gonfiati per esigenze di breve periodo. Le generazioni future, che hanno già sulle spalle il fardello di un debito pubblico al 130 per cento del Pil, non meritano davvero di ritrovarsi anche un ulteriore punto di pil da pagare in eredità. Banca d’Italia, per quanto sia molto ben rappresentata nel Governo Letta, non sembra essere molto influente, almeno a giudicare dai tanti provvedimenti da esecutivo balneare sin qui adottati dall’esecutivo, dalle accise sulla benzina, alle tasse sui giochi e le sigarette, alle coperture fantasiose trovate per la prima rata dell’Imu e, in cauda venenum, alla decisione di destinare, con la manovrina appena varata, le entrate dalla vendita di immobili pubblici alla riduzione del deficit (anziché all’abbattimento del debito). Via Nazionale perciò farebbe bene a rimandare i suoi piani: non c’è fretta per fare la rivalutazione: il momento non ci sembra affatto propizio.

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Risposto da Fabio Colasanti su 16 Ottobre 2013 a 13:01 Il dettaglio della legge di stabilità (che adesso deve essere vagliata dalla Commissione europea). http://www.ilsole24ore.com/articlegallery/notizie/2013/cuneo-fiscal...

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 16 Ottobre 2013 a 18:59 Troppo poco e non concentrato su poche cose. Intanto , visto che il periodo considerato è triennale bisognava fare un intervento complessivo di ca 30 miliardi. Per quanto riguarda il cuneo fiscale trovo inutile le detrazioni IRPEF sui redditi bassi . Andava concentrato tutto sullo sgravio dei contributi a carico delle imprese e sullo sgravio dell'IRAP specie per il passaggio da lavoro a tempo determinato a lavoro a tempo indeterminato. Bene invece l'aumento del Fondo di garanzia per le PMI.. Non si può limitare l'ipotesi di dismissione del patrimonio immobiliare a 1,5 miliardi in tre anni e utilizzarla per finanziare le manovre. Va affrontata la questione con un obiettivo di almeno cento miliardi in tre/quattro anni per la riduzione dello stock del debito pubblico. Anche il contributo di solidarietà sulle pensioni elevate è chiaramente incostituzionale. Come abbiamo espresso nel nostro documento va aumentata la pressione fiscale su tutti i redditi superiori a 75.000 euro e con un aumento del 5% dell'aliquota possiamo ottenere intorno ai 10 miliardi annui. Non vedo inoltre traccia nè accenno alle riforme strutturali ! Fabio Colasanti ha detto: Il dettaglio della legge di stabilità (che adesso deve essere vagliata dalla Commissione europea). http://www.ilsole24ore.com/articlegallery/notizie/2013/cuneo-fiscal...

Risposto da Fabio Colasanti su 16 Ottobre 2013 a 19:37 Giuseppe, ancora non ho avuto il tempo di esaminare la legge nel dettaglio, ma la prima impressione conferma pienamente la tua analisi. La Commissione europea dovrà far notare che è contabilmente sbagliato prendere in conto le dismissioni come entrate che riducono il disavanzo ! Giuseppe Ardizzone ha detto: Troppo poco e non concentrato su poche cose. Intanto , visto che il periodo considerato è triennale bisognava fare un intervento complessivo di ca 30 miliardi. Per quanto riguarda il cuneo fiscale trovo inutile le detrazioni IRPEF sui redditi bassi . Andava concentrato tutto sullo sgravio dei contributi a carico delle imprese e sullo sgravio dell'IRAP specie per il passaggio da lavoro a tempo determinato a lavoro a tempo indeterminato. Bene invece l'aumento del Fondo di garanzia per le PMI.. Non si può limitare l'ipotesi di dismissione del patrimonio immobiliare a 1,5 miliardi in tre anni e utilizzarla per finanziare le manovre. Va affrontata la questione con un obiettivo di almeno cento miliardi in tre/quattro anni per la riduzione dello stock del debito pubblico. Anche il contributo di solidarietà sulle pensioni elevate è chiaramente incostituzionale. Come abbiamo espresso nel nostro documento va aumentata la pressione fiscale su tutti i redditi superiori a 75.000 euro e con un aumento del 5% dell'aliquota possiamo ottenere intorno ai 10 miliardi annui. Non vedo inoltre traccia nè accenno alle riforme strutturali ! Fabio Colasanti ha detto: Il dettaglio della legge di stabilità (che adesso deve essere vagliata dalla Commissione europea).

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http://www.ilsole24ore.com/articlegallery/notizie/2013/cuneo-fiscal...

Risposto da Giampaolo Carboniero su 17 Ottobre 2013 a 15:08 Una più convinta adesione a queste politiche raggiungerebbe vari risultati, soprattutto diffusi, se anche le banche fossero spinte a sottoscriverla. http://qualenergia.it/articoli/20131016-la-iea-e%20efficienza-energ...

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 17 Ottobre 2013 a 20:05 Altro che 1,5 miliardi di dismissioni del patrimonio pubblico destinato alla manovra. E' lo stock del debito che deve scendere Leggete l'articolo http://www.lavoce.info/come-utilizzare-la-stabilita-politica/ Fabio Colasanti ha detto: Giuseppe, ancora non ho avuto il tempo di esaminare la legge nel dettaglio, ma la prima impressione conferma pienamente la tua analisi. La Commissione europea dovrà far notare che è contabilmente sbagliato prendere in conto le dismissioni come entrate che riducono il disavanzo ! Giuseppe Ardizzone ha detto: Troppo poco e non concentrato su poche cose. Intanto , visto che il periodo considerato è triennale bisognava fare un intervento complessivo di ca 30 miliardi. Per quanto riguarda il cuneo fiscale trovo inutile le detrazioni IRPEF sui redditi bassi . Andava concentrato tutto sullo sgravio dei contributi a carico delle imprese e sullo sgravio dell'IRAP specie per il passaggio da lavoro a tempo determinato a lavoro a tempo indeterminato. Bene invece l'aumento del Fondo di garanzia per le PMI.. Non si può limitare l'ipotesi di dismissione del patrimonio immobiliare a 1,5 miliardi in tre anni e utilizzarla per finanziare le manovre. Va affrontata la questione con un obiettivo di almeno cento miliardi in tre/quattro anni per la riduzione dello stock del debito pubblico. Anche il contributo di solidarietà sulle pensioni elevate è chiaramente incostituzionale. Come abbiamo espresso nel nostro documento va aumentata la pressione fiscale su tutti i redditi superiori a 75.000 euro e con un aumento del 5% dell'aliquota possiamo ottenere intorno ai 10 miliardi annui. Non vedo inoltre traccia nè accenno alle riforme strutturali ! Fabio Colasanti ha detto: Il dettaglio della legge di stabilità (che adesso deve essere vagliata dalla Commissione europea). http://www.ilsole24ore.com/articlegallery/notizie/2013/cuneo-fiscal...

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 17 Ottobre 2013 a 20:10 Qualcosa è stata fatta anche in Italia ma non conosco i numeri ed i risultati? Hai qualche notizia in merito? Di certo quando si parla di riforme strutturali per la crescita , uno dei punti centrali è la questione energia quindi anche l'efficienza energetica. Giampaolo Carboniero ha detto: Una più convinta adesione a queste politiche raggiungerebbe vari risultati, soprattutto diffusi, se anche le banche fossero spinte a sottoscriverla.

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http://qualenergia.it/articoli/20131016-la-iea-e%20efficienza-energ...

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 17 Ottobre 2013 a 20:28 Vi sottopongo inoltre la proposta di Scelta Civica al governo Letta per un trattato di coalizione dei partiti di maggiioranza sulla falsa riga del modo di procedere attuato dai partiti nella grande coalizione tedesca. http://www.pietroichino.it/?p=28397

Risposto da giorgio varaldo su 17 Ottobre 2013 a 22:32 l'efficienza energetica ha ampi spazi di miglioramento essenzialmente nell'edilizia e nel recupero energetico ma presenta limiti invalicabili nel campo produttivo. come si ricerca la migliore efficienza energetica? occorre considerare i singoli casi ed i campi di intervento possono essere in linea di massima orientati ad un migliore isolamento energetico mentre è più difficile riuscire ad ottenere risultati apprezzabili operando in campo tecnico (esempio aumentando la tensione di utilizzo della corrente elettrica) un frigorifero potrà ridurre il proprio fabbisogno energetico in funzione dell'isolamento così come una abitazione costruita secondo i criteri della classe AAA ma non i motori elettrici di una macchina utensile o l'energia necessaria per la fusione di acciaio o alluminio. ed in ogni caso non è che l'isolamento sia a costo zero e specialmente in campo industriale occorre sempre valutare attentamente il punto di equlibrio fra maggiori costi iniziali dovuti all'isolamento e minori costi energetici durante la vita dell'apparato preso in considerazione. ma osservando i grafici della pubblicazione c'è da rimanere per lo meno perplessi. pensare che in campi come la generazione di energia si possa guadagnare l'80% mi pare una cifra fuori da ogni realtà. non è che l'autore abbia fatto un pochino di confusione fra rendimento e guadagno energetico...un motore a ciclo otto funzionante secondo il ciclo di carnot ha un rendimento del 30%...ma nessuno di chi ha un minimo di competenza in materia si sognerebbe di recuperare il restante 70%!!! Giampaolo Carboniero ha detto: Una più convinta adesione a queste politiche raggiungerebbe vari risultati, soprattutto diffusi, se anche le banche fossero spinte a sottoscriverla. http://qualenergia.it/articoli/20131016-la-iea-e%20efficienza-energ...

Risposto da Giampaolo Carboniero su 18 Ottobre 2013 a 1:16 Dovresti scrivere alla IEA.

Risposto da giorgio varaldo su 18 Ottobre 2013 a 8:16 qualunque studente di ingegneria meccanica conosce il ciclo di carnot e qualunque studente sa che le condizioni di adiabaticità sono puramente teoriche. per sfruttare completamente il potenziale energetico occorrerebbe operare in condizioni adiabatiche.

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che si possa migliorare l'efficienza è un conto che questa efficienza possa recuperare l'80% non lo dice la IEA bensì è una interpretazione dell'articolista di qualenergia. dice un proverbio friulano A L’ E’ INUTIL INSEGNA’ AL MUS, SI PIART TIMP E IN PLUI SI INFASTIDIS LA BESTIE! ergo non sto a perder tempo scrivendo a qualenergia. Giampaolo Carboniero ha detto: Dovresti scrivere alla IEA.

Risposto da Fabio Colasanti su 18 Ottobre 2013 a 16:24 Legge di stabilità: è omissione di soccorso 16.10.13 - La Voce È una legge per la stabilità del solo Governo. Una cura omeopatica per un malato grave, l’economia italiana. Ci sarebbero gli estremi di una denuncia per omissione di soccorso. Il taglio alla pressione fiscale sul lavoro è minimo. Meno di 10 euro al mese sia per il dipendente che per il datore di lavoro. Certo si promette di intervenire ancora nei prossimi anni. Ma è una promessa fatta già tante volte e mai mantenuta. Data la natura irrisoria delle riduzioni delle tasse, si decide di renderle invisibili, soprattutto per i datori di lavoro. Invece di abbassare in modo sostanziale i contributi sociali, si interviene sull’Irape solo per i nuovi assunti. Si dice che non ci sono nuove tasse, ma c’è l’aumento del bollo sulle attività finanziarie che vale un miliardo,l’abolizione di una serie imprecisata di agevolazioni fiscali che vale mezzo miliardo e altre misure una tantum (la rivalutazione dei cespiti e il rientro dei capitali dall’estero) che aumentano le entrate. Al di là della loro natura una tantum, la rivalutazione dei cespiti aumenta la trasparenza dei bilanci anche perché verrà utilizzata per finanziare un’accelerazione della deducibilità delle perdite sui crediti delle banche. Aspettiamo più dettagli sul rientro dei capitali sperando che non sia l’ennesimo condono. I tagli alle spese sono in gran parte virtuali: i soliti tagli ai Ministeri per 2,5 miliardi e agli enti locali per un miliardo. Forse è questo il contenuto “espansivo” della manovra: sono tagli solo sulla carta. Si mettono a bilancio cose che non si materializzeranno. Ma l’opacità dei conti è un’arma a doppio taglio. Sulle dismissioni di immobili, le regole europee vietano di usarne i proventi a copertura del disavanzo anziché a riduzione del debito. È la stessa copertura che era stata usata nella manovrina e che eravamo stati gli unici a denunciare. È come se una famiglia indebitata vendesse la casa di proprietà per finanziare le sue spese correnti, all’insaputa dei figli. Se davvero con i 3 miliardi netti di questa manovra si arriva al 2,5 di disavanzo, non si vede perchè non sia stato usato anche l’altro, mezzo punto percentuale, attorno ad 8 miliardi, per abbassare le tasse. Il malato è grave. Forse qualcuno non se ne è accorto. http://www.lavoce.info/legge-di-stabilita-letta-2014-governo/

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 18 Ottobre 2013 a 19:01 Mi sembra che anche l'ultimo articoo postato da Fabio confermi l'insipienza di questo governo . Insipienza che non può essere addebitata agli uomini che lo compongonoma probabilmente alla situazione di stallo che si viene a creare fra le diverse forze anatgoniste che lo compongono . Il tentativo di fare un trattato di coalizione con delle indicazioni precise sul da farsi elaborato da Scelta Civica con l'apporto forte del Sen Ichino non era una stupidaggine e la fine che ha fatto con le conseguenti dimissioni di Monti che ha visto il suo stesso gruppo scindersi e prendere posizioni a lui contastatnti è emblematico, Che la manovra sia insoddisfacente lo testimonia inoltre anche la distanza e le possibili dimissioni di Fassina.Su quale maggioranza reale conta dunque questo governo? MI sembra che questa maggioranza vada dalle colombe del centro destra (PDL) a quelle staccatesi da scelta civica fino all'appoggio di un PD estremamente confuso ed in preda al mal di pancia.Un pezzo di scelta civica , forse la parte più interessata al cambiamento sembra aver prs le distanze. Casini , Mauroie compagni flirtano ormai in maniera chiara con le colombe del centro destra e Berlusconi non ha intenzione di creare problemi purchè nonne creino a lui. Cosa accade nel mentre nel PD?

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La grande novità è che Renzi è ormai il candidato anche di D'alema e di molti altri ex bersaniani. Il nuovo ed il cambiamento hanno pertantoi una base molto solida e penso che vinceranno a mani basse. Che conseguebnze per il programma e per l'organizzazione del paritito? MI preoccupano tre cose 1) che garanzia abbiamo che la leadership non rimanga di tipo verticistico? Come Circolo dobbiamo contianuare a spingere sui nostri temi e appoggiare F. Barca per quanto riguarda la partecipazione di base. 2) il programma su cui si muove Renzi ed ispirato da Gutgeld prsenta due punti critici che sono presenti anche nella manovra di questo Governo e che trovo conbtroproducentio e sbagliati. a) l'utlizzo del patrimopnio pubblico in maniera ridotta e per finanziare uno stimolo alla domanda b) la penalizzazione del setore pensionistico contributivo ( incoastituzionale ) e la rinuncia ad una vera riforma fiscale con aliquote progressive sui redditi più alti. Non va bene e queste posizioni sono la cartina di tonasole di come i programmi siano elaborati da espeti esiano proivi di una verifica all'interno del partito. Il fatto positivo è che comunque renzi appare come cambiamento ed appare credibile di farcela . Potrà inotre avere dei buoni rapporti con la parte di scelta civica più vicina a Monti , Ichino , le ACLI e la Cominità di S. Egidio che potrebbero guardarea sinistra. Si potrebbe erealizzare pwertanto un blocco progressista in grado di vincere le prossime elezioni con buona pace digrillo , Berlusconi e lanuova dstra moderata di Alfano , Mauro e Casini

Risposto da giorgio varaldo su 18 Ottobre 2013 a 19:21 mi trovo in disaccordo con giuseppe riguardo alle pensioni. il sistema retributivo non può reggere senza prelievo dalla fiscalità generale tant'è vero che non viene utilizzato in nessun altro paese del mondo in modo così massiccio. la costituzione non può essere in disaccordo con le leggi naturali e se queste sono in disaccordo con la costituzione occorre re la costituzione e non le leggi naturali specialmente se poi i magistrati della corte costituzionale agiscono in evidente conflitto di interessi. ed una legge naturale è che il danaro non si crea dal nulla. riguardo al principio di usare parte del patrimonio pubblico per rilanciare la domanda sarà opportuno dare un giudizio in termini di convenienza economica.

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 18 Ottobre 2013 a 19:37 Non si può richiedere un contributo di solidarietà oltre un certo reddiito solo alla categoria dei pensionati . Perchè mai tutti gli altri redditi elevati dovrebbero essere esenti? E' questa l'incostituzionalità: creare un' imposizione fiscale non generale. Non c'è nessuna Costituzione da Cambiare c'è da estendere a tutti i redditi elevati una maggiore imposizione per finanziare l'abbattimento serio ( 10 miliardi l'anno) del cuneo fiscale . Aggiungo che il vantaggio non deve andare in busta paga del lavoratore ma tutto a riduzione del costo del lavoro aziendale. Perchè tutte queste resistenze contro una rdistribuzione del carico fiscale a favore delle'impresa e del lavoro? Perchè una limata ai redditi elevati ( +5% d'imposizione fiscale) non viene richiesta nè portata avanti da nessuno? La sinistra parla di patrimoniale ma non di redditi . Perchè? giorgio varaldo ha detto: mi trovo in disaccordo con giuseppe riguardo alle pensioni. il sistema retributivo non può reggere senza prelievo dalla fiscalità generale tant'è vero che non viene utilizzato in nessun altro paese del mondo in modo così massiccio. la costituzione non può essere in disaccordo con le leggi naturali e se queste sono in disaccordo con la costituzione occorre re la costituzione e non le leggi naturali specialmente se poi i magistrati della corte costituzionale agiscono in evidente conflitto di interessi. ed una legge naturale è che il danaro non si crea dal nulla.

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riguardo al principio di usare parte del patrimonio pubblico per rilanciare la domanda sarà opportuno dare un giudizio in termini di convenienza economica.

Risposto da giorgio varaldo su 18 Ottobre 2013 a 20:06 semplicemente perché codesti signori NON hanno diritto a percepire una rendita superiore a quella corrispondente ai contributi versati. occorre distinguere fra la pensione contributiva (calcolata sui contributi quindi sul danaro realmente versato) e quella retributiva (semplificando calcolata in base all'ultimo stipendio) sarebbe incostituzionale se venisse tagliata parte della pensione corrispondente a quanto è stato realmente versato. Giuseppe Ardizzone ha detto: Non si può richiedere un contributo di solidarietà oltre un certo reddiito solo alla categoria dei pensionati . Perchè mai tutti gli altri redditi elevati dovrebbero essere esenti? E' questa l'incostituzionalità: creare un' imposizione fiscale non generale. Non c'è nessuna Costituzione da Cambiare c'è da estendere a tutti i redditi elevati una maggiore imposizione per finanziare l'abbattimento serio ( 10 miliardi l'anno) del cuneo fiscale . Aggiungo che il vantaggio non deve andare in busta paga del lavoratore ma tutto a riduzione del costo del lavoro aziendale. Perchè tutte queste resistenze contro una rdistribuzione del carico fiscale a favore delle'impresa e del lavoro? Perchè una limata ai redditi elevati ( +5% d'imposizione fiscale) non viene richiesta nè portata avanti da nessuno? La sinistra parla di patrimoniale ma non di redditi . Perchè? giorgio varaldo ha detto: mi trovo in disaccordo con giuseppe riguardo alle pensioni. il sistema retributivo non può reggere senza prelievo dalla fiscalità generale tant'è vero che non viene utilizzato in nessun altro paese del mondo in modo così massiccio. la costituzione non può essere in disaccordo con le leggi naturali e se queste sono in disaccordo con la costituzione occorre re la costituzione e non le leggi naturali specialmente se poi i magistrati della corte costituzionale agiscono in evidente conflitto di interessi. ed una legge naturale è che il danaro non si crea dal nulla. riguardo al principio di usare parte del patrimonio pubblico per rilanciare la domanda sarà opportuno dare un giudizio in termini di convenienza economica.

Risposto da giorgio varaldo su 18 Ottobre 2013 a 20:16 o laura da chi disquisisce di qualsiasi argomento sarebbe buona cosa pretendere almeno la conoscenza della materia. vabbè che ad un dibattito sulla centrale a carbone di vado ligure una delle relatrici sosteneva che non era necessario il petrolio per sostituire il carbone bastava il gasolio.... laura sgaravatto ha detto: @ Giorgio V....qualunque studente...mmmhhh se ha studiato...ci sono anche i non studenti e non ingegneri... le leggi della termodinamica le insegnano alle medie :))))))))))))))))

Risposto da giorgio varaldo su 18 Ottobre 2013 a 21:20 la sinistra parla di patrimoniale a sproposito non tanto perchè è un principio errato - tuttaltro - bensì perchè verrebbe applicato in modo assurdo.

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essendo il patrimonio essenzialmente immobiliare sino a che avremo il catasto attuale senza considerare poi le centinaia di migliaia di case sconosciute al catasto l'impiegato dell'acciaieria di piombino residente a salivoli pagherebbe molto più di quanto dovrebbe pagare il ministro saccomanni per il suo attico ai parioli. riparliamone quado avremo un catasto decente. Giuseppe Ardizzone ha detto: Perchè tutte queste resistenze contro una rdistribuzione del carico fiscale a favore delle'impresa e del lavoro? Perchè una limata ai redditi elevati ( +5% d'imposizione fiscale) non viene richiesta nè portata avanti da nessuno? La sinistra parla di patrimoniale ma non di redditi . Perchè? giorgio varaldo ha detto: mi trovo in disaccordo con giuseppe riguardo alle pensioni. il sistema retributivo non può reggere senza prelievo dalla fiscalità generale tant'è vero che non viene utilizzato in nessun altro paese del mondo in modo così massiccio. la costituzione non può essere in disaccordo con le leggi naturali e se queste sono in disaccordo con la costituzione occorre re la costituzione e non le leggi naturali specialmente se poi i magistrati della corte costituzionale agiscono in evidente conflitto di interessi. ed una legge naturale è che il danaro non si crea dal nulla. riguardo al principio di usare parte del patrimonio pubblico per rilanciare la domanda sarà opportuno dare un giudizio in termini di convenienza economica.

Risposto da Fabio Colasanti su 18 Ottobre 2013 a 22:40 Articolo giusto. Grazie Laura. laura sgaravatto ha detto: Il gioco delle tre gabellette Friday, 18 October, 2013 in Adotta Un Neurone, Economia & Mercato, Italia Da tempo l’Abi, l’associazione dei banchieri, invoca un provvedimento che permetta di porre le banche italiane sullo stesso piano di quelle europee, che detraggono integralmente le perdite su crediti nello stesso esercizio d’imposta in cui tali perdite vengono riconosciute. In teoria, ciò consente alle banche di ripulire i propri bilanci e di non giocare all’extend & pretend, continuando a considerare in bonis prestiti che sono invece irrimediabilmente persi. Il governo italiano si è cimentato nell’esercizio, ed apparentemente avrebbe dato una manina alle banche. E invece pare che questa manina sia un dito, forse addirittura quello medio. Almeno così segnala Angelo Baglioni su lavoce.info. La legislazione fiscale italiana prevede che le perdite su crediti che eccedono in un esercizio lo 0,30% del totale dei crediti in essere siano fiscalmente recuperabili, in quote costanti in 18 (diciotto) esercizi d’imposta, un’era geologica inventata dalla premiata ditta Silvio & Giulio nel 2008, sempre per fare cassa ma senza darlo troppo a vedere, “pevché le banche sono vicche“. In questa congiuntura, una norma del genere è un incentivo a trasformare le banche in zombie, e indurle a fingere che i loro prestiti siano performing, come direbbero gli anglosassoni. Per venire incontro alle richieste dei banchieri, il governo ha ridotto questo termine a cinque anni. Che è meglio che un calcio nelle gengive, dopo tutto. Tuttavia… «Tuttavia, il Governo Letta non ha rinunciato alla tentazione di cogliere anche questa occasione per fare cassa nell’immediato. Infatti il comunicato governativo (“Legge di stabilità 2014: linee guida”, 15 ottobre) stima maggiori entrate dal provvedimento per oltre due miliardi nel 2014. Come si spiega che una maggiore deducibilità consenta maggiori entrate? In realtà, sembra che il Governo abbia usato il bastone oltre alla carota. Finora infatti le perdite accertate tramite una procedura concorsuale (fallimento, per intenderci) sono deducibili integralmente subito, così come quelle rientranti nel plafond pari allo 0,3% del totale degli impieghi. D’ora in avanti, invece, anch’esse diventerebbero deducibili in cinque anni. Quindi le perdite accertate nel 2013 sono deducibili subito solo per il 20 per cento, anziché interamente. Se questo aspetto della manovra venisse confermato nella versione definitiva approvata dal Parlamento, conterrebbe una evidente contraddizione: se da un lato va nella giusta direzione di allineare il trattamento delle perdite su crediti allo standard internazionale, dall’altro segue la direzione opposta, introducendo un penalizzazione ingiustificata per le banche italiane» Perché nascono simili norme, che sembrano partorite da una mente malata? Semplicemente perché non c’è un soldo bucato, e si continua a fare le nozze con i fichi secchi e tanta, tanta propaganda come condimento.

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P.S. Sì, lo sappiamo: morte alle banche che affamano il popolo, eccetera eccetera. Magari non morte ma piume e catrame per alcuni banchieri-faccendieri, quello ci starebbe pure. Ma resta la scomoda verità che, senza la stabilizzazione della nostra economia e la ripulitura del bilancio delle nostre banche (assai costosa per il contribuente, comunque la si giri), continueremo a menare una assai grama esistenza.

Risposto da Giampaolo Carboniero su 19 Ottobre 2013 a 0:11 Allegata all'articolo c'era la relazione originale; non c'è peggior sordo di chi non vuole sentire, evidentemente la "Verità" è in mano a chi decidi tu, grazie. giorgio varaldo ha detto: qualunque studente di ingegneria meccanica conosce il ciclo di carnot e qualunque studente sa che le condizioni di adiabaticità sono puramente teoriche. per sfruttare completamente il potenziale energetico occorrerebbe operare in condizioni adiabatiche. che si possa migliorare l'efficienza è un conto che questa efficienza possa recuperare l'80% non lo dice la IEA bensì è una interpretazione dell'articolista di qualenergia. dice un proverbio friulano A L’ E’ INUTIL INSEGNA’ AL MUS, SI PIART TIMP E IN PLUI SI INFASTIDIS LA BESTIE! ergo non sto a perder tempo scrivendo a qualenergia. Giampaolo Carboniero ha detto: Dovresti scrivere alla IEA.

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 19 Ottobre 2013 a 19:14 In queste righe ho cercato di portare avanti una ipotesi sull'evoluzione dello schieramento politico Che ne pensate? Giuseppe Ardizzone ha detto: Mi sembra che anche l'ultimo articoo postato da Fabio confermi l'insipienza di questo governo . Insipienza che non può essere addebitata agli uomini che lo compongonoma probabilmente alla situazione di stallo che si viene a creare fra le diverse forze anatgoniste che lo compongono . Il tentativo di fare un trattato di coalizione con delle indicazioni precise sul da farsi elaborato da Scelta Civica con l'apporto forte del Sen Ichino non era una stupidaggine e la fine che ha fatto con le conseguenti dimissioni di Monti che ha visto il suo stesso gruppo scindersi e prendere posizioni a lui contastatnti è emblematico, Che la manovra sia insoddisfacente lo testimonia inoltre anche la distanza e le possibili dimissioni di Fassina.Su quale maggioranza reale conta dunque questo governo? MI sembra che questa maggioranza vada dalle colombe del centro destra (PDL) a quelle staccatesi da scelta civica fino all'appoggio di un PD estremamente confuso ed in preda al mal di pancia.Un pezzo di scelta civica , forse la parte più interessata al cambiamento sembra aver prs le distanze. Casini , Mauroie compagni flirtano ormai in maniera chiara con le colombe del centro destra e Berlusconi non ha intenzione di creare problemi purchè nonne creino a lui. Cosa accade nel mentre nel PD? La grande novità è che Renzi è ormai il candidato anche di D'alema e di molti altri ex bersaniani. Il nuovo ed il cambiamento hanno pertantoi una base molto solida e penso che vinceranno a mani basse. Che conseguebnze per il programma e per l'organizzazione del paritito? MI preoccupano tre cose 1) che garanzia abbiamo che la leadership non rimanga di tipo verticistico? Come Circolo dobbiamo contianuare a spingere sui nostri temi e appoggiare F. Barca per quanto riguarda la partecipazione di base. 2) il programma su cui si muove Renzi ed ispirato da Gutgeld prsenta due punti critici che sono presenti anche nella manovra di questo Governo e che trovo conbtroproducentio e sbagliati. a) l'utlizzo del patrimopnio pubblico in maniera ridotta e per finanziare uno stimolo alla domanda b) la penalizzazione del setore pensionistico contributivo ( incoastituzionale ) e la rinuncia ad una vera riforma fiscale con aliquote progressive sui redditi più alti. Non va bene e queste posizioni sono la cartina di tonasole di come i programmi siano elaborati da espeti esiano proivi di una verifica all'interno del partito. Il fatto positivo è che comunque renzi appare come cambiamento ed appare credibile di farcela . Potrà inotre avere dei buoni rapporti con la parte di scelta civica più vicina a Monti , Ichino , le ACLI e la Cominità di S. Egidio che potrebbero

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guardarea sinistra. Si potrebbe erealizzare pwertanto un blocco progressista in grado di vincere le prossime elezioni con buona pace digrillo , Berlusconi e lanuova dstra moderata di Alfano , Mauro e Casini

Risposto da giorgio varaldo su 19 Ottobre 2013 a 20:42 il ciclo di carnot -che non è una bicicletta per scienziati - e la termodinamica o li si conoscono o non lo si conoscoo. poi se l'ignorante è convinto di trovar la verità nell'ignoranza sono affari suoi. sino a qualche decennio fa chi era ignorante aveva il pudore di tacere mentre oggi scrive su qualenergia per una platea caratterizzata dalla sua stessa preparazione scientifica. Giampaolo Carboniero ha detto: Allegata all'articolo c'era la relazione originale; non c'è peggior sordo di chi non vuole sentire, evidentemente la "Verità" è in mano a chi decidi tu, grazie. giorgio varaldo ha detto: qualunque studente di ingegneria meccanica conosce il ciclo di carnot e qualunque studente sa che le condizioni di adiabaticità sono puramente teoriche. per sfruttare completamente il potenziale energetico occorrerebbe operare in condizioni adiabatiche. che si possa migliorare l'efficienza è un conto che questa efficienza possa recuperare l'80% non lo dice la IEA bensì è una interpretazione dell'articolista di qualenergia. dice un proverbio friulano A L’ E’ INUTIL INSEGNA’ AL MUS, SI PIART TIMP E IN PLUI SI INFASTIDIS LA BESTIE! ergo non sto a perder tempo scrivendo a qualenergia. Giampaolo Carboniero ha detto: Dovresti scrivere alla IEA.

Risposto da Fabio Colasanti su 19 Ottobre 2013 a 22:19 Giuseppe, la scelta di Renzi, se non si traduce in uno spaccamento del PD, è la scelta a favore di uno schieramento di centro-sinistra che possa vincere le elezioni. Sono convinto anch'io che Renzi potrebbe attrarre molti elettori dal centro dare quindi al PD la maggioranza che non ha avuto a febbraio. Ma per questo è necessario che la scelta di Renzi non si riveli troppo traumatica per il partito. Devo dire che la scelta mi sembra ovvia, perfino troppo ovvia. Nessuno degli altri tre candidati ha una benché minima possibilità di farcela. L'Impressione che ho è che i dirigenti attuali del PD si siano resi conto tutti che Renzi è l'unica carta da giocare. Si sono resi conto anche che è una carta forte e nessuno di quelli che ne aveva le carte è sceso in campo sapendo di perdere. Gli altri tre candidati sono persone praticamente sconosciute che utilizzano l'occasione per proporre alcune idee e farsi conoscere, ma sanno benissimo di non avere nessuna chance. La vittoria quasi sicura di Renzi è pero' un fatto negativo. Non vedremo l'interesse che c'era stato l'anno scorso quando la scelta era tra due candidati veri. Ho paura che ci sarà un numero di persone che andranno a votare alle primarie molto basso.. Giuseppe Ardizzone ha detto: In queste righe ho cercato di portare avanti una ipotesi sull'evoluzione dello schieramento politico Che ne pensate? Giuseppe Ardizzone ha detto: Mi sembra che anche l'ultimo articoo postato da Fabio confermi l'insipienza di questo governo . Insipienza che non può essere addebitata agli uomini che lo compongonoma probabilmente alla situazione di stallo che si viene a creare fra le diverse forze anatgoniste che lo compongono . Il tentativo di fare un trattato di coalizione con delle indicazioni precise sul da farsi elaborato da Scelta Civica con l'apporto forte del Sen Ichino non era una stupidaggine e la fine che ha fatto

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con le conseguenti dimissioni di Monti che ha visto il suo stesso gruppo scindersi e prendere posizioni a lui contastatnti è emblematico, Che la manovra sia insoddisfacente lo testimonia inoltre anche la distanza e le possibili dimissioni di Fassina.Su quale maggioranza reale conta dunque questo governo? MI sembra che questa maggioranza vada dalle colombe del centro destra (PDL) a quelle staccatesi da scelta civica fino all'appoggio di un PD estremamente confuso ed in preda al mal di pancia.Un pezzo di scelta civica , forse la parte più interessata al cambiamento sembra aver prs le distanze. Casini , Mauroie compagni flirtano ormai in maniera chiara con le colombe del centro destra e Berlusconi non ha intenzione di creare problemi purchè nonne creino a lui. Cosa accade nel mentre nel PD? La grande novità è che Renzi è ormai il candidato anche di D'alema e di molti altri ex bersaniani. Il nuovo ed il cambiamento hanno pertantoi una base molto solida e penso che vinceranno a mani basse. Che conseguebnze per il programma e per l'organizzazione del paritito? MI preoccupano tre cose 1) che garanzia abbiamo che la leadership non rimanga di tipo verticistico? Come Circolo dobbiamo contianuare a spingere sui nostri temi e appoggiare F. Barca per quanto riguarda la partecipazione di base. 2) il programma su cui si muove Renzi ed ispirato da Gutgeld prsenta due punti critici che sono presenti anche nella manovra di questo Governo e che trovo conbtroproducentio e sbagliati. a) l'utlizzo del patrimopnio pubblico in maniera ridotta e per finanziare uno stimolo alla domanda b) la penalizzazione del setore pensionistico contributivo ( incoastituzionale ) e la rinuncia ad una vera riforma fiscale con aliquote progressive sui redditi più alti. Non va bene e queste posizioni sono la cartina di tonasole di come i programmi siano elaborati da espeti esiano proivi di una verifica all'interno del partito. Il fatto positivo è che comunque renzi appare come cambiamento ed appare credibile di farcela . Potrà inotre avere dei buoni rapporti con la parte di scelta civica più vicina a Monti , Ichino , le ACLI e la Cominità di S. Egidio che potrebbero guardarea sinistra. Si potrebbe erealizzare pwertanto un blocco progressista in grado di vincere le prossime elezioni con buona pace digrillo , Berlusconi e lanuova dstra moderata di Alfano , Mauro e Casini

Risposto da adriano succi su 20 Ottobre 2013 a 0:08 Credo che, ancora una volta, nel centrodestra abbiano capito molto bene l' evolversi della situazione e si stiano attrezzando per non fare vincere il CentroSinistra. Ricordate un anno fa? La prospettiva che Renzi vincesse le primarie aveva spaventato il centrodestra. Avevano capito che Berlusconi avrebbe perso da Renzi e perciò aveva preso coraggio la parte meno estremista del PDL. Poi le primarie le ha vinte Bersani, sospirone di sollievo, e tutti allineati e coperti dietro a Berlusconi. Adesso le possibilità che Renzi perda da Cuperlo sono minime, perciò, a destra, stanno correndo ai ripari. Mi pare che stia cercando di evolversi qualcosa che avevo ipotizzato i mesi scorsi. Un centrodestra che si divide (finge di dividersi) in due grossi pezzi, uno che fa riferimento a Berlusconi e che raccoglie un pò tutti i partitini di destra, e un' altro di destra più moderata e più clericaleggiante che liberale (Alfano, Casini, CL, …). Se dovesse occorrere, le due destre non esiterebbero a riunirsi. A Monti bisogna riconoscere l' onestà intellettuale di averlo capito e di non voler stare al gioco. Probabilmente, dall' altra parte, si coagulerà una SinistraSinistra con Vendola, un pò di Grillini e un pò di PDdini nostalgici. Poi un raggruppamento riformista (speriamo attorno al PD), con il grosso di questo PD, un bel pò di Grillini e un pò di Liberali e Cattolici non CL. Detto così la cosa rimarrebbe ancora in bilico. I duri e puri di tutte le Sinistre non accetteranno compromessi (se non gli è bastata la batosta di febbraio scorso con tutti gli annessi e connessi e derivati e conseguenze ........ ) , perciò non rimarrà che "sfondare" al Centro + i M5S che volessero passare dalla protesta alla proposta.

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Risposto da adriano succi su 20 Ottobre 2013 a 12:36 http://www.corriere.it/editoriali/13_ottobre_20/potere-vuoto-un-pae... E' un articolo ne di destra ne di sinistra, ne neoliberista ne antiliberista. Mi sembra che fotografi molto bene la situazione. Le "Larghe intese" sono state la soluzione meno peggio, rispetto a ciò che avrebbe potuto succedere 6 mesi fa. Ciò ha permesso al Paese di rimanere fermo, rispetto al continuare a scivolare indietro. Però rimanere fermi quando il resto del mondo si muove è come arretrare. Tutti noi crediamo che il PD sia il punto di riferimento per poter ripartire. Penso che dobbiamo concentrarci su questo, subito, lasciando a tempi migliori tutto ciò che non porti al ricominciare a crescere. Mettere in pista un PD forte, che sappia uscire dalla attuale sudditanza al PDL che di fatto sta determinando la linea economica del Governo, imporre il suo Progetto/Paese ed obbligare il centrodestra ad accettarlo oppure fare LUI cadere il Governo. Berlusconi ed il berlusconismo sono tutt'altro che finiti e sottovalutarli sarebbe suicida.

Risposto da adriano succi su 20 Ottobre 2013 a 12:53 E' nella tradizione della Sinistra che ci debba sempre essere qualcuno che "così non è abbastanza" fino a quelli che "o tutto o niente". Perciò la probabile vittoria di Renzi alle primarie qualche emorragia la provocherà. Come dicevo precedentemente, dal' altra parte si stanno già attrezzando. Alfano, Casini, Mauro, stanno cercando di rubare un pò di spazio a Renzi, creando un raggruppamento apparentemente autonomo dal berlusca, ma pronto a collaborarci al momento giusto. Ciò significherà probabilmente che i lealisti a Monti saranno, per reazione, più sensibili a Renzi. Non è il caso di fare troppo gli schizzinosi. Finchè non sarà neutralizzato il berlusca quella è la priorità. Mai dimenticare che il nostro obbiettivo dovrebbe essere ridare speranze ai giovani, non soddisfare gli orgogli e le nostalgie di noi pensionati appagati. Fabio Colasanti ha detto: Giuseppe, la scelta di Renzi, se non si traduce in uno spaccamento del PD, è la scelta a favore di uno schieramento di centro-sinistra che possa vincere le elezioni. Sono convinto anch'io che Renzi potrebbe attrarre molti elettori dal centro dare quindi al PD la maggioranza che non ha avuto a febbraio. Ma per questo è necessario che la scelta di Renzi non si riveli troppo traumatica per il partito. Devo dire che la scelta mi sembra ovvia, perfino troppo ovvia. Nessuno degli altri tre candidati ha una benché minima possibilità di farcela. L'Impressione che ho è che i dirigenti attuali del PD si siano resi conto tutti che Renzi è l'unica carta da giocare. Si sono resi conto anche che è una carta forte e nessuno di quelli che ne aveva le carte è sceso in campo sapendo di perdere. Gli altri tre candidati sono persone praticamente sconosciute che utilizzano l'occasione per proporre alcune idee e farsi conoscere, ma sanno benissimo di non avere nessuna chance. La vittoria quasi sicura di Renzi è pero' un fatto negativo. Non vedremo l'interesse che c'era stato l'anno scorso quando la scelta era tra due candidati veri. Ho paura che ci sarà un numero di persone che andranno a votare alle primarie molto basso..

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Risposto da Fabio Colasanti su 20 Ottobre 2013 a 18:44 Adriano, purtroppo non posso che essere d'accordo con Galli della Loggia. Il punto della sua anaalisi che io trovo assolutamente centrato è il sottolineare che i problemi italiani non sono problemi di oggi; imputabili al governo Letta, al governo Monti o anche all'ultimo governo Berlusconi. No, sono problemi che si sono sviluppati nel corso degli ultimi quindici/venti anni in una indifferenza quasi generale. adriano succi ha detto: http://www.corriere.it/editoriali/13_ottobre_20/potere-vuoto-un-pae... E' un articolo ne di destra ne di sinistra, ne neoliberista ne antiliberista. Mi sembra che fotografi molto bene la situazione. Le "Larghe intese" sono state la soluzione meno peggio, rispetto a ciò che avrebbe potuto succedere 6 mesi fa. Ciò ha permesso al Paese di rimanere fermo, rispetto al continuare a scivolare indietro. Però rimanere fermi quando il resto del mondo si muove è come arretrare. Tutti noi crediamo che il PD sia il punto di riferimento per poter ripartire. Penso che dobbiamo concentrarci su questo, subito, lasciando a tempi migliori tutto ciò che non porti al ricominciare a crescere. Mettere in pista un PD forte, che sappia uscire dalla attuale sudditanza al PDL che di fatto sta determinando la linea economica del Governo, imporre il suo Progetto/Paese ed obbligare il centrodestra ad accettarlo oppure fare LUI cadere il Governo. Berlusconi ed il berlusconismo sono tutt'altro che finiti e sottovalutarli sarebbe suicida.

Risposto da giovanni de sio cesari su 20 Ottobre 2013 a 22:59 Adriano : Tutto quello che ipotizzi è senza altro giusto cosi stando le cose: : ma bisogna tener presente che in momenti difficili è estremamente difficile prevedere cosa farà la gente. Tutti i sondaggi che abbiamo si riferiscono naturalmente alla situazione del momento, ai molti che pensano di votare come hanno sempre votato, non tiene conto degli incerti e degli astenuti Ma ora nessuno ,nemmeno gli interessati, sanno cosa effettivamente faranno all’ultimo momento. Renzi potrebbe avere un successo insperato ma anche un tonfo imprevisto. La destra senza Berlusconi (ammesso che sia senza Berlusconi ) potrebbe crollare ma anche raccogliere i voti del centro, l’elettorato tradizionale PD potrebbe anche non votare Renzi e riversarsi su Vendola o altri, e cosi via: D’altra parte con quale sistema voteremo? E’ fondamentale per i risultati: Non dobbiamo pensare che la ingovernabilità in Italia dipenda (solo) dal teatrino della politica : dipende sostanzialmente dalla divisione dell’elettorato diviso in molti schieramenti a loro volta divisi in molti schieramenti : e questa divisione dipende dalla generale immaturità politica che affligge l’italia che si attarda ancora in guerre di religioni del secolo sorso (socialismo contro capitalismo) Io lo spero molto ma temo che sia difficile che Renzi possa avere la maggioranza da poter governare. Ma dobbiamo provare, il futuro è imprevedibile adriano succi ha detto: Credo che, ancora una volta, nel centrodestra abbiano capito molto bene l' evolversi della situazione e si stiano attrezzando per non fare vincere il CentroSinistra. Ricordate un anno fa? La prospettiva che Renzi vincesse le primarie aveva spaventato il centrodestra.

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Avevano capito che Berlusconi avrebbe perso da Renzi e perciò aveva preso coraggio la parte meno estremista del PDL. Poi le primarie le ha vinte Bersani, sospirone di sollievo, e tutti allineati e coperti dietro a Berlusconi. Adesso le possibilità che Renzi perda da Cuperlo sono minime, perciò, a destra, stanno correndo ai ripari. Mi pare che stia cercando di evolversi qualcosa che avevo ipotizzato i mesi scorsi. Un centrodestra che si divide (finge di dividersi) in due grossi pezzi, uno che fa riferimento a Berlusconi e che raccoglie un pò tutti i partitini di destra, e un' altro di destra più moderata e più clericaleggiante che liberale (Alfano, Casini, CL, …). Se dovesse occorrere, le due destre non esiterebbero a riunirsi. A Monti bisogna riconoscere l' onestà intellettuale di averlo capito e di non voler stare al gioco. Probabilmente, dall' altra parte, si coagulerà una SinistraSinistra con Vendola, un pò di Grillini e un pò di PDdini nostalgici. Poi un raggruppamento riformista (speriamo attorno al PD), con il grosso di questo PD, un bel pò di Grillini e un pò di Liberali e Cattolici non CL. Detto così la cosa rimarrebbe ancora in bilico. I duri e puri di tutte le Sinistre non accetteranno compromessi (se non gli è bastata la batosta di febbraio scorso con tutti gli annessi e connessi e derivati e conseguenze ........ ) , perciò non rimarrà che "sfondare" al Centro + i M5S che volessero passare dalla protesta alla proposta.

Risposto da adriano succi su 21 Ottobre 2013 a 0:02 Giovanni, è vero, il futuro è imprevedibile, però qualcosa si può ipotizzare. Per esempio, mi sembra ragionevole aspettarsi che più aumentano la crisi e le incertezze e sempre più gente sarà attratta da chi proporrà soluzioni facili e immediate. Berlusconi vince anche perché propone di recuperare i 200€ di IMU subito, mentre Bersani proponeva non ben identificabili miglioramenti e chissà quando. Perciò è proprio nei momenti più difficili che è più facile sapere cosa "farà la gente", ovvero cosa serve per vincere. Sappiamo anche che l' elettorato di destra è molto più prevedibile di quello di Sinistra, che è molto più incline all' auto flagellazione. Noi dobbiamo essere severi con noi stessi, ma non autolesionisti. Dobbiamo cercare il meglio possibile nelle condizioni date, non qualcosa che poi l' elettorato non capirebbe. Come ho detto altre volte, in premio non c' è una medaglietta ma la scelta che i prossimi anni siano governati da un Governo riformista di CentroSinistra oppure dalla dinastia Berlusconi. Un Governo di SinistraSinistra NON esiste nelle possibilità di questo Paese! Le destre si stanno già dando da fare per inventarsi anche quello che non hanno. Noi che il vincente ce l' avremmo già, ci facciamo tante pippe mentali a non finire pur di riuscire a perdere ancora. Renzi è semplicemente il miglior candidato attuale del Centrosinistra, però credo che rispetto ad un anno fa abbia subito anche lui un certo logoramento. Agli Italiani piacciono i vincenti. Ogni mese che passa tra le meline delle "Larghe Intese" , anche lui perde qualche punto. Credo che se un anno fa avessimo scelto lui, i Signori Alfano eccetera sarebbero all' opposizione e qualche progresso economico e sociale incominceremmo a vederlo. PS Sarà dura che questa maggioranza riformi il porcellum. Però stiamo attenti che in qualsiasi sistema elettorale, per poter Governare efficacemente, occorre guadagnare MOLTI parlamentari più degli avversari, ovvero le elezioni bisogna comunque vincerle abbondantemente. giovanni de sio cesari ha detto: Adriano : Tutto quello che ipotizzi è senza altro giusto cosi stando le cose: : ma bisogna tener presente che in momenti difficili è estremamente difficile prevedere cosa farà la gente. Tutti i sondaggi che abbiamo si riferiscono naturalmente alla

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situazione del momento, ai molti che pensano di votare come hanno sempre votato, non tiene conto degli incerti e degli astenuti Ma ora nessuno ,nemmeno gli interessati, sanno cosa effettivamente faranno all’ultimo momento. Renzi potrebbe avere un successo insperato ma anche un tonfo imprevisto. La destra senza Berlusconi (ammesso che sia senza Berlusconi ) potrebbe crollare ma anche raccogliere i voti del centro, l’elettorato tradizionale PD potrebbe anche non votare Renzi e riversarsi su Vendola o altri, e cosi via: D’altra parte con quale sistema voteremo? E’ fondamentale per i risultati: Non dobbiamo pensare che la ingovernabilità in Italia dipenda (solo) dal teatrino della politica : dipende sostanzialmente dalla divisione dell’elettorato diviso in molti schieramenti a loro volta divisi in molti schieramenti : e questa divisione dipende dalla generale immaturità politica che affligge l’italia che si attarda ancora in guerre di religioni del secolo sorso (socialismo contro capitalismo) Io lo spero molto ma temo che sia difficile che Renzi possa avere la maggioranza da poter governare. Ma dobbiamo provare, il futuro è imprevedibile

Risposto da giovanni de sio cesari su 21 Ottobre 2013 a 11:47 Adriano Io sono d’accordo, non contesto affatto le tue ipotesi ma ritengo che siano inaffidabili come tutte le altre in questo momento. Chiarisco meglio. Nei momenti difficili non sappiamo cosa fara la gente: non è detto affatto che sia attratta dalle soluzioni piu facili o dal rimborso dell’IMU. Infatti nella storia i grandi avvenimenti sono sempre stati imprevisti. Per fare esempi recenti senza ricorrere alla storia: le primavera araba, l’esplodere delle guerre in Yugoslavia, la caduta del muro, la rivoluzione iraniana del 79 non erano state previste da nessuno. Il fatto è che quando si determinano situazioni pericolose allora è possibile (non certo ) che qualsiasi cosa avvenga. Ora in Italia la situazione è molto piu grave di quanto appaia a prima vista perche è mascherata dal supporto, dal welfare che le generazioni piu anziane prestano a quelle più giovani. In questo momenti la ”ripresina” da una qualche speranza: ma fa qualche mese o anno se non dovesse, come pare , conservarsi la tendenza la situazione sarà incontrollabile. Non si puo ragionare per questo dell’elettorato di destra sinistra o centro come li conosciamo ora Già nell’ultima elezione i sondaggi hanno fallito: non perche non fotografassero la realtà, ma bisogna capire cosa dicevano. Dicevano che gli elettori che avevano deciso avrebbero votato in un certo modo, ma non potevano prevedere la massa degli indecisi che avrebbero scelto qualche minuto primo di votare. L’altro punto è il porcellum: con tutte le sue assurdità tuttavia esso permette una maggioranza anche nella attuale nostra frammentazione Un nuovo sistema piu equilibrato renderebbe la situazione ancor piu ingovernabile. Ora: sic stantibus rebus ( cosi stando le cose) Renzi non potrebbe prendere quel 51% che gli permetterebbe la governabilità: E anche se dovesse prenderlo con l’attuale PD (da solo) si troverebbe a mettere d’accordo i Fabi e i Sandra che fanno cane e gatto anche se si parla di cani e gatti (sia detto con rispetto e simpatia), che lo voterebbero (forse , chi sa se poi Sandra lo voterà mai). adriano succi ha detto: Giovanni, è vero, il futuro è imprevedibile, però qualcosa si può ipotizzare. Per esempio, mi sembra ragionevole aspettarsi che più aumentano la crisi e le incertezze e sempre più gente sarà attratta da chi proporrà soluzioni facili e immediate. Berlusconi vince anche perché propone di recuperare i 200€ di IMU subito, mentre Bersani proponeva non ben identificabili miglioramenti e chissà quando. Perciò è proprio nei momenti più difficili che è più facile sapere cosa "farà la gente", ovvero cosa serve per vincere. Sappiamo anche che l' elettorato di destra è molto più prevedibile di quello di Sinistra, che è molto più incline all' auto flagellazione. Noi dobbiamo essere severi con noi stessi, ma non autolesionisti. Dobbiamo cercare il meglio possibile nelle condizioni date, non qualcosa che poi l' elettorato non capirebbe.

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Come ho detto altre volte, in premio non c' è una medaglietta ma la scelta che i prossimi anni siano governati da un Governo riformista di CentroSinistra oppure dalla dinastia Berlusconi. Un Governo di SinistraSinistra NON esiste nelle possibilità di questo Paese! Le destre si stanno già dando da fare per inventarsi anche quello che non hanno. Noi che il vincente ce l' avremmo già, ci facciamo tante pippe mentali a non finire pur di riuscire a perdere ancora. Renzi è semplicemente il miglior candidato attuale del Centrosinistra, però credo che rispetto ad un anno fa abbia subito anche lui un certo logoramento. Agli Italiani piacciono i vincenti. Ogni mese che passa tra le meline delle "Larghe Intese" , anche lui perde qualche punto. Credo che se un anno fa avessimo scelto lui, i Signori Alfano eccetera sarebbero all' opposizione e qualche progresso economico e sociale incominceremmo a vederlo. PS Sarà dura che questa maggioranza riformi il porcellum. Però stiamo attenti che in qualsiasi sistema elettorale, per poter Governare efficacemente, occorre guadagnare MOLTI parlamentari più degli avversari, ovvero le elezioni bisogna comunque vincerle abbondantemente.

Risposto da adriano succi su 21 Ottobre 2013 a 12:47 Giovanni, in Italia, inevitabilmente, si faranno cose all' Italiana. Per cui, nel male, rischiando più confusione e disorganizzazione che altrove e nel bene, senza gli eccessi di altre parti del mondo. Se la Lega non si fosse così tanto sputtanata, avrebbe potuto cogliere l' occasione di dividere l' Italia, ma così come è ridotta è già tanto se supererà il quorum. Credo che le soluzioni cruente non siano più tra i nostri rischi. Almeno spero. Mi pare che le "Larghe intese" si stiano sfilacciando sempre più e che la chiave di volta sarà quando il PD avrà deciso di non essere più subalterno al PDL. Se ne è accorto perfino Monti, non precisamente un estremista di Sinistra. Quel giorno, la parola sarà agli Italiani. Quelli di destra e centrodestra voteranno per due gruppi destinati poi a collaborare. Quelli di sinistra? Dipenderà da quanti Fabi e quante Sandre ci saranno. Se le Sandre saranno troppe, rivincerà il centrodestra. Mi sembra matematico. giovanni de sio cesari ha detto: Adriano Io sono d’accordo, non contesto affatto le tue ipotesi ma ritengo che siano inaffidabili come tutte le altre in questo momento. Chiarisco meglio. Nei momenti difficili non sappiamo cosa fara la gente: non è detto affatto che sia attratta dalle soluzioni piu facili o dal rimborso dell’IMU. Infatti nella storia i grandi avvenimenti sono sempre stati imprevisti. Per fare esempi recenti senza ricorrere alla storia: le primavera araba, l’esplodere delle guerre in Yugoslavia, la caduta del muro, la rivoluzione iraniana del 79 non erano state previste da nessuno. Il fatto è che quando si determinano situazioni pericolose allora è possibile (non certo ) che qualsiasi cosa avvenga. Ora in Italia la situazione è molto piu grave di quanto appaia a prima vista perche è mascherata dal supporto, dal welfare che le generazioni piu anziane prestano a quelle più giovani. In questo momenti la ”ripresina” da una qualche speranza: ma fa qualche mese o anno se non dovesse, come pare , conservarsi la tendenza la situazione sarà incontrollabile. Non si puo ragionare per questo dell’elettorato di destra sinistra o centro come li conosciamo ora Già nell’ultima elezione i sondaggi hanno fallito: non perche non fotografassero la realtà, ma bisogna capire cosa dicevano. Dicevano che gli elettori che avevano deciso avrebbero votato in un certo modo, ma non potevano prevedere la massa degli indecisi che avrebbero scelto qualche minuto primo di votare.

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L’altro punto è il porcellum: con tutte le sue assurdità tuttavia esso permette una maggioranza anche nella attuale nostra frammentazione Un nuovo sistema piu equilibrato renderebbe la situazione ancor piu ingovernabile. Ora: sic stantibus rebus ( cosi stando le cose) Renzi non potrebbe prendere quel 51% che gli permetterebbe la governabilità: E anche se dovesse prenderlo con l’attuale PD (da solo) si troverebbe a mettere d’accordo i Fabi e i Sandra che fanno cane e gatto anche se si parla di cani e gatti (sia detto con rispetto e simpatia), che lo voterebbero (forse , chi sa se poi Sandra lo voterà mai).

Risposto da Salvatore Venuleo su 21 Ottobre 2013 a 12:58 Vincerà Renzi se non si vota troppo tardi con conseguente logoramento della nostra punta di lancia, logoramento che coinvolge tutti tranne il proprietario della Golden share sull'Italia. Quei pochi cui non interessano le bandiere, ma i contenuti e la "musica" sarebbero interessati che si faccia sintesi vera delle ottime ragioni di Fabio e delle ottime ragioni di Sandra. Per non limitarsi a vincere una partitina e poi perdere di nuovo. 14 euro in più poi 14 euro in meno, mille occupati in più poi mille occupati in meno. adriano succi ha detto: Giovanni, in Italia, inevitabilmente, si faranno cose all' Italiana. Per cui, nel male, rischiando più confusione e disorganizzazione che altrove e nel bene, senza gli eccessi di altre parti del mondo. Se la Lega non si fosse così tanto sputtanata, avrebbe potuto cogliere l' occasione di dividere l' Italia, ma così come è ridotta è già tanto se supererà il quorum. Credo che le soluzioni cruente non siano più tra i nostri rischi. Almeno spero. Mi pare che le "Larghe intese" si stiano sfilacciando sempre più e che la chiave di volta sarà quando il PD avrà deciso di non essere più subalterno al PDL. Se ne è accorto perfino Monti, non precisamente un estremista di Sinistra. Quel giorno, la parola sarà agli Italiani. Quelli di destra e centrodestra voteranno per due gruppi destinati poi a collaborare. Quelli di sinistra? Dipenderà da quanti Fabi e quante Sandre ci saranno. Se le Sandre saranno troppe, rivincerà il centrodestra. Mi sembra matematico.

Risposto da adriano succi su 21 Ottobre 2013 a 13:13 I 1000 occupati in più ringrazierebbero riconoscenti e commossi. Vorrebbe poi dire che si è invertita la tendenza alla disoccupazione per cui , sperabilmente, molti meno disoccupati tra 6 mesi , ancora molti meno tra un anno. Sarebbe già un bel cominciare. La parola sintesi mi piace poco, sa di eterna trattativa, dibattito a oltranza, ricerca dell' unanimismo, in una parola: immobilismo, in due parole: tutto fermo, in tre parole: altri 1000 disoccupati . Salvatore Venuleo ha detto: Vincerà Renzi se non si vota troppo tardi con conseguente logoramento della nostra punta di lancia, logoramento che coinvolge tutti tranne il proprietario della Golden share sull'Italia. Quei pochi cui non interessano le bandiere, ma i contenuti e la "musica" sarebbero interessati che si faccia sintesi vera delle ottime ragioni di Fabio e delle ottime ragioni di Sandra. Per non limitarsi a vincere una partitina e poi perdere di nuovo. 14 euro in più poi 14 euro in meno, mille occupati in più poi mille occupati in meno.

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Risposto da Fabio Colasanti su 21 Ottobre 2013 a 13:27 Anche a me la parola sintesi piace poco. Sandra ed io vogliamo più o meno lo stesso risultato finale. Immagino che anche lei voglia più occupazione, salari più alti, servizi pubblici che funzionino, assistenza sociale degna, scuola che insegni, università di ottima qualità e tante altre cose del genere. Dove siamo in disaccordo è sulla maniera di raggiungere questi obiettivi. Io penso che la strada che propone lei ci porti ad un aggravamento della situazione attuale. Non vedo su cosa si possa fare una sintesi delle nostre posizioni. adriano succi ha detto: I 1000 occupati in più ringrazierebbero riconoscenti e commossi. Vorrebbe poi dire che si è invertita la tendenza alla disoccupazione per cui , sperabilmente, molti meno disoccupati tra 6 mesi , ancora molti meno tra un anno. Sarebbe già un bel cominciare. La parola sintesi mi piace poco, sa di eterna trattativa, dibattito a oltranza, ricerca dell' unanimismo, in una parola: immobilismo, in due parole: tutto fermo, in tre parole: altri 1000 disoccupati . Salvatore Venuleo ha detto: Vincerà Renzi se non si vota troppo tardi con conseguente logoramento della nostra punta di lancia, logoramento che coinvolge tutti tranne il proprietario della Golden share sull'Italia. Quei pochi cui non interessano le bandiere, ma i contenuti e la "musica" sarebbero interessati che si faccia sintesi vera delle ottime ragioni di Fabio e delle ottime ragioni di Sandra. Per non limitarsi a vincere una partitina e poi perdere di nuovo. 14 euro in più poi 14 euro in meno, mille occupati in più poi mille occupati in meno.

Risposto da giorgio varaldo su 21 Ottobre 2013 a 13:54 una sintesi fra posizioni così differenti porterebbe ad un denominatore comune talmente vago da renderla impraticabile e priva di ogni operatività : il classico per non dare torto a nessuno dei due non si fa nulla. l'esperienza di un programma di sintesi fra posizioni diverse è stata fatta dal governo prodi 2006-2008 con il risultato di portare la destra berlusconiana al livello massimo di consensi. eppure basterebbe poco per trovare una sintesi operativa: dopo aver detto cosa fare chiedersi come farlo e porsi questa domanda usando solo il buon senso della massaia....

Risposto da Alessandro Bellotti su 21 Ottobre 2013 a 14:47 Renzi vince se pesca dall'elettorato del M5S che è potenzialmente il 30%. Può vincere solo se convince il sottoscritto..... Prima però deve convincere i 'suoi'......

Risposto da giovanni de sio cesari su 21 Ottobre 2013 a 15:33 Quindi ricapitolando: anche se Renzi raggiungesse il 51% dei voti (addirittura!! ) non riuscirebbe nemmeno a fare una legge sui cani e gatti perche non riuscirebbe a fare una sintesi .fra i suoi eletti /elettori che fanno cane e gatto su ogni cosa ... .

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giorgio varaldo ha detto: una sintesi fra posizioni così differenti porterebbe ad un denominatore comune talmente vago da renderla impraticabile e priva di ogni operatività : il classico per non dare torto a nessuno dei due non si fa nulla. l'esperienza di un programma di sintesi fra posizioni diverse è stata fatta dal governo prodi 2006-2008 con il risultato di portare la destra berlusconiana al livello massimo di consensi. eppure basterebbe poco per trovare una sintesi operativa: dopo aver detto cosa fare chiedersi come farlo e porsi questa domanda usando solo il buon senso della massaia....

Risposto da giorgio varaldo su 21 Ottobre 2013 a 16:45 dopo l'esperienza negativa di prodi una parte della sinistra ha imparato la lezione ed in particolar modo renzi. infatti nella sua esperienza di governo fiorentino prima in provincia e poi in comune ha seguito la strada dello spingere il carro e non del salirvi sopra. tradotto in termini operativi significa se vuoi allearti con me ti adegui alle mie posizioni che non sono discutibili. che ci sia un pericolo di fronda interna ritengo ne sia ben conscio ed è - almeno secondo il parere di molti amici e mii personale - questo il motivo per il quale lo spinge ad assumere la carica di segretario PD prima e candidato alla presidenza del consiglio poi. che renzi non sia gradito a chi si sente massimalista è palese ed anche nel nostro piccolo questa tendenza è chiara e che possa perdere parte di questo elettorato è molto probabile. attualmente i sondaggi sui flussi di voto stimano in un 2% di perdita verso sinistra ampiamente compensato da un 8% di voti in arrivo o dal M5S o dall'elettorato moderato di centro e destra. correndo da solo e non in coalizione come fatto da bersani da questa analisi si presume che il PD renziano esca dalle elezioni già epurato dalle frange estreme che secondo i sondaggi daranno il loro consenso a SEL quindi questo pericolo dovrebbe essere se non scongiurato almeno reso meno probabile. ma a questo punto diventa fondamentale andare alle elezioni con una nuova legge elettorale senza la quale qualsiasi vittoria di qualsiasi candidato porterebbe solo all'ingovernabilità. e forse in questo modo si spiega lo scarso entusiasmo a cambiar legge elettorale manifestato anche da una parte del PD. giovanni de sio cesari ha detto: Quindi ricapitolando: anche se Renzi raggiungesse il 51% dei voti (addirittura!! ) non riuscirebbe nemmeno a fare una legge sui cani e gatti perche non riuscirebbe a fare una sintesi .fra i suoi eletti /elettori che fanno cane e gatto su ogni cosa ... .

Risposto da giovanni de sio cesari su 21 Ottobre 2013 a 18:33 Laura pero io noterei: con tutte le sue assurdità tuttavia il porcellum permette una maggioranza anche nella attuale nostra frammentazione Un nuovo sistema piu equilibrato renderebbe la situazione ancor piu ingovernabile laura sgaravatto ha detto: :)))))) .....a questo punto diventa fondamentale andare alle elezioni con una nuova legge elettorale senza la quale qualsiasi vittoria di qualsiasi candidato porterebbe solo all'ingovernabilità. e forse in questo modo si spiega lo scarso entusiasmo a cambiar legge elettorale manifestato anche da una parte del PD.

Risposto da giorgio varaldo su 21 Ottobre 2013 a 18:59

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mi permetto di osservare che se il porcellum assegnasse il premio di maggioranza alle due camere su base nazionale (come avviene per la camera dei deputati) non sarebbe poi tanto una porc... (definizione data da chi lo ha proposto).. rimane la possibilità di aver maggioranze diverse fra camera e senato ma in tal caso - a meno di avere una camera sola - nessuna legge elettorale garantirebbe la governabilità. giovanni de sio cesari ha detto: Laura pero io noterei: con tutte le sue assurdità tuttavia il porcellum permette una maggioranza anche nella attuale nostra frammentazione Un nuovo sistema piu equilibrato renderebbe la situazione ancor piu ingovernabile laura sgaravatto ha detto: :)))))) .....a questo punto diventa fondamentale andare alle elezioni con una nuova legge elettorale senza la quale qualsiasi vittoria di qualsiasi candidato porterebbe solo all'ingovernabilità. e forse in questo modo si spiega lo scarso entusiasmo a cambiar legge elettorale manifestato anche da una parte del PD.

Risposto da Salvatore Venuleo su 21 Ottobre 2013 a 19:37 I miei amici intendono "sintesi" come sinonimo di compromesso. Io tendo a dargli un significato positivo. Per me la "sintesi" è un mettere insieme ciò che può stare insieme, non già cercare vie di mezzo. Esempio: per me la flessibilità può stare insieme alla sicurezza e così assicurare produttività, innovazione e certezza. Se faccio sintesi fra Ichino con la sua flessibilità e Gallino con lo Stato datore di lavoro di ultima istanza penso di connettere culture e tesi diverse per proporre qualcosa che valga di più dell'uno e dell'altro. Ad esempio, il nostro documento congressuale è in gran parte una sintesi positiva di punti di vista complementari. Guarda caso, guardare alla possibilità di sintesi feconde significa anche giustificare la ragion d'essere di questo circolo plurale e faticosamente dialogante. Fabio Colasanti ha detto: Anche a me la parola sintesi piace poco. Sandra ed io vogliamo più o meno lo stesso risultato finale. Immagino che anche lei voglia più occupazione, salari più alti, servizi pubblici che funzionino, assistenza sociale degna, scuola che insegni, università di ottima qualità e tante altre cose del genere. Dove siamo in disaccordo è sulla maniera di raggiungere questi obiettivi. Io penso che la strada che propone lei ci porti ad un aggravamento della situazione attuale. Non vedo su cosa si possa fare una sintesi delle nostre posizioni. adriano succi ha detto: I 1000 occupati in più ringrazierebbero riconoscenti e commossi. Vorrebbe poi dire che si è invertita la tendenza alla disoccupazione per cui , sperabilmente, molti meno disoccupati tra 6 mesi , ancora molti meno tra un anno. Sarebbe già un bel cominciare. La parola sintesi mi piace poco, sa di eterna trattativa, dibattito a oltranza, ricerca dell' unanimismo, in una parola: immobilismo, in due parole: tutto fermo, in tre parole: altri 1000 disoccupati . Salvatore Venuleo ha detto: Vincerà Renzi se non si vota troppo tardi con conseguente logoramento della nostra punta di lancia, logoramento che coinvolge tutti tranne il proprietario della Golden share sull'Italia. Quei pochi cui non interessano le bandiere, ma i contenuti e la "musica" sarebbero interessati che si faccia sintesi vera delle ottime ragioni di Fabio e delle ottime ragioni di Sandra. Per non limitarsi a vincere una partitina e poi perdere di nuovo. 14 euro in più poi 14 euro in meno, mille occupati in più poi mille occupati in meno.

Risposto da giovanni de sio cesari su 21 Ottobre 2013 a 20:40 Giorgio pero nessuno pensa di estendere il porcellum anche al senato: forse sarebbe la soluzione migliore per la govenabilita:

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giorgio varaldo ha detto: mi permetto di osservare che se il porcellum assegnasse il premio di maggioranza alle due camere su base nazionale (come avviene per la camera dei deputati) non sarebbe poi tanto una porc... (definizione data da chi lo ha proposto).. rimane la possibilità di aver maggioranze diverse fra camera e senato ma in tal caso - a meno di avere una camera sola - nessuna legge elettorale garantirebbe la governabilità. giovanni de sio cesari ha detto: Laura pero io noterei: con tutte le sue assurdità tuttavia il porcellum permette una maggioranza anche nella attuale nostra frammentazione Un nuovo sistema piu equilibrato renderebbe la situazione ancor piu ingovernabile laura sgaravatto ha detto: :)))))) .....a questo punto diventa fondamentale andare alle elezioni con una nuova legge elettorale senza la quale qualsiasi vittoria di qualsiasi candidato porterebbe solo all'ingovernabilità. e forse in questo modo si spiega lo scarso entusiasmo a cambiar legge elettorale manifestato anche da una parte del PD.

Risposto da giovanni de sio cesari su 21 Ottobre 2013 a 20:46 D’accordo, Salvatore, la sintesi è cosa diversa dal compromesso Il problema pero che fra i Fabi e le Sandre io non vedo possibile ne compromessi ne sintesi, Ancora meno che fra PD e PDL che è quanto dire, Salvatore Venuleo ha detto: I miei amici intendono "sintesi" come sinonimo di compromesso. Io tendo a dargli un significato positivo. Per me la "sintesi" è un mettere insieme ciò che può stare insieme, non già cercare vie di mezzo. Esempio: per me la flessibilità può stare insieme alla sicurezza e così assicurare produttività, innovazione e certezza. Se faccio sintesi fra Ichino con la sua flessibilità e Gallino con lo Stato datore di lavoro di ultima istanza penso di connettere culture e tesi diverse per proporre qualcosa che valga di più dell'uno e dell'altro. Ad esempio, il nostro documento congressuale è in gran parte una sintesi positiva di punti di vista complementari. Guarda caso, guardare alla possibilità di sintesi feconde significa anche giustificare la ragion d'essere di questo circolo plurale e faticosamente dialogante.

Risposto da Salvatore Venuleo su 21 Ottobre 2013 a 21:27 Non è facilissimo contraddirti. Ma per me è un po' un piacere un po' un dovere fare sintesi impossibili. Mi piace trovare fra i rifiuti gemme preziose. Alludo al berlusconismo, ad esempio. A maggior ragione scommetterei sulla possibilità di sintetizzare i mondi di Fabio e di Sandra. Importante è non aver paura di contaminarsi. giovanni de sio cesari ha detto: D’accordo, Salvatore, la sintesi è cosa diversa dal compromesso Il problema pero che fra i Fabi e le Sandre io non vedo possibile ne compromessi ne sintesi, ancora meno che fra PD e PDL che è quanto dire,

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Risposto da Giuseppe Ardizzone su 21 Ottobre 2013 a 22:43 Mi permetto di suggerire a tutti la lettura di un documento che non mi sembra nè la sintesi delle differenze nè un compromesso ma un incontro nato da un profondo confronto. Provate inoltre a leggere i documenti dei quattro candidati alle primarie del PD per inquadrare il senso del nostro contributo all'interno del dibattito congressuale. http://libertaepartecipazione-circolopd.ning.com/group/documenti-ap...

Risposto da Fabio Colasanti su 22 Ottobre 2013 a 18:08 Ma la Legge di stabilità è incostituzionale? 21.10.13 - Tito Boeri e Pietro Garibaldi http://www.lavoce.info/una-legge-di-stabilita-incostituzionale/ La Legge di stabilità potrebbe essere incostituzionale: ci allontana dal bilancio in pareggio e non aiuta a rilanciare l’economia. Prova provata che i vincoli a politiche espansive non vengono dall’Europa, ma da scelte della classe politica. Da tempo sosteniamo che i vincoli a politiche fiscali espansive in Italia non vengono tanto dall’Europa quanto dal vincolo del bilancio in pareggio introdotto nella nostra Costituzione nel dicembre 2012. In quella occasione abbiamo adottato una legge rafforzata di attuazione del cosiddetto Fiscal Compact che emendava la Costituzione e prevedeva la messa in opera di un “meccanismo di correzione”, in caso di deviazione dal sentiero di avvicinamento a quest’obiettivo, sulla cui attuazione avrebbe dovuto vigilare un organo tecnico, il cosiddetto Fiscal Council. La riprova che i vincoli più stringenti sono quelli che ci siamo autoimposti viene dallaLegge di stabilità che domani approda in Parlamento. Quando il Governo il 15 ottobre ne ha varato le linee guida, ci siamo chiesti perché ci si fosse posti un obiettivo pari al 2,5 per cento di disavanzo nel 2014, quando l’Europa ci imponeva solo di stare sotto al 3 per cento. Quello 0,5 per cento in più di flessibilità avrebbe, ad esempio, potuto essere utilizzato per rimpinguare la riduzione del cuneo fiscale, rendendola ben più visibile a lavoratori e imprese. Ma questi 8 miliardi circa di disavanzo ulteriore sarebbero incompatibili con un sentiero di avvicinamento all’obiettivo del bilancio in pareggio, quindi sarebbero incostituzionali. Il problema in verità è ancora più complicato perché anche la Legge di stabilità presentata dal Governo potrebbe essere incostituzionale. Infatti, lo scenario macroeconomico descritto dal Governo per il 2014, prevede, come si ricordava, un disavanzo pari al 2,5 per cento, mentre il disavanzo a legislazione vigente e che si otterrebbe senza Legge di stabilità è pari al 2,3 percento. Questo significa che, rispetto allo scenario a bocce ferme, la Legge di stabilità peggiora il disavanzo di 0,2. Ed è proprio questo 0,2 per cento che ci allontana dal bilancio strutturalmente in pareggio. Come si vede dalla tabella qui sotto, tratta dalla Nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanza, in assenza della manovra, il bilancio 2014 sarebbe strutturalmente in pareggio. Non ci stupirebbe se – tra qualche mese- la Corte Costituzionale annullasse la Legge di stabilità approvata dal Parlamento. Un paradosso per il Governo del Presidente. Il Governo può forse sperare che una deviazione relativamente limitata dal sentiero di avvicinamento del bilancio in pareggio passi inosservata, dato anche che il Fiscal Council ancora non esiste. Ma la sostanza è un’altra: o le regole di bilancio ci sono e vanno rispettate, oppure meglio cambiarle o spostarne apertamente nel tempo l’entrata in vigore e concederci maggiori margini di manovra per il taglio delle tasse. Smettiamola di parlare di vincoli europei E se decidiamo di posticipare l’entrata in vigore della legge 243, prevista per il 1 gennaio 2014, almeno smettiamola di dare colpa all’Europa quando siamo stati noi stessi a legarci le mani. Le vie di mezzo, rischiare un contenzioso costituzionale per fare un meno 0.1, hanno solo l’effetto di togliere ogni credibilità alle regole, senza peraltro sostenere l’economia.

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Risposto da giorgio varaldo su 23 Ottobre 2013 a 8:29 mi sono messo a leggere i programmi dei 4 caballeros nell'ottica di "ho un milione di euro da investire vediamo se mi conviene investirli in italia " dopo aver letto (con grande fatica ) il programmi di civati e con un po di meno quelli di pittella e cuperlo (che almeno lo hanno condensato in 24 pagine) la risposta va dal boh al non ci ho capito nulla quindi nel dubbio si va in carinzia con quello di renzi sembra ci sia qualche possibilità sperando che operativamente rispolveri tutti i famosi cento punti quindi stand by...

Risposto da giorgio varaldo su 23 Ottobre 2013 a 16:45 la spagna sta uscendo dalla recessione e dopo aver fatto pesanti riforme è divenuta più competitiva dell'italia. http://www.borsainside.com/mercati_europei/2013/09/47027-crisi-la-s... è sconfortante che tre dei 4 caballeros non abbiano inserito nel proprio programma proposte per il recupero della perduta competitività

Risposto da giorgio varaldo su 23 Ottobre 2013 a 17:05 anche visco non è immune dalle bischerate (vedi il suo illustre curriculum in merito) il discorso di renzi non riguarda il contributo di solidarietà delle pensioni d'oro bensì il ricalcolo della quota eccedente i 3000 o 5000 euro mensili secondo il sistema contributivo. con oltre 400.000 pensioni superiori a 100.000 euro a pensione - pensione media 150.000 euro) prendendo come base esente i 5000 euro mensili ed ipotizzando una quota contributiva pari al 50% (cifra ottimistica) il taglio delle pensioni sarebbe al minimo di 400.000 x (150.000 - 65.000) / 2 = 17.000.000.000 ossia 17 miliardi all'anno laura sgaravatto ha detto: Salvaguardati a morte Questi sono i risultati, quando ignoranza e propaganda dirottano la gestione dei conti dello stato. Però, anche qui, che ci frega? Basta ripetere il mantra che “i saldi non debbono cambiare”, ed ecco aperta la porta alle peggiori nefandezze. Addendum: per tutti gli appassionati della tassazione delle “pensioni d’oro” come via più breve per la felicità (vero, Matteo?), ecco un paio di numeri che possono aiutare a capire di cosa stiamo parlando: «La norma della legge di Stabilità sulla deindicizzazione delle pensioni vale, per quanto riguarda il saldo netto da finanziare, 580 milioni di euro nel 2014, 1,380 miliardi nel 2015 e 2,160 miliardi nel 2016. E’ quanto si legge nel prospetto sugli effetti finanziari della legge di Stabilità sui saldi di finanza pubblica. Il contributo di solidarietà sulle pensioni d’oro vale invece 21 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014, 2015 e 2016, sia sul fabbisogno che sull’indebitamento netto» (Ansa) Avete letto? Ventuno milioni annui per il prossimo triennio. Un vero e proprio bottino, altro che tesoretto. In attesa che arrivi la Consulta con la mannaia. Confrontate invece i numeri del blocco di indicizzazione sulle “pensioni d’oro” (quelle da 3.000 euro lordi mensili). Come diceva Trilussa, per raccogliere tanti soldi bisogna andare dai “poveri”, perché i poveri sono numerosi.

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Risposto da Fabio Colasanti su 28 Ottobre 2013 a 10:39 Fassina critica - giustamente - la proposta sbagliatissima di Renzi di finanziare una riduzione del cuneo fiscale con le "dismissioni" (a "Otto e mezzo" di venerdi scorso ha detto che 5 dei 21 miliardi che vorrebbe investire sul cuneo fiscale dovrebbero venire da dismissioni di patrimonio pubblico). http://www.huffingtonpost.it/stefano-fassina/caro-matteo-le-tue-cor...

Risposto da Fabio Colasanti su 28 Ottobre 2013 a 10:53 Un'osservazione generale. Il dibattito sulla riduzione del "cuneo fiscale" si sta concentrando sui 14 euro al mese in più che i lavoratori troverebbero in più nella busta paga (o 100 euro al mese in più secondo Renzi). Ma le proposte di riduzione del cuneo fiscale hanno come scopo la riduzione del costo del lavoro, non dare soldi in più ai lavoratori. La vera misura dell'efficacia di una proposta di riduzione del cuneo fiscale è nella misura della riduzione del costo del lavoro. Ma di questo aspetto non si parla affatto. Non ho visto nessuna stima. Il dibattito attuale su quanto va in busta paga rischia di influenzare le modalità di qualunque misura che sarà presa e di portare ad aumentare il più possibile la parte che andrà in busta paga. Se tutto l'intervento pubblico andasse in busta paga, l'effetto ricercato - la riduzione del costo del lavoro - sarebbe mancato completamento. Chi ha originariamente proposto di ridurre il cuneo fiscale per recuperare parte della competitività perduta non aveva previsto nemmeno un euro nella busta paga dei lavoratori. I benefici della proposta dovrebbero venire da un aumento dell'occupazione - visto il costo del lavoro più basso - e non dall'aumento dei redditi di chi già lavora. Purtroppo i sindacati e tutto il sistema politico italiano lavorano a favore di chi è già nel mondo del lavoro e non a favore di chi ne è fuori (i disoccupati).

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 28 Ottobre 2013 a 17:47 Non posso che sottolineare questo intervento per la sua importanza. La riduzione del costo del lavoro ci è imposta dalla forte perdita di competitività delle nostre imprese che si trovano ad avere non solo un alto costo del lavoro ma anche un alto costo del denaro con rilevanti costi finanziari . Uno dei mali italiani classici è stata inoltre la generale sottocapitalizzazione. delle nostre aziende ed il ruolo ancora marginale dei fondi di venture capital. Il terzo elemento su cui in questi anni abbiamo sostanzialmente dilapidato tutto il nostro vantaggio competitivo è stato sulla mortificazione del merito a vantaggio di un mondo industriale sostanzialmente assistito e garantito da una posizione di privilegio all'interno del sistema Italia . Sotto la sfida della maggor apertura dei mercati e dell'affermarsi di nuovi paesi emergenti non siamo riusciti a stare al passo degli altri. Ora è vero che si può crescere tutti e che il miglioramento delle condizioni di vita dei nuovi paesi emergenti non si debba tradurre automaticamente nella riduzione del nostro livello di vita.; tutto questo è vero, ma a patto di non cadere nella spirale del sottosviluppo e della recessione e noi ci stiamo abbastanza dentro. In queste condizioni diventa inevitabile una relativa riduzione del nostro livello del benessere e questo deve almeno avvenire nel segno dell'equità. Quando si è parlato di riduzione del cuneo fiscale si è infatti detto di non ridurre il salario che va in mano al lavoratore ma il costo lordo sostenuto dall'impresa mettendolo il più possibile a carico della fiscalità generale. Chiedendo in parole povere un contributo maggiore ai patrimoni , alla rendita ed ai redditi elevati.La riduzione dei costi non è sufficiente se tuttavia non si cambia marcia e non si mette la ricerca , l'innovazione , il merito al primo posto spazzando via clientela , corruzione, privilegio e criminalità organizzata. Diventa inoltre decisivo affrontare il dualismo del mercato del lavoro e la sua semplificazione. Dobbiamo appoggiare la del diritto del lavoro riducendo le innumerevoli forme contrattuali e ridando semplicità ed un minimo di prospettive ai giovani . Con la scusa della flessibilità si è letteralmente trasformato il mercato del lavoro sino ai quarantanni di età verso la sua definitiva precarizzazione . Mi rendo conto che le aziende hanno bisogno di una riduzione dei costi ma questo è lo stesso motivo per cui nel mezzoglorno si opera attraverso l'evasione fiscale ed il lavoro nero. Dobbiamo porre fine a questo

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scempio . Neanche l'Europa è esente da questo problema e trovare la strada per un minimo salariale e per una standardizzazione dei contratti di lavoro dell'area euro è possibile e doveroso. Si può fare .? E' necessario e se non lo realizza la democrazia credendo di poter dare ancora al popolo inc.....to l'ultima brioche al posto del pane vedo un grande pericolo per il nostro sistema democratico. Certo, il pericolo per la democrazia può venire anche da una dura repressione reazionaria che stabilizza a favore di soliti privilegiati il sottosviluppo. L'Europa è una remora a tutto questo ma potrebbe non bastare. A quel punto come sempre non resterebbe che riprendere il cammino storico dell'emigrazione di massa. Mi auguro di no. Mi auguro che Renzi possa essere la carta vincente dle nostro partito per ottenere quei consensi necessari per ribaltare la situazione. Il governo di larghe intese non può fare questi cambiamenti. Troppi interessi e troppe mediocrità. Ci vuole aria nuova e pulita. Il partito non dovrà abbandonare Renzi o isolarlo c'è bisogno della collaborazione di tutti e di un rapporto costruttivo e continuo con la base . Vigilanza democratica ed impegno per una vera e propria rivoluzione progressista e democratica. Fabio Colasanti ha detto: Un'osservazione generale. Il dibattito sulla riduzione del "cuneo fiscale" si sta concentrando sui 14 euro al mese in più che i lavoratori troverebbero in più nella busta paga (o 100 euro al mese in più secondo Renzi). Ma le proposte di riduzione del cuneo fiscale hanno come scopo la riduzione del costo del lavoro, non dare soldi in più ai lavoratori. La vera misura dell'efficacia di una proposta di riduzione del cuneo fiscale è nella misura della riduzione del costo del lavoro. Ma di questo aspetto non si parla affatto. Non ho visto nessuna stima. Il dibattito attuale su quanto va in busta paga rischia di influenzare le modalità di qualunque misura che sarà presa e di portare ad aumentare il più possibile la parte che andrà in busta paga. Se tutto l'intervento pubblico andasse in busta paga, l'effetto ricercato - la riduzione del costo del lavoro - sarebbe mancato completamento. Chi ha originariamente proposto di ridurre il cuneo fiscale per recuperare parte della competitività perduta non aveva previsto nemmeno un euro nella busta paga dei lavoratori. I benefici della proposta dovrebbero venire da un aumento dell'occupazione - visto il costo del lavoro più basso - e non dall'aumento dei redditi di chi già lavora. Purtroppo i sindacati e tutto il sistema politico italiano lavorano a favore di chi è già nel mondo del lavoro e non a favore di chi ne è fuori (i disoccupati).

Risposto da giorgio varaldo su 28 Ottobre 2013 a 18:16 mi trovo in parziale disaccordo l'importanza del costo del lavoro è funzione diretta del livello tecnologico del valore aggiunto del prodotto e della quota di manodopera necessaria pertanto può esser fondamentale in settori ad elevato contenuto di manodopera e basso valore aggiunto - esempio tessile di consumo - mentre è ininfluente in settori ad elevatissimo contenuto tecnologico ed elevato valore aggiunto come automotive di lusso ed aerospaziale. più che la riduzione del costo del lavoro ritengo sia fondamentale aumentare la produttività in modo da diminuire il costo specifico del lavoro non solo senza ridurre i salari ma aumentandoli. sulla riduzione del cuneo fiscale siamo concordi le differenze emergono quando si entra nel dettaglio. deve ridursi la quota a carico delle aziende ma anche quella a carico del lavoratore.ma non senza regole: la quota aziendale deve esser finalizzata a ricerca ed investimenti - non ripetiamo il disastro della tremonti 1 - mentre per i lavoratori deve essere accompagnata da un corrispondente aumento di produttività. dissento profondamente da ogni tendenza di aumento di rigidità della legislazione in merito ai contratti prendiamo esempio dalle sciagurate norme sul lavoro a tempo determinato introdotte dalla riforma fornero che - come chi ha conoscenza diretta aveva previsto - hanno portato ad un mancato rinnovo dei contratti norma poi sanata da letta. occorre far ripartire il paese con le aziende nuovamente in crescita sarà la necessità a disporre di personale sempre più qualificato e da parte delle aziende a non farselo portar via a spostare i contratti verso il lavoro a tempo indeterminato. ogni intervento teso ad aumentare la rigidità è destinato a provocare ricadute dannose sulla disoccupazione tant' è vero che quanto fatto dal governo monti in due anni ha portato all'assunzione di soli 22.000 giovani e con un costo per assunto a carico dello stato di quasi 10.000 euro a testa.

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risultati ben migliori ed a minor costo si sarebbero ottenuti semplicemente non imponendo l'intervallo di 90 giorni fra fine contratto atipico e suo rinnovo e sopratutto li si sarebbero ottenuti a costo zero. grazie a fassina e soci si è continuato a far errori ed a sprecare preziose risorse vediamo di non proseguire su questa strada!! Giuseppe Ardizzone ha detto: Non posso che sottolineare questo intervento per la sua importanza. La riduzione del costo del lavoro ci è imposta dalla forte perdita di competitività delle nostre imprese che si trovano ad avere non solo un alto costo del lavoro ma anche un alto costo del denaro con rilevanti costi finanziari . Uno dei mali italiani classici è stata inoltre la generale sottocapitalizzazione. delle nostre aziende ed il ruolo ancora marginale dei fondi di venture capital. Il terzo elemento su cui in questi anni abbiamo sostanzialmente dilapidato tutto il nostro vantaggio competitivo è stato sulla mortificazione del merito a vantaggio di un mondo industriale sostanzialmente assistito e garantito da una posizione di privilegio all'interno del sistema Italia . Sotto la sfida della maggor apertura dei mercati e dell'affermarsi di nuovi paesi emergenti non siamo riusciti a stare al passo degli altri. Ora è vero che si può crescere tutti e che il miglioramento delle condizioni di vita dei nuovi paesi emergenti non si debba tradurre automaticamente nella riduzione del nostro livello di vita.; tutto questo è vero, ma a patto di non cadere nella spirale del sottosviluppo e della recessione e noi ci stiamo abbastanza dentro. In queste condizioni diventa inevitabile una relativa riduzione del nostro livello del benessere e questo deve almeno avvenire nel segno dell'equità. Quando si è parlato di riduzione del cuneo fiscale si è infatti detto di non ridurre il salario che va in mano al lavoratore ma il costo lordo sostenuto dall'impresa mettendolo il più possibile a carico della fiscalità generale. Chiedendo in parole povere un contributo maggiore ai patrimoni , alla rendita ed ai redditi elevati.La riduzione dei costi non è sufficiente se tuttavia non si cambia marcia e non si mette la ricerca , l'innovazione , il merito al primo posto spazzando via clientela , corruzione, privilegio e criminalità organizzata. Diventa inoltre decisivo affrontare il dualismo del mercato del lavoro e la sua semplificazione. Dobbiamo appoggiare la del diritto del lavoro riducendo le innumerevoli forme contrattuali e ridando semplicità ed un minimo di prospettive ai giovani . Con la scusa della flessibilità si è letteralmente trasformato il mercato del lavoro sino ai quarantanni di età verso la sua definitiva precarizzazione . Mi rendo conto che le aziende hanno bisogno di una riduzione dei costi ma questo è lo stesso motivo per cui nel mezzoglorno si opera attraverso l'evasione fiscale ed il lavoro nero. Dobbiamo porre fine a questo scempio . Neanche l'Europa è esente da questo problema e trovare la strada per un minimo salariale e per una standardizzazione dei contratti di lavoro dell'area euro è possibile e doveroso. Si può fare .? E' necessario e se non lo realizza la democrazia credendo di poter dare ancora al popolo inc.....to l'ultima brioche al posto del pane vedo un grande pericolo per il nostro sistema democratico. Certo, il pericolo per la democrazia può venire anche da una dura repressione reazionaria che stabilizza a favore di soliti privilegiati il sottosviluppo. L'Europa è una remora a tutto questo ma potrebbe non bastare. A quel punto come sempre non resterebbe che riprendere il cammino storico dell'emigrazione di massa. Mi auguro di no. Mi auguro che Renzi possa essere la carta vincente dle nostro partito per ottenere quei consensi necessari per ribaltare la situazione. Il governo di larghe intese non può fare questi cambiamenti. Troppi interessi e troppe mediocrità. Ci vuole aria nuova e pulita. Il partito non dovrà abbandonare Renzi o isolarlo c'è bisogno della collaborazione di tutti e di un rapporto costruttivo e continuo con la base . Vigilanza democratica ed impegno per una vera e propria rivoluzione progressista e democratica. Fabio Colasanti ha detto: Un'osservazione generale. Il dibattito sulla riduzione del "cuneo fiscale" si sta concentrando sui 14 euro al mese in più che i lavoratori troverebbero in più nella busta paga (o 100 euro al mese in più secondo Renzi). Ma le proposte di riduzione del cuneo fiscale hanno come scopo la riduzione del costo del lavoro, non dare soldi in più ai lavoratori. La vera misura dell'efficacia di una proposta di riduzione del cuneo fiscale è nella misura della riduzione del costo del lavoro. Ma di questo aspetto non si parla affatto. Non ho visto nessuna stima. Il dibattito attuale su quanto va in busta paga rischia di influenzare le modalità di qualunque misura che sarà presa e di portare ad aumentare il più possibile la parte che andrà in busta paga. Se tutto l'intervento pubblico andasse in busta paga, l'effetto ricercato - la riduzione del costo del lavoro - sarebbe mancato completamento. Chi ha originariamente proposto di ridurre il cuneo fiscale per recuperare parte della competitività perduta non aveva previsto nemmeno un euro nella busta paga dei lavoratori. I benefici della proposta dovrebbero venire da un aumento dell'occupazione - visto il costo del lavoro più basso - e non dall'aumento dei redditi di chi già lavora. Purtroppo i sindacati e tutto il sistema politico italiano lavorano a favore di chi è già nel mondo del lavoro e non a favore di chi ne è fuori (i disoccupati).

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Risposto da adriano succi su 28 Ottobre 2013 a 18:33 Fassina critica - giustamente - la proposta sbagliatissima di Renzi di finanziare una riduzione del cuneo fiscale con le "dismissioni" (a "Otto e mezzo" di venerdi scorso ha detto che 5 dei 21 miliardi che vorrebbe investire sul cuneo fiscale dovrebbero venire da dismissioni di patrimonio pubblico). ===> Dismettere o vendere solo per fare cassa sarebbe sbagliatissimo se prima non si riorganizza il Paese in modo che quello che entra di nuovo venga impiegato bene. Fatico però a pensare che Renzi sia così ingenuo da sostenere di vendere come Fassina lo ha interpretato. ……… La vera misura dell'efficacia di una proposta di riduzione del cuneo fiscale è nella misura della riduzione del costo del lavoro. ===> Aggiungerei che se il tutto si risolvesse in qualche Euro in più da spendere senza che il nostro mondo produttivo avesse alzato la qualità del prodotto, gli Italiani quei soldi di più in tasca li spenderebbero per comprare prodotti stranieri.

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 29 Ottobre 2013 a 0:28 Giorgio,la riduzione del costo per l'impresa dovrebbe consnetire una riduzione del prezzo del prodotto e maggiore competitività sul mercato . Hai poi ragione a pretendre che gli utili siano investiti nella ricerca e quindi per l'aumento della produttività. Come ottenere tutto questo? Probabilmente consentendo uno sgravio fiscale sugli utilii destinati al'investimento in ricerca ed innovazione. Io dewstinerei in questa fase tutta la riduzione del cuneo per la dettrazione dei costi per l'impresa. Sono invece in totale disaccordo sulla questione del lavoro. Non abbiamo bisogno di mille contratti atipici . Abbiamo bisogno di un contratto a tempo indeterminato a garanzia progressiva ed un unico contratto a tempo detrminato da utilizzare per la flessibilità a determinate condizioni da contrattare . Abbiamo poi bisogno che qualunque sia la modalità di prestazione del lavoro e la tipologia del contratto vi sia un minimo salariale uguale per tutti e possibilmente uguale in tutta l'area euro. Il resto sono discussioni di cui non capisco la realtà e lo scopo. Se non si ha a cuore il destino delle persone non si arriva a niente. Una società che sfrutta l'entusiasmo e la volontà dei suoi figli più giovani , senza un reale motivo ma per una sostanziale incapacità di mettersi in gioco mi fa solo pena.Bisogna almeno dare un minimo che permetta a chiunque una speranza di vita. La flessibilità può essere solo un'eccezione e non la regola e non ci sono ragioni che tengano. giorgio varaldo ha detto: mi trovo in parziale disaccordo l'importanza del costo del lavoro è funzione diretta del livello tecnologico del valore aggiunto del prodotto e della quota di manodopera necessaria pertanto può esser fondamentale in settori ad elevato contenuto di manodopera e basso valore aggiunto - esempio tessile di consumo - mentre è ininfluente in settori ad elevatissimo contenuto tecnologico ed elevato valore aggiunto come automotive di lusso ed aerospaziale. più che la riduzione del costo del lavoro ritengo sia fondamentale aumentare la produttività in modo da diminuire il costo specifico del lavoro non solo senza ridurre i salari ma aumentandoli. sulla riduzione del cuneo fiscale siamo concordi le differenze emergono quando si entra nel dettaglio. deve ridursi la quota a carico delle aziende ma anche quella a carico del lavoratore.ma non senza regole: la quota aziendale deve esser finalizzata a ricerca ed investimenti - non ripetiamo il disastro della tremonti 1 - mentre per i lavoratori deve essere accompagnata da un corrispondente aumento di produttività. dissento profondamente da ogni tendenza di aumento di rigidità della legislazione in merito ai contratti prendiamo esempio dalle sciagurate norme sul lavoro a tempo determinato introdotte dalla riforma fornero che - come chi ha conoscenza diretta aveva previsto - hanno portato ad un mancato rinnovo dei contratti norma poi sanata da letta. occorre far ripartire il paese con le aziende nuovamente in crescita sarà la necessità a disporre di personale sempre più qualificato e da parte delle aziende a non farselo portar via a spostare i contratti verso il lavoro a tempo indeterminato.

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ogni intervento teso ad aumentare la rigidità è destinato a provocare ricadute dannose sulla disoccupazione tant' è vero che quanto fatto dal governo monti in due anni ha portato all'assunzione di soli 22.000 giovani e con un costo per assunto a carico dello stato di quasi 10.000 euro a testa. risultati ben migliori ed a minor costo si sarebbero ottenuti semplicemente non imponendo l'intervallo di 90 giorni fra fine contratto atipico e suo rinnovo e sopratutto li si sarebbero ottenuti a costo zero. grazie a fassina e soci si è continuato a far errori ed a sprecare preziose risorse vediamo di non proseguire su questa strada!! Giuseppe Ardizzone ha detto: Non posso che sottolineare questo intervento per la sua importanza. La riduzione del costo del lavoro ci è imposta dalla forte perdita di competitività delle nostre imprese che si trovano ad avere non solo un alto costo del lavoro ma anche un alto costo del denaro con rilevanti costi finanziari . Uno dei mali italiani classici è stata inoltre la generale sottocapitalizzazione. delle nostre aziende ed il ruolo ancora marginale dei fondi di venture capital. Il terzo elemento su cui in questi anni abbiamo sostanzialmente dilapidato tutto il nostro vantaggio competitivo è stato sulla mortificazione del merito a vantaggio di un mondo industriale sostanzialmente assistito e garantito da una posizione di privilegio all'interno del sistema Italia . Sotto la sfida della maggor apertura dei mercati e dell'affermarsi di nuovi paesi emergenti non siamo riusciti a stare al passo degli altri. Ora è vero che si può crescere tutti e che il miglioramento delle condizioni di vita dei nuovi paesi emergenti non si debba tradurre automaticamente nella riduzione del nostro livello di vita.; tutto questo è vero, ma a patto di non cadere nella spirale del sottosviluppo e della recessione e noi ci stiamo abbastanza dentro. In queste condizioni diventa inevitabile una relativa riduzione del nostro livello del benessere e questo deve almeno avvenire nel segno dell'equità. Quando si è parlato di riduzione del cuneo fiscale si è infatti detto di non ridurre il salario che va in mano al lavoratore ma il costo lordo sostenuto dall'impresa mettendolo il più possibile a carico della fiscalità generale. Chiedendo in parole povere un contributo maggiore ai patrimoni , alla rendita ed ai redditi elevati.La riduzione dei costi non è sufficiente se tuttavia non si cambia marcia e non si mette la ricerca , l'innovazione , il merito al primo posto spazzando via clientela , corruzione, privilegio e criminalità organizzata. Diventa inoltre decisivo affrontare il dualismo del mercato del lavoro e la sua semplificazione. Dobbiamo appoggiare la del diritto del lavoro riducendo le innumerevoli forme contrattuali e ridando semplicità ed un minimo di prospettive ai giovani . Con la scusa della flessibilità si è letteralmente trasformato il mercato del lavoro sino ai quarantanni di età verso la sua definitiva precarizzazione . Mi rendo conto che le aziende hanno bisogno di una riduzione dei costi ma questo è lo stesso motivo per cui nel mezzoglorno si opera attraverso l'evasione fiscale ed il lavoro nero. Dobbiamo porre fine a questo scempio . Neanche l'Europa è esente da questo problema e trovare la strada per un minimo salariale e per una standardizzazione dei contratti di lavoro dell'area euro è possibile e doveroso. Si può fare .? E' necessario e se non lo realizza la democrazia credendo di poter dare ancora al popolo inc.....to l'ultima brioche al posto del pane vedo un grande pericolo per il nostro sistema democratico. Certo, il pericolo per la democrazia può venire anche da una dura repressione reazionaria che stabilizza a favore di soliti privilegiati il sottosviluppo. L'Europa è una remora a tutto questo ma potrebbe non bastare. A quel punto come sempre non resterebbe che riprendere il cammino storico dell'emigrazione di massa. Mi auguro di no. Mi auguro che Renzi possa essere la carta vincente dle nostro partito per ottenere quei consensi necessari per ribaltare la situazione. Il governo di larghe intese non può fare questi cambiamenti. Troppi interessi e troppe mediocrità. Ci vuole aria nuova e pulita. Il partito non dovrà abbandonare Renzi o isolarlo c'è bisogno della collaborazione di tutti e di un rapporto costruttivo e continuo con la base . Vigilanza democratica ed impegno per una vera e propria rivoluzione progressista e democratica. Fabio Colasanti ha detto: Un'osservazione generale. Il dibattito sulla riduzione del "cuneo fiscale" si sta concentrando sui 14 euro al mese in più che i lavoratori troverebbero in più nella busta paga (o 100 euro al mese in più secondo Renzi). Ma le proposte di riduzione del cuneo fiscale hanno come scopo la riduzione del costo del lavoro, non dare soldi in più ai lavoratori. La vera misura dell'efficacia di una proposta di riduzione del cuneo fiscale è nella misura della riduzione del costo del lavoro. Ma di questo aspetto non si parla affatto. Non ho visto nessuna stima. Il dibattito attuale su quanto va in busta paga rischia di influenzare le modalità di qualunque misura che sarà presa e di portare ad aumentare il più possibile la parte che andrà in busta paga. Se tutto l'intervento pubblico andasse in busta paga, l'effetto ricercato - la riduzione del costo del lavoro - sarebbe mancato completamento. Chi ha originariamente proposto di ridurre il cuneo fiscale per recuperare parte della competitività perduta non aveva previsto nemmeno un euro nella busta paga dei lavoratori. I benefici della proposta dovrebbero venire da un aumento dell'occupazione - visto il costo del lavoro più basso - e non dall'aumento dei redditi di chi già lavora.

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Purtroppo i sindacati e tutto il sistema politico italiano lavorano a favore di chi è già nel mondo del lavoro e non a favore di chi ne è fuori (i disoccupati).

Risposto da giorgio varaldo su 29 Ottobre 2013 a 1:27 riguardo all'importanza del costo del lavoro ritengo che occorra discutere con numeri quindi mi prendo un pochino di tempo in modo da poter fornire dati analitici alla discussione. riguardo alla flessibilità del lavoro sappiamo tutti che se si abolisse l'inutile ed obsoleto art 18 risolveremmo in modo semplice e razionale la giurisprudenza del lavoro ma ho seri dubbi che la voglia di innovazione possa spingere la sinistra a fare questo salto epocale quindi va bene una semplificazione della tipologia dei contratti secondo il principio aureo del semplice significa funzionale. quando l'economia di un paese cresce crescono gli occupati e quando l'economia decresce anche gli occupati si riducono . l'esperienza di questi anni e quanto succede ogni giorno ci ha dimostrato che pur avendo la legislazione del lavoro protettiva all'eccesso la disoccupazione aumenta e come è accaduto a tante aziende anche alla electrolux di porcia non sarà la legge 300/70 a conservare i posti di lavoro a rischio. e di queste semplici realtà dobbiamo tenerne conto! Giuseppe Ardizzone ha detto: Giorgio,la riduzione del costo per l'impresa dovrebbe consnetire una riduzione del prezzo del prodotto e maggiore competitività sul mercato . Hai poi ragione a pretendre che gli utili siano investiti nella ricerca e quindi per l'aumento della produttività. Come ottenere tutto questo? Probabilmente consentendo uno sgravio fiscale sugli utilii destinati al'investimento in ricerca ed innovazione. Io dewstinerei in questa fase tutta la riduzione del cuneo per la dettrazione dei costi per l'impresa. Sono invece in totale disaccordo sulla questione del lavoro. Non abbiamo bisogno di mille contratti atipici . Abbiamo bisogno di un contratto a tempo indeterminato a garanzia progressiva ed un unico contratto a tempo detrminato da utilizzare per la flessibilità a determinate condizioni da contrattare . Abbiamo poi bisogno che qualunque sia la modalità di prestazione del lavoro e la tipologia del contratto vi sia un minimo salariale uguale per tutti e possibilmente uguale in tutta l'area euro. Il resto sono discussioni di cui non capisco la realtà e lo scopo. Se non si ha a cuore il destino delle persone non si arriva a niente. Una società che sfrutta l'entusiasmo e la volontà dei suoi figli più giovani , senza un reale motivo ma per una sostanziale incapacità di mettersi in gioco mi fa solo pena.Bisogna almeno dare un minimo che permetta a chiunque una speranza di vita. La flessibilità può essere solo un'eccezione e non la regola e non ci sono ragioni che tengano.

Risposto da Fabio Colasanti su 30 Ottobre 2013 a 15:19 Giorgio, è chiaro che a seconda del settore, a seconda delle coratteristiche del prodotto, a seconda dell'incidenza del costo del lavoro nel costo totale il costo del lavoro sarà più o meno importante. Ma comunque ha sempre un'importanza. per alcuna imprese sarà promordiale, per altre sarà molto meno importante di altri costi. Ma una certa importanza ce l'ha sempre. Per un'economia nel suo complesso è la stessa cosa. Per alcune è più importante - è forse l'unica cosa su cui possono competere - per altre e meno importante. Ma a parità di tutti gli altri elementi la competituvità di un'economia (e quindi il suo grado di attività e di occupzione) sarà maggiore con uncosto del lavoro piùcontenuto che con uno molto alto. E' chiaro che tra gi "altri elementi" la produttività è il più importante. Ma non si puo'dare l'impressione che il costo del lavoro non abbia importanza.

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giorgio varaldo ha detto: mi trovo in parziale disaccordo l'importanza del costo del lavoro è funzione diretta del livello tecnologico del valore aggiunto del prodotto e della quota di manodopera necessaria pertanto può esser fondamentale in settori ad elevato contenuto di manodopera e basso valore aggiunto - esempio tessile di consumo - mentre è ininfluente in settori ad elevatissimo contenuto tecnologico ed elevato valore aggiunto come automotive di lusso ed aerospaziale. più che la riduzione del costo del lavoro ritengo sia fondamentale aumentare la produttività in modo da diminuire il costo specifico del lavoro non solo senza ridurre i salari ma aumentandoli. sulla riduzione del cuneo fiscale siamo concordi le differenze emergono quando si entra nel dettaglio. deve ridursi la quota a carico delle aziende ma anche quella a carico del lavoratore.ma non senza regole: la quota aziendale deve esser finalizzata a ricerca ed investimenti - non ripetiamo il disastro della tremonti 1 - mentre per i lavoratori deve essere accompagnata da un corrispondente aumento di produttività. ( ... )

Risposto da giorgio varaldo su 30 Ottobre 2013 a 15:48 Fabio la mia preoccupazione riguardo al taglio del costo del lavoro e' che si concentri tutto sugli importi e che non si intervenga sul lato normativo. Uno dei fattori che penalizzano anche dal punto di vista costi e' la rigidita' normativa. Porto l'esempio del lavoro a tre turni continuativo . In germania si riesce a coprire le ferie con assunzioni a tempo determinato in molti casi di studenti figli dei lavoratori e con la flessibilita' degli orari e dei turni si coprono i tre turni con meno di 4 squadre. La corrispondente axienda italiana in un sistema piu' rigido di squadre deve averne da 4,5 a 5. A parita' di condizioni il lavoratore italiano dovrebbe avere uno stipendio inferire del 20% a quello del suo collega tedesco. Se poi ci aggiungiamo il maggior peso della burocrazia come riportato da alessandro abbiamo dipendenti occupati a soddidfare le voglie della burocrazia nostrana sconosciuti a quella tedesca quindi per noi maggior costo del lavoro Conoscendo come vanno le cose nel nostro paese andra' a finire che dopo aver ridotto il costo del lavoro delle altre riforme non se ne fara' nessuna.

Risposto da giorgio varaldo su 30 Ottobre 2013 a 15:56 Se poi aggiungiamo una forte resistenza da parte dei sindacati a delegare la contrattazione a livello aziendale e locale e l'appoggio acritico dato loro da buona parte della sinistra le preoccupazioni in merito non e' che siano tanto campate in aria!

Risposto da Fabio Colasanti su 19 Novembre 2013 a 17:54 Da leggere: http://www.repubblica.it/economia/2013/11/19/news/italia_fanalino_d...

Risposto da Fabio Colasanti su 19 Novembre 2013 a 17:55

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Un'amara riflessione su quello che si puo' sperare. http://www.repubblica.it/economia/2013/11/19/news/spending-review_i...

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 20 Novembre 2013 a 19:21 Si fa attuale l'ipotesi della rivalutazione delle quote della Banca d'Italia detenuta dalle banche private http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-11-20/stop-seconda-rata... Avevamo pubblicato qualche tempo fa un articolo sull'argomento della voce.info mi sembra all'interno di questa discussione

Risposto da Fabio Colasanti su 21 Novembre 2013 a 2:49 La Voce sulle quote della BdI http://www.lavoce.info/quanto-vale-la-banca-ditalia/

Risposto da Fabio Colasanti su 22 Novembre 2013 a 15:11 La Voce sulle proposte attuali di privatizzazione: http://www.lavoce.info/privatizzazioni-liberalizzazioni-eni-enel-po...

Risposto da Fabio Colasanti su 25 Novembre 2013 a 10:16 Les Echos si lamenta per la posizione della Francia - penultima - ma all'ultimo posto in Europa ci siamo noi ! Alessandro potrà darci un parere. Les Echos Fiscalité des entreprises : la France avant-dernière du palmarès européen Par Elsa Conesa | 21/11 | 06:00 Le taux des prélèvements sur les entreprises approche 65 %, selon une étude menée par PWC et la Banque mondiale.

Risposto da Fabio Colasanti su 26 Novembre 2013 a 7:28 Interessante. http://www.repubblica.it/economia/rubriche/il-commento/2013/11/25/n...

Risposto da Fabio Colasanti su 27 Novembre 2013 a 12:27 La Voce continua - vox clamans ... - e ricordarci i rischi della "furbata" con la rivalutazione delle quote di Banca d'Italia.

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http://www.lavoce.info/rivalutazione-patrimonio-banca-ditalia/

Risposto da Giuseppe Ardizzone su 28 Novembre 2013 a 19:58 a proposito del MPS http://www.repubblica.it/economia/2013/11/27/news/economia_l_interv...

Risposto da Fabio Colasanti su 3 dicembre 2013 a 4:31 Con il trucco della rivalutazione delle quote in Banca d'Italia il governo ha effettivamente assunto un prestito (un giorno bisognerà riconoscere il fatto che la Banca d'Italia è un'impresa pubblica al 100%) con un tasso di interesse altissimo e una rata di rimborso perpetua. Come è possibile che tutti accettino questa porcata senza protestare? http://www.lavoce.info/quote-bdi/

Risposto da Fabio Colasanti su 9 dicembre 2013 a 13:25 Questo contribuisce all'evasione fiscale. Italia resta regno del contante. 09 dicembre, Ansa Italia regno contante, ultima Ue altri pagamenti - In Italia l'uso del contante continua a regnare sovrano, mentre quanto a utilizzo di altri e più moderni strumenti di pagamento restiamo sempre fanalino di coda in Ue. Da noi, secondo quanto emerge dal rapporto di Bankitalia su "Sepa e i suoi riflessi sul sistema dei pagamenti italiano", nel 2012 l'83% delle transazioni complessive veniva eseguito in contante a fronte di una media europea del 65%. E allo stesso tempo in Italia il numero delle operazioni pro capite annue effettuate con strumenti di pagamento diversi dal contante sono solo 71 contro le 187 della media europea e delle 194 di quella dell'area euro. Sotto questo aspetto, l'Italia si stacca nettamente dagli altri grandi partner europei che tra bonifici, addebiti, operazioni con carte di pagamento e assegni, effettuano un numero di transazioni con strumenti di pagamento diversi dal contante ben superiore ogni anno. In cima alla lista ci sono i Paesi Bassi (349 operazioni procapite), seguiti dal Regno Unito (292), dalla Francia (276) e dalla Germania (222). Ma a superarci è anche la Spagna con 125 operazioni all'anno contro le nostre 71. In Italia, in particolare, fra gli strumenti di pagamento alternativi al contante vengono utilizzati in prevalenza quelli più costosi, come gli assegni (19 operazioni pro capite annue). E sebbene ci sia da noi una discreta diffusione delle transazioni con carte (il 40% circa del totale), bonifico e addebito diretto sono utilizzati solo per il 15-17% dei casi, dato inferiore alla media europea (30%).

Risposto da Fabio Colasanti su 11 dicembre 2013 a 8:25 Un articolo sulle ragioni per le quali le banche comprano titoli di stato invece di fare prestiti alle imprese. Ma se cambiassimo le regole che creano questa situazione il costo del debito pubblico salirebbe. Non se ne esce. http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2013-12-09/ecco-pe...

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Risposto da Fabio Colasanti su 18 dicembre 2013 a 10:19 Web Tax. Credo che Giorgio avesse chiesto l'opinione di altri membri del Circolo su questo punto. Ancora non ho un'idea molto chiara, ma mi sembra di cominciare a vedere quale sia il problema. Se le cose stanno come le vedo in questo momento, mi sembra che si sia in presenza di una nuova soluzione sbagliata secondo un'abitudine tipica nostra. Ci sono tantissimi problemi ai quali bisogna trovare una soluzione. Ma troppo spesso, invece di fare un'analisi razionale del problema ed individuarne l'origine, si cerca semplicemente di introdurre una nuova norma per curare un sintomo particolarmente spiacevole. Questo non il problema, spesso non cura nemmeno il sintomo, ma in ogni caso contribuisce a creare quel guazzabuglio di leggi - spesso contraddittorie - nel quale dobbiamo operare. Alcuni hanno proposto una tassa che viene chiamata dalla stampa una "Web Tax". Già questo è una cosa che condanna l'iniziativa, ammesso fosse giustificata. In realtà la norma proposta non è affatto una tassa sulla rete. Quale è il problema? Le imprese multinazionali pagano tasse bassissime utlizzando tante scappatoie permesse dalla legislazione di tanti paesi. Il problema è diventato macroscopico, molte riunioni internazionali sono state dedicate a questo tema e l'OCSE ha fatto proposte ragionevoli. Purtroppo non si fanno grandi progressi perché molti paesi continuano ad operare come "paradisi fiscali" per le imprese e non si riesce ad ottenere un cambio di politica. Il problema esiste da moltissimi anni e riguarda mille imprese operanti in tutti i settori. La proposta che va sotto il brutto nome di "web tax", vuole risolvere questo problema solo per alcune imprese, quelle che operano vendendo pubblicità sull'internet. Perché non risolvere il problema generale? Perché invocare il fatto che le multinazionali non pagano le tasse che dovrebbero e poi proporre un rimedio che tocca solo alcune multinazionali e non altre? Perché intervenire solo sul settore della pubblicità su internet e non su altri? Ma il problema più grave è che la proposta di legge stabilisce che chi compra certi servizi su internet deve farlo solo da società che abbiano una partita IVA italiana? Questo equivale un po' - l'esagerazione è piccola - a che i clienti internazionali di Alessandro fossero obbligati a chiedergli di avere una partita IVA nel loro paese prima di poter comprare i suoi prodotti. C'è il rischio che la norma - scritta per la pubblicità raccolta da Google e altre società - rischi poi di applicarsi a tante altre cose. Se io compro on line un viaggio da un'agenzia di viaggi situata in un altro paese, non compro forse un servizio sull'internet? Dovremmo forse imporre che chiunque opera via internet abbia una partita IVA in tutti i paesi dai quali può accettare ordini ? Dubito fortemente che una norma del genere sia compatibile con il diritto comunitario. Una cosa è certa. Una nomra del genere, che effettivamente isola il paese dal commercio internazionale, non conviene ad un paese esportatore come il nostro. Non stiamo facendo sforzi per attrarre investimenti? Il dibattito sulla Web Tax mi ricorda il calvario di Enrico Letta che parlava a Wall Street per convincere gli investitori americani e internazionali ad investire in Italia proprio mentre in Italia si levavano voci scandalizzate contro lo straniero che si permetteva di passare dal 4 al 10 per cento della Telco che controlla Telecom Italia !

Risposto da giorgio varaldo su 18 dicembre 2013 a 12:57 grazie della spiegazione. Fabio Colasanti ha detto: Web Tax. Credo che Giorgio avesse chiesto l'opinione di altri membri del Circolo su questo punto. Ancora non ho un'idea molto chiara, ma mi sembra di cominciare a vedere quale sia il problema. Se le cose stanno come le vedo in questo momento, mi sembra che si sia in presenza di una una nuova soluzione sbagliata secondo un'abitudine tipica nostra. Ci sono tantissimi problemi ai quali bisogna trovare una soluzione. Ma troppo spesso, invece di fare un'analisi razionale del problema ed individuarne l'origine, si cerca semplicemente di introdurre una nuova norma per curare un sintomo particolarmente spiacevole. Questo non il problema, spesso non

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cura nemmeno il sintomo, ma in ogni caso contribuisce a creare quel guazzabuglio di leggi - spesso contraddittorie - nel quale dobbiamo operare. Alcuni hanno proposto una tassa che viene chiamata dalla stampa una "Web Tax". Già questo è una cosa che condanna l'iniziativa, ammesso fosse giustificata. In realtà la norma proposta non è affatto una tassa sulla rete. Quale è il problema? Le imprese multinazionali pagano tasse bassissime utlizzando tante scappatoie permesse dalla legislazione di tanti paesi. Il problema è diventato macroscopico, molte riunioni internazionali sono state dedicate a questo tema e l'OCSE ha fatto proposte ragionevoli. Purtroppo non si fanno grandi progressi perché molti paesi continuano ad operare come "paradisi fiscali" per le imprese e non si riesce ad ottenere un cambio di politica. Il problema esiste da moltissimi anni e riguarda mille imprese operanti in tutti i settori. La proposta che va sotto il brutto nome di "web tax", vuole risolvere questo problema solo per alcune imprese, quelle che operano vendendo pubblicità sull'internet. Perché non risolvere il problema generale? Perché invocare il fatto che le multinazionali non pagano le tasse che dovrebbero e poi proporre un rimedio che tocca solo alcune multinazionali e non altre? Perché intervenire solo sul settore della pubblicità su internet e non su altri? Ma il problema più grave è che la proposta di legge stabilisce che chi compra certi servizi su internet deve farlo solo da società che abbiano una partita IVA italiana? Questo equivale un po' - l'esagerazione è piccola - a che i clienti internazionali di Alessandro fossero obbligati a chiedergli di avere una partita IVA nel loro paese prima di poter comprare i suoi prodotti. C'è il rischio che la norma - scritta per la pubblicità raccolta da Google e altre società - rischi poi di applicarsi a tante altre cose. Se io compro on line un viaggio da un'agenzia di viaggi situata in un altro paese, non compro forse un servizio sull'internet? Dovremmo forse imporre che chiunque opera via internet abbia una partita IVA in tutti i paesi dai quali può accettare ordini ? Dubito fortemente che una norma del genere sia compatibile con il diritto comunitario. Una cosa è certa. Una nomra del genere, che effettivamente isola il paese dal commercio internazionale, non conviene ad un paese esportatore come il nostro. Non stiamo facendo sforzi per attrarre investimenti? Il dibattito sulla Web Tax mi ricorda il calvario di Enrico Letta che parlava a Wall Street per convincere gli investitori americani e internazionali ad investire in Italia proprio mentre in Italia si levavano voci scandalizzate contro lo straniero che si permetteva di passare dal 4 al 10 per cento della Telco che controlla Telecom Italia !

Risposto da giorgio varaldo su 18 dicembre 2013 a 14:22 grazie giuseppe Giuseppe Picciolo ha detto: Sulla web tax riporto una parte di un intervento nel gruppo Facebook del PD Bergamo In sostanza la Web Tax impone, a chiunque voglia vendere un servizio, una pubblicità o un qualsiasi bene legato al commercio online, il possesso della partita iva italiana. Nessun soggetto escluso, nemmeno i grandi colossi del calibro di Google, Yahoo o Amazon che, dunque, per essere operativi sul nostro territorio dovrebbero intraprendere anche loro questa procedura o chiudere i commerci con il Bel Paese. Questa tassa, inclusa nell'emendamento alla Legge di Stabilità e approvata lo scorso 12 dicembre alla Commissione di bilancio della Camera è stata principalmente pensata per proteggere merci e servizi italiani che, così facendo, andrebbero a creare maggiori ricavi e commerci interni, migliorando, così si spera, l'economia, ed evitando che risorse utili vengano spese verso l'estero.Un'idea che, però, va incontro a numerosi problemi e vizi, primo tra tutti il diritto comunitario europeo,--------------------------------------- https://www.facebook.com/groups/35651655708//1015206328705...

Risposto da Fabio Colasanti su 18 dicembre 2013 a 14:22

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Giuseppe, esiste l'OPA e esistono regole su come e quando le OPA vanno lanciate ed eseguite. Se queste regole non vanno bene si cambiano. Ma al momento non sembra proprio che ci sia una violazione qualsiasi delle regole in vigore. Giuseppe Picciolo ha detto: Dice fabio in Italia si levavano voci scandalizzate contro lo straniero che si permetteva di passare dal 4 al 10 per cento della Telco che controlla Telecom Italia ! Esiste un istituto chiamato OPA che ha il pregio di consentire anche ai piccoli azionisti di partecipare alla festa e di non fare sempre la parte del tacchino alla festa. io sono nel mio piccolo uno di quei piccoli(ssimi) azionisti. Pagate 1,50 Euro in media; valore attuale 0,50 ? (forse meno). Se fa tanta gola Telecom perchè le mie azioni valgono sempre meno?

Risposto da Fabio Colasanti su 18 dicembre 2013 a 14:27 Giuseppe, uno dei principi fondamentali del mercato interno è che un'impresa, dovunque sia stabilita nel territorio dell'Unione europea, può offrire beni e servizi in tutta l'Unione cosi come un'impresa italiana può offrire beni e servizi in ogni parte d'Italia. Richiedere che le imprese straniere si registrino in Italia per poter offrire beni e servizi è sicuramente contro il diritto comunitario e per ottime ragioni. Giuseppe Picciolo ha detto: Sulla web tax riporto una parte di un intervento nel gruppo Facebook del PD Bergamo In sostanza la Web Tax impone, a chiunque voglia vendere un servizio, una pubblicità o un qualsiasi bene legato al commercio online, il possesso della partita iva italiana. Nessun soggetto escluso, nemmeno i grandi colossi del calibro di Google, Yahoo o Amazon che, dunque, per essere operativi sul nostro territorio dovrebbero intraprendere anche loro questa procedura o chiudere i commerci con il Bel Paese. Questa tassa, inclusa nell'emendamento alla Legge di Stabilità e approvata lo scorso 12 dicembre alla Commissione di bilancio della Camera è stata principalmente pensata per proteggere merci e servizi italiani che, così facendo, andrebbero a creare maggiori ricavi e commerci interni, migliorando, così si spera, l'economia, ed evitando che risorse utili vengano spese verso l'estero.Un'idea che, però, va incontro a numerosi problemi e vizi, primo tra tutti il diritto comunitario europeo,--------------------------------------- https://www.facebook.com/groups/35651655708//1015206328705...

Risposto da Fabio Colasanti su 18 dicembre 2013 a 16:36 Giuseppe, ho scritto un lungo pezzo su Telecom Italia nel penultimo numero di Pensiero Democratico dove rispondo a tante delle tue domande. Il testo è stato pubblicato anche qui: http://www.key4biz.it/Focus_mail/Telecoms/2013/09/telecom_italia_fa... Giuseppe Picciolo ha detto: Non sono un esperto in materia e posso scrivere delle sciocchezze. Però il mio piccolo risparmio ha una storia antica. Erano Olivetti al tempo di De Benedetti. Passarono a Colaninno e con una serie di incomprensibili (per me)operazioni deventarono Telecom. Passarono a Tronchetti Provera, quindi all'ex AD di Telecom (mi sfugge il nome) e soci; adesso a Telefonica. Vista la ressa intorno a queste azioni dovrebbero valere almeno 10 Euro. E non ricordo un'OPA. Trovato: Bernabè

Risposto da giorgio varaldo su 18 dicembre 2013 a 17:09 dovevi venderle nel 1999 ci avresti fatto una piccola fortuna il valore odierno alle 17 è 0,68. Giuseppe Picciolo ha detto: Non sono un esperto in materia e posso scrivere delle sciocchezze. Però il mio piccolo risparmio ha una storia antica. Erano Olivetti al tempo di De Benedetti. Passarono a Colaninno e con una serie di incomprensibili (per me)operazioni

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deventarono Telecom. Passarono a Tronchetti Provera, quindi all'ex AD di Telecom (mi sfugge il nome) e soci; adesso a Telefonica. Vista la ressa intorno a queste azioni dovrebbero valere almeno 10 Euro. E non ricordo un'OPA. Trovato: Bernabè

Risposto da Fabio Colasanti su 21 dicembre 2013 a 17:17 Ancora sulla cosiddetta "Web Tax". Posto il link ad un articolo di forte critica di questa misura scritto da Michele Boldrin che l'ha pubblicato sul sito del quasi defunto movimento di Oscar Giannino: Fare. Interessante quello che scrive sulla posizione di Carlo De Benedetti. http://www.fermareildeclino.it/articolo/la-web-tax-e-le-promesse-su...