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Scuola 2011 di liberalismo di Benevento
µ¶ CI SENTIVAMO UNA
NAZIONE, DIVENIMMO
UNO STATO¶¶
Cosa rimane oggi del Risorgimento liberale.
Considerazioni e prospettive a 151 anni dall¶indolore
rivoluzione che sancì l¶adesione di Benevento al Regno
di Sardegna e a 150 anni dalla proclamazione del Regno
d¶Italia.
Emilio Mazzeo
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Introduzione
L¶Italia risorta
µ¶Ma risorta è l¶ Italia, e non si dica
Terra delle ruine;
Più non invidia le virtù latine,
Vince sé stessa antica:
Bella ad un tempo e forte,
Cinta del proprio ferro,
Donna della sua sorte,
Dal libro delle genti
Cancellata non è: libera vive,
E col sangue il suo nome alfin riscrive.¶¶
Giovan Battista Niccolini, celebre tragediografo e commediografo
fiorentino d¶impronta liberale, nei versi conclusivi di una sua poesia
significativamente intitolata Italia risorta, dipingeva così l¶Italia, riunita
in un unico stato e riconosciuta nazione indipendente dopo lunghe prove,
da cui apprese µ¶Quanto le sia fatale l¶esser divisa¶¶ .
La nazione italiana secondo il drammaturgo fiorentino era un ½½ modo di
essere comunit྾ che gli italiani già avevano conosciuto e che nella sua
forma più evoluta era proprio di tutti gli abitanti della penisola. Era
davvero così? Cioè, in altre parole, gli italiani dopo l¶unificazione si
sentivano membri di un¶unica nazione, accomunati dalla medesima storia,
tradizione, lingua e cultura?
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¹1.^ Sarebbe quest'ultima frase all'origine dei motti "Abbiamo fatto l'Italia, ora dobbiamo fare gl i italiani",
"Fatta l'Italia bisogna fare gli italiani" e simili, genericamente attribuiti a Massimo d'Azeglio. Tuttavia,
secondo gli storici Simonetta Soldani e Gabriele Turi, nell'introduzione a Fare gli italiani. Scuola e cultura
nell'Italia contemporanea, il Mulino, il motto "Fatta l'Italia bisogna fare gli Italiani" non apparterrebbe a
d'Azeglio, ma sarebbe stato coniato nel 1986 da Ferdinando Martini «nel tentativo di "tradurre" il senso
politico» (Carlo Fomenti, Siamo una nazione, ma chi ha fatto l'Italia?, Corriere della sera, 17 luglio 1993) di
tale frase nella prefazione a I miei ricordi.
La risposta è evidentemente negativa, infatti troppo marcate erano le
divergenze tra le varie popolazioni, che la nuova Italia aveva messo
insieme in soli due anni (1859-1861) e non potevano essere appianate ex
abrupto.
Consapevole di suddetta condizione fu Massimo d¶Azeglio che affermò:½½
il primo bisogno d¶Italia è che si formino italiani dotati d¶ alti e forti
caratteri. E pure troppo si va ogni giorno più verso il polo opposto: pur
troppo s¶è fatta l¶Italia, ma non si fanno gl¶Italiani¹¾¾.
Ancor più realistica e disincantata appare la posizione di Cavour il quale,
all¶ indomani dell¶unificazione, scriveva che non solo gli italiani, ma
neppure l¶Italia era µ¶fatta¶¶:½½ il mio compito è più complesso e faticoso
che in passato. Fare l¶ Italia, fondere assieme gli elementi che la
compongono, accordare Nord e Sud, tutto questo presenta le stesse
difficoltà di una guerra con l¶Austria e la lotta con Roma¾¾. Egli ben
sapeva, infatti, come si fosse giunti alla formazione dello stato italiano
grazie all¶ aiuto di circostanze favorevoli interne ed internazionali e ad
un¶accorta opera diplomatica. Tuttavia il miracolo italiano si era realizzato
e concretizzato nell¶unica forma possibile, ossia sotto l¶egida sabauda, e
ora che l¶Italia era, almeno formalmente µunita¶, non restava che sanarequesta che alcuni avevano definito una forzatura storica. La fase eroica
della lotta per il raggiungimento dell¶ indipendenza e dell¶ unità di
conseguenza lasciava spazio alla difficile costruzione di una nazione
moderna, costruzione coadiuvata ed ispirata a saldi principi liberali.
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¹2. Lezione di Luigi Compagna su Liberalismo e unità dItalia
¹3. La legge 1409 del 1863, nota come legge Pica, dal nome del suo promotore, il deputato abruzzese
Giuseppe Pica, fu approvata dal parlamento della Destra storica e fu promulgata da Vittorio Emanuele II, il
15 agosto di quell'anno. Presentata come "mezzo eccezionale e temporaneo di difesa", la legge fu più volte
prorogata ed integrata da successive modificazioni, rimanendo in vigore fino al 31 dicembre 1865. Sua
finalità primaria era porre rimedio al brigantaggio postunitario nel Mezzogiorno, attraverso la repressione
di qualunque fenomeno di resistenza.
Liberalismo e unità d¶Italia
Un contributo prezioso ed essenziale all¶ unità nazionale fu apportato dal
liberalismo italiano che , riprendendo le parole di Luigi Compagna¹, si
rivelò non meno originale del corrispettivo inglese, francese, tedesco edebbe come principale antagonista il localismo, vera e propria malattia
endemica.
Prima di parlare dei principali teorici liberali dell¶ unità è doveroso
focalizzarsi sui principi e le caratteristiche generali dello Stato liberale.
Per definizione lo Stato liberale è una forma di Stato che si pone come
obiettivo la tutela delle libertà o diritti inviolabili dei cittadini, attraverso
una Carta Costituzionale, come in Italia lo Statuto albertino. Le suefunzioni sono limitate a compiti di difesa e ordine pubblico, mentre
l'intervento in economia è minimo in accordo con la dottrina del libero
scambio di merci (liberismo).
Secondo Norberto Bobbio, filosofo e politologo italiano, lo Stato liberale
ha permesso l¶attuazione dei diritti civili contro il monopolio ideologico, e
la libera circolazione dei beni contro il monopolio economico e in esso lo
Stato è «ridotto a puro strumento di realizzazione dei fini individuali», poiché è nel "non Stato" che l¶individuo perfeziona la sua personalità.
In accordo con questa definizione sorge spontanea la domanda: l¶ Italia
postunitaria può a ragione definirsi stato liberale, considerando l¶aspra
repressione dei briganti e l¶ applicazione di leggi rigidissime nei loro
confronti, quali la legge Pica del 1863¹?
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La risposta a tale quesito potrebbe in apparenza sembrare negativa, ma in
realtà si evince che anche nel caso della legge sui generis sopra
menzionata lo Stato italiano si mostrò liberale nella forma, ossia nel
procedimento maggioritario con cui essa venne approvata.
Tornando alle principali figure liberali che animarono l¶unità nazionale,
punto di partenza della mia disamina è Silvio Spaventa, politico e patriota
dell¶ Ottocento, che sin dal 1848 riuscì a pensare all¶ Italia subordinando le
categorie municipali. Egli fin da subito comprese l¶importanza della
nascita dello stato nazionale la cui condizione indispensabile era il
Piemonte e fu sostenitore di uno Stato forte ma non autoritario.
Spaventa, in particolare si scagliò contro il municipalismo, fonte di
divisione e particolarismi, ritenendo che lo Stato dovesse essere l¶unico
riferimento. Una concezione sotto certi versi analoga fu espressa da
Francesco de Sanctis che in U n viaggio elettorale affida ad un notabile di
Lacedonia, detto il filosofo, la descrizione di come funzioni la vita del
localismo.
Tra l¶ operato politico di Spaventa spicca la strenua difesa della sicurezza
interna dello Stato culminata nella repressione del brigantaggio
meridionale e delle manifestazioni torinesi in protesta con lo spostamento
della capitale a Firenze. Come consigliere di Stato divenne celebre il suo
discorso sulla giustizia nell¶amministrazione pronunciato il 6 maggio
1880. In qualità di ministro dei Lavori Pubblici provocò la caduta della
Destra storica (1876) dopo il suo progetto di nazionalizzazione delle
ferrovie.
Egli, inoltre, dopo il terremoto di Casamicciola (1883), diede ospitalità al
giovane Benedetto Croce rimasto orfano, nella sua casa romana in viadella Missione, oggi sede dei gruppi parlamentari della camera dei
deputati.
E fu proprio Benedetto Croce a dire sul risorgimento italiano:½½ se per la
storia politica si potesse parlare di capolavori come di opere d¶arte, il
processo della indipendenza, libertà e unità d¶Italia meriterebbe di essere
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¹4. Benedetto Croce ( Storia dEuropa)
¹5. A.Omodeo, Introduzione a G.Mazzini, Scritti scelti, Mondadori, Milano 1934
detto il capolavoro dei movimenti liberal-nazionali del secolo decimo
nono: tanto ammirevole si vide in esso la contemperanza dei vari elementi,
il rispetto all¶antico e l¶innovare profondo, la prudenza sagace degli
uomini di stato e l¶impeto dei rivoluzionari e dei volontari, l¶ardimento e la
moderazione; tanto flessibile e coerente la logicità onde si svolse e
pervenne al suo fine¹¾¾.
µ¶Uomini di stato¶¶ forti e capaci quali Cavour, Mazzini e Garibaldi, ma
anche poco conosciuti come Salvatore Morelli, di cui in seguito parlerò
nello specifico.
Dell¶unità politica e territoriale della nostra penisola, ciascuno di loro ha
rappresentato un particolare aspetto fondamentale: Mazzini la sua
teorizzazione, Cavour, la sua effettiva preparazione a livello diplomatico,
Garibaldi, la sua realizzazione pratica. Il contributo apportato alla causa
comune da ognuno di loro, anche se compiuto in campi e modi diversi, si
saldò strettamente a quello degli altri, tanto da divenire indispensabile per
l¶ unità d¶Italia.
Di essa Mazzini può essere considerato il filosofo, la mente teorizzatrice, il
tessitore delle trame ideali che sorressero l¶azione militare e politica
successiva, coerente al binomio µ¶pensiero e azione¶¶, che egli stesso coniò
per riassumere il proprio programma politico. Egli, liberale democratico,
era convinto che nella storia fosse insito un ordinamento divino nel quale
la lotta per raggiungere l'unità nazionale assumeva un significato
provvidenziale. «Operare nel mondo significava per il Mazzini collaborare
all'azione che Dio svolgeva, riconoscere ed accettare la missione che
uomini e popoli ricevono da Dio¹». Per questo bisogna «mettere al centro
della propria vita il dovere senza speranza di premio senza calcoli diutilità¹.».
Sfortunatamente gli mancò il supporto pratico, come dimostrò il fallimento
di tutti i moti rivoluzionari contraddistinti dal marchio mazziniano,
naufragati nel nulla e nel sacrificio di molte vite umane, perché difettavano
di organizzazione, di una partecipazione massiccia consapevole e convinta,
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¹6. (G. Mazzini, Istruzione generale per gli affratellati nella Giovine Italia)
nonché di concretezza negli obiettivi prefissati. Mazzini fu comunque il
primo che, seguito poi anche da Garibaldi, cercò di dare corpo ad un reale
tentativo di rivolta per affermare il suo ideale di Italia repubblicana,
rimasto tuttavia nell¶astratta sfera dell¶ idealità (« Costituire (...) l'Italia in
Nazione Una, Indipendente, Libera, Repubblicana¹ »).
Altra figura di spicco, il cui contributo divenne indispensabile alla causa
dell¶unità italiana, fu Cavour, sotto il cui governo poté essere unita quasi
tutta l¶Italia, ad eccezione del Veneto e del Lazio. Anche se l¶ ideologia e
le posizioni di Mazzini e Cavour erano molto lontane le une da quelle
dell¶ altro, le loro azioni risultarono complementari al fine del comune
ideale: raggiungere l¶unità del paese.
Cavour, dotato di uno spirito più pratico e meno idealista di Mazzini, si
rese subito conto di come le forze italiane fossero insufficienti per
combattere e vincere il nemico austriaco e della conseguente necessità di
ottenere aiuto e sostegno da parte di un¶altra nazione europea; per
raggiungere questo scopo, mise in moto la macchina diplomatica, che egli
conosceva in ogni suo aspetto, anche il più recondito, quando con i patti di
Plombières ottenne l¶alleanza di Napoleone III. Davvero fu lui a decidere
le sorti dell¶ Italia unita, a percorrere i non facili sentieri della politicainternazionale, dispose, preparò, ordinò e , con trepidante attesa, sperò che
tutto si svolgesse secondo i piani. L¶Italia grazie alle sue straordinarie
capacità e alla sua perseveranza, riuscì ad attirare su di sé l¶ attenzione
internazionale, come risultò nel congresso di Parigi, dove il politico
torinese ottenne una giornata suppletiva di incontri dedicata alla situazione
del Piemonte, nella quale egli denunziò la condizione italiana come
potenziale causa di guerre e rivoluzioni. Egli sul piano politico-sociale fu
uno strenuo sostenitore del liberalismo moderato: auspicava, infatti,
riforme e trasformazioni che garantissero un ordinato e graduale progresso
civile. Pur consapevole del fatto che l¶allargamento della base elettorale
era inevitabile nel corso storico, era diffidente verso ogni veloce
modificazione e pertanto verso un¶attuazione immediata del suffragio
universale. Si scagliò contro il socialismo, perché riteneva che solo la
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libera iniziativa potesse portare ad una società dinamica e progressista; al
tempo stesso però, fu sostenitore del parlamentarismo, cioè di un sistema
in cui il governo è politicamente responsabile di fronte al Parlamento.
Anche un altro uomo riuscì a proiettare il nome e la fama italiana fuoridagli angusti limiti dei confini nazionali: Giuseppe Garibaldi, personaggio
forte e poliedrico che combatteva per gli ideali di libertà e indipendenza di
qualsiasi popolo. La sua figura era circondata quasi da un alone
leggendario, che gli permetteva di guidare l¶eterogenea massa di volontari,
proveniente da ogni parte d¶Italia. Cavour e Vittorio Emanuele capirono
ben presto il suo valore e gli lasciarono una certa libertà d¶azione, tranne
quando il suo entusiasmo avrebbe potuto condurlo a compiere azioni
dannose per la causa italiana. Garibaldi, nella sua azione militare, è statol¶effettivo esecutore degli ideali liberali, realizzando nelle sue imprese le
aspirazioni di libertà di ogni uomo, perseguendo sempre lo scopo
dell¶unità italiana, sia durante le guerre d¶indipendenza, sia nella
spedizione dei Mille e rimanendo ad essa sempre fedele.
Per quanto concerne le masse popolari, la loro partecipazione effettiva al
processo unitario fu assai modesta e µ¶pilotata¶¶ da una minoranza
detentrice del potere politico ed economico. Esemplificativi furono i plebisciti, consultazioni popolari che si ebbero tra il 1859 e il 1870 in
Italia, per sancire l¶annessione di nuovi territori, in cui la longa manus
della classe dirigente agì con tutti i mezzi possibili; a tal proposito basti
pensare che i contadini analfabeti furono guidati ai seggi dai proprietari
delle loro terre. A riprova di tale strumentalizzazione riporto uno stralcio
di un carteggio di Bettino Ricasoli ( 1809-1880), uomo politico esponente
dei liberal-democratici toscani che divenne presidente del Consiglio il 12
luglio 1861, subito dopo Cavour. ½½ Procurerete che tutti coloro che
dipendono da cotesta Amministrazione, e che hanno il diritto di dare il
voto, si portino a rendere questo voto e lo rendano per la U nione della
Monarchia Costituzionale di Vittorio Emanuele, che è il solo che può
giovare agli interessi del paese. Il modo poi che terrete sarà di riunirli tutti
ad un dato punto e con la bandiera tricolore alla testa, e avendo ciascuno la
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¹7. Carteggi di Bettino Ricasoli, vol XII
scheda in tasca, vi portiate in bell¶ordine al luogo di votazione. Questo è il
mio ordine che farete rispettare [ ] (Lettera del 6 marzo 1860 del barone
Bettino Ricasoli allo scrivano di Brolio) ¹¾¾.
Differente è invece l¶interpretazione di Alberto Mario Banti che nell¶opera P er una nuova storia del Risorgimento sostiene che il movimento
risorgimentale, da un punto di vista rigorosamente analitico sia stato un
movimento di µ¶massa¶¶. Di seguito le sue parole :½½ Quando si dice µ¶di
massa¶¶ vogliamo dire un¶altra cosa, semplice ma, ci sembra, importante.
Che al Risorgimento, inteso come un movimento politico che ha avuto
come fine la costituzione nella penisola italiana di uno stato nazione,
hanno preso attivamente parte molte decine di migliaia di persone; che
altre centinaia di migliaia di persone, spesso vicine a coloro che hannomilitato in senso stretto, al Risorgimento hanno guardato con
partecipazione, con simpatia sincera o con cauta trepidazione¾¾.
Interpretazione interessante, ma da trattare con prudenza, infatti il numero
effettivo di coloro che parteciparono al progetto unitario o di cui erano
almeno consapevoli, non è che un¶esigua minoranza rispetto ai ventisei
milioni di abitanti del 1861.
Nonostante questa µparziale¶ partecipazione popolare, ostacolata tra l¶altroda impedimenti pratici quali l¶analfabetismo diffuso o la difficile
circolazione e fruizione delle idee, con il movimento risorgimentale si
costruì uno Stato di tipo nuovo, uno Stato-nazione, ossia fondato sul
principio secondo cui la sovranità appartiene non a un singolo (il re), o a
gruppi ristretti (i nobili), ma all' intera popolazione di un territorio, una
collettività che dalla fine del Settecento viene identificata prevalentemente
col termine di µ¶nazione¶¶.
Eppure anche in tale contesto sorsero le prime divergenze, in quanto se il
Risorgimento fu un movimento unito per quel che riguarda l' idea di
nazione, fu invece profondamente diviso per ciò che concerne gli assetti
politico-costituzionali del nuovo Stato: i repubblicani si contrappongono ai
monarchici, i centralisti ai federalisti, i liberali ai democratici, e queste
diverse opzioni si combinano variamente, dando vita a gruppi politici vari.
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¹
Alla fine, compresi i rischi del decentramento, che si pensava potesse
mettere in grave pericolo l¶unità del Paese da poco raggiunta, prevalse
l¶orientamento centralista e si ebbe la nascita dello stato accentrato, con
una serie di ripercussioni soprattutto nel meridione.
Questo nuovo Stato, in accordo ai principi liberali, divenne un soggetto
autonomo al di sopra delle classi, in grado di regolare e dirimere i conflitti
sociali. Infatti il liberalismo è in primis una netta opposizione alla credenza
che l¶uomo possa da solo risolvere ogni questione, credenza che sarebbe
poi stata un tratto tipico del fascismo, come si evince dal Manifesto degli
intellettuali fascisti del 1925, che contiene l¶apologia dell¶uomo forte e
capace di affrontare ogni situazione.
Proprio per tutelare gli individui nel loro essere membri dello stato, i
primi passi dell¶unificazione furono segnati, per materie di rilievo
costituzionale, da una legislazione eccezionale. Era, a tal proposito,
necessario evitare che la neoformata Italia, esposta a contestazioni interne
e sotto osservazione internazionale, desse segni di debolezza e di
incertezza nell¶assumere le redini dell¶amministrazione e su queste scelte
pesò soprattutto la particolare concezione che il liberalismo italiano aveva
della centralità del potere esecutivo tra i poteri statali. Nondimeno suddetteavvisaglie di debolezza si manifestarono e palesarono nel Sud Italia sotto
forma di segnali d¶attaccamento al vecchio regime e di ribellione sociale:
due componenti che diedero vita al fenomeno del cosiddetto
µ¶brigantaggio¶¶.
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Brigantaggio e ruolo del meridione nell¶unità
La definizione canonica di brigantaggio nella storiografia italiana è
evidentemente connessa alla serie di azioni violente, a scopo soprattutto
insurrezionale, che si verificarono nel primo decennio successivo all¶unitànel Sud Italia, ad opera dei cosiddetti briganti, tra cui spicca la figura di
Carmine Crocco.
Nei territori di quello che era stato il Regno delle due Sicilie, infatti, il
rapidissimo processo di annessione, che si svolse in soli due anni, provocò
forti resistenze e vere e proprie ribellioni popolari. Il principale motivo fu
che il nuovo ordine politico non aveva portato alcun miglioramento alle
condizioni delle masse contadine e in alcuni casi le aveva addiritturaaggravate.
Esemplificativa a tal proposito è la novella Libertà di Verga di cui riporto
uno stralcio significativo: ½½Certo si dicevano che l'avevano scappata bella
a non essere stati dei galantuomini di quel paesetto lassù, quando avevano
fatto la libertà. E quei poveretti cercavano di leggere nelle loro facce. Poi
se ne andarono a confabulare fra di loro, e gli imputati aspettavano pallidi,
e cogli occhi fissi su quell'uscio chiuso. Come rientrarono, il loro capo,
quello che parlava colla mano sulla pancia, era quasi pallido al pari degli
accusati, e disse: - Sul mio onore e sulla mia coscienza!...
Il carbonaio, mentre tornavano a mettergli le manette, balbettava: - Dove
mi conducete? - In galera? - O perché? Non mi è toccato neppure un palmo
di terra! Se avevano detto che c'era la libertà!... ¾¾.
In questo racconto viene descritta l¶intera vicenda di Bronte anche dopo la
rivolta della povera gente che voleva impossessarsi delle terre dei ricchi.
A seguito della carneficina durante la quale i contadini trucidarono i nobili
del paese, Garibaldi inviò sul luogo il generale Nino Bixio con lo scopo di
placare la rivolta e fare giustizia; dopo che i giudici emisero la sentenza di
condanna, un carbonaro rimase sbigottito: sbarcando Garibaldi aveva
promesso a tutti libertà e terre e, invece, venivano condannate proprio
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quelle persone che, in nome della libertà, si erano ribellate contro il potere
dei latifondisti.
E¶ la novella dei µvinti¶, di coloro che si ribellano alla classe egemone
senza avere la possibilità e la capacità, in termini di mezzi e progetti, dicambiare la loro misera condizione.
Al grido infausto µ¶Viva la libertබ i contadini compirono, infatti, atroci
efferatezze denaturando lo stesso concetto insito in questa formidabile
parola, che finì inevitabilmente con il divenire falsa e illusoria. La folla di
miserabili µhugoniani¶, in preda al UQS:cioè ad una passione
irrefrenabile, iniziò addirittura a colpire gli innocenti:½½ ora che si avevano
le mani rosse di quel sangue, bisognava versare tutto il resto. Tutti! Tutti icappelli. Non era più la fame le bastonate, le soperchierie che facevano
ribollire la collera. Era il sangue innocente. ¾¾. A tali efferatezza seguì la
già menzionata repressione garibaldini e alla fine restarono solo le flebili
parole del carbonaio sbigottito.
Verga, quindi, comprende ed è consapevole che le conquiste risorgimentali
per l¶unità d¶Italia sono state strumentalizzate dalla borghesia per
affermare il proprio dominio a livello nazionale e altresì si rende conto che
essa non era disposta a ridistribuire le terre dei latifondisti ai contadini.
Inoltre si rivela convinto assertore dell¶incapacità delle classi disagiate del
sud, vittime della loro stessa ignoranza e arretratezza, di modificare lo
status quo, e dell¶inerzia del giovane movimento di orientamento
socialista, cresciuto nelle progredite e µlontane¶ regioni settentrionali, privo
della reale intenzione di lasciarsi coinvolgere attivamente nelle
preoccupazioni del Mezzogiorno.
Il grande romanziere siciliano aveva creduto e sperato che l¶unificazione
nazionale avrebbe potuto comportare per i meridionali una sorta di
rivoluzione democratica ¶dall¶alto¶, senza un¶effettiva partecipazione delle
masse popolari, ma inevitabilmente fu deluso nelle sue aspettative.
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¹8. Indro Montanelli ( Storia dItalia vol. VI)
Ad aggravare la condizione dei meridionali si aggiunse l¶introduzione
delle prime imposte fiscali a vantaggio delle casse del nuovo Stato e
l¶introduzione del servizio militare obbligatorio, che privava le famiglie
del sostegno dei lavoratori più giovani, provocando un diffuso malcontento
e aperte sollevazioni, specialmente nella fase di vuoto di potere venutosi a
creare con il crollo repentino dello Stato borbonico.
Lo scioglimento dell¶esercito borbonico, che non era stato possibile
inquadrare fra le truppe del vecchio esercito piemontese, fornì alla
ribellione il sostegno di bande formate da ex militari che ben conoscevano
il territorio ed erano in grado di mettere in difficoltà l¶esercito nazionale
nel difficile compito della repressione. Fin dal 1861 tali bande presero ad
agire in completa autonomia attaccando e occupando piccoli centri,incendiando municipi e distruggendo i simboli del potere statale, oltre che
a compiere rapine ed estorsioni. Tuttavia il fenomeno del brigantaggio nel
Regno delle Due Sicilie e negli Stati pontifici non era nuovo, ma quasi
endemico. ½½Lo provocavano la miseria, la mancanza di comunicazioni e la
stessa struttura dei regimi polizieschi. Ma era un brigantaggio spicciolo,
affidato all¶iniziativa privata di pastori e contadini che, scontenti del loro
stato, preferivano darsi alla macchia e al saccheggio. Molte cose
contribuivano a fornire reclute alle loro bande: i soprusi dei signorotti, le
angherie del fisco, i dinieghi di giustizia, e la coscrizione obbligatoria,
fucina di disertori. Non erano che feroci mozzateste e taglieggiatori
spietati. Eppure, la convivenza delle popolazioni non gliela procurava
soltanto la paura che incutevano, ma anche la simpatia¹.¾¾.
Ma è dopo l¶unità italiana che tale fenomeno raggiunse l¶apice della sua
estensione, motivo per cui fu necessario avviare una rigida repressione ed
occupazione militare del territorio con l¶introduzione della già citata legge
Pica. Alla fine del ¶65 il brigantaggio era effettivamente debellato, ma non
le cause e le conseguenze. Qualche decennio dopo, Nitti scriveva che per il
µ¶ cafone¶¶ non c¶era alternativa: ½½o emigrante, o brigante¾¾. Ma spesso si
verificò che divenne l¶uno e l¶atro come il gangsterismo italo-americano ci
attesta.
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¹
Strettamente connesse alla repressione del brigantaggio sono i massacri di
Casalduni e Pontelandolfo, stragi compiute dal Regio Esercito ai danni
della popolazione civile dei due comuni il 14 agosto 1861. Tale atto fu
conseguente all¶uccisione di quarantacinque militari piemontesi, avvenuta
alcuni giorni prima ad opera di alcuni "briganti" e di contadini del posto. I
due piccoli centri vennero quasi rasi al suolo, lasciando circa 3.000
persone senza dimora. Il numero delle vittime, è tuttora incerto, ma
sicuramente superiore al centinaio.
Ora dopo aver delineato un triste e ancora µvelato¶ aspetto del
Risorgimento, passiamo ad analizzare il ruolo fondamentale che ebbe il
meridione nel raggiungimento dell¶ unità sovranazionale.
L¶ex regno delle due Sicilie diede, infatti, un apporto fondamentale e
µformidabile¶ al nord nei momenti salienti della nostra storia
risorgimentale, sia a livello di mezzi che soprattutto di uomini, in primis
durante le guerre d¶indipendenza combattute contro l¶Austria. Ricordiamo
a tal proposito la battaglia di Curtatone e Montanara del 29 maggio 1948,
combattuta da soldati napoletani e toscani contro gli austriaci, di
significativa importanza per le sorti del conflitto.
Questa battaglia assunse subito un significato ideale che trascendeva la sua
importanza militare, assurgendo a vero e proprio simbolo. Giovani
meridionali e toscani, con scarsi equipaggiamenti ed armi e per lo più privi
di addestramento, insieme a truppe di linea in grandissima inferiorità
numerica, tennero testa per un intero giorno ad uno dei più potenti e
addestrati eserciti d¶Europa , dimostrando tutto il valore della gioventù
della nascente nazione italiana e l¶implacabile forza delle idee che li
sostenevano.Inoltre non bisogna dimenticare la straordinaria importanza del meridione
italiano per le potenze europee, tenuto in conto addirittura maggiore
rispetto al settentrione per la fondamentale posizione geografica e le
importanti miniere di zolfo, principalmente siciliane, con cui si
producevano le pallottole dell¶epoca.
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¹9.C. Pisacane, Saggio sulla rivoluzione, ed. Universale Economica , Milano 1956
Un altro aspetto inerente il ruolo del mezzogiorno nel processo unitario è
essenzialmente legato alla forte attività diplomatica svolta dagli
intellettuali meridionali, che si affiancarono all¶operato di Cavour nel
tentativo di costruire una nazione forte, libera e indipendente.
Non dobbiamo dimenticare, infatti, che tra Ottocento e Novecento le voci
più significative, capaci di rappresentare la complessità della situazione
italiana, sono voci del Sud, "delle regioni in cui il capitalismo non ha dato
un impulso di modernità ". Gli esempi spaziano da Cuoco a Croce, da
Pisacane a Salvemini, da Labriola a Gramsci. Insomma, come ha ben
evidenziato Carlo Muscetta, critico di formazione crociana, sembra che la
questione unitaria sia stata più intensamente elaborata in condizioni di
marginalità geografica e politica, e probabilmente di più profondadisillusione: ¶¶Al Sud, le masse lavoratrici, non meno degli intellettuali,
avevano sperato nell' avvento unitario come condizione essenziale per
conquistare dignità di cittadini¶¶.
Tra gli intellettuali meridionali particolare attenzione meritano proprio a
Pisacane e il già citato Morelli. Il primo fu un rivoluzionario e patriota
italiano che partecipò attivamente all'impresa della Repubblica Romana,
ed è divenuto celebre soprattutto per il tentativo di rivolta che iniziò con losbarco a Sapri e in seguito fu represso nel sangue a Sanza.
Pisacane fu il teorizzatore in Italia di quella che sarebbe poi diventata la
"propaganda del fatto", ossia l'azione d¶avanguardia che genera
l'insurrezione e la rivolta, l'esempio che consente l'avvio della
propagazione della necessaria rivoluzione sociale e da questo la necessità
di impegnarsi attivamente nell'impresa rivoluzionaria.
Secondo il patriota napoletano, solo dopo aver liberato il popolo dalle suenecessità materiali si sarebbe potuto istruirlo ed educarlo per condurlo alla
rivoluzione. Asseriva infatti nel suo testamento politico posto in appendice
al Saggio sulla rivoluzione¹: «profonda mia convinzione di essere la
propaganda dell'idea una chimera e l'istruzione popolare un'assurdità. Le
idee nascono dai fatti e non questi da quelle, ed il popolo non sarà libero
perché sarà istrutto, ma sarà ben tosto istrutto quando sarà libero».
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¹10. Lezione di Emilia Sarogni ( Il ruolo del mezzogiorno nellunità dItalia)
¹11. Dalla Biografia di Salvatore Morelli
Il secondo intellettuale meridionale menzionato, Salvatore Morelli, di
origini pugliesi, dedicò il suo operato ai diritti della donna nel tentativo di
promuovere una parificazione sociale.
Egli presentò con un apposito disegno di legge la richiesta del diritto divoto per le donne, la parità coniugale, i diritti dei figli legittimi e la
possibilità di adoperare il doppio cognome (1877). Fra le sue proposte,
anche l'istituzione della cremazione e l'abolizione dell'insegnamento
religioso, seguendo un¶impronta essenzialmente laicista. Nel 1877 il
Parlamento italiano approvò il suo progetto di legge per riconoscere alle
donne il diritto di essere testimoni negli atti del Codice civile, come i
testamenti, importante progresso sia dal punto di vista economico che
sociale per l'affermazione del principio di capacità giuridica delle donne.
Egli fece approvare la sua legge con l¶appoggio del ministro Mancini e con
essa garantì maggiori diritti al cosiddetto sesso debole, aprendo un tenue
ma fondamentale spiraglio nella rappresentazione civile della donna¹.
Morelli riteneva che dall¶ignoranza derivassero i mali peggiori della
società, per cui si comprende la grande importanza attribuita all¶istruzione
e al ruolo della donna, educatrice nella famiglia e nella scuola. Degne di
nota risultano le sue idee sui programmi d¶insegnamento, che
comprendono le lingue straniere, la geografia, la storia, le materie
scientifiche, insegnate in senso sperimentale, e una specie di educazione
civica da lui definita ³Galateo delle Libertà´, in accordo al principio
secondo cui la conoscenza è il rimedio ad ogni male sociale.¹ Il pensatore
riteneva, quindi, che solo una buona organizzazione scolastica e la
liberazione stessa della donna potesse garantire il benessere della società
italiana neoformata. Sfortunatamente la sua fama conobbe un progressivodeclino in Italia, in controtendenza con l¶ammirazione che all¶estero
avevano di lui pensatori come Mill, Hugo, Richer e Simon, nonché le
emancipatrici inglesi che, alla sua morte, lo descrissero come il più grande
difensore delle donne del loro tempo.
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¹12. Il Risorgimento invisibile (Presenze femminili nellOttocento meridionale) a cura di Laura Guidi
E proprio le donne fornirono un sostegno non indifferente al Risorgimento,
anche se, il più delle volte, le loro gesta sono cadute nell¶oblio, al punto
che si può parlare di µ¶patriote invisibili¶¶¹, figure del Mezzogiorno
italiano, liberali, colte e impegnate politicamente e socialmente, cadute nel
dimenticatoio.
Esse, infatti, sono state eliminate dai libri di storia perché ¶¶ininfluenti¶¶,
idealizzate e trasfigurate in ¶¶mogli, instancabili cucitrici di tricolor¶¶. Ma
effettivamente la realtà è un¶altra. Basti considerare la Napoli
Ottocentesca, contenitore di intellettuali, scrittrici e attiviste che, sui resti
della Rivoluzione partenopea del 1799, concorrevano a progettare nei
salotti borghesi moti insurrezionali contro le monarchie restaurate. Uno dei
salotti degno di menzione fu quello di Lucia De Thomasis, nobildonna diantiche origini spagnole, che ospitò negli anni Trenta figure del calibro di
Carlo Troya, Antonio Ranieri, Alexandre Dumas e Giacomo Leopardi.
Altra figura femminile di spicco fu senza dubbio Antonietta de Pace,
inarrestabile attivista de µ¶La Giovine Italia¶¶ e fondatrice nel 1849 del tri-
settimanale µ¶Comitato femminile¶¶. Ella oltre a dirigere il Circolo
femminile, e il successivo Comitato politico femminile, attivo negli anni
1849-1855, collaborò ad associazioni patriottiche meridionali quali l¶Unitàd¶Italia (1848), la Setta carbonico-militare (1851), il Comitato segreto
napoletano (1855) che propugnavano l¶unificazione dei numerosi
movimenti politici del Meridione sotto la forte guida repubblicana¹.
µ¶Patriota invisibile¶¶ fu anche Enrichetta De Lorenzo, compagna di
Pisacane, che partecipò ai combattimenti di porta San Pancrazio a Roma
nel 1849 contro le truppe francesi comandate dal Gen. Oudinot. E la stessa
missione sucida di Pisacane, terminata a Sapri nel 1857, fu finanziata dauna donna: Jessie White, nota giornalista inglese.
Fortunatamente oggi i nomi di queste µ¶patriote dimenticate¶¶ stanno
tornando alla ribalta, nella consapevolezza che anche e soprattutto
l¶apporto femminile al processo unitario fu essenziale e vitale.
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Stampa e giornalismo nel processo risorgimentale
Il Risorgimento italiano, inteso come progetto e processo lento e graduale,
deve moltissimo alla stampa, anzi si può a ragione affermare che esso
nasce in un¶infinità di testatine.
Già nel 1816 viene fondata la µ¶ Biblioteca italiana¶¶, periodico letterario
voluto e finanziato dai primi governanti austriaci e sede della polemica tra
classicisti- romantici, nel 1818 vede la luce µ¶Il Conciliatore¶¶, pubblicato a
Milano con cadenza bisettimanale e a partire dal 21¶ si affermano le testate
carbonare: µ¶l¶Illuminismo¶¶, µ¶la Minerva¶¶, µ¶la Sentinella subalpina¶¶.
In particolare µ¶Il Conciliatore¶¶, finanziato da Federico Confalonieri e tra
le cui fila possiamo annoverare intellettuali del calibro di Pellico eBerchet, assunse una forte e decisa posizione progressista anti-austriaca, il
che determinò anche la sua repentina soppressione.
Oltre ai rivoluzionari, ci fu un certo dinamismo giornalistico anche negli
ambienti di chiara matrice liberale. Un esempio di questo tipo di
pubblicazioni è µ¶L'Antologia¶¶, giornale di scienze, lettere e arti, nato a
Firenze nel 1821 e promosso da Giovan Pietro Vieusseux e Gino Capponi.
Un altro è il genovese µ¶Corriere mercantile¶¶ del 1824, o il menoconosciuto µ¶L'Indicatore genovese¶¶, cui collabora anche un giovane
Giuseppe Mazzini.
Dopo i moti del 1830-31 che, dimostrarono con il fallimento la necessità di
allargare la propaganda patriottica, alcuni giornali ritornarono a
mascherare il vero fine con quello culturale e scientifico come µ¶Il
Politecnico¶¶ di Carlo Cattaneo e µ¶ l¶Archivio storico italiano¶¶ del
Vieusseux. Altre testate, per lo più di indirizzo democratico, che invece palesarono gli scopi politici e sociali, furono pubblicate all¶estero, come
µ¶La Giovine Italia di Mazzini¶¶, divulgata a Marsiglia e a Rio de Janeiro ,
¶¶Il Repubblicano della Svizzera italiana¶¶ a Lugano e µ¶L¶Apostolo
popolare¶¶ di Mazzini a Londra .
Solo i moti del 1848, a seguito dei quali fu accordata la libertà di stampa in
molti Stati italiani, fecero dilagare i giornali di tutte le tendenze, il più
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¹13. Fonte De Agostini
delle volte in polemica tra loro. Esempi sono il liberale µ¶Il
Risorgimento¶¶ di Cavour e Balbo e µ¶ l¶Opinione¶¶, battagliero quotidiano
di Bianchi-Giovini e di Giovanni Lanza fondato nel 1848.
Infine con la proclamazione del Regno d¶Italia i giornali si moltiplicaronoe assunsero un tono diverso in quanto le correnti politiche, liberate dalla
necessità di affrancare l¶Italia dai governi reazionari e dallo straniero,
affiorarono più chiaramente e accesero polemiche sui problemi nazionali,
in particolare sulla liberazione di Venezia e di Roma, tra moderati e
democratici, tra borghesia e movimento operaio¹.
Dopo questo breve excursus storico sull¶affermazione delle testate
giornalistiche nell¶800¶ è necessario esaminare l¶effettiva fruizione della
stampa da parte del popolo. Infatti se è vero che il binomio libertà-
nazionalità passò principalmente attraverso questo formidabile strumento è
altrettanto vero che il suo impiego fu ridotto, poiché i giornali erano letti
da pochi. A tal proposito bisogna ricordare il diffuso analfabetismo ( quasi
il 78% della popolazione) e le rigide censure attuate dai governi.
Quindi l¶utilizzo della stampa fu limitato essenzialmente alle élites
borghesi, le stesse élites che in realtà determinarono il processo unitario.
Tuttavia le informazioni, le conoscenze e le idee circolarono e trapelarono
al resto della popolazione mediante una fitta trama di reti che permisero un
mutuo scambio di pensieri, in primis la Massoneria, attraverso cui passò
anche il liberalismo.
Per quanto riguarda il giornalismo risorgimentale non bisogna dimenticare
il carattere militante che assunse fin dagli esordi e il ruolo primario che
ebbero gli scrittori anche a livello decisionale. Lo stesso Cavour fuinfluenzato nella creazione della Società nazionale dal suo addetto stampa:
Giuseppe La Farina. Egli era tenuto in gran conto dal primo ministro
piemontese e molte decisioni derivarono proprio da accesi dibattiti con lo
scrittore e patriota messinese.
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20
¹
Quindi la storia del Risorgimento, è anche la storia del giornalismo
italiano, con un incredibile proliferazione di fogli e gazzette, veicoli
efficaci di modernità e di insofferenza verso regimi dispotici e autoritari.
Infatti possiamo affermare che la carta ha unito gli italiani e ancora oggi liunisce. Come in passato è stato il prezioso strumento attraverso il quale è
stata costruita la coscienza degli italiani come nazione e la loro stessa
identità, così oggi, nell¶era digitale, conserva il primato come luogo di
formazione dell¶opinione pubblica: lo testimoniano 24 milioni di persone
che ogni giorno leggono un quotidiano e oltre 32 milioni che leggono un
periodico settimanale o mensile.
Ruolo dei cattolici nell¶unità e cattolicesimo liberale
L¶anniversario dei 150 anni dell¶Unità d¶Italia si presta ad essere
un¶ occasione per ripercorrere la storia ponendo la nostra attenzione anche
sul ruolo del cattolicesimo in ambito unitario.
L¶Unità d¶Italia, infatti, non può essere ridotta semplicisticamente solo alle
battaglie per l¶unificazione territoriale. Indicativo è il concetto di Unità
d¶Italia che Alessandro Manzoni proclama nell¶ode Marzo 1821 che
inserisce un nuovo e più alto concetto di ¶¶nazione¶¶ : «Una gente che
libera tutta /o fia serva tra l¶Alpe e il mare;/ una d¶arme, di lingua,
d¶altare,/ di memorie, di sangue e di cor».
A riguardo, significativa fu la componente cattolico liberale, che
propugnava l¶idea del ruolo civilizzatore nella sfera sociale della fede
cattolica e della Chiesa e tra i cui esponenti annoveriamo Gioberti e
Rosmini. Nel sostenere e promuovere la causa nazionale i cattolici liberalisottolinearono l¶elemento popolare, intriso di religiosità cristiana, e per
questo criticarono soluzioni rivoluzionarie e mazziniane. Tommaseo
scrisse in µ¶Dell¶Italia¶¶: ³Chi vuol distruggere la credenza cattolica della
quale l¶Italia è centro si fa nemico della Patria´.
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¹14. L'enciclica Mirari Vos è stata pubblicata da papa Gregorio XVI il 15 agosto 1832. Con tale enciclica
venivano condannati tutti i principi del liberalismo religioso e politico. Anche se non era mai nominato
espressamente veniva soprattutto respinto il tentativo di Lamennais e del suo giornale l'Avenir di
introdurre nell'alveo della Chiesa le tesi liberali. Lammennais poteva far valere il suo passato ultramontano
e la strenua difesa della libertà della Chiesa, ma trovò avversi sia il Nunzio, sia la Compagnia di Gesù.
Gioberti nel µ¶Primato morale e civile degli italiani¶¶ teorizzò il ruolo
universale di guida dell¶Italia per la presenza secolare del Papa e quindi il
suo primato tra le Nazioni. Egli cercò di portare il filone cattolico più colto
nel processo risorgimentale e dalla sua opera nacque il cosiddetto partito
neoguelfo.
Ad un attenta analisi il neoguelfismo si rivelò come un mito di
straordinaria, anche se effimera, efficacia. Straordinaria poiché il partito
neoguelfo ispirò poi la partecipazione di vari stati italiani alla prima guerra
di indipendenza, avviando il processo di liberazione dallo straniero,
effimera per la sua nota inadeguatezza.
Difatti l'opera era manchevole almeno sotto due aspetti: in primo luogo
tralasciava il fatto che il futuro presidente della lega sarebbe dovuto essere
l'allora papa Gregorio XVI, pontefice reazionario, nonché autore
dell'enciclica Mirari vos¹ con la quale veniva condannata ogni forma di
pensiero liberale; in secondo luogo, Gioberti considerava minimamente
che dalla lega sarebbe rimasto fuori il Lombardo-Veneto, sotto la
dominazione ed oppressione austriaca.
Per tali motivi la sua opera fu fortemente osteggiata dai mazziniani
repubblicani e dagli stessi liberali, che lo accusarono di clericalismo.
Il pensiero federale, oltre a Rosmini e al già citato Gioberti, fu comune a
molti altri cattolici che vedevano inscindibile il legame tra il cristianesimo,
la libertà e la democrazia. Cantù disse: ½½Un comune e un Santo ecco gli
elementi di cui si compone la nostra libert྾. Tommaseo in µ¶Dell¶Italia¶¶
scrive: ½½politica senza moralità, moralità senza religione, riesce
ipocrisia¾¾.
Tornando a Rosmini, egli sottolineò la centralità del cristianesimo nella e
per la società e rilanciò il diritto naturale (ius naturalis). Volle, inoltre,
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attuare una restaurazione della filosofia per porla al servizio della fede e
del progresso. Infatti la filosofia, a suo avviso, è strumento di carità,
poiché ³il risorgimento dell¶uomo è innanzitutto intellettuale e morale´.
Tuttavia i rapporti tra Stato e Chiesa, comunità ecclesiale e comunitàcivile, si incrinarono progressivamente dopo l¶unità a causa delle leggi di
esproprio dei beni ecclesiastici e della chiusura degli ordini religiosi prima
in Piemonte e poi in tutto il regno d¶Italia, finché non si giunse ad un vero
e proprio µ¶discidium¶¶ con la presa di Porta Pia.
Infatti la presa di Porta Pia (20 settembre 1870) con il mancato
riconoscimento del ruolo internazionale del papa e l¶interruzione del
Concilio Vaticano I erose i rapporti tra il regno d¶Italia e il papa, creando
la cosiddetta questione romana. Don Bosco assunse in questa fase un ruolo
decisivo: oltre alla sua opera educativa e sociale fu un importante
mediatore tra Pio IX e Vittorio Emanuele II, per risolvere la crisi venutasi
a creare in merito alla nomina dei vescovi che il nuovo Stato italiano aveva
preteso di condizionare. I cattolici si divisero in transigenti il cui motto era
µ¶Cattolici col Papa liberali con lo Stato¶¶ , ma che furono minoritari e gli
intransigenti il cui motto era µ¶Con il Papa e per il Papa¶¶, questi ultimi
furono la corrente più numerosa e più attiva sul piano socio-economico eculturale. L¶ avvenimento che condusse finalmente Roma ad essere la
capitale d¶Italia ben si presta come punto di partenza per sviluppare il
difficile tema dei rapporti tra Stato e Chiesa, in cui non vi sono indicate
soluzioni, ma è solo segnata una traccia, la traccia della libertà, lasciataci
in eredità dal nostro µ¶Magister¶¶ Benedetto Croce, filosofo della
µ¶Religione della Libertබ. Egli parlò contro la Conciliazione nella tornata
del 24 maggio 1929 al Senato del Regno. A riguardo disse:½½ nessuna
ragionevole opposizione potrebbe sorgere da parte nostra all¶idea della
conciliazione dello Stato italiano con la Santa Sede; la dichiarazione è
perfino superflua, in quanto è troppo ovvia La ragione che ci vieta di
approvare questo disegno di legge non è dunque nell¶idea della
conciliazione, ma unicamente nel modo in cui è stata attuata, nelle
particolari convenzioni che l¶hanno accompagnata e che formano parte del
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disegno di legge¾¾. Dunque i liberali si collocarono, tramite il loro
rappresentate più prestigioso, nel solco dell¶opera risorgimentale,
considerando la piena autonomia dello Stato e della Chiesa, autonomia che
sei secoli prima era stata auspicata già da Dante nel principio dei due soli.
( µ¶Solea Roma, che µl buon mondo feo,/ due soli aver, che l¶una e l¶altra
strada/ facean vedere, e del mondo e di Deo.¶¶ Purgatorio Canto XVI).
Alla conciliazione di diritto, codificata e definita con pegni territoriali e
concordato giuridico, cui non avevano voluto tendere Pio X e Giolitti, si
arrivò sfortunatamente con il crollo dell¶ Italia liberale. A tal proposito
Roberto Cantalupo, autorevole intellettuale liberale, ha scritto:½½ dopo la
sconfitta, nel dopoguerra, il problema si è risolto, se storicamente valutato,
in un nuovo, lungo, penoso episodio della eterna contrapposizione tra Statoe Chiesa nella nostra penisola¾¾. L¶unica soluzione liberale è l¶azione di
questi due µ¶soli¶¶ nella reciproca sfera d¶influenza.
Esaminiamo ora le origini di un problema così importante e difficile per le
chiare implicazioni personali e di coscienza che comporta.
Analizzando le società precristiane notiamo la commistione tra norma
civile e norma religiosa, al punto che al vertice i capi dello Stato erano
anche i sommi sacerdoti, come il faraone nell¶ antico Egitto. Persino nella
democratica Atene erano istruiti processi per empietà nei confronti degli
Dei della µ¶polis¶¶. Esemplificativa a riguardo è l¶orazione di Lisia µ¶Per
l¶olivo sacro¶¶, in cui l¶accusato doveva difendersi dall¶ accusa di aver
sradicato un ceppo di olivo, sacro ad Atena, dal proprio terreno.
Quindi in tali civiltà vi era un interesse concreto dello Stato per la
religione. La situazione cominciò a mutare con il Diritto Romano, che
prevedeva la netta separazione tra lo µ¶ius¶¶ e il µ¶ fas¶¶.
Il problema tornò poi in auge con il Cristianesimo mediante la lapidaria
sentenza evangelica attribuita a Gesù Cristo: ³Date a Cesare quel che è di
Cesare e a Dio quel che è di Dio´, preludio di una formale separazione tra i
problemi temporali e quelli spirituali e la progressiva importanza sociale
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¹
della religione cristiana, che cominciava ad avere sempre più ingerenze nei
confronti dello Stato romano.
Pertanto si era passati da una concezione unitaria dello Stato e della Chiesa
ad una dualistica. Tuttavia tale dualismo , µ¶in factis¶¶, non fu che unacontrapposizione e lotta continua tra potere spirituale e temporale per
avere il sopravvento. In qualche caso fu la Chiesa a condizionare lo Stato,
determinando forme di µ¶Curialismo¶¶, in altri fu lo Stato ad influenzare la
Chiesa, determinando il µ¶Giurisdizionalismo¶¶. Tuttavia se tale dualismo
(curialista o giurisdizionalista) ha avuto fortuna, è da condannare
apertamente come ci attesta l¶ µ¶Historia magistra vitae¶¶, evidenziando le
cruente lotte di religione che scossero profondamente l¶Europa nel XVI
secolo. La rivoluzione francese, finalmente, affrontò il problema a monte predicando la profonda diversità delle attribuzioni di Chiesa e Stato, che
non devono avere alcun rapporto reciproco. Suddetta tesi ebbe un grande
successo e svariate applicazioni pratiche negli Stati liberali neoformati, ma
fu aspramente criticata dalla Chiesa, che in questo modo veniva ad essere
esclusa da ogni influenza temporale, diretta o indiretta.
Essa, in particolare, trovò terreno fertile nello Stato italiano, per il quale
Cavour coniò la frase µ¶Libera Chiesa in libero Stato¶¶, principiofortemente avversato dagli ambienti clericali, come dimostra il µ¶ Syllabus
complectens praecipuos nostrae aetatis errores¶¶ o semplicemente
µ¶Sillabo¶¶ che, condannando il progresso e il liberalismo palesò i limiti
della µ¶comprensione¶¶ politica della curia di Roma.
Di certo la già citata presa di Porta Pia, che rappresentò l¶applicazione di
suddetto principio Cavouriano, fu un atto di considerevole coraggio, da
non considerare tuttavia in ambito esclusivamente polemico, valutandol¶esasperazione degli Italiani che vedevano nel Papato l¶ultimo insensato
ostacolo alla definitiva Unità e il rancore dei patrioti dopo l¶episodio di
Mentana.
Con queste ragioni e considerando che la Chiesa aveva ritardato di secoli
l¶evolversi della scienza, arroccandosi dietro ad uno sterile e vacuo
dogmatismo, si spiega il laicismo di Cavour, che nonostante tutto non
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scese mai nella polemica anticlericale. Egli nel suo celebre discorso µ¶Per
Roma capitale¶¶ disse: ½½A rischio di essere accusato di abbandonarmi a
utopie, io nutro fiducia che, quando la proclamazione dei principi che ora
ho fatto, e quando la consacrazione che voi ne farete saranno rese note al
mondo e giungeranno a Roma nelle aule del Vaticano, io nutro fiducia,
dico, che quelle fibre italiane che il partito reazionario non ha potuto
svellere interamente dall¶ animo di Pio IX, queste fibre vibreranno ancora,
e si potrà compiere il più grande atto che popolo abbia mai compiuto.
E così sarà dato alla stessa generazione di aver risuscitato una Nazione e
d¶aver fatto cosa più grande, più sublime ancora, cosa la cui influenza è
incalcolabile, di aver cioè riconciliato il Papato con l¶autorità civile, di
aver firmato la pace tra la Chiesa e lo Stato, fra lo spirito di Religione e igrandi principi della libertà. Sì, io spero, o signori, che ci sarà dato di
compiere questi due grandi atti, i quali certamente tramanderanno alla più
lontana posterità la benemerenza della presente generazione italiana¾¾.
Atteggiamento deciso, di Cavour, e al tempo stesso responsabile e
consapevole dei diritti della Chiesa che è tanto più libera quanto più lo
Stato è libero. Tuttavia la Chiesa non accettò, come si è visto, il principio
µ¶libera Chiesa in libero Stato¶¶ per la sua teorica sottomissione paternalistica nei confronti del secondo. Si tratterà, come ha evidenziato il
liberale Nicola del Basso in un suo scritto, di modificare suddetto principio
in µ¶Libera Chiesa e Libero Stato¶¶, nonostante la pratica abbia reso e
renda tuttora difficile la reciproca non ingerenza.
La vicenda dell¶Unità d¶Italia ci spinge, quindi, a riflettere sul vero
significato della parola laicità e sui legami interiori tra comunità ecclesiale
e comunità civile. Illuminanti su questo sono le parole di Benedetto XVInella Deus Caritas Est: ³Lo Stato non può imporre la religione, ma deve
garantire la sua libertà [...] La società giusta non può essere opera della
Chiesa, ma deve essere realizzata dalla politica. Tuttavia l¶adoperarsi per
la giustizia lavorando per l¶apertura dell¶intelligenza e della volontà alle
esigenze del bene la interessa profondamente´.
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¹15. Davide Nava (Chiesa e Stato nel Risorgimento, un dialogo necessario).
Nel lungo e faticoso processo risorgimentale, quindi, è indispensabile
richiamare il legame interiore tra Cristianesimo e Pensiero liberale.
µ¶Ecclesia e Polis¶¶, µ¶Sacerdotium e Imperium¶¶. Comunità ecclesiale e
Comunità civile, sono tutte polarità essenziali e determinanti della
convivenza umana. E proprio una storia asettica e priva di filtri politici ci
rivela l¶importanza di questi aspetti, nella consapevolezza che in una
situazione difficile e contrastata, indubbiamente i cattolici-liberali hanno
contribuito con la loro cultura, le loro idee innovative. Insomma diedero
vita all'impegno di molti per costruire una società migliore senza
rinunciare alla propria specificità, fornendo un notevole contributo dal
punto di vista politico, economico, culturale e sociale.
Ancora oggi a 141 anni dalla breccia di Porta Pia e a 150 dall¶unitànazionale solo la traccia dialogica, tra fede e ragione, pensiero religioso e
pensiero laico, può essere l¶unico rimedio alla progressiva affermazione
del nichilismo e delle µ¶idolatrie della ragione, della carne e del denaro¶¶¹.
Risorgimento a Benevento e nel Sannio
Il 3 settembre 1860, fu una data importantissima per la storia di Benevento
e del Sannio stesso: la plurimillenaria città venne liberata dal dominio
pontificio e di conseguenza terminò il potere temporale dello Stato dellaChiesa. Singolare fu la modalità attuativa di questa sorta di
µ¶rivoluzione¶¶, che non incontrò alcuna resistenza pontificia.
Intanto, prima di questa fatidica data, alla fine dell¶agosto 1860, le colonne
garibaldine da Melito Porto Salvo avevano iniziato a risalire l¶Appennino e
le coste meridionali liberando, e in alcuni casi evitando, i paesi e le città
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più grandi per puntare direttamente su Napoli. In ogni comune del
territorio meridionale c¶era un frenetico via vai di notizie, si organizzavano
manifestazioni ed avvenivano episodi di lotta politica, il che palesava
l¶imminenza della µ¶rivoluzione¶¶.
In qualche caso si espressero forze organizzate in rapporto diretto con i
Borboni (e il Papa), con il governo Sabaudo e con lo stesso Garibaldi e ,
inoltre, si vennero a configurare tre correnti politiche principali: una
conservatrice, una moderata ed una repubblicana.
Finalmente il 2 settembre 1860 i cacciatori irpini si riunirono con patrioti
liberali, mazziniani ed i fratelli Torre e si recarono a Torrecuso, ove
rimossero lo stemma borbonico dal palazzo Caracciolo.
Il giorno dopo fu il turno di Benevento: Salvatore Rampone, senza scorta,
vestito in camicia rossa da colonnello dei garibaldini, si recò al castello per
comunicare all'ultimo delegato apostolico, Edoardo Agnelli, l'ordine di
lasciare la città entro tre ore. Il sette volte secolare dominio papale era
finito. Ecco le parole con cui il patriota beneventano descrive questo
singolare e straordinario evento: ½½ L' indomani 3 settembre, - giorno
d ' imperitura memoria, - la popolazione, in attesa del solenne avvenimento,
e rassicuratasi che non vi sarebbe stato spargimento di sangue, era tutta
riversata su le principali strade. La banda musicale allietava il paese, e
suscitava l ' entusiasmo al suono dell ' inno magico - "Si scovron le tombe, si
levano i morti" - e Benevento aveva ragione ad esultare, giacché sorgeva
a novella vita, se non all ' antico splendore. In quel mentre, per gli alti
poteri politici e militari, di cui io era fornito, vestito della camicia rossa,
da solo, mi presentai al Comandante la piazza, e palesandogli la presa
determinazione del Comitato, di proclamare un Governo P
rovvisorio, lorichiesi dei suoi intendimenti, facendogli, in pari tempo, comprendere
l ' impossibilità della resistenza contro un popolo in armi e quell ' uffiziale si
mostrò arrendevole, con riserva, però, degli ordini di Monsignor
Delegato. Ed io, senza porre tempo in mezzo, lo invitai a recarsi meco da
Monsignore, alla quale stringente proposta non seppe opporsi; ed
uscimmo. P ercorrendo la strada magistrale, c' imbattemmo col Tenente
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¹
comandante la gendarmeria, il quale informato di quanto avveniva, si unì
a noi, e giunti al palazzo delegatizio fummo ricevuti dal detto P relato, ed
io annunciandomi quale commissario di Garibaldi, senz' altro, gli
dichiarai che, da quel momento, andava a cessare il governo pontificio nel
beneventano, ed egli rimaneva destituito di ogni potere ed attribuzione.
Monsignor Delegato, in sulle prime, si mostrò sconcertato, e quasi deciso
a resistere, ma meglio riflettendo, e non vedendosi appoggiato dalle
Autorità militari, là presenti, si limitò a protestare. Invitato, poi,
cortesemente, a dire quando intendeva lasciare il palazzo governativo,
rispose "fra due ore"; ed infatti, nel pomeriggio, si ritirò in casa del
marchese De Simone. Intanto, gran folla di popolo mi attendeva presso il
castello, e vedendomi comparire, all ' agitare che feci del cappello,
comprese che ogni resistenza era svanita, e le grida entusiastiche di viva
Vittorio Emanuele, viva Garibaldi, si raddoppiarono, si ripeterono, in
modo indescrivibile, e ben tosto si abbassarono gli stemmi pontifici,
innalzandosi quelli di Casa Savoia, ch' erano già stati apprestati. Le due
compagnie di truppa di linea, e i gendarmi di guarnigione, nel numero di
trenta circa, deposero le armi, senza però fraternizzare col popolo. Il
governo dei P api finiva cosi, in questa città, dopo oltre otto secoli di
assoluto dominio, merce la rivoluzione unitaria nazionale, compiuta da pochi e ardimentosi suoi figli, e non dalla gente venuta di fuori col Signor
Giuseppe De Marco, come, bugiardamente, si scrisse dai noti detrattori
del partito democratico di Benevento. Verso il mezzodì, poi, arrivava dalla
contrada calore il Battaglione comandato dal De Marco, di cui ho innanzi
fatto cenno, accolto festosamente dalla popolazione e dalle Sezioni
armate, e andò ad acquartierarsi nel collegio dei Gesuiti. Nelle ore
pomeridiane dello stesso giorno, tutte le forze insurrezionali, riunitesi
sulla piazza Orsini, decisero la formale proclamazione del Governo
P rovvisorio, che fu composto colle stesse persone del Comitato
insurrezionale, il quale, pei riguardi dovuti ad esso Maggiore De Marco,
incluse anche il suo nome fra i commissarii del detto governo. Indi, dalla
loggia del palazzo comunale, ne fu formalmente annunciata dal P residente
la istallazione, e tutti prestarono giuramento, incrociando le spade, a
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¹16. La rivoluzione del 1860 a Benevento, di Salvatore Rampone da: "Memorie Politiche di Benevento"
D'Alessandro, BN, 1899
difesa della unità e della libertà della patria; in seguito di che il popolo,
contento dell ' opera sua, si diradò fra le ripetute acclamazioni alla Libertà
ed al Governo P rovvisorio... Quest ' atto chiudeva il movimento
insurrezionale, e la tanto temuta crisi politica, senza l ' eccidio ed il
saccheggio profètato dalla Camarilla, ma invece con i concerti musicali,
con le luminarie e le fraterne strette di mano, e col perdono generoso ai
Caini del 1848, e del 1860, e, ciò che più monta, con la proclamazione di
Benevento a capoluogo di provincia¹...¾¾.
Proclamato il Governo provvisorio ed eletto presidente, Rampone non
indugiò a gettare le basi della provincia di Benevento, il cui progetto ebbe
l'approvazione di Garibaldi, quando egli il 9 settembre si recò a Napoli
µ¶per fare atto di adesione alla Dittatura¶¶. Eppure la non avvenuta nominadel governatore locale al quale Garibaldi intese provvedere solo µ¶dopo
aver scandagliata la pubblica opinione¶¶, dovette accendere un'aspra lotta
fra i fautori del Rampone, benemerito della compiuta rivoluzione e
dell'ottenuta provincia, e il partito moderato che aveva i suoi aderenti
soprattutto nel ceto medio. Quest'ultimo ebbe causa vinta presso il
Dittatore che con decreto 21 settembre 1860 nominò Carlo Torre.
Rampone continuò, in seguito, la lotta attraverso quel Partito d'Azione chediventato più garibaldino che mazziniano negli intenti, aspirava al
compimento dell'unità nazionale. A tal fine, istituì a Benevento la Società
per il tiro a segno (15 aprile 1862) e l'anno seguente fondò il giornale il¶¶
Nuovo Sannio politico-amministrativo¶¶, pur sempre di opposizione al
partito moderato.
Quindi, dopo anni di oppressione papalina, con l¶annessione al Regno di
Sardegna, destinato a divenire l¶anno successivo Regno d¶Italia,Benevento ridiventò µ¶centrale tra Mezzogiorno tirrenico e adriatico¶¶,
come sostiene lo storico Francesco di Donato, e nuovamente assurse al
primigenio ruolo di ¶¶ Regina¶¶ del Sannio.
Mediante la sua nuova, recuperata Provincia, µ¶ il Sannio divenne un luogo
di transito culturale¶¶ e la città recuperò la sua storica posizione e
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¹17. Benevento e il mezzogiorno (Luigi Ruscello)
strategica collocazione di baricentro tra i due mari che l¶aveva sempre
contraddistinta nei secoli precedenti, prima del dominio papalino.
La fine della potestà dello Stato della Chiesa, dopo circa 8 secoli,
rappresentò, quindi, una vera e propria µ¶Rivoluzione liberale¶¶ e sancì,nello stesso tempo, una specie di ¶68 con la creazione della Provincia di
Benevento e la rinascita dell¶antichissima città, fondata secondo la
tradizione da Diomede.
L¶anniversario dei 151 anni da tale eccezionale evento ci spinge,
inevitabilmente, a sostenere una breve riflessione sullo sviluppo odierno
della cittadina e sul suo ruolo nel meridione. Partiamo dall¶assunto che il
Mezzogiorno in generale, e Benevento in particolare, è stato sempre
subalterno nelle decisioni della politica economica nazionale e da ciò
deriva la principale causa del suo ritardo. Ritardo di carattere economico
ed occupazionale ( basti considerare che le stime recenti indicano un tasso
di occupazione complessivo in provincia del 47,3%). E proprio tale
subalternità nelle scelte strategiche di politica economica, che si sono
susseguite dall¶unità ad oggi, è stata , secondo alcuni studiosi, la causa
principale della cosiddetta µquestione meridionale¶¹.
I momenti topici sono stati essenzialmente due: il primo subito dopo
l¶unità nazionale, il secondo nel periodo 1945-1951. Per quanto riguarda il
primo periodo, un dato certamente evidente e rivelatore è l¶entità del
debito pubblico, che nel 1861 ammontava a 2.374 milioni di lire con ben
1292 facenti capo al Piemonte, 522 a Napoli e 209 alla Sicilia. Con l¶
Unificazione, quindi, le imposte finalizzate ad assestare il deficit
finanziario del neoformato stato, che aveva il debito più alto d¶Europa a
causa della politica espansionistica del Piemonte e dei sui investimentiinfrastrutturali, aumentarono esponenzialmente e i costi si abbatterono
principalmente sul contribuente meridionale. Scrisse Nitti a riguardo: ½½ Il
Mezzogiorno sopporta un carico tributario molto superiore alle forze: in
compenso riceve dall¶unità vantaggi molto minori¾¾. E ancora: ½½ Fra l¶
Italia del Nord e l¶Italia del Sud la differenza di condizioni economiche e
sociali è ora assai maggiore che nel 1860¾¾. Suddetto dato è stato anche
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confermato da recenti ricerche, da cui emerge che, a partire dal 1861, si
possono individuare quattro periodi: 1861-1913, con la formazione dei
divari regionali e l¶avvio dell¶industrializzazione, 1920-39, con
l¶accentuazione dei divari regionali e delle disparità fra Nord e Sud, 1951-
73, con la riduzione del divario tra Nord e Sud nel prodotto pro capite e
1974-2004, con un nuovo aumento dei divari.
Per quanto concerne il secondo momento topico, bisogna sottolineare
come dal 1945 al 1950, anno di costituzione della Cassa per il
Mezzogiorno, non vi sia stata alcuna politica in favore del meridione, se
non alcuni sporadici provvedimenti tesi a facilitare il credito industriale.
Inoltre, se si considerano i dati relativi ai finanziamenti concessi dallo
Stato per la ricostruzione, la forte penalizzazione del Mezzogiorno appare
evidentissima. Quindi le scelte strategiche di carattere economico
compiute nei due periodi in esame, sono state determinanti nel provocare e
nel far persistere il divario Nord- Sud. Tuttavia, come ribadisce lo stesso
Nitti, µ¶la questione meridionale è dunque molto complessa; è
prevalentemente, essenzialmente, economica e finanziaria, ma non è solo
tale¶¶. In altre parole, nonostante sia stata acclarata la causa principale,
sono da individuare una serie di cause secondarie e fattori che hannocontribuito ad aumentare ed esacerbare un divario, i cui risvolti incidono
negativamente sull¶intero paese. Infatti secondo la pubblicazione della
Banca d¶Italia del giugno 2010 (il Mezzogiorno e la politica economica
dell¶Italia, e convegno Workshops and Conferences, n.4, giugno 2010) a
causare la trappola del sottosviluppo concorrono due fattori: la
straordinaria inadeguatezza delle istituzioni economiche formali e
informali e la mancanza di volontà e di capacità da parte delle classi
dirigenti del Sud a cambiare queste istituzioni e da parte dei suoi cittadini a
pretendere il cambiamento.
Da ciò la conclusione secondo cui ogni tentativo di modificare l¶economia
del meridione con sussidi, gabbie salariali, imposte differenziali o
esenzioni d¶imposta è destinato ad attrarre le imprese e le teste peggiori, a
richiamare investimenti e imprenditori µincassa e fuggi¶. Dunque ciò che
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potrebbe realmente apportare cambiamenti effettivi alle condizioni della
nostra terra è la volontà stessa di cambiare, volontà che ha portato lo
sviluppo del Nord-Est, zona attanagliata in passato dai medesimi problemi
meridionali. Certamente la posizione geografica e l¶inserimento in un
mercato già sviluppato hanno favorito in questo caso il processo, ma senza
la volontà dei veneti non si sarebbe realizzato nulla. In breve ,il miracolo
del Nord-Est non è nato dalle agenzie di sviluppo, ma grazie alla µ¶voglia
di fare¶¶, che invece sembra essere assente nelle nostre zone. Significativo
a tal proposito è un apologo di Bertolt Brecht su Buddha, raccontato nei µ¶
Dialoghi dei profughi¶¶:½½ Maestro -trafelati i discepoli accorrono da
Buddha- c¶è un incendio, ma gli abitanti non vogliono uscire di casa.
Alcuni si lamentano che piove e fa freddo. Altri che non riuscirebbero a
portar fuori i loro beni. Che cosa dobbiamo fare? Nulla- rispose il Buddha-
Chi pur avvisato, non reagisce al pericolo merita di perire¾¾. E sic stantibus
rebus è la fine che economicamente parlando siamo destinati a fare, previo
un deciso cambiamento.
Riflessioni conclusive sul Risorgimento e sul suo valore nella civiltà
odierna
Il Risorgimento, come abbiamo visto, non fu dunque un periodo d¶oro di
patriottismo nazionale, costellato di eroi senza macchia, di leggende e miti,
ma più che altro un dramma: il dramma di un popolo che cercava
innanzitutto la propria identità, la propria configurazione sociale e
culturale per affrancarsi dalla condizione di µ¶ volgo disperso che nome
non ha¶¶.
Ora la domanda che sorge quasi spontanea è: che valore ha oggi il
Risorgimento e perché bisogna festeggiarlo? Non sarebbe stato, infatti ,
più proficuo utilizzare lo scorso 17 marzo come giorno lavorativo,
ignorando una data che in fin dei conti ai più non dice nulla?
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Ovviamente la mia è una provocazione e la risposta è assolutamente
negativa. Bisogna ricordare, invero, che il Risorgimento segna la data di
nascita del nostro paese, di cui dobbiamo essere orgogliosi tenendo
presente sia gli aspetti positivi che negativi. Non celebrare una data così
importante e essenziale per la nostra storia, per la nostra cultura, nonché
per l¶ essenza stessa di cittadini µitaliani¶ sarebbe un errore imperdonabile.
Rammentiamo le parole di Cavour che sancirono il raggiungimento del
traguardo nazionale: µ¶Il Parlamento Nazionale ha appena votato e il Re ha
sanzionato la legge in virtù della quale Sua Maestà Vittorio Emanuele II
assume, per sé e per i suoi successori, il titolo di Re d'Italia. La legalità
costituzionale ha così consacrato l'opera di giustizia e di riparazione che ha
restituito l'Italia a se stessa.
A partire da questo giorno, l'Italia afferma a voce alta di fronte al mondo la
propria esistenza. Il diritto che le apparteneva di essere indipendente e
libera, e che essa ha sostenuto sui campi di battaglia e nei Consigli, l'Italia
lo proclama solennemente oggi¶¶. Parole lapidarie che esprimono in poche
righe tutti i sacrifici sul piano umano e di risorse che permisero al µvolgo¶
di divenire popolo abbattendo le molteplici divisioni interne.
Quindi è necessario festeggiare soprattutto per riconoscere il sacrificio di
sangue che tanti nostri avi compirono per un nobile ideale. Ma lo è anche e
principalmente da un punto di vista politico per riaffermare un¶ unità di
intenti e un senso di solidarietà fra tutti gli italiani, dalle Alpi a
Lampedusa. Proprio tale sentimento di solidarietà, oggi è fortemente
messo in discussione dalla Lega di Bossi e dal clima divisionista e quasi
µdivorzista¶ che ha affiancato, esattamente come un bravo libertus nei
confronti del suo patronus , l¶intera celebrazione dell¶unità. Senza entrarein vacue polemiche politiche tengo a precisare che i µ¶nemici¶¶ del
Risorgimento, i negazionisti di ogni forma di unità e di comunanza storico-
culturale sono sempre esistiti e rappresentano l¶altra faccia della medaglia
di questo formidabile processo, che comunque presenta i suoi limiti e lati
oscuri.
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¹18. Isaiah Berlin, Four Essays on Liberty, Oxford UP, Oxford, 1982, tr. it. Quattro saggi sulla libertà,
Feltrinelli, Milano, 1989
Per quanto concerne il valore del Risorgimento, esso ben si presta ad
essere un evidente e chiaro exemplum di lotta incondizionata per la libertà.
Libertà che fu essenzialmente sinonimo di liberazione dall'oppressione
dello straniero, e simbolo dell'unione tra i cittadini di uno Stato prossimo anascere, oltre che espressione del desiderio individuale di riscatto. Se un
Risorgimento è stato possibile e un'unità è stata raggiunta, lo si deve
anzitutto alla libertà, la cui essenza, come scrisse Isaiah Berlin, µ¶è sempre
consistita nella capacità di scegliere come si vuole scegliere e perché così
si vuole, senza costrizioni o intimidazioni, senza che un sistema immenso
ci inghiotta; e nel diritto di resistere, di essere impopolare, di schierarti per
le tue convinzioni per il solo fatto che sono tue. La vera libertà è questa, e
senza di essa non c'è mai libertà, di nessun genere, e nemmeno l'illusionedi averla¶¶.¹
Eppure un punto nodale, da evidenziare, e non nascondere dietro la
maschera negazionista, è l¶ odierna inattualità dell¶ ideologia
risorgimentale (non del messaggio), che potrebbe ridursi a semplice
retorica finalizzata a produrre o meglio a µ¶infiocchettare¶¶ qualche
discorso celebrativo. A riguardo Alberto Mario Banti nella prefazione al
suo libro µ¶Nel nome dell' Italia¶¶ afferma:½½ Ma ce li avete presenti i protagonisti del µ¶dibattito¶¶ sul 150° anniversario dell' Unità d' Italia?
Politici, giornalisti, scrittori e intellettuali di varie discipline che parlano
del Risorgimento come se fosse un evento accaduto ieri, carico di valori da
rispettare e osservare proprio come se fossero in perfetta sintonia con la
nostra vita? Che parlano di Garibaldi, di Mazzini, di Vittorio Emanuele II
o, se è per questo, anche di Francesco II, come di leader politici per cui
schierarsi pro o contro, grosso modo come ci si può schierare pro o contro
Bossi o Vendola, Berlusconi o Bersani, D'Alema o Fini? [ ]¾¾.
Le parole dello scrittore rivelano evidentemente la posizione di disagio di
chi oggi in Italia si appresta a riflettere storicamente sul Risorgimento e, in
misura maggiore, sulla sua storia culturale. Infatti la banalizzazione e
mistificazione dei personaggi e degli eventi storici proiettati nell¶arena
della politica attuale come se fossero sostenitori ante litteram di
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determinate forze politiche o di progetti politici attuali è quanto di più
lontano dall¶ insegnamento di Croce, secondo cui la contemporaneità deve
essere usata come punto di partenza, non come fine, in base al precetto
³ogni storia è storia contemporanea´. Il tutto avviene proprio tramite una
retorica spicciola, banale e tanto più spregiudicata che tende a sovrapporre
il passato sul presente, facendo emergere nello spazio politico attuale
personaggi e fatti di 150 anni fa.
In altre parole, se è pur vero che il Risorgimento va sicuramente
approfondito alla luce delle sollecitazioni e spinte della cultura
contemporanea, la quale ci propone di interrogarci, ad esempio, sulle
origini del pensiero federale, tuttavia non deve essere utilizzato come
collante identitario, né per l¶identità nazionale né per le identitàlocalistiche (Stato padano o neo-borbonico). Scrive ancora Banti:½½ Il
Risorgimento è stato un processo complesso, contradditorio, e alimentato
da sistemi di valori forse lontani dalle sensibilità di oggi. E se c¶è da
difendere l¶unità dell¶attuale Repubblica italiana contro ipotesi di
secessione, piuttosto che tirare in ballo il Risorgimento dovremmo
ponderare altre ragioni¾¾.
D¶ altra parte, a mio avviso, se c¶ è da difendere l¶ unità nazionale da possibili ipotesi di secessione, piuttosto che chiamare in nostro aiuto il
Risorgimento, dovremmo considerare altre ragioni. Per esempio potremmo
esaminare che storicamente sono pochissimi i casi di rilevanti mutamenti
geopolitici che non siano stati anticipati o accompagnati da gravissime
violenze o eccidi: e questo già di per se è un ottimo deterrente ad ogni
ipotesi secessionista. Oppure si potrebbe ,anche più semplicisticamente,
osservare che il senso di uno Stato si deve giudicare non dalla
corrispondenza della sua territorialità con µpresunte¶ identità etniche,
quanto dai valori fondamentali che regolano la sua vita collettiva.
Comunque la migliore arma contro i federalisti padani o i neo-borbonici
resta sempre la Costituzione della Repubblica italiana, che oggi più che
mai andrebbe riscoperta, studiata e apprezzata, nella consapevolezza che in
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un¶ottica sempre più europea soffermarsi su inutili divergenze territoriali-
nazionali è quanto di più controproducente si possa fare.
Concludo la mia disamina con le parole del giurista Francesco Paolo
Casavola, che recentemente ha scritto:½½ La Storia d¶Italia è stata ancheuna storia tragica. Averla potuta conoscere avrebbe potuto aiutare a non
ripetere errori, che non sono mai dovuti a un fato invincibile¾¾. E proprio la
conoscenza della storia di come è nato e con quali difficoltà si è affermato
il nostro paese può e deve aiutarci a non ripetere gli errori del passato nella
consapevolezza che, come affermava Cicerone nel De oratore, µ¶Historia
est testis temporum, lux veritatis, vita memoriae, magistra vitae, nuntia
vetustatis¶¶ (La storia è testimone dei tempi, luce della verità, vita della
memoria, maestra di vita, nunzia dell'antichità).
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Indice
Introduzione 2
Liberalismo e unità d¶Italia ..4
Brigantaggio e ruolo del meridione nell¶unità ...11
Stampa e giornalismo nel processo risorgimentale 18
Ruolo dei cattolici nell¶unità e cattolicesimo liberale 20
Risorgimento a Benevento e nel Sannio ...26
Riflessioni conclusive sul Risorgimento e sul suo valore nellaciviltà odierna 32