Post on 18-Feb-2019
transcript
Dai “luoghi” in cui si nasce
e si muore
“Essere soli in presenza”
P. Fagandini M. Paterlini
Psicologhe Ostetricia e Neonatologia
Arcispedale S.Maria Nuova Reggio Emilia
Donna, come ti chiami ?
Non lo so
Quando sei nata, da dove vieni?
Non lo so
Perché ti sei scavata una tana sottoterra?
Non lo so
Da quando ti nascondi qui ?
Non lo so
Perché mi hai morso la mano?
Non lo so
Sai che non ti faremo del male?
Non lo so
Da che parte stai?
Non lo so
Hai dei figli ?
SI
W. Szymborska, Vietnam in Opere, Adelphi 2008
Avere un figlio
Nascita e Morte
“Essere soli in presenza”
La Madre è sola … in presenza del figlio fuori di lei,
dentro di lei.
Il Padre è solo …. in presenza della madre e del figlio.
Sono soli …. in presenza della loro famiglia .
Sono soli ….. in presenza degli operatori.
Gli operatori sono soli …. in presenza dei genitori, del
figlio, delle loro storie famigliari….
Essere soli in presenza : le madri
L’ambivalenza caratterizza
l’esperienza della maternità, il
desiderio vivo, misto a paura,
di un bambino può associarsi
al desiderio e paura, opposto:
di vedere scomparire il
bambino.
Può essere una delle fonti
principali delle fantasie
angosciose di aver concepito
un mostro o di perdere il
bambino.
La morte nella nascita
«realizza» questo terrore.
La morte “all’inizio della vita”
è concettualmente indicibile,
aggiunge la non
rappresentabilità della morte
alla non rappresentabilità
dell’origine ma il figlio, anche
se morto, è figlio e il genitore
è genitore.
Non ci sono parole, non ci
sono definizioni, non ci sono
spiegazioni, ci sono solo
domande difficili, impossibili…
“Les Parent Désenfantés”:
nella nostra lingua ed in
molte altre non è previsto un
termine che indichi il genitore
che perde un figlio.
DOLORE senza NOME
Vive nel corpo e nella mente
Per i genitori la morte di un bambino
alla nascita è un dramma muto, una
catastrofe brutale e il più delle volte
silenziosa.
Si arresta di colpo tutto ciò su cui si
stava investendo.. l’indicibile e
l’impensabile irrompono in una scena
che era stata preparata per
accogliere la vita.
Oltre alla perdita del bambino è la perdita o la morte
più o meno temporanea di una parte di sé, difficilmente
circoscrivibile . (Ferrara Mori G. 2008 ) .
La pelle del mio ventre mi si incollava alla schiena talmente ero vuota. Il bambino era uscito, noi non eravamo più insieme. Era
morto di una morte separata…la mia pancia era ricaduta pesantemente su se stessa, una stoffa usata, un relitto, un
drappo mortuario, una lastra, un niente altro che questo ventre. Le persone dicevano: “non è così terribile alla nascita, è meglio
così..”. Era terribile? Credo di sì; precisamente questo: la coincidenza tra la sua venuta al mondo e la sua morte.
Questo vuoto terribile, io non avevo avuto un bambino, neanche per un ora.
M. Duras
Hanno avuto un bambino, ma hanno perso un bambino, una parte di loro stessi, dei loro desideri , del loro futuro
come madre, come genitori, come coppia .
L’evento di perdita,
profondamente vissuto
nell’intimo delle madri e
dei padri, può risultare
però poco comprensibile
all’esterno, perché si
piange un bambino
“sconosciuto”
al mondo esterno ma che
vive nel mondo interno.
I bambini comprendono
Ascoltando i bambini
Tutti hanno paura,
almeno un po’ , anche i
grandi ...
ma hanno delle paure
diverse da quelle dei
bambini:
hanno paura di perdere i
loro bambini Mattia 5 anni
Ascoltando i bambini : i fratelli
Tommaso Le persone che vanno in ospedale guariscono tutte… ma delle volte non ce la fanno e muoiono Rebecca Come il mio papà che è morto, perché a lui gli si è fermato il cuore Tommaso Ma possono morire solo i vecchi, no i giovani Rebecca In ospedale fanno anche nascere i bambini Francesco In ospedale non ci vanno solo gli ammalati, ma ci vanno anche le mamme per fare nascere i bambini Lucia Sì, ma possono morire anche i bambini, mio fratellino è morto che era piccolo piccolo, appena nato Francesco Questa cosa uno piccolo non se la meritava… Rebecca Dobbiamo aiutarlo!
Lucia Prepariamo un disegno , lo leghiamo a un palloncino , lo
porto al cimitero e lo mandiamo in cielo
I bambini sanno che esiste la morte.
Pur non chiamandola Morte, fin da piccoli conoscono
sentimenti inquietanti, molto vicini al senso di
annientamento che la sola idea della morte induce.
Da neonati hanno provato “agonie” primitive, senza
nome, cadere all’infinito, perdersi, andare in frantumi ;
crescendo hanno poi conosciuto il timore di essere
abbandonati, di rimanere soli (D. Winnicott, D.Meltzer) .
Ma i bambini sono contenuti dalle braccia e dalla
mente della madre e del padre; sanno cos’è la
consolazione, sentono il senso della vita e della morte.
L'ANATRA, LA MORTE E IL TULIPANO
di Wolf Erlbruch e V. Starnone
Ti starò accanto per tutto il tempo che ti resta
Ho freddo, ti va di scaldarmi un pochino ?
Era accaduto qualcosa ….. Una neve leggera scendeva
“Poi Samuele morì, ma ci guardò sempre da lassù” “Samuele è il mio fratello preferito. Lui è già andato in cielo quando aveva due mesi, cioè il giorno dopo ne compiva tre. Era un bambino molto buono e nei suoi difetti ha avuto pazienza. Lui era un po’ diverso da noi, non riusciva a mangiare ed altre cose. A volte sembrava che imparasse meglio a mangiare con il cucchiaino, allora la mamma diceva che i cucchiai normali erano troppo grandi, così io le ho dato un cucchiaino di Cicciobello. Aveva due pezzi di cielo al posto degli occhi e una piccola bocchina a forma di cuore, nella sua manina destra aveva un ditino che indicava sempre il cielo”.
La coincidenza della morte con la
nascita si scontra con un legame,
impossibile da “concepire”, ma
fortissimo nel vissuto emotivo, tra l’inizio
e la fine della vita.
La vita di quel figlio-fratellino è iniziata prima
della nascita, nel sogno, nel desiderio, nel
corpo della madre, del padre, dei fratelli ; la
sua vita continua ad esistere nella morte.
Le neuroscienze dimostrano che la memoria del corpo
precede la nostra capacità di ricordare.
Tutto il ricordo dei primi tempi di vita è immerso nel
“sentire del corpo”, nel mondo delle sensazioni fisiche,
in quella che si chiama memoria implicita (M.Mancia
2006), è memoria del corpo, prima che del pensiero,
prima delle parole per dirlo.
E’ il mondo delle sensazioni fisiche in cui si imprime il
nostro stare nella vita, la nostra capacità o il nostro
rifiuto della fisicità, fino alla lotta finale tra istinto di vita
e di morte.
Nel corpo : la verità della storia di ognuno di
noi, anche di chi «non c’è più»
Il parto del proprio bambino morto, il
poco tempo da condividere con lui,
la sua assenza nei giorni successivi…
Il corpo conserva la “sua” memoria
della gravidanza e spesso ripropone
per qualche tempo i vissuti relativi
alla presenza del bambino (alcune
donne sentono i movimenti nella
pancia, altre hanno l’impressione di
sentire il pianto del loro bambino,
altre ancora producono latte e
rispondono scarsamente alle terapie
inibenti).
Difendersi
L’apparente anestesia emotiva che spesso
alcune madri dimostrano fa parte di un
comune meccanismo difensivo, che permette
di entrare lentamente a contatto con il
trauma, in modo da non esserne travolta.
La negazione della morte (ad es. il rifiuto di
vedere il bambino) consente di sopravvivere
nell’attesa di essere in condizione di riconoscerla e possibilmente accettarla.
l’ elaborazione del lutto : madre e padre
insieme Di fronte alla non rappresentabilità di una morte nella nascita, si rendono necessari degli atti simbolici, dei rituali che possano essere condivisi e diano “pensiero” al bambino mai nato. Vedere il bambino, scegliere il nome, fare la fotografia facilitano il poter dare un volto, un’ identità, un corpo a ciò che era immaginato e fantasticato dentro di sé, consentendo il passaggio dall’immaginario al reale, perché questo bambino non rimanga un “fantasma” e si possa preservare il legame con lui. Occorre tenere conto della soggettività dei genitori e del loro modo di vivere la morte perinatale, alcune volte è solo «dopo» che riescono a vedere le foto, dare un nome, vedere il luogo di sepoltura.
Essere soli in presenza : gli operatori
Le candele sono legate a emozioni dolorose e
sono insieme una fonte di luce.
Ma attribuendo a persone il compito che hanno le candele, si dimentica una cosa importante: che le candele fanno luce
consumando se stesse in questo compito
Dina Wardi
Paola, un’infermiera
Andrea Guardarti è difficile
In te si vede la vita che ferma ed immobile aspetta.
Si vedono: pianti, sorrisi, coccole, piccole corse
braccia aperte baci amorevoli fermi, sospesi
sulla ragnatela intessuta dal destino legati al filo della speranza
come un tempo tra parentesi. Eppure devo guardarti piccola essenza
Frammento di universo
Il vissuto degli operatori
Entrano concretamente in contatto fisico e
mentale con il bambino e i suoi genitori,
sostengono gli atti medici più invasivi e dolorosi,
ricevono forti proiezioni di angoscia di morte, di impotenza, di inadeguatezza. L’ insieme di queste emozioni intense, talora
difficili da controllare, si traducono in modalità
relazionali diverse nei confronti delle coppie
genitoriali in lutto e tra gli adulti che se ne
occupano.
Gli operatori : Le ostetriche
Ero in servizio presso l’ambulatorio della gravidanza a termine, tre mamme erano accomodate sulla poltrona mentre S. provava il battito cardiaco. Mi sono accorta subito che in una signora non c’era il battito: “Una MEF fai fatica a non distinguerla. C’è un silenzio di tomba, un silenzio assoluto. Il tuo sforzo è di non trasmettere ansia ma non l’accetti neanche tu. Ti sdoppi, te le racconti tutte.
Ho sentito subito il bisogno di isolarla e di proteggere le altre mamme. L’ho accompagnata in un’altra stanza dove c’era il dottore, sono stata lì con lei mentre il medico la visitava e le ho tenuto la mano, poi dopo la conferma del medico, l’ho accompagnata in reparto dove l’ho consegnata ad una collega. La mia preoccupazione era di tornare giù dalle altre e di pensare a cosa avrei potuto dire rispetto a quanto successo.”
«Io difficilmente piango, anche nelle mie esperienze personali mi è capitato di farlo, ma la MEF è qualcosa di particolare.
La prima reazione che ho è di scappare e poi lo trovi il modo per sentirti in colpa per qualcosa. Per me la cosa più devastante è che queste mamme andranno a casa senza il loro bambino»
La vergogna è il
sentimento della caduta
originale , non il fatto di
aver commesso una colpa,
ma vergogna di essere
«caduto nel mondo», di
essere in balia delle cose,
degli altri, senza difese, di
essere «oggetto».
E’ strettamente connessa al
senso della propria identità,
mette in crisi il concetto
che noi abbiamo di noi
stessi….
Sartre
VERGOGNA
Vergogna
Nasce da un preciso sentire, le ali morbide di un uccellino caduto
e lasciato ricadere appena il suo sfintere ha espresso la paura:
così io lo lasciai cadere e l’ineluttabile si compì.
Così, quando tutti i pezzi confusi della storia, si sono composti nel
bambino nato morto mi sono vergognata di non essere riuscita a
vedere meglio i segni di allarme, di non essere stata capace a
guardare e vedere, di non aver dato più voce al sentire.
Ricordo benissimo la sensazione fisica che si spande dalle spalle e
ti abbassa lo sguardo, l’ho sentita per molto tempo, tutte le volte
che ci ho ripensato, tutte le volte che ne ho dovuto parlare, tutte
le volte che ho dovuto ritornare a quella storia perché alla
vergogna cerchi di sfuggire ma dentro rimane.
È impermeabile al tempo, anche a distanza di anni ha la sua
forma anzi la tua forma e il suo peso.
È difficile parlarne, ricordarla, continua a spingerti nel gorgo che
mi fa dire che mi vergogno di essermi vergognata
Un medico neonatologo Da pediatra e ancor più da neonatologa, ho provato non di rado tanta voglia di FUGGIRE, anzi di SFUGGIRE…nonostante la mia grinta, la mia determinazione, la mia efficienza…quante volte ho desiderato sfuggire allo sguardo indagatore di un genitore, di sfuggire alla comunicazione di una diagnosi infausta…a dire il vero, questo mi sembra tra noi neonatologi un atteggiamento abbastanza comune, troppo comune … e mi ha fatto sempre tanta rabbia…chissà quante volte anche un’infermiera avrebbe lo stesso desiderio e invece si trova obbligata a non muoversi da lì, e invece noi, così bravi, quando si può, a passare la palla ad un collega…così bravi a trovare vie di fuga dal reparto alternative quando all’ingresso principale “c’è un padre che proprio………….”. Sì, l’ho fatto anch’io ma, quando è capitato, mi sono piaciuta così poco… mi sono vergognata… e pensare che basta così poco… sedersi di fianco ad una mamma concedendo a lei e a me quei 10 minuti in più, accettare di ripetere dall’inizio tutte le informazioni su un bambino perché ti accorgi che i genitori ti hanno sentita ma non compresa…… senza far finta di “aver qualcosa di più urgente da fare”… Federica
“Si uccide un bambino” (Leclaire,
1975):è un fantasma centrale,
fortemente represso, rimesso in
gioco da ogni nascita.
La nostra cultura lo mette in
scena sotto forme diverse: la
mitologia, le tragedie greche, la
Bibbia (la strage degli Innocenti),
le fiabe tradizionali, in cui il tema
dell’”uccisione” dei figli è spesso
prevalente.
La Colpa
Dolce Aurora,
Quando il mio primo giorno di rientro a Reggio ti ho trovata nella stanzetta dell’isolamento… non so perché ma ho subito sentito che il nostro sarebbe stato un rapporto “forte”… Aurora era il nome che avrei voluto dare a mia figlia ma che poi non le ho dato perché era sì il nome della mia dolce nonna ma lei era stata così sfortunata nella vita….
Mi hanno subito descritta con perizia di particolari la tua sfortunatissima e
breve vita… la diagnosi di malattia neurometabolica, la necessità di una tracheotomia, il posizionamento della PEG e la necessità di assisterti in ospedale per la mancanza di una struttura adeguata… ma cosa c’è di adeguato per un bambino che deve morire???
E i tuoi genitori… non se la sono sentita , a casa c’era la tua sorellina maggiore, avrebbe sofferto tanto nel vederti così, lei ti ha sempre immaginato un po’ diversa…
e invece, gli occhi sbarrati nel vuoto con le ciglia lunghe e scure, la piccola
bocca rossa lucidata dal miele rosato, quella gamba disarticolata così impressionante… e la tua aria così affaticata nonostante tu non abbia potuto mai fare purtroppo alcuna fatica… nemmeno quella di respirare, piccola Aurora…
Che cosa è questo ragno disegnato su un foglio bianco? Non è un ragno, dottoressa, mi ha detto un’infermiera… è un Sole… è il Sole che la sorellina di Aurora ha disegnato per lei… un sole viola, dai sottili artigli allungati… la tua sorellina non ti ha mai vista, Aurora, ma ti ha sentita fino in fondo… quello che succede qui dentro… succede anche fuori… Aurora… e chi ci vuole bene… ci “sente” addosso sempre…
Ti ho conosciuto per pochi giorni Aurora, pochissimi… ma come a volte accade
a noi che facciamo questo mestiere curioso e meraviglioso… è toccato a me che fra tutti ero quella che ti aveva conosciuto per meno tempo, di starti accanto mentre ci lasciavi… avevi già tentato di farlo più volte… lanciando un urlo smorzato dalla cannula tracheale, avevi già tentato… ma noi non te lo permettevamo , dolce Aurora e i farmaci e il tubo e il massaggio cardiaco non te lo permettevano… ed ogni volta eri sempre più stanca…e il sole ai piedi del letto non ti illuminava più… anzi mai ti ha illuminata…
Quel caldo pomeriggio di luglio, il tuo cuoricino sfiancato chiedeva un aiuto
per addormentarsi… non hai sentito nulla, dolce Aurora e ti sei addormentata come una bambola nuova sul cuscino di un bimbo che sogna …
Federica Neonatologa
La mente genera metafore sull’esperienza del mondo, cerca di
comprendere gli eventi più tragici costruendo su di essi fantasie inconsce,
giochi, sogni, racconti.
Se non vi è sviluppo simbolico o se i simboli non sono corrispondenti alle
emozioni che li hanno generati, la mente “muore”.
Occorre accettare il limite, ma anche cercare, trovare nuove strade, a
volte un sentiero poetico per cercare di capire, cercare di incontrarci tra
bambini, genitori, operatori e continuare a vivere, a crescere a lavorare.
Le lettere dei genitori ci hanno confermato l’impatto emotivo
del nostro lavoro.
Ci hanno dimostrato che c’è bisogno di dare un senso , un
significato e un nome alle loro esperienze , al loro dolore , ma
anche che è importante condividere.
Raccontarsi può essere terapeutico anche per gli operatori
La narrazione
Abbiamo imparato che gli operatori delle professioni di cura hanno bisogno di comprendere i propri sentimenti messi in gioco nella relazione d’aiuto. Sentimenti non equivale a “buoni” sentimenti
Scrivere perché? La mia è una necessità da tempo. Lavoro da oltre 25 anni in TIN, questa mia professione si è sviluppata parallelamente alla mia vita.
Ne ha segnato i ritmi, almeno cronologicamente ed è una fetta abbondante del mio “essere persona”.
Lavorare quotidianamente con la sofferenza, il dolore, le speranze di vita rispetto al futuro, rispetto ad un progetto (figlio) disatteso o sospeso può essere devastante per chiunque, quindi il narrare diventa sfogo, porto sicuro, diventa ricordo, diventa urgenza dove si stemperano le emozioni, si fissano sentimenti, si “leccano” le ferite dell’anima, ci si coccola, ci si protegge, ecc.
Durante questi anni, attraverso il gruppo di lavoro abbiamo imparato che per sopravvivere al dolore dobbiamo accoglierlo, non negarlo, che la condivisione con i colleghi aiuta a digerire un lavoro difficile come il nostro fatto da “tecnici con il cuori in mano” che si confrontano con i sentimenti e le emozioni che ognuno di noi prova: operatori, genitori etc.
Condividere le emozioni ci permette di non sentirci soli con l’angoscia di un bimbo che sta male, di un genitore che ti chiede aiuto, di un genitore in crisi, ecc. Scrivere ci ha aiutato a sopravvivere come persone e come gruppo.
Col tempo la poesia è diventata una conseguenza del mio percorso di questi anni di lavoro e di vita, sono parole che fluiscono non mediate dalla ragione, che si pongono sulla carta al loro posto senza concessioni ma direttamente, semplicemente.
PAOLA : Narrazioni dalla Neonatologia
EMMA
”Sto bene solo se dormi Dormendo si placa il tuo dolore
Così grande, troppo per la tua piccola vita. Se dormi puoi sognare, forse.
Sognare il nido tranquillo e conosciuto di un ventre che ti conteneva laddove si palpava serenità,
dove non c’erano luce forte, rumori incomprensibili dove ti cullava un cuore grande e conosciuto e un cuore piccino
che non riesci a dimenticare. …………………………………………..
E tu urlavi a tuo modo con ogni frammento del tuo piccolo corpo costretto, legato, martoriato, contratto. Dormi e tra le tue ciglia lunghe
lacrime sgorgano …….
Il tuo dolore così grande mi avvolge ogni volta che ti vengo vicino e rimbalza sull’anima, la taglia la piaga la piega. Non voglio farti male piccolina
vorrei solo farti dormire. Sto bene solo se dormi, se dormi non sento che soffri.
Paola Infermiera Prof.
Rituali di vita, rituali di morte . L’ospedale dell’inizio
del terzo millennio è , in tale senso un tempio
moderno archetipico: il sacro non scompare, si
trasforma. (Missonier 2005)
Come sempre la vita non si lascia programmare, la storia di ognuno riserva
sorprese insperate, l’esistenza è misteriosa,
alcune volte ci sembra più vivibile, in altri momenti
siamo resi muti dal dolore. Insieme si può costruire un
senso, ma solo se lo cerchiamo…
F. Braschi