Post on 28-Mar-2016
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Daniela Casarini
Ombre sdrucciole poesia
Catania 2010
Proprietà letteraria di Daniela Casarini
a cura di Sebastiano A. Patanè
collana “i quaderni delle Vie”
per “le vie poetiche”
In copertina:
Ramificazioni acr. su tela (50x60)
di Daniela Casarini
I quaderni delle Vie
Presentazione
In questo quaderno delle Vie, che presentiamo, non c’è una sequenza di poesie
bensì una mini silloge, un discorso poetico che Daniela Casarini ci canta col suo
inconfondibile tono. Con schemi inediti, come sempre, La Casarini muove spazi
a suo piacimento senza tenere conto degli estremi, che sfiora, è con eventualità
di suono ma anche col posizionamento della parola sul margine minimo dello
scivolamento verso l’ermetico. Ma vola, il verso, con queste grandi ali fornite
dall’autrice, eliminando ogni forma di zavorra, spogliando la sintesi,
smembrandola per poi prenderne l’essenziale e trasformarla in poesia pulita,
senza alcuna impurità, senza pregnanti.
Daniela Casarini, scrive senza chiedersi se il suo pensiero possa essere
tradotto facilmente, “la poesia non va spiegata, è il lettore che coglie le
emozioni nelle parole e le fa sue attraverso la propria sensazione” mi scrive in
una lettera, per cui non è difficile capire che non si parla di poesia super
elaborata, ma di espressione pura che imbarca il lettore in un viaggio al di fuori
delle sfere ordinarie.
Il posizionamento, lo schema, non è certamente casuale, ogni verso segue la
sua direzione e trova i suoi luoghi poetici, per dare al testo il significato
intrinseco che lei, la poetessa, vuole assolutamente dare.
Personalmente amo la scrittura della Casarini che riesce a suscitare vive e
sostanziali emozioni, senza che per questo ne soffra la sintassi o la tematica.
La ritengo poesia completa dal titolo alle sospensioni finali che lei non vuole
chiamare “chiuse”.
le vie poetiche
scrivimi una poesia aurorale, che mi chiami
con il nome dei mulini a vento
Ombre sdrucciole
qui il vento incurva d’eucalipto ogni foglia
vola d’altalena
il desiderio di toccare il cielo. così mi chiedi di spingerti più in alto ché degli occhi possa cambiare azzurrità la notte diventare blu, dolcemente unire le finestre voci di uomini e bambini
il sonno tramuta l’oro in escursioni quando la parola si fa cielo, principio d’Africa, capricorno sugli affreschi dei mulini a vento ora vedi come scende la lingua d’uragano, il dormiveglia
che compone. scompone.
la madre coi suoi pizzi, la giocondità delle dita trapunta seta gialla la voce fanciullina, che argenta i tulipani
ove nacque come incantesimo doppio si diceva
freddo e ancora, qui seduta con un’aureola d’acero alla schiena tu che parli dell’addio, del tempo da incollare agli steccati di croci, gettate alle veglie come un galleggiare promiscuo di bandiere
la voce disperata prende forma da vertebre protese dentro simili a dita, ferite dalle negligenze il tuo sonno entra fra le gambe, mi afferra il respiro per non dirti -fiutiamo i bucati, mettiamoci le intimità del corpo, i baci, la paura
ora è la distanza, ma ti sento, acceso sulla tribolazione. sui crolli della casa terrazzamenti a metà tra il vomito e il tremore
non esce grido. la mano, l’orlo del sopportare futurismi a can che corre
fotogramma transito verso l’agonia
e buio sento/ lago sottilissimo di ghiaccio
mare con te sulla pelle. gli occhi ruotano il REM, come oceani la mano tra i miei ponti la voce diviene uterina, lenta, va e torna come il neon di un’insegna
(assenzio mare, provincia) il bar si colora coi pastelli di Degas, le sottane increspano di terre tropicali col loro sciabordare rasi, fra passaggi strettissimi verrà il trasloco quanto l’alba sgocciola catrame. bollente. colerà sullo sfondo di muscoli caduti prove per essere un eroe e mitigare la piena, i raccolti persi, la morte
ed è il giorno
giorno dopo le notti sudate corpo senza corpo di un’agonia che ha amato solo la luna così vertigini, così tonde negli amori/scivoli
la vetrina il letto
di traverso. la valigia al muro come un condannato, quando resta solo
vado ritrovando i suoni, un viale perpendicolare alba d’uomo col fucile, un po’ incosciente un po’ dannato. lo sparo che scardina i silenzi di una finestra aperta su cancelli e transumanze
come se fosse il sole a richiamare le capre il pane carasau stipiti e sangue nei vestiti l’odore del mare e delle greggi
presto avremo dei chiodi, la corona per una festa che non sarà il natale, ma un taglio di traverso sul petto con la mano mi aprirò la scollatura per essere meno maldestramente una Maddalena che prende i respiri dal pane. mulino spago, spiga lamelle di un'ostia tra le labbra dello sposo sotto i camminamenti sento l’equatore la planimetria del destino cingermi il costato il sangue melagrana attorno a un lutto che cresce anche sul legno
sulle unghie dei tarli ormai radici
le voci dentro la conchiglia fanno domande, come mareggiate
girerò nel senso della simmetria per il mio spirito soldato spillo sui livelli d’acqua in cui s’annega un silenzio sovversivo il freddo sulla punta delle dita mi nasconde tra parole piccolissime
sono indecisa se spogliarmi o rimanere vestita mentre la fronte accascia su di un palmo e l’altra mano scrive la sua ombra, come un profeta finito tra i carteggi di un amore virtuale
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