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Dante e Alchimia
E se la ”Divina Commedia” fosse un'opera alchemica la cui "prima materia " è
l'uomo? Cerchiamo di comprendere il significato nascosto nel testo effettuando
una lettura spirituale alla ricerca del messaggio esoterico lasciatoci da Dante.
E' Dante stesso che ci invita a fare così, questo è il suggerimento che si trova nella
lettera a Cangrande della Scala dove ci avverte che il poema si può leggere in
diversi modi: quello letterale, quello allegorico, quello morale e in quello
anagogico o spirituale 1( già indicato come " sovrassenso" nel Convivio) ed indica
quest'ultimo come il più difficile ed il più importante (questo modo di interpretare
i testi deriva dalla tradizione ebraica del cosiddetto ”giardino” Pardes: Peshat
1 Ad evidentiam itaque dicendorum sciendum est quod istius operis non est simplex sensus, uno dici potest polisemos, hoc est plurium sensuum; nam primus sensus est qui hahetur per litteram, alius est qui habetur per significata per litteram. Et primus dici Iitteralis, secundus vero allegoricus, sive moralis, sive anagogicus. ( Epistola XIII )
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letterale,Remez allegorico,Derash morale,Sod spirituale). Anche nella
“Commedia” ci invita più volte a cercare il significato nascosto ad es. : "o voi che
avete gli intelletti sani /mirate la dottrina che s'asconde / dietro il velame delli
versi strani."( Inf.IX, 61-63 ), “ Aguzza qui, lettor, ben li occhi al vero,/chè ‘l velo
è ora ben tanto sottile,/ certo che ‘l trapassar dentro è leggero” ( Purg.VIII ,19-
21). Per far questo è necessario affidarsi alla polivalenza semantica del simbolo.
Soltanto dopo i primi dell'ottocento sì iniziarono a proporre interpretazioni
anagogiche, tra le prime voci ci furono quelle del Foscolo, del Rossetti, del
Pascoli, del Valli, più recentemente del Guenon, del John e del Cerchio che, tra
l'altro, ritengono Dante molto vicino ai templari; infatti non é improbabile che
l'Ordine, mirabile fusione di religiosi, guerrieri, finanzieri, proponendo un
efficiente esempio di regime teocratico, abbia fornito più di uno stimolo alla
dottrina dantesca di una suprema interdipendenza tra Chiesa ed Impero. La triste
vicenda del Tempio attraversa il Poema come qualcosa di sinistro; altri eventi
storici sono narrati senza veli, mentre la tragedia templare beneficia solo di cenni
sparsi che però si riuniscono a formare una tela inquietante. I responsabili della
distruzione del Tempio sono bollati con parole più dure di quelle riservate ad altri
malvagi. Filippo il Bello, che nell'inferno (terminato probabilmente prima del
1312, data dell’ abolizione ufficiale dell'Ordine) é vagamente definito “ chi Francia
regge ", campeggia quale concentrato di cattiveria nel Purgatorio, concepito negli
anni del disastro (“ Veggio il novo Pilato sì crudele, / che ciò nol sazia, ma sanza
decreto/ porta nel Tempio le cupide vele” Purg. XX 91-93). Illuminanti sono poi i
versi: ”O Segnor mio, quando sarò io lieto/a veder la vendetta che, nascosa / fa
dolce l’ira tua nel tuo secreto” ( Purg. XX 94-96).
Nell'antipurgatorio incontriamo Filippo III di Francia ed Enrico I di Navarra,
padre e suocero di Filippo il Bello i quali più che dolersi dei propri peccati
lamentano quelli di colui che viene definito ” mal di Francia”. Successivamente
Dante incontra Ugo Capeto, capostipite della dinastia regnante francese che così
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si autodefinisce: "io fui radice della mala pianta/ che la terra cristiana tutta
aduggia/ sì che buon frutto rado se ne schianta." (Pur. XX 43-45).
Anche la scelta di San Bernardo come guida finale per il celeste viaggio non è
priva di importanza: San Bernardo è l'ispiratore dell'Ordine del Tempio alla qual-
cosa si fa forse cenno con la scelta dei termini “contemplando” e "contemplante"
(Par. XXXI, lll- XXXII, 1). La presunta appartenenza o familiarità di Dante con i
Templari è interessante perchè questa potrebbe essere stata la fonte da cui attinse
quelle conoscenze esoteriche, cabalistiche ed orientali che affiorano nella sua
opera. Si può considerare la Divina Commedia come un testo d’alchimia
medioevale, cioè un testo che tratta della trasformazione della materia, della
materia umana, e della realizzazione dell'Opera. L'alchimia è l'opera di
trasmutazione dei metalli per mezzo del fuoco con il fine di ottenere l'oro dei
filosofi. Il metallo di partenza è il piombo, pesante, oscuro, simbolo della
condizione della materia, anche umana, privata della luce e tendente verso il
centro di gravità terrestre. Attraverso un certo numero di passaggi si giunge dopo
il lavoro dell'alchimista all'ottenimento dell'oro filosofale, alla materia trasmutata,
perfetta, piena di luce che consentirà l’”Aurea apprehensio”, la conoscenza aurea
( in ebraico AOR=Luce ). Gli alchimisti più illuminati erano consapevoli di
procedere in un cammino spirituale, volevano liberare dalle catene della materia la
scintilla divina che vi era imprigionata. Per rompere i legami della materia (la
“prima materia”, il caos, il piombo) si doveva procedere alla separazione e alla
soluzione (solve) degli elementi nemici (terra, acqua, aria, fuoco) Questa fase era
chiamata "opera al nero”, o nigredo. Disciolta la"prima materia" nei suoi
componenti, si trattava di isolare per mezzo di ripetute distillazioni e successive
coagulazioni (coagula), dette albedo o “opera al bianco", la sostanza
meravigliosa, la sostanza arcana, il lapis philosophorum dal quale ottenere l'oro
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filosofico liberando la particella divina imprigionata nella materia. E' questa la
fase della “rubedo” od opera al rosso2.
La materia era così liberata durante l'opus alchemico, dall'heimarmene vale a dire
dal fato che la imprigionava con l'influenza dei sette pianeti, ai sette pianeti l'opera
associava un metallo.3
I metalli sono così: piombo o Saturno, rame o Venere, stagno o Giove, mercurio o
Mercurio, ferro o Marte, argento o Luna ed infine oro o Sole. Nella
corrispondenza con i giorni della settimana si procede all’indietro dal sabato alla
domenica. Come l'acrostico VITRIOL ci dice che è necessario rettificare la
direzione che credevamo dirigersi in avanti mentre si tratta di ritornare sui propri
passi, di fare ritorno al centro, al centro di noi stessi, così Dante ci parla del suo
viaggio che procede dal "cerchio al centro" (Par.XIV).
2 Nei testi alchemici, oltre ai tre colori fondamentali -nero, bianco, rosso- se ne incontrano spesso altri, di massima si giunge a sette che di solito sono posti in relazione ai pianeti (“Tanto nella natura eterne che in quella esteriore vi sono sette forme, che gli antichi saggi hanno indicato con il nome dei pianeti. “ J. Bohme, De Signatura Rerum”.) 3 La divisione settenaria si rintraccia anche nel simbolismo dei sette giorni della settimana, nei sette gradi di perfezione, nei sette bracci della menorah; il sette rappresenta la totalità dello spazio e la totalità del tempo, associando il numero quattro che è il simbolo della terra < quattro elementi, quattro punti cardinali> e il numero tre, che è il simbolo del cielo, il sette rappresenta la totalità dell’universo in movimento. Il numero sacro degli Ebrei, che ricorre senza fine, è il numero sette. Si comincia dalla cosmogonia, in cui Dio completa la sua creazione in sette giorni. Poi Noè vene comandato di portare nell’arca sette paia di ogni animale mondo e sette paia di ogni uccello mondo, «perché tra sette giorni farò piovere sulla terra... e dopo sette giorni le acque del diluvio furono sopra la terra.» (Gn.7, 2-10). Tra la prima volta che Noè manda fuori dell’arca la colomba al secondo tentativo passarono sette giorni, e così tra il secondo tentativo e il terzo (Gn.8, 10). Quando Abramo conclude un patto con Abimelech: «Abramo mise in disparte sette agnelle del gregge, Abimelech disse ad Abramo: «Che significano quelle sette agnelle che hai messo in disparte?. Rispose: «Tu accetterai queste sette agnelle dalla mia mano, perché ciò mi valga da testimonianza...» (Gn.21,28-30). E nel contesto dello stesso racconto: “Per questo quel luogo si chiamò Bersabea (Beersheva), perché là fecero giuramento tutti e due” (21,31). In ebraico Beer vuol dire pozzo e Sheva' vuol dire sette, e la stessa radice sh-v-a' significa giuramento (Shvua'), quindi sette e giuramento sono la stessa parola. In un contesto simile alla sacralità connessa al patto e al giuramento, associati al numero sette: “Balaam disse a Balak: “Costruiscimi qui sette altari e preparami qui sette giovenchi e sette arieti” (Num.23,1). Balaam spera di riuscire a maledire i figli d’Israele esorcizzando la loro potenza attraverso la forza magica del numero sette. Questo concetto del sette, ossessivo tra gli Ebrei, è presente, in maniera molto più diluita, quasi come la traccia mnestica di qualcosa di molto arcaico, anche nel mito greco e romano, ma non dopo il V secolo a.C. e non prima dell'era cristiana, lasciando un gap di più di quattro secoli, in cui questo numero non appare.
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Anche il labirinto cretese, composto da sette corridoi e che ha un centro fatto a
croce, indica questo processo di liberazione dai veli dei metalli fino alla
manifestazione. Il numero sette nell'ermetismo, conformemente all'insegnamento
tradizionale esoterico, esprime forme trascendenti, non-umane di coscienza e di
energia che stanno alla base delle cose «elementate». La possibilità di un doppio
rapporto rispetto ad esse spiega la dottrina dei due settenari, l'uno legato alla
necessità, l'altro risolto nella libertà. Lo stato di corporeità fisica in cui si trova
l'uomo è legato al mistero di questa differenziazione del settenario e, attraverso i
«centri di vita», contiene altresì il doppio potere delle chiavi: dell'«aprire» e del
«chiudere»4, del solve et coagula ermetico. Purificazioni, distillazioni,
circolazioni, denudamenti, calcinazioni, soluzioni, abluzioni, uccisioni, bagni,
rettificazioni e via dicendo, in quanto direttamente o indirettamente collegate al
numero sette, esprimono, nella letteratura tecnica ermetica, l'opera applicata ai
poteri, per la loro trasposizione da un modo di essere ad un altro modo di essere,
«non umano».
Così Dante parte da una selva oscura e si porta verso il centro della terra,
occupato da Lucifero, "dove si traggon tutti i pesi” (Inf.XXXIV), dopo essere
disceso nei sette gironi dell'Inferno. Poi parte da una piaggia del monte
Purgatorio, in basso, e giunge in cima al monte per sette balze. Volerà quindi per i
sette cieli, giungendo oltre le stelle fino alla candida rosa mistica.
E' evidente la strutturazione simbolica della Divina Commedia in relazione alla
trasmutazione dei metalli.
L'Inferno rappresenta il fornello alchimistico, l'atanor: la storta è identificabile con
la "natural burella" attraverso la quale Dante giunge alla piaggia del Purgatorio.
4 Le chiavi erano un attributo dell’antica divinità italica Giano, assimilabile a Saturno. Ovidio nei “Fasti” fa parlare così Giano;”Tutto quel che vedi, il cielo, il mare, le nuvole, le terre, la mia mano le apre e le chiude volta per volta. Io solo ho la custodia dell’immenso universo; il potere di far girare i cardini mi appartiene senza riserve”.
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Anche riguardo al fuoco di cottura della materia ,materia che è Dante stesso,
troviamo stretti paralleli con l'opera alchemica.
Nell'Inferno il fuoco è energia che brucia, che incenerisce che bolle.
Nel Purgatorio è fuoco che purifica, è sofferenza e fatica; è anche luce
abbagliante nell'aspetto dei ministri di Dio, gli angeli, che vengono incontro ai due
pellegrini per farli procedere di balza in balza.
Nel Paradiso è luce beatifica, che trascende la forma e i sensi, luce d’amore che si
riflette da anima ad anima come da specchio a specchio. Senza il moto di questo
fuoco-amore non sarebbe pensabile il procedere del poeta lungo il suo percorso
oltre mondano. Questo fuoco-amore, che "move il sole e l'altre stelle", e anche il
fuoco-sole che conforta il pellegrino nella selva oscura, è colui che manca
nell'Inferno, e colui senza il quale nel Purgatorio non si può procedere, è ancora
colui che si moltiplica all'inizio del paradiso fuori ma anche dentro Dante, è il
fuoco della coscienza, della comprensione, è il fuoco divino non quell’umano.
Ecco di cosa parlavano gli alchimisti quando parlavano del fuoco. Nel primo
canto della Divina Commedia sono indicate le due possibili vie per la
realizzazione dell'opera alchemica, la via secca e la via umida. La via secca, o
diretta, necessita di un confronto diretto con le tre fiere. Dante non ritiene dì poter
seguire questa via per uscire dalla selva oscura, cioè per trasformare la materia
prima. Tale "corto andar" non è praticabile, egli non si ritiene degno ( “ l'anima tua
è da viltade offesa” gli dice Virgilio).
La via umida, indiretta, lunga, necessita invece di umiltà e corrisponde al percorso
del pellegrino lungo i tre regni. Tale percorso gli è consigliato da Virgilio: "a te
convien tener altro viaggio/ rispuose poi che lacrimar mi vide/ se vuò campar
desto loco selvaggio" (Inf.I, 91-93).
Nella Commedia la realizzazione della nigredo corrisponde all'Inferno, quella
dell'albedo al Purgatorio, quella della rubedo al Paradiso.
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Mediante la nigredo si deve arrivare alla dissoluzione della corporeità attraverso
la morte iniziatica.
L'opera al nero è la più pericolosa perchè bisogna dominare l'energia primordiale
e caotica della materia, della corporeità, dell'istintualità, dell'io legato al proprio
egoismo. L'energia primordiale per quanto caotica è sempre manifestazione del
principio divino per questo sarebbe fuori luogo condannarla moralmente.
L'iniziato ha il compito di rettificarla (VITRIOL). Le tre fiere, lonza, leone, lupa
corrispondono simmetricamente alle tre donne celesti che chiamano Dante al
viaggio: Beatrice incarna la sapienza (“ Veni, sponsa, de Libano cantando/ gridò
tre volte, e tutti li altri appresso” Purg. XXX, 11-12. La sponsa de Libano è
appunto, Chokmàh5 (la scienza di tutte le scienze, quella che fissa quel tutto al di
là del quale non c’è più nulla da sapere), la Sapienza di cui Salomone dice:
“Questa ho amato e ricercato fin dalla mia giovinezza, ho cercato di prendermela
come sposa, mi sono innamorato della sua bellezza”. Vedi anche Proverbi 8,22-
30 in cui è indicata come “architetta “ dell’universo) Lucia (anagramma di acuil-
aquila) la giustizia, e Maria la potenza essendo "là dove si puote ciò che si
vuole".La lonza dovrebbe quindi rappresentare la corruzione della sapienza, la
frantumazione del sapere unico e sacro nella molteplicità delle conoscenze
profane per questo la sua pelle "di pel maculato era coverta"
L'iniziazione ed i passaggi graduali sono invece il mezzo con cui si supera il
sapere profano e si accede alla Sapienza ( “ Le tue parole e ‘l mio seguace
ingegno/ rispuos’io lui m’hanno amor discoverto,/ ma ciò m’ha fatto di dubbiar
più pregno;/ chè s’amore è di fuori a noi offerto,/ e l’anima non va con altro
piede,/ se dritta o torta va , non è suo merto./ Ed elli a me : Quanto ragion qui
vede / dir ti poss’io ; da indi in là t’aspetta/ pur a Beatrice , ch’è opra di fede.”
Purg. XVIII, 40-48.) Seguendo la via dell'Ars Regia, la Grande Opera alchemica
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deve iniziare il più possibile intorno all'equinozio di primavera e così Dante spera
di superare la lonza perchè "a ben sperar m'era cagione di quella fiera a la gaetta
pelle/ l'ora del tempo e la dolce stagione" 6. La lonza, più che la lussuria com’è
solitamente ritenuta, rappresenta la forma degenerata di un’energia: l'amore per
sapere; tale energia rettificata porta alla Sapienza.
Il leone e Lucia sono legati da corrispondenze più dirette come non vedere nella
"test' alta" e nella "rabbiosa fame" la violenza, la forza cieca e feroce che opprime
il diritto. Chiara è anche la simmetria tra la lupa e la potenza-Maria. La lupa è
potenza che brama diventare atto solidificandosi nelle forme individuali e
materiali, è la cieca forza vitale che tiene attaccati all'individualismo, impedendo
la dissoluzione alchemica premessa alla conquista della trascendenza, ( la lupa e
Maria sono accostate nel XX Purg.10-19). Beatrice-Sophia, come già detto, è la
Sponsa de Libano, vale a dire la sposa del Cantico dei Cantici, nigra sed formosa
.... sícut Tabernaculum Cedar (1, 4-5). Il Cantico, il più misterioso dei Libri
Sapienziali della Bibbia, fu per il Medioevo cristiano il testo mistico per
eccellenza, che simboleggiava l'unione estatica dell'anima con Dio e pertanto il
manuale della dottrina dell'Amore cosmico; manuale iniziatico, perché il
linguaggio erotico non poteva essere compreso da tutti nel suo significato
esoterico, fermarsi al senso letterale del Cantico sarebbe un errore mostruoso.
Solo il senso mistico permette di coglierne il contenuto, perché l'intenzione di quel
poeta fu di narrarci per mezzo di parabole e segreti e immagini la forma della vera
profezia, la sua natura e come raggiungerla.
Beatrice, come sposa del Cantico, è dunque immagine dell'anima trasfigurata che
accoglie l'iniziato alla fine del suo cammino, dell'immagine di luce mazdea, della
veste di luce degli gnostici Atti di Tommaso, dell'anima intellettiva di Abulafia,
Chokmah la saggezza, è la rappresentazione che estrae dall’Assoluto ciò che essa vuole חכםה5rendere manifesto ed il risultato di questa scelta sarà l’intellegibile; è il Sapere, la concezione prima di tutte le verità fondamentali.
6 Il viaggio comincia simbolicamente la sera del giovedì santo del 1300
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della «Natura perfetta» descritta dagli ermetisti islamici. La natura perfetta è
l'entità spirituale, l'angelo del filosofo, la sua guida personale che lo inizia alla
sapienza. Essa non è altro insomma che la Daena, l’alter Ego celeste, figura di
luce a somiglianza dell'anima che, nello zoroastrismo e nel manicheismo, appare
all’eletto al momento del suo exitus...7
Beatrice ci appare dunque anche immagine di una Sapienza individuale, presente
nel profondo dell'anima, che conduce l'uomo a Dio attraverso l'iniziazione di
Amore. Questa doppia valenza delle donne di Dante, come in tutte le donne dei
Fedeli d'Amore, appare analoga a quella dell'Intelletto, il Nous del Pimandro,
ipostasi presente in Dio ed insieme “scintilla di luce che rende l'uomo a Dio
somigliante”, come scriverà Pico della Mirandola.
Nella Vita Nova Beatrice-Sophía appare a Dante prima vestita di rosso e poi di
bianco. Robert John ha giustamente associato questi colori a quelli templari,
anche l'abito degli Ismaeliti (gli «Assassini») ordine esoterico e guerriero
musulmano, era bianco e rosso e come è noto quest'ordine iniziatíco sciita ebbe
rapporti stretti con quello dei templari. Bianco e rosso sono anche i colori
dell'Uovo Filosofico dell'Alchimia, che racchiude in sè la Pietra Filosofale; la
Pietra deriva dalla Materia che, nel suo stadio vergine e lamellare nella figura di
Maria della chiesa di San Francesco di Paola a Firenze8, è simboleggiata da un
libro chiuso (“ Nel suo profondo vidi che s’interna/ legato con amore in un
volume,/ ciò che per l’universo si squaterna” Par. XXXIII,85-87).
Nell'architettura del ciborio, dipinto attorno alla Madonna non sorprenderà allora
notare la presenza della rosa a cinque petali ( “In forma dunque di candida rosa/
mi si mostrava la milizia santa/ che nel suo sangue Cristo fece sposa;”
7 E’ possibile ritrovare la natura perfetta anche sotto altri nomi, è alla sua ricerca che parte il pellegrino delle epopee mistiche persiane di Attar; la si ritrova nella scuola di Najm Kobra, sotto il nome di testimone del cielo, di guida invisibile; essa è anche il daimon socratico, il daimon personale di Plotino.
8 Detta “Madonna del parto”, proveniente in realtà da una chiesa templare che si trovava vicino a Ponte Vecchio
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Par.XXXI,1-3), simbolo della Quintessenza e della Pietra della Sapienza, di
quella quinta parte dell'uomo che l'Asclepio fa corrispondere all'intelletto.
Nella Divina Commedia, Beatrice appare a Dante su un carro, insieme con tre
fanciulle vestite di rosso, di bianco e di verde (tradizionalmente identificate con le
tre virtù teologali) ed è ella stessa vestita dei tre colori (Purgatorio, XXX, 30-
33),è da notare come tutto l'esterno della cattedrale di Firenze, Santa Maria del
Fiore, è impostato su questa tricromia sacra, col marmo bianco di Carrara, col
serpentino verde di Prato, col rosso del cotto o del marmo rosa; anche la
Madonna di San Francesco di Paola a ben guardare, ha il manto candido orlato di
una striscia di verde marino, nella sua figura si ritrovano dunque tutti e tre i colori
di Beatrice, Sapienza che guida Dante nei misteri più profondi del cammino
iniziatico della Commedia.
Queste coincidenze cromatiche fra Beatrice e la Madonna templare ci confermano
ancora una volta che nel Medioevo, e nei Fedeli d'Amore in particolare, esisteva
una tendenza ad identificare Maria con la divina Sophia, con quel principio
femminile presente nella sfera soprannaturale, che era comune anche
all'esoterismo delle altre religioni del Libro, quella ebraica e quella islamica. E’
probabile che questa tendenza fosse comune anche ai Templari, dei quali Robert
John ha dimostrato che i Fedeli d’Amore facevano parte come una sorta di terzo
ordine. Nel pensiero cristiano ortodosso del XIII secolo Maria non coincide con
la Sapienza così come nel pensiero rabbinico legato alla Torah la Shekinah non
coincide con Chokmah, da questo derivava la necessità di un linguaggio velato
per evitare accuse d’ eresia.
A conclusione dei “Documenti D’amore “ di Francesco da Barberino, troviamo
l’immagine di un re coronato, posto in cima ad una scala composta da dodici
gradini, corrispondenti ai gradi d’amore descritti nell’opera; essa tiene in una
mano lo scettro e con l’altra solleva una pietra. La pietra che il re tiene in mano è
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il simbolo della profezia e dell’eternità, della contemplazione della Sapienza di
Dio.
La ricerca di questa pietra è la ricerca del Graal. 9
Il cuore già dagli egiziani veniva rappresentato nei geroglifici con un vaso; il vaso
è anche il simbolo di Maria perché ha accolto il Verbo dentro di sé.
Questo vaso lo ritroviamo anche nell'alchimia, dove rappresenta l’atanor, il
fornello chiuso, entro il quale si forma la pietra filosofale, che gli alchimisti
definiscono spesso come il bambino. Per questo l'atanor, il vaso, è divenuto per
loro allegoria sia dell'anima che di Maria che accolgono in sé, fanno crescere e
partoriscono il Verbo.
Nelle varie fasi dell'Opera gli alchimisti riconoscevano dunque allegorie e simboli
che riconducevano all'Opera di redenzione divina, la quale, pur avvenuta nella
storia, si ripeteva continuamente nell'anima dell'iniziato. Il principio fondamentale
di questa alchimia interiore è racchiuso nella formula cristiana dell'Ave Maria .
“Maria corrisponde contemporaneamente sia alla materia prima che all'aníma nel
9 Il ciclo del Graal nasce improvvisamente e fiorisce in un lasso di tempo piuttosto breve, circa 150 anni.
Alla fine del XII secolo Chetretien de Troyes scrive il “Conte del Graal”. Nel 1190 Robert de Boron
scrive il “Joseph d’Arimathie, verso il 1207 appare il “Parzifal” di Wolfram von Eschenbach ( nel quale
il Graal è una pietra ) e, quasi contemporaneamente, nel 1210 la”Queste del Saint Graal” scritto in
ambiente cistercense; intorno al 1270 Albrecht von Sharffenberg scrive “Der jungere Titurel”. Come si
vede i racconti del Graal fioriscono negli stessi anni che vedono diffondersi dall’oriente ad occidente una
rinascita mistica intrisa di ermetismo e di gnosticismo: la poesia dell’amore mistico dei sufi persiani, la
cabbalah ebraica, la lirica d’amore che si diffonde dalla Provenza [ Wolfram scrive che la storia del
Graal è stata rinvenuta dal provenzale maestro Kyot a Toledo, in un manoscritto arabo il cui autore,
Flagetanis, è sì nato da padre arabo, ma discende dalla stirpe di Salomone. Si trovano così sintetizzate
da Wolfram tutte le componenti che in quegli anni avevano trasmesso in occidente la sapienza gnostica
ed ermetica.].
Tutte hanno un unico denominatore comune: la certezza che con un paziente cammino fatto di disciplina interiore, l’uomo possa separarsi dal proprio corpo e nel silenzio dei sensi ricevere per grazia un’illuminazione che è visione e conoscenza ineffabile di Dio. Questa conoscenza viene chiamata conoscenza del cuore per sottolinearne il carattere intuitivo e trascendente ( esprit de finessse, Pascal).
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suo stato di pura ricettività, mentre le parole dell'angelo sono come íl
prolungamento del fiat lux divino. Il “frutto del ventro Tuo” (fructus ventris tui)
corrisponde all'elisir miracoloso, alla Pietra Filosofale che è il fine stesso
dell'opera interiore. Secondo l'esegesi medievale, l'angelo saluta la Vergine
“mutans Evae nomen“ ( “Ave” è, in effetti" “Eva” rovesciato): il che indica la
trasmutazione dell'anima caotica nel puro specchio del Verbo divino. “A chi
obiettasse che l'angelo non poteva esprimersi in latino e che in ebraico Eva si
dice Khawwa, si può facilmente rispondere che il caso non esiste nella sfera del
sacro e che tutte le apparenti coincidenze che vi si offrono non sono altro, in
realtà, che segni della Provvidenza.” (Titus Burckhardt)
La materia prima dell'alchimia era dunque simbolo e allegoria di Maria e la
corrispondenza che gli alchimisti introducevano tra le operazioni materiali ed i
misteri della Fede confermava in loro la certezza che tutto il cosmo, con le sue
leggi, fosse specchio dell'Opera di Dio. Alla luce di quanto abbiamo detto, non
suscita sorpresa che nel XIII Canto del Paradiso, per bocca di San Tommaso
d'Aquino (a cui è attribuito un trattatello alchemico “Aurora consurgens”10),
Dante esplicitamente paragoni Maria alla Terra, cioè alla materia prima degli
alchimisti: “Così fu fatta già la terra degna / di tutta l'animal perfezione; / così fu
fatta la Vergine pregna...”Dante segue in questo Ugo di San Vittore il quale
scrive:”La terra da cui nacque il primo uomo significa la Vergine, dalla quale
nacque il secondo uomo: vergine la terra, vergine Maria ... Terra dunque Maria”.
Ancora nel Paradiso Dante ha un altro riferimento alchemico: egli introduce il
paragone di una vergine, che definisce figlia del Sole, la cui pelle da nera diventa
bianca:
“Così si fa la pelle bianca nera
10 Dagli “Acta Bollandiana”( raccolta di fonti latine testimonianze del processo di canonizzazione di S. Tommaso) si deduce che l’”Aurora Consurgens” derivi proprio dagli appunti delle ultime lezioni di san Tommaso tenute nell’abbazia di Santa Maria di Fossanova
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nel primo aspetto della bella figlia
di quel ch'apporta mane e lascia sera...” (Paradiso, XXVII, 136-138).
Di questi versi è stato giustamente notato il riferimento alla”sposa nigra sed
formosa “del Cantico dei Cantici, che abbiamo visto essere stato considerato dal
Medio Evo come il libro iniziatico per eccellenza. Ma i versi di Dante, che i
commentatori non riescono a spiegare, diventano espliciti quando si pensi alle fasi
dell'Opera che vedono la materia che si trasmuta passare dal nero al bianco
(Opera al Nero ed Opera al Bianco); ed alla Tavola Smeraldina, il testo ermetico
basilare dell'Alchimia composto nel IX secolo da un anonimo autore musulmano,
la quale afferma che il Sole è il Padre della materia e della Pietra che essa
partorisce: «Suo Padre è il Sole e sua Madre la Luna. Il vento l'ha portato nel suo
ventre e la Terra è la sua nutrice».La vergine di Dante ci appare allora come la
materia che, passando dal colore nero a quello bianco, si trasmuta, dando vita a
quel mercurio filosofico, che esotericamente corrisponde allo spirito luminoso
presente nell'uomo. Questo spirito è l'immagine di luce che introduce nel
Paradiso, è Daena, è la Sposa del Cantico dei Cantici. Ibn Arabi nelle
«Rivelazioni della Mecca» aveva parlato prima di Dante della compagna di luce
che guida l'iniziato nel suo transitorio cammino all’interno della terra celeste:
«Quando uno di noi cerca la via d'accesso a quella terra, quella degli iniziati di
qualunque categoria si tratti, uomini o geni, angeli o abitanti del paradiso - la
prima condizione che deve soddisfare è la pratica della gnosi mistica e
dell'isolamento fuori dal corpo materiale. Allora egli incontra quelle forme che si
levano e vigilano agli ingressi dei viali, poiché Dío le ha particolarmente preposte
a tale cura. Una di esse corre incontro a colui che amava, lo riveste di un abito
che conviene al suo rango spirituale, lo prende per mano, passeggia con lui per
quella terra e ne usano a loro piacímento... Allorquando egli ha raggiunto il suo
sul Cantico dei Cantici . I primi cinque capitoli dell’A.C. riguardano l’apparizione di una figura femminile chiamata la Sapienza di Dio
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intento e pensa di ritornare alla sua dimora, la sua compagna gli cammina accanto
per ricondurlo fino al luogo per il quale era entrato. Là gli dice addio,- lo spoglia
dell'abito di cui l'aveva rivestito, e si allontana da lui. Ma egli ha raccolto una
massa di conoscenze e di indízi e la sua conoscenza di Dío si è accresciuta di
qualcosa di cui non aveva ancora avuto l'appercezione visionaria. Non penso che
la comprensione penetri mai in profondità con una rapidità paragonabile a quella
con cui progredisce quando si compie in quella terra». Nello specchio
del'Opera alchemica, i filosofi scorsero riproporsi anche il mistero profondo
dell'Annunciazione.
All'Annunciazíone, primo Evento dell'Opera di Redenzione, continuamente
riproposto ed interiorizzato nel cuore dell'uomo che si converte, gli alchimisti
accostarono la sequenza della prima fase dell'Opera alchemica ed il primo gradino
che conduce alla rinascita spirituale, cioè quel momento in cui la Materia, per le
successive purificazioni che ha subito, da nera diventa bianca ed è pronta per la
generazione successiva e finale, la cosiddetta opera al rosso:
«Nell'Annunciazione, Maria è la Terra pura che non conosce uomo, e insieme la
terra pura totalmente devoluta alle forze fecondatrici dello Spirito ... ». La festa
dell'Annunziata (25 marzo), venendo nove mesi prima del Natale, cade nei giorni
dell’equinozio di Primavera, quando il Sole entra nel segno dell'Ariete, momento
che tutti gli alchimisti definirono il più propizio per l'inizio della loro opera
essendo questa la stagione della rinascita della natura, nella quale con più forza si
manifesta la potenza generativa dell'universo. Non è un caso che il segno
dell'Ariete coincida con il simbolo alchemico dello Zolfo puro, cioè della forza
generativa maschile presente nel cosmo e nella natura. E non a caso il
Cristianesimo ha posto proprio nell’equinozio di primavera, sotto il segno
dell'Ariete, la festa dell'Annunciazíone, che rappresenta l'inizio dell'opera
redentríce. I gigli, che nell'íconografia tradizionale spesso accompagnano
l'Annunziata, simboleggiano il candore della purificazione e, con le parole del
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padre Vannucci, «l'immagine della sostanza bianca femminile ... che eleva l'uomo
verso l'alto».
Il numero cinque compare spesso nell'iconografia dell'Annunziata: cinque sono i
gigli posti nel vaso fra l'Angelo e Maria, nella robbiana della Verna. Il cinque
nella simbologia alchemica è segno della quinta essenza, della sofferta unione dei
quattro. L'Opera al Nero comporta quindi una discesa all'interno del terra, del
proprio io (conosci te stesso), per rettificare l'energia nel senso della
trascendenza.
Per far questo Dante giunge fino davanti a Lucifero (che è tricefalo, immagine
rovesciata della trinità superiore) ed è qui che ha compiuto una trasformazione
interiore con cambiamento di direzione di 180°. E' la mente (Virgilio), che attua il
superamento, il passaggio è tanto istantaneo che Dante non se ne accorge. Il
capovolgimento (o conversione, o metanoia), che è un evento interiore, instaura
un nuovo modo di vedere di cui non ci si rende immediatamente conto: "io levai li
occhi e credetti vedere/ Lucifero com'io l'avea lasciato, / e vidili le gambe in su
tenere" (Inf. XXXIV 88-90). Si passa così, dall'illusione umana di essere al
centro del cosmo, all'intuizione di una realtà che trascende questa centralità
illusoria.
Dal punto di vista alchemico è finita la "nigredo", è stata trovata la pietra nera, la
materialità plumbea-saturnina, che opportunamente trattata darà origine alla
"pietra filosofale”. Ora sul nero assoluto del "compost" alchemico deve apparire
un segno: la stella ("e quindi uscimmo a riveder le stelle” [Inf. XXXIV, 139];
“Dolce color d’oriental zaffiro,/ che s’accoglieva nel sereno aspetto/ del mezzo,
puro infino al primo giro,/ a li occhi miei incominciò diletto/ tosto ch’io uscì fuor
del’aura morta/ che m’avea contristati li occhi e ‘l petto./ Lo bel pianeta che
d’amar conforta/ faceva tutto ridere l’oriente” [Pur. I,13-20] ; “L’alba vinceva
l’ora mattutina/ che fuggia innanzi, si che di lontano/ conobbi il tremular della
marina"[ Pur.I 115-117]). E' l'alba della Pasqua di Resurrezione del 1300,e non è
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a caso che sia Venere la stella dell’amore a chiudere il ciclo notturno e ad aprire
quello del nuovo giorno.
E' il momento di condensare gli spiriti (coagula), comincia 1' "albedo", è la
catarsi, la rinascita.
Al regno della terra succede quello dell'acqua e dell'aria (il Purgatorio) preludio al
fuoco celeste.
La materia dissolta, deve ora purificarsi nelle acque per rinascere dalla
putrefazione nella purezza dei suoi elementi costitutivi( battesimo con la rugiada
Pur. I, 121-129), reintegrando la personalità in uno stato superiore. La "ricetta"
alchemica per quest’operazione prevede di fissare il "mercurio" congiungendolo a
"saturno" cioè lo spirito vitale (Mercurio) liberatosi nel corso dell'opera al nero
dai legami che lo tenevano prigioniero nella materia (Saturno) risorge; ma si deve
di nuovo congiungere alla materia-saturno in un rapporto funzionale ribaltato
("spiritualizzare il corpo dando corpo allo spirito" "volatilizzare fisso fissando il
volatile").
Il prodotto di tale congiunzione (le cosiddette "nozze chimiche") è raffigurato
emblematicamente nell’androgino, l'essere maschio-femmina che evoca l'unità
primordiale corrispondente all’Adam Quadmon della Cabbalà, all’Anthropos
degli gnostici. L’androgino è l'unità che trascende il dualismo per questo anche
detto Rebis (res-bis due cose in una). Nel Paradiso terrestre, superate le tensioni
tra cielo e terra, si ricostituisce quello che la tradizione iniziatica designa come 1'
"uomo primordiale", immagine riflessa di Dio (Dio si rivelerà a Dante solo nel
Paradiso celeste); si raggiunge così uno stato non più d’innocenza ma di purezza.
Nella terza cantica, il Paradiso, Dante giunge alla realizzazione dell'opera al
rosso, l'autoidentificazione nell’eterno, in pratica s’immedesima nel principio
divino e diventa partecipe della sua essenza (Dante usa i termini “trasumanar“,
”india”).Ha fatto l’esperienza del Dio vivente dai più nascosti recessi dell’inferno
fino, appunto, all'unione finale con Lui. Quanto egli ha "visto “trascende il suo
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tempo e la personalità del singolo, riguarda tutta l’umanità. La portata del
messaggio che Dante ci ha lasciato è enorme. Il messaggio di salvezza per
l'umanità è, all'inizio dell'opera, proiettato sul Cristo, ma alla fine del suo viaggio
balena al poeta per un attimo la certezza che la salvezza è immanente in ognuno.
In ognuno, infatti, è presente la totalità espressa nella visione finale a seguito della
sacra unione tra lo Spirito e l'Antropos, il quale rappresenta tutta l'umanità
reintegrata in Maria, la Grande Madre (Quaternità è simbolo di totalità, ma che
cosa significa l'opposizione di triade e quaternità e che cosa significa la triade di
fronte alla totalità? Per gli alchimisti questo problema si chiama “ Assioma di
Maria Prophetissa ( nome con cui è più nota Miriam sorella di Mosè) “: "L'UNO
DIVENTA DUE, I DUE DIVENTANO TRE, E PER MEZZO DEL TERZO, IL
QUARTO COMPIE L'UNITÀ". Tre11, come numero maschile, quattro12 come
11 Nella fantasia occidentale il numero tre si staglia come l’espressione della sintesi del tutto: l’inizio, la fine, e quello che è compreso entro questi parametri. Spinoza, il primo laico della storia moderna, disse che se il triangolo potesse parlare, direbbe che Dio è per eccellenza triangolare: “deum eminenter triangularem esse.” Freud ci ha mostrato che il numero tre è il simbolo del genitale maschile (Sigmund Freud, «Simbolismo nel sogno», in Opere, B. Boringhieri, Torino 1989, Vol.8, p.335):”Se questo numero debba eventualmente a questa relazione simbolica il suo carattere sacro, è una questione ancora aperta. Sembra però accertato che parecchie cose tripartite che compaiono in natura, per esempio il trifoglio, derivano da questo significato simbolico il loro impiego in stemmi ed emblemi. Anche il cosiddetto giglio francese tripartito e il singolare stemma di due isole così lontane tra loro come la Sicilia e l’isola di Mann, il triscele (tre gambe semipiegate che si dipartono da un comune centro), sembrano essere solo stilizzazioni del genitale maschile. Nell’antichità le effigi del membro maschile erano ritenute i più potenti mezzi apotropaici, cioè di difesa contro gli influssi malefici, e con ciò si connette il fatto che gli amuleti portafortuna del nostro tempo sono nell’insieme facilmente riconoscibili come simboli genitali o sessuali .” Il tre in Occidente è simbolo di completezza, punto di riferimento dell’astrazione in tutte le sue forme, dal sentimento religioso in tutta la poliedricità delle sue manifestazioni, alle speculazioni metafisiche. 12 Simbolo della terra posto nel suo quadrato; il grande grembo che accoglie tutta la specie. Il suo valore mistico è quello della croce, nel senso universale di proseguimento della vita. Il numero 4 dà luogo al quadrato in quanto quadrilatero regolare ed alla croce in quanto quadrilatero regolare a forma di stella. Queste figure hanno in comune l’angolo retto, alla periferia nel quadrato, e al centro nella croce, e perciò potremmo dire che l’angolo retto è il “manifestante” del numero 4. Quanto sia importante l’angolo retto nella vita dell’uomo, unico essere vivente in posizione verticale e quindi di perpendicolarità rispetto alla superficie terrestre, escludendo le piante perché fisse al suolo, lo si può ricavare dalla riflessione che la sua facoltà pensante è strettamente legata al suo uso; e per comprendere ciò basta portare il nostro sguardo nel campo della matematica, e scorgeremo che presso gli antichi greci e quindi al momento dello sviluppo della razionalità del pensiero nell’uomo, si trova per la prima volta
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numero femminile, tra la triade e la quaternità c'è quindi in primo luogo
l'opposizione tra spirito e materia, tra unità e molteplicità, tra immanenza e
trascendenza che Dante risolve in modo illuminato. L’Essere che appare come
luce emerge da uno stato unitario di non dualità e la molteplicità non proviene per
emanazione o uscita dall’Unità, ma è compresa nell’unità primaria, tenuta insieme
dalla forza coesiva dell’Amore cosmogonico.).
Maria quindi è la Terra che ci ha generato, ci ha dato la vita, ha edificato il nostro
corpo, il suo sangue, che scende dalle nuvole, sgorga dal suo grembo
mormorando nei ruscelli di montagna, scorre dentro di noi; l'aria che respiriamo è
il Suo respiro che è azzurro nelle altezze del cielo....Noi siamo in Lei….Lei è in
noi; siamo nati da Lei, viviamo in Lei e torneremo in Lei il giorno in cui dovremo
restituirle il nostro corpo...La consapevolezza finale per Dante, l'uomo, nasce da
Maria, lo stato femminile d’Amore ("donna è gentil nel ciel, che si compiange”,
Inf II, 94). Maria accoglie nello splendore della Rosa finale l'uomo, che ad
imitazio Christi accetta di morire al proprio egoismo per rinascere al Sé, al divino
realizzando quello hieros-gamos tra materia e spirito che porta alla realizzazione
dell'Unus Mundus.L'uomo nuovo, reintegrato da Dante nel suo processo, viene
dal basso, dalla notte, dalle tenebrose prigioni del vizio. Viene estratto con
processo d’alchimia spirituale, dalla "prima materia" (la "selva"). La "prima
materia "è in sé trascendente (come in alto, così in basso) anche se ne possiamo
vedere solo la fenomenologia. A questo mistero materno, terreno, viene in aiuto
dall'alto la Grazia, l'Eterno femminino trascendente, spirituale. Realizzando
alchemicamente la“coincidentia oppositorum”, si chiude il cerchio degli effetti
universali, armonizzando nell'Unità Cosmica quanto apparentemente discorda,
dimostrando l'unicità essenziale della realtà fisica e metafisica, è il ritorno alla
l’approccio alla geometria per mezzo del pensiero, vedi Talete, Pitagora, Euclide; e non soltanto loro, ma ancora noi oggi studiamo il mondo delle forme geometriche con l’aiuto dell’angolo retto sotto forma di triangolo rettangolo, il quale ultimo ci riporta ancora al 4 non essendo esso che la metà del rettangolo.
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perfetta identità indifferenziata primeva. Alla fine del viaggio celeste Dante si
scontra col mistero del male, che fa parte di un invisibile disegno divino ("le menti
tutte nel suo lieto aspetto / creando, a suo piacer di grazia dota / diversamente; e
qui basti l'effetto." (Par. XXXII, 64-66), La presenza del male nei mondo, il
significato del sorgere e tramontare delle civiltà, dipendono dall'uomo ma anche
da fattori sconosciuti (fortuna, predestinazione...). Rientrato con questa
consapevolezza nella vita fenomenica, l'uomo deve evitare di cadere in un
opposto o nell'altro (bene, male) ma rimanere ogni volta nei mezzo della scelta
etica (edificare templi alla virtù, scavare oscure e profonde prigioni ai vizio).
L'attualità del messaggio dantesco è la capacità di spiegare attraverso l’incanto
della poesia, come sia possibile trasformare in energia positiva gli ostacoli che si
incontrano; per affrontare un così duro cammino è necessaria quella forza
dell’Eros che, in tutte le culture, tiene uniti l’uomo e l’universo:
” L’amor che move ‘l sole e l’altre stelle” (Par. XXXIII,145).Consiste, quindi,
nell'eterno tentativo di risvegliare l'"uomo celeste" che dorme dentro di noi, di
realizzare la nostra natura immortale. Per far questo bisogna abbandonare la
maschera che adoperiamo nella vita di tutti i giorni, bisogna compiere un
sacrificio lasciando la vita così come l'abbiamo condotta fino a questo momento;
bisogna "morire", scendere negli inferi per rinascere. Morire e rinascere sono
un'esperienza interiore difficile da intendere per i profani ma chiara per gli iniziati.
"In verità, in verità, io dico che se alcuno non è nato di nuovo, non può vedere il
Regno dei cieli. Ciò che è nato dalla carne è carne ma ciò che è nato dallo spirito
è spirito Non meravigliarti ch'io ti dica che vi conviene nascere di nuovo."
(Giovanni III, 4-7) Dopo la "morte volontaria" alla vita profana si ha il rinascere
alla vita non più come "persona" ( in latino significa maschera ) ma come
coscienza di essere (Dante dice "mi ritrovai"). Questa Grande Opera di
sacralizzazione universale è in "grande" quello che in "piccolo" è l'Opera
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individuale con cui ogni uomo, sacralizzando la "propria" terra" (il corpo e la
mente fisica) diventa Iniziato. Così l'opera d'istruzione che tende all'Iniziazione di
un uomo è anch'essa un opera sacra. Per la Legge di Progresso (individuale) per -
progredire- non è l'Insegnamento a dover -scendere- all'uomo fisico (il mondo
infernale) ma è la coscienza metafisica dell'uomo, l'Ego , a dover -ascendere-
all'Insegnamento (il mondo spirituale o paradiso interiore).
Lasciare dietro di noi la selva, la vita precedente piena di contraddizioni,
avventurandoci con gli occhi aperti in quella nuova, penetrando e svelando il
grande arcano primigenio di tutti i misteri, l'unità polare della vita e la morte, dello
spirito e della materia, l'unione armonica di cielo e terra che porta alla scoperta
dell'"uomo vero" dell'"uomo celeste" che è in potenza in ognuno di noi. E’ il
compito che abbiamo soprattutto noi che lavoriamo con il nostro perfezionamento
interiore al bene e al progresso dell'umanità.