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Scuola e culture. Materiali di antropologia della mediazione scolasticaFrancesca QuaratinoL'identità sospesa. Contributi antropologici per una didattica interculturale nella scuola primariaTesi di laureaUniversità degli Studi di Roma 'La Sapienza' - Facoltà di Lettere e Filosofia - Corso di laurea in Letterea.a. 2000/2001Relatore: prof. Laura Faranda - Correlatore: dott. Mauro Geraci
Documento pubblicato sul sito del Dipartimento di Studi glottoantropologici e Discipline musicali il 14 luglio 2004 -http://rmcisadu.let.uniroma1.it/glotto/index.html
APPENDICE
----------------------- DIARIO DI CLASSE
Lunedì 22 gennaio.
Il primo giorno nella II C inizia con la classe affidata a me per circa venti
minuti durante i quali approfitto per presentarmi come una studentessa che
deve imparare a fare la maestra e che starà con loro alcuni giorni a settimana
sino alla fine dell’anno.
Mi accoglie un coro di “evviva!”.
I bambini sono ventisei, sei dei quali stranieri: due filippini, un bulgaro, un
capoverdiano, una giapponese e un peruviano. Sono nati tutti in Italia tranne
Ikaru, che è di Tokio e Augusto che è arrivato da Sofia lo scorso anno.
Le famiglie di Julio e Felipe provengono rispettivamente da Capo Verde e
dal Perù; dopo pochi minuti i bambini mi fanno vedere le bandiere dei loro
paesi sul planisfero: a loro si aggiungono Augusto e i filippini, Ikaru li
guarda e ride.
Julio mi chiede subito di aiutarlo a lavorare nelle ore che seguiranno, così mi
metto accanto a lui e ho modo di notare la difficoltà nello scrivere, nel
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disegnare e nel seguire la lezione. Mentre la maestra parla lui sussurra frasi
che prendono lo spunto da ciò che sente, ma che non hanno alcuna
correlazione col discorso generale.
In classe stanno affrontando il tema delle “trasformazioni naturali” e
l’esempio che viene fornito dalla maestra è quello delle spiagge,
continuamente sottoposte all’azione del mare e dei venti.
Julio si gira verso di me e mi dice “lo sai che io a Capo Verde in spiaggia
gioco con le onde”; ne segue un breve dialogo tra noi due:
Io:“E queste onde sono grandi?”
L: “Sì, sono altissime ma io mi ci tuffo con gli altri bambini, poi esco e mi
tuffo di nuovo”.
Io:“Parli dei tuoi amici?”
L: “Sì, io a Capo Verde ho molti amici”.
Io: “E li vedi spesso?”
L: “No, solo quando vado a Capo Verde”
Io: “E quanto tempo fa li hai visti l’ultima volta?”
L: “Quando qui era caldo sono andato a Capo Verde, io lì ho una casa con
gli animali”
Io: “Ah, e che animali hai?”
L: “Galline… ma le galline a Capo Verde sono più grandi… e poi ci sono
anche i gatti, io ho un gatto che si chiama Rior”
Io: “E’ un bel nome, glielo hai dato tu”
L: “No, mia sorella grande e vuol dire luce”
Io: “In quale lingua?”
L: “Bho, credo filippino”
Io: “E questo gatto dove vive?”
L:“Con me qui… ora te lo disegno”
Io:“Puoi disegnarlo quando era piccolo ed ora che è grande anche questo è
un cambiamento naturale”
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L: “Sì ma allora vanno bene anche le nuvole…prima sono bianche, poi
l’uomo le fa arrabbiare e diventano nere”
Durante la ricreazione mi si avvicina Felipe con un’armonica a bocca.
Gli chiedo se sa suonarla e lui accenna qualche nota, poi se ne va via.
Martedì 23 gennaio.
I bambini devono scrivere un testo che racconti una loro giornata
immaginaria nell’antica Roma.
Julio viene affidato a Elisa, la più brava delle bambine, che lo costringe a
scrivere nonostante lui si alzi in continuazione a parlare con tutti. Ikaru mi
tira per la manica e dice di non aver capito, condizione nella quale si trovano
anche i due filippini.
Alle dieci e mezza solo Felipe ha scritto qualcosa.
Si passa ad una lettura di argomento mitologico che colpisce tutti per le
illustrazioni, in particolare quella del fauno.
Il secondo lavoro della mattina sarà disegnare gli dei della Roma antica.
Julio inizia il suo disegno ma lo cancella continuamente lamentandosi di non
riuscire a realizzare i piedi caprini al fauno.
Alle undici entra Nicola, volontario che si occupa di aiutare i bambini
stranieri a titolo individuale. Si siede accanto a Ikaru e la fa lavorare.
A fine mattina ho modo di parlare con questo ragazzo della sua attività e
vengo a sapere che segue anche a casa la bambina giapponese.
Mi dice, inoltre, di volersi dedicare a Brian il bambino filippino con
maggiori difficoltà.
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Mercoledì 24 febbraio.
Il mio arrivo coincide col dopopranzo in cortile.
I bambini giocano in due gruppi organizzati in una specie di maschi contro
femmine: si spingono e si rincorrono; Julio corre e ride ma nella dinamica
del gioco è evidente che le bambine si dirigono tutte verso i loro amici
Marco ed Eugenio.
Julio è il primo ad accorgersi che dal gioco sono uscite Ikaru e Lavinia che
piangono sedute in terra, l’una sola, l’altra circondata dalle amiche che la
consolano.
A quanto si riesce a capire dalle parole dei bambini la lite è solamente
l’ennesimo episodio di una lunga serie di discussioni tra le due che oggi
sono compagne di banco. In questi tra giorni Ikaru, tra l’altro, ha avuto
momenti di tensione con altri bambini che le sedevano accanto. Qualcuno le
si avvicina per consolarla, ma è soprattutto Julio a ripeterle di “non fare
così”.
Al rientro in classe la maestra, non riuscendo ad ottenere spiegazioni
sull’accaduto, decide di organizzare un lavoro a gruppi sul tema
dell’amicizia e del gioco di gruppo.
I bambini devono disegnare ciascuno il proprio desiderio riguardo ai
compagni con i quali vorrebbero giocare e poi preparare quattro cartelloni
sui quali verranno incollati i lavori.
Julio disegna se stesso e Brian : al momento di lavorare in gruppo disegna la
sua faccia sul cartellone e vi attacca il foglio accanto; al contrario del primo
disegno, caratterizzato da due figure piccole, scure e non colorate, il secondo
sembra più un ritratto. Al momento di colorarlo Julio sceglie un colore
“mattone” per farsi la pelle, ma quando vede gli altri che usano il rosa
decide di continuare anche lui con quest’altro colore.
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Guardando i disegni dei bambini si nota che Julio compare come
“compagno ideale” in quelli di Brian, di Matteo C. e di Daniel.
Brian, oltre che in quello di Julio, compare nel disegno di Daniel che, invece
non viene disegnato da nessuno.
Ikaru è la protagonista di sei disegni; al momento di farsi il ritratto sul
cartellone mi chiede se debba ritrarsi con gli occhi a mandorla o tondi, ma
poi decide di non accettare consigli e si disegna gli occhi ovali, enormi,
simili a quelli delle eroine dei cartoni animati giapponesi.
Giovedì 25 gennaio.
Il tema del lavoro di oggi è “il mio gioco preferito”.
I bambini lavorano con rapidità, tranne Julio che ripete di essere stanco, ma
non spiega il perché.
La maestra lo fa sedere al banco di fronte alla cattedra e dopo un’ora
dall’inizio del lavoro lo rimprovera duramente, tanto che lui prende in mano
la matita per fare il disegno al posto del testo (nei giorni di particolare
stanchezza ai bambini è lasciata la possibilità di esprimersi disegnando sul
tema proposto in classe).
Seduta accanto a lui mi rendo conto che, al posto del giocattolo, sta
disegnando il portapenne che si trova di fronte a lui sulla cattedra; quando
glielo faccio notare mi risponde che lui non ha giocattoli preferiti.
La maestra interviene nella conversazione ed insiste perché lui si sforzi di
pensare: alla fine di un lungo silenzio la risposta è: “Pikachù”, personaggio
che è stato al centro del tema di Giovanni, appena letto in classe.
Felipe nel frattempo ha scritto una pagina sul suo “game boy”.
La mattina si conclude con una certa tensione e con almeno tre crisi di
pianto: quella di Ikaru che non trova più la sua penna, quella di Felipe che
non ha avuto il permesso di andare in bagno e quella di Augusto che ha
litigato con un compagno.
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Lunedì 29 gennaio.
Il lavoro di stamattina consiste nella scrittura di un testo che abbia per temi
“La sera a casa mia…” oppure “Una gita speciale”. La maggior parte della
classe sceglie la seconda traccia dal momento che in molti rispondono che
sulla sera a casa loro non hanno niente da dire.
Chiedo a Julio se ha bisogno di aiuto e lui accetta: vuole raccontare della
gita che ha fatto con il Centro Ricreativo qualche settimana fa.
Inizio a fargli dire a voce ciò che dovrà scrivere: la gita in piscina, il
pullman preso la mattina, i tuffi in acqua. Non si sofferma su nessun
argomento ma si entusiasma quando gli chiedo se sa nuotare nel mare: si
alza e inizia a dare bracciate nell’aria dicendomi che sì, lo sa fare, “ma” a
Capo Verde dove il “mare è grandissimo”.
Subito dopo questa esplosione di entusiasmo diventa serio, inizia a guardare
il foglio bianco, non si muove più, non scrive, lo chiamo e non si gira.
All’ improvviso mi prende la mano e mentre gioca con le mie dita mi dice
“lo sai che a Capo Verde mio cugino è morto… aveva solo un anno, l’ ha
investito una macchina”. Gli rispondo che mi dispiace molto, che è una cosa
molto brutta e lui mi guarda dicendo “sono triste perché ora quando andrò
a Capo Verde lui non ci sarà” , poi si gira e inizia a scrivere la data di oggi
e il testo.
Alcuni giorni prima la mamma di Julio si era sfogata con la maestra Flavia
per la morte del nipotino. Dopo l’episodio di oggi decido, così, di
sospendere per un po’ di giorni gli argomenti che possono condurre il
bambino a pensare a Capo Verde: penseremo ad organizzare il suo astuccio.
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La questione dell’astuccio di Julio si è posta sin dai primi giorni: lui non
possiede penne e matite perché perde sistematicamente tutto ed è costretto a
chiedere il materiale in prestito.
Tuttavia il lutto e la tristezza di Julio mi portano a convincere la maestra che
sia arrivato il momento di ridargli fiducia: così è la stessa Flavia a mettergli
sul banco il cestino delle matite comuni a tutta la classe affinché possa
scegliere quelle necessarie per il suo astuccio.
Stabiliamo da subito che sceglierà sei colori utili a disegnare, quindi niente
violetto, niente bianco né altri colori stravaganti; potrà prendere anche due
penne, una matita, una gomma da cancellare e un temperino. Il righello sarà
il mio e sarà in prestito.
“Prendo il blu per il cielo e per il mare, il rosso per il fuoco, il giallo per il
sole, il verde per gli alberi, il rosa per le facce, il marrone per la terra, di
matita voglio questa e questa è la gomma”. In circa mezz’ora l’astuccio è
completo, Julio, infatti perde molto tempo a scegliere tra le tante gradazioni
di ciascun colore quella “giusta”.
Gli domando se vuole scrivere su un foglietto da tenere nell’astuccio
l’elenco del contenuto, lui è d’accordo ma vuole che lo faccia io: scriviamo
il nome di ciascun colore con il pastello corrispondente e lui ride a
crepapelle quando si pone il problema di dover scrivere “gomma” con la
gomma, “temperino” col temperino, “righello” col righello.
Inizia a prendermi in giro e si diverte a pensare alle soluzioni al posto mio
che faccio finta di non sapere come fare: “gomma, temperino e righello si
scrivono col nero!”.
Martedì 30 gennaio
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L’attività delle prime due ore consiste nel disegnare i tre stili di capitello: il
lavoro è finalizzato alla costruzione di un tempio greco da realizzarsi in
argilla.
La giornata è caratterizzata da uno scontro tra me e Julio che non accetta che
io gli impedisca di prestare a Felipe una matita senza la quale sarà lui a non
poter lavorare.
In pochi minuti la situazione degenera in pianto: Julio mi accusa di voler
gestire il suo astuccio. Gli propongo di stabilire assieme delle regole perché
io possa continuare ad aiutarlo senza ulteriori scontri; decidiamo, così, di
prestare la matita a Felipe (che nell’attesa si era già procurato il materiale)
ma di cercarne prima un’altra con la quale proseguire il lavoro.
A metà mattina conosco la maestra Gabriella, l’insegnante di sostegno.
Le ore che restano lavoro con Felipe che stamattina è molto volenteroso ma
troppo stanco a causa della tosse che lo tormenta da giorni.
Spesso dice di avere mal di pancia e sete e difatti l’aspetto generale non è
quello di un bambino in buona salute.
Giovedì 1 febbraio.
Stamattina Julio ha fissato il vuoto per un’ora.
Rimango colpita dal fatto che l’atteggiamento del bambino venga
considerato “normale”.
Flavia lo sgrida duramente ma lui non reagisce; più tardi gli chiede di
indicare sulla carta geografica il Senegal e le Capo Verde, lui si alza
trascinando i piedi, le trova, le punta col dito e torna a posto.
Felipe viene aiutato da Eugenio che è un bambino molto disponibile.
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Quando mi vede leggere alcune schede che mi ha fornito Flavia mi chiede di
cercare il Perù e inizia a raccontarmi di una “casa nella terra del
terremoto”.
Ne nasce un breve scambio.
Io: “Di chi è quella casa?”
J: “Di nonna”
Io: “E’ tanto che non ci vai?”
J: “Sì, da quando ero piccolo”
Io: “Però te la ricordi”
J: “Un poco…ci sono stato poco e poi siamo tornati in Italia perché i miei
genitori dovevano lavorare”.
Io: “Ma tu sei nato lì”
J: “No, io sono di Firenze”
Io: “ E quando sei arrivato a Roma?”
J: “All’asilo… mia sorella invece è nata a Canossa e mio fratello piccolo a
Roma”
Io: “Siete nati in tre città diverse…”
J: “Si, ma a Firenze c’è una parte di Perù, qui a Roma no”
Io:”Vuoi dire che a Firenze conoscevi altri bambini peruviani?”
J: “Si, lì si fanno le feste dei peruviani”
Io: “E qui non conosci bambini peruviani?”
J: “No, però gioco a calcetto il giovedì con Alberto” (Sono compagni di
classe).
Martedì 6 febbraio.
Gita alla “Biblioteca centrale dei ragazzi”.
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Il maestro Ibrahima Camara mostra ai bambini gli oggetti contenuti nella
“Valigia del Senegal” e loro devono individuarne funzioni e materiali.
Prevale l’idea che gli oggetti siano di plastica: si tratta di un contenitore
ottenuto da una zucca, di una kora, arachidi, incensi e due libri.
Vedono anche un filmato realizzato dal maestro nel 1992: la qualità delle
immagini e le dimensioni del televisore non rendono giustizia al documento
che è molto bello.
I bambini restano colpiti dal gioco “la coda del gallo” e chiedono ad
Ibrahima di rifarlo in classe quando verrà a “restituire la visita”.
Julio si alza ad incontro terminato e dice ad Ibrahima “lo sai che io sono di
Capo Verde che è di fronte a te”.
Lunedì 12 febbraio.
Il titolo del lavoro da fare in classe è: “Descrivi l’esperienza col maestro
Ibrahima. Vorresti continuarla? Cosa ti è piaciuto in particolare? Hai delle
idee da proporre? Racconta la storia di Kumba (si tratta di una fiaba letta
alla biblioteca) e prova ad immaginare un finale diverso”.
Julio mi dice di non voler scrivere e che inoltre non potrebbe farlo perché è
senza penna.
Il suo astuccio è completamente vuoto e lui spiega così: “Questo – indica
l’unica matita presente – li ha cacciati tutti!”.
Dopo un’ora gli chiedo di raccontarmi la storia di Kumba che lui ricorda alla
perfezione ma dice di non volerla scrivere perché “già non me la ricordo
più”.
Flavia lo sgrida duramente e gli ricorda che la madre si alza alle sei per
portarlo a scuola. Lui prende la penna e scrive “Kumba era una donna”.
Felipe, invece, completa tutto il lavoro.
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Prima di scendere a mensa Ikaru mi consegna un foglio per “imparare il
giapponese”: ci sono scritte le parole “barca” e “maestra”.
Martedì 13 febbraio
Il lavoro di oggi: “Disegna la storia di Kumba considerando i momenti di
EQUILIBRIO-ROTTURA DELL’EQUILIBRIO-RIPRISTINO DELL’EQUILIBRIO”
Julio lavora con Gabriella, con me farà le due ore seguenti durante le quali
disegnerà.
Sono molto colpita nel vedere che i due bambini filippini, Daniel in
particolare, provino a concludere il lavoro nonostante le grandi difficoltà
con l’italiano.
Mercoledì 14 febbraio( pomeriggio).
I bambini devono costruire un tempio greco con la pasta per modellare
mentre le maestre preparano le schede di valutazione: per due ore li aiuto io,
ma mi dedico un po’ di più ai due bambini filippini che hanno molte
difficoltà ad organizzare il lavoro e a manipolare la pasta.
Julio fa capire da subito di voler fare da solo. Tento di consigliargli qualche
tecnica, invitandolo anche ad essere meno rigido ed esigente con se stesso,
ma lui vuole a tutti i costi usare alcune formine per fare le colonne doriche:
aspetterà per circa un’ora il suo turno e produrrà tre colonne perfette, ma il
suo tempio resterà tutto qui.
Felipe, invece, lavora con rapidità e in meno di un’ora completerà il suo
“tempio per formiche”: passerà il resto del pomeriggio ad aiutare i
compagni.
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Durante il lavoro si apre una discussione sul colore della pelle.
Su invito della maestra Flavia, Brian, il bambino filippino, si va a sedere
vicino ad una compagna che, però, si lamenta di non volerlo. Uno dei
bambini che ha assistito alla scena dice ad alta voce “ma perché non lo vuoi,
mica è colpa sua se è nero!”. La maestra, allora, ferma il lavoro e li invita a
riflettere sul fatto che sono tutti diversi tra loro anche se i bambini insistono
e qualcuno conclude che “lui (Brian) è diverso da noi per il carattere”.
Per tutta la durata del lavoro capiterà anche a me di dover intervenire per
difendere il bambino in questione poiché nessuno gli presta gli utensili per
lavorare: provo molta rabbia soprattutto perché mi sembra che lui stia
soffrendo mentre per gli altri i discorsi della maestra sono già dimenticati
Il risultato sarà che Brian farà una decina di colonne e poi mi dirà di non
aver più voglia.
L’ultima ora del pomeriggio è dedicata a raccogliere idee per la lettera da
scrivere ai bambini senegalesi.
Flavia prova a coinvolgere Julio: “Sai quanto sono distanti Capo Verde e il
Senegal?”; lui tace e la guarda dal banco, così lei insiste: “Julio, avrai fatto
un viaggio lungo?”; a quel punto Julio si alza e dice: “ Il viaggio non l’ ho
fatto io, l’ ha fatto mia mamma e mi ha fatto nascere qui!”, poi si alza, va
alla cattedra, e rivolto alla classe:
“ Quando ho preso l’aereo avevo mal di pancia, ma ho visto la terra dall’
alto, senza case…”.
A questo punto anche Daniel, l’altro bambino filippino, dice di ricordare il
viaggio aereo per arrivare in Italia. Gli chiedo quanto è durato e lui mi
risponde “due aerei”.
Purtroppo questo scambio di ricordi viene interrotto da tutti quei bambini
che avendo preso un aereo hanno voglia di dire la loro; qualcuno parla del
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viaggio fatto alle Maldive, Julio va a sedersi, Daniel riprende a giocare con
un elastico.
Giovedì 8 marzo.
La mattina è dedicata alla lettura dell’inizio delle Avventure di Pinocchio.
La maestra legge “drammatizzando” e i bambini ripetono a loro volta gesti e
parole: nella classe c’è grande attenzione.
A metà mattina arriva la mamma di Felipe per parlare con me.
Mi dice di avere pochissimo tempo a disposizione ma vuole avere
informazioni sul rendimento scolastico del bambino. Mi racconta di essere
da sempre molto attenta alle attività di Felipe perché è un bambino che “alla
nascita stava quasi per morire”; vengo a sapere, infatti, che è nato all’inizio
dell’ottavo mese ed ha passato molto tempo nell’incubatrice.
Le chiedo se ha potuto allattarlo e lei mi risponde che lo ha fatto per soli
quattro mesi, tirandosi il latte, ma che poi le è andato via.
In poche parole siamo alla questione principale: Felipe non controlla bene le
feci e la mamma è molto preoccupata che questo fatto possa avere delle
ricadute sulle sue relazioni con i compagni. Le domando quale sia l’opinione
del pediatra e lei mi spiega che il medico ha prescritto indagini specifiche
per verificare l’assenza di una proteina, ma che le ha anche consigliato di
prendere in considerazione un consulto psicologico. Mi dice di fidarsi molto
del dottore il quale, già in passato, l’aveva rassicurata sulla assoluta
normalità della pipì a letto nei maschietti così piccoli: il problema sembra
essere che, se da un giorno all’altro Felipe ha smesso di bagnare il letto, ha
iniziato, però, a non controllare più le feci.
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Assicuro alla mamma che a scuola non è mai successo in mia presenza che il
bambino non riuscisse a controllarsi, anzi, le faccio notare che chiede spesso
di andare in bagno.
Sembra più sollevata e allora iniziamo a parlare di come è Felipe a casa.
Mi dice che gioca molto, che all’inizio dell’anno frequentava un corso di
musica e uno di calcetto, il primo dei quali è stato abolito per eccessiva
stanchezza. Quando le domando chi abbia scelto quale eliminare mi
risponde che la scelta è stata lasciata al bambino: ora fa solo calcetto con
alcuni compagni di classe.
Iniziamo a parlare degli altri bambini e lei mi dice che in classe sono tutti
più grandi del figlio, che giocano tutti meno di lui che, invece, “ ha tanta
voglia di giocare”: colgo l’occasione che è iniziata la ricreazione e le faccio
notare alcuni compagni del figlio impegnati a fare i cani nel corridoio.
A questo punto mi dice di dover tornare al lavoro (guida un pulmino per i
dializzati) e mi chiede se può avere il mio numero di telefono.
Quando torno in classe leggiamo tutti insieme Chi sono io? di Gianni
Rodari: alla fine della lettura i bambini vengono invitati a fare un disegno a
tema che solo Felipe non farà.
Lunedì12 marzo.
A partire dalla lettura del primo capitolo di Pinocchio ai bambini viene
proposto per tema di raccontare la storia di un pezzo di legno.
Julio scrive solo la traccia, poi si lamenta di essere troppo stanco e si rifiuta
di scrivere o anche solo raccontare una storia.
Invitato a sforzarsi di leggere per imparare l’italiano mi risponde “prima
devo imparare bene la lingua di Capo Verde”.
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Felipe, al contrario, ha molta voglia di raccontare la storia di un pezzo di
legno che diventa una matita: la maestra apprezza molto il suo lavoro.
Martedì 13 marzo
Come tutti i martedì mattina in classe c’è l’insegnante di sostegno. Manca
Felipe.
I bambini devono scrivere su un tema a scelta tra i tre proposti: “una
giornata speciale”, “una vacanza speciale” oppure “un momento speciale”.
Julio scrive le tracce poi si blocca: dice di dover pensare.
Mi avvicino dopo un quarto d’ora per chiedergli se vuole parlare della sua
vacanza a Capo Verde, ma mi risponde che pensare a Capo Verde gli fa
venire in mente ”quel brutto sogno” (si riferisce alla morte del cuginetto).
Cambiamo argomento e parliamo delle feste dei suoi compagni come
momenti speciali ma lui dice di non aver voglia “e basta” di scrivere.
La maestra di sostegno loda Brian che sta imparando a leggere e scrivere
molto velocemente e parlando con Flavia emerge una comune
preoccupazione per l’altro bambino filippino, Daniel, nonché per Julio che
da troppi giorni rifiuta di svolgere qualunque compito gli venga proposto.
A proposito dei filippini le due maestre si interrogano sulle difficoltà
linguistiche di entrambi e Flavia ricorda che, oltretutto, parlano anche “due
lingue diverse”.
Rivolgendosi a Brian: “J.J. come si dice acqua in filippino?”
J.J.: “Tube”
Flavia: “E tu Daniel, come dici acqua in filippino?”
Daniel: “Donom”
Flavia: “Adesso Brian vorrei che mi dicessi casa”
J.J.: “Balai”
Flavia : “Ora Daniel”
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Daniel ci pensa un po’ poi dice: “Baai”
Flavia: “ Fate una cosa, andate alla lavagna e scrivete acqua in filippino,
poi casa”.
I bambini scrivono.
Interviene la maestra Gabriella che chiede a Daniel: “come si dice mamma
in filippino, come la chiami la tua di mamma ?”
Daniel la guarda e alza le spalle dicendo: “Mamma”.
Le maestre si sorridono rivolte verso di me, Gabriella commenta “vedi, lui a
casa parla in italiano, l’altro no, ecco perché ha più problemi”.
“Daniel - domanda Flavia – tu con mamma parli italiano o filippino?”
“Italiano – poi, rivolto verso di me – io sto in Italia per imparare
l’italiano”.
Forse Daniel non ricorda che qualche giorno prima l’ ho incontrato mentre
veniva a scuola con la mamma insieme ad un'altra signora filippina e a suo
figlio: le donne parlavano in filippino ai bambini, ma ora lui nega.
Flavia non crede che Daniel non conosca il filippino e mettendo i due
bambini uno di fronte all’altro dice a Brian: “Chiedi a Daniel “ vuoi venire
a casa mia?” in filippino”:
I bambini si guardano senza riuscire a parlare: appena cala l’attenzione su di
loro Daniel viene da me e mi chiede “ho finito? Posso tornare al posto?”.
Il resto della classe presta molta attenzione a quanto sta accadendo, allora la
maestra coinvolge Ikaru: “Ikaru, tu lo sai dire “vuoi venire a casa mia?” in
giapponese?”.
Ikaru la guarda e si mette un lembo di grembiule in bocca.
Flavia le parla ancora: “ma tu con mamma e papà parli giapponese, vai
anche alla scuola giapponese…”
Ikaru annuisce ma non risponde, la maestra non insiste e rivolta a Augusto
chiede: “e tu lo sapresti dire in bulgaro?”, Augusto finge timidezza, poi
urla : “Iskesi da doides^ si kes^ti!”
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“Mamma mia !” commentano le maestre.
Durante la ricreazione Julio inizia a litigare con un compagno che viene a
lamentarsi di aver ricevuto un pizzico. In pochi minuti, senza che nessuno di
noi adulti si sia accorto di nulla, i bambini si stanno colpendo a calci e
spinte.
Julio piange e dice “non è colpa mia”, gli altri bambini si lamentano del
fatto che lui “dia fastidio pizzicando”. La maestra Gabriella riesce a
contenere la rabbia di Julio spiegandogli che se cerca le attenzioni dei
compagni dando pizzichi otterrà solo scontento.
Giovedì 15 marzo.
I bambini lavorano al riassunto del terzo capitolo di Pinocchio con l’aiuto di
Flavia.
Sono concentrati sull’individuazione delle emozioni presenti nel testo e due
di loro vengono chiamati a rappresentare la scena in cui Geppetto strattona e
sgrida Pinocchio.
Finita la scena si decide di ripeterla per far provare anche ad altri bambini la
difficoltà del dover recitare interpretando i sentimenti che lo scrittore
attribuisce ai personaggi: Julio si offre volontario e si diverte molto a
strattonare Chiara-Pinocchio.
Tutti si mettono al lavoro, tranne Julio che mi viene dietro per tutta la classe
toccandomi i capelli; mi dice di voler stare con me ma prima deve fare un
disegno sul tema.
Durante la ricreazione Felipe viene a dirmi che la dottoressa gli ha proibito
di mangiare “tante cose”, gli chiedo quali e inizia un lungo elenco che va
dal latte di mucca al kiwi.
Durante la giornata lavora pochissimo anche perché è continuamente
distratto da Daniel e Brian che scherzano e ridono.
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Nella seconda parte della mattina i bambini dovranno scrivere raccontando
un evento che ha fatto provare loro rabbia, gioia o allegria. Flavia va a
sedersi vicino a Julio e lo prega di fare qualcosa ma lui non parla e non
risponde. Viene mandato fuori dalla classe.
Quando rientra mi dice che tutti lo odiano; gli spiego che non è vero, che ha
amici che lo invitano a casa, che le bambine sono tutte gentili con lui e che i
maschietti spesso lo aiutano, ma lui mi risponde che quando io non vedo lo
prendono a calci e pugni.
A questo punto la maestra interviene per dirgli che non è giusto non fare
nulla tutto il giorno, poi, quando lui se ne è andato, mi fa vedere i bigliettini
con il nuovo numero di telefono che la mamma di Julio ha preparato per i
compagni; Flavia non è sicura di volerli distribuire dal momento che
compare anche un numero di telefono cellulare.
A mezzogiorno arriva la maestra Alessandra (ennesima supplente, stavolta
destinata a restare sino a fine anno) alla quale Flavia chiede cosa faccia Julio
durante le ore di matematica e scienze: Alessandra lo cerca tra i compagni e
dice “quello è bravissimo! Fai vedere il quadernone Julio!” . Il quaderno di
matematica è ordinato e pieno di compiti svolti in classe.
Lunedì19 marzo.
La giornata viene dedicata alla grammatica.
Da metà mattina si inizia la “costruzione” del quaderno.
Julio si fa fare tutto da me ma controlla che io esegua le sue volontà che
soprattutto riguardo al “sistema di chiusura” (si tratta di due pezzi di nastro
che tutti i bambini spillano sui due fogli di copertina e poi annodano): il suo
quaderno è tra i più belli.
Felipe fa da sé e ne viene fuori un quaderno minimalista.
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Brian crea in un’ora un quaderno che si può definire barocco.
Daniel imita Brian.
Ikaru crea un quaderno-confetto tutto sui toni rosa.
Martedì 20 marzo.
Inizia il lavoro sulla storia personale. La prima parte della mattina siamo
costretti a restare in classe poiché l’aula delle proiezioni è occupata. Si
decide di lavorare per terminare la personalizzazione dei quaderni.
Julio e Ikaru non hanno il materiale; viene mandato Nicola a comperare due
quaderni per loro.
Alle 11,00 vediamo la videocassetta dell’ ecografia di Julio: i bambini sono
molto emozionati e attratti dal battito cardiaco.
Tornati in classe, chiediamo di disegnare sul tema “io nella pancia”.
Tutti partecipano con grande autonomia, solo qualcuno si alza per chiedere
cosa debba fare di preciso.
Julio disegna l’immagine ecografica così come si presenta sullo schermo;
Felipe fa una mamma col bambino nella pancia.
Quando suona la campanella si decide di continuare il lavoro l’indomani di
pomeriggio per lasciare ai bambini spazio di parola.
Mercoledì 21 marzo.
Riprendiamo il lavoro sulla vita nella pancia della mamma partendo
dall’immagine del feto.
I bambini hanno incollato sul quaderno la fotocopia di un’immagine che
ritrae un feto all’ottavo mese: la osserviamo insieme provando a descriverla.
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Augusto e altri la paragonano ad una statua perché “è senza occhi”.
Chiedo loro se pensano che il bambino veda nella pancia e tutti rispondono
di no. Federico si alza in piedi per dire che “però fa pipì, io la facevo”. Julio
interviene dicendo che il bambino ha “un occhio chiuso e uno aperto”.
Ricordando l’ecografia di Julio li portiamo a riflettere sui suoni che hanno
sentito: il cuore del bambino, quello della mamma, l’acqua…
Quando chiediamo loro di parlarci dell’acqua molti sono interessati alla
temperatura, altri al colore, altri ancora alla densità (“è gelatinosa”, dice
Alberto).
Proviamo ad immaginare tutti insieme la vita di un bambino nella pancia:
cosa fa per passare il tempo.
Qualcuno dice “nuota”, altri “si succhia il dito”, altri ancora “dorme”
Chiara U. si alza per dire che “il bambino sta “rammucchionato”. Le
domando cosa intenda e lei mima la posizione fetale seguita da altri bambini
che si raggomitolano in terra.
Julio ride nel vederli, Felipe si succhia il dito.
Chiediamo ai bambini di fare un disegno sul tema “Cosa facevo nella
pancia”.
Julio mi dice di non volerlo fare, ma ci accorgiamo che non ha il quaderno
con sé:
Gli proponiamo di disegnare su un foglio e di incollarlo successivamente ma
lui si rifiuta perché sostiene che in tal modo rovinerebbe il suo quaderno.
La seconda ipotesi è quella di farlo a casa, ma lui dice che non avrà mai
tempo perché quando arriva a casa “mangia e poi subito a letto”.
Ad ogni rifiuto che oppone sembra sempre più disperato, si rasserena solo
all’idea di telefonare al suo amico Matteo (cha oggi è assente) e farlo
insieme.
201
Passa l’ora buttato in terra e solo quando gli altri hanno finitosi rimette
seduto per guardare assieme a me il disegno di Giovanni che lo fa sorridere
(Giovanni si è disegnato nella pancia mentre mangia seduto al tavolino).
Felipe disegna in pochi minuti una mamma circondata da gocce d’acqua con
un bambino visibile in grembo e aggiunge una didascalia per dire che
l’acqua nella pancia era fredda.
Daniel disegna un feto col cordone ombelicale attaccato e un fumetto pieno
di punti interrogativi
Lunedì 26 marzo.
I bambini devono lavorare al riassunto del mito di Persefone e Ade: tutti
trovano grandi difficoltà, a fine mattina avranno finito il lavoro solo due.
Martedì 27 marzo.
Secondo giorno dedicato alla storia personale.
Nella prima parte della mattina leggiamo insieme un libro portato da
Federico che mostra fotografie della vita intrauterina.
Per parlare della nascita ci serviamo di un breve racconto intitolato “Storia
di Piero”che parla di un bambino che viene al mondo e vede la sua mamma
per la prima volta.
La classe viene invitata a disegnare sul tema “Il giorno in cui sono nato”, ma
la maggioranza di loro riprende il lavoro parlando della “pancia”: li
lasciamo liberi di andare fuori tema.
Julio disegna un neonato su un letto in fiamme e commenta la presenza della
figura della mamma che sale le scale dicendoci : “Lei intanto sale le scale e
202
canta: trallallà, trallallà”. Felipe sonnecchia sul banco e io mi avvicino per
chiedergli perché non disegni. Mi dice di avere “male al pancino”.
Gli domando se vuole uscire e lui mi dice “oggi non ho bevuto né latte
normale né latte di soia né latte di riso”;invitato a fare merenda dice che
prima “deve finire”, così decide di dedicarsi piuttosto frettolosamente al suo
disegno: si tratta sempre di un “bambino che sgocciola”.
Daniel disegna il solito feto col cordone ombelicale attaccato, senza
mamma, con un fumetto all’interno del quale compaiono diversi punti
interrogativi.
Quando i bambini rientrano dalla merenda ci mettiamo sui cuscini per
dedicarci alla lettura del libro dei nomi partendo da quella dei loro
certificati.
Felipe, Daniel e Chiara U. non hanno il cuscino, Daniel vuole il mio che gli
viene dato.
Nel cerchio c’è molta confusione, tutti parlano, è impossibile tenerli fermi,
si sovrastano con la voce e sembrano quasi tutti disinteressati alle parole
degli altri.
Alla fine della mattina decidiamo di rinunciare al cuscino.
Giovedì 29 marzo.
Lettura della Storia della gabbianella e del gatto che le insegnò a volare.
A metà mattina i bambini si cimentano in un testo che abbia per tema “il
volo”.
Felipe oggi scrive tantissimo, Julio non fa nulla e parla tutto il tempo con
Daniel, prova ad alzarsi per lamentarsi con me di un torto subito da parte di
Marco ma l’esiguità dell’offesa mi porta a dirgli di sbrigarsela da solo.
203
Dopo la ricreazione distribuiamo le schede che non siamo riusciti a dare
martedì: le leggo a tutti e ne spiego il senso.
Flavia è convinta che i bambini più difficili non parteciperanno.
Stamattina Brian (che era assente il giorno del lavoro) mi ha detto di voler
disegnare ancora: ho l’impressione che tenga molto al suo quaderno.
Lunedì 2 aprile.
All’arrivo in classe la disposizione dei banchi è diversa; si è passati da
quella a ferro di cavallo ai banchi accoppiati in modo da ottenere tavoli da
quattro.
I posti, a detta dei bambini, sono fissi per volontà di Alessandra.
Julio condivide il banco con Marco: propongo a Flavia di spostarlo,
soprattutto perché i due litigano continuamente dalle nove del mattino e si
“contendono” la mia presenza al loro fianco.
I bambini lavorano sulla primavera: devono inventare una storia che la abbia
per protagonista in veste di fanciulla.
La giornata procede serenamente e con un certo ordine, solo che Julio non
scrive nulla e piange per due volte a causa di piccole questioni con i
compagni (in un caso sostiene che un bambino seduto in modo tale da
impedirgli di vedere bene la lavagna lo stia facendo apposta).
Parlando con Flavia vengo a sapere che si è presentata a scuola la psicologa
del Centro Ricreativo frequentato da Julio: l’impressione che ne ha ricevuto
la maestra è ottima ed entrambe ci confidiamo che un riferimento esterno
alla scuola potrebbe aiutare la famiglia di Julio ad affrontare i problemi.
Flavia, infatti, è molto preoccupata per i disagi del bambino, sempre molto
“rabbioso” nei confronti di compagni che anche a mio giudizio sono
piuttosto sereni nei suoi confronti.
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A fine mattina i bambini mettono in scena per noi una drammatizzazione sul
mago di Oz della durata di pochi minuti: Julio partecipa e si diverte come al
solito quando si tratta di recitare; in questo caso interpreta un albero di mele
che schiaffeggia chi provi a coglierne i frutti.
Martedì 3 aprile.
Al mio arrivo trovo la mamma di Julio che parla con Gabriella; Flavia mi
presenta nuovamente (ci siamo già incontrate) e la signora Ferriera si scusa
di non avermi salutata qualche giorno prima quando mi ha incontrata per i
corridoi.
Il dialogo con Flavia avviene in mia presenza: la mamma le dice che “con
l’altra maestra lavora” e Flavia le risponde che il problema non è il
rendimento scolastico del bambino, ma il suo “disagio” che lo porta a
picchiare i compagni. La mamma di Julio è convinta che il bambino, molto
legato alla sorella maggiore, sia turbato dall’assenza di quest’ultima, sempre
“fuori casa”. Racconta di discussioni familiari causate dalla ragazza e delle
evidenti ripercussioni su Julio ma accenna anche ad una presunta
“pressione” da parte di tutti gli ambienti frequentati dal bambino, da quello
scolastico a quello del Centro Ricreativo (pare che durante una festa Julio
abbia picchiato un bambino).
Durante la conversazione la signora Ferriera non mi guarda quasi mai e al
termine mi saluta frettolosamente. Flavia resta molto turbata dal
comportamento della donna nei miei confronti tanto che ci fermiamo a
discutere anche con Gabriella delle ragioni che possono averla spinta ad
evitare quello che per tempi, luogo e modalità ci sembrava un possibile
momento di incontro: l’unica spiegazione che riusciamo a darci è che questo
sia un periodo molto difficile e troppo carico di tensioni.
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La mattina è dedicata al lavoro sulla storia personale.
I bambini leggono in classe i risultati del dialogo con i genitori a proposito
del loro nome e delle modalità del parto.
Il clima è molto bello, alcuni hanno portato oggetti del giorno in cui sono
nati.
Personalmente sono molto soddisfatta nel vedere le schede di Julio, Felipe,
Daniel e Ikaru interamente compilate: quella di Ikaru ci spiega l’origine del
nome che in giapponese vuole dire “bambina delle pere”. Leggiamo assieme
a lei la lunga spiegazione scritta dalla mamma nella quale si parla delle
caratteristiche della pera, della ricchezza dei frutti e dell’ottobre giapponese;
c’è qualche difficoltà nella parte grafica che accompagna la spiegazione
tanto che Ikaru perde quasi la pazienza di fronte alla nostra incapacità di
comprendere il sistema che guida i segni da lei riprodotti sulla lavagna.
Il momento del disegno riporta l’attenzione sulla presenza dei genitori al
momento della nascita, soprattutto è l’ora di far “comparire” i padri nel
discorso.
Julio disegna la solita rampa di scale, la barella con la mamma e solo in
seguito ad un richiamo di Gabriella disegna suo padre.
A metà mattinata c’è molta confusione ma i bambini sono tutti
sull’argomento anche se è chiaro che non potremo tener fede al programma
che ci sembra troppo vasto.
Decidiamo di affrontare giovedì, nell’ambito del lavoro di storia, il tema del
vero e del falso nelle fonti, lasciando lo spazio della mattina al disegno che
li coinvolge molto e alla lettura delle loro schede.
Prima di andare via Gabriella regala a Julio un orologio in cambio della
promessa di non picchiare più i bambini.
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Julio è molto felice e gli altri bambini assistono alla scena senza
commentare.
Durante la mattina, mentre i bambini disegnavano, si è parlato molto di lui a
partire da alcuni disegni che compaiono sul quaderno dei ricordi. Gabriella li
definisce “inquietanti”, soprattutto uno nel quale compaiono numeri e sigle
che il bambino spiegherà secondo una logica di “Bene e Male”che ci sfugge.
La maestra di sostegno sostiene che è un bambino assolutamente capace di
comprendere i lavori proposti e che in ambito matematico sa risolvere
piccoli problemi con facilità: tuttavia ritiene che una psicoterapia aiuterebbe
lui e la mamma a sciogliere un rapporto di protezione “soffocante” che lo
rende “aggressivo, insicuro e afflitto da idee persecutorie”.
All’ora di pranzo i bambini vanno a mensa ma rientrano subito dopo con
Alessandra, visibilmente scossa. Ci racconta che Julio ha iniziato a lanciare
sedie e piatti e di come solo il suo intervento, peraltro rischioso (Alessandra
è incinta), abbia evitato il peggio. Julio ha gli occhi lucidi e gli altri bambini
sono serissimi.
Giovedì 5 aprile.
La mattina dovrebbe essere dedicata al lavoro sulle fonti che ci permetta di
sostenere quello sulla storia personale, ma alle nove e mezza telefona il
maestro senegalese Ibrahima per dire che sta per arrivare a scuola.
I bambini sono molto eccitati e gli chiedono di cantare ancora come hanno
fatto alla biblioteca dei ragazzi.
Ibrahima li accontenta e li coinvolge nuovamente a battere le mani al tempo
della canzone sulla scuola: anche stavolta canta in francese.
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Ho un breve scambio di opinioni con lui mentre i bambini si mettono
seduti: siamo d’accordo sulla necessità di spiegare ai bambini perché in
Senegal si parli anche il francese.
Durante il canto dei compagni Julio si allontana e si siede (gli altri sono
seduti a terra) al suo posto. Dice che il “rumore degli altri” gli ha fatto
venire mal d’orecchie.
Lo convinco a sedersi accanto a me: parlo senza avere risposte del fatto che
se non si tranquillizza il suo dolore non passerà mentre i compagni si
avvicinano raccontando episodi di mal d’orecchie.
Alla fine gli domando se il suo problema non sia il banco al quale è seduto,
finalmente parla per dirmi che non vuole strare al banco con Marco e che, se
potesse scegliere, si siederebbe accanto a Matteo C.. Gli prometto che ne
parlerò con le maestre.
In un momento di distrazione Marco gli tocca l’orecchio per verificare se
Julio menta o meno ( mi spiega che lo ha fatto per questo motivo).
Julio piange disperato e stanco. Mi avvicino e gli spiego che Marco si
comporta così per essere al centro delle attenzioni dei compagni; soprattutto
lo costringo ad osservare il comportamento del bambino che mentre noi
parliamo spinge i compagni, strappa loro di mano le penne e prende a calci
le cartelline.
La proposta che gli faccio è quella di ignorare Marco e di chiedere aiuto agli
altri compagni senza piangere: lui si calma ma ricomincia a piangere appena
entra la maestra Alessandra.
Approfitto della presenza dell’insegnante per prendere Marco da parte; so
che è disponibile nei miei confronti (spesso mi dice di restare accanto a lui
di non andare da quel “piagnone” di Julio). Riporto il dialogo perché lo
ritengo chiarificatore circa il conflitto tra i due bambini.
Io: “Perché dai il tormento a Julio?”
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M: “Lo sai”
Io: “Perché secondo te fa finta di avere mal d’orecchie”
M: “Si, tant’è che piange dopo tre minuti che gliel’ ho toccata”
Io: “Ma a te cosa importa se lui fa finta?”
M: “Mi importa perché l’anno scorso anche Alberto aveva mal d’orecchie
però non faceva tutta ‘sta scena”
Io: “Anche se lui facesse finta, sarebbe comunque un bambino che piange,
avrebbe un motivo per stare male…”
M: “Ma lui picchia”
Io: “Anche tu ogni tanto lo fai”
M: “No, lo facevo, ma ora sono calmo e i miei compagni lo hanno capito,
ora tocca a Julio calmarsi come ho fatto io”
Io: “Forse per lui è più difficile, dobbiamo dargli tempo”
M: “Vedi come sono tranquillo io, come sono amico di tutti…”
(Marco si racconta così, in realtà in una giornata i compagni si lamentano
molto più di lui e dei suoi atteggiamenti che non di Julio).
Io: “Tu sei sicuro di essere sempre tranquillo: anche tu a volte piangi
perché non sei contento delle reazioni dei tuoi compagni”
M: “Si, ma quando piange Julio, siccome è di razza nera, diventa rosso
come un pomodoro ed è bruttissimo…”
Io: “E tu di che colore diventi quando piangi?”
M: “Rosso anche io, ma più rosa di Julio che è di razza nera”
Io: “E pensi lui sia più rosso perché è nero?”
M: “Si”
Io: “E tu lo trovi brutto”
M: “E’ bruttissimo… io sono contento di avere un compagno di razza nera..
a me dà fastidio il suo colore rosso quando piange perché troppo scuro”.
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Lunedì 9 aprile.
I bambini scrivono la loro lettera per Ibrahima, la mattina è tranquilla.
Martedì 10 aprile.
Dovremmo continuare il lavoro sulla storia personale ma i bambini stanno
inventando una canzone sulla falsa riga de Il gatto e la volpe: l’operazione
proseguirà sino alla ricreazione.
Nella seconda parte della mattina sarà quasi impossibile lavorare, soprattutto
perché molti non hanno il materiale richiesto.
Ci accontentiamo di attaccare le poche fotografie arrivate.
Giovedì 19 aprile.
E’ una giornata piuttosto confusa, molti bambini lavorano con lentezza.
Julio non fa nulla, non scrive neanche l’avviso per farsi autorizzare la
partecipazione al coro del 10 maggio.
Flavia mi racconta che all’entrata la mamma di Felipe (oggi assente) la ha
raccontato delle difficoltà del bambino nel venire a scuola in questo periodo:
Felipe ha un’asma fortissima. Vengo a sapere addirittura che la donna
avrebbe fatto intendere di essere serena anche di fronte ad un’eventuale
bocciatura del figlio poiché la pediatra che lo ha in cura ne sostiene
l’immaturità fisico - psichica.
Ovviamente Flavia le ha fatto notare che per Felipe sarebbe molto triste
accettare una situazione come quella da lei prospettata.
210
Giovedì 26 aprile.
E’ il giorno dell’ incontro con Ibrahima: la classe è tappezzata di cartelloni
dedicati al Senegal preparati dai bambini durante le vacanze di Pasqua.
Il programma stabilito con Flavia viene rigorosamente rispettato.
Si inizia con la lettura di alcune lettere al maestro: poiché quasi tutte
contengono domande sulla scuola in Senegal, Ibrahima decide di rispondere
alla fine.
Il tema comune nelle curiosità dei bambini è quello della presenza o meno
di alcuni “beni” quali gli astucci, le penne e i quaderni; qualcuno accenna
domande sulla presenza dei bagni e sulla qualità del cibo (in questo caso
emerge il solito problema della mensa scolastica, considerata pessima da
quasi tutti i bambini).
Il secondo momento coinvolge la classe nelle due canzoni in francese che
Ibrahima ci aveva chiesto di far provare nelle due settimane che avrebbero
preceduto l’incontro: i risultati sono buoni.
La consumazione delle arachidi è l’unico momento in comune con
l’incontro avvenuto alla “Biblioteca centrale dei ragazzi” .
I bambini vengono coinvolti, quindi, nel gioco “la coda del gallo”, gioco che
hanno visto sempre in occasione dell’incontro in biblioteca, nel filmato
girato da Ibrahima.
Le coppie che scelgono di confrontarsi raccontano molto sui rapporti tra i
bambini.
Julio accetta il confronto con Marco che vince al secondo tentativo con
buona pace del suo sfidante che torna al posto sereno e soddisfatto: qui si
conferma l’impressione avuta durante le tante ricreazioni passate assieme
che Julio, così difficile di fronte alla disciplina scolastica, accetti
serenamente, invece , le regole del gioco.
La giornata si conclude con l’assaggio del karkadè prima freddo e poi caldo.
211
Giovedì 3 maggio.
Torno a scuola dopo alcuni giorni di vacanze e malattia.
I bambini sono impegnati in un “testo regolativo” da schematizzare
ulteriormente: si tratta della ricetta di una bevanda chiamata Lemonmela con
la quale il libro di testo si propone di educare ad una corretta alimentazione.
Tutti sono in difficoltà.
Stamattina, per la prima volta in tre mesi, Julio è senza grembiule come tutti
gli altri e, per la prima volta in tre mesi, ha scritto quanto gli altri.
Il mio arrivo interrompe bruscamente il momento “felice”, Julio , appena mi
vede sulla porta, prima mi mostra un testo di ieri del quale mi dice “l’ ho
fatto io ma la maestra non mi crede”, poi abbandona la matita chiedendomi
di aiutarlo.
Più tardi Flavia farà leggere il testo di Julio ad Gabriella che le consiglierà di
essere meno dura con il bambino e di apprezzarne gli sforzi, anche se
nascondono un lavoro a casa che tenta di supplire a quello scolastico. Flavia
è molto infastidita dall’atteggiamento “da bugiardo” di Julio.
Felipe, invece, procede da solo anche se si ostina ad usare esclusivamente la
matita per i suoi elaborati.
Lunedì 7 maggio.
Le prime due ore sono dedicate all’educazione sanitaria: la signora Carla,
dentista e mamma di Federica spiega ai bambini la corretta igiene orale.
Rientrati dalla ricreazione i bambini affrontano la grammatica a partire dai
compiti del fine settimana che li hanno visti impegnati in un lavoro di vera e
propria analisi logica.
212
Il compito di Julio è assolutamente privo di senso e così quello di Daniel.
Mi avvicino a Julio per aiutarlo ma lui si chiude le orecchie mentre gli
spiego che a farlo assieme ci sbrigheremo. Alberto si offre di aiutarlo e Julio
accetta: forse l’aiuto di un compagno è sentito come più “normale” del mio.
Verso la fine della lezione Alberto viene interrogato e Julio si “sdebita”
suggerendogli, purtroppo male.
Quando i bambini sono a mensa discuto con Flavia a proposito di Nicola, il
volontario autorizzato dalla facente funzioni per il direttore a seguire Brian
in orario extra scolastico.
Riprende corpo l’idea di un laboratorio di italiano per i bambini stranieri
come progetto da presentarsi nell’ambito dei Piani di Offerta Formativa.
Martedì 8 maggio.
La mattina si apre con una buona notizia: ieri pomeriggio la mamma di
Brian è venuta a scuola; purtroppo non c’eravamo né io né Flavia.
Lavoro sulla storia personale.
Dalle poche scatole portate dai bambini tiriamo fuori gli oggetti significativi
per ricordare l’evoluzione alimentare del bambino nel primo anno di vita.
Mi colpisce Daniel che si è presentato con una scatola di scarpe decorata
con ritagli. Considerate le sue difficoltà a reggere il ritmo della classe, mi
avvicino per vedere il contenuto assieme a lui: è vuota.
Si parla del latte e del seno materno, del numero delle poppate e della
nascita dei denti: attraverso quest’ultimo argomento ci ricolleghiamo al
discorso di ieri.
I bambini disegnano biberon e piatti fumanti ispirandosi ai disegni fatti da
noi adulti su tre lavagne diverse: alcuni ci danno i voti, altri (solo maschi)
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ridono quando disegno un seno materno, le bambine si arrabbiano
accusando i compagni di “non capire niente di queste cose”.
Julio riprende il tema del seno disegnandone uno enorme, che lui definisce
“cicciotello”, con attaccato un bambino minuscolo e sospeso in aria: molti
altri si concentrano sulla poppata, così decidiamo di leggere una filastrocca
nella quale una mamma racconta la fatica dell’allattamento.
I bambini mettono le sedie in circolo al centro dell’aula: è il momento in cui
ci si passano gli oggetti che poco alla volta rappresentano lo svezzamento
del bambino.
Per la fase 0-4 mesi viene scelto il piccolo biberon di Marina che ci permette
di notare sulla tettarella i segni dei morsi con i quali la bambina comunicava
di essere pronta per nuovi cibi.
Per la fase 4-8 mesi usiamo il biberon di Francesca e notiamo una
particolarità della tettarella: la mamma aveva fatto un buco enorme con le
forbici per far passare il latte arricchito di biscotti: ecco dunque che ai
bambini viene riproposto l’assaggio dei biscottini per l’infanzia.
Per l’ultimo periodo, quello tra gli otto mesi e l’anno usiamo il piattino di
Lavinia M. e scriviamo assieme una ricetta della “Prima pappa”.
Dalle 11 i bambini sono coinvolti nella lezione di canto per cui siamo
costretti ad interrompere.
Stamattina, come ieri, Felipe era assente.
Giovedì 17 maggio.
Flavia decide di ripercorrere sul quaderno di storia alcune tappe del lavoro
sulla storia personale. Si tratta di schematizzare ed approfondire temi legati
al cambiamento fisico e all’acquisizione delle abilità.
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A fine mattina decidiamo di recuperare l’idea della visita alla scuola
materna: l’incontro con i piccoli è molto bello; i due gruppi comunicano con
poesie e canzoni.
Lunedì 21 maggio.
Si lavora su un testo libero.
Julio non scrive nulla e gioca con Daniel. La mattina procede con qualche
tensione: Flavia prova a parlare con me di alcune questioni legate alla
rappresentazione di fine anno ma veniamo continuamente interrotte da
bambini che fanno domande sull’esecuzione del lavoro.
Martedì 22 maggio.
Ultimo giorno di lavoro sulla storia personale.
I bambini disegnano la loro famiglia poi lavoriamo tutti insieme alla
costruzione dell’albero genealogico.
L’esempio che ho disegnato alla lavagna crea qualche confusione: in molti
lo copiano dimenticando di sostituire ai nomi generici quelli della mamma,
del papà e dei nonni.
Risolviamo il problema facendo rifare il disegno.
Il risultato finale mostra con una certa evidenza che tutti i bambini stranieri
(tranne Augusto) conoscono al massimo il nome di un nonno e difficilmente
riescono ad attribuirlo alla linea paterna o materna.
A quattro mesi esatti dall’inizio si conclude il tirocinio; d’accordo con
Flavia resterò sino alla fine dell’anno per accompagnare la classe verso il
215
saggio di fine anno che consisterà in una vera e propria “rappresentazione”
di questo lavoro.