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Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio
TERZA COMUNICAZIONENAZIONALE DELL’ITALIA
ALLA CONVENZIONE QUADRO SUI CAMBIAMENTI CLIMATICI
Ottobre, 2002
Research and systematic observation
Supervisione generale: Corrado Clini (Ministerodell’Ambiente e della Tutela del Territorio)
Coordinamento e editing: Mario Contaldi(APAT-Agenzia per la protezione dell’Ambiente eper i servizi tecnici), Domenico Gaudioso (APAT-Agenzia per la protezione dell’Ambiente e per i ser-vizi tecnici), Mara Angeloni (Ministero del-l’Ambiente e della Tutela del Territorio)
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 3
PREMESSA
L’Italia ha ratificato il Protocollo di Kyoto con leggen. 120, del 1 giugno 2002. La legge ha stabilito che:
1. l’Italia dovrà ridurre le proprie emissioni di gas-serra nella misura del 6.5%, entro il 2008-2012,rispetto ai livelli del 1990, così come deciso dal“Burden Sharing” europeo adottato dall’UnioneEuropea il 4 marzo 2002;
2. le politiche e misure di riduzione delle emissionidovranno essere finalizzate a:
• il miglioramento dell’efficienza energetica delsistema economico nazionale;
• la promozione della differenziazione delle fontienergetiche e della sicurezza energetica;
• l’aumento della quantità di fonti rinnovabili sul-l’offerta totale di energia;
• la promozione dell’innovazione tecnologica neisettori dei trasporti ed energetico;
• la promozione delle attività agricole e forestali esostenibili, e dei relativi “sinks” di carbonio;
• l’incremento e il miglioramento della coopera-zione tecnologica internazionale al fine di sup-portare la partecipazione di imprese italiane al“Clean Development Mechanism” e alla “JointImplementation”.
3. Per il periodo 2002-2004 sono stati stanziatiannualmente 25 milioni di Euro per progettipilota relativi al miglioramento dell’efficienzaenergetica, ai combustibili e motori puliti, eall’aumento degli assorbimenti di carbonio;
4. Dal 2003, verranno stanziati annualmente 68milioni per il finanziamento di progetti nei Paesiin via di sviluppo finalizzati alla riduzione delleemissioni ed alla promozione dell’adattamentoagli effetti dei cambiamenti climatici.
La Terza Comunicazione Nazionale dell’Italia allaConvenzione Quadro delle Nazioni Unite suiCambiamenti Climatici, si basa sul Piano di AzioneNazionale per la riduzione delle emissioni di gas adeffetto serra trasmesso ad ottobre 2002, alComitato Interministeriale per la ProgrammazioneEconomica e approvato il 19 dicembre 2002. IlPiano è finalizzato a implementare le indicazionicontenute nella Legge di ratifica del Protocollo diKyoto.
Inoltre, la Comunicazione Nazionale aggiorna:
• la valutazione sulla vulnerabilità e sugli impattidei cambiamenti climatici e sulle relative misuredi adattamento;
• le informazioni sulla cooperazione bilaterale emultilaterale in materia di trasferimento di tec-nologie e sui relativi aiuti finanziari;
• le attività italiane di ricerca e di osservazionesistematica sui cambiamenti climatici, sia a livel-lo regionale che globale;
• le iniziative italiane in materia di informazione,formazione e partecipazione, sia a livello nazio-nale che locale, promosse dalle autorità digoverno, regionali e locali, dalle imprese private,dalle università ed istituzioni scientifiche, e dalleorganizzazioni non governative.
Pertanto, la Terza Comunicazione Nazionale offreun quadro completo delle attuali attività e dei piùrecenti programmi dell’Italia finalizzati ad adem-piere agli impegni della Convenzione Quadro suiCambiamenti Climatici e del Protocollo di Kyoto.
Corrado CliniDirettore Generale del Ministero
dell’Ambiente e della Tutela del Territorio
4 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
Antonietti Daniela APATAntonioli Fabrizio ENEAApadula Sergio CESIArtale Vincenzo ENEA La CasacciaBertuzzi Daniela ENEABianchi Alessandro Fondazione Alma MaterBorrelli Gaetano ENEACarillo Adriana ENEA La CasacciaCasali Orietta ENEACastellari Sergio INGVCecchetti Paolo Ministero dell’Ambiente e del TerritorioCherchi Annalisa INGVColitti Lorenza Ministero delle Politiche Agricole e ForestaliContaldi Mario APATCorona Piermaria Università di FirenzeCozza Franco Ministero delle Politiche Agricole e ForestaliDalla Costa Maria APATD’Angelo Emidio ENEADe Bellis Giuseppe Fondazione Alma MaterDe Lauretis Riccardo APATDe Stefanis Pasquale ENEADemirov Entcho INGVDi Giulio Enzo Università ENI CorporateDi Rocco Domenico ENEA La CasacciaDi Sarra Alcide Giorgio ENEA La CasacciaFederici Sandro Università della TusciaFerrara Vincenzo ENEAFuzzi Sandro ISAC-CNRGambarelli Gretel FEEMGaudioso Domenico APATGiorgi Filippo ICTPGoria Alessandra FEEMIorio Giulia ENEALorenzoni Arturo Fondazione Alma MaterLumicisi Antonio Ministero dell’Ambiente e della Tutela del TerritorioMacrì Antonio ISTATManzella Giuseppe ENEAManunta Luca APATMigliavacca Stefania Università ENI CorporateMiglietta Franco IBIMET - CNRNanni Teresa ISAC-CNRNavarra Antonio INGVPasqualini Simonetta ENEAPerrella Giovanni ENEAPiacentini Massimiliano Fondazione Alma MaterPisacane Giovanna ENEA La CasacciaPona Carlo ENEAQuaratino Roberta Università della TusciaQuattrocchi Fedora INGVRaudner Astrid APATRomano Daniela APATRupolo Wolfango ENEA La CasacciaRuti Paolo M. ENEA La CasacciaSantaguida Riccardo Aeronautica MilitareSciortino Maurizio ENEA La CasacciaTabarelli Davide Fondazione Alma MaterTrisorio Antonella INEAVaglio Alessandro Fondazione Alma MaterValentini Riccardo Università della TusciaVinci Caterina ENEAZezza Annalisa INEA
Autori
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 5
General Index
INDICE GENERALE
PREMESSA
AUTORI
1. SINTESI
2. SPECIFICITA’ NAZIONALI13
2.1 Struttura del governo 132.2 Popolazione 212.3 Economia 252.4 Caratteristiche dei macro settori economici 292.5 Andamento delle emissioni nazionali di gas serra e confronti internazionali 53
3. INVENTARIO DEI GAS-SERRA71
3.1 Sintesi dei dati di emissione 713.2 National system per la preparazione dell’inventario nazionale dei gas-serra 713.3 Serie storica delle emissioni dei gas serra 713.4 Assorbimenti di anidride carbonica dalle foreste 77
4. POLITICHE E MISURE DI MITIGAZIONE 87
4.1 Sintesi delle misure previste ai fini del raggiungimento degli obiettivi del Protocollo di Kyoto 874.2 Settore energia: produzione, trasformazione e distribuzione 934.3 Settore industria 964.4 Settore mobilità e trasporti 984.5 Settori residenziale, commerciale e dei servizi 1064.6 Strategie intersettoriali 1094.7 Emissioni da fonti non energetiche 1104.8 Settore forestale 1124.9 Meccanismi flessibili 115
5. PROIEZIONI ED EFFETTI DELLE POLITICHE E MISURE 117
5.1 Il contesto internazionale ed europeo 1175.2 Scenario di emissione aggiornato, emissioni complessive 1195.3 Emissioni da uso di energia 1225.4 Emissioni dagli altri settori 1295.5 Proiezioni energetiche ed effetti delle politiche e misure 1365.6 Scenari della snc (seconda comunicazione nazionale) 140
6. VALUTAZIONI DI VULNERABILITA’, IMPATTI DEI CAMBIAMENTI CLIMATICI E ADATTAMENTO 143
6.1 Variazioni ambientali osservate in italia 1446.2 Impatti dei cambiamenti climatici attesi e valutazione della vulnerabilita’ 1516.3 Misure di adattamento 1576.4. Il quadro normativo delle misure di adattamento ai cambiamenti climatici 1606.5 La valutazione di vulnerabilita’, gli impatti dei cambiamenti climatici e
l’adattamento nei documenti programmatici del governo italiano 1607. RISORSE FINANZIARIE E TRASFERIMENTO DI TECNOLOGIE 163
Indice generale
6 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
7.1 L’aiuto pubblico allo sviluppo 1637.2 Cooperazione multilaterale per l’ambiente 1647.3 Cooperazione bilaterale con i PVS 1657.4 Cooperazione bilaterale con i paesi dell’Europa centro e sud orientale
e della comunita’ degli stati indipendenti 1667.5 La cooperazione scientifica 1677.6 La cooperazione del settore privato 169
8. LA RICERCA SUL CAMBIAMENTO CLIMATICO E SUI SUOI EFFETTI 175
8.1 Attività di monitoraggio, osservazione e misura 1758.2 Simulazioni numeriche del clima 1788.3 Studi di impatto 1808.4 Ecosistema dei mari italiani 1808.5 Desertificazione 1818.6 Partecipazione italiana a programmi di ricerca
9. INFORMAZIONE, FORMAZIONE E PARTECIPAZIONE 201
9.1 L’educazione ambientale in Italia 2019.2 Le attività della Pubblica Amministrazione 2019.3 Le attività delle organizzazioni non governative 2039.4 I mezzi di comunicazione 2079.5 Conclusioni 209
Allegato 1 Revisione delle linee guida per le politiche e misure nazionali di riduzionedelle emissioni dei gas serra (Legge 120/2002)
Allegato 2 Provvedimenti, norme, Istituti legislativi e strumenti amministrativi per interventi di mitigazione e di adattamento ambientale ai cambiamenti climatici a livello nazionale
Allegato 3 Bibliografia
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1. Sintesi
SPECIFICITÀ NAZIONALI
Le emissioni nazionali di CO2 nel 1999 sono statel’1,9% delle emissioni mondiali globale, le emissio-ni dei tre maggiori gas serra hanno rappresentantol’1,6% del totale. Il peso dell’Italia rispetto al totaledelle emissioni di gas serra a livello mondiale è quin-di relativamente basso.
Il peso delle emissioni italiane di anidride carbonicaè più contenuto rispetto a quello di altri paesi svi-luppati a parità di reddito e di popolazione: in par-ticolare le emissioni pro-capite nel 1999 sono inItalia di quasi 8 tonnellate di CO2 l’anno, mentre ilvalore medio dell’EU è circa 8,6, quello dell’OCSEcirca 11,5 e negli Stati Uniti circa 20.
Le emissioni italiane di CO2 costituiscono il 14,0% diquelle dell’Unione Europea; se si conteggiano i tremaggiori gas-serra, le emissioni nazionali pesanoper il 12,3%.
Il fattore chiave dei dati di emissione dell’Italia è ilbasso rapporto tra consumo di energia e prodottointerno lordo che nel 1999 è stato pari 71,6tep/MldLit a prezzi 1995. I principali determinantidella intensità energetica italiana sono di caratterestrutturale: la storica carenza di energia, che hafavorito la creazione di comportamenti ed infra-strutture parsimoniose nell’uso dell’energia e unastruttura produttiva non eccessivamente energivo-ra; la forte fiscalità, che ha storicamente aumentatoil costo delle fonti energetiche all’utenza finale benoltre i valori tipici negli altri paesi; il più basso reddi-to pro-capite, il clima relativamente mite; l’elevatadensità della popolazione, che tende ad abbassarele percorrenze medie dei viaggi.
Il calo dell’intensità negli anni immediatamente avalle del valore massimo, raggiunto nel 1973, dopouna forte crescita negli anni ‘50 e ‘60, è stato nelcomplesso più forte di quello verificato negli altripaesi industriali, accelerato dall’espulsione di cicliproduttivi ad alta intensità energetica.
Successivamente, ha avuto una linea di decrescitameno vistosa che negli altri paesi, particolarmentenegli anni ‘80. Dal 1985 in poi l’intensità energeticaè rimasta quasi costante (calo inferiore al 2%) afronte di un calo del 7 % nell’OCSE nel suo com-plesso e dell’8 % a livello europeo. Rispetto ai mag-giori paesi industriali, l’Italia ha, infatti, meno mar-gini per migliorare l’efficienza energetica.
L’alto costo marginale per l’Italia, delle misure tradi-zionali di efficienza energetica, ha ispirato ilProgramma di Azione Nazionale verso un set diopzioni identificate per i loro effetti secondari sullariduzione delle emissioni.
INVENTARIO DEI GAS-SERRA
Le emissioni nazionali di anidride carbonica (CO2)sono pari all’84,7 % del totale delle emissione di gas-serra espressi in termini di CO2 equivalente e presen-tano tra il 1990 e il 2000 un aumento pari al 5,4 %.In particolare, nel settore energetico, le emissioni nel2000 sono superiori del 6,7 % rispetto al 1990.
Le emissioni di metano (CH4) e di protossido di azoto(N2O) sono pari, rispettivamente, al 6,9 % e 7,9 %del totale delle emissioni di gas-serra in CO2 equiva-lente. Le emissioni di CH4 si sono ridotte del 4 % dal1990 al 2000, mentre l’N2O è aumentato del 5,9 %.
Gli altri gas-serra, idrofluorocarburi (HFC), perfluo-rocarburi (PFC), ed esafluoruro di zolfo (SF6), hanno,invece, un peso complessivo sul totale delle emis-sioni inferiore allo 0,5 %, e quindi ancora trascura-bile, nonostante l’incremento registrato tra il 1995e il 2000 (+78,4%).
Le emissioni totali dei gas-serra considerati dalProtocollo di Kyoto sono nel 2000, in termini di CO2
equivalente, superiori del 5 % rispetto all’anno basea fronte di un impegno nazionale di riduzione nel-l’ambito dell’Unione Europea pari al 6,5 % nelperiodo 2008-2012.
1. Executive summary
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L’anno base è il 1990 per CO2, CH4 e N2O, e il 1995per gli altri gas serra.
POLITICHE E MISURE DI MITIGAZIONE
Il Piano di Azione Nazionale si basa su due scenaridi emissione (lo “scenario tendenziale”, e lo “sce-nario di riferimento”), sulle misure nei settori agri-colo e forestale, e su un set di opzioni per la ridu-zione delle emissioni negli altri settori.
1. Lo scenario “tendenziale ”di emissioni al 2010,“a legislazione vigente”, tiene conto delle misuregià avviate:
• obbligo della quota minima di energia elettrica(2%) da nuovi impianti utilizzanti fonti rinno-vabili, come da articolo 11 del decreto legisla-tivo 79/1999;
• DPCM 4 agosto 1999 che definisce le modali-tà di dismissione di circa 15 mila MW da partedi ENEL, con l’obbligo di conversione a ciclocombinato di impianti esistenti ad olio com-bustibile per circa 10 mila MW;
• completamento dei programmi di investimen-to in attuazione dei progetti approvati nell’am-bito delle misure incentivanti di cui al CIP 6/92;
• aumento nell’uso del carbone negli impiantienergetici dal 9% al 14%;
• Decreti del Ministero dell’Industria del 24 apri-le 2001 per l’incremento dell’efficienza ener-getica negli usi finali;
• attuazione della legge 449/97, riguardante ladeducibilità del 41% delle spese di ristruttura-zione degli edifici, inclusi gli impianti basati sul-l’uso di energia rinnovabile;
• esenzione dall’accisa per un contingente di300.000 t./anno per il biodiesel, come previstodall’art.21 della 388/2000.
2. Le misure incluse nello scenario di riferimentoconsistono nell’attuazione di programmi già previstida leggi nazionali e direttive europee, nonché dadecreti ministeriali e da delibere del CIPE:
• realizzazione di nuovi impianti a ciclo combina-to e di nuove linee di importazione dall’estero digas ed elettricità;
• aumento dell’impiego delle fonti rinnovabili,come previsto dalla direttiva europea 2001/77CE che stabilisce l’obiettivo di produzione dienergia elettrica da fonti rinnovabili pari a 75TWh entro il 2010;
• riduzione dei consumi energetici negli usi civili;• progressiva eliminazione delle discariche e
aumento della produzione di energia dai rifiuti;• realizzazione di opere infrastrutturali, che
hanno effetti sul trasferimento del trasportodelle persone e delle merci dalla gomma allaferrovia e al cabotaggio;
• promozione della produzione e utilizzazione diveicoli e carburanti a maggiore efficienza;
• ottimizzazione dei sistemi di trasporto privato.
In particolare, per le misure relative all’uso di ener-gia elettrica per scopi industriali e non (85% dellemisure) il costo netto è inferiore a zero, cioè, il pro-fitto dell’investimento è sempre positivo senza ilcoinvolgimento di altre procedure finanziarie di sup-porto.Invece, gli interventi nel settore dei trasporti sonocostosi. In conclusione, le misure richiedono investi-menti stimati intorno ai 8.940-10.450 milioni diEuro, mentre i costi netti, considerando il profittodell’investimento, sono stimati intorno ai 1.170-1.603 milioni di Euro.Lo scenario di riferimento include inoltre le iniziati-ve avviate in Cina, nei Paesi del nord Africa e neiBalcani, che possono generare crediti di emissione odi carbonio attraverso i meccanismi di CleanDevelopment Mechanism e Joint Implementation.
3. Le misure nel settore agricolo e forestale com-prendono programmi e iniziative per l’aumento e lamigliore gestione delle aree forestali e boschive, ilrecupero di territori abbandonati, la protezione delterritorio dai rischi di dissesto e desertificazione:
• gestione delle foreste esistenti;• rivegetazione di terre agricole e pascoli;• riforestazione naturale;• afforestazione e riforestazione, in aree boschi-
ve esistenti, in nuove aree e nelle aree sogget-te al rischio di dissesto idrogeologico.
Le misure nel settore agricolo e forestale necessitanodi investimenti di circa 526 milioni di Euro a seguitodella loro maggiore capacità di assorbimento.Nel caso di adozione di tali misure, le esternalitàpositive sono importanti per la protezione dell’am-biente e del territorio, mentre è difficile stimarel’ammontare del profitto derivante dagli investi-menti.Generalmente queste misure richiedono costi piùbassi rispetto a quelli previsti per altri settori, ed icosti netti possono stimarsi uguali agli investimenti.
Per la individuazione delle ulteriori misure di ridu-zione delle emissioni, è stato definito un “set” aper-to di possibili programmi e iniziative nei settori del-l’energia, dei trasporti, dell’industria, dell’agricoltu-ra, e della cooperazione economica e tecnologicainternazionale. Le possibili opzioni sono state indi-cate assumendo sempre il criterio della “ottimizza-zione” degli effetti ambientali di misure finalizzate
1. Executive summary
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prioritariamente all’aumento dell’efficienza dell’e-conomia italiana.
In generale, le misure individuate con il criterio dellamigliore efficienza e del minor costo fanno riferimen-to per almeno il 40-50% a programmi e iniziative darealizzare mediante i meccanismi di cooperazioneinternazionale previsti dal Protocollo di Kyoto.
PROIEZIONI ED EFFETTI DELLE POLITICHE E MISURE
L’Italia deve ridurre le emissioni di gas serra, entro il2008-2012, del 6.5%, rispetto al 1990. In altri termi-ni, le emissioni dovranno passare da 521 milioni ditonnellate di CO2 equivalente (MtCO2eq.) del 1990 a487 MtCO2eq.: il “gap” da colmare è, quindi, di 34MtCO2eq..
Tuttavia, considerato che nel 2000 le emissioni eranopari a 546 MtCO2eq., e che le emissioni tendenziali al2010, ovvero quelle prevedibili a legislazione vigente,corrispondono a 580 MtCO2eq., il “gap” effettivorispetto all’obiettivo di riduzione risulta di 93MtCO2eq.
Le misure già individuate alla data attuale con prov-vedimenti, programmi e iniziative, concorrono a defi-nire il così detto “scenario di riferimento”, ovvero loscenario di emissione al 2010 corrispondente allaattuazione delle misure già individuate, pari ad unariduzione di 52 MtCO2eq., rispetto allo scenario alegislazione vigente.
Le misure da attuare nel settore agricolo e forestaleper aumentare la capacità di assorbimento del carbo-nio, possono consentire una riduzione di 10,2MtCO2eq.
Sono state infine definite ulteriori misure di riduzione,sia a livello interno, sia mediante i meccanismi dicooperazione internazionale Clean DevelopmentMechanism e Joint Implementation, necessarie percolmare il “gap” residuale di circa 30 MtCO2eq. Unprimo esame delle opzioni di mitigazione, conside-rando sia le misure domestiche che i progetti inter-nazionali, basato sui criteri di:
• minimo costo netto;• possibilità di sviluppo di nuove iniziative nei set-
tori energetico e tecnologico;• possibilità offerte a livello internazionale per l’a-
pertura di nuovi mercati ad imprese italiane;
identifica un “pacchetto” di misure e progetti finaliz-zati ad una riduzione di 50-60 MtCO2eq., con inve-
stimenti tra i 7.300 e i 14.500 milioni di Euro, e costinetti stimati tra i 300 e gli 800 milioni di Euro.
VALUTAZIONI DI VULNERABILITÀ,IMPATTI DEI CAMBIAMENTI CLIMATICIE ADATTAMENTO
In Italia gli impatti ambientali maggiori, dovuti aicambiamenti climatici previsti nell’area mediterraneasono:
• sulle zone costiere a causa dall’innalzamento dellivello del mare,
• sulle aree territoriali agricole o destinate ad atti-vità produttive a causa del degrado dei suoli pererosione, della perdita di sostanze organiche eper acidificazione,
• sulla biodiversità ed il paesaggio naturale bioti-co a causa dello spostamento verso nord degliecosistemi,
• sui settori produttivi maggiormente dipendentidalle condizioni climatiche e sul benessere socia-le, a causa del previsto aumento sia dell’intensi-tà sia della frequenza di fenomeni meteorologi-ci estremi, ma anche in conseguenza del dis-equilibrio della disponibilità d’acqua fra nord esud Italia.
Tali impatti potrebbero avere profonde implicazionisoprattutto sulla produzione agricola, la produzioneindustriale, il turismo, la salute umana e non ultimo ilsettore assicurativo. La vulnerabilità climatica nel ter-ritorio italiano si presenta in modo differenziato inrelazione sia alle caratteristiche geografiche e di sen-sibilità degli ecosistemi naturali, sia allo sviluppo eco-nomico locale ed alle differenti potenzialità di adat-tamento tra nord e sud Italia
Per quanto riguarda le aree costiere, le principalicoste italiane a potenziale rischio di allagamento delmare sono la Pianura Padano-Veneta, la Versilia e lepianure pontina e di Fondi con ripercussioni negati-ve sull’industria turistica (soprattutto nell’area vene-ziana e in Versilia) e sulle attività produttive (soprat-tutto nella pianura pontina e di Fondi), a causa dellaperdita di notevoli estensioni di spiaggia e il dan-neggiamento di infrastrutture e servizi.
Per quanto riguarda le aree territoriali agricole odestinate alle attività produttive, i previsti cambia-menti climatici indurranno in Italia un generaledegrado del suolo più o meno rilevante a secondadegli specifici contesti territoriali. In particolare nelnord Italia, il degrado del suolo sarà determinatomaggiormente da fenomeni di erosione da run-offa causa del previsto aumento di precipitazioni inten-
1. Executive summary
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se ed alluvionali. Nel sud Italia, invece il degradoderiverebbe soprattutto da fenomeni di erosione daaridificazione, salinizzazione e perdita di nutrienti acausa della diminuzione delle precipitazioni e daimaggiori rischi di siccità.
Per quanto riguarda la diversità biologica, il quadrocomplessivo dei cambiamenti climatici sarà tale percui si potrebbe avere una migrazione complessiva dicirca 140-300 km verso nord di tutti gli ecosistemi edi circa 100-200 metri verso l’alto nelle zone colli-nare e montuose. Stante la complessità della con-formazione orografica e geomorfologia italiana, gliequilibri complessivi e il paesaggio naturale tende-ranno a cambiare perché alcuni ecosistemi tipicimediterranei andranno perduti mentre altri si modi-ficheranno in relazione alle loro capacità di adatta-mento. Per gli ecosistemi forestali, le modifichepotrebbero essere anche irreversibili perché potreb-bero essere a rischio di distruzione al sud a causadegli incendi boschivi e dell’aridità e di variazionedei loro equilibri al nord a causa delle variazioni delloro habitat e delle mutate condizioni climatiche.
Per quanto riguarda i settori produttivi ed il benes-sere sociale, i previsti cambiamenti climatici in Italiatenderanno ad acutizzare la pressione antropicasulle risorse idriche a causa di una maggiore dispo-nibilità d’acqua nel nord Italia e, viceversa, di unaminore disponibilità nell’Italia del sud, accentuando-ne le esistenti differenze di opportunità di sviluppo.Se si tiene conto oltre che della disponibilità d’ac-qua anche del previsto aumento dell’anidride car-bonica atmosferica e delle temperature al suolo, laproduzione agricola da una parte tenderebbe quan-titativamente ad aumentare nel nord Italia e a dimi-nuire al sud, mentre d’altra parte tenderebbe anchequalitativamente a modificarsi in relazione al trasfe-rimento verso nord degli ecosistemi.
L’adattamento ai cambiamenti climatici implicherà,oltre alla scelta delle migliori strategie di minimizza-zione degli impatti e delle vulnerabilità ambientale eterritoriale, anche la valutazione economica dei costi edei benefici per i diversi scenari di adattamento.Quantunque le strategie nazionali di adattamentosono coerenti con quanto suggerito dall’IPCC, tutta-via sono carenti studi di dettaglio sulle valutazioni eco-nomiche. Tali studi sono in fase di avvio ed i risultatisaranno disponibili in un prossimo futuro.
RISORSE FINANZIARIE E TRASFERIMENTI DI TECNOLOGIA
Il Capitolo VIII fornisce una visione d’insieme delleattività e delle risorse italiane impegnate nellacooperazione con altri Paesi nel perseguire gli obiet-
tivi della UNFCCC riguardanti il trasferimento di tec-nologia e le risorse finanziarie.
Una sintetica descrizione dei flussi di Aiuti Pubbliciallo Sviluppo italiani negli anni considerati evidenziache in valori assoluti l’Italia rimane uno dei principa-li donatori, collocandosi al settimo posto fra i paesiOCSE nel 1998 e 1999 e al decimo posto nel 2000.
Sul piano multilaterale, l’impegno italiano volto allatutela ambientale ha acquisito maggiore continuitàe coerenza tramite una più efficace collaborazionecon le principali istituzioni ambientali internazionali.Esiste ora un forte impegno sulla necessità di raf-forzare le sinergie tra le attività previste dalle varieConvenzioni Globali e Regionali per la Protezionedell’Ambiente, nonché di integrarle negli obiettivipiù ampi di cooperazione internazionale, in partico-lare nella lotta alla povertà.
Un’importante risorsa nuova e addizionale per i pro-blemi ambientali globali è costituita dal contributo afavore del Fondo per l’Ambiente Globale (GlobalEnvironment Facility – GEF).
L’Italia ha contribuito alla seconda ricostituzione delGEF con 90,5 milioni di dollari USA, confermandosisesto contribuente assoluto del fondo. Essa harecentemente sottoscritto la terza ricostituzione delGEF confermando la sua quota del 4,39% del con-tributo totale.
Sul piano bilaterale, risorse nuove e addizionali perattività di trasferimento tecnologico in campoambientale sono state rese disponibili, in previsionedella ratifica del Protocollo di Kyoto. Tali attività,oltre ad essere propedeutiche al lancio dei meccani-smi di Kyoto, rispondono anche agli obiettivi com-plessivi della Convenzione Quadro.
Tali risorse finanziarie sono state fornite dalla cosid-detta “carbon tax”. Tale legge prevede, fra l’altro,che le azioni nazionali per la riduzione delle emis-sioni di gas ad effetto serra debbano essere accom-pagnate anche da programmi di cooperazioneinternazionale.
Una tra le principali attività del Ministerodell’Ambiente e della Tutela del Territorio italiano,nell’ambito dei numerosi programmi con PVS ePVT, è il programma di cooperazione ambientalecon la Cina. Con oltre 14 milioni di Euro, tale pro-gramma intende stimolare altri finanziamenti diBanche e Fondi multilaterali per la protezione del-l’ambiente e per le fonti energetiche rinnovabili.
L’APS bilaterale e multi-bilaterale italiano nel setto-re ambientale – anche attraverso schemi ad hoc di
1. Executive summary
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co-finanziamento attuati congiuntamente alle prin-cipali istituzioni finanziarie internazionali, quali laBanca Mondiale, il GEF, le Banche MultilateraliRegionali per lo Sviluppo – supporta diverse istitu-zioni ambientali dei PVS e dei PVT in attività di tra-sferimento di know-how e di rafforzamento dellecapacità istituzionali.
Per quanto riguarda la cooperazione scientifica peril trasferimento di know-how, il Ministero degliAffari Esteri italiano, in collaborazione con ilMinistero per l’Istruzione, l’Università e la RicercaScientifica, sostiene accordi bilaterali di collabora-zione con 43 paesi fra PVS e PVT. Molti di taliaccordi includono tematiche ambientali, quali icambiamenti climatici, gli eco-sistemi terrestri,costieri e marini e le energie pulite, mirando princi-palmente allo scambio di informazioni e ricercatori,metodologie ed approcci.
Nell’ambito del settore privato, numerose imprese esocietà italiane sono attive nel trasferimento di tec-nologie a ridotto impatto sull’ambiente e nell’attua-zione di progetti volti ad introdurre schemi digestione integrata delle risorse naturali o dei rifiuti,anche tramite schemi di co-finanziamento sostenu-ti da istituzioni pubbliche nazionali e locali.
LA RICERCA SUL CAMBIAMENTO CLIMATICO E SUI SUOI EFFETTI
Gli ultimi anni hanno visto un rinnovato impegnodel sistema della ricerca italiano nel campo dellostudio degli effetti antropici sul clima, sulla suavariabilità e sugli impatti sull’ambiente. E’ statovarato un Piano nazionale di Ricerca sul Clima,grazie alla collaborazione del Ministerodell’Ambiente e della Tutela del Territorio e delMinistero dell’Istruzione, dell’Università e dellaRicerca, che è in corso di implementazione. IlPiano è una componente del Piano Nazionaledella Ricerca e riafferma il ruolo strategico che laricerca climatica ha ormai assunto per un paesevulnerabile come l’Italia.
Per quanto riguarda le attività di monitoraggio,osservazione e misura, esiste in Italia un efficientesistema di monitoraggio dei componenti dell’atmo-sfera, che ha portato anche ad uno sviluppo inno-vativo di strumenti e tecniche di analisi dati. L’Italiadispone inoltre di diverse navi oceanografiche chevengono utilizzate per le crociere di ricerca.L’impegno italiano in Antartide continua includen-do una parte di studi e ricerche rilevanti per le pro-blematiche climatiche. I gruppi maggiormente coin-volti in queste attività sono; ENEA (Ente per leNuove Tecnologie, l’Energia e l’Ambiente), INGV
(Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia),ISAC (Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima)del CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche), CESI(Centro Elettrotecnico Sperimentale Italiano) ed ilServizio Meteorologico dell’Aeronautica Militare.
L’Italia ha alcuni gruppi all’INGV, all’ENEA edall’ICTP (Abdus Salam International Centre forTheoretical Physics), che sono attivi e riconosciutiin campo internazionale nel campo delle simula-zioni numeriche climatiche. In particolare le attivi-tà sono concentrate su:
• simulazioni globali del sistema climatico conmodelli accoppiati atmosfera-oceano, inclu-dendo anche gli scenari SRES/IPCC;
• analisi dei patterns a scala regionale deimutamenti climatici basata su ensembles disimulazioni da modelli accoppiati Atmosfera-Oceano,
• sviluppo ed applicazione di un sistema dimodellizzazione climatico (RegCM) per l’appli-cazione alla simulazione dei mutamenti clima-tici regionali.
• variabilità interna, decadale e multi-decadale,del Mar Mediterraneo.
Il settore degli studi è presente con una serie d’i-niziative che si concentrano principalmente sullostudio degli effetti delle variazioni di livello mari-no come conseguenza dei cambiamenti climatici,di particolare interesse per le zone umide costiere.
La modellistica numerica degli ecosistemi ha fattograndi progressi negli ultimi anni in Italia ed inparticolare è utile menzionare lo sviluppo di unmodello del sistema ecologico marino nell’areamediterranea al fine di valutare l’impatto dei cam-biamenti climatici causati dall’aumento dei gasserra nell’ecosistema del Mar Adriatico.
L’Italia è attiva in quest’area con progetti interna-zionali di ricerca per la ricostruzione della storiadella desertificazione nel Mediterraneo attraversol’analisi di dati proxy al fine di ricostruire l’evolu-zione temporale ed i meccanismi della desertifica-zione nel Mediterraneo. Sono anche attive ricer-che per lo studio di come si possa rispondere alladesertificazione e di spiegare strategie di rispostae mitigazione per la gestione delle risorse idrichee agricole in situazione d’aumentato stressambientale, sociale ed economico.
L’Italia continua a mantenere un’intensa parteci-pazione ai Programmi Quadro della CommissioneEuropea, in particolare quello di “Environment”. Igruppi italiani hanno avuto un discreto successonel vincere le gare di finanziamento europee.
1. Executive summary
12 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
INFORMAZIONE, FORMAZIONE E PAR-TECIPAZIONE
Nel Capitolo 9 vengono esplicitate le differenti azio-ni svolte in questo settore dalle istituzioni pubblichee da quelle private.
Il documento di riferimento per queste azioni è rap-presentato dalla Delibera CIPE n. 218/99 del21/12/1999, che ha come oggetto la definizione diun piano per l’informazione ambientale nel campodei cambiamenti climatici. Tra le attività previstedalla Delibera sono incluse:
• la presentazione e la diffusione dei principali
documenti dell’IPCC e della Convenzione qua-dro sui cambiamenti climatici, insieme ai docu-menti e ai piani e programmi nazionali italianiper l’attuazione della Convenzione quadro suicambiamenti climatici e del Protocollo di Kyoto;
• la diffusione delle informazioni scientificheriguardanti la vulnerabilità dell’Italia rispettoagli scenari climatici futuri;
• la diffusione delle informazioni relative all’effi-cienza energetica dei processi industriali e deiprodotti e negli usi finali;
• la promozione di programmi di informazionelocale finalizzati alla diffusione delle miglioripratiche e tecniche di risparmio energeticodegli Enti locali.
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 13
2. Specificità nazionali
Capitolo
2.1 STRUTTURA DEL GOVERNO
2.1.1 INTRODUZIONE: LE COMPETENZE DEGLIORGANI COSTITUZIONALI RESPONSABILI DELL’ATTUAZIONE DEL PROTOCOLLO DI KYOTO
La Costituzione Italiana stabilisce che l’Italia è unarepubblica parlamentare bicamerale; gli organi di rile-vanza costituzionale sono il Parlamento, il Governo, ilPresidente della Repubblica, la Corte Costituzionale eil Consiglio di Stato. Sostanzialmente è affidata alGoverno la funzione di definire e tradurre in pro-grammi d’azione l’indirizzo politico espresso dal corpoelettorale e dal Parlamento.Fanno parte del Governo un numero non predetermi-nato di Ministri che sono posti a capo dei singoli dica-steri o di determinati apparati amministrativi.Le funzioni del Governo possono essere cosi ripartite:
• funzioni politiche: partecipa all’indirizzo politicodel Paese nell’ambito dell’indirizzo costituito dallamaggioranza parlamentare
• funzioni legislative: può emanare norme giuridi-che mediante atti aventi forza di legge ex art. 76e 77 della Costituzione
• funzioni esecutive: è al vertice del potere esecuti-vo e ai singoli ministeri fanno capo tutti i settoriamministrativi dello Stato
L’attuazione del Protocollo di Kyoto sarà quindi dicompetenza del Governo, sotto la supervisione delParlamento e nello specifico della competenteCommissione Ambiente in entrambi i rami delParlamento.Il Ministero maggiormente coinvolto nell’attuazionedelle disposizioni del Protocollo di Kyoto è senz’al-tro il Ministero dell’Ambiente e della Tutela delTerritorio.
L’organizzazione delle competenze del Ministerodell’Ambiente è stata inizialmente disposta dallalegge 349/1986, con la quale per la prima volta si èriconosciuta l’autonomia della materia ambientalerispetto alle altre materie di competenza statale eregionale, delimitandola in modo specifico rispettoalle discipline relative all’urbanistica, al territorio, ealla sanità. Attualmente il D.lgs. n. 300/1999 haattuato la riforma dell’organizzazione del governo anorma dell’articolo 11 della legge 15 marzo 1997,n. 59. L’articolo 35 del decreto legislativo istituisceil Ministero dell’Ambiente e della Tutela delTerritorio, al quale competono in particolare le fun-zioni ed i compiti statali in materia di:
• promozione di politiche di sviluppo sostenibilenazionali e internazionali;
• valutazione d’impatto ambientale, prevenzione eprotezione dall’inquinamento atmosferico, acusti-co ed elettromagnetico e dai rischi industriali,oltre alla gestione dei rifiuti e agli interventi dibonifica , riduzione dei fattori di rischio;
• assetto del territorio, tutela della biodiversità,della fauna e della flora, difesa del suolo;
• gestione e tutela delle risorse idriche, prevenzionee protezione dall’inquinamento idrico, difesa delmare e dell’ambiente costiero.
In sostanza, alla tradizionale funzione di protezionedell’ecosistema, anche attraverso la definizione dimodelli di sviluppo sostenibile, si affiancano nuovicompiti di pianificazione ai fini di tutela ambientale.Per quanto riguarda la politica energetica naziona-le, spetta al Ministero delle Attività Produttive ilcompito di determinare gli indirizzi di carattere set-toriale, sulla base delle linee generali definite dalGoverno nella sua collegialità e dal Parlamento. Lalegge 14 novembre 1995, n. 481 ha istituitol’Autorità per l’energia elettrica ed il gas, determi-
A cura di: Paolo Cecchetti (Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio) e Domenico Gaudioso (APAT) per §§ 2.1.1e 2.1.2; Emidio D’Angelo (ENEA) per § 2.1.3; Giulia Iorio (ENEA) per §§ 2.2, 2.3, 2.4, 2.4.3; Giovanni Perrella (ENEA) per§§ 2.4.4, 2.5.4; Mario Contaldi (APAT) per §§ 2.4.1, 2.4.2, 2.5.1, 2.5.2, 2.5.3; Franco Miglietta (IBIMET-CNR) per § 2.4.5;Sandro Federici e Roberta Quaratino (Università della Tuscia), Piermaria Corona (Università di Firenze), Antonio Macrì(ISTAT), Franco Cozza e Lorenza Colletti (Ministero dell’Agricoltura e delle Politiche Forestali) per § 2.4.6; Pasquale DeStefanis (ENEA) per § 2.4.7.
2. Specificità nazionali
14 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
nandone le attribuzioni. All’Autorità, alla qualeviene attribuita piena autonomia ed indipendenzadi giudizio e di valutazione, sono conferite sia fun-zioni di governo del comparto di natura prettamen-te amministrativa, sia funzioni di garanzia di carat-tere paragiurisdizionale ed arbitrale. L’Autorità,oltre a dover adottare le misure necessarie al fun-zionamento del mercato e a regolare il settore dicompetenza, è tenuta a svolgere una funzione con-sultiva nei confronti del Governo e del Parlamento.
2.1.2 IL NUOVO RUOLO DI REGIONI ED ENTI LOCALI
La Repubblica Italiana è una ed indivisibile, alloscopo di promuovere le autonomie locali “è artico-lata in 20 regioni di cui 5 ad autonomia speciale e15 ad autonomia ordinaria”. L’Italia costituisce unesempio di Stato Regionale, cioè di una forma diStato in cui accanto all’ente pubblico sovrano,coesistono altri enti territoriali, dotati di personalitàgiuridica esclusivamente interna e di un certo gradodi autonomia legislativa e amministrativa. Gli Entiterritoriali in cui è suddiviso lo Stato italiano sono,oltre alle Regioni, le Province e i Comuni. Soltantole Regioni però sono enti costituzionali in quantodotate di autonomia di indirizzo politico e fannoparte della struttura costituzionale dello Stato.L’articolo 115 stabilisce che le regioni sono entiautonomi con poteri funzionali nell’ambito dei prin-cipi fissati dalla Costituzione. Tali disposizioni, coor-dinate con l’art.5 per il quale la Repubblica una edindivisibile riconosce e promuove le autonomie loca-li, contengono l’attribuzione alle Regioni della qua-lifica di enti autonomi territoriali che perseguonofini generali e quindi politici dotati di ampi poterima soggetti a limiti e controlli statali.In attuazione delle norme costituzionali e sulla basedella legge 59/97, il Governo ha emanato il decretolegislativo 31 marzo 1998, n.112, che modifica la pre-cedente normativa prevedendo uno spostamento dicompetenze a favore delle Regioni e degli enti auto-nomi territoriali. La tendenza più recente sembraorientata a spostare verso le Regioni le competenzegestite una volta a livello del Ministero dell’Ambientecentrale al fine di raggiungere l’obiettivo del federali-smo amministrativo, anche se nel campo ambientalela gran parte delle competenze è rimasta gestita dalpotere centrale del governo. L’unica amputazione dirilievo nelle competenze statali è stata la potestà dipianificazione: sono stati infatti soppressi tutti i pianinazionali, confermando solo quello relativo alla difesadel mare e delle coste dall’inquinamento il piano perla depurazione delle acque reflue ed i piani di bacinoidrografico nazionale.Anche in un contesto di passaggio di funzioni limi-tato come quello avvenuto nel campo ambientale,
l’attuazione legislativa del D.L. 112/98 è stata per leRegioni l’occasione per ricomporre in un quadrounitario le proprie competenze, quelle delleProvince, dei Comuni singoli e associati, delleComunità Montane, stabilendo alcuni principicomuni all’intero assetto, ovvero a comparti tra lorointerconnessi, tra i quali l’ambiente e l’energia. Inquesto scenario molte Regioni, utilizzando i vigentiordinamenti giuridici, hanno ridisegnato l’assettoordinamentale al loro interno riservando:
• alle Province l’intero sistema pianificatorio nelcampo ambientale ed energetico, sul presuppo-sto che i piani provinciali di coordinamento terri-toriale, previsti dall’allora vigente legge 142, raf-forzati dalla previsione dell’art. 57 del D.lgs112/98, sono deputati alla tutela delle risorseambientali e alla valorizzazione delle risorseenergetiche; ad esse, di conseguenza, è riserva-to il sistema autorizzatorio complessivo per tuttele attività produttive e terziarie;
• ai Comuni l’intera competenza nel campo deiservizi ai cittadini e delle iniziative a livello comu-nale, agganciando agli strumenti urbanisticicomunali le scelte di assetto di tutela ambienta-le ed energetica (zonizzazione acustica, inter-venti di risanamento, di teleriscaldamento,risparmio energetico);
• alle Regioni il ruolo di concertazione con lo Statodelle scelte di fondo, di indirizzo normativo eamministrativo, di programmazione strategica,coordinata con gli enti locali, inoltre confrontatacon le forze economiche, sociali, scientifiche,ambientali del territorio, la definizione di obietti-vi di qualità e la verifica dei risultati.
In generale si nota, da parte di tutte le regioni unadiffusa attuazione di deleghe di funzioni agli entilocali sottostanti soprattutto Province in applicazio-ne del principio di sussidiarietà e del principio dimantenimento all’ente regione delle funzioni diindirizzo e coordinamento e del trasferimento dellefunzioni di programmazione e gestione al livelloamministrativo sottostante. L’incrocio tra pianifica-zione ed attività amministrativa in capo agli entilocali consente, infatti, di raccordare le scelteambientali ed energetiche con quelle degli altri set-tori, realizzando in concreto gli obiettivi di svilupposostenibile. Un obiettivo raggiunto è quello dellasemplificazione sostanziale e della accelerazionedelle procedure, garantendo per una medesimaattività l’individuazione della competenza in capoad un unico Ente. L’assetto realizzato nella sederegionale consente a ciascun Ente la visione com-plessiva sui problemi del proprio territorio e suglieffetti della singola attività. In tal modo, la logicadella semplificazione per procedimenti, che hadeterminato di fatto il consolidamento delle com-
2. Specificità nazionali
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 15
CONFERENZA DEI PRESIDENTI DELLE REGIONI E DELLE PROVINCE AUTONOME
Protocollo d’intesa della conferenza dei Presidenti delle regioni e delle Province autonome per il coodinamento delle politiche finalizzate
alla riduzione delle emissioni dei gas serra nell’atmosfera
Le Regioni e le Province Autonome dato atto:
• che le proprie azioni in essere, tese alla protezione dell’ambiente, della salute e della qualità della vitadelle popolazioni dei propri territori, sono state, tra l’altro, rivolte al contenimento dell’inquinamen-to atmosferico;
• che ai sensi dell’art. 69 del D.lgs 112/98 le funzioni relative alla produzione delle tecnologie pulite edi politiche di sviluppo sostenibile sono concorrenti con quelle dello Stato;
• che appare necessario pervenire alla riduzione dei gas serra, così contribuendo all’impegno assuntodallo Stato Italiano nell’ambito degli obblighi della UE stabiliti dagli accordi internazionali e consa-crato con delibera CIPE 137/98 del 19.11.98;
• che tale obiettivo è stato peraltro perseguito con politiche e azioni diversificate in relazione alle sin-gole realtà territoriali in particolare nel campo dell’energia, competenza generalizzata in capo alleRegioni e alle Province autonome;
• considerata peraltro la necessità di concordare impegni unitari su alcune fondamentali esigenze, alfine di rendere più efficace l’azione complessiva derivante da una sinergia condivisa;
• sottolineato che tali impegni possono risultare più significativi ove le azioni a livello nazionale, cheincidono direttamente su quelle comunitarie, vengano a loro volta concordate con le Regioni e leProvince autonome, imprescindibile tramite di collegamento con le iniziative avviate dagli Enti Localie dalle realtà socio-economiche del proprio territorio;
• dato atto che il principio di integrazione delle politiche e dei soggetti è alla base della strategia di svi-luppo sostenibile più volte riaffermata dalla UE;
• consapevoli che le politiche di innovazione tecnologica svolgono un ruolo decisivo nella sostenibilità;
si impegnano a garantire:
• l’orientamento delle diverse politiche alla riduzione, quanto più possibile, dei gas serra;
• il coordinamento degli interventi e dei finanziamenti sia statali sia locali per il prioritario obiettivo dellasostenibilità;
• l’individuazione, nell’ambito dei Piani di Tutela e Risanamento della Qualità dell’aria, delle strategieottimali per la riduzione dei gas serra;
• l’elaborazione entro l’anno 2002 di un Piano Energetico Ambientale, sulla base dei singoli bilancienergetici che privilegi:
• le fonti rinnovabili e l’innovazione tecnologica;
• la razionalizzazione della produzione elettrica;
• la razionalizzazione dei consumi energetici, con particolare riguardo al settore civile anche attraver-so l’introduzione della Certificazione Energetica;
• il raccordo dei diversi settori di programmazione ai fini della sostenibilità complessiva;
• la valorizzazione del ruolo delle politiche di sostegno dell’innovazione tecnologica nonché degli stru-menti macroeconomici fiscali, tariffari ed incentivanti;
• la promozione nel settore produttivo dell’ecoefficienza e della cooperazione internazionale.
Torino, 5 giugno 2001
2. Specificità nazionali
16 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
petenze a livello centrale, è stata superata renden-do possibile la ricomposizione delle funzioni cheispirava la legge 59/97.Appare evidente come la potestà legislativa delleRegioni abbia contribuito alla modernizzazione delPaese, offrendo anche la ricchezza delle idee e delleproposte provenienti dalla propria società civile e glielementi di approfondimento derivanti dalle pecu-liarità del proprio territorio. Proprio in conformità, atali presupposti la Conferenza dei Presidenti hapotuto approvare il Protocollo d’Intesa di Torino, sulraggiungimento degli obiettivi di riduzione dei gas
climalteranti, contribuendo così a garantire l’impe-gno assunto dallo Stato Italiano nell’ambito degliobblighi dell’Unione Europea e degli accordi inter-nazionali. Tale obiettivo, consacrato nell’accordo diTorino, era già stato perseguito da molte Regioni,proprio in virtù di un assetto legislativo e program-matorio volto all’integrazione delle politiche, allaprevisione di un piano energetico ambientale, allasviluppo dell’ innovazione tecnologica e dellacooperazione internazionale delle imprese, alla col-laborazione con gli Enti e le Autorità di garanzianazionali, al coinvolgimento del mondo tecnico
Principali fonti normative sul decentramento in campo energetico
Legge 308/82: opera un parziale decentramento di funzioni decisionali e gestionali in merito all’attribu-zione di incentivi al risparmio energetico e alle fonti rinnovabili.
Legge 10/91: ha assegnato compiti più decisionali alle Regioni, le quali hanno (in misure diverse) ampia-mente delegato alle Province. La Legge prevede anche la preparazione dei Piani Energetici Regionali(art.5).
Legge 59/98: prevede anche il trasferimento alle Regioni ed agli Enti locali delle risorse necessarie a con-durre e gestire la politica energetica.
Decreto legislativo 112/98: conferisce funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni ed agliEnti locali. Nel decreto, la regione viene intesa come “destinatario provvisorio” delle funzioni ad essa tra-sferite, in quanto essa deve determinare con legge regionale le funzioni amministrative che restano disua competenza, provvedendo contestualmente a conferire tutte le altre agli Enti locali e talvolta alleautonomie funzionali (quali Camere di Commercio, ARPA).
Decreto legislativo 96/99: stabilisce una ripartizione delle funzioni amministrative tra Regioni ed Entilocali, valida fino all’entrata in vigore di ciascuna legge regionale.
Prospetto delle competenze delle Amministrazioni dello Stato, delle Regioni e degli Enti Locali
Competenze dello Stato
• Funzioni amministrative concernenti la ricerca, la vigilanza sull’ENEA, l’importazione, esportazione estoccaggio di energia, la ricerca degli idrocarburi e la loro coltivazione in mare.
• Costruzione ed esercizio di impianti di produzione di energia elettrica di potenza superiore a 300 MWtermici.
• Definizione degli obiettivi e dei programmi nazionali in materia di fonti rinnovabili e di risparmio ener-getico.
• Promozione di accordi volontari nel quadro di obiettivi strategici per il paese (tale funzione è stataespletata in occasione dell’attuazione della delibera CIPE del 19 novembre 1998 per la riduzione deigas serra e della firma del Patto per l’Energia e l’Ambiente, riferimento per una serie successiva diaccordi settoriali e territoriali).
• Funzioni concernenti il territorio, con particolare riferimento all’osservazione e al monitoraggio dellesue trasformazioni, ai criteri relativi alla raccolta ed alla informatizzazione del materiale cartografico,alla predisposizione di normative tecniche, alla promozione di programmi innovativi.
• Funzioni concernenti l’ambiente, con particolare riferimento al recepimento di convenzioni interna-zionali e direttive comunitarie, alla conservazione di aree protette ed alla tutela della biodiversità, alleazioni relative all’ambiente marino, alle valutazioni di impatto ambientale.
2. Specificità nazionali
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 17
scientifico, ivi compreso quello delle proprie agenziee del sistema d’agenzia nazionale, del mondo pro-duttivo, delle associazioni ambientaliste e dei citta-dini. Infatti, solo una sinergia tra Regioni e Stato,strettamente connessa ad una sinergia all’internodel territorio regionale, può garantire la concretaattuazione delle scelte fondamentale, delle strategie
e degli impegni internazionali assunti dal nostroStato.
2.1.3 LE LEGGI DI RECEPIMENTO DEL DL 112/98
Le Regioni a statuto ordinario hanno provveduto(ad eccezione di Campania e Calabria per le quali
Competenze delle Regioni
• Predisposizione dei Piani Energetici Regionali.• Funzioni amministrative in tema di energia, ivi comprese quelle relative alle fonti rinnovabili, all’e-
nergia nucleare, al petrolio ed al gas.• Pianificazione territoriale e settoriale (Piano Regionale di Sviluppo, Piani di settore-rifiuti, energia,
acque, sanità, infrastrutture – Piano Integrato Territoriale).• Programmi di incentivazione e sostegno allo sviluppo socio-economico ed ambientale della regione
(Fondi strutturali 2001-2006, incentivazione della competitività delle piccole e medie imprese, fondi“Carbon Tax”, 1% accise benzine, ecc.).
• Normativa (di indirizzo e coordinamento degli Enti locali per le funzioni loro delegate, attuativa dileggi nazionali, standard di qualità per livelli di inquinamento ambientale in aree critiche, livelli di pre-stazione servizi, sistemi e impianti, specifiche tecniche, qualificazioni tecnologiche, ecc.).
• Sistema informativo regionale e compatibilità con il sistema informativo e statistico nazionale.• Sistema di monitoraggio regionale e sistemi a rete (v. Alta tecnologia).• Responsabilità attiva e diretta nei confronti delle politiche e degli indirizzi della UE (in particolare nei
processi di riequilibrio/risanamento di aree svantaggiate e in ritardo di sviluppo e nella tutela/valoriz-zazione di aree di pregio ambientale).
• Coordinamento patti territoriali ed in generale della programmazione negoziata.
Competenze delle Province
• Attuazione (con programmazione di interventi) della pianificazione territoriale e settoriale della regio-ne a livello provinciale.
• Stesura del Piano Territoriale di Coordinamento (legge 142/90) per la regolamentazione e l’indirizzodell’attività amministrativa dei Comuni in certi settori e per materie di interesse intercomunale.
• Numerose funzioni di carattere tecnico-amministrativo e gestionale già delegati dalla regione o in tra-sferimento in attuazione del decreto legislativo 112/98 (v. autorizzazioni di impianti per la produzio-ne di energia fino a 300 MW termici); settori di competenza:
• inquinamento atmosferico, rifiuti, acque, scuole secondarie.• Valorizzazione delle risorse idriche ed energetiche, programmazione interventi risparmio energetico
e promozione fonti rinnovabili di energia.• Banche dati (aria, acqua, rifiuti, ecc.) compatibili con il sistema informativo regionale.• Controlli impianti termici nei comuni<40.000 abitanti.
Competenze dei Comuni
• Amministrazione e gestione dei servizi ai cittadini (rifiuti solidi urbani, trasporti, illuminazione pubbli-ca, ecc.).
• Destinazione urbanistica aree cittadine, autorizzazioni e concessioni per attività produttive (v. anchesportello unico), Regolamento edilizio.
• Piano Energetico Comunale (legge 10/91, art. 5 ultimo comma).• Piano Urbano del Traffico, zonizzazione rumore, ecc.• Controlli di impianti termici (>40.000 ab.), sicurezza impianti legge 46/90.• Monitoraggio dell’ambiente cittadino.• Eventuale adesione all’Agenda XXI.• Rapporti con le Aziende municipalizzate.
2. Specificità nazionali
18 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
Industr ia Energia Tutela ambientale ABRUZZO L.R.11/99 L.R.57/00 L.R.110/00
Funzioni regionali svolte con coordinamento Agenzia
promozione attività produttive
Alle Province la certificazione energetica degli edifici e la formazione attività 412/93
Il PTCP ha valore di Piano di tutela. Alla Provincia il VIA per le opere all. B. del DPR 12-04-96
BASILICATA L.R.7/99
Sportello regionale per l e attività produttive (art.16). Tu la com p etenza regionale
Le Province osservano le indicazioni del PER, abilitano alla conduzione degli impianti termici e corsi di formazione.
Province petenti u inquinamento osferico, acque e più rifiuti. ARPAB a supporto per regione ed EE.LL.
E. ROMAGNA L.R.3/99
A Province il coordinamento della rete deglisportelli unici. La Regione realizza azioni percapitalizzazione delle PMI.
La Regione adotta il PER e sostiene gli innovativi. Convenzione con ENEA . lle Province l’autorizzazione alle reti di trasporto. Ai Comuni la riqualificazion energetica urbana e il teleriscaldamento
Programma regionale tutela ambiente (art.99). Piano regionale tutela delle acque. Direttive regionali per la gestione unitaria dei rifiuti.
LAZIO L.R.14/99
La Regione mantiene la gestione delle agevolazioni di qualsiasi genere all’industria. Disciplina interventi sostegno alle imprese (art.8 5).
Alla Regione diagnosi energetiche, studi fattibilità, progetti e impianti idro. Alle Province contributi art.8, 10 e 13 .10/91 erifica di compatibilità ei piani comunali. Ai Comuni la certificazione energetica degli edifici.
La Regione esercita le funzioni di VIA attraverso l’ARPA. A Provincia autorizzazioni agli scarichi, il rilevamento elle acque, l’adozione dei piani di intervento.
LIGURIA L.R.3/99, L.R.5/99 L.R.9/99, L.R.18/99 L.R.6/00 L.R.29/00 L.R.39/00
L.R.9/99 La Regione riconosce ambiti di prioritario interesse i sistemi produttivi locali, approva un piano di interventi in aree industriali avvalendosi della Finanziaria regionale. tegrazione sportelli unici progetto “Liguria in rete”
L.R. 18/99 Titolo IV. Progetto di trasformazione dell’Agenzia reg ionale in struttura ocietaria. e Province individuano le aree per il teleriscaldamento e quelle non id onee alla derivazione di acqua per fini energetici. Ai Comuni la certificazione energetica degli edifici.
L.R. 18/99 La Regione adotta i principi dello sviluppo sostenibile (art.11 Agenda 21). Autorizzazione unica ambientale (art.19). Articolata definizione di competenze e procedure nel settore dei rifiuti (art. da 21 a 50).
LOMBARDIA L.R. 1/00
Attuazione della programmazione negoziata tramite i contratti di sviluppo
Il PER è lo strumento di attuazione della politica energetica ionale. La Regione promuove l’uso del finanziamento tramite terzi e la creazione di agenzie locali per l’energia. e Province definiscono i programmi di intervento e i criteri per il finanziamento
Centralità el iano Territoriale di Coordinamento provinciale come indirizzo strategico di assetto del territorio a livello sovracomunale.
MARCHE L.R. 10/99 L.R. 12/99
Contributi ai Comuni per l’attivazione degli sportelli unici (art.36). Piano regionale per le attiv ità industriali (art.21).
Ai Comuni la certificazione energetica degli edifici e la concessione dei contributi per risparmio energetico.
Alla Regione le funzioni di coordinamento derivanti dalla soppressione del Piano di risanamento del mare Adriatico. Alle Province l’inquinamento atmosferico.
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Prospetto delle regionali di recepimento del D.L. 112/98
2. Specificità nazionali
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 19
MOLISE L.R.34/99
Alle P rovince vengono attribuite funzioni di programmazione e con trollo nell’ambito delle rinnovabili. Programmazione energetica, a livello regionale, sulla base di accordi e convenzioni con l’ENEA.
Articolazione di poteri tra Regione, Province e Comuni, relativamente all’inquinamento de acque, acustico, sferico elettromagnetico.
Alle
PIEMONTE L.R.44/00
Alla Regione la concessione deg incentivi, l'individuazio- ne dei sistemiduttivi cali. Osservatorio regionale settori produttivi industriali. Lo sportello unico strumento di promozione del sistema produttivo locale
I Comuni possono promuovere l’istituzione di agenzie locali per l’energia raccordate con l’ARPA. Alle Province le autorizzazion compresidepositi e lavorazione oli.
Alle Province i rif iuti e l’inquinamento dell’aria e delle acque. L’ARPA dà il supporto tecnico-scientifico ed esegue il monitoraggio delle risorse ambientali.
PUGLIA L.R.17/99 (ambiente) L.R.19/99 (energia) L.R.24/99 (industria) L.R.25/99 (territorio)
La regione destina per le attività relative all’energia la quota dell’1% delle accis e sulle benzine, svolge funzioni di coordinamento verso gli EE.LL per l’attuazione delDPR 412/93 e ne riferisce annualmente alla Conferenza unificata
La Regione fissa gli standard di qualità dell’aria, indirizza e coordina i sistemi di trollo, emana av-valendosi dell’ARPA di-rettive alle Province per le autorizzazioni e il con trollo delle emissioni, i Comuni ricevono le comunicazioni per attività ad inquinamento poco significativo.
TOSCANA L.R.85/98 L.R.87/98 L.R.88/98
L.R. 87/98 Possibilità di deleghe dalle province ai “circondari”. Disciplinata con legge la programmazione degli interventi. La Regione si riserva la concessione degli incentivi all’industria. Alle Province la formazione degli operatori
L.R. 88/98 Capo VII Alla Regione il PER, anche in relazione agli incentivi di cui agli artt. 11, 12, 13, 14 della L.10/91, concessioni netriche, le linee elettriche da 100 a 150 KV. Alle Province gli oleodotti e gasdotti, la coltivazione e lo stoccaggio di idrocarburi.
L. R. 88/98 La Regione serva i criteri generali, gli indirizzi, la verifica dei piani di isanamento, l’individuazio-
delle aree critiche Alle Province tutte le funzioni
non riservate alla Regione.
UMBRIA L.R.3/99
Alle Province tutte le lazion all’industriaanche se erivanti da interven-ti comuni tari. La Regione
i criteri per la sione dei contributi.
La Regione adotta il PER. La Region con corre alla stipula dell’A.d.P. DI CUI ALL’ART.30 DELLA L .9/91. Ai Comuni il contenimento dei consumi di energia (art. 33, 34 e 35 L.10/91). Alle Province i contributi art, 8, 10 e 13.
A Province l’inquina-mento dell’aria e delle acque avvalendosi del sup-
o ARPA. ll e Province anche la difesa del suolo e la valorizzazione delle ris orse idriche.
VENETO L.R.11/01
Alle Province la sione ed erogazione con-tributi in ed ilizia, il controllo sul rendimento energetico per i Comuni
30.000 abitanti e le funzioni
di poli ineraria in
geotermia. Ai Comuni la certificazione energetica degli edifici ed i controlli impianti termici q uando >30.000 abitanti.
Alla Regione il parere art.17 DPR 203/ per gli impianti 300 MW. Alle Province la decis ione dei ricorsi contro i dinieghi alle autorizzazioni comunali l’installazione degli impianti termici. La Regione approva entro 2 anni un testo unico di disciplina.
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2. Specificità nazionali
20 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
continua a valere il D.L.96/99 con potere sostitutivo)ad emanare le leggi di recepimento ed attuazionedel D.L. 112/98.In generale si nota da parte di tutte le Regioni unadiffusa attuazione di deleghe di funzioni agli EE.LL.sottostanti, soprattutto Province, in applicazione delprincipio di sussidiarietà e del principio del manteni-mento all’Ente Regione delle funzioni di indirizzo ecoordinamento e del trasferimento delle funzioni diprogrammazione e gestione al livello amministrativosottostante.
Decentramento EnergiaFunzioni trasferite:art.30 DL.112/98 (comma 1: funzioni amministrativein materia di energia ; comma 2: funzioni di cui agliart.12 e 14 – incentivi – e 30 certificazione energeti-ca)art. 34 DL. 112/98 miniere e risorse geotermicheart. 105 DL.112/98 concessioni esercizio impiantiautostradaliDpcm individuazione risorse 12 ottobre 2000 G.U.30/12/2000 s.o.224
Decentramento AmbienteFunzioni trasferite:art.70 lett.a) protezione e osservazione delle costeart.73 Interventi ambientali (in sostituzione pro-
gramma triennale soppresso)
art. 74 Disciplina delle aree a rischio di crisi ambien-tale
art.81 Acque superficialiart.84 Inquinamento atmosfericoDpcm individuazione risorse 12 ottobre 2000 G.U.30/12/2000 s.o. 224
Decentramento Incentivi alle impreseDpcm individuazione risorse 26/5/2000 G.U.28/6/2000Le Regioni provvedono alle incentivazioni ad esseconferite con legge regionale; in generale hannoistituito un Fondo regionale per l’industria perinterventi a sostegno delle imprese e sono impe-gnate nella definizione dei criteri e delle modalitàper la gestione unitaria delle infrastrutture e deiservizi per le aree ecologicamente attrezzate.In relazione alle funzioni di sportello unico per leattività produttive conferite ai Comuni, le Regioniprovvedono in via generale al Coordinamento deiservizi e dell’assistenza alle imprese in relazionealla localizzazione e autorizzazione degli impiantiproduttivi e alla creazione di aree industriali.Alcune Regioni hanno direttamente istituito unoSportello unico regionale per le attività produttive.Nella tabella 2.1.1 sono riportati i trasferimentifinanziari che annualmente si renderanno disponibi-li nei bilanci regionali relativamente ai settori del-l’ambiente, dell’energia e degli incentivi alle imprese.
REGIONE Carbon tax Energia 1% accisa benzine
Totale energia
Ambiente Incentivi P.M.I.
TOTALE
Va lle d’Aosta 2.281 1.185 3.465 6.026 2.814 12.305 Piemonte 12.269 4.766 7.041 24.075 66.537 118.724 209.336 L ombard ia 24.721 9.136 15.075 48.933 112.160 227.398 388.490 P.A. T rento 3.071 1.680 4.751 13.636 3.082 21.469 P.A . Bolzano 2.903 1.952 4.855 13.636 3.082 21.573 Veneto 12.777 4.293 7.833 24.903 63.907 133.732 222.542 Friuli V.G . 4.829 1.655 6.484 20.741 22.110 49.334 L iguri a 5.706 1.598 2.720 10.024 20.207 23.182 53.413 E . Romagna 12.960 2.918 7.530 23.408 60.302 109.880 193.590 T oscana 9.450 2.681 6.848 18.979 55.280 97.552 171.811 Umbria 3.762 1.353 1.377 6.491 17.318 20.636 44.445 Marche 4.602 1.359 2.350 8.311 24.695 43.684 76.690 La zio 10.530 3.041 9.307 22.878 60.314 48.776 131.968 Abruzzo 4..072 1.465 1.980 7.517 23.294 35.912 66.724 Molise 2.212 657 342 3.210 8.486 11.390 23.086 Campania 7.529 2.376 6.042 15.946 58.948 117.786 192.680 Puglia 9.851 2.652 4.760 17.263 49.104 85.224 151.591 Basilica ta 2.639 798 641 4.078 15.859 16.482 36.419 Calabria 3.824 1.277 2.368 7.469 27.975 40.736 76.179 Sicilia 9.555 2.742 12.297 63.444 89.780 165.521 Sardegna 5.458 1.574 7.031 32.808 88.038 127.877 Totale 155.000 51.155 46.265 252.420 814.675 1.340.000 2.437.044
F onte: Elaborazi one ENEA dai Dpcm di trasferimento di fondi dallo Stato alle R egioni
Tabella 2.1.1 - Previsione di traferimenti annuali previsti alle Regioni per energia,ambiente, incentivi alla PMI (milioni di lire)
2. Specificità nazionali
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 21
2.2 POPOLAZIONE
Dopo una fase di sviluppo demografico, che ha por-tato ad un raddoppio della popolazione residente in120 anni (ancora più forte se si considera il forteflusso emigratorio in vari periodi dell’ultimo secolo),la popolazione nazionale si è ora stabilizzata attor-no a 57 milioni. Tale situazione è il risultato dellastabilità del tasso di natalità, poco più di un figlioper donna, tra i più bassi in Europa, e del saldomigratorio, attestatosi intorno alle 100.000 unità. Ilprocesso di invecchiamento della popolazione italia-na si è ulteriormente accentuato: al 1° gennaio2001 l’indice di vecchiaia era del 127%. L’Italiaoccupa una posizione di vertice assoluto nell’ambi-to dei paesi europei: al 1° gennaio 2001, ultimoanno disponibile per un confronto, l’indice di vec-chiaia era del 127% contro una media del 96% trai paesi dell’Unione Europea. Tanti fattori contribui-scono ad acuire il processo di invecchiamento dellapopolazione. Da un lato, la fecondità a livelli ridotti(intorno a 1,2 figli per donna) continua ad aggrava-re gli squilibri della struttura per età impoverendo leclassi di età giovanili e producendo un invecchia-mento “dal basso” nella piramide della popolazio-ne. Ad essa si accompagna la crescita della popola-zione in età anziana, determinata dall’aumentodella sopravvivenza che, permettendo ad un nume-ro sempre maggiore di individui di raggiungere leetà estreme della vita, produce un invecchiamentodall’alto”. Va detto che a contenere gli effetti del-l’invecchiamento della popolazione ha in piccolaparte contribuito negli ultimi anni l’apporto positivodelle migrazioni con l’estero, anche se non in misu-ra tale ad evitare lo sbilanciamento progressivo delrapporto anziani-giovani. È anche importante rileva-re che i “molto anziani”, cioè le persone con 80anni e oltre, hanno raggiunto un peso considerevo-
le, e crescente, nella popolazione.La crescita della popolazione, anche se lieve, rispet-to all’anno precedente si deve all’immigrazione:la popolazione straniera residente (circa 1,3 milioni)sta cambiando la sua fisionomia:è iscritta all’ana-grafe con veri e propri nuclei familiari estesi.Della crescita delle emissioni nazionali di gas serranegli ultimi 40 anni solo una piccola parte è attri-buibile alla dinamica demografica. In questa situa-zione la pressione del fattore demografico sulleemissioni nazionali di gas serra tende ad azzerarsi.In prospettiva la stabilità della popolazione divente-rà un fattore capace di contribuire alla riduzionedelle emissioni nazionali. Anche una eventuale fortedinamica immigratoria non sembra in grado di farcrescere la popolazione residente e quindi crearepressioni sulle emissioni.Una certa influenza sulle emissioni pro-capite puòessere dovuta dalla “qualità” della popolazione.Per esempio, dal tasso di urbanizzazione (Tabella2.2.1) e dalla sua distribuzione fra zone calde efredde dipende la domanda di mobilità per lavoro estudio e la domanda di riscaldamento di ambienti,fattori entrambi che modificano le emissioni pro-capite di gas serra. Il progressivo invecchiamentodella popolazione da un lato provoca una diminu-zione della domanda di mobilità, dall'altro pone lepremesse per un maggior fabbisogno di climatizza-zione, invernale ed estiva; con l’età avanzata cresceanche il fabbisogno di cure, che può comportare unaumento delle emissioni legate al consumo energe-tico. Anche la percentuale di immigrati extracomu-nitari non è neutra rispetto alle emissioni di gasserra. Nella fase iniziale dell’immigrazione, l’emis-sione media procapite si abbassa perché gli immi-grati hanno modelli di consumo meno intensivi inemissione di carbonio. Successivamente gli immi-grati, che vengono a sostituire i nativi in fasce di
Numero degli Nord-Centro Mezzogiorno Italia Cumulata Italia
abitanti Comuni Abitanti Co muni Abitanti Comuni Abitanti Comuni Abitanti
F ino a 5000 4.113 7.214.927 1.727 3.460.359 10.675.286 5.840 10.675.286 (18,5%)
5.001 -20.000 1.164 10.770.563 621 5.861.156 16.631.719 7.625 27.307.005 (47,3%)
20.001 -50.000 189 5.757.209 146 4.397.902 10.155.111 7.960 37.462.116 (64,9%)
50.001 -100.000 49 3.409.516 50 3.321.361 6.730.877 8.059 44.192.993 (76,6%)
100.001- 20 2.883.374 1.213.486 4.096.860 8.087 48.289.853 (83,7%)
250.000- 4 1.290.396 928.866 2.219.262 8.094 50.509.115 (87,6%)
ol tre 500.000 4 5.484.367 2 1.686.413 7.170.780 57.679.895 (100,0%)
T OT A L E 5.543 36.810.352 2.557 20.869.543 8.100 57.679.895 - ---
5.840
500.000
250.000
1.785
335
99
28
7
6 8.100
8
3
Tabella 2.2.1 - Comuni e popolazione per classi di ampiezza demografica al 31-12-1999
Fonte: ISTAT
2. Specificità nazionali
22 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
impiego meno remunerative, assumono le modalitàdi consumo endogene che di solito portano ademissioni maggiori di quelle prevalenti nei paesi diorigine. D’altra parte l’immigrazione ha l’effetto diridurre le “perdite di carbonio” dai paesi sviluppatiagli altri, rallentando se non bloccando lo sposta-mento delle attività industriali a maggior intensità dicarbonio al di fuori del paese.
2.2.1 ABITAZIONI
Il numero di abitazioni in Italia nel periodo 1990-1998 è riportato in Tabella 2.3.2. I valori relativi al
1991 sono quelli del censimento del 1991, gli altrivalori sono stimati. Il numero delle abitazioni nel1998 era di 27.930.000, con un incremento del11,9% rispetto al 1990 (+8,6% delle abitazionioccupate). La proporzione abitazioni occupate-nonoccupate si mantiene stabile così come la propor-zione abitazioni monofamiliari-plurifamiliari. La pro-porzioni di abitazioni riscaldate sul totale delle abi-tazioni occupate è praticamente rimasto invariato(circa 89%), ma si è accentuata la tendenza al ricor-so al impianto autonomo (+33,1%) a scapito diquello centralizzato (-15,8%) e di quello singolo(4,5%) (vedi Figura 2.3.1).
1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 Abitazioni 24.961 25.185 25.401 25.599 25.798 25.971 26.262 27.405 27.930 Abitazioni occupate 19.670 19.809 19.946 20.068 20.224 20.360 20.930 21.143 21.356 - monofamiliari 5.507 5.546 5.585 5.599 5.699 5.743 5.798 5.825 5.934 - plurifamiliari 14.162 14.262 14.361 14.469 14.526 14.617 15.132 15.318 15.422 Abbitazioni occupate riscaldate 17.448 17.586 17.722 17.863 18.006 18.142 18.282 18.421 18.961 - monofamiliari 4.913 4.952 4.990 5.030 5.074 5.112 5.152 5.192 5.433 - plurifamiliari 12.535 12.634 12.732 12.833 12.932 13.030 13.130 13.229 13.528 - riscaldate con apparecchio singolo 4.229 3.919 3.902 3.913 3.924 3.934 3.917 3.973 4.040 - riscaldate con impianto autonomo 7.756 8.400 8.584 8.697 8.812 9.321 9.568 9.848 10.323 - riscaldate con impianto centralizzato 5.463 5.267 5.236 5.253 5.270 4.887 4.797 4.600 4.598 Abitazioni con acqua calda 23.662 24.178 24.512 24.857 25.165 25.334 25.622 26.792 27.525 - impianto ad energia elettrica 10.059 9.898 9.576 9.395 9.105 8.657 8.455 8.453 8.332 - impianto a gas narurale 9.909 10.628 11.354 11.980 12.646 13.367 13.964 14.657 15.324 - impianto ad altra fonte energetica 3.694 3.652 3.582 3.482 3.414 3.310 3.203 3.682 3.869 mq per abitazione 93,1 94,0 94,5 95,0 95,6 96,1 96,1 97,0 97,5 - mq per abitazione monofamiliare 108,2 109,3 109,3 109,3 109,8 110,1 110,4 110,8 111,1 - mq per abitazione plurifamiliare 87,2 88,1 88,5 89,0 89,6 90,0 90,0 90,8 91,3 Gradi giorno * 1.620 2.072 1.674 1.771 1.481 1.512 1.725 1.633 1.571 Gradi giorno normalizzati* 1.789 1.762 1.725 1.698 1.673 1.680 1.624 1.616 1.584
Fonte:Elaborazioni ENEA su dati ISTAT; *Fonte: Eurostat
Tabella 2.2.2 - Abitazioni: dati strutturali. I valori sono espressi in migliaia.
2. Specificità nazionali
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 23
Il parco edilizio residenziale nazionale consta diquasi 28 milioni di abitazioni, delle quali più di 21milioni occupate. Sono circa 3 milioni gli edificicostruiti negli anni 50, mentre superano i 5 milioniquelli costruiti negli anni 60. La quota di abitazioniin affitto non supera il 25%. L’edilizia pubblica rico-pre una quota del parco del 5-8%. L’informazionestatistica sulle abitazioni in Italia presenta numeroselacune: l’attendibilità del numero e della struttura èbuona in corrispondenza agli anni di censimento enegli anni immediatamente successivi, senza conta-re che l’informazione censuaria si rende disponibilecon notevole ritardo. Da sottolineare che mancanocompletamente alcune informazioni quali quelle
relative all’isolamento termico delle abitazioni.Il settore in cui viene utilizzata più energia è quellodel riscaldamento di ambienti: il consumo del setto-re residenziale rappresenta circa i due terzi del con-sumo energetico civile (residenziale e civile).Da un confronto con gli analoghi consumi di riscal-damento negli altri paesi europei, emerge che ilparco italiano degli edifici è assai meno coibentatodi quello degli altri paesi, tanto che le perdite termi-che per metro quadro risultano inferiori a quelle diFrancia, Germania, Svezia e Danimarca in valoreassoluto, anche se in Italia i gradi giorno di riscalda-mento sono molti di meno (SENSER, 1997). Anchelo spazio medio a disposizione degli abitanti è in
Figura 2.2.1 - Abitazioni occupate riscaldate per tipologia d’impianto - Anno 1998 (valori percentuali).
Abitazioni riscaldate conapparecchio singolo
21%
Abitazioni riscaldatecon impianto autonomo
54%
Abitazioni riscaldate conimpianto centralizzato
25%
100.000
200.000
300.000
400.000
500.000
600.000
700.000
800.000
900.000
1.000.000
90 91 92 93 94 95 96 97 98 99 00
,
Figura 2. 3.1 - Indicatori macroeconomici in Italia
PIL Valore Aggiunto industria Consumi privati
Abitazioni occupatenon riscaldate
11%
Abitazioni occupate riscaldate
89%
ME
CU
95
2. Specificità nazionali
24 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
Italia inferiore a quello di molti altri paesi sviluppati,con ampio margine di crescita.
2.3 ECONOMIA
2.3.1 QUADRO MACROECONOMICO
Il Prodotto Interno Lordo (PIL) pro-capite è il secondofattore di ordine generale che spiega l’andamento
delle emissioni di gas serra e la sua diversificazione frapaesi. Il PIL per abitante è al di sopra della mediaeuropea, ma comunque inferiore a quello diGermania, USA e Giappone (vedi Tabella 2.3.1).L’andamento dei principali indicatori macroeco-nomici, PIL, valore aggiunto dell’industria e con-sumi privati, sono riportati in Figura 2.3.1. Il tassodi crescita medio annua del PIL, nel periodo 1990-1999, è stato del 1,5%, in linea con gli altri sei
P aesi 1997 1998 1999 P aesi 1997 1998 1999 Austria 23.645 24.553 25.697 Norvegia 27.600 28.352 29.025 Belgio 23.765 23.529 24.672 Olanda 23.949 25.215 26.488 Danimarca 25.572 27.005 28.030 Portogallo 15.912 16.220 17.064 Finlandia 21.149 22.125 23.413 Spagna 17.024 18.014 19.045 Francia 21.123 22.059 23.068 Svezia 21.769 22.047 23.477 Germania 22.965 23.704 24.601 Svizzera 27.256 27.902 28.778 I rlanda 22.070 23.139 25.878 Gran Bretagna 21.831 22.459 23.286 Italia 21.727 23.124 23.937 USA 30.798 32.230 33.725 Lussemburgo 37.288 40.450 43.066 Giappone 25.374 24.474 24.934
21.313 22.195 23.163
Fonte: OCSE
UE
Tabella 2.3.1 - Prodotto Interno Lordo per abitante ai prezzi di mercato per alcuni Paesi. Valori a prezzi correnti a Parità di Potere d’Acquisto ($ USA)
P aesi 1995 1996 1998 Austria 4,2 3,7 4,5 5,3 4,3 Belgio 1,6 2,0 1,6 3,5 2,8 Danimarca 2,6 1,2 3,6 2,2 3,0 Finlandia 2,8 2,5 3,0 2,8 2,1 Francia 3,8 4,0 6,3 5,3 4,0 Germania 1,7 1,1 1,9 3,4 2,9 Grecia - 2,4 3,6 3,4 3,4 I rlanda 10,0 8,6 Italia 2,9 1,1 2,0 1,8 1,6 Lussemburgo - 2,7 7,4 5,0 7,5 Olanda 2,9 3,0 3,8 4,3 3,7 Por togallo - 3,5 3,8 3,5 3,0 Spagna - 2,4 3,9 4,3 4,0 Svez ia 3,7 1,1 2,1 3,6 4,5 Gran B retagna 2,9 2,6 3,4 3,0 2,1 UE - 1,6 2,5 2,7 2,5 USA 2,7 3,6 4,5 4,3 4,1 Giappone 1,6 3,5 1,8 -1,1 OCSE - 3,2 3,1 2,0 2,5
Fonte: OCSE
0,7
10,8
1997 1999
10,87,8
Tabella 2.3.2 - Prodotto Interno Lordo per alcuni Paesi.Variazione percentuale rispetto al periodo precedente
2. Specificità nazionali
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 25
principali paesi industrializzati (Tabella 2.3.2).Tale periodo si è caratterizzato per un anno di reces-sione, il 1993 (-0,9%), e due di bassa crescita nel1992 (+0,8%) e il 1996 (+1,1%). Nel 1994 e 1995,la crescita economica è stata molto alta, rispettiva-mente, il 2,2% e il 2,9%.Nel 1993, la recessione industriale è stata abbastan-za grave (-3,9%) e più ampia rispetto agli altri set-tori. Nell’anno di scarsa crescita, il 1996, c’è statoun ristagno industriale. Questo ristagno è statoseguito da una crescita nel 1998 (+1,8%) e nel1999 (+1,6%). Come risultato, il valore dell’attivitàindustriale (misurati dal valore aggiunto a prezzicostanti) è aumentato del 1,2% annuo nel periodo1990-2000.
In Italia il Prodotto Interno Lordo (PIL) ammonta nel1999 a circa 1.907 mila miliardi (in lire 1995) controi circa 1.787 mila miliardi del 1995 (vedi Tabelle2.3.3, 2.3.4).Nel 1999 l’agricoltura contribuisce alla formazionedel 3,0 per cento circa del valore aggiunto com-plessivo del paese, a fronte di una quota pari al 32,2per cento dell’industria e al 64,8 dei servizi (vediTabelle 2.3.5). Questi ultimi in particolare mostranouna dinamica superiore a quella dell’economia ingenerale (e spiegano in parte la riduzione dell’in-tensità carbonica del reddito nazionale negli ultimi
anni). Per l’industria sono le costruzioni a presenta-re la crescita maggiore, pur costituendo una quotapiuttosto ridotta del valore aggiunto complessivo(4,8%), per l’agricoltura si evidenzia, in contrappo-sizione agli altri due settori, un calo.
Il quadro internazionale si caratterizza per una note-vole instabilità e forti pressioni competitive, in talesituazione la quota di mercato dell’Italia si è ridottapassando dal 4,4% del 1998 al 3,9% del 1999. Labilancia commerciale italiana ha conseguito nel1999 un saldo attivo di 24.853 miliardi: la riduzionedelle esportazioni, -1,7%, è stata contrapposta allacrescita delle importazioni, +4,1%, determinandoun ridimensionamento del saldo commercialerispetto a quello dell’anno precedente (+47.399). Lariduzione delle esportazioni nel 1999 rispetto al1998 sembra avere carattere temporaneo in quan-to i dati preliminari relativi al 2000 evidenziano uncrescita delle esportazioni. I principali mercati disbocco delle esportazioni nazionali sono statil’Unione Europea (57,4%, in primis Germania,16,5%, e Francia, 13,0%), l’America settentrionale(10,4%, e in particolare gli Stati Uniti, 9,5%, versoi quali si è avuto un aumento). La struttura delleesportazioni è rimasta praticamente invariata rispet-to al 1998: la quota maggiore è rappresentata dallemacchine ed apparecchi meccanici (20,4%), segui-
Prezzi 1995 Numeri indici Miliardi di lire % Base 1995=100
PIL ai prezzi di mercato 1.894.407 79,7 112,3
I mportazioni di beni e servizi 481.801 20,3 98,2
TOTALE 2.376.208 100 109,5
Fonte: ISTAT
Tabella 2.3.3 - Risorse nazionali - Anno 1999
Anni
1995
in miliardi variaz ione % 1970 -
1980 -
1990 -
1995 -
1996 1,1
1997 1,8
1998 1,5
1999 1,4
Fonte: ISTAT
940.737
1.341.394
1.677.885 1.787.278
1.806.814
1.839.624
1.867.796 1.894.407
Lire /
Tabella 2.3.4 - Andamento del Prodotto Interno Lordo
2. Specificità nazionali
26 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
ta dai mezzi di trasporto (11,5%) e dell’industriatessile dell’abbigliamento (Tabella 2.3.6a).
Le importazioni di beni e servizi costituiscono nel1999 il 20,3% del totale delle risorse nazionali (aprezzi costanti 1999, vedi Tabella 2.3.3). Le impor-tazioni evidenziano una dinamica crescente, con un
rallentamento verificatesi nel 1999 (+3,3% contro il10,2% del 1997 e il +9,0% del 1998). Tale tenden-za è confermata anche per il 2000, anzi si assiste adun’accelerazione delle importazioni, particolarmen-te dei minerali energetici, derivante essenzialmentedall’andamento sfavorevole dei prezzi relativi. Learee di maggiore interesse sono l’Unione Europea
Rami e branche Numeri indici Valori assoluti % Base 1995=100
Agricoltura, silvicoltura e pesca 55.897 3,0 96,3 Industria 32,2 106,7 Prodotti energetici 115.906 6,2 102,4 Prodotti della trasformazione industriale 393.810 21,1 107,3 Costruzioni 4,8 109,4 Servizi 64,8 113,9 Commercio, alberghi e pubblici esercizi 304.870 16,4 109,1 Trasporti e comunicazioni 123.734 6,6 107,7 Credito e assicurazione 440.759 14,7 116,4 Locazione di fabbricati 165.900 8,9 - Servizi di Pubblica Amministrazione e difesa 94.193 5,1 119,6 Servizi vari 244.539 13,1 116,1 Valore aggiunto ai prezzi di mercato lordo 1.864.046 100,0 111,0 Attiv ità non destinabili alla vendita 225.364 12,1 119,8 Serv iz i bancari im putati (- ) 83.851 4,5 92,4 V alore aggiunto ai prezzi di mercato netto 1.780.195 95,5 111,9 IV e imposte indirette sulle importazioni 114.212 6,1 119,2 Prodotto interno lordo ai prezzi di mercato 1.894.407 101,6 112,3
Fonte: ISTAT
90.338
1.208.094
600.055
A
Tabella 2.3.5a - Composizione del valore aggiunto ai prezzi di mercato e Prodotto InternoLordo - Anno 1999. Valori a prezzi 1995.
Numeri indici Miliardi di lire % Base 1995=100
Consumi nazionali 1.467.941 61,1 112,6 -delle famiglie residenti 1.129.811 47,0 111,3 di cui: trasporti 146.306 6,1 109,7 -delle amministrazioni pubbliche 329.029 13,7 117,2 -sul territorio economico(a) 1.148.315 111,3 Investimenti fissi lordi 373.628 15,5 107,8 di cui: costruzioni 153.518 48,7 108,6
mezzi di trasporto 42.409 9,2 111,7 -investimenti fissi netti 103.777 4,3 107,8 -ammortamenti 11,2 107,8 Variazione delle scorte 28.393 1,2 - Esportaz ione di beni e servizi fob 532.798 22,2 101,9
2.402.760 100,0 109,4
Fonte : ST AT ; (a)Sono i consumi finali interni.
269.851
47,8
I
TOTALE
Tabella 2.3.5b - Impieghi - Anno 1999. Valori a prezzi 1995.
2. Specificità nazionali
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 27
(60,8%), l’Asia orientale (8,2%) e l’Europa centro-orientale (7,3%) (vedi Tabella 2.3.7). Le quote mag-giori delle importazioni hanno riguardato i mezzi ditrasporto (15,1%), gli apparecchi elettrici e di preci-sione (15,0%) e i prodotti chimici e fibre sinteticheed artificiali (13,6%) (Tabella 2.3.6b).Un’analisi delle varie merci importate ed esportatesegnala che l’intensità carbonica media dell’importè maggiore di quella dell’export. Anche se è neces-saria un’analisi più approfondita, si ritiene che il red-
dito nazionale comporti consumi di beni e servizicorrispondenti ad una intensità di emissione pro-capite di anidride carbonica maggiore di quellasegnalata dagli inventari nazionali.
2.3.2 OCCUPAZIONE
Il 1999 ha mostrato un sensibile incremento deilivelli occupazionali, grazie soprattutto alla nuova
1997 1,7 1,7 1,6 1,6 0,2 0,2 0,2 0,2 8,4 8,4 8,4 7,9 3,8 3,8 3,7 3,8
8,2 8,2 1,2 1,4 1,1 1,2
10,4 10,3 11,5 11,5 20,9 20,9 20,6 20,4 9,8 9,5 9,7 9,8 5,3 5,1 5,2 5,4
17,1 16,8 16,2 15,5
13,1 0,0 0,0 0,0 0,0
0,5 0,5 0,5 0,5
100,0 100,0 388.885 419.124
Fonte: ISTAT.
7,8
12,9
409.128
1999
8,9
13,3 13,1
1996 1998
100,0
426.183 100,0
1997 4,9 4,7 4,5 4,1 8,6 8,6 6,7 7,5
10,7 11,0 11,2 9,8 1,3 1,2 1,2 1,2
13,6 13,6 2,5 2,1 1,4 1,5
11,4 12,5 14,0 15,1 7,8 7,4 8,2 8,4
13,7 13,8 14,4 15,0 8,9 8,3 8,0 7,5 7,2 7,6 7,6 7,1
8,4 0,9 0,8 0,7 0,7 0,1 0,1 0,1 0,1
100,0 100,0
321.286 394.271
Fonte: ISTAT.
13,8
8,2
1999
8,1
13,6
8,4
357.587
1996 1998
100,0
378.783100,0
Tabella 2.3.6b - Importazioni italiane - composizioni percentuali
Tabella 2.3.6a - Esportazioni italiane - composizioni percentuali
BrancheProdotti dell’agricoltura, silvicoltura e pescaProdotti delle miniere e delle caveMetalli e prodotti in metalloProdotti da minerali non metalliferiProdotti chimiciPodotti petroliferi raffinatiMezzi di trasportoMacchine ed apparecchi meccaniciApparecchi elettrici e di precisioneProdotti alimentari, bevande e tabaccoProdotti tessili, cuoio e abbigliamentoLegno, carta, gomma e altri prodotti manufatturieriEnergia elettrica, acqua e gasAltri prodotti non classificabili altrove
TOTALE (%)
TOTALE (miliardi lire correnti)
BrancheProdotti dell’agricoltura, silvicoltura e pescaProdotti delle miniere e delle caveMetalli e prodotti in metalloProdotti da minerali non metalliferiProdotti chimiciPodotti petroliferi raffinatiMezzi di trasportoMacchine ed apparecchi meccaniciApparecchi elettrici e di precisioneProdotti alimentari, bevande e tabaccoProdotti tessili, cuoio e abbigliamentoLegno, carta, gomma e altri prodotti manufatturieriEnergia elettrica, acqua e gasAltri prodotti non classificabili altroveTOTALE (%)TOTALE (miliardi lire correnti)
2. Specificità nazionali
28 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
espansione del terziario e delle tipologie contrattua-li atipiche (interinale, telelavoro, ecc.). A ciò si èassociata una riduzione del tasso di disoccupazioneche è passato da 11,8% nel 1998 a 11,4% nel1999. Nel 1999 le forze di lavoro rappresentavanoil 40,9% della popolazione italiana, mentre glioccupati costituivano il 36,3% (vedi Tabella 2.3.8ae b). Tale situazione si è caratterizzata per dinami-che differenti tra i vari settori: si è registrato un sen-sibile calo nel settore agricoltura (-5,6%), prose-guendo la tendenza degli anni precedenti ma conun’ulteriore accelerazione; l’industria in senso stret-to ha presentato un leggero calo (-0,2%) controbi-lanciato da un incremento nel settore delle costru-zioni (+2,0%). Il terziario, come negli ultimi anni, harappresentato il sostegno fondamentale dell’occu-pazione complessiva con un progresso pari al 2,4%
nel 1999, con i servizi alle imprese (+9,8%) trainodel settore seguiti da trasporti e comunicazioni(+3,2%) e commercio e pubblici esercizi (2,7%).
2.3.3 EVOLUZIONE DEI QUANTITATIVI DI CARBONIO CONTENUTI NELLE MERCI
Una analisi delle varie merci importate ed esportatesegnala che l’intensità carbonica media dell’importè maggiore di quella dell’export. Anche se è neces-saria una analisi più approfondita, si ritiene che ilreddito nazionale comporta consumi di beni e servi-zi corrispondenti ad una intensità di emissione pro-capite di anidride carbonica maggiore di quellasegnalata dagli inventari nazionali.Uno studio recente analizza l’intensità energetica
Paesi e aree geografiche Esportazioni Importazioni EUROPA 288.991 Unione europea 240.475 - Francia 54.516 49.721 - Germania 69.119 74.950 - Paesi Bassi 12.016 24.682 - Spagna 26.609 16.958 - Regno Unito 29.801 23.948 Europa centro orientale 31.432 28.835 - Federazione di Russia 3.338 8.153 Altri paesi europei 24.654 20.256 - Svizzera 14.827 15.088 AFRICA 24.138
Africa settentrionale 10.095 16.484 - Libia 1.679 6.000 Altri paesi africani 4.701 7.954 - Repubblica Sudafricana 1.610 4.292 AMERICA 31.562 America settentrionale 43.452 22.135 Stati Uniti 39.803 19.408 America centro meridionale 16.732 9.427 - Brasile 4.665 3.560 ASIA 46.609 Medio oriente 13.765 9.423 - I ran 1.308 2.771 Asia centrale 3.086 4.854 - I ndia 1.469 2.363 Asia orientale 24.967 32.332 - Cina 3.551 9.682 - Giappone 6.793 9.987 OCEANIA 2.342 ALTRI TERRITORI 1.918 628 MONDO 419.124 394.271
Fonte: ISTAT
296.564 239.900
14.796
60.184
41.819
3.843
Tabella 2.3.7 - Interscambio commerciale per area geografica e principali paesi - Anno 1999.Dati in miliardi di lire.
2. Specificità nazionali
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 29
del settore industriale, la quale è generalmentemisurata dal rapporto tra valore prodotto e quanti-tà di energia consumata. In Italia, negli anni chevanno dal 70 al 95, tale rapporto è all’incirca rad-doppiato. Questo notevole miglioramento non hariscontro nell’esperienza degli altri paesi industrializ-zati. In particolare al continuo aumento dell’effi-cienza energetica non corrisponde un comparabileaumento dell’efficienza nei processi industriali noti.In questo lavoro si investiga sulla influenza di trepossibili cause alla base del fenomeno: riduzione delpeso dei settori energy-intensive nella strutturaindustriale; aumento delle importazioni di prodottiad alta intensità energetica; riduzione delle materieprime necessarie alla fabbricazione del prodottofinito. Due differenti metodologie sono state usatea questo scopo. La prima si basa sulla utilizzazionedei dati di contabilità nazionale e mira a quantifica-re sia l’effetto sull’intensità energetica dovuto avariazioni strutturali che a modifiche nella quantitàdelle importazioni di materie prime e semilavoratidestinati all’industria. La seconda è basata sul calco-
lo dei consumi energetici addizionali teorici dellequantità importate nell’ipotesi che esse venganoprodotte all’interno secondo parametri medi di effi-cienza. Ambedue le metodologie portano al mede-simo risultato e l’aumento reale dell’efficienza ener-getica si dimezza rispetto a quello calcolato in pre-cedenza. Inoltre il miglioramento è concentrato nelperiodo anteriore al 1985 e si evidenzia una ten-denza alla stazionarietà negli anni più recenti. Inconclusione l’incremento della quota delle importa-zioni ad alta intensità energetica di materie prime,semilavorati e prodotti finali ha una influenza signi-ficativa nell’evoluzione del rapporto tra prodottoindustriale e quantità di energia consumata.
2.4 CARATTERISTICHE DEI MACROSETTORI ECONOMICI
I consumi finali di energia sono rimasti abbastanzastabili tra il 1990 ed il 1993, intorno a 112 Mtep
Popolazione residente
Forze di lavoro Tasso di attività (% )
Tasso di di soccupazione (% )
1996 56.826 22.778 47,2 11,6
1997 56.941 22.895 47,2 11,7 1998 57.040 23.180 47,6 11,8 1999 57.078 23.361 47,9 11,4
2000 57.189 23.575 48,2 10,6
Fonte: ISTAT
1998 in migliaia % in migliaia %
Forze d i lavoro 23.180 40,6 23.361 40,9 Occupati 20.435 35,8 20.692
Agricoltura 1.201 2,1 1.134 2,0 Industria 6.730
In senso stretto 5.186 9,1 5.175
Costruzioni 1.544 2,7 1.575 2,8
Servizi 12.504 21,9 12.807 22,4 Commercio 3.266 5,7 3.308
Altro 9.238
Persone in cerca di occupazione 2.745 4,8 2.669 4,7
Non f orze di lavoro 33.861 59,4 33.717 59,1
Totale popolazione residente 57.040 57.078
Fonte: ISTAT
1999
100,0
11,8
16,6
5,8
5,3
100,0
11,8 6.750
16,2 9.499
36,3
Tabella 2.3.8a - Forze di lavoro in Italia (migliaia di unità, a metà anno)
Tabella 2.3.8b - Popolazione e forze di lavoro (migliaia di unità, a metà anno)
2. Specificità nazionali
30 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
(esclusi gli usi non energetici). Negli ultimi anni ilconsumo è aumentato significativamente e nel1999 è stato di circa 124 Mtep (+14,2% rispetto al1990). La quota di mercato del gas naturale conti-nua ad aumentare: dal 27% nel 1990 è passata al31% nel 1999 (vedi Figura 2.4.1). Anche il peso del-l’elettricità è leggermente aumentato dal 17% al18%. Per il carbone persiste la tendenza alla dimi-nuzione della sua quota relativa: nel 1999 è stata il4% contro il 5% del 1990. Il consumo di biomasseè stabile (1%), ma è il consumo derivato dalle fontistatistiche ufficiali, pertanto non include il consumodi biomasse che non ha una transazione commer-ciale.Relativamente alla distribuzione dei consumi finali dienergia per settore (usi non energetici esclusi), è dasottolineare la crescita dei trasporti (dal 32% nel1990 al 33% del 1999) e del terziario (dal 9% al10% nel 1999), il calo dell’industria (dal 33% al31%) e la stazionarietà del settore residenziale al23%.
Per valutare la produttività dell’energia dell’interaeconomia e degli utilizzatori finali si ricorre, rispetti-vamente, all’intensità energetica primaria e all’in-tensità energetica finale. Nel periodo 1990-2000,entrambe le intensità hanno presentano un anda-mento decrescente: -1,8% per l’intensità energeti-ca finale e -4,5% per l’intensità energetica primaria(vedi Tabella 2.4.1 e Figura 2.4.3), confermando ibassi valori dell’intensità energetica italiana rispettoagli altri paesi industrializzati.Queste differenti variazioni tra le intensità primaria
e finale sono riflesse nel rapporto tra l’intensitàenergetica finale e l’intensità energetica primaria,che è passato da 64,1% nel 1970 al 65,9% nel2000. Tale risultato indica che la diminuzione dellaquota del consumo di energia primaria non è statodiretto verso i consumatori finali, ma verso il setto-re della trasformazione (principalmente la produzio-ne di energia elettrica).
2.4.1 SETTORE ENERGETICO
Il settore di produzione energetica, che nel 1999costituisce il 6,2 per cento del valore aggiunto com-plessivo del paese (a prezzi costanti 1995), ha unandamento differenziato negli ultimi anni ‘90: l’at-tività di estrazione di minerali energetici dopo unperiodo di crescita, a partire dal 1998 ha subito unrallentamento, mentre l’indice della produzioneindustriale di cokerie e raffinerie mostra un anda-mento crescente, solo nell’ultimo anno ha mostratoun calo. Una dinamica decisamente positiva mostrala produzione e distribuzione di energia elettrica,gas e acqua.Il sistema energetico italiano nel suo complesso(includendo sia la combustione che le perdite dicombustibile) è responsabile dell’80% circa delleemissioni lorde di gas serra. Sembra quindi fonda-mentale confrontare la situazione energetica nazio-nale con quella degli altri principali paesi industria-lizzati e spiegare perché l’Italia è contraddistinta dasignificative peculiarità che da una parte la avvan-taggiano e dall’altra ne accrescono la vulnerabilità. I
1975 1985 1995 Produzione Import Totale Produzione Import Totale Produzione Import Totale energia secondaria/ usi finali
Totale produzioni alta intensità energetica
25,6 5,4 30,8 21,3 9,0 30,0 21,5 14,4 35,3
Totale consumi industria, da B.E.N.
38,9 32,7 37,9
Note:
a) 21,1% (% import su produzioni ad alta intensità energetica)
a) 42,2% (% import su produzioni ad alta intensità energetica)
a) 66,8% (% import su produzioni ad alta intensità energetica)
b) 13,9% (% import su totale consumi industria)
b) 27,6% (% import su totale consumi industria)
b) 37,8% (% import su totale consumi industria)
c) 65,8% (% consumi industrie "energy intensive" sul totale industria)
c) 65,1% (% consumi industrie "energy intensive" sul totale industria)
c) 56,7% (% consumi industrie "energy intensive" sul totale industria)
Tabella 2.3.9 - Contenuto energetico produzione / importazione di materiali - Anni 1975,1985, 1995. I valori sono espressi in Mtep.
2. Specificità nazionali
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 31
fattori più macroscopici riguardano l’ulteriore dimi-nuzione dei già bassi consumi specifici, la difficilediversificazione della generazione elettrica, la cre-scente dipendenza dalle importazioni di idrocarburi,il faticoso adeguamento ai criteri di protezioneambientale.Un ulteriore vincolo alle decisioni in materia energe-tica è di tipo economico. Nonostante il sistemaenergetico italiano sia meno inefficiente che in altripaesi, l'energia richiesta annualmente nel nostropaese ha un costo economico e finanziario elevato,
sia rispetto agli scambi con l'estero (6-8% delleimportazioni nazionali negli anni '90, ma quasi il30% durante le crisi petrolifere del 1973 e del1981) che rispetto al Prodotto Interno Lordo (PIL, 1-1,5% attualmente, ma sopra il 6% nel 1981) ed ingenere rispetto alle risorse interne. Dato il fabbiso-gno energetico, il vincolo economico dipende dalprezzo dei vettori energetici sul mercato internazio-nale, il cui andamento è legato più o meno stretta-mente all'andamento del prezzo del petrolio.Tra i maggiori paesi industrializzati, l’Italia resta tra
17%
50%
27%
18%
46%
31%
4%
1%5%
1%
Elettricità
GasNaturale
ProdottiPetroliferi
CombustibiliSolidiBiomasse
Figura 2.4.1 - Consumi finali di energia per fonte
33%
32%
23%
9%3% 31%
33%
23%
10%3%
Industria
Terziario
Agricoltura
Trasporti
Residenziale
Figura 2.4.2 - Consumi finali di energia per settori
2. Specificità nazionali
32 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
quelli con la più alta dipendenza dall’estero, avendooltre l’80 % del fabbisogno energetico soddisfattocon fonti importate. L’elevata dipendenza da fontienergetiche importate, seppure attenuata dallabassa intensità energetica, fa sì che aumenti nelprezzo dell’energia, dovuti a tensioni nei mercatienergetici internazionali, provochino effetti amplifi-cati sulla bilancia dei pagamenti e nella stabilità eco-nomica del paese. Risulta difficile ridurre la dipen-denza dalle importazioni nel corso dei prossimi 15anni; anche un forte sviluppo delle fonti rinnovabilie il contenimento delle importazioni di energia elet-trica entro livelli tipici di altri paesi europei, sembrainsufficiente a ridurre il livello di dipendenza delpaese a meno dell’80% nel 2010.Le linee di diversificazione delle fonti primarie, uti-lizzate da altri paesi, verso il nucleare e il carbone,in Italia hanno incontrato particolari difficoltà esono state praticamente abbandonate e non sem-bra possibile pensare a prospettive future con le tec-nologie attuali. La riduzione del rischio e dell’inqui-namento associato al nucleare ed al carbone hanno
comportato un costo medio e marginale di produ-zione elettrica superiore a quello di altri paesi. Ledifficoltà incontrate dalle politiche di sviluppo dellefonti alternative e la possibilità di attingere a ener-gia elettrica di importazione a prezzi molto favore-voli, ha fortemente rallentato il processo di espul-sione dei prodotti petroliferi dalla generazione elet-trica, ed in particolar modo dell’olio combustibile,nel corso dei primi anni ’80. Fino al 1995, circa il50% dell’energia elettrica prodotta in Italia eraancora generata da fonti petrolifere contro appenail 9% a livello europeo.Negli ultimi anni il peso dei prodotti petroliferi,come input primario nella generazione elettrica, ènotevolmente diminuito attestandosi intorno al40%. I consumi sarebbero stati ancora maggiori inassenza del crescente utilizzo del metano che haaumentato la sua quota all’input termoelettrico dameno del 7% nel 1980 a 20% nei primi anni 90,per attestarsi ad oltre il 40% nel 1999. Una ulterio-re crescita del gas naturale, come input elettrico pri-mario, sembra essere frenata, almeno nel breve
0,12
0,14
0,16
0,18
0,20
0,22
0,24
90 91 92 93 94 95 96 97 98 99 00
kep
/EC
U95
Figura 2.4.3 - Intensità energetica primaria e finale in Italia
Intensità finale Intensità primaria
1990-95 1990-2000
-0,12
-0,09
-0,45
-0,18
Tabella 2.4.1 - Variazioni percentuali annuali nell’intensità energetica primaria e finale in Italia.
Intensità energetica primaria
Intensità energetica finale
2. Specificità nazionali
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 33
periodo, dalla inadeguatezza delle strutture di tra-sporto e stoccaggio del gas esistenti.La produzione di energia elettrica da fonti rinnova-bili ha ancora un peso relativo piuttosto limitato, mala tendenza è a crescere (+25% nel 1999 rispetto al1995), anche in un ottica di riduzione delle emissio-ni di CO2.I dati del settore elettrico (vedi Tabella 2.4.3)mostrano un aumento del consumo di energia elet-trica, +21,7% nel periodo 1990-1999, mentre leemissioni totali sono aumentate del 9%.La realizzazione di varie scelte di mitigazione haridotto le emissioni specifiche per l’elettricità pro-dotta di circa l’11%, contribuendo così alla limita-zione delle emissioni totali del settore.
2.4.2 INDUSTRIA
I prodotti della trasformazione industriale costitui-scono il 21,1% del VA nel 1999 e le costruzioni il
4,8%. Le attività manifatturiere mostrano un anda-mento del tutto analogo all’indice generale dellaproduzione industriale, anche se nel 1999 hannosubito un leggero calo: i settori che presentano unadinamica più spiccata sono quelli del legno e pro-dotti in legno, della carta, stampa ed editoria e dellalavorazione dei minerali non metalliferi, i settori chemostrano i cali maggiori sono quelli del tessile e del-l’abbigliamento, delle calzature e dei prodotti incuoio, proseguendo l’andamento degli anni prece-denti.Il settore industriale contribuisce al 32% del redditonazionale ed è responsabile direttamente del14,9% delle emissioni nazionali di gas serra. Dopola crisi del 1992, la ripresa del biennio 1994-95,interrotta nel 1996, la produzione industriale inItalia ha presentato un andamento positivo, benchélimitato. I dati preliminari per il 2000 evidenzianouna ripresa.Nel 1999 il settore industriale italiano ha consuma-
1995 1996 1997 1998 1999 Idroelettrica 37.780,8 42.035,6 41.599,8 41.213,6 45.358,0 Eolica 9,9 32,7 231,7 402,5 Fotovoltaica 5,8 5,6 6,3 Geotermica 3.905,2 4.213,7 4.402,7 Biomasse e rifiuti 820,3 1.228,8 1.822,3 Totale 41.617,6 46.439,6 46.893,4 51.991,8
Fonte: GRTN
117,8 4,7 4,2
3.762,4 3.435,6 604,2 387,1
46.448,9
1999 Energia elettrica totale, TWh 235 261 263 271 279 286 Emissioni totali di CO , Mtonn 122 130 129 136 136 133 Gr ammi CO /kWh di produzione lorda termoelettrica
686 665 665 666 660 643
Gr ammi CO /kWh di produzione totale lorda
564 538 535 529 523 501
Gr ammi CO /kWh di energia elettrica “delivered”
556 535 533 533 529 505
Energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili, %
15,9 19,6 16,5
Emissioni di CO2 evitate, Mtonn (in riferimento al 1990)
6,2 14,9
Emissioni di CO evitate da miglioramenti dell’efficienzadei combustibili
8,8
Fonte: Elaborazioni ANPA su dati ENEL /GRTN
1990 1995 1996 1997 1998
17,9
5,6 6,2
18,6 17,8
7,9
4,1 3,8 4,0 5,4
2
2
2
2
2
Tabella 2.4.2 - Produzione lorda di energia elettrica degli impianti da fonti rinnovabili (milioni di kWh).
Tabella 2.4.3 - Settore elettrico.
2. Specificità nazionali
34 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
to 38,5 Mtep di energia, con un incremento del5,7% rispetto al 1990. Il peso dell’industria metal-lurgica continua a diminuire: è passato dal 23% nel1990 al 19% nel 1999 (vedi Figura 2.4.4), mentre simantiene stabile la quota dei settori “energy inten-sive” intorno al 47%. Menzione a parte merita l’in-dustria meccanica che ha aumentato il suo peso dal9% del 1990 al 13% del 1999.L’andamento dei consumi evidenzia un andamentocrescente per il gas naturale, l’energia elettrica e iprodotti petroliferi, dopo il calo del 1995 e del1996. Le fonti energetiche prevalenti nei processiproduttivi sono il gas naturale, che soddisfa ladomanda di energia per il 41,5%, con un aumentodi 3,3% rispetto all’anno precedente, l’energiaelettrica (28,7% dei consumi totali) e l’olio combu-stibile (10,6%).La crescita dei consumi finali segue, in genere, l’an-damento dell’indice di produzione industriale e del-l’indice del valore aggiunto. Solo nell’ultimo anno alrallentamento della produzione si è contrappostaun’accelerazione degli usi finali, con un incrementodell’intensità energetica, praticamente stabile finoal 1998.
2.4.2.1 Intensità energetiche per settori
Le Figure 2.4.5a e 2.4.5b mostrano gli andamentidelle intensità energetiche per settori.In un’analisi di lungo periodo dopo il marcato caloa seguito dei due shock petroliferi, le intensità ener-getiche settoriali sono ora abbastanza stabili, anchese la situazione è ancora in evoluzione.L’industria metallurgica, dei minerali non metalliferie della chimica evidenziano, nel periodo 1990-1999, un andamento decrescente (rispettivamente-2,2%, -0,3% e -2,4% annuo), mentre l’industriameccanica, della carta, agroalimentare e tessilestanno aumentando leggermente.
2.4.2.2 Consumo energetico unitario dei pro-dotti “energy intensive”
La Figura 2.4.6 mostra il consumo energetico unita-rio dei prodotti “energy intensive”: acciaio, carta,vetro e cemento.Nel lungo periodo, il consumo energetico unitariopresenta un trend decrescente per tutti i prodotticonsiderati. In particolare, la riduzione di energiaconsumata tra il 1973 e il 1999 è stata pari al 60%per produrre una tonnellata di vetro, al 22% perprodurre una tonnellata di acciaio, al 31% per pro-durre una tonnellata di carta e al 4% per produrreuna tonnellata di cemento. Parte di queste variazio-ni possono essere spiegate da cambiamenti verifica-tesi nella struttura di produzione (acciaio, cemento,carta) o nel tipo di prodotto (vetro). Tuttavia neglianni 90, questi fenomeni si sono fortemente ridottie tali indicatori mostrano una certa stabilità.
2.4.3 MOBILITÀ E TRASPORTI
Le emissioni di gas serra dal settore dei trasporti,complessivamente pari al 23,1% sono percentual-mente superiori sia al fatturato del settore produtti-vo dei trasporti (6,6% incluse le comunicazioni) cheal consumo finale delle famiglie per spese di tra-sporto (10,5%).Nel periodo 1990-2000 la mobilità dei passeggeri èaumentata da 698,2 a 878,8 (+25,9%) miliardi dipasseggeri km. L’aumento di mobilità si verifica pertutte le tipologie di trasporto ma è soprattutto iltraffico su strada a presentare i livelli più alti. Il tra-sporto su strada assorbe la quasi totalità del tra-sporto passeggeri (92,2%), subendo nel periodoconsiderato un incremento del 27,2%.Incrementi maggiori presentano il trasporto per vied’acqua (+61,0%) e per via aerea (+80,6%), ma il
23%
21%
21%
9%
5%
6%
6%
9%
19%
22%
18%
13%
7%
7%
9%
5%
Siderurgia
Minerali non metalliferi
Chimica e Petrolchimica
Meccanica
Carta
Tessile
Agroalimentare
Altre Manifatturiere
Figura 2.4.4 - Consumo di energia dell’industria per settori
2. Specificità nazionali
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 35
loro peso risulta limitato, rispettivamente 0,5% e1,3% del totale trasporti passeggeri.
Indicatori sintetici che evidenzino la crescita dellamobilità avvenuta in questi ultimi anni non sono difacile determinazione per la mancanza delle neces-sarie informazioni. Un’indicazione può, comunque,essere ricavata dal numero di chilometri percorsimediamente da una tonnellata di merce, per quan-to riguarda le merci, e dal numero di km per veico-lo, per il trasporto su strada, e dal numero di km perpasseggero, per il trasporto ferroviario.Nel 1999, la percorrenza media di un passeggerosulla linea ferroviaria è stata di 95 km, in flessionerispetto ai 97 km del 1998. Persiste, pertanto, la
tendenza decrescente degli ultimi anni, che mostrauna preferenza dei passeggeri per l’automobile el’aereo.Il numero di km per veicolo è stato stimato sullabase dei passeggeri km (ipotizzando un coefficientedi occupazione pari a 1,7), e del numero di autoequivalenti (sono stati inclusi solo i veicoli a benzinae gasolio). Dai dati in tabella si evidenzia come ilnumero di km percorsi per veicolo stia seguendoun andamento decrescente (-1,3% rispetto al1999, -4,0% rispetto al 1998), che conferma l’au-mento di mobilità realizzatosi negli ultimi anni,caratterizzato dall’aumento del numero medio diviaggi per veicolo, anche se di minore percorrenza.Le emissioni di CO2, nel periodo 1990-2000, sono
0,20
0,30
0,40
0,50
0,60
0,70
0,80
0,90
90 91 92 93 94 95 96 97 98 99
kep/
EC
U95
Chimica
Metallurgia Minerali con metalliferi
Figura 2.4.5a - Intensità energetica dell’industria per settori
0,05
0,08
0,11
0,14
0,17
0,20
0,23
0,26
90 91 92 93 94 95 96 97 98 99
kep/
EC
U95
Tessile Meccanica Agroalimentare Carta
Figura 2.4.5b: Intensità energetica dell’industria per settori
cresciute in misura ridotta rispetto alla mobilità deipasseggeri, soprattutto grazie al miglioramentodelle prestazione del parco autovetture.La mobilità delle merci in Italia, nel periodo 1990-2000, è passata da 235,7 a 281,9 miliardi di ton-nellata-km (dal 1995 l’ISTAT ha modificato i criteridi rilevazione dei dati sull’autotrasporto).L’andamento del traffico merci (+19,6%) è conse-guenza anche dei cambiamenti verificatesi nell’or-ganizzazione della produzione e del commercionazionale quali la terziarizzazione dei servizi logisti-ci, la richiesta di riduzione dei tempi di consegna, ilcommercio elettronico, con conseguenze energeti-co-ambientali negative a causa degli elevati consu-mi per unità di trasporto e delle elevate emissioni. Iltrasporto merci per via d’acqua ha subito l’incre-mento maggiore (+29,1%), ma è il trasporto sustrada che assorbe il maggior volume di traffico(74,5%), mentre è trascurabile il trasporto aereo.I chilometri medi percorsi su strada da una tonnel-lata di merce, relativi al 1999, sono riportati inTabella 2.4.7 assieme all’indicazione delle tonnella-
te e dalle tonnellate-km. I dati sono disaggregati pertitolo di trasporto e classe di percorrenza.
Esaminando il solo traffico interno, pari a1.179.019.369 tonnellate, il 39,14% viene movi-mentato su tratte brevi (fino a 50 km): il 56,73%per il conto proprio e il 43,27% per il conto terzi.Circa l’80% della merce movimentata in conto pro-prio, percorre al massimo 100 km, mentre per ilconto terzi tale percentuale è del 45% circa. Per iltrasporto oltre 500 km, il conto terzi movimentacirca il 92% delle tonnellate complessivamente tra-sportate; tali traffici rappresentano, in termini diTonnellate-km, circa il 32% del traffico in contoterzi. Questi dati sottolineano come la scelta su lun-ghe distanze sia rivolta alle imprese che operano inconto terzi. Il 37% circa del traffico interno è gesti-to dalle ditte in conto proprio, mentre le imprese inconto terzi movimentano circa il 63%.
Il consumo di energia nel settore trasporti nel perio-do 1975-1995 è praticamente raddoppiato, passan-
2. Specificità nazionali
36 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
0,050
0,100
0,150
0,200
0,250
0,300
0,350
0,400
90 91 92 93 94 95 96 97 98 99
tep/
tonn
Acciaio
Cemento Vetro Carta
Figura 2.4.6 - Consumo energetico unitario dei prodotti “energy intensive”
1990 2000
Tra ff ico (milioni di passeggeri-km)
Consumo finale (Mtep)
Tr affico (milioni di passeggeri-km)
Consumo finale (Mtep)
Im pianti fissi 51.698 0,329 52.080 0,369
St rada 637.237 21,756 810.450 26,088
Vie d’acqua 2.887 0,060 4.648 0,097
Aereo 6.416 0,551 11.585 0,971
Totale 698.238 22,696 878.763 27,524
Fonte: Elaborazioni ENEA su dati di fonti diverse.
Tabella 2.4.4 - Trasporto passeggeri: traffico e consumi di energia per modalità di trasporto
do da 18,9 a 35,2 Mtep; nel 2000 il consumo dienergia ha raggiunto i 40,4 Mtep, disaggregati in18,1 Mtep di benzine, 19,2 Mtep di gasolio, 1,0Mtep di carboturbo, 1,6 Mtep di GPL e di gas natu-rale e 0,4 Mtep di energia elettrica. Il trasporto sustrada utilizza quasi per intero l’energia del settoretrasporti (94,8%). La crescita dei consumi ha avutoandamenti diversi per la mobilita dei passeggeri edelle merci. Il consumo finale di energia per la mobi-lità dei passeggeri è aumentata del 21,3% nelperiodo considerato, con punte del 76,2% e del61,7%, rispettivamente, per via aerea e per vied’acqua (ma sono solo il 3,9% del consumo totalepasseggeri nel 2000), mentre il consumo su stradaè aumentato del 19,9% (il trasporto su strada con-suma il 94,8% del consumo finale di energia per lamobilità passeggeri). Per la mobilità delle merci, nelperiodo 1990-2000, si è avuto un incremento diconsumo del 52,2%. L’incremento maggiore l’hasubito il trasporto su strada (+54,0%), seguito daltrasporto per vie d’acqua (+29,0%), per via aerea(+21,4%) e per impianti fissi (+15,9%). Il peso rela-tivo di ogni modalità di trasporto è rimasto pratica-mente invariato con la mobilità su strada che assor-be il 95,0% del consumo finale.Nel periodo 1990-2000, le emissioni complessive diCO prodotte dal trasporto passeggeri sono aumen-tate del 21,3%, contro riduzioni, grazie al migliora-mento tecnologico, del monossido di carbonio, ossi-di di azoto e composti organici volatili, rispettiva-mente, del 23,7%, 32,1% e 13,0%.
Le emissioni hanno avuto un andamento più favore-vole in ambito extraurbano rispetto a quello urbano:la crescita di CO è stata più limitata, 18,3% nell’ex-traurbano e 25,3% nell’urbano, le riduzioni di CO2,38,3% e 10,3%, e di NOx, 34,1% e 28,1%, sonostate maggiori, per le emissioni di COV si è avutauna riduzione in ambito extraurbano, -44,0%, ed unaumento in ambito urbano, +8,1%.Per le emissioni prodotte dal trasporto merci, si assistead un aumento di tutti gli elementi inquinanti: CO2
+51,6%, CO +17,4%, COV +19,4% e NOx +26,3%.La crescita della mobilità passeggeri è stata piùaccentuata in ambito urbano (+32%) rispettoall’ambito extraurbano (+24%). In entrambi i casi,tale crescita si è tradotta in un aumento del tra-sporto privato (+29,4% totale, +35,1% urbano,+27,0% extraurbano). Il trasporto pubblico in ambi-to urbano ha subito un ridimensionamento delleautolinee (-5,8%) contro una crescita degli impian-ti fissi (+34,3%) che ha portato ad una crescita tota-le del settore pubblico (+5,2%).La crescita della mobilità interna di passeggeri e dimerci viene quasi completamente assorbita dal tra-sporto su strada: 92,2% (75,6% con autovetturaprivata) per i passeggeri e 74,5% per le merci.L’aumento dei consumi è risultato inferiore al corri-spondente aumento della mobilità per il migliora-mento di efficienza energetica dei mezzi posta inatto a seguito delle crisi petrolifere e alle politicheambientaliste.Un ruolo non indifferente nel rallentare la riduzione
2. Specificità nazionali
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 37
1995 1998 1999 2000*
Ferrovi (k m medi per p ass) 96,8 n.d.
Met ropolitane bane ( km m edi per pass)
7,4 7,2
Strada (km m edi per veicolo) 14.287 14.231
Fonte: Elaborazioni ENEA su dati Ministero dei trasporti e della navigazione; *Dati stimati
ur
97,2 98,4
7,3 7,3
14.470 14.878
e
Tabella 2.4.5 - Indicatori di mobilità per tipologia di trasporto
1990 2000
Traffico (milioni di
tonnellate km) Consumo finale
(Mtep) Traffico (milioni di
tonnellate km) Consumo finale
(Mtep) Impianti fissi 21.941 0,176 25.600 0,204 Strada 177.945 7,930 210.108 12,212 Vi e d’acqua 35.783 0,331 46.203 0,427 Aereo 33 0,14 40 0,017 Totale 235.702 8,452 281.951 12,860
Fonte: Elaborazioni ENEA su dati di fonti diverse.
Tabella 2.4.6 – Trasporto merci: traffico e consumi di energia per modalità di trasporto.
2. Specificità nazionali
38 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
dell’intensità è stato svolto dalla forte crescita deitrasporti su strada, nonostante i rilevanti migliora-menti nel consumo specifico di carburanti. Le sino-ra deboli politiche di sviluppo delle infrastrutture ditrasporto su rotaia e su mezzi pubblici urbani hannopotuto solo marginalmente rallentare la crescita del-l’uso dei mezzi stradali, senza tuttavia invertire latendenza storica. La conseguenza è stata una cre-scita dei consumi di benzina, gasolio e altri carbu-ranti ad oltre 40 Mtep e a tassi di crescita maggioridel 2% medio annuo. Il danno sull’ambiente e icosti generali all’economia nazionale sono semprepiù evidenti nei centri urbani di maggiori dimen-sioni e lungo i grandi assi di collegamento interur-bano. Il trasporto delle merci risulta particolarmen-te anomalo rispetto alle tendenze nella maggiorparte degli altri paesi dell’Unione Europea dove laferrovia e i mezzi fluviali catturano sempre piùmercato. Nel 1990, la ferrovia assorbiva il 10% del
traffico merci in Italia, contro il 18% in Germaniae il 20% in Francia. In prospettiva, a causa dellelimitazioni poste al transito dei mezzi pesanti daparte di Austria e Svizzera, si renderà necessario losviluppo di nuove linee ferroviarie sui valichi alpini.Questo, assieme al crescente riconoscimento del-l’importanza dello sviluppo di parcheggi e infra-strutture urbane, di metropolitane e di sistemi fer-roviari di trasporto interurbano nel prossimodecennio, permettono di intravedere un rallenta-mento nella crescita dei consumi, ma non moltoprima del 2010.
2.4.3.1 Intensità energetica dei trasporti
L’intensità energetica dei trasporti relaziona il con-sumo di energia del settore al PIL (Figura 2.4.7).Non è un indicatore di efficienza energetica, mamostra le dinamiche del consumo di energia nei
Fin o a 50 km 51-100 km 101-500 km oltre 500 km T otale
T rasporto interno
Conto proprio tonnellate 261.766.288 85.219.855 84.044.624 5.211.157 436.241.924 tonn. km (miglia ia) 5.626.863 6.291.366 16.418.213 4.002.534 32.338.976 km medi 21,5 73,8 195,4 768,1 74,1 tonnellate 199.652.474 136.930.280 57.845.769 tonn. km (migliaia) 5.271.610 10.459.663 79.312.093 44.997.953 140.041.319 km medi 26,4 76,4 777,9 tonnellate 461.418.762 222.150.135 432.393.546 63.056.926 1.179.019.369 tonn. km (migliaia) 10.898.473 16.751.029 95.730.306 49.000.487 172.380.295 km medi 23,6 75,4 777,1
Trasporto internazionale Conto terzi tonnellate 1.060.943 514.090 960.637 1.518.817 4.054.487 tonn. km (migliaia) 26.334 35.365 258.412 1.843.877 2.163.988 km medi 24,8 68,8 214,0 tonnellate 470.923 930.197 5.914.405 21.363.083 28.678.608 tonn. km (migliaia) 14.941 75.273 1.840.701 25.617.124 27.548.039 km medi 31,7 80,9 1199,1 tonnellate 1.531.866 1.444.287 6.875.042 22.881.900 32.733.095 tonn. km (migliaia) 41.275 110.638 2.099.113 27.461.001 29.712.027 km medi 26,9 76,6 1200,1 T rasporto complessivo TOTALE tonnellate 262.827.231 85.733.945 85.005.261 6.729.974 440.296.411 tonn. km (migliaia) 5.653.197 6.326.731 16.676.625 5.846.411 34.502.964 km medi 21,5 73,8 196,2 868,7 78,4 tonnellate 200.123.397 137.860.477 79.208.852 tonn. km (migliaia) 5.286.551 10.534.936 81.152.794 70.615.077 167.589.358 km medi 26,4 76,4 891,5 tonnellate 462.950.628 223.594.422 439.268.588 85.938.826 1.211.752.464 tonn. km (migliaia) 10.939.748 16.861.667 97.829.419 76.461.488 202.092.322 km medi 23,6 75,4 889,7
Fonte : Ministero dei Trasporti e de lla Nav igazione *L e quantità si riferis cono al traffico effettuato da veic oli di portata non inferiorea 3,5t immatricolati in Italia.
227,7
348.348.922
221,4
742.777.445
188,5
146,2
533,7
960,6
907,7
269,0
311,2
305,3
229,1
222,7
771.456.053
217,2
166,8
354.263.327
Tabella 2.4.7 - Trasporto merci su strada interno, internazionale e complessivo per titolo ditrasporto e classe di percorrenza - Anno 1999.
2. Specificità nazionali
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 39
trasporti in relazione alla crescita economica.Dopo un leggero calo nel 1993, l’intensità energe-tica si è mantenuta abbastanza costante ad indica-re che la domanda di energia del settore trasportistava crescendo allo stesso tasso dell’intera econo-mia. Nel 1998, si è avuto un aumento nell’intensi-tà energetica che non si è protratto nel 1999.Infatti, l’intensità energetica si è mantenuta piattanel 1999 e sembra presentarsi per il 2000 in calo.Altri due indicatori che forniscono un’idea com-plessiva di come l’energia è usata nel settore sono:
• il consumo energetico unitario per passeggero-km per il trasporto passeggeri (kep/pkm);
• il consumo energetico unitario per tonnellata-km per il trasporto di merci (kep/pkm).
Entrambi gli indicatori stanno decrescendo legger-mente mostrando che il settore dei trasporti è meno“energy intensive”, e quindi più efficiente.Le modalità di trasporto stanno diventando piùefficienti ma parte del progresso raggiunto è com-pensato dalla sostituzione con tipologie di tra-sporto più intense.
2.4.3.2 Automobili
Sono stati calcolati due indicatori per le automobili:
• consumo energetico specifico medio delle auto;
• consumo energetico specifico medio delle autonuove, basato su test.
Per le automobili nuove, il valore dei test del consu-mo energetico specifico è diminuito del 1,2%annuo, per una riduzione del 10,2% tra il 1990 edil 1999, ad indicare che le automobili nuove sonoogni anno più efficienti. Negli ultimi anni un nuovoimpulso alla riduzione del consumo specifico è statodato dal governo italiano e dai più importanticostruttori italiani (FIAT).Da un punto di vista tecnico, il miglioramento del-l’efficienza delle automobili è stata influenzata daicambiamenti nelle dimensioni delle automobiliacquistate.Il consumo energetico specifico medio si è significa-tivamente ridotto nel periodo 1990-1999: -0,65annuo e -5,7% sull’intero periodo.
2.4.4 SETTORE CIVILE
Il settore civile è responsabile del 15,6% delle emis-sioni di gas serra.Nel 1999, le famiglie italiane hanno speso lo 0,6%in più rispetto al 1998 e la tendenza per il 2000 è diun ulteriore aumento (+4,3%). La quota destinataai consumi alimentari continua a diminuire e rap-presenta circa il 20% della spesa totale. Tra i con-sumi non alimentari, tabacchi, abbigliamento e cal-
0,0300
0,0340
0,0380
0,0420
0,0460
0,0500
90 91 92 93 94 95 96 97 98 99 00
kep/ E CU
0,035
0,04
0,045
0,05
0,055
0,06
0,065
0,07
kep/ pkm-tkm
Figura 2.4.7 - Intensità energetica e consumo energetico unitario per passeggeri km e tonnellate-km
Intensità energetica (kep/ECU95)Consumo energetico unitario dei passeggeri (kep/pkm)Consumo energetico unitario dei trasporti merci su strada (kep/tkm)
2. Specificità nazionali
40 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
zature, istruzione presentano valori pressoché stabi-li, mentre le voci abitazione, comunicazione, tempolibero cultura e giochi, trasporti presentano anda-menti crescenti. Interessanti a tal proposito sono lespese per l’abitazione (+2,8%), con un peso del22,4% sui consumi totali delle famiglie, e per i tra-sporti (+1,6%), il cui peso è del 15,3%.
Nel 1999 i consumi energetici del settore civile sonostati assorbiti per il 70,5% dal residenziale (21% deiconsumi energetici finali complessivi). Il residenzialeha utilizzato 28,7 Mtep di energia per usi finali,+5,6% rispetto al 1998. La domanda di energia delresidenziale è stata soddisfatta per il 55,7% dal gasnaturale, per il 21,2% dai prodotti petroliferi, per 18,9dall’energia elettrica e per il 4,3% da combustibili soli-di. Si assiste ad una riduzione dei prodotti petroliferi (-28%), ad eccezione del GPL, a favore del gas natura-le (+39% nel periodo 1990-1999), con importanticonseguenze nelle emissioni dei gas serra. L’energiaelettrica, pur in presenza di una leggera crescita in ter-mini assoluti, mantiene inalterato il suo peso relativo.La domanda di energia del settore residenziale èassorbita per il 67,0% dal riscaldamento, per il 12,2%dall’acqua calda, per il 6,6% dagli usi cucina e per il14,2% dagli usi elettrici. La fonte energetica principa-le consumata dal settore residenziale è il gas naturaleche ha subito un notevole incremento nel corso degliultimi dieci anni (56% nel 1999 mentre nel 1990 rap-presentava il 45,5% del consumo finale). In particola-re è per il riscaldamento che questa tendenza è piùaccentuata: nel 1999 il 66,2% dei consumi per ilriscaldamento è rappresentato dal gas naturale controil 52,5% del 1990.
La penetrazione del gas naturale nel residenziale èlegata anche all’aumento del numero di abitazio-ni con impianto autonomo, rispetto all’impiantocentralizzato. Allo stato attuale gli impianti auto-nomi consumano circa il 75% del fabbisognocomplessivo di gas naturale per il riscaldamentodomestico.In base alla tipologia dell’impianto di riscaldamento,nel 1999 il 14% dei consumi energetici finali per ilriscaldamento domestico ha interessato gli impiantisingoli, il 63% gli impianti autonomi e il 23% gliimpianti centralizzati.La Figura 2.4.9 mostra l’andamento del consumo dienergia del residenziale.Il peso del riscaldamento è diminuito dal 68% nel1990 al 67% nel 1999, con fluttuazioni che dipen-dono dalla rigidità dell’inverno. L’acqua calda è sta-bile intorno al 12%, così come il consumo di ener-gia per fini di cucina (7%). Gli elettrodomestici edl’illuminazione hanno accresciuto la loro importan-za passando dal 13% nel 1990 al 14% nel 1999.
Nel 1999 il settore terziario ha consumato 12 Mtepdi energia, che corrispondono al 29,5% dei consu-mi del settore civile e al 9,0% del totale impieghifinali. I consumi sono stati assorbiti per il 46,8% dalgas naturale, per il 40,7% dall’energia elettrica eper il 12,4% dai prodotti petroliferi. Nel 1999 si èregistrata una crescita della domanda di energia del6,0% rispetto al 1998, superiore all’incrementocomplessivo del settore civile (+5,7%). L’intensitàenergetica del terziario è passata da 9,6 tep/GLit 95a 10,1 tep/GLit 95 (+4,5%).La crescita del valore aggiunto del terziario nel corso
6,60
6,90
7,20
7,50
7,80
8,10
90 91 92 93 94 95 96 97 98 99
litri
/100
km
Figura 2.4.8 - Consumo energetico specifico medio delle automobili
Auto nuove (Valore dei Test) Parco circolante attuale (Media)
2. Specificità nazionali
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 41
del 1999 è in linea con quello dell’economia nel suocomplesso (+1,6%), mentre l’incremento delladomanda di energia è stato superiore (6,0% contro1,1%).Analogamente al settore residenziale, anche per ilsettore terziario si assiste alla riduzione del peso deiprodotti petroliferi. L’energia elettrica registra unincremento del 42% rispetto al 1990 ed un aumen-to del peso relativo che pasa dal 37% al 41%.
2.4.4.1 Consumo energetico unitario del residenziale
La Figura 2.4.10 mostra l’andamento del consumoenergetico unitario per abitazione, relativamenteagli usi totali, al riscaldamento e agli usi specificidell’energia elettrica.
Il consumo energetico unitario totale e per riscalda-
V ariazione 1999/1998
Alimentari e bevande -1,0% Non alimentari 0,9% - Abbigliamento e calzature -0,3% - Abitazione 2,9% - Combustibili ed energia 1,5% - Mobili, elettrodomestici e servizi per la casa 3,1% - Sanità -3,7% - T rasporti 1,6% - Comunicaz ioni 3,6% - I struzione -1,8% - Tempo libero, cultura e giochi -2,3% - Altri beni e serv izi -1,3% Totale 0,6%
F onte: ISTAT
Tabella 2.4.8 - Consumo delle famiglie. Variazioni percentuali.
Energia elettrica
- riscaldamento
- acqua calda
Gas
- riscaldamento
- acqua calda
GPL
- riscaldamento
- acqua calda
Gasolio
- riscaldamento
- acqua calda
Olio combustibile
- riscaldamento
- acqua calda
Carbone
Legna
Totale usi finali
- riscaldame nto
- acqua calda
Fonte: Ela borazioni ENEA
Tabella 2.4.9 - Consumi di energia nel settore residenziale per fonte. I valori sono in ktep.
1990 1995 1996 1997 1998 1999
4.535 4.922 4.988 5.030 5.098 5.412138 138 140 141 140 149883 967 976 979 975 1.025
11.478 13.974 14.700 14.354 15.503 15.936
9.055 11.092 11.680 11.471 12.370 12.720
1.422 1.826 1.945 1.834 2.048 2.0541.535 1.521 1.577 1.461 1.446 1.928
899 927 969 906 903 1.200
96 104 111 106 107 1486.547 4.203 4.190 3.908 3.934 4.042
6.071 3.935 3.933 3.672 3.693 3.795476 268 257 236 241 247408 46 37 46 83 115
377 40 33 42 76 10331 6 4 4 7 1283 107 103 118 59 58
652 925 892 1.019 1.046 1.19425.238 25.698 26.487 25.936 27.169 28.68517.263 17.150 17.736 17.354 18.279 19.2112.916 3.181 3.303 3.171 3.384 3.492
2. Specificità nazionali
42 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
mento sono forniti con correzione climatica. Ilprimo indicatore segue approssimativamente il con-sumo energetico unitario per riscaldamento, acausa del ruolo determinante del riscaldamentonella struttura dei consumi energetici.Il consumo energetico unitario totale mostra unarelativa stabilità, a meno di alcune fluttuazioni,intorno a 1,4 tep/abitazione dopo il 1990, di cuicirca un tep/abitazione derivano dal riscaldamento.Comunque, è possibile individuare nel periodo1990-1999, una riduzione del consumo energeticounitario pari allo 0,23% annuo per il totale e allo0,60% per il riscaldamento. Se si osserva l’ultimoquinquennio (1995-1999), questo è caratterizzatoda un incremento pari a 0,9% annuo per il totale eal 0,8% per il riscaldamento.
Il consumo energetico unitario per gli usi specificidell’energia elettrica è cresciuto ad un tasso medioannuo pari a 1,1% nel periodo 1990-1999. Dopoun calo intorno agli anni 1995-1998, nel 1999 taleconsumo sta aumentando rapidamente.
2.4.4.2 Riscaldamento
Tra il 1977 e il 1988, periodo per il quale la riduzio-ne del consumo energetico per abitazione è statapiù rapida, il consumo energetico unitario per m2 èdiminuito più velocemente di quello per abitazione:-1,7% contro -0,9%. Questo significa che la dimen-sione accresciuta delle abitazioni è stata controbi-lanciate in parte dalla diminuzione del consumoenergetico unitario per abitazione (0,8% annuo).
68%
12%
7%
13%
67%
12%
7%
14%
Elettrodomestici edilluminazione
Riscaldamento
Acqua calda
Cucina
Figura 2.4.9 - Consumo energetico del residenziale.
0,8
0,9
1,0
1,1
1,2
1,3
1,4
1,5
90 91 92 93 94 95 96 97 98 99
tep/
abita
zion
e/
1900
1950
2000
2050
2100
2150
2200
2250
kWh/
abita
zion
e
Totale
Riscaldamento Elettrodomestici ed illuminazione
Figura 2.4.10 - consumo energetico medio per abitazione: totale, riscaldamento ed usispecifici dell’energia elettrica (con correzioni climatiche)
2. Specificità nazionali
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 43
Dopo il 1988, la differenza tra i due indicatori èstata meno forte, attestandosi intorno allo 0,5%annuo. La regolazione termica per le nuove abita-zioni è stata riformulata 3 volte dopo il primoshock petrolifero, nel 1975, 1982 e 1989, ridu-cendo ogni volta i fabbisogni energetici per ilriscaldamento.Le nuove abitazioni costruite in accordo con gli ulti-mi standard energetici consumano circa lo 11% dienergia in meno rispetto alle abitazioni costruiteprima del 1978, e quasi il 5% in meno rispetto aquelle costruite tra il 1990 e il 1993 (Figura 2.4.11).
2.4.4.3 Applicazioni elettriche
Nel 1999 la domanda di elettrodomestici ha regi-strato un’accelerazione. La crescita più sostenuta hariguardato il comparto dei grandi apparecchi; i pro-dotti hanno beneficiato di un ciclo di sostituzioneamplificato dall’immissione sul mercato di prodottiinnovativi sotto il profilo dei consumi energetici.Solo i congelatori, hanno risentito negativamentedell’espansione dei frigoriferi combinati. La penetra-zione di applicazioni elettriche nel settore residen-ziale ha registrato un’evoluzione che ha portato alladiffusione quasi completa del frigorifero, del televi-sore, della lavabiancheria, dell’illuminazione artifi-ciale (vedi Tabella 2.4.11). I dati ENEL, dai quali deri-vano le elaborazioni, non tengono conto della dif-fusione di altri beni durevoli, quali impianti HiFi, checontribuiscono ad incrementare i consumi di ener-gia elettrica del residenziale (vedi Tabella 2.4.12).
I dati ISTAT mostrano che nel 1999 il 96% dellefamiglie italiane possedeva una TV a colori ed unalavatrice, il 78% un’automobile e il 64% circa unvideoregistratore, valori che restano sostanzialmen-te stabili nel 2000.
La diffusione di personal computer e impianti HiFicontribuisce ad aumentare i consumi di energiaelettrica del residenziale ed in particolare quelliper usi elettrici obbligati. Nel 2000 l 52% dellefamiglie possiede l’impianto HiFi, quasi il 26% ilpersonal computer e il 19% la consolle per video-giochi. Non va trascurato il dato in base al qualeil 42,3% delle famiglie possiede più di un televi-sore.Nel biennio 1999-2000, il numero di famiglie inpossesso di un abbonamento ad internet è rad-doppiato passando da 7,6% a 15,4%, così come èaumentata la percentuale di famiglie con unmodem (da 9,4% a 16,6%) e di famiglie con untelefono cellulare (da 55,9% a 64,8%). La diffu-sione di fax e segreteria telefonica è stata più limi-tata.
2.4.5 AGRICOLTURA
L’agricoltura italiana è fortemente diversificata nellesue caratteristiche principali, soprattutto fra leregioni alpine ed appenniniche e quelle del Nord,del Centro e del Sud del paese. Tale diversificazionesi evidenzia, ad esempio, con il passaggio da un’a-gricoltura di tipo intensivo e ad elevata produttivitàdelle aree settentrionali, ad una situazione di fortis-sima marginalità delle aree montane e del mezzo-giorno.E’ disponibile un censimento aggiornato dell’agri-coltura italiana realizzato dall’ISTAT nel corso del2001. La Tabella 2.4.13 riassume i dati più rilevantidel censimento per tipo di coltura, produzione edestensione delle aree coltivate mentre la Figura2.4.12 esprime in modo grafico la forte variabilità diproduzione e di superficie utilizzata per l’agricolturache si ha in Italia.
0,6
0,7
0,8
0,9
1,0
1990-1993 1994-1999
toe/
aita
zio
ne
Abitazioni plurifamiliari
Abitazioni monofamiliari
Figura 2.4.11 - Consumo energetico specifico teorico delle nuove abitazioni.
2. Specificità nazionali
44 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
Ma nel periodo 1990-2000, l’agricoltura italiana èstata caratterizzata dalla progressiva riduzione dellaSuperficie Agricola Utilizzata (SAU) e da una contra-zione delle superfici a seminativo in favore di unaumento delle coltivazioni permanenti (ISTAT,2001). Il numero di aziende agricole italiane è dimi-nuito in media del 13,4% ma tale diminuzione hariguardato soprattutto il Nord-ovest del paese doveil numero di aziende agricole si è contratto del
39,7%. La superficie agricola utilizzata è invecediminuita solo del 6% poichè le dismissioni hannointeressato solo le aziende più piccole. Un’ulterioreanalisi dei dati mostra, inoltre, che la contrazionedelle superfici ha interessato maggiormente le areenon vocate all’agricoltura ed in particolare le areemarginali del paese.
Questa variazione di uso del suolo si è certamente
Tabella 2.4.10 - Consumi di energia nel settore terziario per fonte. I valori sono in ktep.
1990 1995 1996 1997 1998 1999
Energia elettrica 3.441 4.248 4.420 4.622 4.822 4.886
Gas 4.272 4.833 5.092 4.795 5.124 5.620
GPL 197 331 269 255 259 397
Gasolio 1.156 1.022 957 919 882 843
Olio combustibile 263 169 149 163 226 243
Carbone 20 17 17 15 7 9
Totale usi finali 9.349 10.620 10.904 10.769 11.320 11.998
Fonte: Elaborazione ENEA su dati Ministero delle Attività Produttive.
Applicazioni elettrodomestiche
D iffusione Consumo di energia elettrica
per
applicazione per utente globale
% kwh kwh Gwh % Frigorifero 97,4 368 358 Congelatore 28,0 134 3.400 Televisore 92,4 208 5.270 V ideoregistratore 47,5 57 1.433 Lavabiancheria 88,2 291 257 Lavastov iglie 23,0 102 2.577 Condizionatore 3,0 9 230 Cucina elettrica 0,3 2 28 Cucina mista 59,6 75 1.904 Forno a m icroonde 11,1 137 15 385 0,7 Scaldacqua elettrico 33,6 1.054 15,9 Stufa elettrica 16,4 24 615 Ferro da stiro 96,0 78 75 1.898 3,4 Personal computer 23,7 71 17 427 0,8 Illuminazione 100,0 295 13,3 Altre applicazioni domestiche - 148 148 3.752 6,7 Applicazioni non domestiche - - 91 2.338 4,2 TOTALE 2.221 56.305
Fonte: Elaborazioni ENEA su dati ENEL
16,19.086
6.506
354 8.977
7.478295
100,0
1,1
3,40,10,44,6
11,62,5
479
225119
442302374
126
148
6,09,4
Tabella 2.4.11 - Diffusione e consumo di energia elettrica per applicazione e perutente - Anno 1999
2. Specificità nazionali
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 45
tradotta in una diminuzione netta delle emissionidei gas ad effetto serra del settore agricolo la cuiquantificazione rimane però assai difficile, a causadella diversa stratificazione delle categorie dei cen-simenti nazionali. Tuttavia, assumendo una propor-zionalità diretta fra riduzione delle superfici utilizza-te ed impiego di fattori produttivi ed energetici, sipuò calcolare che le emissioni del settore agricolo sisiano passate da 8,1 Mt di CO2 nel 1990 (SecondaComunicazione Nazionale, UNFCCC) a 7,6 Mt diCO2 nel 2000.Contemporaneamente alla riduzione complessivadel numero di aziende e della superficie utilizzata, siè assistito anche ad un aumento della loro specia-lizzazione produttiva per aree vocazionali con laintensificazione di aree cerealicolo-zootecniche delNord del paese, cerealicolo-alimentare del Sud,ortofrutticola nelle aree costiere ed insulari e dellearee a zootecnia estensiva nelle zone appenninichee del meridione.A questo quadro di trasformazione, si sono aggiun-te, con effetti talvolta contrastanti, le diverse politi-che e misure nazionali ed europee finalizzate alrecupero ambientale-paesaggistico (Regolamento2078) ed alla promozione di specifiche praticheagricole (Agenda 2000). L’aumentata introduzionedelle pratiche dell’agricoltura biologica nel panora-ma agricolo nazionale, è dovuta proprio alla imple-mentazione di queste misure e politiche.
OsservazioniLa produzione di residui colturali in Italia ammon-ta ad oltre 80 Mt di sostanza organica. La granparte di questi residui colturali, se non la lorototalità, viene degradata o distrutta creando unflusso positivo verso l’atmosfera pari ad oltre 110Mt di CO2/anno. Una migliore e regolamentatagestione dei residui colturali che preveda il lororiutilizzo a fini energetici o una loro reincorpora-zione nel suolo potrebbe tradursi quindi in unariduzione netta delle emissioni. Poiché la produ-zione agricola italiana si concentra nelle areepadane e nelle aree irrigue del meridione, anchela distribuzione territoriale dei residui colturali haun preciso andamento geografico e ciò implicache le eventuali misure finalizzate alle riduzionedelle emissioni nette (emissioni ed assorbimenti)dovranno riguardare proprio quelle aree.L’agricoltura tradizionale italiana nelle aree aseminativo, è stata caratterizzata dall’uso di lavo-razioni profonde del terreno.Questo, insieme ad una gestione non conservativadei residui colturali ed al riordino fondiario basatoessenzialmente sull’accorpamento ha portato, neltempo, ad una forte riduzione del contenuto mediodi sostanza organica dei terreni. Questo è ben evi-denziato dai dati riportati in Figura 2.4.13 dove simostra come la grande maggioranza dei suoli italia-ni contiene meno del 0.9% di carbonio.
TV a colori
Impianto Hi Fi
V ideoregistra-tore
Videocamera Personal Computer
Fax Segreteria telefonica
1998 47,7 62,0 17,1 18,8 4,5 13,8
1999 50,1 63,7 18,2 20,9 6,0 14,5
2000 52,2 64,6 19,1 25,6 6,7 15,0
Fonte: ISTAT
96,1
96,4
95,7
Tabella 2.4.12 - Famiglie che dichiarano di possedere beni durevoli - Anni 1998-1999. Datiper 100 famiglie della stessa zona..
Tabella 2.4.13 - V Censimento Generale dell’Agricoltura 2000
Tipo di coltura Superficie totale (ha) Produzione totale (t)
Coltivazioni Erbacee 5.533.933 5.186.489
Coltivazioni Foraggere 4.905.501 124.038
Coltivazioni Legnose 4.454.584 2.188.075
Ortaggi in Complesso 268.258 10.784.109
Ortaggi in Serra 2.792.500 1.365.486
Totale 17.954.776 19.648.196
Fonte: ISTAT
2. Specificità nazionali
46 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
La consistenza del bestiame mostra un andamentopressoché stazionario, aggirandosi intorno alle7.362 migliaia di capi bovini e 11.016 migliaia dicapi ovini nel 1999 (vedi Tabella 2.4.13).Nel 1999 si è rilevata una sostanziale stabilità deiconcimi minerali e di quelli organo-minerali. I pro-dotti minerali hanno registrato un leggero aumento(+0,3%) dovuto all’azione combinata dell’incre-mento dei prodotti minerali semplici (+2,0%) ed alcalo di quelli composti (-1,8%). Fra i formulati sem-plici, gli incrementi più rilevanti sono risultati quellirelativi agli altri azotati (+123,7%), al solfatoammonico (+8,0%), al cloruro potassico (+7,5%)ed all’urea (+4,7%). Tra i concimi minerali compo-sti, ad un incremento dei prodotti binari (+1,9%) hafatto da contrappeso una diminuzione di quelli ter-nari (-3,9%). I concimi organo-minerali sono risulta-ti pressoché stabili, facendo registrare solo una leg-gera flessione (-0,5%).
2.4.6 FORESTE
Il nostro Paese ha un ricchissimo patrimonio biolo-gico vegetale e numerose unità paesaggistiche, contipologie a volte fortemente diversificate fra loro. Lapenisola italiana costituisce infatti un ponte che col-lega gli ambienti centro-europei, anche di tipo con-tinentale, con quelli mediterranei.Tale diversificazione si evidenzia, per quantoriguarda il patrimonio forestale, con il passaggiodai boschi alpini di resinose, affini a quelli del cen-
tro e nord Europa, ai boschi misti di latifoglie finoalla macchia mediterranea e alle formazioni deiclimi caldo-aridi assimilabili a quelli dei paesi nord-africani.
Superfici forestaliNon è disponibile una stima aggiornata dellerisorse forestali italiane derivante da un vero eproprio rilievo inventariale visto che l’InventarioForestale Nazionale (IFN) risale al 1985. I dati uffi-ciali più recenti sono per le foreste gestite quellidell’Istat, per le foreste non gestite quelli dell’IFN(Tabella 2.4.16).
In base ai dati di tabella 2.4.16 il coefficiente diboscosità del nostro Paese risulta pari al 29.5%.Circa 6,5 milioni di ettari sono rappresentati daboschi gestiti atti all’approvvigionamento di legname,ove non si hanno restrizioni di carattere legale, eco-nomico od ambientale tali da esercitare un significa-tivo impatto negativo sulle possibilità di utilizzazioneforestale. Circa cinquanta siti ubicati soprattutto inaree montane rappresentano boschi antichi e semi-naturali, per una superficie complessiva di circa160.000 ettari. Per quanto attiene alle aree naturaliprotette, queste ultime assommano ad oltre 700, isti-tuite ai vari livelli: nazionale, regionale e locale. Esseoccupano una superficie di oltre 2,5 milioni di ettari(8% del territorio nazionale). Va evidenziato che laflora italiana è la più ricca a livello europeo: le piantevascolari sono 5.463, di cui 712 endemiche.I boschi gestiti sono governati per circa il 53% a
A B
Figura 2.4.12 - La figura mette a confronto la distribuzione spaziale dell’intensità fondiaria (A) e la produzione agricola totale espressa in Mt (B) per l’intero territorio italiano. I dati sono aggregati su base provinciale.
2. Specificità nazionali
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 47
ceduo semplice e composto e per il 43% a fustaia;il restante 4% è rappresentato da macchia mediterra-nea.Le fustaie coetanee o coetaneiformi rappresentanoquasi il 60% del totale delle fustaie: tra esse sononettamente prevalenti (poco meno di due terzi) quel-le di età non superiore a 40 anni (TBFRA).Secondo i dati ISTAT 2000, la superficie forestalenazionale è aumentata del 3% nell’ultimo decennio.
Massa e produttività legnosaAl 2000 la provvigione legnosa presente nei boschigestiti e nelle altre aree forestali secondo nostre ela-
borazioni, basate su dati ISTAT e dati IFN, assommaa 1.711 Mm3 di cui 1.436 Mm3 nei boschi gestiti(609 Mm3 nei cedui e 827 Mm3 nelle fustaie); l’in-cremento legnoso annuo è pari a 49,6 Mm3.
Utilizzazione delle produzioni legnose forestaliLe utilizzazioni legnose sono state caratterizzatenell’ultimo trentennio da un andamento ciclico conun minimo nel 1976 (5,4 Mm3) e massimi nel 1994e 1999 (oltre 9,9 Mm3).I boschi italiani sono largamente orientati verso pro-duzioni di basso valore unitario. Infatti nella mag-
Figura 2.4.13 - Distribuzione del contenuto percentuale di carbonio organico nei suoli agri-coli italiani (fonte ICS, Ministero per le Politiche Agricole e Forestali, Firenze)
Tablella 2.4.14 - Consistenza del bestiame (migliaia di capi)
1997 1998 1999
Bovini 7.334 7.315 7.362
Ovini 10.893 10.894 11.016
Suini 8.292 8.322 8.414
Fonte: ISTAT
Suoli Italiani
Carbonio organico
meno di 0.4%
meno di 0.9%
Chilometri
2. Specificità nazionali
48 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
gior parte delle regioni italiane prevale la produzio-ne di legna per combustibili (oltre il 60% delle uti-lizzazioni legnose totali). Al calo della domanda dilegna da ardere, alla fine degli anni ’60 e negli anni‘70, è seguita una ripresa significativa del consumoche si è mantenuta sostenuta fino ad oggi. Nel1999 le utilizzazioni di legname da lavoro sonorisultate pari a 3,9 Mm3, di cui quasi il 75% costi-tuito da legname di latifoglie la cui destinazioneprincipale è rappresentata dal tondame da sega, da
trancia e compensati (Tabella 2.4.17). La pioppicol-tura, con quasi il 2% della superficie boscata, forni-sce mediamente la metà della produzione naziona-le di legname da lavoro.
La superficie annualmente sottoposta ad utilizzazio-ne è inferiore al 2% della superficie forestale totale.La dimensione media delle tagliate, condizionateanche dalle vigenti normative regionali o provincialiche impongono limiti dimensionali al taglio di
Tabella 2.4.15a - Concimi distribuiti al consumo (in migliaia di quintali)
1998 1999
Azotati 15.100 15.483Nitrati 6.111 7.512Fosfatici 3.236 3.230Perfosfati 3.092 3.115Potassici 1.664 1.686Composti binari 5.189 5.288Composti ternari 10.254 9.851Organo minerali 3.837 3.820
Tabella 2.4.15b - Concimi distributi al consumo per abitante (kg)
1998 1999
Azotati 26 27Nitrati 11 13Fosfatici 6 6Perfosfati 5 5Potassici 3 3Composti binari 9 9Composti ternari 18 17Organo minerali 7 7
Tabella 2.4.16 - Superficie dei boschi gestiti (Istat) e delle complessive aree forestali in Italia(IFN). Valori espressi in migliaia di ettari.
ISTAT (1) IFN (2)
cedui 3.623 3.890
fustaie 2.964 2.973
macchia e altre aree forestali 266 2.036
Totale 6.853 8.899
Fonte: ISTAT
Fonte: ISTAT
(1) Dati Istat: sono considerati boschi i soprassuoli forestali con grado minimo convenzionale di copertura pari al 50% ed estensione minima di 0.5 ha. Stima riferita al 1999.
(2) Dati IFN: sono considerati boschi i s oprassuoli forestali con grado minimo convenzionale di copertura pari al 20%, estensione minima di 0.2 ha e larghezza minima di 20 m. S tima riferita al 1999.
2. Specificità nazionali
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 49
superfici forestali continue e/o contigue, è di circaun ettaro.I prelievi legnosi interessano circa il 22% dell’in-cremento dei boschi gestiti. I residui legnosi delleutilizzazioni forestali lasciati in bosco rappresenta-no una quantità percentualmente trascurabilerispetto alla massa complessivamente tagliata(4%).
Dati economiciLa produzione lorda vendibile assicurata dalle fore-ste italiane si aggira intorno ai 1.000 miliardi di lire.L’Italia è il più grande esportatore di mobili nelmondo con un giro di affari di circa 70.000 miliardil’anno (fonte: Federlegno).
OsservazioniAi fini dell’analisi generale emerge che oltre il 70%dei boschi sono situati in montagna ed alta collinamentre in pianura si trova meno del 25% deiboschi, prevalentemente pioppeti specializzati(Tabella 2.4.18); la gran parte dei boschi è costitui-ta da cedui che nonostante le numerose conversio-ni all’alto fusto effettuate nelle proprietà pubbliche,dominano ancora il panorama italiano. Pertanto iboschi italiani fornendo materiale di scarso pregio(cedui) ed essendo situati su superfici di difficileaccessibilità (montagna) hanno spesso valori di mac-chiatico molto bassi tali da rendere, a volte, le uti-lizzazioni non convenienti.In attesa di un dettagliato inventario forestalenazionale i dati presentati forniscono solamentel’ordine di grandezza dei parametri. In particolare, ivalori di prelievo riportati dalle statistiche ufficialisono da ritenere sottostimati (ISTAT).
2.4.7 RIFIUTI
2.4.7.1 Produzione e raccolta dei rifiuti urbani
La produzione di rifiuti urbani (RU) in Italia, secon-do recenti stime [1], è pari a circa 28,4 Mt/a (datorelativo all'anno 1999), corrispondenti ad una pro-duzione giornaliera pro-capite di circa 1,35 kg(492 kg pro-capite su base annua). Di questi 3,71Mt/a (13,1%) sono stati oggetto di raccolta diffe-renziata (RD) con un incremento consistenterispetto agli anni precedenti, anche se inferiore, invalore assoluto all'obiettivo minimo del 15% fissa-to dal D. Lgs. 22/97 ("Decreto Ronchi") per l'annoin questione.Secondo i dati storici disponibili per gli ultimi anni(1996-1999) si riscontra dunque una tendenza allacrescita sia della produzione, sia della frazione rac-colta in modo differenziato, come riportato in det-taglio nella tabella 2.4.19.
2.4.7.2 Gestione dei rifiuti urbani
Di particolare interesse risulta essere la situazionerelativa alle diverse forme di gestione dei RU, chepossono essere così sintetizzate:
• compostaggio della frazione organica selezionata;• trattamenti meccanico-biologici della frazione rac-
colta in modo indifferenziato (produzione CDR/biostabilizzato);
• incenerimento, con o senza recupero di energia;• altre forme di recupero (principalmente trattamen-
ti meccanici finalizzati al riciclo e recupero di mate-riale proveniente da RD);
• smaltimento in discarica controllata.
Prodotto Conifere Latifoglie Totale
L egna per combustibili 370 5.607 5.977 Tondame dasega da trancia e compensati
641 2.016
Legname per traverse ferroviarie
0 18
Legname per travame asciato 48 12 60
L egname per pasta e pannelli 138 797 935
Paleria grossa e minuta puntellame da miniera
76 486
Altri assortimenti da lavoro 161 255 416
TOTALE 1.434 8.475 9.909
Fonte: ISTA T
18
410
1.375 ,
Tabella 2.4.17 - Utilizzazioni legnose in Italia. Valori riferiti al 1999 ed espressi in migliaia di metri cubi.
2. Specificità nazionali
50 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
In accordo ai dati dell'ANPA [1], la situazioneaggiornata è sintetizzata nella tabella 2.4.201
Il recupero di energia tramite la combustionedei rifiuti
Secondo l'ultimo censimento, riferito alla situazionein essere alla fine del 1999, erano operativi sul ter-ritorio nazionale 42 impianti di combustione di RU,come si evince dalla tabella 2.4.21 nella quale sonoriportati anche le quantità trattate e l'entità deirecuperi di energia elettrica e termica effettuati nelperiodo 1997-99.
In particolare nel 1999 l’energia elettrica prodot-ta dalla combustione di RU è ammontata a circa422 GWh/a (con una potenza elettrica installatadi circa 175 MWe) mentre l’energia termica recu-perata (sottoforma di vapore e/o acqua calda) èrisultata essere di poco superiore a 200 GWh/a; ilcorrispondente recupero globale è stato indicati-vamente pari a circa l'11 % del contenuto ener-getico dei RU trattati tramite incenerimento.
Il recupero di energia dalla combustione dibiogas
La captazione del biogas che si sviluppa spontanea-mente nelle discariche controllate di rifiuti organici,obbligatoria per legge per motivazioni di carattereambientale, ha favorito negli ultimi anni il suo recu-pero energetico, grazie anche alla presenza, diincentivi economici2 per la produzione di energiaelettrica da fonti alternative.La maggior parte del biogas è destinato infatti alla pro-duzione di energia elettrica (per lo più tramite motoriendotermici con potenza variabile da 30 kW fino a 1MW) e, in misura molto minore, per impieghi termicidestinati al riscaldamento di edifici, serre o altro.La produzione in gruppi elettrogeni derivati dagruppi Diesel consente di ottenere, specialmente ininstallazioni di taglia medio-grande, impianti disfruttamento con caratteristiche di modularità eflessibilità, necessari per fronteggiare le variazionidella produzione di biogas nel tempo e per garanti-re una maggiore disponibilità in caso di guasti emanutenzioni.
Tabella 2.4.18 - Distribuzione della superficie forestale per quota altimetrica.
Superficie (ha x 1.000)
Anno montagna collina pianura totale
1990 4.048,1 2.376,4 335,6 6.760,1
Tabella 2.4.19 - Produzione e raccolta dei RU
Anno Produzione Raccolta Differenziata
(Mt/a) (Mt/a) (%) Obiettivi DLgs 22/97
1996 26,01997 26,6 2,51 9,41998 26,8 3,0 11,21999 28,4 3,7 13,1 15 %2000 29,02001 25 %
Fonte: ISTAT
Fonte: APAT [1]
(1) Valore stimato.
1 Tali dati sono stati desunti sulla base dei quantitativi trattati nella singola tipologia impiantistica e non coincidononecessariamente con i dati relativi alla produzione, provenendo spesso gli stessi da fonti diverse.
2 In passato, la Delibera CIP n. 6/92 (in vigore fino al dicembre 1996), attualmente, i “certificati verdi”.
(1)
2. Specificità nazionali
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 51
Occorre sottolineare che la quasi totalità (circa il97%) della produzione di energia deriva da bio-gas captato in discariche di RU, mentre altreapplicazioni (fanghi da depurazione acque, deie-zioni di animali, residui di industrie agro-alimen-tari, ecc.) risultano avere un ruolo molto margi-nale.Riguardo al recupero energetico da discariche diRU i principali dati disponibili (numero di impianti,potenza installata e produzione lorda di energiaelettrica) sono riportati sinteticamente nella tabel-la 2.4.22.
2.4.7.3 La produzione dei rifiuti speciali
I dati riguardanti la produzione di rifiuti speciali (RS),relativi all'anno 1998, sono stati elaborati dall'ANPA[1] essenzialmente sulla base delle dichiarazioni(MUD) fatte ai sensi della legge 70/94, opportuna-mente bonificate al fine di garantire una maggiore
affidabilità degli stessi in modo da ridurre, perquanto possibile, il ricorso a stime integrative.Nella definizione della quantità di rifiuti prodotti esi-ste una grossa indeterminazione sulla effettiva enti-tà dei rifiuti inerti, la cui produzione risulterebbepari a 6,3 Mt secondo i dati MUD, valore di moltoinferiore a quello ricavabile tramite la metodologiaadottata a livello europeo che conduce invece aduna stima di circa 20 Mt.Poiché quest'ultimo valore appare essere più reali-stico, assumendolo come riferimento ne consegueche la produzione di RS in Italia, relativamenteall'anno 1998, risulta essere quella riportata sinteti-camente nella tabella 2.4.23, nella quale sono ripor-tati anche i dati relativi all'anno 1997.
2.4.7.4 La gestione dei rifiuti speciali
Si rilevano scostamenti significativi tra i dati diproduzione e quelli di gestione, secondo quanto
Trattamento 1997 1999 Mt/a Mt/a %
Compostaggio 0,60 0,84 2,9
Trattamenti meccanico-biologici (1) 1,89 2,37 8,4
Incenerimento (2) 1,75 2,13 7,5
Altre forme di recupero (3) 0,3 2,1 7,4
Non desumibi le 0,8 - -
Discarica controllata 21,26 79,9 73,8
TOTALE 26,6 28,4 100
Fon te: Elaborazion e ENEA su dati A NPA [1]
(1) Selezione, produzione CDR /biostabilizzato, altri trattamenti (2) F onte: Federambiente [3] (3) Principalmente trattamenti meccanici finalizzati al riciclo di materia
100
21,0
%
2,3
7,1
6,6
1,2
2,9
Tabella 2.4.20 - Gestione rifiuti urbani
Impianti operativ i: 38
di cui con recupero di energia 23 26 27
Rifiuti trattati totali, Mt/a 1,75 1, 98
Rif iuti trattati in impianti con recupero(1), Mt/a 1,18
Potenza elettrica installata, MWe 95 168 175
En ergia elettrica prodotta, MWh 281.911 394.600 421.900
En ergia termica prodotta, MWh 152.832 166.000 200.000
F onte: elaborazione ENEA su fonti v arie [1] [3] [4] [5]
(1) Recupero di energia elettrica e/o term ica
41 42
1,771,41
2,13
Tabella 2.4.21 - Produzione di energia dalla combustione di RU
1997 1998 1999
2. Specificità nazionali
52 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
3 Definizioni riprese, a livello nazionale, dal DLgs 22/97 (allegati B e C).4 Non sono disponibili dati sull'effettiva entità di recupero energetico, che risulta, in ogni caso, essere piuttosto limi-
tata.5 Tali dati sono stati desunti sulla base dei quantitativi trattati tramite la specifica forma di gestione e non coincido-
no necessariamente con i dati relativi alla produzione, provenendo spesso gli stessi da fonti diverse.
riportato nell'ultimo rapporto dell'ANPA [1]. Lacausa di ciò è riconducibile a tutta una serie dimotivazioni tra le quali, senza entrare nel detta-glio, vanno ricordate le indeterminazioni relativeai quantitativi di rifiuti oggetto di recupero e/osmaltimento all'estero, la scarsa standardizzazio-ne delle operazioni di gestione diverse dall'ince-nerimento e dallo smaltimento in discarica (es.messa in riserva, deposito preliminare, ecc.), l'in-troduzione di procedure semplificate per il recu-pero di rifiuti (DM 5 febbraio 1998), tutti fattoriche fanno sì che la contabilizzazione delle quanti-tà di rifiuti gestiti porti a valori minori rispetto aquelli prodotti.Le diverse forme di gestione dei rifiuti speciali sonosintetizzate nell'elenco che segue, nel quale sonoriportate per riferimento anche le rispettive opera-zioni di recupero e smaltimento, così come indivi-
duate negli allegati IIA e IIB della Direttiva 91/156relativa ai rifiuti3:
• compostaggio delle matrici organiche biodegra-dabili (R3)
• recupero di materia (da R2 a R11);• recupero di energia (R1);• incenerimento, con o senza recupero di energia4
(D10);• altre forme di recupero (trattamenti biologici
(D8), trattamenti chimico-fisici (D9), ecc.);• smaltimento in discarica controllata (D1, D5,
D12).
Con riferimento alle suddette forme di gestione i datidisponibili, ripresi dall'ultimo rapporto dell'ANPA [1],sono riportati sinteticamente in tabella 2.4.245.In particolare per l'anno 1998 risultano gestiti com-
Tabella 2.4.22 - Produzione di energia da biogas in discariche di RU
1997 1998
Impianti installati 58 79
Potenza elettrica installata, MWe 90 116
Energia elettrica prodotta, MWh (1) 320.040 478.800
Tabella 2.4.23 - Produzione dei rifiuti speciali (Mt/a)
1997 1998
Rifiuti speciali non pericolosi (RSNP) 36,7 43,76
Rifiuti speciali pericolosi (RP) 3,4 4,06
Rifiuti inerti (RI) 20,40 20,0
Rifiuti speciali non determinati (RSND) 0,41 0,21
TOTALE 60,9 68,0
Fonte: ENEA [5]
Fonte: Elaborazione ENEA di dati APAT [1] [6]
(1) Dati dei rifiuti delle costruzioni e demolizioni.
1
2. Specificità nazionali
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 53
plessivamente, presso installazioni di trattamento esmaltimento, 56,4 Mt di RS, con uno scarto di 11,6Mt rispetto alla produzione totale (68,0 Mt)6, equi-valente ad una percentuale di "corrispondenza"dell'83%.
2.5 ANDAMENTO DELLE EMISSIONINAZIONALI DI GAS SERRA E CONFRONTI INTERNAZIONALI
2.5.1 IL LENTO MIGLIORAMENTO DELL’EFFICIENZA ENERGETICA
Il dato più confortante del panorama energeticoitaliano riguarda il basso rapporto tra consumo dienergia e prodotto interno lordo che nel 1999 èstato pari 71,6 tep/MldLit a prezzi 1995. Talevalore è di poco superiore (3%) a quello mediodei paesi membri dell’Unione Europea. Tuttavia,occorre rilevare che l’efficienza energeticadell’Italia è solo in parte il risultato di politichedirette ad investimenti tecnologici e alla raziona-lizzazione degli usi energetici. I principali determi-nanti della intensità energetica italiana sono dicarattere strutturale: la storica carenza di energia,che ha favorito la creazione di comportamenti edinfrastrutture parsimoniose nell’uso dell’energia euna struttura produttiva non eccessivamenteenergivora; la forte fiscalità, che ha storicamenteaumentato il costo delle fonti energetiche all’u-tenza finale ben oltre i valori tipici negli altri paesi;
il più basso reddito pro-capite, il clima relativa-mente mite; l’elevata densità della popolazione,che tende ad abbassare le percorrenze medie deiviaggi.Il calo dell’intensità negli anni immediatamente avalle del valore massimo, raggiunto nel 1973, dopouna forte crescita negli anni '50 e '60, è stato nelcomplesso più forte di quello verificato negli altripaesi industriali, accelerato dall’espulsione di cicliproduttivi ad alta intensità energetica.Successivamente, ha avuto una linea di decresci-ta meno vistosa che negli altri paesi, particolar-mente negli anni '80. Dal 1985 in poi l’intensitàenergetica è rimasta quasi costante (calo inferio-re al 2%) a fronte di un calo del 7% nell’OCSEnel suo complesso e dell’8% a livello europeo.Rispetto ai maggiori paesi industriali, l’Italia ha,infatti, meno margini per migliorare l’efficienzaenergetica.Inoltre, la normativa ha trovato difficoltà di appli-cazione e un contesto poco ricettivo. La legge n.308 diretta al miglioramento dell’efficienza ener-getica e lo sviluppo delle fonti rinnovabili è statavarata solo nel 1982 e applicata con forti ritardirispetto alle effettive esigenze, ottenendo risultatiinferiori a quelli attesi. La successiva legge n. 10del 1991 non ha prodotto gli esiti previsti per imancati finanziamenti.Entrando nel dettaglio di ciascuno dei settori eco-nomici è possibile valutare il contributo alle emis-sioni nazionali di gas serra derivante dai maggiorifattori settoriali, e distinguerli dai fattori di tipoglobale, quale popolazione e reddito7. I valori
Tabella 2.4.24 - Gestione dei rifiuti speciali (Mt/a)
Trattamento 19972 1999
Mt/a % Mt/a %
Compostaggio 0,94 2 3,44 6.1Recupero di materia 12,21 261 19,25 34Recupero di energia — — 1,06 2.0Incenerimento 0,94 2 0,82 1.5Altri trattamenti 11,7 25 9,4 16.7Discarica controllata 21,0 45 22,4 39.7
TOTALE 46,8 100 56,4 100
Fonte: Elaborazioni ENEA su dati APAT [1]
(1) Dato complessivo relativo al recupero di materia ed energia(2) Valori stimati
6 Occorre anche ricordare che in tale dato complessivo di produzione è riportata una voce stimata piuttosto rilevan-te (20 Mt) relativa alla produzione di rifiuti speciali inerti.
7 La scomposizione delle emissione in fattori rilevanti viene fatta a partire da una estensione delle formula di Kaya(IPCC, SAR, vol.III, cap.1, par 1.3.3.1).
2. Specificità nazionali
54 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
nazionali di emissione, il loro andamento nel pas-sato e le possibili evoluzioni nel futuro si differen-ziano da quelli degli altri paesi perché sono diver-si i valori dei fattori che in modo più o meno diret-to sono legati o sono in grado di “spiegare” leemissioni.La posizione italiana in materia rispetto agli altristati membri si apprezza meglio se si separanodue fattori: uno estensivo (quali sono la popola-zione ed il reddito) ed uno intensivo (quali l’inten-sità di emissioni pro-capite e per reddito).
2.5.2 EMISSIONI SPECIFICHE
Le emissioni nazionali di CO2 sono state l’1,9% delleemissioni mondiali globali, le emissioni dei tre mag-giori gas serra l’1,6%. Il peso dell'Italia rispetto altotale delle emissioni di gas serra a livello mondialeè quindi ridotto. Anche il peso delle emissionidell’Unione Europea sul totale mondiale (14,6% perla sola CO2) è inferiore a quello degli Stati Uniti(maggiore del 20%). Pertanto gli sforzi comunitaridi riduzione delle emissioni, e a maggior ragione
Tabella 2.5.1 - Consumi totali finali di energia per unità di PIL
Indice 1995=100 tep/1000 $USA
1995 1996 1997 1998 1999 1995
Austria 100 103 103 102 100 0,09Belgio 100 109 105 105 102 0,13Danimarca 100 102 96 93 91 0,09Finlandia 100 98 96 95 92 0,18Francia 100 102 100 101 99 0,10Germania 100 103 100 98 95 0,10Grecia 100 107 106 109 105 0,14Irlanda 100 97 93 91 88 0,13Italia 100 100 99 100 101 0,11Norvegia 100 97 92 94 94 0,13Paesi Bassi 100 101 96 92 89 0,14Portogallo 100 101 103 107 108 0,13Regno Unito 100 103 97 95 94 0,12Spagna 100 98 100 102 101 0,15Svezia 100 102 98 94 91 0,07Svizzera 100 102 99 100 100 0,14USA 100 100 96 91 91 0,19Giappone 100 99 98 98 99 0,06UE 15 100 104 102 101 99 0,11
Tabella 2.5.2 - Superficie, popolazione e densità per alcuni Paesi - Anno 1999 (superficie in migliaia di km2; popolazione in migliaia di abitanti)
PAESI
Superficie Popolazione Densità
Francia 552 60.156 109Germania 356 82.087 231Italia 301 57.646 192Regno Unito 244 59.501 244Spagna 505 39.326 78Canada 9.976 30.493 3Stati Uniti 9.363 272.996 29Australia 7.713 18.937 2
Fonte: OCSE
Fonte: OCSE
2. Specificità nazionali
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 55
quelli nazionali, hanno scarso peso a livello mondialese non vengono inquadrati in uno sforzo coordinato alivello internazionale più ampio, allargato anche allenazioni in via di sviluppo (IPCC, TP4, 1997).Il peso delle emissioni italiane di anidride carbonica èpiù contenuto rispetto a quello di altri paesi sviluppa-ti a parità di reddito e di popolazione (vedi Tabella2.5.3): in particolare le emissioni pro-capite nel 1999sono in Italia di quasi 8 tonnellate di CO2 l’anno, men-tre il valore medio dell’EU è circa 8,6 , quellodell’OCSE circa 11,5 e negli Stati Uniti circa 20.
Le emissioni italiane di CO2 costituiscono il 14,0% diquelle dell’Unione Europea; se si conteggiano i tremaggiori gas serra, le emissioni nazionali pesano peril 12,3%. Come si può notare dalle Figure 2.5.1, trat-te dal cap.3 della SCN, il peso delle emissioni com-plessive nel 1995 è inferiore a quello della popolazio-ne e del reddito perché l’intensità carbonica del red-dito e l’emissione pro-capite sono inferiori ai valorimedi comunitari ed in particolare inferiori a quello dipaesi importanti come la Germania e il Regno Unito.La situazione è rimasta abbastanza costante negli annisuccessivi.
2.5.3 SVILUPPO STORICO DELLE EMISSIONI DICO2 NEL CONTESTO DELL’UNIONE EUROPEA
Nel 1999 le emissioni complessive di anidride carboni-ca da parte dei 15 paesi membri dell’unione europea
- e lo stesso discorso vale per l'Italia - si sonoridotte di più del 10% rispetto ai valori massimisegnati nei primi anni settanta, le emissioni pro-capite si sono ridotte del 13% nello stesso perio-do, l’intensità carbonica del reddito di più del40% (vedi Figura 2.5.2). Infatti per ridurre il costodell’energia, la dipendenza del proprio sistemaenergetico dal petrolio ed i rischi di interruzionedelle forniture dopo le crisi petrolifere del 1973 edel 1981, tutti i paesi europei hanno operato scel-te che hanno avuto per conseguenza la riduzionedelle emissioni, e fatto investimenti in opzioni tec-nologiche diverse (efficienza energetica, uso delmetano, nucleare). Negli anni più recenti, periodo1990-1999, le emissioni di anidride carbonicasono diminuite del’1,4% e quelle complessive digas serra del 4%.Con riferimento agli impegni del Protocollo diKyoto dei singoli paesi europei, vedi tabella 2.5.4,l’evoluzione delle emissioni nel periodo 1990-1999 è riportata in tabella 2.5.5. Il quadro com-plessivo si presenta piuttosto articolato e le situa-zioni dei diversi paesi rispetto all’obiettivo sonoabbastanza diverse tra loro. L’indicatore DTI(Distance To Target Indicator) fotografa la situa-zione nel 1999 rispetto al livello in cui si sarebbe-ro dovute trovare le emissioni nel 1999 suppo-nendo una loro evoluzione lineare dal 1990 al2010.La maggioranza dei paesi, tra cui l’Italia, èpiuttosto lontana dall’obiettivo.
Tabella 2.5.3 - Emissioni pro-capite di CO2 e reddito pro-capite in alcuni paesi (1995 e 1999)
PAESI
PIL pro-capite ($1995) CO2 pro-capite (kg)
1995 1999 1995 1999Austria 29,228 31,896 8,428 8,156Belgio 27,217 29,720 11,819 11,446Danimarca 34,508 37,343 13,064 10,712Finlandia 25,313 30,358 16,355 12,391Francia 26,179 28,220 6,918 6,719Germania 30,104 31,713 10,770 10,472Grecia 11,249 12,597 7,511 9,398Irlanda 18,439 25,207 9,598 11,215Italia 19,148 20,175 7,351 7,930Olanda 26,831 30,128 11,457 11,007Portogallo 10,830 12,312 5,607 5,812Spagna 14,894 17,032 6,612 7,129Svezia 27,212 29,860 9,300 6,322Regno Unito 19,223 21,079 9,567 9,008UE 15 23,050 24,985 8,867 8,643USA 27,895 31,457 20,948 19,996 Giappone 40,913 42,279 9,587 8,918 OCSE 23,207 25,103 11,823 11,505
Fonte: OCSE; EEA; * sono relativi al 1998.
***
2. Specificità nazionali
56 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
2.5.4 EVOLUZIONE DELLE EMISSIONI SPECIFICHE DI CO2 PER ALCUNI DEI PRINCIPALIINDICATORI, NEL CONTESTO DELL’UNIONEEUROPEA
I diversi stati dell’unione europea presentano speci-ficità nazionali dal punto di vista industriale ed agri-colo molto diversificate. In particolare le struttureindustriali sono ragionevolmente complete solo neglistati maggiori: Francia, Germania, Italia, Regno Unito
e Spagna. Si riportano nel seguito alcuni indicatorinazionali di efficienza energetica e qualche esempiodello stesso indicatore convertito in emissioni, limitatoa questi cinque paesi, al fine di evidenziare a livellosettoriale la situazione italiana. Questi indicatori sonoricavati da una banca dati comune a livello europeo,ODYSSEE, gestita in Italia da ENEA.Non è semplice trarre conclusioni generali da questiparagoni, è però possibile individuare con maggioreprecisione i settori in cui agire ai fini delle politiche
Figura 2.5.1a: Livello delle emissioni pro capite di CO2 e peso degli stati membri(EU-15, 1990)
Figura 2.5.1b: Peso e livello dell’intensità carbonica del reddito (EU-15, 1990)
Figura 2.5.1 - Peso e livello delle emissioni dei stati membri, pro capite e per intensità car-bonica del reddito
popolazione (in milioni)
popolazione (in milioni)
Pil (in miliardi di $USA 1990)
2. Specificità nazionali
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 57
Tabella 2.5.4 - Impegni degli stati membri in accordo con l’articolo 4 del Protocollo diKyoto, secondo quanto concordato dal Consiglio dei Ministri (“EU burden sharing”, Giugno 1998)
Stato Membro Impegno (% di cambiamento delle emissioni del paniere dei 6 gas serra nel 2008-2012 rispetto all’anno base)
Austria -13Belgio -7,5Danimarca -21Finlandia 0Francia 0Germania -21Grecia +25Irlanda +13Italia -6,5Lussemburgo -28Olanda -6Portogallo +27Spagna +15Svezia +4Regno Unito -12,5
Tabella 2.5.5 - Evoluzione delle emissioni gas serra espressa in t CO2 equivalente (esclusi icambiamenti degli usi del suolo e le foreste) e gli obiettivi del Protocollo di Kyoto per il2008-2012
1990 (MtCO2 eq.) 1999 (MtCO2) variazione 1998 variazione 1990 Obiettivo 2008-20 Distanza 1999 % 19991 % del Protocollo di dall’indicatore
Kyoto e suddivisione obiettivo (ITI)dell’onere % indice %
Austria 76,9 79,2 0,0% 2,6% -13,0% 8,5
Belgio 136,7 140,4 -3,4% 2,8% -7,5% 6,1
Danimarca 70,0 73,0 -4,6% 4% -21,0% 13,5
Finlandia 77,1 76,2 -0,8% -1,1% 0% -1,1
Francia 545,7 544,5 -2,2% -0,2% 0% -0,2
Germania 1206,6 982,4 -3,7% -18,7% -21% -9,3
Grecia 105,4 123,3 -0,7% 16,9% 25% 5,7
Irlanda 53,5 65,4 2,5% 22,1% 13% 16,3
Italia 518,3 541,1 0,9% 4,4% -6,5% 7,3
Lussemburgo 10,8 6,1 4,6% -43,3% -28% -30,7
Olanda 215,8 230,1 -2,9% 6,1% -6% 8,8
Portogallo 64,6 79,3 2,9% 22,4% 27% 10,2
Spagna 305,8 380,2 6,1% 23,2% 15% 16,5
Svezia 69,5 70,7 -2,6% 1,5% 4% -0,3
Regno Unito 741,9 637,9 -6,5% -14,0% -12,5% -8,4
EU Totale 4198,6 4029,8 -2,0% -4,0% -8,0% -0,4
1) Per i clofluorocarburi la maggior parte degli stati membri ha scel to un anno base diverso dal 1990 (speci ficatamente i l 1995), come consentito dal Protocollo di Kyoto. In questo rapporto sono però utilizzate le emis sioni del 1990 per tu tti i gas.
Fonte: EEA (2001)
2. Specificità nazionali
58 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
e misure ed il tipo di azione. Gli indicatori di tipogenerale sono riportati per conoscenza, quelli alivello settoriale sono invece utili per l’impostazionedel lavoro sulle politiche e misure. Non risulta peròsempre chiaro agli analisti e negoziatori internazio-nali che i paesi che già hanno investito in opzioni diriduzione non hanno più a disposizione queste stes-se scelte e per conseguire ulteriori riduzioni devonoricorrere ad opzioni di mitigazione più costose.
2.5.4.1 Indicatori generali
L’intensità energetica primaria in Italia, calcolata aprezzi costanti del 1995, si posiziona in una fascia
intermedia: al di sopra di Francia, Germania e dellamedia europea e al di sotto di paesi come Spagna eRegno Unito. Questa è una situazione abbastanzanuova per l’Italia che storicamente aveva la piùbassa intensità tra i paesi europei. E’ necessariospiegare che questo cambiamento nella posizionerelativa è dovuto al cambio dell’anno di riferimentoper il calcolo del PIL a prezzi costanti. Infatti, l’ap-prezzamento o il deprezzamento delle varie mone-te nazionali nei confronti dell’ECU nel periodo1990-1995 ha provocato dei cambiamenti nellaposizione relativa dei vari paesi in termini di intensi-tà energetica primaria o finale non attribuibili amiglioramenti o peggioramenti dell’efficienza ener-
96,0
92,0
98,4 100,0
80
90
100
110
120
1990 1992 1994 1996 1998 2000 2002 2004 2006 2008 2010 2012
Inde
x
Greenhouse gas emissions Target path 2010
GHG target 2010 CO2 emissions
Target path 2000 CO2 target 2000
1965 1970 19 75 1980 19 85 1990 1995 0, 4
0, 5
0, 6
0, 7
0, 8
tC O 2 /k U S $ 9 0
Figura 2.5.2a - EU15, emissioni di gas serra conparate con gli obiettivi per il 2000 edil 2008-2012 (ecluso LUCF)
Figura 2.5.2b - Intensità carbonica del reddito: media EU - 15
2. Specificità nazionali
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 59
getica (intesa come efficienza tecnica o di riduzionedei consumi di energia per unità fisica di prodotto).In tal modo, considerando che la lira italiana si èdeprezzata del 40% in termini nominali nel periodo1990-1995 rispetto all’ECU (2.130 Lit/ECU nel 1995contro 1.522 Lit/ECU nel 1990), si è registrata unadiminuzione del PIL italiano espresso in ECU (vale adire una perdita di valore economico della produ-zione italiana), che si è riflessa sull’andamento del-l’indicatore di intensità calcolato per unità di PIL.Viceversa, altri paesi come la Francia e la Germania,che hanno avuto un apprezzamento nei tassi dicambio con l’ECU, hanno evidenziato un andamen-to dell’intensità energetica migliore rispetto agli altriPaesi. L’adozione dell’Euro con un tasso di cambiofisso, pari a 1.936,27 lire, renderà tali andamentirelativi, nel prossimo futuro, abbastanza similari aquesti presentati. Naturalmente, le variazioni tra unanno e l’altro, per lo stesso Paese, non risentono ditale influenze.L’intensità energetica primaria in Italia presenta unandamento di relativa stabilità, con una leggera cre-scita negli ultimi due anni, crescita evidenziataanche dalla Spagna. Viceversa, la Francia ed ilRegno Unito hanno ridotto la loro intensità di circail 2% annuo nel periodo 1996-1999, mentre laGermania ha registrato una diminuzione di quasi il2,5%. L’unione Europea ha seguito un andamentosimile registrando una riduzione di circa 2% annuo.L’indicatore dell’intensità energetica primaria perl’Unione Europea si è ridotto nel 1999 del 2,2%rispetto al 1998, mostrando una tendenza chiara-mente contraria a quella manifestata dall’indicatorenazionale (+0,5%). Rispetto al 1990, l’intensitàenergetica primaria dell’Unione Europea si è ridottadel 13,6%, con un tasso medio annuo di -1,5%.La Commissione Europea ha stabilito, nel Piano diazione per il miglioramento dell’efficienza energeti-ca della Comunità Europea presentato nel 2000, unobiettivo di riduzione dell’intensità energetica pri-maria di un 1% annuo fino al 2010, con la volontàdi voler contribuire con questo alla riduzione delleemissioni di CO2. L’Italia appare ancora lontana dalconseguimento di tale risultato, come mostrato daltasso di decremento annuo registrato dal 1990 al1999 pari a -0,1%.Alla base delle variazioni negli indicatori di efficien-za energetica vi sono le differenze nella strutturaproduttiva dei diversi Paesi (maggiore o minorepeso di un settore industriale “energy intensive”, ilpeso relativo del settore trasporti), e le differenzenelle tipologie di struttura della generazione elettri-ca. Le differenze nel peso relativo dei diversi settoriindustriali e dei servizi nella composizione del PIL diciascun Paese si traduce in variazioni negli indicato-ri di intensità finale, mentre le differenze nella strut-tura della generazione elettrica (maggiore o minorepeso della generazione idroelettrica, da fonti rinno-
vabili, presenza o meno del nucleare) si riflettononelle variazioni degli indicatori di intensità primaria.Alcuni Paesi, come Regno Unito, Spagna, Grecia,Germania e Danimarca, producono più del 30%della loro rispettiva energia elettrica con impiantitermoelettrici a carbone, che presentano un rendi-mento medio inferiore rispetto agli impianti che uti-lizzano altre fonti. L’impiego di gas naturale inimpianti a ciclo combinato può innalzare il rendi-mento medio al 51%, a fronte di un rendimento del35/36% in un impianto a carbone. Anche il mag-giore o minore uso di risorse naturali per la genera-zione elettrica (idroelettrica in modo principale, maanche geotermica, eolica, ecc.) determinano le dif-ferenze osservate tra i vari Paesi.In Italia il processo di riduzione dell’intensità prima-ria è stato rallentato anche dal fatto che negli anni90 il prezzo del petrolio è stato mediamente piùbasso di quello degli anni 80, oltre all’allontana-mento nel tempo dell’impatto dello shock petrolife-ro degli anni 70.
Per eliminare almeno parzialmente l’effetto delcambio sul calcolo degli indicatori, si calcolano icosiddetti indicatori di intensità energetica a pari-tà di potere d’acquisto (prezzi costanti del 1995),che risultano più adatti per effettuare un’analisicomparativa tra i Paesi, rispecchiando meglio ilvalore delle merci e servizi nei vari Paesi. In taleottica, l’intensità primaria dell’Italia a parità dipotere d’acquisto risulta la più bassa dei Paesi dellaUE e mediamente inferiore del 30% a quella diFrancia e Regno Unito.
L’intensità finale si riduce in maniera generalizzatain Europa durante gli anni 80 e 90 per i noti cam-biamenti strutturali che si sono avuti nell’economiadei vari Paesi e riconducibili ad un abbandono delleindustrie ad alta intensità energetica favore di altremeno intensive, alla terziarizzazione dell’economiae alla riduzione del peso delle industrie di base, non-ché alla dematerializzazione dell’economia. Perl’Italia tale fenomeno è stato controbilanciato dallacrescita relativa del settore trasporti.Guardando alla intensità energetica finale a paritàdi potere d’acquisto, tabella 2.5.9 e figura 2.5.4,l‘Italia presenta i valori più bassi ed inferiori del 20%rispetto a Francia e Germania nel 1999.
2.5.4.2 Indicatori del settore industria
In questo settore sono presentati due tipi di indica-tori: quello dei consumi energetici rispetto al valoreaggiunto (intensità energetica, direttamente pro-porzionale alle emissioni di gas serra) e quello tec-nologico dei consumi specifici per la produzione dialcuni materiali.Il primo tipo di indicatore è calcolato per il compar-
2. Specificità nazionali
60 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
Tabella 2.5.6 - Intensità energetica primaria (kep/ECU95).
1990 1995 1996 1997 1998 1999
Francia 0,205 0,210 0,216 0,209 0,208 0,204Germania - 0,204 0,209 0,205 0,199 0,194Italia 0,215 0,214 0,212 0,211 0,212 0,213Spagna 0,229 0,236 0,231 0,236 0,242 0,243Regno Unito 0,269 0,255 0,263 0,262 0,258 0,252UE 0,235 0,211 0,215 0,210 0,208 0,203
Tabella 2.5.7 - Intensità energetica primaria a parità di potere d’acquisto (kep/ECU95p).
1990 1995 1996 1997 1998 1999
Francia 0,224 0,229 0,236 0,228 0,227 0,223Germania - 0,242 0,248 0,243 0,236 0,230Italia 0,172 0,171 0,170 0,169 0,170 0,171Spagna 0,189 0,195 0,191 0,195 0,200 0,201Regno Unito 0,234 0,222 0,228 0,228 0,225 0,219
EU 0,235 0,211 0,215 0,210 0,208 0,203
Tabella 2.5.8 - Intensità energetica finale (kep/ECU95).
1990 1995 1996 1997 1998 1999
Francia 0,126 0,125 0,125 0,125 0,123 0,120Germania - 0,118 0,122 0,119 0,115 0,111Italia 0,138 0,137 0,137 0,135 0,137 0,139Spagna 0,145 0,149 0,149 0,147 0,150 0,149Regno Unito 0,179 0,172 0,178 0,167 0,166 0,164EU 0,151 0,136 0,140 0,136 0,134 0,132
Tabella 2.5.9 - Intensità energetica finale a parità di potere d’acquisto (kep/ECU95p).
1990 1995 1996 1997 1998 1999
Francia 0.138 0.136 0.136 0.136 0.134 0.131Germania - 0.140 0.145 0.141 0.137 0.132Italia 0.111 0.110 0.110 0.108 0.110 0.111Spagna 0.120 0.123 0.123 0.122 0.124 0.123Regno Unito 0.156 0.149 0.154 0.145 0.144 0.142EU 0.151 0.136 0.140 0.136 0.134 0.132
Fonte: ODYSSEE
Fonte: ODYSSEE
Fonte: ODYSSEE
Fonte: ODYSSEE
2. Specificità nazionali
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 61
to industriale nel suo complesso e per i settori dellasiderurgia, metalli non ferrosi, chimica e carta.Questi dati rispecchiano bene l’andamento com-plessivo del comparto cui si riferiscono e presentanoun andamento generalmente decrescente negli ulti-mi anni perché sono legati ai valori monetari dellemerci ed incorporano anche eventuali cambiamentidi produzione (ad esempio passaggio dalla chimicadi base alla chimica “fine” a più alto valore aggiun-to e minori consumi energetici). Ogni indicatore set-toriale rispecchia la struttura del comparto indu-
striale cui si riferisce e quindi la presenza o meno dilavorazioni “energy intensive”. Dal punto di vista delconfronto internazionale di questi indicatori contapiù l’evoluzione temporale che il valore assoluto.Il secondo indicatore si riferisce alle produzioni fisi-che, sono calcolati quelli relativi ai settori dell’ac-ciaio, cemento, siderurgia, e carta. L’evoluzione deiconsumi specifici è legata a cambiamenti nel pro-cesso produttivo e nell’efficienza energetica deiprocessi. In questo secondo caso il confronto inter-nazionale è molto più agevole e diretto.
0,160
0,170
0,180
0,190
0,200
0,210
0,220
0,230
0,240
0,250
0,260
90 91 92 93 94 95 96 97 98 99
kep/
EC
U9
5p
I talia Franc ia Regno Unito Germania Spagna UE
Figura 2.5.3 - Intensità energetica primaria a parità di potere d’acquisto
0,090
0,100
0,110
0,120
0,130
0,140
0,150
0,160
0,170
0,180
90 91 92 93 94 95 96 97 98 99
Kep
/EC
U9
5p
Italia Francia Regno Unito Germania Spagna UE
Figura 2.5.4 - Intensità energetica finale a parità di potere d’acquisto
2. Specificità nazionali
62 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
L’intensità energetica del settore industria, perl’Italia, presenta una riduzione costante lungo tuttigli anni 90: -5,4% nel periodo 1990-1999 (con untasso medio annuo di -0,6%), concentrata nelprimo quinquennio seguito da una sostanziale sta-bilità nel periodo 1995-1999.Questa notevole performance dell’industria italia-na si inquadra nella tendenza generalizzata di tuttii Paesi della UE al miglioramento dell’efficienzaenergetica registratasi negli anni 80. In queglianni, Paesi come la Francia, l’Italia e l’Austria regi-stravano miglioramenti superiori al 30%. Neglianni 90, invece, si ha una riduzione più contenuta(-2,7% per la UE nel periodo 1990-1995) conalcuni Paesi addirittura in crescita (+3,5% per laFrancia).In Italia, la riduzione dell’intensità energetica dell’in-dustria nel suo complesso è il risultato di una per-formance variegata all’interno dei sottosettori nelperiodo 1990-1999
• riduzione del 20% per l’industria metallurgica• riduzione del 17% per l’industria chimica• riduzione del 11% per l’industria dei minerali
non metalliferi, ossia laterizi, cemento calce,gesso ecc.
• riduzione del 15% per l’industria della carta (macon dati da confermare) e con una variazione di-9% nel 1999 rispetto al 1998.
Sulla base di questo quadro e del confronto inter-nazionale dovrebbe essere improbabile un’ipotesi diulteriore riduzione sostanziale dell’intensità energe-tica in Italia. Un’ipotesi attendibile prevede unariduzione sostanzialmente allineata all’andamentodel PIL e quindi una sostanziale stabilità dei consu-mi fisici di combustibili.
A livello di consumi specifici (quantità di energia sutonnellate di prodotto), storicamente, le statisticheufficiali danno per l’Italia dei valori sempre moltocompetitivi. I dati mostrano un diminuzione deiconsumi specifici nella produzione di acciaio e nella
metallurgia, a seguito degli importanti investimentifatti negli anni 90, e una sostanziale stabilità nellaproduzione di cemento e carta. Il paragone a livellointernazionale è abbastanza differenziato mostran-do livelli di consumo assai contenuti nei settori del-l’acciaio e della metallurgia mentre per la carta e delcemento sembrano esserci ancora margini di miglio-ramento, soprattutto rispetto alla Francia.Tuttavia, deve essere sottolineata la mancanza diindagini statistiche accurate sui consumi specificinel nostro paese. I dati riportati si riferiscono allestatistiche disponibili, nel 1999 è stata avviataun’indagine più approfondita: incrociando i dati diun’indagine ENEA-MAP-ISTAT sui consumi di ener-gia nel 1999 con quelli ISTAT sulla produzione, siottengono risultati abbastanza contrastanti rispet-to a quanto conosciuto finora: i tep necessari perprodurre una tonnellata di cemento sarebberocirca il 20% in più di quello che impiegano gli altriPaesi. C’è da dire, però, che per l’Italia sono staticonsiderati anche i cosiddetti combustibili nonconvenzionali che ancora non sono stati contabi-lizzati negli altri Paesi. Tuttavia, tale indicatorericalcolato per l’Italia mostra una riduzione per glianni 90 (circa -2%).In conclusione il settore industriale ha presentato,nella sua interezza così come in molti sottosettori,miglioramenti dell’efficienza energetica nei 10 anniappena trascorsi e dovrebbero esserci ancora picco-le ma significative possibilità di miglioramento deiprocessi in alcuni sottosettori.
2.5.4.3 Indicatori del settore trasporti
L’intensità energetica del settore trasporti, calcolatarispetto al PIL, è aumentata di ben il 6,5% nel perio-do 1990-1999, con un tasso medio annuo pari a+0,7%. Questo andamento positivo negli anni 90 inItalia contrasta con l’evoluzione che l’indicatore haavuto in altri Paesi, quali il Regno Unito (-8%), laDanimarca, e la UE nel suo complesso (-5%), chefanno registrare riduzioni medie del 1% annuo.Bisogna, tuttavia, puntualizzare che l’indicatore di
Tabella 2.5.10 - Intensità energetica dell’industria (kep/ECU95).
1990 1995 1996 1997 1998 1999
Francia 0,162 0,162 0,165 0,169 0,170 0,168Germania - 0,109 0,110 0,109 0,107 0,106Italia 0,162 0,156 0,153 0,156 0,155 0,153Spagna 0,149 0,144 0,140 0,144 0,138 0,128Regno Unito 0,144 0,136 0,129 0,123 0,123 0,126
EU 0,139 0,137 0,135 0,136 0,131 0,135
Fonte: ODYSSEE
2. Specificità nazionali
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 63
intensità energetica del settore trasporti, calcolatorispetto al PIL, non appare come il più adeguato peranalizzare il miglioramento o il peggioramento del-l’efficienza energetica del settore, perché la varia-zione annuale del PIL è il frutto di un gran numerodi fattori che vanno al di là di quelli correlati all’au-mento del traffico.Analizzando le specificità nazionali è da sottolinea-re che, come è noto, esiste una relazione diretta tral’aumento delle attività economiche dei settori pro-duttivi di base (agricoltura ed industria) e l’incre-
mento di traffico delle merci. L’economia italianainoltre mostra un crescente grado di apertura versola UE, ma l’Italia, oltre ad una geografia/orografiapeculiare rispetto agli altri paesi europei, si trova,come alcuni altri Paesi quali Spagna e Grecia, in unaposizione geografica periferica rispetto al baricentrodell’Europa, ed è quindi sfavorita nel commercio diprodotti nel mercato europeo rispetto a Paesi qualiDanimarca, Belgio, Francia e Germania, determi-nando un aumento del traffico e costringendo lemerci a viaggi mediamente più lunghi.
Tabella 2.5.11 - Intensità energetica dell’industria metallurgica (kep/ECU95).
1990 1995 1996 1997 1998 1999
Germania - 1,09 1,07 1,07 1,07 1,09Italia 0,36 0,33 0,30 0,31 0,30 0,29Spagna 2,36 1,88EU 1,19 1,08 1,06 1,07 1,01
Tabella 2.5.12 -Intensità energetica dell’industria chimica (kep/ECU95).
1990 1995 1996 1997 1998 1999
Francia 0,42 0,37 0,36 0,34 0,36Germania - 0,22 0,23 0,22 0,20 0,20Italia 0,38 0,35 0,33 0,33 0,31Spagna 0,53 0,68 0,62 0,80 0,67 0,46Regno Unito 0,36 0,31 0,31 0,34 0,33 0,35EU 0,30 0,23 0,22 0,21 0,20
Tabella 2.5.13 - Intensità energetica dell’industria dei minerali non metallici (kep/ECU95).
1990 1995 1996 1997 1998 1999
Francia 0,48 0,41 0,41 0,41 0,43 0,48Germania - 0,41 0,44 0,44 0,43Italia 0,53 0,48 0,46 0,47 0,48 0,53Spagna 0,86 0,69 0,77 0,83 0,84 0,86Regno Unito 0,53 0,47 0,50 0,42 0,41 0,53EU 0,52 0,46 0,47 0,46 0,44 0,52
Fonte: ODYSSEE
Fonte: ODYSSEE
Fonte: ODYSSEE
2. Specificità nazionali
64 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
L’aumento dell’intensità energetica non è dovutoperò al solo traffico merci ma all’azione combinata diquest’ultimo insieme al forte, finora inarrestabile,aumento del parco circolante delle auto (da 27,4milioni nel 1990 a 32,0 milioni nel 1999) e del con-temporaneo aumento della percorrenza media annuadei veicoli (da 11.040 km nel 1990 a 12.985 km nel1999). Questi elementi insieme compensano abbon-dantemente i miglioramenti e la riduzione dei consu-mi specifici tanto delle auto che dei veicoli pesanti.
Ulteriori elementi conoscitivi per spiegare l’evoluzio-ne dell’efficienza energetica del settore emergonoda particolari indicatori di consumo di energia perveicolo quali i consumi per autovettura o quelli pertonnellata di merci trasportata.Ad esempio, prendendo in considerazione la mediadei consumi specifici delle auto nuove, vendute in undeterminato Paese (calcolate come media pesata traveicoli a benzina e a gasolio), per l’Italia si è avuta unariduzione di circa il 4% nel periodo 1990-1999 (l’indi-
Tabella 2.5.14 - Intensità energetica dell’industria della carta (kep/ECU95).
1990 1995 1996 1997 1998 1999
Francia 0,22 0,25 0,25 0,23 0,24Germania - 0,15 0,14 0,14 0,15 0,15Italia 0,18 0,21 0,22 0,23 0,22 0,20Spagna 0,28 0,36 0,34 0,35 0,35 0,33Regno Unito 0,12 0,12 0,12 0,12 0,12 0,12EU 0,19 0,17 0,17 0,17 0,17
Tabella 2.5.15 - Consumo energetico unitario per la produzione di acciaio(tep/tonnellate acciaio prodotto).
1990 1995 1996 1997 1998 1999
Francia 0,42 0,40 0,38 0,36 0,35Germania - 0,36 0,37 0,34 0,35 0,35Italia 0,29 0,28 0,29 0,28 0,27 0,26Spagna 0,38 0,27 0,27 0,22 0,19 0,18Regno Unito 0,46 0,48 0,48 0,48 0,50 0,50EU 0,36 0,35 0,35 0,34 0,33
Tabella 2.5.16 - Consumo energetico unitario per la produzione di cemento(tep/tonnellate cemento prodotto).
1990 1995 1996 1997 1998 1999
Francia 0,08 0,08 0,09 0,09 0,09 0,09
Germania - 0,08 0,08 0,08 0,07 0,06Italia 0,10 0,11 0,10 0,10 0,10 0,10
Spagna 0,09 0,08 0,09 0,08 0,08
Fonte: ODYSSEE
Fonte: ODYSSEE
Fonte: ODYSSEE
2. Specificità nazionali
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 65
catore passa da 7 l/100 km a 6,7 l/100 km; in parti-colare questo ultimo valore è la media tra 6,9 l/100kmper i nuovi veicoli a benzina e 6,3 l/100 km per quellia gasolio). Confrontando questo indicatore con quel-lo degli altri Paesi della UE, l’Italia presenta i valori piùbassi per tutto il periodo e mediamente, negli anni 90,le auto nuove vendute in Italia consumano circa 5%in meno della media UE. Ciò è dovuto al fatto che leauto di nuova immatricolazione in Italia sono di cilin-drata più piccola e con consumi specifici ridotti rispet-to agli altri Paesi ed alla media UE.Tale differenza si riscontra anche per i consumi spe-cifici dell’attuale parco automobilistico, il quale purse sta evolvendo verso una cilindrata media più alta,presenta i valori più bassi (7,1 l/100 km nel 1999contro 7,8 l/100 km per la media UE).Una efficienza abbastanza buona si ha anche nellaquantità di energia per merce trasportata, che risul-ta allineata a quella di Germania e Spagna.In conclusione l’analisi degli indicatori mostra che ilnostro paese abbina una efficienza energetica rela-tivamente buona ad una dinamica della domanda dimobilità molto elevata ed anomala rispetto agli altripaesi europei.Ipotizzando una strategia di contenimento delleemissioni nel caso del trasporto merci la possibilitàdi miglioramento dell’efficienza dei mezzi è abba-
stanza limitata e quindi il nostro paese per compen-sare il “gap” geografico rispetto agli altri paesi euro-pei dovrebbe investire molto in modalità più efficien-ti di trasporto. Nel caso del trasporto passeggeri laprospettiva di espansione di modalità di trasporto surotaia è ugualmente notevole, specie nel caso dellamobilità sistematica nei centri urbani. In questo casoesistono anche notevoli possibilità di miglioramentodell’efficienza dei veicoli. La dinamica della domandaè così elevata che solo l’uso di entrambe le opzionipuò sperare di limitare o ridurre nel lungo periodo lacrescita delle emissioni da questo settore.
2.5.4.4 Indicatori del settore residenziale
I consumi medi di energia per abitazione in Italia,usualmente, si posizionano al di sotto della mediaeuropea. Ciò in gran parte è conseguenza del climamediterraneo, che ha temperature medie invernalipiù alte, quindi, le abitazioni hanno bisogno diminor riscaldamento. Infatti, mediamente tale indi-catore si colloca circa il 20% al di sotto della mediaUE, vicino ai valori della Spagna e della Grecia. Perconfrontare gli indicatori dei diversi Paesi, occorreeliminare le differenze climatiche, calcolando degliindicatori di intensità energetica corretti con il climamedio europeo, ossia si calcolano i consumi teorici
Tabella 2.5.17 - Consumo energetico unitario per la produzione di carta(tep/tonnellate carta prodotta).
1990 1995 1996 1997 1998 1999
Francia 0,28 0,26 0,27 0,25 0,26 –Germania - 0,31 0,30 0,28 0,28 0,28Italia 0,32 0,35 0,36 0,35 0,33 0,31Spagna 0,42 0,50 0,49 0,51 0,50 0,47
EU 0,30 0,30 0,30 0,29 0,28 –
Tabella 2.5.18 - Intensità energetica dei trasporti (kep/ECU95).
1990 1995 1996 1997 1998 1999
Francia 0,037 0,038 0,038 0,038 0,038 0,038Germania - 0,033 0,033 0,033 0,033 0,033Italia 0,044 0,046 0,046 0,046 0,047 0,047Spagna 0,056 0,061 0,063 0,061 0,065 0,065Regno Unito 0,061 0,059 0,060 0,058 0,057 0,056
EU 0,044 0,042 0,042 0,042 0,042 0,042
Fonte: ODYSSEE
Fonte: ODYSSEE
2. Specificità nazionali
66 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
che si avrebbero nei vari Paesi se ognuno avesse letemperature che mediamente si registrano per laUE.Questo indicatore corretto mostra per l’Italia unconsumo per abitazione simile a quello medio dellaUE e maggiore di Paesi molto più freddi come laGermania. Ciò significa che ulteriori azioni permigliorare l’efficienza energetica delle nostre abita-zioni possono essere praticate.Nel corso degli anni 90 sono proseguiti i fenome-
ni dell’aumento medio della superficie delle abita-zioni (da 93,1 m2 nel 1990 a 97,5 m2 nel 1998),del maggior comfort ambientale richiesto (che sitraduce in una maggiore temperatura media nelriscaldamento invernale con 20-22 °C invece dei18-20 °C, per un numero maggiore di ore), dellosviluppo della climatizzazione estiva (spesso conpompa di calore) che per certi versi annulla il van-taggio dato dal clima invernale più mite rispetto aiPaesi del Nord Europa, della crescita della dota-
Tabella 2.5.19 - Consumo energetico specifico delle automobili nuove (valori test) (litri/100 km).
1990 1995 1996 1997 1998 1999
Francia 6,52 7,13 7,06 7,05 6,88 –Germania – 7,42 7,84 7,77 7,54 7,41Italia 7,00 6,80 6,70 6,78 6,74 6,74Regno Unito 7,62 – – – – –EU 7,59 7,60 7,49 7,39 7,26 7,05
Tabella 2.5.20 - Consumo energetico speicifico delle automobili (valori sullo stock complessivo) (litri/100 km).
1990 1995 1996 1997 1998 1999
Francia 8,25 7,79 7,70 7,63 7,61 7,55Germania – 8,98 8,89 8,81 8,72 8,73Italia 7,40 7,20 7,20 7,20 7,13 7,13Spagna 7,94 8,05 8,00 7,95 7,91 7,86Regno Unito 9,28 9,20 8,80 8,78 8,52 8,75EU 8,59 8,04 8,02 7,90 7,83 –
Tabella 2.5.21 - Consumo energetico unitario del trasporto merci su strada (kep/tkm).
1990 1995 1996 1997 1998 1999
Francia 0,085 0,085 0,084 0,086 0,086 0,087Germania – 0,052 0,053 0,050 0,051 0,048Italia 0,056 0,056 0,056 0,056 0,051 0,049Spagna 0,051 0,050 0,051 0,051 0,050 0,052Regno Unito 0,065 0,065 0,067 0,068 0,067 0,069EU
Fonte: ODYSSEE
Fonte: ODYSSEE
Fonte: ODYSSEE
2. Specificità nazionali
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 67
zione di elettrodomestici per abitazione, conte-stualmente ad un uso più intenso degli stessi (duetelevisori accessi contestualmente, computer dicasa, playstation, ricarica dei cellulari, ecc.).Questi ultimi fenomeni hanno portato i consumimedi di elettricità per abitazione in Italia da 2.005kWh nel 1990 a 2.200 kWh nel 1999, con un incre-mento del 10%.Il particolare sistema tariffario ha compresso la spintaall’incremento che sarebbe stata anche maggioresenza tali vincoli. Infatti, Paesi come la Francia ed ilRegno Unito presentano nello stesso periodo valori, inkWh/abitazione per illuminazione e per elettrodome-stici, di circa il 30% maggiori dell’Italia.
2.5.4.5 Indicatori della generazione elettrica
L’energia elettrica prodotta in Italia nel 1999 ha per il78,7% origine termoelettrica, per il 19,6% origineidroelettrica o da fonti rinnovabili e per lo 1,7% origi-ne geotermoelettrica. Pertanto, l’Italia è tra i Paesi UEche maggiormente ricorrono alla produzione termoe-lettrica. Come conseguenza di ciò, in Italia le emissionidi CO2 riferite alla produzione di energia elettrica sonopiuttosto elevate: 486 gCO2/kWh nel 1999 contro 398gCO2/kWh per la UE e 79 gCO2/kWh per la Francia(rispettivamente circa il 22% e il 515% in più). Taleindicatore non è però esplicativo della situazione inessere perché non tiene conto della struttura di gene-
Tabella 2.5.22 - Consumo energetico unitario delle abitazioni, corretto con il clima medioeuropeo (tep/abitazione).
1990 1995 1996 1997 1998 1999
Francia 2,26 2,19 2,15 2,14 2,15 2,16Germania – 1,49 1,45 1,60 1,55 1,51Italia 1,87 1,79 1,83 1,82 1,88 1,84Spagna 0,89 1,02 0,99 1,04 0,99 1,01Regno Unito 2,19 2,05 2,16 2,18 2,21 –EU 1,80 1,71 1,72 1,75 1,76 1,76
Tabella 2.5.23 - Consumo energetico unitario per il riscaldamento per metro quadro, concorrezioni climatiche (kep/m2).
1990 1995 1996 1997 1998 1999
Francia 15,1 14,5 14,2 13,7 13,6 –Germania – 17,8 16,7 17,4 17,8 –Italia 10,9 9,7 10,0 9,9 10,2 9,8Regno Unito 15,8 13,8 – – – –
Tabella 2.5.24 - Consumo energetico unitario per il riscaldamento per metro quadro, cor-retto con il clima medio europeo (kep/m2).
1990 1995 1996 1997 1998
Francia 16,6 16,3 16,0 15,3 15,2Germania – 12,7 12,0 12,4 12,7Italia 15,3 14,5 15,2 14,8 15,3Regno Unito 17,4 15,6 – – –
Fonte: ODYSSEE
Fonte: ODYSSEE
Fonte: ODYSSEE
2. Specificità nazionali
68 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
razione elettrica dei singoli Paesi.Infatti, la Francia presenta valori così bassi di CO2 perkWh perché il 75% della sua produzione ha originenucleare mentre solo il 10% origine termoelettrica.Risulta pertanto più adeguato effettuare i confrontiricorrendo all’indicatore di emissioni di CO2 riferite allaproduzione termoelettrica. In quest’ottica l’Italia evi-denzia un’efficienza superiore agli altri Paesi: emet-te -21% di gCO2/kWh rispetto alla Francia, -31%rispetto alla Germania e -19% rispetto alla UE. Asottolineare l’elevato livello di efficienza italiano è laconsiderazione che nonostante Paesi comeGermania e Regno Unito ricorrano al nucleare pergenerare energia elettrica nella misura, rispettiva-mente, del 31% e del 26%, l’Italia presenta un rap-porto emissioni/produzione migliore anche in riferi-mento alla produzione totale.L‘Italia mostra una superiorità in termini di efficienzatermoelettrica anche nei confronti dei principale Paesiextraeuropei, ma non altrettanto in riferimento allaproduzione totale.
Da queste premesse, per l’Italia ridurre ulteriormentetali valori è piuttosto difficile, ma molti passi sonostati fatti in questa direzione. Primo fra tutti èl’Accordo volontario, firmato il 20 luglio 2000, daiMinistri dell’Ambiente, delle Attività Produttive edall’ENEL, in cui il maggiore produttore italiano dienergia elettrica si è impegnato volontariamente aridurre le proprie emissioni di CO2 (-20% nel2006). I principali interventi previsti riguardano ilmiglioramento dell’efficienza energetica edambientale della produzione termoelettrica, lo svi-luppo della produzione da fonti rinnovabili, lariduzione delle perdite della rete di distribuzione,l’aumento dell’efficienza energetica negli usi fina-li. Altri elementi dell’Accordo sono la realizzazio-ne di progetti internazionali e lo scambio di dirittidi emissione (Emissions Trading).Interventi possono essere compiuti nella composi-zione delle fonti primarie utilizzate per la genera-zione termoelettrica: il gas naturale produce unminor quantitativo di CO2, pertanto un suo incre-
1990 1995 1996 1997 1998 1999
Francia 2,221 2,405 2,496 2,681 2,858 –Germania – 2,058 2,063 2,065 – –Italia 2,005 2,102 2,074 2,072 2,090 2,200Spagna 2,123 2,285 2,295 2,354 2,346 2,427Regno Unito 2,727 2,662 2,659 2,661 2,781 2,427EU 2,216 2,315 2,331 2,372 – –
Tabella 2.5.25 - Consumo energetico unitario delle abitazioni per illuminazione ed apparecchi elettrici (kWh/abitazione).
1997 1998 1999
Francia 700 904 783Germania 932 940 890Italia 656 612 617Regno Unito 745 705 658EU 801 783 765Canada 870 756 783USA 939 995 925Giappone 644 495 630Mondo 957 951 905
Tabella 2.5.26 - Emissioni di CO2 riferite alla produzione lorda termoelettrica (grammi di CO2/kWh).
Fonte: ODYSSEE
Fonte: ENEL / GRTN Nota: i dati sono leggermente diversi ris petto a quelli de lla tabella 2.5.3. In tab. 2.5.3 si utili zzano le metodologie di stima delle emissioni coerenti con l’inventario nazionale, la tab. 2.6.26 è invece preparata con metodologie concordate tra le diverse società elettriche. Il dato di questa tabella è lasciato inalterato per facilita re il c onfronto internazionale.
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 69
mento nella composizione percentuale a scapitodei prodotti petroliferi e del carbone determine-rebbe conseguenze positive (come già evidenziatonel testo, nel 1999 il gas naturale è diventata laprincipale fonte energetica primaria per la produ-zione di energia elettrica, ma un suo incrementosembra frenato da ostacoli strutturali).Altro campo di intervento è la produzione di ener-gia elettrica da fonti rinnovabili. Rispetto al 1998,nel 1999 si è avuto un incremento di produzioneda fonti rinnovabili pari al 9,7%. L’articolo 11 delDecreto Legislativo del 16 marzo 1999, n. 79 sulla
liberalizzazione del settore elettrico, stabilisce chea partire dal 2002 i produttori e gli importatorihanno l’obbligo di immettere nel sistema elettriconazionale energia prodotta da nuovi impianti a fontirinnovabili in quantità pari ad almeno il 2% dell’e-nergia di origine termoelettrica prodotta o importa-ta nell’anno precedente. Tale obbligo, che non esi-ste negli altri Paesi dell’Unione Europea, può esseresoddisfatto anche acquistando da altri operatori i“certificati verdi”, emessi dal Gestore della Rete diTrasmissione Nazionale (GRTN), che attestino l’avve-nuta produzione da fonti rinnovabili.
1997 1998 1999
Francia 58 96 79Germania 598 617 571Italia 524 489 486Regno Unito 520 488 469EU 406 405 398Canada 198 214 214USA 681 709 663Giappone 382 285 384Mondo 611 609 583
Tabella 2.5.27 - Emissioni di CO2 riferite alla produzione lorda totale (grammi di CO2/kWh).
Alcuni elementi settoriali sono stati ripresi dalla REA 2001 - ENEA, a cui si rimanda per ulteriori approfondimenti.
Fonte: ENEL / GRTN
Nota: vedi commento a tabella 2.5.26.
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 71
3. Inventario dei gas serra
3.1 SINTESI DEI DATI DI EMISSIONE
Le emissioni nazionali di anidride carbonica (CO2)sono pari all’84,7% del totale di emissione di gasserra espressi in termini di CO2 equivalente e pre-sentano dal 1990 al 2000 un aumento pari al5,4%. In particolare nel settore energetico, leemissioni nel 2000 sono superiori del 6,7% rispet-to al 1990.Le emissioni di metano (CH4) e di protossido di azoto(N2O) sono pari, rispettivamente, al 6,9% e 7,9% deltotale di emissione di gas serra in CO2 equivalente. Leemissioni di CH4 si sono ridotte del 4% dal 1990 al2000, mentre l’N2O è aumentato del 5,9%.Gli altri gas serra, idrofluorocarburi (HFC), perfluo-rocarburi (PFC), ed esafluoruro di zolfo (SF6), hanno,invece, un peso complessivo sul totale delle emis-sioni inferiore allo 0,5% e quindi ancora trascurabi-le nonostante l’incremento registrato fra il 1995 e il2000 (+78,4%).Le emissioni totali dei gas serra considerati dalProtocollo di Kyoto sono nel 2000, in termini di CO2
equivalente, superiori del 5% rispetto all’anno basea fronte di un impegno nazionale di riduzione nel-l’ambito dell’Unione Europea pari al 6,5% nelperiodo 2008-2012. L’anno base scelto dall’Italiaper CO2, CH4 e N2O è il 1990, mentre per i gas fluo-rurati è il 1995.
3.2 PREPARAZIONE DELL’INVENTARIONAZIONALE DEI GAS SERRA
L’inventario delle emissioni dei gas serra viene rea-lizzato ed aggiornato annualmente dall’Agenzia perla Protezione dell’Ambiente e per i servizi Tecnici(APAT). I dati di base necessari per la compilazionedell’inventario sono le statistiche energetiche pub-blicate dal Ministero delle Attività Produttive nelBilancio Energetico Nazionale, le statistiche delle
produzioni industriali e dell’agricoltura pubblicatedall’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT), le statisti-che dei trasporti fornite dal Ministero dei Trasporti edati forniti direttamente dalle Associazioni di cate-goria.Ad oggi non è stato ancora istituito un SistemaNazionale (National System) che preveda la raccoltae trasmissione dei dati di base necessari per la rea-lizzazione dell’inventario nella tempistica stabilita eil riconoscimento e l’attribuzione di ruoli e respon-sabilità ai diversi istituti che intervengono nelle fasidi preparazione dell’inventario nazionale dei gasserra.
3.3 SERIE STORICA DELLE EMISSIONIDEI GAS SERRA
I valori delle emissioni che vengono presentati nellaTerza Comunicazione sono quelli inviati alSegretariato della Convenzione quadro suiCambiamenti Climatici (UNFCCC) e allaCommissione Europea nell’ambito del meccanismodi monitoraggio dei gas serra. Le serie storiche delleemissioni sono riportate in Allegato; un maggioredettaglio è disponibile sul sito www.sinanet.apat.it.Come previsto dalla Convenzione quadro suiCambiamenti Climatici, l’inventario nazionale dei gasserra viene comunicato attraverso la compilazione delCommon Reporting Format.Tale formato prevede la trasmissione non solo delleemissioni ma anche dei dati di base, dati di attivitàe fattori di emissione, nonché della descrizione delleprocedure di stima utilizzate.Nel corso della realizzazione dell’inventario per il 2000è stata aggiornata l’intera serie storica a partire dal-l’anno 1990. Tale revisione è necessaria annualmenteper rispondere ai requisiti richiesti esplicitamente dallaConvenzione di trasparenza, consistenza, comparabi-lità, completezza e accuratezza. Si sottolinea che le
a cura di: R. De Lauretis e D. Romano (APAT) - Perr § 3.4, S. Federici e R. Valentini (Università di Tuscia), A. Lumicisi(Ministero dell’Ambiente e Tutela del Territorio).
3. Inventario dei gas serra
72 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
emissioni relative all’anno base sono variate rispetto aquelle riportate nella Seconda ComunicazioneNazionale.Per quanto riguarda la CO2, le modifiche più rile-vanti sono dovute alla revisione delle statistiche deiconsumi per il trasporto marittimo con una attribu-zione di consumi, prima considerati bunkeraggiinternazionali, alla navigazione di cabotaggio nazio-nale. Inoltre, sono state riviste le emissioni dallaproduzione di energia geotermica sulla base di
nuova documentazione dove le emissioni attuali diCO2 sono indicate pari ai flussi naturali in quellearee. Per il CH4 sono stati rivisti i fattori di emissioneprecedentemente utilizzati per il compostaggio. Perl’N2O sono stati corretti i fattori di emissione relativialle centrali di produzione di energia elettrica.Ulteriori modifiche delle serie storiche sono relativeall’aggiornamento dei dati di attività ed all’utilizzodelle nuove Linee Guida dell’IPCC, in particolaredelle Good Practice Guidance. Tali aggiornamenti
0
100
200
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500
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CO
2 eq.
(Mt)
1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000
Uso solventi
Rifiuti
Agricoltura
Processi Industriali
Energia
Figura 3.2 - Emissioni nazionali di gas serra dal 1990 al 2000 per settore
Fonte: APAT
Fonte: APAT
0
100
200
300
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1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000
CO
2 eq.
(Mt) HFCs, PFCs e SF6
N O
CH4
CO2
2
Figura 3.1 - Emissioni nazionali di gas serra dal 1990 al 2000
3. Inventario dei gas serra
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 73
sono risultati rilevanti per le emissioni di CO2 dallaproduzione di calce.Le emissioni totali dei gas serra considerati nelProtocollo di Kyoto ed espressi in termini di CO2
equivalente, al netto delle emissioni ed assorbimen-ti di CO2 dai cambiamenti dell’uso del suolo, evi-denziano dal 1990 al 2000 un aumento di circa il5%, passando da 521 a 547 milioni di tonnellate(Mt) di CO2 equivalente, a fronte di un impegnonazionale di riduzione delle emissioni pari al 6,5%nel periodo 2008-2012 rispetto ai livelli dell’annobase.Il principale gas serra è la CO2 il cui peso relativo èrimasto invariato dal 1990 al 2000 ed è pari a circal’84% del totale nazionale; il peso relativo di CH4 eN2O, pari a circa il 15% complessivamente, è legger-mente diminuito in questi anni, mentre i gas fluoru-rati sono passati dallo 0,3% allo 0,5% del totale.In figura 3.1 viene riportata la serie storica 1990-2000 delle emissioni nazionali di gas serra espressein termini di CO2 equivalente e suddivise per sostan-za; le emissioni di CO2 sono al netto delle emissionied assorbimenti dai cambiamenti dell’uso del suolo.In figura 3.2 le emissioni totali di gas serra vengonoriportate suddivise per i settori di emissione consi-derati nel Common Reporting Format.Dalla figura si nota che la distribuzione percentualedei vari settori sul totale delle emissioni rimane pres-soché invariata per l’intero periodo considerato. Ilsettore responsabile della maggior parte delle emis-sioni totali di gas serra è quello energetico, con unpeso pari all’83%, cui seguono l’agricoltura conl’8% delle emissioni totali, i processi industriali(7%), i rifiuti e l’uso dei solventi.
3.3.1 EMISSIONI DI ANIDRIDE CARBONICA
Le emissioni di CO2 dal 1990 al 2000 sono aumen-tate di circa il 5,4%, passando da 439,5 a 463,4 Mtescluse le emissioni e gli assorbimenti dai cambia-mento di uso del suolo e dalle foreste. I principalisettori responsabili dell’andamento delle emissionisono le industrie energetiche (33%) ed i trasporti(26%). Le industrie manifatturiere, le costruzioni ela combustione non industriale pesano entrambeper il 17% mentre le rimanenti emissioni sono rela-tive ai processi industriali (6%) e agli altri settori(1%). L’andamento delle emissioni per settore èriportato in figura 3.3.Nella figura 3.4 sono rappresentati gli andamentidei seguenti indicatori economici ed energetici:
• prodotto Interno Lordo (PIL) ai prezzi di mercatodel 1990 pubblicato nell’annuario statisticodall’ISTAT;
• consumi Energetici Totali riportati nel BilancioEnergetico Nazionale del Ministero delle AttivitàProduttive (MAP);
• emissioni di CO2 al netto delle emissioni edassorbimenti da cambiamenti uso del suolo eforeste stimate dall’APAT;
• CO2 intensity che rappresenta le emissioni di CO2
per unità di consumo energetico totale.
L’andamento delle emissioni di CO2 per unità ener-getica totale mostra che le emissioni di CO2 neglianni ’90 hanno seguito sostanzialmente quello deiconsumi energetici e solo negli ultimi anni si comin-cia a delineare uno scostamento tra le curve dovuto
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Mt
1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000
Altro
Processi Industriali
Combustione non industriale
Trasporti
Industrie manufatturiere ecostruzioni
Industrie energetiche
Figura 3.3 - Emissioni nazionali di CO2 per settore dal 1990 al 2000
Fonte: APAT
3. Inventario dei gas serra
74 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
principalmente alla sostituzione di combustibili adalto contenuto di carbonio con il gas metano nellaproduzione di energia elettrica e nell’industria.
3.3.2 EMISSIONI DI METANO
Le emissioni di metano sono nel 2000 il 6,9% deltotale dei gas serra e pari a 37,8 Mt di CO2 equiva-lente con una diminuzione rispetto al 1990 di circa1,5 Mt.
Le emissioni di CH4 sono da attribuire al settore agri-colo, 48% delle emissioni totali, alla gestione deirifiuti (32%) e all’energia (20%).Le emissioni del settore agricolo sono per la totalitàriferite agli allevamenti animali. Tali emissioni, nelperiodo considerato, sono sostanzialmente costantie correlate al numero dei capi animali, in particola-re bovini e suini.Le attività che caratterizzano le emissioni dagestione dei rifiuti sono la gestione delle discari-che e il trattamento dei reflui industriali. Il settore
90
95
100
105
110
115
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1990
1991
1992
1993
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2000
1990
=10
0
PIL
Consumi energetci totali
Emissioni di CO2
Intensity di CO2
Figura 3.4 - Indicatori energetici ed economici ed emissioni di CO2
0200400
600800
100012001400160018002000
kt
1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000
Rifiuti
Agricoltura
Energia
Altro
Figura 3.5 - Emissioni nazionali di CH4 per settore dal 1990 al 2000
Fonte: APAT, ISTAT, MAP
Fonte: APAT
3. Inventario dei gas serra
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 75
dei rifiuti presenta una crescita delle emissioni(+2,5% rispetto al 1990) dovuta all’aumento delleemissioni nel trattamento delle acque reflue indu-striali.Per quanto riguarda le emissioni di CH4 del settoreenergetico la riduzione delle emissioni (-11%) èdovuta a due effetti contrapposti; se da un lato siriscontra la notevole riduzione delle emissioni fuggiti-ve per la estrazione e distribuzione dei combustibilifossili (-18%) dovuto alla graduale sostituzione dellereti di distribuzione del gas metano, dall’altro si assi-ste ad un incremento delle emissioni da combustionenel settore dei trasporti stradali, a causa dell’aumen-to complessivo dei consumi, e nel settore civile, acausa dell’incremento dell’uso del metano negliimpianti di riscaldamento. In figura 3.5 sono mostra-ti gli andamenti delle emissioni per settore in migliaiadi tonnellate (kv) (kt).
3.3.3 EMISSIONI DI PROTOSSIDO DI AZOTO
Le emissioni di protossido di azoto sono nel 2000 il7,9% del totale dei gas serra e presentano una cre-scita dal 1990 al 2000 del 5,9%, aumentando da40,8 a 43,2 Mt di CO2 equivalente.Le emissioni di N2O sono prevalentemente dovutealle emissioni del settore agricolo (56,5%) ed in par-ticolare all’uso dei fertilizzanti sia chimici che orga-nici nell’agricoltura e alla gestione dei reflui dagliallevamenti animali. Tali emissioni sono costanti nelperiodo 1990-2000.Le emissioni nel settore usi energetici (23% sul tota-le) sono aumentate del 12% circa dal 1990 al 2000;tale crescita è da attribuire prevalentemente al set-tore trasporti stradali correlata all’introduzione delle
marmitte catalitiche. A tale riguardo, bisogna sotto-lineare però che esiste ancora una elevata incertez-za sui fattori di emissione di N2O delle auto cataliz-zate.La produzione di acido nitrico, in diminuzione negliultimi anni, e di acido adipico, in crescita, sonoresponsabili del 18% delle emissioni totali.Il resto delle emissioni dal settore dei rifiuti si riferi-sce prevalentemente al trattamento delle acquereflue industriali e domestiche.In figura 3.6 sono mostrati gli andamenti delle emis-sioni per settore in migliaia di tonnellate (kt).
3.3.4 EMISSIONI DI GAS FLUORURATI
L’Italia ha stabilito come anno base per la riduzionedelle emissioni dei gas fluorurati inclusi nelProtocollo di Kyoto, HFC, PFC e SF6, il 1995. Leemissioni dei gas fluorurati, nel loro insieme, sonolo 0,5% del totale dei gas serra in CO2 equivalen-te e sono cresciute dal 1995 al 2000 del 78%.Tale incremento è dovuto a differenti andamentidei diversi gas.Gli HFC, infatti, sono notevolmente aumentati dal1995 al 2000, passando da 0,7 a 2 Mt di CO2 equi-valente. Le sorgenti principali di emissione sono ilconsumo di HFC-134a, HFC-125, HFC-32 e HFC-143a nelle apparecchiature di refrigerazione e con-dizionamento e l’uso di HFC-134a negli aerosol far-maceutici. Gli incrementi nel periodo sono dovutisia all’utilizzo di tali sostanze in sostituzione dei gasdistruttori dell’ozono stratosferico che al maggioreutilizzo dei condizionatori nelle automobili.Le emissioni di PFC si sono ridotte dal 1995 al2000 di circa il 15%. Tali emissioni sono pari a 0,2
0
20
40
60
80
100
120
140
19901991 19921993 199419951996 19971998 19992000
Rifiuti
Processi Industriali
Agricoltura
Energia
kt
Figura 3.6 - Emissioni nazionali di N2O per settore dal 1990 al 2000
Fonte: APAT
3. Inventario dei gas serra
76 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
Mt di CO2 equivalente nel 2000 e sono da attribuireall’uso di questi gas nella produzione di alluminio enella produzione di semiconduttori. L’andamentodecrescente della serie è dovuto alla riduzione dellaproduzione di PFC, ormai in Italia pari a zero.Le emissioni di SF6 sono pari nel 2000 a 0,3 Mt CO2
equivalente, con una diminuzione rispetto al 1995 del30%. Il 65% delle emissioni di SF6 derivano dal gascontenuto nelle apparecchiature elettriche. Il resto
delle emissioni proviene dall’uso nella produzione disemiconduttori e nelle fonderie di magnesio. Tale usorisulta negli ultimi anni in crescita a differenza del gascontenuto nelle apparecchiature elettriche che è indiminuzione.L’inventario nazionale dei gas fluorurati, pur essendocompleto nelle sorgenti e gas individuati, necessita diulteriori approfondimenti, attraverso l’utilizzo di diffe-renti metodologie come previsto dalle “Good Practice
0
500
1000
1500
2000
2500
3000
CO
2 e
q. (
kt)g
1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000
SF6
PFCs
HFCs
Figura 3.7 - Emissioni nazionali di gas fluorurati per settore dal 1990 al 2000
Anniemissioni
Mt CO2 Mt CO2 Mt CO2
Mt CO2
1990 13,2 74,5 61,3 3.863,4
1991 13,8 74,0 60,2 3.959,3
1992 15,5 73,7 58, 2 4.056 ,8
1993 14,9 73,2 58,3 4.122,0
1994 16,3 72,9 56,6 4.214,3
1995 16,1 72,6 56,5 4.315,3
1996 15,4 72,2 56,8 4.418,3
1997 15,5 71,6 56,1 4.504,8
1998 16,7 70,9 54,2 4.576,2
1999 16,8 70,3 53,5 4.659,6
2000 16,3 69,8 53,5 4.734,6
assorbimento lordo assorbimento netto stock totale
Tabella 3.1 - Emissioni, assorbimento lordo e netto, stock del carbonio organico dell’intera uperficie forestale italiana (da elaborazioni dei dati ISTAT ed IFN)
Fonte: APAT
Fonte: Università di Tuscia.
3. Inventario dei gas serra
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 77
Guidance” dell’IPCC, in relazione alla difficoltà direperimento di dati considerati spesso strategici equindi riservati.In figura 3.7 sono riportati gli andamenti delle emis-sioni in migliaia di tonnellate (kt) di CO2 equivalente.
3.4 ASSORBIMENTI DI ANIDRIDE CARBONICA DALLE FORESTE
In attesa della predisposizione, da parte dell’IPCC,delle “Good Practice Guidance” relative al settore del-l’uso del suolo, dei cambiamenti d’uso del suolo edelle foreste, sono state messe a punto alcune valuta-zioni preliminari relative alle emissioni, agli assorbi-menti e agli stock di carbonio, alla variazione deglistock di carbonio relativa alle attività dell’art. 3.3 edell’art. 3.4 del Protocollo di Kyoto.
3.4.1 INVENTARIO DELLE EMISSIONI, DEGLIASSORBIMENTI E DEGLI STOCK DI CARBONIO
I dati dell’IFN (Inventario Forestale Nazionale) del1986 sono stati attualizzati anno per anno appli-
cando i dati delle utilizzazioni forestali e dell’incre-mento dell’area forestale forniti dall’ISTAT e quellisugli incendi forniti dal Corpo Forestale dello Stato.La metodologia applicata è descritta in: “Stimadegli assorbimenti di CO2 atmosferica delle foresteitaliane” (Federici S. & Valentini R., 2002).In tal modo si è ottenuto (tabella 3.1) l’inventariodelle emissioni, degli assorbimenti e degli stock dicarbonio organico dell’intera superficie forestale ita-liana, nel periodo 1990-2000. Tali valori differisco-no da quelli riportati nell’inventario nazionale deigas serra, che sono invece basati esclusivamentesulle superfici censite dall’ISTAT, in attesa di datiinventariali più aggiornati.
3.4.2 VARIAZIONE DEGLI STOCK DI CARBONIORELATIVA ALLE ATTIVITÀ DELL’ART. 3.3
Applicando le curve di crescita derivate dal Federicie Valentini (2002) alla superficie rimboschita/imbo-schita con provvedimenti di legge nel decennio1991-2000 si è ottenuta la stima degli stadi di car-bonio immagazzinato in relazione alle attività diimboschimento e rimboschimento (tabella 3.2).
anni (Mt CO2)
1990 3.104 0,0008
1991 6.061 0,0026
1992 10.344 0,0056
1993 13.286 0,0099
1994 30.485 0,0192
1995 44.498 0,0334
1996 55.974 0,0524
1997 65.873 0,0762
1998 83.058 0,1075
1999 100.243 0,1471
2000 117.428 0,1960
superficie occupata totale (ha) carbonio totale immagazzinato
Tabella 3.2 - Superfici occupate e carbonio immagazzinato con le attività di imboschimen-to e rimboschimento realizzate con interventi sovvenzionati (Regolamento 2080/92 edaltri)
Fonte: Università di Tuscia.
3. Inventario dei gas serra
78 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
Oltre alle superfici direttamente rimboschite/imbo-schite dall’uomo tramite piantagione vi sono super-fici in cui l’uomo ha permesso la naturale diffusionedella foresta (vedi capitolo 4).Tale superficie in Italia (dal 1990 ad oggi) può esse-re stimata variabile tra il dato ISTAT e la differenzatra i dati di superficie dell’IFN attualizzato al 1990(8.737 migliaia di ha) ed il Temperate and BorealForest Resources Assessment (TBFRA) della FAO del
2000 (10.842 migliaia di ha) ed in questo caso è dicirca 2 milioni di ettari di nuove formazioni forestali,diretta conseguenza delle passate politiche di prote-zione del territorio e di riduzione della superficie agri-cola, che un nuovo inventario forestale potrebbe cor-rettamente valutare nella loro composizione specifi-ca, nella provvigione e nei tassi di crescita.In tabella 3.3 è riportata la stima della quantità dicarbonio stoccata in tali popolamenti.
Mt (CO2) anno ISTAT FAO
1990 4.558 191.364 0,0012 0,0512
1991 8.412 2.728 0,0024 0,1086
1992 16.086 574.092 0,0047 0,1728
1993 20.883 765.456 0,0066 0,2447
1994 53.865 956.820 0,0162 0,3251
1995 65.745 1.148.184 0,0123 0,4150
1996 81.640 1.339.548 0,0281 0,5154
1997 87.099 1.530.912 0,0329 0,6276
1998 91.951 1.722.276 0,0381 0,7528
1999 97.573 1.913.640 0,0441 0,8923
2000 108.638 2.105.004 0,0522 1,0478
38
superficie occupata totale (ha) carbonio totale immagazzinato
ISTAT FAO
Tabella 3.3 – Carbonio immagazzinato nelle aree ricolonizzate per via naturale dalla foresta
anno incrementi Mt CO2 Mt CO2 M t CO2
1990 38,8 6,7 32,0
1991 38,5 7,0 31,5
1992 38,3 7,9 30,4
1993 37,9 7,6 30,3
1994 37,7 8,3 29,4
1995 37,6 8,2 29,4
1996 37,2 7,8 29,4
1997 36,8 7,8 29,0
1998 36,3 8,5 27,9
1999 36,0 8,5 27,5
2000 35,7 8,3 27,5
utilizzazioni assorbimento netto
Tabella 3.4 - Inventario delle emissioni e degli assorbimenti di gas serra dalle forestegestite per il periodo 1990-2000
Fonte: Università di Tuscia
Fonte: Università di Tuscia
3. Inventario dei gas serra
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 79
Figura 3.8 - Andamento degli assorbimenti delle foreste italiane gestite nel periodo1990-2000
3.4.3 VARIAZIONE DEGLI STOCK DI CARBONIORELATIVA ALLE ATTIVITÀ DELL’ART. 3.4
Utilizzando i dati ISTAT relativi al periodo 1990-2000riferiti alle foreste gestite a ceduo ed a fustaia, per ciòche riguarda le superfici e le utilizzazioni, ed i datiIFN, in relazione a composizione specifica, provvigio-ne ed incrementi, ed applicandovi le curve di crescitaricavate per i cedui e le fustaie italiane (Federici S. &Valentini R. 2002) si ricavano le stime degli assorbi-menti, delle emissioni e degli stock di carbonio relati-ve a tali popolamenti (tabella 3.4 e figura 3.8).
Tali stime contengono diversi fattori d’errore la cuicombinazione produce una valutazione degli assorbi-menti inferiore alla realtà:• secondo altre fonti, come la FAO o gli inventa-
ri forestali regionali, la superficie forestale ita-liana reale gestita supera di almeno 3 milioni diettari il dato ISTAT che è stato impiegato per ilcalcolo;
• nel processo di stima viene considerato solo il car-bonio immagazzinato nella biomassa legnosa epi-gea, mentre l’accordo sui sink raggiunto a Bonnpermette la contabilizzazione anche del carbonioimmagazzinato nella biomassa ipogea, nei tessutiverdi, nella lettiera e nel suolo;
• le utilizzazioni riportate dall’ISTAT sono notevol-mente inferiori alla realtà, in particolare per lequantità relative ai prelievi della legna come com-bustibile.
Si noti come la biomassa legnosa epigea rappresentisolo un terzo del carbonio organico presente nell’in-tero sistema forestale (tabella 3.5 figura 3.9).
utilizzazioni
assorbimenti netti
45
40
35
30
25
20
15
10
5
0
1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000
CO2
(Mt)
Fonte: Università di Tuscia.
3. Inventario dei gas serra
80 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
Figura 3.9 – Carbonio organico immagazzinato nelle foreste italiane gestite
anno tM CO2 totale Mt CO2
1990 1.119 ,1 3.246,5
1991 1.142,3 3.313,3
1992 1.169,7 3.392,8
1993 1.188,1 3.446,6
1994 1.210,7 3.511,8
1995 1.238,9 3.593,8
1996 1.267,8 3.677,5
1997 1.292,5 3.749,1
1998 1.311,3 3.803,5
1999 1.333,0 3.866,1
2000 1.354,2 3.927,5
Biomassa legnosa epigea
Tabella 3.5 - Stock di carbonio delle foreste gestite per il periodo 1990-2000
Fonte: Università di Tuscia.
Carbonio organico torale
Biomassa legnosa epigea
4.500
4.000
3.500
3.000
2.500
2.000
1.500
1.000
500
01990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000
CO2
(Mt)
Fonte: Università di Tuscia.
3. Inventario dei gas serra
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 81
Base y
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199
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393
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,37
418
.552
,32
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.300
,41
416
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415
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140
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134
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,94
133
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4. Politiche e misure di mitigazione
Con il presente capitolo si intende riassumere lestrategie, i provvedimenti e gli interventi che ilGoverno ha messo in atto o intende attuare per ilraggiungimento degli obiettivi di mitigazione deicambiamenti climatici. Nel prosieguo vengono espo-sti con un certo dettaglio le misure esistenti, quellegià decise e quelle da riformulare o da prendere ex-novo. Le informazioni sono ricavate da una serie didocumenti di base utilizzati anche per la preparazio-ne della Delibera CIPE “Revisione linee guida Politichee misure nazionali di riduzione emissioni di gasserra”, approvata il 20-12-02 (vedi annesso 1).Per facilitare la lettura del documento gli obiettivi, leopzioni, le strategie di mitigazione e le possibili misu-re vengono esposti per settore: produzione trasfor-mazione e distribuzione di energia, industria manifat-turiera, civile, trasporti, agricoltura e foreste, rifiuti. Ititolari della preparazione dei provvedimenti attuativisono molteplici e dispersi in un notevole numero diamministrazioni settoriali o locali, in questa sede si ècercato di evidenziare il ruolo delle regioni e di altreamministrazioni ma non è risultato possibile indivi-duare la titolarità di tutte le azioni esposte.Per ogni settore si esaminano separatamente lepolitiche e misure già adottate ed i loro effetti dimitigazione, le misure decise e quelle ancora in dis-cussione.
4.1 SINTESI DELLE MISURE PREVISTE AI FINI DEL RAGGIUNGIMENTO DEGLIOBIETTIVI DEL PROTOCOLLO DIKYOTO
La legge del 1 giugno 2002, n. 120, di ratifica delProtocollo di Kyoto, adottato il 10 dicembre 1997 a
Kyoto dalla terza Conferenza delle Parti allaConvenzione sui Cambiamenti Climatici, e in parti-colare l’articolo 2, comma 1, prevede che il Ministrodell’ambiente e della tutela del territorio presenti alComitato interministeriale per la programmazioneeconomica, un piano di azione nazionale per lariduzione dei livelli di emissione dei gas serra e l’au-mento del loro assorbimento. Questo piano è allegato alla delibera CIPE del 20-12-02 (vedi annesso 1), le misure addizionali sonostate impostate a seguito di uno studio sull’evolu-zione tendenziale delle emissioni che evidenzia ilpermanere di un eccesso di emissioni rispetto all’o-biettivo di Kyoto, vedi cap.5. Una parte di questepolitiche è già stata decisa, vedi tabella 4.1, e fannoanche parte dello scenario di riferimento. Un altrogruppo di politiche, ancora in discussione, è riporta-to nella tabella 4.2. Si tratta di misure in gran parteinterne, lasciando agli strumenti disponibili all’este-ro, sinks e meccanismi flessibili, il compito di colma-re il gap con il target.Il raggiungimento degli obiettivi di Kyoto, perdimensione dello sforzo necessario e per estensio-ne dei settori interessati, richiede la contestualeimplementazione di politiche più generali, non dicarattere strettamente ambientale. Si tratta in par-ticolare di:
• modernizzazione del paese attraverso la realiz-zazione di opere infrastrutturali: ciò è decisivonel settore dei trasporti, per il passaggio di mobi-lità su ferrovia e per lo snellimento del traffico sugomma;
• realizzazione di nuovi impianti a ciclo combinatoe di nuove linee di importazione dall’estero digas ed elettricità che favoriscano l’entrata dinuovi operatori, migliorando l’efficienza energe-
a cura di: Mario Contaldi (APAT), Alessandro Bianchi e Davide Tabarelli (Fondazione Alma Mater) per § 4.1; AlessandroBianchi, Massimiliano Piacentini e Davide Tabarelli (Fondazione Alma Mater) per § 4.2; Mario Contaldi e Davide Tabarelli(Fondazione Alma Mater) per § 4.3; Alessandro Bianchi e Giuseppe De Bellis (Fondazione Alma Mater) per § 4.4; MarioContaldi (APAT) Arturo Lorenzoni e Alessandro Vaglio (Fondazione Alma Mater) per § 4.5; Alessandro Bianchi(Fondazione Alma Mater) per § 4.6; Domenico Gaudioso (APAT) per § 4.7; Riccardo De Lauretis (APAT) per §§ 4.7.2 e4.7.3; Antonella Trisorio e Annalisa Zezza (INEA) per § 4.7.2; Pasquale De Stefanis (ENEA) per § 4.7.3; Antonio Lumicisi(Ministero dell’Ambiente e Tutela del Territorio), Sandro Federici e Riccardo Valentini (Università di Tuscia) per § 4.8
4. Politiche e misure di mitigazione
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4. Politiche e misure di mitigazione
92 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
tica e creando le condizioni essenziali per la ridu-zione dei prezzi dell’elettricità e del gas all’inter-no delle politiche di liberalizzazione dei mercatidell’energia;
• gestione integrata del territorio e dell’ambienteper lo sfruttamento delle energie rinnovabili,attraverso la realizzazione e gestione efficientedi filiere industriali integrate; ciò riguarda in par-ticolare lo sfruttamento dell’energia eolica e lagestione dei rifiuti.
Tali politiche, sebbene siano state impostate giàda qualche anno, hanno subito forti ritardi di
attuazione, riconducibili prevalentemente alleresistenze delle autorità locali nel dare il consensoalle realizzazione di progetti, industriali e infra-strutturali, su cui si basano queste politiche. I vin-coli di Kyoto da un lato rendono necessario unnetto miglioramento dei processi autorizzativi daparte degli organi locali (i cui poteri sono statiulteriormente rafforzati con la legge costituziona-le dell’ottobre 2001), dall’altro offrono l’occasio-ne per portare a compimento la modernizzazionedel paese, ridurre i prezzi dell’energia attraverso laliberalizzazione dei mercati e migliorare la gestio-ne del territorio.
Misu re implementate Descrizione Riduzioni stimate al
2010 (MtCO
Decreti e disposizioni varie
Sostegni in conto capitale ai fini dell’aumento dell’efficienza nelle centrali elettriche la dif fusione de lla cogenerazione e la diffusione dell’uso del gas naturale
19.7
D. Lgs. N. 79 de16.3.99 (Bersani )
Liberalizzazione del settore elettric o. Implementato da Ministero delle Attività Produttive, Autorità per l’energia elettrica e gas ed ENEL S.p.A.
-
DM n. 106 del 29.3.01 Ministro dell’Ambiente deliberaz ione N° 224/00 AEEG
“prog ramma tetti fotovoltaici” realiz za nel periodo 2000-02 impianti da 1 a 50 kWp collegati alla rete di distribuzione a bassa tensione in Italia.
0.12
Decreti vari Mantenimento attuale struttura progressiva delle tari ff e elettriche domestiche
10
Accordo volontario Enel
I l primo AV implementato, firmato con Enel nel 2000
12
DM del 11.11.99 Ministro dell’Industria e Ministro dell’ Ambiente
Decreto di sostegno alle rego lazione in materia di produzione
di energ ia elettrica da fonti rinnovabili (decreto lg s. N. 79 del 16.3.99, art. 11, par. 1,2,3)
6
DM 18/03/2002 Ministero delle Attività Produttive
Modifiche e integ raz ioni al decreto del Ministro dell’Industria, del c omme rcio e de ll’ artig ia nato di c onc erto c on il Ministr o dell’Ambiente, 11 novembre 1999, concernente “direttive per l’ attuazione de lle nor me in ma teria di e nergia elettric a da fonti rinnovabili di cui ai commi 1, 2 e 3 dell’art. 11 del decreto legislativo n. 79 del 16.3.1999
-
Delibera dell’Autorità per l ’ Energia Elettrica e il Gas n. 42/02
Condizioni per il riconoscimento della produzione combinata di energ ia el ettri ca e calore come cogenerazione ai sensi dell’art. 2, comma 8, decreto legi slativo 16 marz o 1999, n. 79
-
Diversi decreti lgs Diffusione uso del as naturale, ampliamento ed aggiornamento delle linee di trasporto e distribuzione
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2)
(Aumenti efficienza generazione e distribuzione)
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Tabella 4.3 - Misure attuali nel settore energia: produzione, trasformazione e distribuzioneed incluse nello scenario tendenziale
4. Politiche e misure di mitigazione
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 93
4.1.1 INDIRIZZO GENERALE SULLE POLITICHE E MISURE
L’elaborazione di una strategia di risposta richiedel’attuazione di molte misure che operano in vari set-tori dell’economia e della tecnologia.Infatti la ricerca scientifica e lo sviluppo tecnologiconon hanno ancora individuato sistemi, economica-mente competitivi, in grado di fornire i beni e i ser-vizi richiesti dal sistema economico della produzionee del consumo senza emettere gas serra e non èdetto che la ricerca e lo sviluppo tecnologico sianoin grado di risolvere il problema in forma radicalenel breve-medio termine, anche se uno svilupposostenibile è l’obiettivo dell’Agenda 21 dell’ONU edel V programma di azione ambientale dell’UE.La legge 1 giugno 2002, n.120, di ratifica delProtocollo di Kyoto individua i seguenti indirizzi perle politiche e misure:
• miglioramento dell’efficienza energetica delsistema economico nazionale e maggiore utiliz-zo delle fonti di energia rinnovabili;
• aumento degli assorbimenti di gas serra conse-guente ad attività di uso del suolo, cambiamen-ti di uso del suolo e forestali, come disposto dal-l’articolo 3, paragrafi 3 e 4, del Protocollo diKyoto;
• piena utilizzazione dei meccanismi di JI e CDMistituiti dal Protocollo di Kyoto;
• accelerazione delle iniziative di ricerca e speri-mentazione per l’introduzione dell’idrogenoquale combustibile nei sistemi energetici e neitrasporti nazionali, nonchè per la realizzazione diimpianti per la produzione di energia con bio-masse, sia per produzione elettrica che di calore,di impianti per l’utilizzazione del solare termi-co, di impianti eolici e fotovoltaici per la produ-zione di energia e di impianti per la produzionedi energia dal combustibile derivato dai rifiutisolidi urbani e dal biogas.
4.2 SETTORE ENERGIA: PRODUZIONE,TRASFORMAZIONE E DISTRIBUZIONE
4.2.1 MISURE ATTUATE NEL SETTORE ELETTRICO, INCLUSE LE FONTI RINNOVABILI
Le politiche implementate possono essere rag-gruppate secondo quattro principali obiettivi:
• miglioramento degli impianti esistenti;• diffusione della cogenerazione;• promozione dell’uso di fonti rinnovabili nei
consumi di energia elettrica;• riduzione della domanda per elettricità e gas.
Questi obiettivi sono stati promossi attraversoalcuni principali strumenti: gli accordi volontaricon le aziende di produzione, gli obblighi di pro-duzione di energia elettrica mediante fonti rinno-vabili e le facilitazioni al dispacciamento per l’e-nergia prodotta in cogenerazione. Nel passatosono stati utilizzati anche altri sistemi di incentiva-zione, in particolare miranti a riconoscere un certosovrapprezzo per l’energia prodotta con fonti rin-novabili o assimilate (CIP6).La valutazione degli effetti di questi strumenti nonsi presenta semplice, la tabella 4.3 riassume le misu-re principali e le riduzioni di emissione stimate.
L’accordo volontario Enel ha principalmente l’o-biettivo di ridurre le emissioni di 22 MtCO2 al2006, rispetto alle emissioni del 1990, attraverso:
• incremento dell’efficienza degli impianti esi-stenti e la conversione di 15.000 MW in ciclicombinati; dei 12 MtCO2 previsti, solo 10 Mtsono da attribuire alle misure post-Kyoto;
• incremento dell’uso di fonti rinnovabili (conobbligo del 2% che potrebbe ridurre le emis-sioni di 2 MtCO2;
• riduzione delle perdite dalle reti di distribuzio-ne, 0.1 MtCO2;
• misure di DSM: quantificando solo gli effettidella diffusione di tecnologie elettriche più effi-cienti, si ottiene un effetto netto di riduzione di0.4 MtCO2, ai quali si possono aggiungere glieffetti delle minori perdite nelle reti di distribu-zione di 0.1 MtCO2;
• misure di DSM: quantificando invece gli effettidella diffusione di tecnologie elettriche più effi-cienti al posto di combustibili fossili, si ha uneffetto netto di riduzione di 0.4 MtCO2.
Secondo il programma di privatizzazione, Eneldovrà vendere parte dei suoi impianti di produzio-ne e distribuzione; viste le incertezza sul tetto dicapacità produttiva imposto ad Enel, quantificaregli effetti netti di tale accordo volontario presentanotevoli incertezze.Il provvedimento di obbligo di produzione del 2%da fonte rinnovabile, potrebbe promuovere unaproduzione aggiuntiva di 9.000 Gwh, con uneffetto di riduzione di circa 6 MtCO2.I decreti vari si riferiscono all’attuale struttura tarif-faria progressiva delle tariffe elettriche domestiche,la quale, insieme al limitatore di potenza a 3 KW,contribuisce a mantenere bassi i consumi elettricidomestici in Italia.Relativamente al programma 10.000 tetti foto-voltaici, si prevede che sarà parzialmente adotta-to ed una prima stima calcola che la riduzionedelle emissioni sarà di 0.12 MtCO2 anno.La previsione al 2010 per l’energia prodotta da
4. Politiche e misure di mitigazione
94 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
rifiuti stima che gli inceneritori installati bruceran-no 220.000 t. in più ogni anno. Questo corrispon-derà ad una riduzione di 1.6 MtCO2.La sostituzione dei combustibili fossili liquidi e solidicon il gas naturale è una opzione di mitigazionedelle emissioni di CO2 e delle emissioni totali di gasserra, dato che l’aumento delle fughe di metanodalle reti, soprattutto di distribuzione, e presso gliutenti finali risulta trascurabile. Il gas naturale conti-nuerà a giocare un ruolo crescente nel quadro deifabbisogni energetici del paese. La crescita dovràavvenire in un periodo in cui scadono diversi con-tratti di fornitura e in un clima di crescente compe-tizione sul mercato internazionale, determinata dalforte ricorso al gas naturale in tutti i maggiori paesiconsumatori, in funzione della maggiore compatibi-lità ambientale di questa fonte.
4.2.2 MISURE MESSE IN ATTO PRIMA E DOPO IL1998
Alcune delle misure descritte e riepilogate nel para-grafo precedente sono state messe in atto primadegli accordi di Kyoto, altre in seguito. Alcune dellemisure in vigore, come l’accordo volontario con Enel,accorpano sia misure pre Kyoto che post Kyoto. Unavalutazione dettagliata delle misure adottate prima edopo gli accordi di Kyoto è contenuta in Ecofys1.Un’analisi dettagliata di tutte le misure è anche ripor-tata nella II CN, cap.5.
4.2.3 INTERVENTI GIÀ DECISI PER IL SETTOREDELL’ENERGIA ELETTRICA
In sintesi il sistema elettrico sarà caratterizzato daiseguenti sviluppi (2000-2010):
• crescita della richiesta sulla rete di circa 65 TWh;
Rispetto allo scenario tendenziale, le politiche giàdecise nel settore elettrico che definiscono lo scena-rio di riferimento riguardano:
• la realizzazione di 3200 MW di cicli combinatiaggiuntivi;
• l’espansione delle linee di importazione di elettri-cità per circa 2300 MW, le importazioni aumen-teranno a 60 TWh, circa 16 in più del 2000;
• maggiore crescita della capacità e della produzio-ne da fonti rinnovabili, da 3670 MW dello scena-rio di riferimento a 5900 MW nel 2010.
4.2.3.1 ULTERIORI CICLI COMBINATI
Nello scenario a legislazione vigente è stata ipotiz-zata una nuova capacità da ciclo combinato per 20mila MW, di cui 14 mila MW in sostituzione diimpianti esistenti e con i rimanenti 6 mila MW com-pletamente nuovi. Nello scenario riferimento vieneipotizzata una maggiore capacità da cicli combinatinuovi per altri 3.200 MW che comporterebbero uncalo delle emissioni di 8,9 Mt.Ipotesi di espansione maggiore di 3.200 MW, oltreai 20 mila MW già considerati nello scenario ten-denziale, sembrano essere difficilmente realizzabili enon compatibili con l’equilibrio richiesto dal futuromercato elettrico che si baserà sul funzionamentodella borsa elettrica.L’analisi degli investimenti evidenzia un valoreattuale netto dell’investimento positivo, il che impli-ca che tale opzione non necessita di incentivi.L’attuazione di questa misura riflette di fatto l’atti-vazione delle disposizioni previste dal disegno dilegge di riordino del settore energetico, in fase didiscussione nel settembre 2002, che integranoquelle previste dalla legge 10/4/2002 (cosiddetto“decreto sblocca centrali”2).
4.2.3.2 Realizzazione di nuova capacità d’importazione
Nello scenario a legislazione vigente, è ipotizzatauna capacità di importazione al 2010 solo in leg-gera crescita a 5500 MW, per il completamentodella linea Italia Grecia. Come ulteriore misuraindividuata per lo scenario riferimento viene indi-cata un’addizionale espansione di 2.300 MW chepermette:
• una sensibile riduzione delle emissioni per 10,6Mt, visto che l’intera capacità di importazionedall’estero, verosimilmente da centrali sottouti-lizzate, andrebbe a riduzione delle emissioniinterne;
• presenta convenienza economica in ragione deibassi prezzi dell’elettricità all’ingrosso all’estero.
La costruzione di capacità di importazione superio-re a 2.300 MW appare improbabile, anche permotivi economici legati alla necessità di utilizzare lacapacità produttiva interna in fase di espansione.Circa l’attuazione di tale misura, occorre rendererealizzabile parte del piano del GRTN annunciato adinizio 20023, attraverso la semplificazione dei proce-dimenti autorizzativi da parte delle autorità locali. Al
1 Ecofys, “Evaluation of national climate change policies, country report on Italy” - 2001.2 Legge 9 aprile 2002, n. 55”Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 7 febbraio 2002, n. 7, recan-
te misure per garantire la sicurezza del sistema elettrico nazionale”, GU n. 84 del 10 aprile 2002.
4. Politiche e misure di mitigazione
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 95
fine di accelerare la realizzazione di nuove linee diimportazione di elettricità, il disegno di legge di rior-dino del settore energetico all’artico 10, introducedisposizioni per la realizzazione da parte di operato-ri privati di linee elettriche di importazione, mentreall’articolo 13 mira alla semplificazione degli iterautorizzativi. Tali disposizioni dovrebbero esseresufficienti per consentire l’espansione della capacitàd’importazione.
4.2.3.3 Ulteriore Crescita delle Rinnovabili
Nello scenario a legislazione vigente al 2010 la cre-scita dell’apporto da rinnovabili di circa 10 TWh finoa 64 TWh è ottenuto per circa 3 TWh dalla crescitadell’idroelettrico, per 1,6 da maggiore capacità eoli-ca, per 1,3 da termovalorizzazione dei rifiuti e, peril rimanente ammontare, da biomasse, biogas, efotovoltaico. Si tratta di uno scenario che scontasemplicemente l’attivazione del sistema dei certifi-cati verdi attraverso l’obbligo del 2% e il completa-mento dei progetti connessi al Cip 6/92.La politica di ulteriore spinta sulle rinnovabili indicacome fattibile una crescita ulteriore al 2010 di 11TWh, provenienti per gran parte da un maggioreapporto da biomasse, da eolico e da rifiuti.L’ulteriore espansione tiene conto dell’aumentodello 0,3% all’anno (–) della soglia obbligatoria del2% all’anno fra il 2005 e il 2012. Inoltre, lo scena-rio prospettato è in linea con quanto previsto dalLibro Bianco sulla valorizzazione delle fonti rinnova-bili, approvato dal CIPE il 6 agosto 1999.I circa 75 TWh prospettati dallo scenario di riferi-mento sono anche l’obiettivo indicato dal Governo
Italiano in sede di approvazione della direttiva2001/77/CE sulle Fonti Rinnovabili.La tabella 4.4 riporta le ipotesi di crescita delle sin-gole fonti rinnovabili.Lo strumento della soglia obbligatoria non è suffi-ciente e necessita di altre politiche collaterali a sup-porto. Si tratta in particolare di norme per la gestio-ne integrata del ciclo rifiuti e per la definizione dinuove politiche nel settore agricolo al fine di forni-re, in maniera costante ed economica, biomasse, siaper la generazione elettrica che per la produzione dicalore attraverso teleriscaldamento.Contestualmente occorre un maggiore coinvolgi-mento delle regioni, al fine di semplificare i proce-dimenti autorizzativi, sfruttando i propositi di defi-nizione, a livello locale, di politiche volte al poten-ziamento delle rinnovabili. Lo sfruttamento dellerinnovabili, rispetto alle altre fonti, interessa mag-giormente la gestione del territorio, rendendo inevi-tabile il diretto coinvolgimento delle amministrazio-ni locali. La definizione di politiche per il raggiungi-mento degli obiettivi di Kyoto dovrebbe essere l’oc-casione per mettere ordine ed attuare le politichelocali.Per le biomasse, per le quali, nello scenario di riferi-mento, è previsto un sensibile aumento, occorrerendere operative le linee guida già individuate nelLibro Bianco del 1999, approvato dal CIPE il 6 ago-sto 1999, per la creazione di filiere integrate, obiet-tivo questo sancito anche dall’articolo 23 del decre-to legislativo di riordino del settore energetico. Molti progetti alimentati a biomassa ed autorizzatinel programma CIP6 sono rimasti irrealizzati per ledifficoltà sorte a monte dell’impianto nella fase diacquisizione del combustibile, selezione, stoccaggio.
FONTE Potenza
installata al
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Incremento
rispetto
2000
Pr oduzione
annua al 2010
MW MW GW h
idroelettrico 10 MW
14.800 37.000
idroelettr ico 10 MW
3.100 12.400
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geotermico 74 4.900
biomassa 1.282 9.000
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Totale
Tabella 4.4 - Bilancio settore elettrico
3 “Programma triennale di sviluppo della rete di trasmissione nazionale”, approvato dal Gestore della Rete diTrasmissione Nazionale (GRTN) il 31 marzo 2002.
4. Politiche e misure di mitigazione
96 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
In particolare occorre che il Ministero delle politicheagricole e le regioni si attivino per:
• individuare i distretti produttivi della lavorazionedel legno dove sono disponibili significativi volu-mi di scarti delle lavorazioni da impiegare comebiomasse;
• prevedere azioni di manutenzione boschiva chediano luogo a significativi quantitativi di biomas-se;
• attivare coltivazione dedicate, al fine anche diuna migliore utilizzazione di ampie aree agrico-le;
• sostenere l’innovazione tecnologica a sostegnodi impianti di piccola taglia;
• integrare i progetti per produzione elettrica dabiomasse con utilizzo del calore con teleriscalda-mento;
• accelerare il ricorso, specialmente nelle zonemontane, a biomasse (in particolare pelletts) perla generazione di calore in sostituzione di gaso-lio e altri combustibili.
Una misura importante per ambire a raggiungereun tale obiettivo sarebbe l’estensione dell’utilizzodello “Sportello Unico” per il processo autorizzativoper impianti al di sotto dei 10 MW di potenza, giàproposto da alcune amministrazioni regionali. Un secondo aspetto fondamentale è la disponibilitàdi corretta informazione. Da un lato gli investitorioggi faticano a conoscere in dettaglio i loro obblighie diritti in un mercato di recente costituzione; dal-l’altro talune amministrazioni non hanno gli stru-menti tecnici in grado di valutare correttamente lacredibilità e fattibilità degli investimenti proposti,costringendo i proponenti dei progetti a difficili trat-tative.Il mondo agricolo sembra disponibile ad alimentareun nuovo mercato di sbocco nel settore energetico,ma richiede continuità e chiarezza di intenti pereffettuare gli adeguati investimenti.Con misure adeguate in questo campo l’obiettivodei 75 TWh non è assolutamente proibitivo e rap-presenta un’opportunità interessante per il sistemaindustriale italiano.
4.2.4 MISURE ADDIZIONALI PER IL SETTOREDELL’ENERGIA ELETTRICA
Aumento della produzione di energia da fontirinnovabili per 500-1.200 MWSi tratta di un’opzione che comunque deve tenereconto della forte espansione già ipotizzata nelloscenario di riferimento, nel quale di fatto vienescontato il raggiungimento dei 75 TWh di energiarinnovabili nel 2010 come indicato dal Libro Bianco
del 1999. Studi settoriali mostrano un potenzialeaddizionale di impianti della potenza complessiva dicirca 1200 MW per i quali il VAN degli investimentiè positivo, grazie all’inclusione nella valorizzazionedell’energia elettrica ceduta e del certificato verdeipotizzato a 5 centesimi di euro/kWh.
Ricerca e sviluppo nel settore fotovoltaicoFra le rinnovabili, si tratta dell’opzione più costosa,avendo il fotovoltaico costi di investimento dell’or-dine dei 7500 Euro/kW. Viene individuata la possi-bilità di ulteriore espansione per circa 150 MW, conun investimento di 1.125 Meuro e un VAN negati-vo di 220 Meuro. Il costo unitario risulta pertantopari a 110 Meuro/Mt.
4.3 SETTORE INDUSTRIA
4.3.1 MISURE MESSE IN ATTO NEL SETTOREINDUSTRIALE
Le misure attuate sono raggruppabili in due tipolo-gie: accordi volontari (inclusi gli accordi di pro-gramma) ed il finanziamento diretto od indirettoin alcuni settori specifici. Un elenco delle misure edegli effetti stimati sulle emissioni è riportato intabella 4.5. I due più importanti accordi volontarisono quelli stipulati con la Montedison e conl’Assovetro.L’accordo volontario Montedison sfortunata-mente non produrrà gli effetti sperati che eranostimati a 10 MtCO2; alcuni di questi progetti pro-ponevano opzioni nella produzione di energia elet-trica e loro potenziale è stato stimato nel paragra-fo 4.2. Sebbene lo sviluppo di detergenti per bassetemperature la riduzione di CO2 sia conteggiato nel-l’accordo volontario, non è ragionevole aspettarsiuna riduzione di 4 MtCO2. L’effetto di questa misu-ra è quindi stimata tra 0 e 0.3MtCO2 (Ecofys, 2001).La realizzazione di un terminale di stoccaggio mari-no faciliterà le crescita della domanda di gas in Italiae favorirà la sua espansione; ma da solo non saràsufficiente a ad ottenere un incremento di uso digas naturale tale da ottenere una riduzione di 3MtCO2.
4.3.2 MISURE MESSE IN ATTO PRIMA O DOPOGLI ACCORDI DI KYOTO
Alcune delle misure descritte e/o riepilogate nelparagrafo precedente sono state messe in attoprima degli accordi di Kyoto, altre in seguito. Unavalutazione dettagliata delle misure adottate primae dopo gli accordi di Kyoto è contenuta in Ecofys,2001. Un’analisi dettagliata di tutte le misure è
4. Politiche e misure di mitigazione
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 97
anche riportata nella II CN, cap. 5.4.3.3 ULTERIORI INTERVENTI PER IL SETTOREINDUSTRIALE
Gli interventi proposti sono stati ipotizzati sulla basedelle indicazioni e della documentazione offertedagli operatori del settore. Essi concernono essen-zialmente incrementi di efficienza dei motori indu-striali, trasformatori e condensatori, cogenerazionee uso dei rifiuti.
4.3.3.1 Incremento efficienza dei motori industriali
Al fine dell’attuazione di tale politica sono necessariele seguenti misure:
• un cofinanziamento all'attività di ricerca e diriconversione delle linee di produzione dellanuova generazione di motori F1 (investimentitotali attorno ai 300-350 mil.euro), da determina-re mediante accordo volontario con ANIE;
• normativa per cui dal 2007 tutti i motori elettriciposti sul mercato siano di tipo F1 (high efficiency)
• incentivo alla sostituzione dei motori esistenti conmotori F1 (credito di imposta) ai fini di un piùveloce rinnovo del parco, prevedendo un creditod'imposta pari a una percentuale dell'investimen-to relativo alla sostituzione anticipata, decrescen-te negli anni fino al 2007 , ultimo anno dell'in-centivo;
• una parallela campagna di informazione presso le
aziende, mediante Accordo volontario con ANIE.A tali misure si associano risparmi energetici tra 2 e7,2 TWh ed abbattimenti delle emissioni di CO2 in unrange tra 1 e 3,6 Mt.
4.3.3.2 Miglioramento efficienza parco trasformatori
Per elevare l'efficienza media del parco trasforma-tori attualmente in servizio (circa 430.000), si pre-vede che dal 2008 non possano circolare sul mer-cato trasformatori che presentano perdite superio-ri a quelle indicate dalle norme CEI 14.13. Si tengain conto che il ritorno dell'investimento addiziona-le di una sostituzione anticipata con recupero diefficienza è di circa 2 anni, manifestando conve-nienza per l'utente finale.L'abbattimento atteso al 2010 dovrebbe restaremodesto (la saturazione pressoché totale del mer-cato avrebbe l'effetto di riduzione pari a 1 Mt diCO2) anche per la vita elevata dei trasformatori(20-40 anni a seconda dei modelli).
4.3.3.3 Innalzamento dello standard COS(ϕϕ)
Viene prospettata un innalzamento dell’attualestandard COS(ϕ) da 0.9 a 0.95 (pari all'attualemedia europea), con inasprimento della compo-nente tariffaria legata alla potenza reattiva.Si tratta di una misura con tempi di ritorno per isoggetti interessati di 6-10 mesi.L’abbattimento di CO2 è indicato in 0,5 Mt ed il
Misure implementate
Descri zione Riduzioni stimate al
2010 (MtCO
AV con Montedison (1998)
Accordo volontario tra Governo e Montedison: progetti diversi, sostenuti da sussidi. Obiettivo di riduz ione di 10 MtCO2 al 2010, ma target annuo e localizzazione geografica non chiara.
0 – 0,3
AV con industria vetraria
Accordo volontario con industria vetraria, programma di riduzione delle em issioni del 10% al 2005; 0.4 MtCO2 eq/a potenziale riduzione
-
S tanz iamento pubblico
Stanz iamento del Governo I taliano di 7 milioni per l’adeguamento di 4 imprese acciaiere agli standards UE.
-
varie Aumento dell’uso di metano nell’industria 3
L aw no. 10/91 Art. 19
Obbligo di nomina di un energy manager negli stabilimenti industriali che consumano oltre 10 000 tep annui di energia primaria e nelle aziende di serv iz i che consumano oltre 1000 tep/ anno. Nel 1997 circa 2500 industrie e 1000 società di servizi avevano nominato un manager.
-
AV tra Enel (2000) e il MAP,
il Ambiente
Campagne per aumentare l’uso di lampadine efficienti ed elim inare la ma ggiorazione della tag lia dei m otori elettrici. (S i stim a che se tutti I motori elettrici fossero della taglia giusta si risparm ierebbe circa il 2% dei consumi elettrici.
-
)2
Min.
Tabella 4.5 – Elenco misure messe in atto nel settore industriale
e
4. Politiche e misure di mitigazione
98 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
risparmio energetico in 1 TWh.4.3.3.4 Cogenerazione nel settore industriale
La cogenerazione ha avuto un buon sviluppo inItalia con il provvedimento CIP6 del 1992, soprattut-to con la realizzazione di impianti di grande taglia. Ilbacino termico dell’industria italiana, tuttavia, è rap-presentato da impianti di taglia relativamente ridotta,che stentano a trovare una convenienza economicaalle condizioni di mercato attuali.Con il nuovo corso avviato con il decreto 79/99 nelsettore elettrico, la cogenerazione ha visto ridursi lospazio di incentivazione rispetto alla situazione pre-cedente dove era in vigore il CIP 6/92.I benefici di cui possono godere gli impianti cogene-rativi sono attualmente la priorità di dispacciamento,e l’esclusione dall’onere di copertura del 2%, dellaproduzione con fonti rinnovabili. Inoltre, gli impianticonnessi alla rete di distribuzione in media e bassatensione possono beneficiare della riduzione del cor-rispettivo di trasmissione, secondo quanto sancito dalTesto Integrato alla Deliberazione n. 228/2001dell’Autorità per l’energia elettrica ed il gas, in virtùdelle minori perdite causate sulla rete.Le potenzialità di ulteriore espansione della coge-nerazione di media taglia nel settore industrialevengono stimate in un range tra i 10 e 20 TWh conuna riduzione delle emissioni di CO2 tra 0,8 e 1,5Mt.La valutazione degli investimenti, compresi fra i1.100-2100 Meuro, ipotizza che la cessione dell’e-lettricità avvenga ai prezzi all’ingrosso, stimatiintorno a 5 eurocents/kWh; il che porta ad unvalore attuale netto negativo in un range tra 48 e90 Meuro. Questo valore costituisce una stimadegli ulteriori incentivi necessari, su tutta la duratadegli investimenti ipotizzati durare 20 anni.Considerando le riduzioni complessive di emissionisull’arco di 20 anni, si giunge ad un costo unitariodi 3 Meuro/Mt CO2. L’incentivazione alla cogenerazione va attivataattraverso una delle seguenti opzioni alternative:
• la definizione di tariffe di cessione delle ecce-denze ai distributori per gli impianti cogeneratividi taglia inferiore ai 50 MW, ad esempio in fun-zione della taglia in modo simile a quanto stabi-lito dalla delibera 82/99 per i piccoli impiantiidroelettrici;
• l’estensione delle disposizioni previste dal decre-to 79/99, circa i certificati verdi, anche alla coge-nerazione di taglia inferiore ai 50 MW per laparte di risparmio di energia come definita dallaDeliberazione 42/02 dell’Autorità dell’energia edel gas;
• l’estensione agli usi industriali delle disposizionipreviste dai DM del MICA del 24/4/01 sugli usifinali di energia: certificati bianchi dalla cogene-
razione con produzione di energia per usi civili.4.3.3.5 Produzione di energia da rifiuti
Con il decreto 22 del 5 febbraio 1997 (decretoRonchi) si è avviata in Italia una riforma importantedel settore dei rifiuti mirata sia ad impedire la messaa discarica del rifiuto tal quale sia ad ottenere ilrecupero energetico tramite combustione della fra-zione secca o attraverso la preparazione delCombustibile Derivato dai Rifiuti. Tuttavia, ostacolinormativi soprattutto a livello locale, hanno impedi-to sino ad oggi una maggiore diffusione di tali pro-getti. Una soluzione di tali problemi a livello locale el’integrazione della normativa vigente con una cherenda più facile la realizzazione dei progetti dovreb-be condurre nel prossimo futuro ad un aumento delrecupero energetico dalla filiera dei rifiuti. L’Italia ètutt’oggi in forte ritardo rispetto al resto d’Europa,circa l’impiego dei rifiuti per la produzione dell’elet-tricità, con una quota del loro impiego totale infe-riore al 7%, contro una media europea del 20% econ punte in alcuni paesi del 50%.Più in particolare, relativamente al settore industria-le, è il caso del mancato utilizzo dei rifiuti nel setto-re del cemento che, in Italia soffre, rispetto agli altripaesi, di vincoli particolarmente stringenti. I rifiutiutilizzati nella produzione di cemento, il cui costospesso è nullo o negativo, verrebbero sottratti all’in-cenerimento o alla discarica, sostituendo combusti-bili convenzionali il cui costo è ampiamente supe-riore.Per attivare investimenti in questa direzione occor-rono disposizioni precise che autorizzino l’impiegodi rifiuti da parte dei cementifici, al fine di superaregli ostacoli spesso frapposti a livello locale.Si tratta di una misura che non necessita di altriincentivi.Complessivamente gli investimenti in utilizzo termi-co da rifiuti sia nell’industria che per la produzionedi energia elettrica vengono stimati in un rangecompreso fra 1.100 e 2.400 Meuro, con un VANprossimo allo zero in ragione delle tariffe di smalti-mento che dovrebbero essere fissate proprio perconsentire la remunerazione dell’investimento. Ipotenziali risparmi di emissioni sono stimati fra 1,8e 3 Mt.
4.4 SETTORE MOBILITÀ E TRASPORTI
4.4.1 MISURE ATTUATE NEL SETTORE DEITRASPORTI
Questo settore si caratterizza per il numero ele-vato di iniziative e per l’impatto relativamentemodesto sulle emissioni. Dal punto di vistaamministrativo le competenze sono disperse in
4. Politiche e misure di mitigazione
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 99
un gran numero di soggetti istituzionali edaziende, per cui le iniziative sono necessaria-mente molto specifiche. Un elenco delle misuree degli effetti stimati sulle emissioni è riportatoin tabella 4.6. Le misure più significative sonodescritte nel cap. 5 della SNC e brevemente rias-sunte nel seguito.
L’accordo volontario Fiat (integrato da accordotra Commisione europea e costruttori di autovei-coli) prevede la riduzione delle emissioni specifi-che delle auto da 164 gCO2/Km a 145 gCO2/km.La misura si stima possa permettere una riduzionedi 6.8 MtCO2 al 2010. La crescente diffusione di veicoli a metano, GPLe biodiesel permette una ulteriore riduzione di 1MtCO2.Gli effetti diretti di misure con l’obiettivo di incen-tivare l’uso di modalità di trasporto collettivo èlimitato a 0.5 MtCO2. Una serie di misure ha l’o-biettivo di incrementare l’efficienza nel trasportomerci. La riduzione ottenibile al 2010, trasferendo12 Gt/km dalla strada al treno/nave, è di circa 1MtCO2. Assumendo che tutte le misure previstesiano completate, la riduzione alle emissioni cadràin un range tra 2.6 e 3.2 MtCO2.Il panorama delle misure proposte nel PianoGenerale dei Trasporti potrebbero avere uneffetto di riduzione da 20 a 24 MtCO2 (incluse leopzioni descritte nei paragrafi precedenti). Unaloro effettiva adozione dipende anche dalle deci-sioni della Comunità europea in merito ad incre-mento dell’efficienza di auto, camion e mobilitàurbana. Le misure previste sono:
• uso di combustibili a bassa intensità di carbo-nio;
• aumento di infrastrutture di trasporto nellearee urbane;
• riduzione /restrizioni all’uso dell’auto in città;• traffico merci da strada a rotaie e acqua.
4.4.2 MISURE MESSE IN ATTO PRIMA ODOPO GLI ACCORDI DI KYOTO
In generale tutte le misure relative a questo settoresono state messe in atto prima degli accordi di Kyoto,e alcune di queste misure sono state messe in atto inseguito. Una valutazione dettagliata delle misureadottate prima o dopo gli accordi di Kyoto è conte-nuta in Ecofys, 2001.
4.4.3 NUOVI INTERVENTI GIÀ DECISI PER ILSETTORE DEI TRASPORTI
Per questo settore è prevista una pluralità di azioni,
in ragione della complessità derivante dall’attuareinterventi in un contesto caratterizzato da una fortecrescita dei consumi e dalla presenza di oltre 40milioni di soggetti, i proprietari dei veicoli, e di ungran numero di aziende e soggetti istituzionali concompetenze relative ad un aspetto particolare di que-sto settore. Le misure già decise ed incorporate nello scenario diriferimento sono di seguito descritte e classificate intre categorie:
• misure volte al passaggio a carburanti con mino-re densita' di carbonio;
• sistemi di ottimizzazione e collettivizzazione deltrasporto privato;
• infrastrutture.
Il Ministero dei Trasporti provvederà a individuaremisure di monitoraggio ai fini della prevista riduzionedi gas serra.
4.4.3.1 Passaggio a carburanti a minore densitàdi carbonio (gpl, metano)
Si tratta di misure che al 2010 dovrebbero permette-re riduzioni al 2010 di 1,5 Mt di CO2 (a regime 2,0Mt), e investimenti totali prossimi a 880 Meuro, di cui530 a carico del settore pubblico.La durata dell’investimento in queste misure è ipotiz-zata in 15 anni e comporta un costo unitario di 39Euro/t.
Sviluppo Metano. Protocollo Ministerodell’Ambiente – Fiat – Unione Petrolifera
Il protocollo ha offerto, per ora, solo una piccolaquota delle sue potenzialità. Lo sviluppo della moto-rizzazione a metano – in ogni caso positivo per il con-tenimento delle emissioni di CO2 – offrirà i suoimigliori effetti quando potranno essere disponibilimotorizzazioni “dedicate”, ossia motori espressa-mente progettati ed ottimizzati per l’alimentazione agas naturale. Il metano, le cui disponibilità sonomolto elevate ed il cui ruolo nel settore trasporti siannuncia sicuramente rilevante appare in grado, coninterventi di sostegno adeguati, di alimentare unparco di 1÷1,5 milioni di veicoli, il parco attuale è paria circa 0,4 milioni. Le maggiori difficoltà riguardanolo sviluppo di una rete di distribuzione del metano piùdiffusa e moderna, che consenta tempi di riforni-mento competitivi con quelli degli altri carburanti.Nonostante le difficoltà emerse, le potenzialità di unmaggiore sviluppo del metano per autotrazionerimangono ancora alte, anche per il fatto che l’Italiapuò vantare in questo settore una posizione d’avan-guardia per diffusione del parco auto a metano.
Bus a metano
4. Politiche e misure di mitigazione
100 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
Mi sure
imp lementate
Descrizione Riduzioni stimate al 2010 (MtCO )
DM
del 17.2.00
Ministro
dell’Ambiente
Programma di finanziamento chiamato “Domeniche ecologi che” con lo
scopo di: realizzare, integrare o completare sistemi di trasporto pubblico
ad emissioni zero o basse emissioni; regolamenti e controlli all’accesso ai
centri delle maggi ori città con controlli automa tici o implementazi one di
una “road pricing”; promoz ione all’uso di com bustibili a ridotto impatto
am bientale.
-
AV con FIAT
(1988)
Riduzione del livello di controllo delle emissioni di CO2 delle auto a 145g
CO2 /k m
6.8
L .N. 140
del 11.5.99.
R egole in materia di attiv ità produttive: Art. 6: regole di rifinanziamento
ed estensione deg li incentiv i (per acquisti di motocicli e moto veicoli)
Delibera CIPE
20.11.95, 21.4.99, l.
N° 448/99, N° 488/99 e
N° 388/00
3 serie di decreti di finanziamento:
a. 52 progetti per un investimento totale di 7.3 m iliardi, ap provati al
1999
b. 23 prog etti per un investimento totale di 2.2 miliardi, approv. nel 2000
c. 32 progetti per un investimento totale di 1.9 miliardi, stimati m a non
ancora approvati.
D M 6.6.00 (f inanziamenti derivati da l . N . 194 del 18.6.98. art . 2, par. 5) Ministrodell’A mbiente
Finanziam ento alle Regioni per la sostituzione di autobus per il trasporto
pubblico in serv izio da più di 15 anni.
2.6 – 3.2
DM del 28.5.99
Ministri Ambiente,
Trasport i e Tesoro
I ncentiv i finanziari alle autorità locali ed imprese private per l’acquisto di
v eicoli ad emissioni zero o ridotte (ibridi, electrici, a metano, auto a GPL)
in aree urbane con più di 150.000 abitanti. (L. N. 426 del 9.12.98)
DM 20.12.00
Ministro dell’ambiente
I ncentiv i per la conversione a gas naturale o GPL per veicoli non
catalizzati.
A V del 6.4.01 Min istri dell’Ambiente, In dustria, Finanze, A gricoltura, ENEA , A N CI , Regioni.
Promozione “Biodiesel” nelle reti di distribuzione e mezz i di trasporto
pubblico.
1
L . N. 403 del
14.10.99
Ministro degli Esteri
Rettifica ed implementazione della Convenzi one per la Protezione delle
Alpi del 1991; programma di mi sure nel settore del trasporto merci da
strada a treno/nave
L . N . 27 del 18.2.00 (con vers ione D .l . N . 484 del 20.12.99, con emendamenti alla leggeN . 454 del 23.12.97) Mi nistro dei T rasport i
Az ioni di sviluppo alla intermodalità, secondo normative UE1
DM del 7.6.00
( Ministri dei
Trasporti e Lavori
pubblici)
Distribuzione ad un Fondo destinato per incentivare l’uso di biciclette
sotto la l. 366/1998 e Regi oni e Prov incie autonome.
-
Delibera CIP E N. Piano Generale dei Trasporti, contiene proposte per la stabilizzaz i one -
2
Tabella 4.6 – Elenco misure messe in atto nel settore dei trasporti
4. Politiche e misure di mitigazione
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 101
Misure
implementate
Descrizione Riduzioni stimate al 2010 (MtCO )
DM 20.12.00
Ministro
dell’ambiente
Promozione “Car sharing” -
DM 20.12.00
Ministro
dell’ambiente
I ncentiv i per la programm az i one di “mobility manag ers” nelle az iende,
per trasporto di persone e merci.
-
DM 25.1.00
Ministro
dell’Ambiente
“domeniche ecologiche”; cofinanziamento di progetti volti alla
sensibiliz zaz i one pubblica al trasporto sostenibile.
-
Circolare N. 2708
del 30.6.99.
Ministero
dell’Ambiente
Sostegno al Decreto Ministeriale N. 163 del 21.4.99 per la identificazione
di criteri sanitari ed am bientali secondo i quali il Sindaci prende misure di
limitazione del traffico urbano.
-
Direttive UE Recepimento della Direttiva 2001/1/CE del Parlamento europeo e del
C onsiglio del 22 gennaio 2001, che modifica la Di rettiva 70/220/CEE del
Consiglio, relativ a alle mi sure da adottare contro l' inquinamento
atmosferico da emissioni dei veicoli a motore. G.U. n.103 del 5/5/2001.
-
DM 01.06.2001
Ministero dei
Trasporti
Recepimento della Di rettiva 1999/96/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio del 13 dicembre 1999 concernente il ravvicinamento delle
legislazioni degli Stati mem bri relative ai prov v edimenti da prendere
contro l'em issione di inquinanti gassosi e di particolato prodotti dai motori
ad accensione spontanea destinati alla propulsione di veicoli e l'emissione
di inquinanti gassosi prodotti dai motori ad accensione comandata
alim entati con gas naturale o con gas di petrolio liquefatto destinato alla
propulsione di veicoli e che modifica la Direttiva 88/77/CEE del
Consiglio.
-
DM 01.06.2001
Ministero dei
Trasporti
Recepimento della rettifica alla Direttiva 1997/68/CE del Parlamento
europeo e del Consiglio del 16 dicembre 1997 concernente i
provvedimenti da adottare contro l'em issione di inquinanti gassosi e
particolato inquinante prodotti dai motori a combustione interna destinati
all'installazi one su macchine mobili non stradali.
-
DM 25.07.2001
Ministero
dell’Ambiente
Campag na “Giornate ecologi che 2001” -
DM 02.04.2002
Ministero
dell’Ambiente
Recepimento della Di rettiva 1999/30/CE del Consiglio del 22 aprile 1999
concernente i v alori limite di qualità dell'aria ambiente per il biossido di
zolfo, il biossido di azoto, gli ossidi di azoto, le particelle e il piombo e
della Di rettiva 2000/69/CE relativa ai valori limite di qualità dell' aria
ambiente per il benzene ed il monossido di carbonio
-
2
4. Politiche e misure di mitigazione
102 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
Visti i risultati confortanti delle l. n.194/98 e svilup-pi (DM 25/05/1999), si propone di stimolare nuova-mente le aziende di trasporto pubblico locale, conAccordi di programma e normative locali, alla sosti-tuzione del parco più obsoleto (immatricolati da 10anni) con autobus alimentati a gas, o ibridi.
Sviluppo GPL. Protocollo Ministero dell’Industria –Fiat – Consorzio GPL Autotrazione
Il protocollo è appena stato firmato e prevede incen-tivi finanziari per chi acquisti veicoli (offerti dalle caseautomobilistiche) alimentati a Gpl, ovvero per coloroche convertano all’alimentazione a Gpl veicoli di loroproprietà entro 36 mesi dalla data di immatricolazio-ne. Sono altresì previsti impegni reciproci, intesi allamigliore diffusione di questo carburante.Attualmente il parco alimentato a Gpl ammonta a1,4 milioni di veicoli.L’attuale sistema distributivo del Gpl consentirebbe,senza interventi di rilievo, di sostenere un parco di3,5÷4 milioni di veicoli. La disponibilità di motorizza-zioni “dedicate” fungerà da moltiplicatore dei giàconsistenti vantaggi offerti dall’alimentazione a Gpl.Costo intervento: 40 milioni di Euro.
4.4.3.2 Sistemi di ottimizzazione del trasportoprivato
Si tratta di misure che al 2010 dovrebbero permet-tere riduzioni al 2010 di 2,1 Mt di CO2 (a regime 4,6Mt), risparmio energetico pari a 0,8 Mtep (a regime2) e investimenti totali prossimi a 60 Meuro, di cui49 a carico del settore pubblico. Il costo unitario perla riduzione delle emissioni viene stimato in 3euro/t.
Persone - Car pooling
Previsto dai DM Ambiente 17/02/2000 e DMAmbiente 20/12/2000, la condivisione tra più utentidei mezzi privati di trasporto, coordinata dai gestorilocali della mobilità per la formazione degli equipag-gi nelle vetture, potrebbe essere implementata anchecon accordi volontari con aziende con numero diaddetti al di sopra di una certa soglia.
Persone - Car sharing
Previsto dai DM Ambiente 20/12/2000, si propone lacostituzione di unita' operative all'interno alle azien-de di trasporto pubblico locale, che diano vita edorganizzino la gestione comune di un parco veicoliutilizzabili da una pluralità di utenti, incoraggiandol’utilizzazione di mezzi a basso impatto ambientale.
Persone - Taxi collettivi
Già previsto dai DM Ambiente 20/12/2000, si propo-ne una offerta di trasporto intermedia tra il bus pub-blico e il taxi privato, contribuendo alla decongestio-ne di direttrici ad alta domanda di trasporto; il seg-mento di offerta potrebbe essere riportato da incen-tivi/bandi disegnati per le società di trasporto pubbli-che e private.
Sistemi informatico-telematici per trasporto merci
Come già proposto nel PGT, vista la quota ancoraconsiderevole (10% - 25%) dei chilometri percorsidai veicoli di trasporto pesante, senza carico utile, siraccomanda l'Accordo Volontario con Federtraspor-to, con incentivi per la realizzazione di uno o più cen-tri di coordinamento che possano mettere in sinergiale iniziative già intraprese ed assistere un sempremaggior numero di trasportatori alla copertura dei“viaggi a vuoto”.
Rimodulazione dell’imposizione sui carburanti
Rimodulazione, a cura del ministero delle Finanze,entro il 2004 delle accise sui carburanti, a neutralitàdi gettito, funzionalmente alla promozione di queicarburanti che meno danno arrechino alla saluteumana ed all’ambiente e a minori emissioni di CO2.
4.4.3.3 Infrastrutture
Si tratta di misure, già previste e con priorità nella“legge obiettivo” del 21 dicembre 2001, che nel loroinsieme, al 2010, dovrebbero permettere riduzioni al2010 di 3,6 Mt di CO2 (a regime 17.6 Mt), risparmioenergetico pari a 1,1 Mtep (a regime 2,0). Nell’analisieconomica non si considerano gli investimenti, amotivo della loro primaria giustificazione nell'infra-strutturazione del paese.
Trasporto marittimo. Attuazione del progetto“Autostrade del mare”
Vista la l.n.27/2000 e l’accordo volontario conConfitarma, gli investimenti in favore di ristruttura-zioni ed ammodernamenti delle strutture portualirenderanno l’Italia (al centro dei flussi di trasporto delbacino del Mediterraneo) pronta alla crescentedomanda di trasporto da cabotaggio e in grado direndere competitivo tale modalita' anche per percor-renze inferiori a 500 km .
Trasporto marittimo. Riattivazione e sviluppo delle vied’acqua interne.
L’implementazione dei trasporti navali interni puòavvenire in tempi ristretti e con ricadute sicuramentesignificative, orientando gli investimenti in via priori-taria verso le aree di adduzione al mercato della
4. Politiche e misure di mitigazione
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 103
Capitale, e verso il “quadrilatero petrolchimico”Mantova – Marghera – Ferrara – Ravenna ed il baci-no mestrino-trevigiano
Completamento linee alta velocità.
E' opportuno il continuo monitoraggio sull’avanza-mento dei lavori e sui percorsi amministrativi seguitidagli investimenti già stanziati.
Trasporto ferroviario - Estensione della rete ferrovia-ria locale.
L’estensione della rete è un elemento necessario aduno sviluppo armonico ed intenso. Particolare atten-zione è dedicata alle connessioni intermodali merciferro / gomma e ferro / nave, oltre al potenziamentodel trasporto passeggeri su tratte pendolari.
Nuove linee ed estensione delle linee esistenti:metropolitane e di trasporto in sede propria
(urbano). Il nostro Paese è, tra quelli europei, il menodotato di strutture di TPL in sede propria. I program-mi deliberati ed in corso di attuazione hanno con-sentito un miglioramento nelle dotazioni strutturali dialcune città, ma le esigenze appaiono fortementesuperiori alle iniziative intraprese.
Sviluppo passanti viari nodali e regionali
La realizzazione di interventi nodali e regionali divie-ne strumento strategico per tutto il sistema dei tra-sporti (merci e passeggeri) nazionale, e per conse-guenza della riduzione degli intasamenti, avrà ricadu-te positive sulle emissioni.
Infrastrutturazione viaria di media e lunga percorrenza.
Pur volendo scontare il trasferimento di non trascura-bili quote di trasporto (passeggeri ed, in maggiormisura, merci) dalla gomma al ferro ed alla nave, larichiesta di trasporto stradale è destinata ad incre-mentarsi ulteriormente. La rete viaria nazionale e lesue interconnessioni con le altre reti europee, mostrada tempo la sua inadeguatezza. L’integrazione infra-strutturale consentirà minori percorrenze e miglioricriteri di utilizzazioni dei mezzi con positive conse-guenze anche sulle emissioni.
4.4.4 ULTERIORI INTERVENTI PROGRAMMATIPER IL SETTORE DEI TRASPORTI
Le ulteriori misure nel settore trasporti sono state rag-gruppate in tre categorie principali:
• tecnologiche/fiscali• infrastrutturali• ricerca.
Tecnologiche/fiscali
Si tratta di misure volte al contenimento dei consu-mi e delle emissioni inquinanti (non solo di quelle diCO2) grazie a una migliore efficienza media dei vei-coli in circolazione e alla comunicazione all'utenza,tramite la tassazione, di comportamenti ambiental-mente virtuosi.
- integrazione accordo Fiat-Acea per lo sviluppo diautovetture a minor emissione di CO2 e Incentivazionein conto capitale alla sostituzione di auto esistenti connuove autovetture a consumi unitari inferiori a 5lt/100 km.(emissioni medie di CO2 pari o inferiori a120 g/Km); si attende la promulgazione di unaDirettiva in merito. Si stima che tale misura comporte-rebbe riduzioni di CO2 per un range fra 3.5 e 6 Mt,risparmio energetico fra 1,5 e 2,5 Mtep, investimentipari ad un range tra 1.400 e 2.400 mil.euro e riduzio-ni di esternalita' attorno ai 1000 mil.euro.
- Miglioramento efficienza energetica veicoli da tra-sporto pesante. Si prevede un intervento normativoche richieda, per l’omologazione di veicoli da tra-sporto, il rispetto di norme più restrittive sia in ter-mini di consumi che in termini di emissioni. In paral-lelo si prevede un accordo volontario con l'industriacoinvolta. Si stima che tale misura comporterebberiduzioni di CO2 per un range fra 0,3 e 0,8 Mt, rispar-mio energetico per un range tra 0,1 e 0,3 Mtep,costi nulli e riduzioni di esternalita' attorno ai 1.000Meuro.
- Biocarburanti. Si prevede la miscelazione del gaso-lio per autotrazione con biodiesel (ottenuto median-te esterificazione dell’olio di colza) fino ad un tassodel 5%. L’industria nazionale potrebbe, entro 4-6anni, essere in grado di produrre annualmente unquantitativo di biodiesel aggirantesi tra 1 ed 1,3 Mt.Si stima che tale misura comporterebbe riduzioni diCO2 per 4 Mt, risparmio energetico nullo, costi com-plessivi per 15 milioni euro. In considerazione deitempi di commercializzazione del biodiesel si puòprevedere di iniziare la miscelazione del prodottocommerciale nel 2006 con tassi di 1÷1,5%, per rag-giungere misure del 4÷5% nel 2010. Una misura diquesto genere comporterebbe parallelamente unadiminuzione del fabbisogno petrolifero nazionale dicirca l’1% annuo. Si prevede un accordo di pro-gramma con industrie di produzione e compagnie dicommercializzazione e una normativa di formulazio-ne dei gasoli in vendita al pubblico. Si può prevede-re in aggiunta una parziale o totale defiscalizzazio-ne del biodiesel utilizzato.
4. Politiche e misure di mitigazione
104 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
- Revisione del metodo di calcolo della tassa di pro-prietà dei veicoli e sua correlazione non più o nonsolo alla potenza massima del veicolo, ma anche: a)alla massa a vuoto del veicolo, orientando l’utenzaverso veicoli con massa minore, e ottenendo sensi-bili vantaggi sia sotto il profilo di emissioni di CO2
che sul lato di minori consumi e di minori inquina-menti pervasivi; b) alla riprova di revisione annualedell'auto (vedi oltre). Si stima che tale misura, asso-ciata alla successiva, comporterebbe riduzioni diCO2 per 1.3 Mt, risparmio energetico per 0.6 Mtep,costi complessivi trascurabili e riduzioni di esternali-ta' attorno a 200 milioni euro.
- Cadenza annuale della revisione del veicolo, inclu-dendo nella revisione anche la componente di effi-cienza dell’apparato motore e degli abbattitori discarico.
- Miglioramento qualita’ e standardizzazione carbu-ranti mediante apposite normative tecniche a parti-re dal 2004:
- Riduzione del tasso massimo consentito di zolfonelle benzine: si tratta di una precondizione irrinun-ciabile per lo sviluppo di vetture a basso o bassissi-mo consumo.
- Definizione di standard commerciali Gpl: un pro-dotto normalizzato e privo o quasi di olefine è pre-condizione per lo sviluppo di motorizzazioni dedica-te ed anche per il progresso dei sistemi di post-con-versione oggi diffusi.
- Definizione standard commerciali metano: la “nor-malizzazione” del metano erogato per autotrazioneappare indispensabile per consentire uno sviluppoconsistente di questo carburante.
- Modulazione accise su carburanti a finanziare i sinksnazionali. Data la difficoltà alla riduzione di emissioninel segmento trasporti, si propone di attribuire a que-sto le potenzialità di assorbimento dei sinks, sia quel-li nazionali, che quelli connessi ai meccanismi flessibi-li; una rimodulazione degli incrementi di accisa deri-vanti dalla Carbon Tax potrebbe permettere il finan-ziamento di misure interne di forestazione/afforesta-zione e/o altre misure connesse ai sinks. Gli incre-menti di accisa (o la destinazione di parte di quellaesistente) per il finanziamento di tali costi ammonta-no a 0,005 euro/unità di vendita al pubblico.
- Promozione di campagne di sensibilizzazione sullemodalità di conduzione dei veicoliPosto che una non piccola parte degli sprechi di car-burante e degli eccessi di emissioni sono dovuti aimodi con i quali i mezzi di trasporto individuale ven-gono quotidianamente condotti, azioni di sensibiliz-
zazione rivolte agli utenti delle strade possono,anche in tempi relativamente brevi, avere conse-guenze molto positive sui tassi di emissioni (nonsolo di CO2), sui consumi di carburante e sulla sicu-rezza delle nostre strade. Si stima che tale misuracomporterebbe riduzioni di CO2 per 0.2 Mt, rispar-mio energetico per 0.1 Mtep, costi complessivi per36 mil.euro e riduzioni di esternalità attorno a 15mil.euro.
Misure infrastrutturali
Si stima che tali misure addizionali rispetto a quan-to riportato nel paragrafo 4.4.3.3 comporterebberiduzioni di CO2 per 0.4 Mt, risparmio energeticoper 0.2 Mtep, costi complessivi per 610 mil.euro eriduzioni di esternalità attorno a 80 mil.euro.
- Promozione e sviluppo trasporto auto su treno. Ilservizio, già offerto da molti anni, ha interessantipotenzialità di ridurre le emissioni e di contribuire alcontenimento dei consumi. Conseguenze positiveper i trasferimenti di medio-lungo raggio avrà l’inte-grazione funzionale dei parcheggi scambiatori con ipiazzali di carico dei veicoli su treno. Si prevede unaccordo di programma con Trenitalia. Si stima chetale misura comporterebbe riduzioni di CO2 per 0.6Mt, risparmio energetico per 0.2 Mtep, costi com-plessivi per 30 mil.euro (di cui 20 pubblici) e ridu-zioni di esternalità attorno a 40 mil.euro.
- Riorganizzazione traffico urbano mediante:
• car pricing: imposizione di una tariffa per l’ac-cesso veicolare alle aree metropolitane;
• inserimento Taxi bus nelle direttrici a maggiordomanda di traffico;
• attivazione sistemi informatizzati per gestionetraffico e controllo semaforico, determinanti peri consumi necessari alla percorrenza e per leemissioni ad essi connessi;
• limitazioni di accesso ai centri storici in funzionedei livelli di emissione degli autoveicoli.
Linee di ricerca sui trasporti
Il sostegno alla ricerca di veicoli intrinsecamente piùefficienti ed alimentati con carburanti a minor tassodi carbonio ha un rilievo tra le misure intese allariduzione delle emissioni di gas-serra, senza trascu-rare i significativi contributi che ricadranno sullamodernizzazione del sistema-Italia e sulla sicurezzadella circolazione. Si segnalano le seguenti linee:
• Propulsori ottimizzati monofuel metano.• Propulsori ottimizzati monofuel gpl a iniezione
diretta.• Sistemi di propulsione a celle a combustibile per
4. Politiche e misure di mitigazione
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 105
Mi sure
implementate
Descrizione Riduzioni stimate al
2010 (MtCO )
Diversi decreti Incremento dell’uso di gas naturale nel residenziale e nel terziario 8
Implementazione L . 10/91
Riduzione dei consumi di calore nei nuovi edifici residenziali e nel terziario
Implementa zione
L. 10/91
Richiamo a criteri di insolazione delle costruzioni.
Al 1999 la riduzione della CO2del 10% per le nuove costruzioni degli
ultimi due anni.
3,7
Implementazione L . 10/91
Riduzione de i consumi di ca l ore neg li ed ific i ristruttura ti.
L. 449/97.
Art 31
Income tax (IRPEF ) deduz ione del 41% delle spese per le
ristrutturaz ioni. Adottata solo negli anni 1998 e 1999
Del. CIPE
137/98 - AV
I n troduzione di un codice di autorego lamentazione in ambito
energetico-ambientale negli edifici delle pubbliche amministrazioni
2,0
AV con ENEL
(2000)
Campagna informativa per incrementare l’uso di lampad ine ad alta
efficienza, eliminare motori elettrici di grossa taglia non adeguata,
pompe di calore, forni a microonde.
-
Dir. UE Standards UE per elettrodomestici, etichettatura . -
DM 10/07/2001
Ministero delle
Attività Produttive
Recepimento della Direttiva 98/11/CE della Commissione del 27
gennaio 1998, che stabilisce le modalità di applicazione della Direttiva
92/75/CEE del Consiglio per quanto rigu arda l'etichettatura indicante
l 'efficienza energeti ca delle lampade per uso domest ico.
-
Dir. UE Appl icazioni di Ecolabel in vecchi e costruzioni. Implementazione
prevista per il 2002.
-
Implementazi one L . 10/91
Co rsi ed informazioni ENEA e FI R E su efficienza energeti ca. Misure
DSM: pompe di calore e cogenerazione
-
03/04/2001
Progetto nazionale
Pr ogramma “Comune solar i zza to”. Rivolto ad Enti loca li e Reg ioni de l
centro sud che vogliono installare impianti solari per la produzione di
acqua calda in edifici pubblici. Prevede inoltre la formazione di
g iovani da impiegare nel settore solare.
-
03/04/2001
Progetto nazionale
Programma “Solare Termico”: consente ai comuni con più di 50.000
abitanti e le aziende distributrici del gas di proprietà comunale di
p resentare, a partire dal 3 aprile 2001, domande di finanziamento per la
produzione di calore a bassa temperatura.
-
06/2001 Accordo In term. Minist ri Am biente e Giustizia
Programma Nazionale di Solari zza zione dei penitenziari italiani:
porterà all’installazione di 3.000 m di collettori in 5 anni.
-
DM 26/03/2002
Ministero delle
Attività
Produttive
Attuaz ione della Direttiva 2000/55/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio concernente i requisiti di efficienza energetica degli
a limentator i per lampade fluorescenti.
2
2
Tabella 4.7 – Elenco misure messe in atto nel settore civile
4. Politiche e misure di mitigazione
106 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
trasporti su strada.• Sistemi di propulsione a celle a combustibile per
trasporti ferroviari / marittimi.• Sviluppo materiali per la riduzione della massa
dei veicoli e dei convogli ferroviari.• Produzione distribuzione di idrogeno da idrocar-
buri.
Si stima che tali linee di ricerca possano portare al2010 a riduzioni di CO2 in un range fra 0.8 e 2,1 Mt,a un risparmio energetico tra 0,4 e 1 Mtep (cheperò a regime diverrebbero 24 Mt CO2 evitata e 12Mtep risparmiati), con costi complessivi che varianoin un range tra 1.600 e 4.200 mil.euro.
4.5 SETTORI RESIDENZIALE, COMMERCIALE E DEI SERVIZI
4.5.1 MISURE ATTUATE NEL SETTORE CIVILE
Le misure attuate sono riassumibili in tre tipologie:uso di combustibili a minore contenuto di carbonio,incremento dell’isolamento degli edifici e promozio-ne di apparecchiature più efficienti, sia elettricheche termiche. Un elenco delle misure adottate edegli effetti stimati sulle emissioni è riportato intabella 4.7.L’uso di gas naturale nel residenziale ha visto signi-ficativi incrementi negli anni successivi al 1990 ed èatteso crescere ancora nei prossimi anni; questa rima-ne la misura più economica per la riduzione delleemissioni. Associata a questa misura è la diffusione diapparecchiature (caldaie e componenti) più efficientiper il riscaldamento degli edifici.La legislazione sviluppata per l’implementazionedella legge 10/91 in particolare art. 4C punto 1 e 2,ha ridotto i consumi energetici nei nuovi edifici del10% rispetto ai livelli del 1990 negli ultimi due anni.E’ stato stimato che le emissioni annuali di residen-ziale e terziario, che ammontano a 100 MtCO2, pos-sono essere ridotte del 3% l’anno con l’adozione diquesta legge. Visto il tasso di crescita degli edifici nelresidenziale che si approssima al 2%, la riduzioneeffettiva sarà contenuta.Le misure connesse all’etichettatura degli elettrodo-mestici ed in generale delle apparecchiature elettri-che più efficienti sono anch’esse molto importantiper la riduzione dei consumi elettrici negli edifici. Lastima dell’impatto di queste misure sulle emissioni èagevole dal punto di vista tecnico ma piuttosto com-plessa da riportare in questo tipo di studio, anche alfine di evitare doppie valutazioni di risparmio:
• per quello che riguarda lo scenario tendenzialel’effetto dell’etichettatura nei prossimi anni èincluso nella stima della crescita dei consumi
elettrici;• per quello che riguarda il livello dei consumi
attuali di elettricità e quelli (teorici) senza lemisure attuate si rimanda al capitolo 2 ed agliindicatori nel settore domestico per un confron-to con il livello medio degli altri paesi europei;questo dato forse meglio di ogni altro calcolopuò rappresentare la maggiore efficienza nell’u-so degli elettrodomestici a livello nazionale inquesto settore;
• l’impatto della ulteriore diffusione di elettrodo-mestici/componenti più efficienti: vedi la stimadel potenziale di riduzione delle emissioni deidecreti legislativi 24 aprile 2001 sull’efficienzaenergetica, descritti nel paragrafo 4.5.3.
4.5.2 MISURE MESSE IN ATTO PRIMA E DOPOIL 1998
Alcune delle misure descritte e/o riepilogate nelparagrafo precedente sono state messe in attoprima degli accordi di Kyoto, altre in seguito. Unavalutazione dettagliata delle misure adottate primae dopo gli accordi di Kyoto è contenuta in Ecofys,2001.
4.5.3 NUOVI INTERVENTI GIÀ DECISI PER ILSETTORE CIVILE
4.5.3.1 Decreti sugli usi finali (D. M. 24/04/2001)
Come già accennato questi decreti costituiscono lapiù importante misura già decisa per il settore. Illoro contributo è stimato in 6.3 Mt CO2.I decreti del Ministero dell’Industria 24 aprile 2001individuano gli obiettivi quantitativi nazionali dirisparmio energetico e sviluppo delle fonti rinnova-bili e gli obiettivi quantitativi per l’incremento del-l’efficienza energetica degli usi finali. I decreti si tra-ducono in una pluralità di azioni: ad esempio, l’usodi caldaie più efficienti, di lampade fluorescenti, dicollettori solari per la produzione di acqua calda, didoppi vetri, ecc.Gli obiettivi dei decreti sono espres-si in Mtep di energia risparmiata, riferiti ad ognianno del periodo 2002-2006.I soggetti cui si riferiscono gli obblighi definiti daidecreti sono i distributori di energia elettrica e digas che alla fine del 2001 servivano almeno 100mila clienti finali. Si tratta nel concreto di circa 30soggetti ai quali è assegnato un obiettivo specificoobbligatorio, calcolato come quota dell’obiettivonazionale, in base alla proporzione tra l’energiadistribuita dal singolo distributore e il totale nazio-nale.I progetti sono finanziati con risorse dei soggetti
4. Politiche e misure di mitigazione
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 107
proponenti ma anche con altre risorse, come finan-ziamenti statali, comunitari, regionali o da parte dichi beneficerà del risparmio energetico (i cosiddetticlienti partecipanti). Possono essere introdotti mec-canismi di copertura tariffaria per i costi non coper-ti da altre risorse (decisione a cura dell’AEEG).In base alle prime stime effettuate da alcune impor-tanti regioni nella predisposizione dei loro pianienergetici, gli investimenti necessari sono dell’ordi-ne di 10 euro/t di riduzione di CO2 , costo che com-porta un valore attuale netto dell’investimentoampiamente positivo, tenuto conto dei risparmi dienergia consentiti. I decreti prevedono sanzioni a carico dei distributo-ri che non rispetteranno l’obiettivo annuale.Ogni progetto viene preso in considerazione tenen-do conto del suo risultato per un massimo di 5 anni.
4.5.4 ULTERIORI INTERVENTI PROGRAMMATIPER IL SETTORE CIVILE
4.5.4.1 Prolungamento effetti decreti efficienza usi finali
Si prevede che i decreti ministeriali dell'aprile 2001,proseguano oltre il 2006, con lo stesso incrementoannuo previsto nel periodo 2002-2006, fino all’an-no 2010: si otterrebbe un abbattimento ulteriore –rispetto a quello stimato per l’anno 2006 – in unrange tra 3,8 e 6,5 MtCO2, con un investimento al2010 che cadrebbe in un range tra 19 e 33mil.euro. Lo strumento attuativo e di incentivazionesarebbe lo stesso proposto dall'Autorità per l'ener-gia elettrica e il gas per il primo periodo 2002-2006.La presenza in molti piani energetici regionali(P.E.R.) di importanti misure e obiettivi di risparmionel settore civile al 2010 costituiscono una garanziacirca l'efficacia di tale prolungamento e, comunque,una linea di interventi parallela e già identificata alivello regionale (si veda, ad esempio, quanto previ-sto nei P.E.R. di Lombardia, Emilia Romagna, eLiguria).
4.5.4.2 Diffusione del solare termico
Un bacino importante della domanda di energia chepuò essere soddisfatto con fonti rinnovabili è rap-presentato dagli usi termici a bassa temperatura. Visono oggi diverse opportunità tecnologiche di uti-lizzo del solare termico che risultano convenienti inassoluto per particolari tipologie di consumo. E’importante che gli interventi di politica energeticanon tralascino queste opportunità.L’energia solare si presta decisamente meglio allacostruzione di impianti di piccola taglia, rispetto aigrandi impianti di difficile gestione. Si ipotizzano realizzabili investimenti per un poten-
ziale risparmio energetico di 70.000 t. equivalenti dipetrolio, che comportano una riduzione di emissio-ni di circa 0,2 Mt CO2. Gli investimenti complessivivengono stimati in 800 Meuro, con un VAN negati-vo di 160 Meuro, con un costo unitario, per la dura-ta dell’investimento supposto di 20 anni, di 40Meuro/t.L’obiettivo è raggiungibile, in considerazione che ilmercato dei pannelli nel 2001 è stato dell’ordine dei40.000 m2 ed è in crescita costante negli ultimi anni.Vi sono esempi di elevata penetrazione del solaretermoelettrico in altri paesi europei nel settoredomestico, con quote che arrivano addirittura al70% delle abitazioni in alcune aree delMediterraneo.
4.5.4.3 Misure regionali nel civile
Si riportano qui di seguito, a titolo di esempio alcu-ni interventi di carattere regionale che contribuisco-no al raggiugimento del target di Kyoto e sono indi-rizzati al settore civile. Le regioni e gli enti localiavranno un’importanza sempre maggiore in questosettore, visto che tutti gli interventi sono di lorocompetenza a partire dal 2002. Mancano allo statoattuale sufficienti informazioni sui provvedimenti egli indirizzi adottati a livello locale.
Lombardia (luglio 2002)
La Lombardia persegue uno “scenario obiettivo”con l’ipotesi di assumere la quota parte del 6.5% diriduzione assegnata all’Italia; tale obiettivo vieneperseguito per 1/3 con misure interne e per 2/3 conmeccanismi flessibili. Nello “scenario obiettivo” sistima che complessivamente per:Residenziale, la riduzione al 2010 sia di 2,7 MtCO2
con investimenti per (54.238 milioni di lire)27.319.000 Euro;Terziario e P.A., la riduzione è di 0,76 MtCO2 coninvestimenti per (15.267 milioni di lire) 7.711.000Euro.Provvedimenti attuativi:
• certificazione energetica degli edifici: sostenutada legge 10/91, Decreto lgs.112/98 recepito inLombardia con legge 1/2000 e proposta diDirettiva UE 2001/0098; obiettivo: sviluppare,eventualmente in forma coordinata con le altreregioni italiane, procedura di certificazione ener-getica degli edifici e darne attuazione.
• apparecchiature domestiche ad alta efficienza:promuovere, anche tramite accordi volontari, ladiffusione di apparecchi ad alta efficienza pressoconsumatori domestici (frigoriferi, lavatrici, illu-minazione, condizionamento dell’aria) e nellailluminazione pubblica.
• integrazione delle energie rinnovabili negli edifi-
4. Politiche e misure di mitigazione
108 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
ci: sostenuta dalla legge 10/91, rendere cogenteper le P.A. il ricorso a fonti rinnovabili o assimi-late in caso di ristrutturazioni, predisporre requi-siti minimi di efficienza energetica, promuovereedilizia bioclimatica;
• promozione di Facility Management ed EnergyManager: sostenuta della legge 10/91, azioni diformazione, sensibilizzazione e diffusione delleinformazioni sul ruolo di Facility Management edEnergy Manager anche con sostegno finanzia-rio;
• appalti di tecnologia efficiente: art.4 comm.7legge 10/91, emanare norme per rendereapprezzabile il conseguimento dell’obbiettivodi uso razionale dell’energia e di utilizzo dellefonti rinnovabili nei criteri di aggiudicazionedelle gare di appalto economicamente rilevan-ti per la fornitura di beni o servizi per contodella P.A.;
• audit energetici nel terziario e nella P.A.: pro-muovere metodologie di diagnostica energeti-ca e la diffusione di tali procedure nei varicomparti, con forme di sostegno finanziario;
• finanziamento Tramite Terzi: raccomandato daDirettiva UE n.93/76, Deliberazione CIPE diapprovazione PNSS in attuazione di AgendaXXI, diffusione del FTT presso P.A. e privati cheabbiano un livello di spesa energetica rilevantee costituire un Fondo, a patrocinio regionale,per promuovere diffusione e scambio di certi-ficati garantiti di risparmio energetico;
• decreti Ministeriali 24 aprile 2001: gli obiettiviquantitativi regionali di risparmio energeticostimano al 2006 un risparmio cumulato di EEdi 4.750 GWh (400 ktep) e di gas (400 ktep).
Emilia Romagna (marzo 2001)
L’Emilia Romagna si impegna a ridurre le emissionial 2010 di 2 MtCO2 rispetto al valore del 1990; con-siderando uno scenario di crescita tendenziale spon-tanea la riduzione delle emissioni al 2010 di 7MtCO2 rispetto al valore del 1990. Per il settore civi-le l’impegno è stimato in 1,40 MtCO2 con risparmiodi energia di 550 ktep con investimenti pari a (6.500MLD£) 3.357 milioni di Euro.
• Promozione di Facility Management ed EnergyManager: sostenuta della legge 10/91, azioni diformazione, sensibilizzazione e diffusione delleinformazioni sul ruolo di Facility Managemented Energy Manager anche con sostegno finan-ziario;
• integrazione delle energie rinnovabili negli edifi-ci: sostenuta dalla legge 10/91, rendere cogenteper le P.A. il ricorso a fonti rinnovabili o assimi-late in caso di ristrutturazioni, predisporre requi-siti minimi di efficienza energetica, promuovere
edilizia bioclimatica;• sistemi di termoregolazione e contabilizzazione
del calore; • rifasamento presso l’utenza finale;• motori elettrici ad alta efficienza;• sistemi per illuminazione: sistemi automatici di
accensione e spegnimento, aumento efficienzailluminazione pubblica;
• installazione sistemi di Electricity leaking;• sostituzione scalda-acqua elettrici con dispositivi
a gas naturale;• elettrodomestici ed apparecchiature per ufficio
ad elevata efficienza.
Liguria (2001)
La Regione intende perseguire la stabilizzazione delleemissioni ai livelli dell’anno 1990 obiettivo qualifican-te per l’aumento tendenziale al 2010 delle emissionidel settore trasporti del 2- 4%. Con le seguenti misu-re la Regione intende raggiungere nel residenziale al2010 un risparmio complessivo del 10% sul totaledei consumi energetici regionali (344 ktep).
• Riqualificazione energetica in edilizia: adegua-mento degli immobili costruiti prima del 1981 alDPR 412/93; comporterebbe una riduzione del3.4% dei consumi energetici regionali (118,5ktep/anno), adottabile anche con incentivi;
• certificazione energetica degli edifici: dovràdiventare obbligatoria nella compravendita elocazione delle unità immobiliari;
• coibentazione dell’involucro edilizio: il risparmioenergetico conseguibile è del 27% per singolaunità di abitazione;
• coibentazione del solo tetto: risparmio energeti-co conseguibile è del 12% per singola unità diabitazione;
• sostituzione caldaie esistenti con moderne cal-daie a gas ad alta efficienza: risparmio energeti-co conseguibile è del 13% per singola unità diabitazione;
• sistemi di termoregolazione: risparmio energeti-co conseguibile è del 10% per singola unità diabitazione;
• manutenzione programmata: prevista dal DPR412/93, comporta un risparmio energetico del3-5% su impianti recenti e del 17% su vecchiimpianti;
• sviluppo di Piani Regolatori e Regolamenti Edilizi:incentivanti bioarchitettura, energia solare, edili-zia sostenibile e per il risparmio energetico;
• finanziamento Tramite Terzi: raccomandato daDirettiva UE n.93/76, Deliberazione CIPE diapprovazione PNSS in attuazione di Agenda XXI,diffusione del FTT e sviluppo di ESCO (EnergyService Companies) .
4. Politiche e misure di mitigazione
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 109
4.6 STRATEGIE INTERSETTORIALI
Le misure e gli impegni in cui diversi settori sonoresponsabili, trovano la loro massima efficacia seopportunamente coordinate e supportate da azioniche abbracciano più di un settore di attività econo-mica. In questo paragrafo si discutono anche misu-re che afferiscono a settori non direttamente dis-cussi nei paragrafi precedenti.La legge 448/98, che ha introdotto la carbon tax,menzionava che il Governo disporrà una quota delsuo gettito per la compensazione di misure settoria-li e sussidi per la riduzione delle emissioni, per lapromozione dell’efficienza energetica e per lo svi-luppo delle fonti rinnovabili.
La carbon-tax doveva poi essere incrementata pro-gressivamente dal 1999 al 2005, ma per l’alto prez-zo del petrolio è stata congelata ai livelli del 1999.La legge 388/00 propone diverse modalità di ridu-zione delle emissioni; in particolare, una minor tas-sazione a prodotti che permettono la riduzionedelle emissioni come il biodiesel, la promozione del-l’effcienza energetica ed alle fonti rinnovabili.
4.6.1 MISURE INTERSETTORIALI ATTUATE
Nella tabella 4.8 sono riepilogate le principali misu-re intersettoriali.La stima dei risultati ottenuti non è riportata per evi-
Misure implementate
Descri zione
L . 448/98 Art. 8 “Carbon tax ”. Congelata ai livelli del 1999
L . 388/2000 Art 22: esenzione da tassazione di prodotti utili alla protezione ambientale. Art 23: riduzione fiscale per alcuni settori Art 110: fondo per la promozione di misure finalizzate alla riduzione delle em issioni di CO2 ed alla effici enza energetica.
D. Lgs. n.227 18/05/2001
Ordinamento e modernizzazione del settore forestale, a norma dell'articolo 7 della Legge 5 marzo 2001, n.57. Regola lo sviluppo agricolo e forestale coerentemente con gli obiettivi dello sviluppo sostenibile
DM 21/05/2001 Ripartizione dei finanziamenti ai programmi regionali sulla “Carbon Tax”. L ’allegato 1 del decreto riporta la suddivisione per regione dei finanziamenti dei programmi
DM 04/06/2001 Ministero dell’Ambiente, F inanz e, Attività Pr oduttive
Pr ogrammi di rilievo nazionale delle emissioni di gas serra, in attuazione dell’art. 3 del DM 20 luglio, n. 337. Gli allegati 1 e 2 al presente decreto identificano i soggetti pubblici attuatori responsabili e i termini presunti di realizzazione dei programmi nazionali, nonché gli elementi di individuazione dei prog rammi di cooperazione nazionale ed internazionale
L . n.120 del 01/06/2002
Ratifica ed esecuzione del Protocollo di Kyoto alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, fatto a Kyoto l' 11 dicembre 1997
L . n.118 del 16/06/2002
Conversione in Legge, con modificazioni, del Decreto Legge 19 aprile 2002, n.68, recante disposizioni urgenti per il settore zootecnico e per la lotta agli incendi boschivi.
del
del
Tabella 4.8 – Elenco misure intersettoriali attuate
Tabella 4.9 – Misure aggiuntive nei processi industriali
Descrizione Riduzione stimata
nel 2010 (MtCO2)
Riduzione emissioni di processo acido adipico 5,981
Riduzione emissioni di processo acido nitrico 0,157
4. Politiche e misure di mitigazione
110 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
tare un doppio conteggio. Infatti quasi tutte lemisure sono o complementari ad iniziative tecnolo-giche specifiche nei singoli settori o semplicementeraggruppano misure relative ad uno o più settori. Ilprimo esempio è dato dalla carbon tax che dovreb-be contribuire a promuovere la diffusione di auto abasso consumo, un secondo esempio è costituito damisure che interessano il settore agricolo e foresta-le ed i cui effetti sono già valutati nei settori.
4.7 EMISSIONI DA FONTI NON ENERGETICHE
Nei paragrafi che seguono si focalizza l’attenzione suquelle politiche che, presentando costi di abbattimen-to negativi, possono essere intraprese senza ricorso afinanziamenti o incentivi particolari. Nessuna dellemisure elencate è inclusa nello scenario base o nelloscenario di riferimento, anche se molte di esse pre-sentano buoni rapporti costi benefici.
4.7.1 PROCESSI INDUSTRIALI
Riduzione delle emissioni di N2O negli impiantidi produzione di acido adipico e acido nitrico
Si tratta di due interventi che possono ridurre inmodo significativo le emissioni di processo dal set-tore industriale con costi di abbattimento moltolimitati. Per quanto riguarda l’acido adipico, l’inter-vento previsto comporta l’adozione, anche in Italia,dei dispositivi (termici o catalitici) per il trattamentodegli effluenti gassosi già in uso negli altri Paesieuropei. La misura identificata consiste in un accor-do volontario con l'unica azienda coinvolta.Per l’acido nitrico, la tecnologia più avanzatacomporta l’installazione di sistemi SCR (selectivecatalytic reduction) per il trattamento dei gas diprocesso. I costi di abbattimento sono relativa-mente limitati, al di sotto di 0,5 Euro per tonnel-lata di CO2 equivalente. La misura proposta consi-ste in un accordo volontario con il rispettivo set-tore industriale (tabella 4.9).
4.7.2 AGRICOLTURAConsumi energetici in agricoltura
Il settore dell’agricoltura biologica è in rapida cresci-ta, soprattutto grazie agli incentivi del RegolamentoEU n. 2078/92; la superficie agricola interessata daimetodi di produzione dell’agricoltura biologica, paria 91500 ha nel 1993, era già arrivata a 1.069.339ha nel 2000. Se si assume, per l’agricoltura biologi-ca, un consumo energetico specifico inferiore del30% a quello dell’agricoltura tradizionale, e siproiettano i trend attuali di sviluppo del settore finoal 2010, le emissioni evitate potrebbero arrivare a0,337 MtCO2. Questo valore potrebbe essere ridot-to a 0,28 MtCO2, tenendo conto della possibilesaturazione del settore e del fatto che i minori con-sumi energetici nella produzione dei fertilizzantisono considerati sotto un’altra voce dell’inventariodelle emissioni.
Emissioni di protossido di azoto dai suoli agricoli
Si tratta di riduzioni di emissioni che possono scaturi-re dalla razionalizzazione dell’utilizzo dei fertilizzanti,e quindi ad un contenimento dei consumi e delleconseguenti emissioni di protossido di azoto dai suoliagricoli. A tal fine è essenziale:
• una insistente opera di divulgazione, e• l’adozione di codici di buona pratica agricola.
A questo proposito, l’Italia è stata tra i primiPaesi dell’Unione Europea a redigere, secondoquanto previsto dalla Direttiva UE n. 676/91,un “Codice di buona pratica agricola per laprotezione delle acque dai nitrati”, adottatocon il Decreto ministeriale n. 86 del 19.4.99.L’integrazione di queste prescrizioni con altrespecificamente finalizzate alla protezione del-l’atmosfera e del clima (come l’utilizzo di for-mulazioni a rilascio controllato) potrebbe com-portare ulteriori leggere riduzioni del consumodi fertilizzanti, dell’ordine del 5% al 2010rispetto ai livelli del 1990, con abbattimentostimato in 0,46 MtCO2 eq.
nel 2010 (MtCO2)
Stabilizzazione frazione organica, 50% dei rifiuti solidi urbani biodegradabili 0,630,33
Riduzione stimataDescrizione
Recupero energetico dei rifiuti solidi urbani, 30% dei rifiuti del 2010 (+500 MWe)
Tabella 4.12 – Misure aggiuntive nel settore dei rifiuti
4. Politiche e misure di mitigazione
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 111
Emissioni di metano dagli stoccaggi delle deiezioni
L’intervento ipotizzato consiste nella copertura dellevasche di stoccaggio dei reflui in forma liquida enell’invio del biogas prodotto a impianti di combu-
stione o cogenerazione. Gli interventi potrebberointeressare prevalentemente i suini (tra il 10 e il40% dei capi) e in misura relativamente esigua ibovini, con una riduzione delle emissioni di metanotra 7 e 39 kt di metano l’anno, e costi complessivi tra6,2 e 33,2 milioni di euro l’anno.L’analisi dell’investimento, tenuto conto della valoriz-zazione dell’elettricità prodotta, consentirebbe unVAN positivo, ancorché non sufficiente per far si chegli operatori privati effettuino l’investimento. L’entità
dell’intervento dipenderebbe:• dal livello di incentivazione della produzione di
elettricità da fonte rinnovabili, e• dalla eventuale disponibilità di contributi per la
realizzazione degli impianti. In questa stessa dire-zione, si segnala che la direttiva 96/61/EC
(Integrated Pollution Prevention and Control, IPPC)prevede l’introduzione di processi autorizzativibasati sull’adozione della migliore tecnologia dis-ponibile per gli allevamenti avicoli con più di40.000 capi e quelli suini con più di 2.000 maiali(al di sopra dei 30 kg) o 750 scrofe. Per gli inter-venti strutturali relativi agli impianti esistenti,incentivi finanziari potrebbero essere reperiti all'in-terno dei Piani di Sviluppo Rurale (PSR) finanziatidal FEOGA.
Attività per l'assorbimentodi carbonio sul territorio Nazionale
Assorbimento (Mt CO2)
Investimento3
(Meuro)
Art. 3.4 Gestione forestale 4,1 10,0 Art. 3.3 Afforestazione e Riforestazione (vecchi impianti)
1,0 6,0
Art. 3.3 Riforestazione naturale 3,0 6,5 Art. 3.3 Afforestazione e Riforestazione (nuovi impianti)
1,0 200,0
Art. 3.3 Afforestazione e Riforestazione (n uovi impianti su aree soggette a dissesto idrogeologico – L. 183/89)
1 300
Art. 3.4 Terre agricole, pascoli e rivegetazione
0,1 4,2
Totale 10,2 526,7
Tabella 4.12 – Potenziale nazionale massimo di assorbimento di carbonio
nel 2010 (MtCO2)
Riduzione emissioni PFC attraverso il riciclaggio dell'alluminioAdozione sistemi di abbattimento e sostanze a minore GWPnella produzione di semiconduttori
0.05
0.02
0.65
Riduzione stimataDescrizione
Riduzione perdite HFC dai condizionatori degli autoveicoliRiduzione perdite SFc dalle apparecchiature elettriche 0.04
Tabella 4.11 – Misure aggiuntive per i gas fluorurati
3 Sono inclusi i costi di revisione dell’Inventario Forestale Nazionale (IFNI) e di gestione del Registro Nazionale deiSerbatoi di Carbonio agro-forestale.
4. Politiche e misure di mitigazione
112 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
4.7.3 RIFIUTI: STABILIZZAZIONE FRAZIONEORGANICA E RECUPERO ENERGETICO
Si ipotizzano due interventi:
• rispetto degli obiettivi temporali di riduzionedella frazione biodegradabile dei RU in discaricaprevisti dalla direttiva 99/31/CE, che prevedonogià per il 2010 una riduzione del 50%, rispettoal 1995, della quantità di RU biodegradabili dacollocare in discarica, con abbattimento previ-sto di 0,64 Mt;
• sostanziale rispetto degli obiettivi del D.L.22/97, in particolare per quel che riguarda ilrecupero energetico dai rifiuti: si assume chenel 2010 il 30% dei RU siano avviati a tratta-menti di recupero energetico (in linea con leindicazioni del “Libro bianco per la valorizza-zione energetica delle fonti rinnovabili”, ENEA,1999), con un ulteriore incremento di 500MWe della capacità elettrica aggiuntiva da RUrispetto al 2000 e abbattimenti di CO2 eq. pari0,33 Mt. Le misure e incentivazioni auspicatesono analoghe a quelle previste sopra per lerinnovabili e in particolare per l'uso energeticodei rifiuti (tabella 4.10).
Alluminio
Il riciclaggio dell’alluminio presenta, accanto aibenefici economici legati alla minore importazio-ne delle materie prime e alla riduzione dei consu-mi energetici, anche la possibilità di evitare leemissioni di PFC dalla lavorazione del mineralegrezzo. In questa sede si è ipotizzato che, seguen-do i trend già in atto, le quantità di alluminio rici-clato crescano, di qui al 2010, fino a costituirecirca l’80% dei consumi totali di questo metallo.
4.7.4 GAS FLUORURATI
In questo delicato settore sono per ora prese in con-siderazione quattro possibili misure:
• Produzione di semiconduttori. E’ stato preso inesame un intervento limitato consistente nell’a-dozione di sistemi di abbattimento e di fluidi aminore GWP nel processo di “etching”.L’industria europea del settore si è volontaria-mente impegnata a contenere le proprie emis-sioni nel 2010 ad un valore del 10% inferiore ailivelli del 1995.
• Condizionatori degli autoveicoli. Riduzione dal10% al 5% del tasso di fuga dai condizionatoridegli autoveicoli, conseguibile attraverso inter-venti in fase di progettazione dei sistemi e infase di manutenzione. Tali interventi saranno
promossi dalla Direttiva-quadro europea attual-mente in discussione (tabella 4.11).
Apparecchiature elettriche contenenti SF6
• Emissioni di SF6 durante il processo di fabbrica-zione: dall’inventario preparato dai produttoridi apparecchiature in collaborazione con APATrisulta un forte abbattimento (-65%) del tassodi perdita nei processi industriali rispetto al1995 (dal 15.2% del 1995 al 5.3% del 2000).I Costruttori sono disponibili ad impegnarsi,tramite accordo volontario con il Ministro del-l’ambiente, a non supeare, in termini assoluti,il valore delle emissioni monitorato nel 2000.
• Emissioni di SF6 durante l’esercizio delle nuoveapparecchiature immesse sul mercato: tramiteaccordo volontario tra il Ministero dell’ambiente eANIE-ASTREN, i Costruttori di apparecchiatureelettriche contenenti SF6 sono disponibili ad impe-gnarsi fin da subito, a garantire un tasso annuo diperdita non superiore allo 0,5% (anticipando l’en-trata in vigore di quanto previsto nella revisione incorso della normativa nazionale ed internazionaleche attualmente prevede l’1%).
• Emissioni di SF6 a fine vita: i Costruttori, adoggi, giocano un ruolo marginale nella gestio-ne del fine vita delle apparecchiature.Attraverso un accordo volontario tra Ministerodell’Ambiente, utilizzatori e ANIE-ASTREN, iCostruttori potrebbero impegnarsi ad assume-re un ruolo più diretto nella gestione di talefase, nell’ottica della riduzione prevista dal 3%all’1%, attraverso il recupero delle apparec-chiature e il riciclaggio del gas SF6.
4.8 SETTORE FORESTALE
Le misure previste nel settore “land use, land usechange and forestry” per la generazione e certifica-zione dei crediti di carbonio nel periodo 2008-2012sono riepilogate nella tabella 4.12.Per ognuna delle attività elencate si presenta inoltreuna breve nota descrittiva.
4.8.1 GESTIONE FORESTALE (ART. 3.4)
Per l’Italia il limite assegnato in sede UNFCCC èstato posto a 0,18 Mt di C per anno (equivalenti a0,66 Mt di CO2). Il valore è palesemente sottostima-to e corrisponde all’incirca ad un decimo del valorereale. Le cause che hanno prodotto tale sottostimasono principalmente due:1) il dato considerato dalla FAO nell’ambito del“Global Forests Resources Assessment 2000” e
4. Politiche e misure di mitigazione
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 113
nello “State of World’s Forests 2001” riguarda lasuperficie forestale italiana assestata (ovvero in cui èin vigore un piano di gestione pluriennale approva-to dagli organi forestali competenti) pari a circa il10% della superficie forestale totale; mentre lasuperficie forestale italiana gestita è di gran lungasuperiore in quanto la legge n°3267 del 1923 sot-topone tutti i boschi italiani alle norme di gestionedelle Prescrizioni di Massima e di Polizia Forestale;2) non è stato realizzato l’aggiornamentodell’Inventario Forestale Nazionale ed il sistemadelle statistiche forestali è in corso di revisione.Il valore assegnato all’Italia può essere rivisto, a talescopo però è necessario fornire al Segretariatodell’UNFCCC, entro il giugno 2005, nuovi e consi-stenti dati inventariali in modo che il dato possaessere corretto entro il 31 dicembre 2006.Le azioni da intraprendere al fine di arrivare ad unarevisione del dato sono di due tipi: un’azione di natu-ra tecnica e una di natura diplomatico/negoziale.Dal punto di vista tecnico, va realizzato entro mag-gio del 2005 l’Inventario Forestale Nazionale delCarbonio (INFOCARB). Tale inventario deve esserepoi aggiornato ogni 5 anni in corrispondenza con lafine del periodo di impegno del Protocollo di Kyoto(il primo aggiornamento, quindi, deve essere pron-to per il 2012).
4.8.2 ATTIVITÀ DI AFFORESTAZIONE ERIFORESTAZIONE (ART. 3.3)
La condizione che deve essere rispettata affinchél’impianto sia considerato valido ai fini della genera-zione di crediti di carbonio é che l’area riforestatasia priva di foresta almeno dal 1 Gennaio 1990.Non ci sono limiti all’uso dei crediti di carboniogenerati (RMU) e può essere certificato tutto il car-bonio accumulatosi nella biomassa e nella necro-massa dell’area dell’impianto (fusto, rami, foglie,radici, sostanza organica) dal 1 Gennaio 2008 inpoi. All’interno dell’articolo 3.3 si possono considerarediverse tipologie di riforestazione/afforestazione:a) gli impianti realizzati (vecchi impianti) con ilRegolamento CEE 2080/92 che ammontano a117.428 ha. L’unico costo da sostenere è la lorocertificazione e rientra nei costi di creazione egestione del Registro Nazionale dei Serbatoi di car-bonio agro-forestali. Il carbonio fissato nel primoperiodo d’impegno (2008-2012) è stimato in circa1,0 Mt CO2 l’anno;b) la cosiddetta “riforestazione naturale”, in cuirientra la naturale espansione della superficie fore-stale per effetto delle politiche di riduzione dellasuperficie agro-pastorale e delle politiche di prote-zione dell’ambiente. La certificabilità del carboniofissato nel periodo 2008-2012 è legata alla possibi-
lità di provare che esse sono effetto di politicheagro-ambientali (human induced). L’unico costo dasostenere è la loro certificazione e rientra nei costidi creazione e gestione del Registro Nazionale deiSerbatoi di Carbonio agro-forestali. Il carbonio fis-sato nel primo periodo d’impegno (2008-2012) èstimato in 3 Mt CO2 l’anno.c) i nuovi impianti che verranno realizzati nel perio-do 2003-2008 previsti in 40.000 ettari per un assor-bimento medio di 1 MtCO2 all’anno nel periodo2008-2012 e di 20 MtCO2 all’anno a fine turno . Taliimpianti domestici hanno dei grossi vantaggi per ciòche riguarda la certificazione dei crediti di carbonioe soprattutto per la completa ricaduta dei beneficiindotti dai rimboschimenti sul sistema economicoed ambientale d’Italia. Le operazioni d’impiantomediamente richiedono 5.000 euro per ettaro,compresi i costi di certificazione (che sono comple-tamente assorbiti nel Registro Nazionale deiSerbatoi di carbonio agro-forestali) ed il costo del-l’occupazione del terreno (che deve essere o nullo oremunerato dalla cessione dei diritti di proprietà sulmateriale legnoso e dalla concessione del contribu-to).I nuovi impianti che verranno realizzati su aree sog-gette a dissesto idrogeologico (Legge n. 183 del 18maggio 1989) avranno dei grossi vantaggi in termi-ni di tutela del territorio, prevenzione dei rischi idro-geologici e riduzione dei danni dovuti al dissesto.Infatti, la copertura arborea, oltre a ridurre l’azioneerosiva delle piogge sui terreni, è in grado di ridur-re fortemente la portata di colmo delle piene (anchedel 90%) aumentando i tempi di corrivazione (da 2a 7 volte). Le operazioni d’impianto si stima checostino in media 10.000 euro per ettaro di cui laparte riguardante gli interventi di sistemazione idro-geologica dell’area è a carico dei fondi di cui allaLegge n.183/89. La capacità operativa delleAutorità di Bacino è di circa 6.000 ettari di rimbo-schimenti all’anno per il periodo 2003-2012 per untotale di 60.000. Si stima un assorbimento medioper questa tipologia di impianti di 1 MtCO2 all’annoper il periodo 2008- 2012 e di 10 MtCO2 all’anno afine turno.
La tipologia d’impianto sarà la medesima per tutti gliinterventi d’afforestazione e riforestazione (art. 3,art.6 e art.12) realizzati ai fini del Protocollo di Kyoto.Si ritiene necessario impiegare in ogni impianto,due serie di specie: una a rapido accrescimento conalti tassi d’assorbimento di CO2 ma una bassa capa-cità di immagazzinamento del carbonio sia nellospazio (t/ha) che nel tempo (ovvero una bassa capa-cità portante del sistema che viene però velocemen-te saturata), ed una di specie a lento accrescimentoiniziale ma in grado poi di assicurare, per lungotempo, alti tassi d’accrescimento e soprattuttoun’alta capacità d’immagazzinamento del carbonio
4. Politiche e misure di mitigazione
114 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
sia nello spazio (t/ha) che nel tempo (ovvero un’al-ta capacità portante del sistema che viene però len-tamente saturata). Dalla corretta combinazione deidue gruppi di specie si è in grado di ottenere unimpianto che presenti buoni tassi di crescita inizialie, soprattutto, alta capacità d’immagazzinamentodel carbonio (tabella 4.13).
4.8.3 TERRE AGRICOLE, PASCOLI E RIVEGETAZIONE (ART. 3.4)
I costi attualmente previsti per questa attività siriferiscono alla predisposizione di un appositopiano di studi da realizzarsi al fine di stimare lequantità di carbonio assorbite/emesse dalle attivitàin oggetto, vista la completa assenza di dati in let-teratura. Tale piano di studi si rende necessario aifini di un corretto reporting nell’ambito del proto-collo di Kyoto. Si stima un assorbimento medio di0,1 mtco2/anno.
4.8.4 REGISTRO NAZIONALE DEI SERBATOI DICARBONIO AGRO-FORESTALI
Il Registro nazionale dei serbatoi di carbonio agro-forestali è lo strumento di certificazione delle quan-
tità di carbonio assorbite dai sistemi agrari e fore-stali italiani.Il Registro è costituito dall’immagine dell’uso delsuolo d’Italia a cui vanno riferiti i dati statistici sulcontenuto di carbonio delle tipologie agrarie e fore-stali. La certificazione dei crediti di carbonio saràdiretta conseguenza della contabilizzazione dellevariazioni del contenuto di carbonio nelle suddettetipologie. Il Registro dovrà analizzare le variazionidei flussi di gas serra inerenti le attività degli artico-li 3.3 e 3.4. Tali attività (forestali; agro-pastorali;rivegetazione) si differenziano in base alle metodo-logie di contabilizzazione dei crediti di carboniogenerati.
4.8.5 RIVEGETAZIONE
Per rivegetazione si intendono tutte quelle tipologievegetali di ampiezza minima di 500mq non rien-tranti nelle definizioni di foresta e afforestazione /riforestazione. E’ da valutare quali tipologie vegeta-li e colture legnose tenere in considerazione e quan-tificarne gli incrementi. Dall’analisi dei dati si dovràdecidere se inserire o no tale attività tra quelle addi-zionali dell’art. 3.4 del Protocollo di Kyoto. Il Registro provvederà annualmente al necessariomonitoraggio dei serbatoi agro-forestali (suoli agra-
Tasso d’assorbimento della CO2
Basso4 Medio 5 Alto6
Ettari rimboschiti per
milione di cred iti
generati nel ciclo di
vita (50 anni)
4.000 2.000 1.300
Costo per credito di
carbonio nel ciclo di
vita (50 anni)
20 6,5
Ettari r imboschiti per
milione di cred iti
generati nel 2008-2012
100.000 30.000
Costo per credito di
carbonio nel 2008-2012 500 200 150
10
40.000
Nella tabella seguente è sintetizzata la situazione relativa agli impianti domestici:
4 Si assume un assorbimento medio di 5 t ha/anno di CO2 nell’arco di vita (50 anni) dell’impianto e di 2 t ha/anno diCO2 nel periodo 2008-2012
5 Si assume un assorbimento medio di 10 t ha/anno di CO2 nell’arco di vita (50 anni) dell’impianto e di 5 t ha/anno diCO2 nel periodo 2008-2012
6 Si assume un assorbimento medio di 15 t ha/anno di CO2 nell’arco di vita (50 anni) dell’impianto e di 7 t ha/anno diCO2 nel periodo 2008-2012
Tabella 4.13 – Impianti di AR domestici
4. Politiche e misure di mitigazione
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 115
ri; suoli, biomasse e necromasse forestali) al fine diaggiornare continuamente le stime dei flussi e regi-strare i crediti di carbonio generati.
4.9 MECCANISMI FLESSIBILI
Nel presente paragrafo viene discusso l’impiego deimeccanismi flessibili: Emissions Trading, CleanDevelopment Mechanism (CDM) e progetti di JointImplementation (JI). Essi svolgono un ruolo comple-mentare alle politiche interne, in ragione della loromaggiore convenienza in termini di costi unitari diriduzione delle emissioni.Circa l’Emissions Trading si calcola che il prezzo dimercato di una quota di emissioni (cioè il diritto diemettere una tonnellata di equivalente biossido dicarbonio) dovrebbe collocarsi all'interno di una for-cella compresa tra 20 Euro e 33 Euro (stime delmodello PRIMES). Questi prezzi devono peraltroessere considerati come prezzi che si collocano almargine superiore della probabile forcella dei prez-zi, poiché l'accordo politico raggiunto alla Sestaconferenza delle parti a Bonn nel luglio 2001 pre-vede una serie di decisioni che probabilmente deter-mineranno un abbassamento dei prezzi.Per quanto concerne i costi di abbattimento dei pro-getti di CDM e JI, si ricorda che la complessità dellaloro valutazione monetaria è legata alla molteplicitàdi iniziative ipotizzabile. Il volume monetario delleCER e delle ERU generate può rappresentare unaproxy dei costi di abbattimento. Bassi costi di abbat-timento dei gas serra determinano, ceteris paribus,bassi prezzi delle CER e delle ERU, e viceversa. L’implementazione dei progetti di CDM e JI richie-de, da parte del settore pubblico, una serie di azio-ni che li stimoli e favorisca. Senza tali azioni il setto-re privato sarebbe isolato, privo della necessariainformazione ed assistenza per attuarli. Da unaparte, infatti, il settore privato beneficia dei ricavidelle CER e delle ERU che i progetti generano; dal-l’altra, esso deve sostenere una serie di costi ditransazione, superiori a quelli che sosterebbe incaso di progetti non iscritti nel CDM e nella JI. E' estremamente rilevante l’adozione, da parte delsettore pubblico, di specifici programmi di assisten-za al CDM e alla JI, eventualmente coordinati dauna specifica Agenzia. Tali programmi (o Agenzia)possono svolgere un ruolo di guida, di partner e diconsulenza per le aziende, di diffusione dell’infor-mazione e di agevolazione dei progetti soprattuttoin ambito internazionale, attraverso schemi interna-zionali ad hoc ideati – avvalendosi delle reti già esi-stenti del Ministero degli affari Esteri e dell’Istitutoper il Commercio Estero - per i progetti di CDM e JI.
In tale ambito, si potrebbe concepire una corsiaveloce e preferenziale per il CDM e la JI, in modo dacatturare tutta la potenzialità di riduzione dei gasserra insita in progetti non specificamente nati conquesta finalità.Nel corso delle consultazioni con gli operatori, sonoemerse potenzialita' di CDM nei seguenti settori:
a) riduzione di gas flaring e gas venting fino ad unmassimo di circa 20 MT CO2 in paesi in cui ENIha interessi minerari;
b) generazione elettrica, che rappresenta un baci-no di grande potenzialità per i progetti JI e CDMper almeno tre ragioni: i) è in forte crescita,soprattutto nelle economie in via di sviluppo; ii)è all’origine di una quota rilevante delle emissio-ni di CO2; iii) indipendentemente dai progetti diCDM e JI, si prevedono significativi investimentidei paesi Annex I.
In concreto le iniziative di JI e CDM nel settore elet-trico, possono riguardare:
• costruzione di parchi eolici• trasformazione di centrali a carbone in cicli com-
binati alimentati a gas• ammodernamento di centrali a carbone median-
te rifacimento di bruciatori e caldaia.
Si stima che i relativi investimenti per MW possanoessere:
• eolico: 0,6 Meuro• trasformazione a ciclo combinato: 0,4 Meuro• ammodernamento centrale a carbone: 0,2
Meuro
c) attività di land use, land use change andforestry ed in particolare, i progetti di affore-stazione e riforestazione. Potranno essere cer-tificate tutte le quantità di carbonio accumula-tesi nella biomassa e nella necromassa dell’a-rea dell’impianto (fusto, rami, foglie, radici,sostanza organica) dal 1 Gennaio 2000 a cuivanno aggiunte o sottratte le quantità di car-bonio della baseline (ovvero dei flussi di gasserra che si sarebbero avuti su quella superficiein assenza dell’impianto) e del leakage (ovverodelle variazioni nei flussi di gas serra che sihanno al di fuori dell’area dell’impianto pereffetto dell’impianto stesso). Sia gli impianti inJI che quelli in CDM hanno una tale variabilitàdei parametri economici ed ambientali (vistoche possono essere realizzati in Paesi condiverse strutture economiche e diverse condi-zioni ambientali) che stimare un prezzo medioper credito di carbonio non è possibile.
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 117
5. Proiezione ed effetti delle politiche e misure
In questo capitolo si presenta lo scenario tendenzialedelle emissioni di gas serra al 2010/2020 che presup-pone la piena attuazione delle politiche e misure dimitigazione già approvate, descritte nel capitolo pre-cedente, lo scenario di riferimento ed altri scenari chevalutano gli effetti di alcune possibili misure addizio-nali. Sulla base del Protocollo di Kyoto e degli impegnipresi in sede di “burden sharing” europeo il totaledelle emissioni annue nazionali medie nel periodo2008-2012 dovranno risultare inferiori del 6,5% aivalori del 1990.
5.1 IL CONTESTO INTERNAZIONALE EDEUROPEONel prefigurare le strategie nazionali di interventiper mitigare i cambiamenti climatici non si può pre-scindere dalle prospettive di sviluppo delle emissio-ni degli altri paesi: le emissioni di gas serra dell’Italiacostituiscono circa il 2% delle emissioni mondiali edil 13% delle emissioni dell’Unione Europea. Alcunielementi a consuntivo sulle emissioni degli altripaesi sono contenute nel capitolo 2, in questo
96,5
92,0
99,5
100,0
80
90
100
110
120
1990 1992 1994 1996 1998 2000 2002 2004 2006 2008 2010 2012
Inde
x
Emissioni di gas serra
C O2
Obiettivo
Emissioni diScenario tendenziale GHG al 2010
C O2 al 2000
Scenario tendenziale al 2010
Scenario tendenziale al 2000
Figura 5.1 - Emissioni di gas serra nell’UE, 1990-2000, confrontate con gli obiettivi per il 2000ed il 2008-2012 (esclusi LUCF)
Fonte: EEA, 2002
Nota: Il cammino lineare non va inteso come un’approssimazione degli andamenti passati e futuri delle emissioni, invece rap-presenta una quantificazione della distanza delle emissioni attuali rispetto agli obiettivi al 2010, ipotizzando solo misure dome-stiche. Questa figura non stima pertanto il rispetto degli impegni al 2010 ma la situazione nel 2000 rispetto a questi impegni.
a cura di: Mario Contaldi (APAT) per il § 5.1, 5.2, 5.6; Alessandro Bianchi, Giuseppe De Bellis, Arturo Lorenzoni,Massimo Piacentini, Davide Tabarelli (Fondazione Alma Mater) per il § 5.3; Enzo Di Giulio e Stefania Migliavacca (EniCorporate University) per il § 5.5; Riccardo De Lauretis (APAT), Domenico Gaudioso (APAT) per il § 5.4; AntonellaTrisorio (INEA) e Annalisa Zezza (INEA) per il § 5.4.2; Pasquale De Stefanis (ENEA) per il § 5.4.3; Sandro (Universitàdella Tuscia), Riccardo Valentini (Università della Tuscia) per il § 5.4.4.
5. Proiezioni ed effetti delle politiche e misure
118 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
paragrafo si considerano le possibili evoluzioni tem-porali nei prossimi anni.
5.1.1 IL CONTESTO INTERNAZIONALE
Un recente lavoro del Segretariato dellaConvenzione sui cambiamenti climatici1 riepiloga leinformazioni più recenti sulle previsioni di emissioninei paesi sviluppati. Nel documento si confrontanole informazioni contenute nelle comunicazioninazionali dei paesi Annesso 1 con quelle di altre isti-tuzioni fino all’anno 2010. Il documento compren-de tutti i gas serra ed evidenzia il contributo rispet-tivo dei paesi Annesso II e dei paesi con economiein transizione (EIT, Economies In Transition). Conriferimento alla figura 5.2 sono evidenti tre effetti:a) le emissioni totali nel 2000 dei paesi Annesso Isono molto vicine ai livelli del 1990;b) le emissioni dei paesi Annesso II sono cresciuteapprossimativamente dell’1% annuo dal 1990 al1998 e dovrebbero continuare a crescere con lostesso ritmo;
c) le emissioni dei paesi EIT nel periodo 1995-2000si discostano sensibilmente dai dati degli inventaricomunicati, pertanto, all’orizzonte 2010, mentresecondo le loro comunicazioni nazionali dovrebberodi nuovo avvicinarsi alle emissioni del 1990, è vero-simile che rimangano sensibilmente inferiori.La percentuale di incremento delle emissioni deipaesi Annesso 1 tra il 1990 ed il 2010 dovrebbeessere del 13% secondo le dichiarazioni riportatenella Seconda Comunicazione Nazionale di ognipaese. Sulla base dei dati più recenti è invece vero-simile che l’incremento sia intorno al 6%.
5.1.2 IL CONTESTO EUROPEO
La Commissione europea ha avviato da tempo unapposito Meccanismo di monitoraggio sulle emis-sioni di gas serra, che riepiloga su base annuale leemissioni dei vari paesi. Sulla base dei dati contenu-ti nei rapporti 20022 e 20013 si fa il punto dellasituazione a livello di UE, con numerosi dettagli siasui paesi coinvolti che sui gas serra considerati.
Figura 5.2 - Emissioni totali di gas serra per I paesi Annesso I, Annesso II ed EIT, in Tg di CO2
equivalenti. Le previsioni formulate dai paesi stessi ma normalizzate con gli inventari del 1998sono in linea continua, la linea tratteggiata riporta le emissioni così come comunicate.
Fonte: EEA, 2002
1 Working paper su “Comparison of greenhouse gas emission projections” dal Workshop “Preparation of nationalcommunications from annex 1 countries”, Bonn, 28 February – 2 March 2001.
2 “Greenhouse gas emission trends and projections in Europe, are the EU and the accession countries on track toachieve the Kyoto Protocol targets?”, B. Gugele, B. Strobel, P. Taylor, EEA, Ottobre 2002.
3 2000 Report under Council Decision 93/389/EEC as amended by Decision 99/296/EC for a monitoring mechanismof Community greenhouse gas emissions, pubblicato nel novembre 2001.
1990 1995 2000 2005 2010 2015
24000
22000
20000
18000
16000
14000
12000
10000
8000
6000
4000
2000
0
Tg
CO
2eq
uiva
lent
sAnnesso I
Annesso II
EIT
5. Proiezioni ed effetti delle politiche e misure
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 119
Con riferimento alla situazione nel 2000 si alleganodue figure, 5.1 e 5.3, che riepilogano rispettivamentel’evoluzione a livello aggregato ed i dettagli per setto-re. La prima figura evidenzia come ci siano buone pos-sibilità di arrivare alla stabilizzazione delle emissionicon le politiche attualmente in atto nei diversi paesi,ricordando che l’obiettivo di Kyoto per l’UE è la ridu-zione dell’8%. Questa valutazione non tiene contodelle misure in ambito forestale e dell’uso dei mecca-nismi flessibili. La figura 5.3 è degna di nota soprat-tutto perché evidenzia il contributo sostanziale dei tra-sporti all’incremento delle emissioni, dato che il con-tributo degli f-gas è abbastanza limitato in valoreassoluto. Altresì evidenti sono le notevoli riduzioni nelcampo delle fughe di gas serra (soprattutto metano)da miniere, coltivazioni di giacimenti, raffinerie e retidi distribuzione. Con riferimento alle emissioni all’orizzonte 2010, siprevede un incremento di circa l’1% rispetto all’an-no base. La causa principale è l’incremento di usi difonti energetiche per soddisfare la crescentedomanda nel settore dei trasporti e dei servizi. Leemissioni nel settore dei trasporti dovrebbero cre-scere del 31% nonostante l’inclusione degli accordiACEA4, per via della forte crescita nei settori strada-li ed aereo. Il settore dei servizi è influenzato da unaforte crescita del numero degli edifici. C’è anche un
leggero incremento nei consumi di gas fluorurati.La situazione al 2010 è disponibile a livello disag-gregato per stato membro, vedi figura 5.4, e perogni gas, vedi tabella 5.1. Le stime sono dellaCommissione Europea nel “Sectoral objectivesstudy” ed esse sono confrontate con le previsioni diogni paese. In conclusione a livello europeo complessivo si pre-vedono emissioni di anidride carbonica in leggeracrescita nel settore energetico ed in crescita piùaccentuata dagli altri settori. Le emissioni di metanoe protossido di azoto sono previste in diminuzionementre le emissioni di HFC, PFC e SF6 sono in cre-scita. Come si vedrà nei successivi paragrafi le pre-visioni italiane aggiornate sono abbastanza diverserispetto a queste previsioni, a causa di specifiche cir-costanze nazionali.
5.2 SCENARIO DI EMISSIONE AGGIOR-NATO, EMISSIONI COMPLESSIVE
Sulla base degli scenari energetici riportati nel suc-cessivo paragrafo 5.5 e di valutazioni specifiche perle emissioni di fonte non energetica sono state cal-colate le seguenti proiezioni di emissione. Ci si rife-
4 Associazione Europea costruttori di automobili (Association of European Motor Manufacturers, ACEA) e le rispettiveassociazioni giapponesi e coreane, Jama and Kama, hanno raggiunto un accordo con l’UE per ridurre le emissioni mediedi CO2 delle auto nuove a 140 g/km entro il 2008/9.
-34%
-5%
19%
-21%
-2%
-20%
-16%
36%
-5%
-6%
-9%
-15%
-0.5%
-50% -40% -30% -20% -10% 0% 10% 20% 30% 40%
CO2
CH4
N2O
HFC, PFC & SF6
Industrie Energetiche
Emissioni Fuggitive
Industria (Energia)
Industria (Processi)
Altro (Energia)
Trasporti
Agricoltura
Rifiuti
Altri
J L
Figura 5.3 - EU15, CAMBIAMENTI NELLE EMISSIONI A LIVELLO SETTORIALE, PERIODO 1990-2000, (%)
Fonte: EEA, 2002
5. Proiezioni ed effetti delle politiche e misure
120 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
risce allo scenario tendenziale, che include le misu-re approvate. I dati di emissione media annuale, dis-aggregati per gas, sono riportati nella seguentetabella 5.2.Come si può notare la crescita delle emissionicomplessive si caratterizza per un trend crescente,con un aumento della crescita di circa il 5% ogni5 anni, circa il doppio dei dati storici del periodo1990-2000.
I gas con percentuali di crescita maggiori nel perio-do 2000-2010 sono gli HFC, +620%, seguiti da PFCed SF6, ma riveste una rilevanza quantitativa benmaggiore la crescita delle emissioni di anidride car-bonica, +6%. Gran parte di queste ultime emissioniè dovuta ai consumi energetici, analizzati dettaglia-tamente a livello settoriale nel paragrafo successivo.Le emissioni di metano ed, in misura inferiore, diprotossido di azoto, risultano invece in diminuzione.
159
138
111
109
108
113
122
118
117
81
129
85
117
81
100
143
127
102
101
107
113
123
120
120
83
136
94
130
100
101
0 20 40 60 80 100 120 140 160 180
Portogallo
Irlanda
Francia
Austria
Italia
Belgio
Spagna
Olanda
Svezia
Germania
Grecia
Regno Unito
Finlandia
Danimarca
EU15
Proiezioni Stati Membri Studi sugli obiettivi settoriali 1990 = 100
Figura 5.4 - PROIEZIONI EMISSIONI GAS SERRA AL 2010 PER STATO MEMBRO
Fonte: Commissione UE, 2000 Report under Council Decision 93/389/EEC as amended by Decision 99/296/EC.
Gas Emissioni anno Emissioni Cambiamento % base (MtCO2 eq.) al 2010 (MtCO2 eq.) 1990-2010
CO2 – da energia 3.068 3.193 4%CO2 – altre fonti 164 183 12%Metano 462 380 -18%Protossido di azoto 376 317 -16%HFCs, PFCs, SF6 67 116 73%
Totale 4.138 4.190 1%
Fonte: Commissione UE, Sectoral Objectives Study 2001.
Tabella 5.1 - Emissioni nell’anno base e nel 2010 per EU15, divise per i principali gas serra
5. Proiezioni ed effetti delle politiche e misure
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 121
Nel periodo 2010-2020 prosegue la crescita delleemissioni complessive, con un accentuazione dellacrescita delle emissioni di anidride carbonica ed unrallentamento della crescita di HFC, +63%, PFCed SF6. Le emissioni di metano e protossido diazoto sono sostanzialmente stabili o in leggeracrescita.
5.2.1 EMISSIONI SETTORIALI
Gran parte, circa l’85%, delle emissioni soprariportate sono connesse all’uso di fonti energeti-che fossili. Nel 1990 erano pari, in totale, a 424.9MTon., sono passate a 433.2 MTon. nel 1995 eda 452.3 MTon. nel 2000. Nel complesso, nelperiodo 1990-2000, queste emissioni cresconodel 6,4%. Con riferimento alla successiva tabella 5.4 si puònotare che il settore che ha fatto registrare lamaggiore crescita è quello dei trasporti (+20%),seguito dalle industrie energetiche (+ 9%), edagli altri settori (Residenziale, Agricoltura,Servizi). Al contrario, le emissioni delle industriemanifatturiere e delle costruzioni sono diminuitedel 9%. Causa della crescita delle emissioni èstato l’incremento del livello di attività, non suffi-cientemente compensato da incrementi di effi-cienza o da variazioni nel mix energetico. Il perio-do 1995-2000 si caratterizza, rispetto al periodo1990-1995, per una maggiore crescita delleemissioni (+4.4% contro +1.9%). Questa ten-denza è accentuata per le industrie energetiche,che nei cinque anni dal 1995 al 2000 cresconodel 6%. Le emissioni delle industrie manifatturie-re e delle costruzioni, invece, fanno registrare la
maggiore diminuzione nel primo periodo (-6%)piuttosto che nel secondo (-3%). I trasporti, infi-ne, presentano tassi di crescita abbastanza unifor-mi nei due periodi, intorno al 10%.Per il periodo 2000-2010 si prevede una crescitacomplessiva delle emissioni derivanti da combu-stione di fonti fossili pari al 7%. Di nuovo, il set-tore che cresce maggiormente è quello dei tra-sporti (+14%), anche se emerge un certo rallenta-mento rispetto al periodo precedente, legato siaal rallentamento nella crescita del parco automo-bili, sia all’incremento dell’efficienza dei motori.Le industrie energetiche continuano a crescere(+6%) ed anche il settore civile (+3%), mentrel’industria, al contrario del periodo precedente,torna a crescere (3% contro –9%).Per il periodo 2010-2020 si prevede una crescitacomplessiva delle emissioni derivanti da combu-stione di fonti fossili pari al 14.4%, distribuita inmodo abbastanza uniforme tra tutti i settori conuna netta prevalenza dei trasporti (+17%) e delleindustrie energetiche (+18%).Il riepilogo delle emissioni settoriali è contenutonelle due tabelle 5.3 e 5.4, rispettivamente persettore di emissione e per usi finali, ed nelle figu-re 5.5 e 5.6.
La tabella 5.4 (e la figura 5.6) sostanzialmente dis-tribuisce tra i vari settori di consumo le emissionidovute alla produzione di elettricità e carburanti epermette di evidenziare i settori trainanti delpunto di vista dei consumi finali. Il settore indu-striale mostra sempre una diminuzione dal 1990al 2000 ma meno accentuata, -3%, ed una cre-scita più accentuata nel decennio successivo, 4%e dal 2010 al 2020 cresce ancora del 13%.
Anno base 2000 2005 2010 2015 2020
Anidride carbonica 440.0 463.3 463.9 491.8 519.7 559.8Metano 39.6 37.8 34.3 29.4 29.5 29.6Protossido di azoto 40.0 43.2 43.1 43.1 44.1 44.6HFCs 0.7 2.0 7.0 14.1 19.0 23.0PFCs 0.3 0.2 0.4 0.7 1.1 1.8SF6 0.5 0.3 0.6 0.7 1.0 1.4
TOTALE 521.0 546.8 549.3 579.7 614.4 660.3
Cambiamenti rispetto ad anno base, 6 gas 5.0% 5.4% 11.3% 17.9% 26.7%
Cambiamenti rispetto ad anno base, solo CO2 5.3% 5.4% 11.8% 18.1% 27.2%
Tabella 5.2 - Emissioni di GHG dal 1990 al 2020, disaggregate per gas serra [Mt CO2eq.]
5. Proiezioni ed effetti delle politiche e misure
122 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
Il settore dei trasporti cresce con percentuali ana-loghe a quelle della tabella 5.4, rispettivamente+17%, +13% e +16% nei tre decenni dal 1990 al2020. Il settore che invece prima sembrava stabi-le, il settore domestico e dei servizi, mostra inquesto caso crescite rilevanti, rispettivamente+10%, +5% e +16% nei tre decenni dal 1990 al2020; la crescita è concentrata nel settore dei ser-vizi.
5.3 EMISSIONI DA USO DI ENERGIA
5.3.1 SETTORE ENERGETICO
Questo settore include la produzione di elettricitàe le raffinerie. Ci si riferisce qui a tutte le emissio-ni connesse alla produzione di elettricità, a diffe-renza dei dati riportati nel CRF (vedi capitolo 3)
Anno base 2000 2005 2010 2015 2020
DA USI ENERGETICI,di cui: 424.9 452.3 455.9 484.1 513.1 553.9- Industrie energetiche 147.4 160.8 150.9 170.4 186.4 201.9- Industria 85.5 77.9 79.0 80.2 84.2 88.2- Trasporti 103.5 124.7 134.8 142.2 150.0 166.8- Civile 70.2 72.1 74.3 74.1 75.3 79.8- Agricoltura 9.0 9.0 9.1 9.6 9.5 9.4- Altro 9.3 7.8 7.7 7.6 7.8 7.8
DA ALTRE FONTI, di cui: 96.1 94.5 93.3 95.6 101.2 106.3- Processi industriali 35.9 33.9 30.1 30.2 30.2 30.2- Agricoltura 43.4 42.6 42.9 41.0 41.0 41.0- Rifiuti 13.7 14.2 11.0 7.5 7.5 7.5- Altro 3.1 3.8 9.3 16.7 22.4 27.5
TOTALE 521.0 546.8 549.3 579.7 614.4 660.3
0
100
200
300
400
500
600
1995 2000 2005 2010 2015 2020
- Altro
Annobase
- Agricoltura
- Civile
- Trasporti
- Industria
- Industrieenergetiche
Figura 5.5 – Evoluzione emissioni di GHG da usi di energia, Mt Co2eq.
Tabella 5.3 – Emissioni di GHG dal 1990 al 2020, per settore di emissione (Mt CO2 eq.)
5. Proiezioni ed effetti delle politiche e misure
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 123
che invece escludono la quota parte di elettricitàautoprodotta ed autoconsumata (considerata tra leemissioni industriali) e pari a circa il 2.4% nel 2000.Per quanto riguarda la produzione di elettricità(parte principale delle industrie energetiche), il trenddelle emissioni complessive (3 gas) è illustrato infugura 5.7. Tra il 1990 e il 2000 si registra un sen-sibile aumento delle emissioni, da 125,5 a 142.9 MtCO2 eq. , dal 2000 al 2005 esse diminuiscono gra-zie all’incremento delle fonti rinnovabili ed all’au-mento di efficienza, successivamente l’aumentodella produzione di elettricità fa crescere nuova-mente le emissioni. I consumi del settore sono trai-
nati dalla domanda di elettricità degli altri settori. Aifini delle proiezioni, il tasso di crescita della doman-da elettrica è considerato prossimo al 2%, con unincremento dell’offerta di energia elettrica (calcola-ta come produzione interna lorda più importazioni)da 319 del 2000 a 385 TWh nel 2010. Tale incremento della domanda viene soddisfattoda una crescita della potenza installata caratteriz-zata, fino al 2010, da due periodi:
1) 2003-2005: è il periodo in cui scende la capacitàinstallata totale per effetto delle chiusure per repo-wering delle vecchie centrali ad olio Enel e, progres-
Tabella 5.4 – EMISSIONI DI GHG DAL 1990 AL 2020, PER SETTORE DI USO FINALE, [MT CO2EQ.]
Anno base 2000 2005 2010 2015 2020
Industria 154.8 150.5 145.6 156.1 166.5 176.5
Trasporti 125.8 146.9 157.1 166.4 175.1 193.2Civile 123.7 135.7 134.1 142.2 152.2 164.5Processi industriali 35.9 33.9 30.1 30.2 30.2 30.2Agricoltura 11.4 11.5 11.4 11.8 11.6 11.8Cambiamenti uso del suolo 43.4 42.6 42.9 41.0 41.0 41.0
Rifiuti 13.7 14.2 11.0 7.5 7.5 7.5
Altro 12.4 11.6 17.0 24.4 30.2 35.3
TOTALE 521.0 546.8 549.3 579.6 614.4 660.3
0
100
200
300
400
500
600
700
Annobase
1995 2000 2005 2010 2015 2020
Altro
Rifiuti
Cambiamentiuso del suolo
Agricoltura
Processiindustriali
Civile
Trasporti
Industria
Figura 5.6 - Consumi finali di energia per settore, Mt CO2 eq.
5. Proiezioni ed effetti delle politiche e misure
124 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
sivamente, GenCo;2) 2005-2008: si assiste ad una rapida crescita dellapotenza installata, in virtù dell’ingresso dei nuovi ciclicombinati, sia brownfield (quasi completamente darepowering dei siti al punto 1) che greenfield pernuove iniziative.
Nel complesso, la capacità passa dai 70755 MW del-l’anno 2000 ai 79487 MW dell’anno 2010, scenden-do nel periodo fino al 2005 per poi risalire dal 2005al 2010.Lo scenario tendenziale del settore elettrico scontatutte quelle misure già avviate prima del 2002 checontribuiranno a contenere la crescita delle emissioni.Per quanto riguarda le fonti rinnovabili, la produzio-ne, escluso l’idroelettrico, sale da 7 TWh nel 2000 a12 TWh nel 2010, con una capacità che raddoppiada 1700 a 3700 MW. L’espansione riguarda princi-palmente la capacità eolica e da rifiuti, e riflette
sostanzialmente l’obbligo del 2% sulle energie rinno-vabili del decreto 79/99. La produzione idroelettricasale di 4 TWh, arrivando a 49 TWh. Lo scenario incor-pora anche l’ipotesi che la produzione da cogenera-zione passi da poco meno 60 TWh nel 2000 a circa90 nel 2010.Nel capitolo 4 sono state descritte alcune misureaddizionali relative alla produzione di elettricità.L’effetto di queste misure sulle emissioni complessivedell’industria energetica nel periodo 2000-2010 èsintetizzato nella tabella 5.5.
5.3.2 SETTORE INDUSTRIALE
Il settore industriale qui considerato esclude le raffi-nerie ma include gli altoforni e le cokerie. In parti-colare, come accennato nel paragrafo precedente,sono anche escluse tutte le emissioni dovute alla
60
80
100
120
140
160
180
200
1990 1995 2000 2005 2010 2015 2020
anidride carbonica protossido di azoto metano
2000 2005 2010
Totale emissioni di gas serra settore energetico (scenario tendenziale) 160.8 150.9 170.4
Ulteriori 3200 MW di nuovi CC 8,9
Espansione capacità import per 2300 MW 7.0 10.6
Maggiore crescita rinnovabili per 2800 MW 6.5
Totale settore energetico (scenario di riferimento) 160.8 143.9 144,4
Tabella 5.5 – POTENZIALITÀ MISURE ADDIZIONALI NEL SETTORE ENERGETICO (MTCO2 EQUIVALENTE)
Figura 5.7 - Emissioni gas serra dal settore elettrico, Mt CO2 eq.
5. Proiezioni ed effetti delle politiche e misure
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 125
autoproduzione di elettricità. Ci si riferisce alle emis-sioni dirette di questo settore, escluse le emissionida processo esaminate nel paragrafo 5.4.1.
L’evoluzione delle emissioni è riportata nella figura5.8.
Nel settore industriale, in generale, si assiste ad unrallentamento degli incrementi di efficienza, già for-temente sfruttati negli anni precedenti, ad una ulte-riore penetrazione del gas e a tassi di crescita deilivelli di attività variabili tra i diversi sottosettori.L’aumento dell’efficienza energetica dei processiindustriali è uno strumento primario per ridurre leemissioni di gas serra. In Italia, il settore industrialeesibisce livelli di efficienza energetica superiori allamedia europea, e risulta pertanto difficile persegui-re questa strada. Sulla base dell’evoluzione fino ad oggi osservatadell’efficienza energetica nei sottosettori industriali,lo scenario base incorpora una serie di ipotesi sul-l’andamento futuro: per alcuni sottosettori (tra cuimeccanica, alimentare, cartaria) si assume che l’in-tensità energetica rimanga stabile in futuro, avendogià raggiunto livelli molto bassi. Al contrario, per isettori in cui l’intensità energetica è ancora elevata,si incorporano nello scenario base ulteriori diminu-zioni: il tasso di variazione annua si aggira intorno al-1%.Per ciò che riguarda il mix energetico, lo scenariobase sconta il proseguimento della penetrazione delgas nel settore industriale: tra il 2000 e il 2005 iconsumi di gas crescono di più del 2%, mentre nelquinquennio successivo superano il 3%.
Contemporaneamente, l’impiego di olio combusti-bile continua a diminuire, il che contribuisce a far sìche, a fronte dell’aumento dei consumi energetici,le emissioni dell’industria crescano ad un ritmomeno sostenuto.Come per tutti i settori, anche per l’industria lo sce-nario base incorpora alcune misure di riduzione giàattivate. Viene ad esempio scontato l’effetto dellalegge 10/91 sulla nomina degli energy manager.Vengono inoltre considerati gli effetti dell’applica-zione dei nuovi standard UE alle acciaierie italiane,della normativa ambientale DPR 203/88 e delle col-legate linee guida del ’90 in materia di incrementodell’uso di gas naturale.Il risultato di tutti questi fattori considerati nelle proie-zioni di base è una quasi stabilità delle emissionidirette di anidride carbonica nel periodo 2000-2010.
5.3.3 SETTORE TRASPORTI
Il settore dei trasporti qui considerato, sulla basedelle metodologie IPCC-OECD, include i trasportistradali e ferroviari (escluse le emissioni da uso dielettricità), i trasporti aerei nazionali, la quota partenazionale dei voli internazionali (ciclo di landing etake-off) e la navigazione di cabotaggio ed i consu-mi nei porti italiani delle navi che effettuano viaggiinternazionali. L’evoluzione delle emissioni è ripor-tata nella figura 5.9.Le proiezioni del settore trasporti sono state effettua-te scontando le misure attualmente in fase avanzatadi realizzo. Tali misure possono essere raggruppate inquattro categorie:
50
60
70
80
90
100
1990 1995 2000 2005 2010 2015 2020
anidride carbonica protossido di azoto metano
Figura 5.8 - Settore industriale, emissioni da uso combustibili, Mt CO2 eq.
5. Proiezioni ed effetti delle politiche e misure
126 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
• ricerca dell’efficienza: comprende lo sviluppo diautovetture a minor consumo (accordo FIAT-Acea), l’utilizzo di autobus alimentati con carbu-ranti a minor intensità di carbonio e il migliora-mento dell’efficienza dei veicoli da trasportopesante
• ottimizzazione carburanti: applicazione dei proto-colli concordati tra ministeri e produttori per losviluppo di combustibili ad emissioni ridotte(metano gpl biocarburanti…)
• ottimizzazione modale: iniziative di car sharing,car pooling e taxi collettivi per il trasporto perso-ne
• infrastrutture: estensione e ammodernamentodella rete ferroviaria locale
Si riportano qui di seguito le previsioni per glistock di auto e camion. La loro crescita dà unnotevole contributo alla crescita delle emissionidei trasporti, dato che è insufficientemente com-pensata dalla riduzione delle emissioni specifiche(per km percorso) dei veicoli (tabella 5.6).Lo scenario ipotizzato, ritenuto ad oggi il più pro-babile in Italia sulla base delle previsioni del Librobianco UE (5), ricalca sostanzialmente gli scenari“alti” del PGT (6), che coincidono con le previsio-ni del libro bianco UE per i passeggeri e sono inve-ce leggermente inferiori per le merci. In particola-re si prevede una crescita media annua dell’1,8%per i passeggeri e dell’1,6% per le merci.Considerando che le stime sulla crescita del PIL
50
70
90
110
130
150
170
190
1990 1995 2000 2005 2010 2015 2020
anidride carbonica protossido di azoto metano
Figura 5.9 - Settore dei trasporti, evoluzione emissioni gas serra, (Mt CO2 eq.)
Totale Auto Auto Benzina Auto Diesel Auto a Gas Camion
2000 32.296.848 27.356.786 3.521.166 1.418.897 684.335
2005 34.927.130 29.317.097 3.929.416 1.680.617 818.638
2010 37.312.093 30.936.481 4.384.999 1.990.613 979.299
2020 39.702.237 32.451.045 4.893.403 2.357.789 1.171.490
Tabella 5.6 Parco automobilistico italiano (unità)
5 Commissione Europea, White paper: “Transport Policy in Europe up to 2010, COM (2001) 370, Settembre 2001.6 Ministero dei trasporti e dei Lavori Pubblici, Ministero Ambiente, Piano Generale dei trasporti e della logistica, 2001.
5. Proiezioni ed effetti delle politiche e misure
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 127
per i prossimi 10 anni sono orientate sul +2%m.a. la previsione per le merci considera un’elasti-cità leggermente inferiore a quella media EU men-tre per i passeggeri l’elasticità è senz’altro più ele-vata ma coerente con i dati storici nazionali. Nella tabella 5.7 sono riportati i tassi di crescitastorici e le previsioni a livello nazionale secondo ilPGT ed il citato libro bianco UE. In particolarequest’ultimo scenario rispetto ai precedenti tieneconto degli effetti dell’allargamento della comuni-tà sui trasporti ed individua una serie di azioninecessarie a livello comunitario per affrontare l’e-voluzione tendenziale prevista. Si ritiene infattiche l’allargamento dell’area di libero scambioincrementerà notevolmente i quantitativi di mercitrasportate.Per quanto riguarda il traffico passeggeri il con-fronto tra gli scenari nazionali e quello europeonon aggiunge molto alle considerazioni dei prece-denti paragrafi, si nota una sostanziale confermadell’ipotesi “alta”, del resto perfettamentecoerente con l’ipotesi di crescita del PIL del 3%,
che è un valore piuttosto alto per un periodo cosìlungo. La suddivisione modale resta sostanzialmente inva-riata per i passeggeri, per le merci si prevede unsignificativo aumento della quota per ferrovia. Iconsumi specifici medi delle automobili sono previ-sti ridursi di circa il 12% nel traffico extraurbanomentre sono quasi costanti nel traffico urbano. Il dettaglio circa il contributo dei diversi compartialle emissioni è mostrato nella tabella 5.8. Intabella 5.9 le emissioni stradali sono suddivise pertipologia di veicolo.
La crescita maggiore delle emissioni si registranelle auto a gas (+2,3% medio annuo), a ragionedella forte espansione di questa fonte energetica.Anche camion e bus fanno registrare sensibili incre-menti (rispettivamente +2,1% e 1,9% medioannuo). La crescita delle emissioni da benzina e dagasolio avviene a tassi minori (rispettivamente+0,02% e +0,2%). Infine, le emissioni dei motociclicrescono mediamente dell’1,8% annuo.
1990-1995 1995-2000 2000-2005 2005-2010
Passeggeri, in Gp-kmconsuntivo 2.8% 1.4%PGT, scenario "basso" 1.33% 1.33%
PGT, scenario "alto" 1.90% 1.90%
Libro bianco UE, bau (con PIL +3%ma) 1.83% 1.83%
Merci, in Gt-kmConsuntivo (> 50 km) 3.8% 3.0%
PGT, scenario "basso" 1.28% 1.28%
PGT, scenario "alto" 1.61% 1.61%
Libro bianco UE, bau (con PIL +3%ma) 2.74% 2.74%
Fonte: elaborazioni APAT
Strada Aria Ferrovia Acqua
2000-2010 +8.2% +46.8% +15.6% +18.7%
2010-2015 +3.8% +15.6% +6.7% +9.4%
Tabella 5.7 - Tassi di crescita in diversi scenari.
Tabella 5.8 - Crescita delle emissioni di CO2 del settore trasporti (%), per sottosettore
5. Proiezioni ed effetti delle politiche e misure
128 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
Nel capitolo 4 sono state descritte alcune misureaddizionali relative al settore. L’effetto di questemisure sulle emissioni complessive dei trasporti nelperiodo 2000-2010 è sintetizzato nella tabella 5.10.
5.3.4 SETTORE CIVILE ED AGRICOLTURA
L’evoluzione storica e la previsione al 2020 delleemissioni del settore civile e dell’agricoltura (da uso dicombustibili fossili) è riportata nella figura 5.10.Questi settori presentano le seguenti caratteristiche:
• crescita contenuta dell’agricoltura (0,6% annuo)e lieve penetrazione del gas, con conseguentelieve diminuzione delle emissioni di CO2 (da 9,07nel 2000 a 8,48 Mton. nel 2010).
• edifici: si ipotizza che i metri quadrati delle abita-zioni e di tutti gli altri edifici del terziario crescanodell’1,4% annuo, tasso che progressivamente siriduce fino all’1% nel 2015 per tener conto difenomeni di saturazione. Tale crescita è solo par-zialmente compensata dalla prevista espansionedel gas e dai miglioramenti di efficienza in atto,con conseguente crescita delle emissioni di CO2
(da 68,28 nel 2000 a 71,47 Mton. nel 2010).• consumi elettrici: i consumi del residenziale sono
previsti in leggera crescita, in linea con gli anda-menti storici, scontando il mantenimento dell’at-tuale struttura tariffaria; nel settore dei servizi iconsumi sono invece previsti in forte espansione(circa 2% all’anno) .
Per quanto riguarda il settore residenziale e servizi,negli ultimi anni sono state avviate alcune misure diriduzione delle emissioni di gas serra. Le principalisono quelle previste dalla legge 10/91 (riguardanti ilcontenimento del consumo di energia negli edificinorme nell’ambito dell’attuazione del Piano energeti-co nazionale), dalla 449/97 (deducibilità del 41%delle spese di ristrutturazione degli edifici, incluserisorse rinnovabili) e dal codice di autoregolazioneper la qualità ambientale negli edifici dellaPubblica Amministrazione. Queste misure sonogià incorporate nelle proiezioni del modello.Nel capitolo 4 sono state descritte alcune misureaddizionali relative al settore. L’effetto di questemisure sulle emissioni complessive del settore civi-le e dell’agricoltura nel periodo 2000-2010 è sin-tetizzato nella tabella 5.11.
Benzina Gasolio Camion Bus Auto a Gas Motocicli
2000 52,17 22,37 24,19 2,66 4,57 2,59
2005 52,91 22,59 26,83 2,93 5,12 2,84
2010 52,84 22,80 29,77 3,22 5,73 3,11
2015 52,45 23,02 33,04 3,54 6,43 3,40
2000 2005 2010
124.7 134.8 142.2
- - 1.5
- 0.8 2.1
- - 3.9
124.7 134.0 134.7
Tabella 5.10 – Potenzialità misure addizionali nei trasporti (MtCO2 eq.)
Tabella 5.9 - Emissioni di CO2 della strada (Mton.)
Totale emissioni di gas serra trasporti (scenario tendenziale)
Autobus e veicoli privati con carburanti a minor densità di carbonio (Gpl, gas naturale)
Sistemi di ottimizzazione e collettivizzazione del trasporto privato (car pooling, car sharing, taxi collettivi)
Rimodulazione dell’imposizione sugli oli minerali Attivazione sistemi informatico-telematici Sviluppo infrastrutture nazionali
Totale settore trasporti (scenario di riferimento)
5. Proiezioni ed effetti delle politiche e misure
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 129
5.4 EMISSIONI DAGLI ALTRI SETTORI
5.4.1 PROIEZIONI DELLE EMISSIONI DAL SET-TORE INDUSTRIALE
5.4.1.1 Emissioni di processo di CO2, CH4 e N2O
Per quanto riguarda i prodotti minerali (cemento,calce e vetro), il trend delle emissioni tra il 1990 e il2000 ha fatto registrare:• una riduzione nelle emissioni dalla produzione di
clinker, da 17,9 Mt nel 1990 a circa 15,4 Mt nel2000;
• un aumento nelle emissioni dalla preparazionedella calce, da circa 1,34 Mt nel 1990 a circa1,65 Mt nel 2000;
• un aumento nelle emissioni dalla produzione del
vetro, da 2,18 Mt nel 1990 a circa 2,21 Mt nel2000.
Si prevede, per il complesso di queste emissioni, unaleggera riduzione all’orizzonte 2010, in relazioneall’andamento generale del settore dei materiali dacostruzione.Le emissioni di N2O dalla produzione di acido nitricosi sono già ridotte del 46% circa tra il 1990 e il 2000,in relazione al calo delle produzioni e sembrano desti-nate a ridursi ulteriormente nel 2010 a seguito di unaipotizzata ulteriore riduzione delle produzioni. Per lavalutazione delle emissioni agli orizzonti 2000, 2005e 2010, si è assunto che la produzione di HNO3 paria 1037 Mt nel 1990 e a 431,5 Mt nel 1995 si ridur-rà a 100 Mt nel 2010.Infine, si è assunto che le emissioni di N2O dalla pro-duzione dell’acido adipico, già cresciute del 45% tra
2000 2005 2010
81.1 83.4 83.7
4.0 6.3
81.1 79.4 77.4
Figure 5.10 - Settore Civile ed Agricoltura, emissioni di gas serra Mt CO2
anidrite carbonica protossido di azoto metano
Totale emissioni di gas serra civile-agricoltura (scenario tendenziale)
Decreti efficienza usi finali (residenziale & servizi)
Totale civile agricoltura (scenario di riferimento)
Tabella 5.11 – Potenzialità misure addizionali nel civile-agricoltura (MtCO2 equivalente)
100
90
80
70
60
50
40
1990 1995 2000 2005 2010 2015 2020
5. Proiezioni ed effetti delle politiche e misure
130 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
il 1990 ed il 2000, possano subire un ulteriore legge-ro aumento all’anno 2010 in relazione alla dinamicacomplessiva del settore della chimica (Tabella 5.12).I due interventi specifici presi in considerazione perquesto settore nel capitolo 4 riguardano la riduzione
delle emissioni di protossido di azoto dalla produzio-ne dell’acido adipico e dell’acido nitrico. Gli effettidell’adozione di queste due misure sulle emissioni diN2O dal settore industriale sono evidenziati nellatabella 5.13.
1990 1995 2000 2005 2010
24.193,0 20.744,6 22.722,1 19.956,6 20.101,6
2.257,6 955,8 941,5 911,7 941,4
1.804,2 1.659,7 1.592,1 1.653,4 1.780,9
558,6 566,3 546,4 651,4 718,6
28.813,4 23.926,4 25.802,2 23.173,1 23.542,5
990 1995 2000 2005 2010
3,1 3,3 3,1 3,4 3,5
2,4 2,4 2,3 2,3 2,5
5,5 5,7 5,4 5,6 6,0
1990 1995 2000 2005 2010
21,8 23,1 25,2 21,9 21,0
21,8 23,1 25,2 21,9 21,0
1990 1995 2000 2000 2000
24.193,0 20.744,6 22.722,1 19.956,6 20.101,6
9.070,1 8.175,6 8.811,8 7.766,6 7.519,8
1.854,7 1.709,7 1.640,2 1.700,7 1.832,9
558,6 566,3 546,4 651,4 718,6
35.676,4 31.196,2 33.720,6 30.075,3 30.172,9
Emissioni di protossido di azoto (MtCO2 equivalente) 1990 1995 2000 2005 2010
A. Prodotti minerali
B. Industria chimica 6,7 7,1 7,8 6,8 6,5
C. Produzione di metalli
D. Altro (industria cartaria e alimentare)
Totale processi industriali (scenario tendenziale) 6,7 7,1 7,8 6,8 6,5
Riduzione emissioni di processo acido adipico 2,9 6,0
Riduzione emissioni di processo acido nitrico 0,3 0,2
Totale processi industriali (scenario con ulteriori misure) 6,7 7,1 7,8 3,6 0,3
Tabella 5.12 – Le proiezioni delle emissioni per la Terza Comunicazione Nazionale (scenario tendenziale)
Tabella 5.13 – Scenari di evoluzione delle emissioni di N2O dal settore industriale (MtCO2 equivalente)
Emissioni di anidride carbonica (Gg) 1
A. Prodotti minerali
B. Industria chimica
C. Produzione di metalli
D. Altro (industria cartaria e alimentare)
Totale processi industriali
Emissioni di metano (Gg)
A. Prodotti minerali
B. Industria chimica
C. Produzione di metalli
D. Altro (industria cartaria e alimentare)
Totale processi industriali
Emissioni di protossido di azoto (Gg)
A. Prodotti minerali
B. Industria chimica
C. Produzione di metalli
D. Altro (industria cartaria e alimentare)
Totale processi industriali
Emissioni di gas-serra (Gg CO2
equivalente)
A. Prodotti minerali
B. Industria chimica
C. Produzione di metalli
D. Altro (industria cartaria e alimentare)
Totale processi industriali
5. Proiezioni ed effetti delle politiche e misure
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 131
5.4.1.2 Emissioni di HFC, PFC e SF6
Le emissioni di gas fluorurati sono aumentate del78,3% tra il 1995 e il 2000, con un incrementomedio annuo pari al 15,7% (si ricorda che perquesti gas il Protocollo di Kyoto lascia la possibili-tà di scegliere il 1990 oppure il 1995 come annobase). Sono in calo le emissioni provenienti dallaproduzione di idrocarburi alogenati e esafluorurodi zolfo (-96,8%) – per effetto della riduzionedelle emissioni fuggitive dagli impianti – mentreaumentano quelle provenienti dalla produzione di
metalli (6,7%) e quelle provenienti dal consumodi idrocarburi alogenati e esafluoruro di zolfo(277,4%) – in particolare a causa dell’utilizzo diqueste sostanze all’interno di cicli di produzioneche comportano l’emissione in atmosfera del100% delle sostanze utilizzate, come è il caso deisemiconduttori, a partire dal 1995 e degli aerosolmedici dosati, a partire dal 1999.Le proiezioni delle emissioni di gas fluorurati con-tenute nella Seconda Comunicazione Nazionalenon si sono fin qui discostate dall’andamento realedelle emissioni registrato a consuntivo.
Emissioni di HFC, PFC, SF6 (Gg CO2 equivalente) 1995 2000 2005 2010
A. Produzione di metalli 0,079 0,084 0,062 0,062
B. Produzione di idrocarburi alogenati e esafluoruro di zolfo 0,695 0,022 0,022 0,022
C. Consumo di idrocarburi alogenati e esafluoruro di zolfo 0,640 2,414 7,928 15,372
Totale HFC, PFC, SF6 (scenario tendenziale) 1,414 2,521 8,013 15,457
Riciclaggio dell’alluminio 0,025 0,050
Adozione di sostanze a minore GWP nella produzione
dei semiconduttori 0,010 0,020
Riduzione delle perdite di HFC dai condizionatori degli autoveicoli 0,230 0,645
Riduzione delle perdite di SF6 dalle apparecchiature elettriche 0,050 0,040
Totale processi industriali (scenario con ulteriori misure ) 1,414 2,521 7,723 14,702
Emissioni di HFC (Gg CO2 equivalente) 1995 2000 2005 2010
A. Produzione di metalli
B. Produzione di idrocarburi alogenati e esafluoruro di zolfo 440,8 22,2 22,2 22,2
C. Consumo di idrocarburi alogenati e esafluoruro di zolfo 230,5 1.939,5 7.025,4 14.098,4
Totale HFC 671,3 1.961,7 7.047,6 14.120,6
Emissioni di PFC (Gg CO2 equivalente)
A. Produzione di metalli 79,2 84,5 62,3 62,3
B. Produzione di idrocarburi alogenati e esafluoruro di zolfo 134,3 0,0 0,0 0,0
C. Consumo di idrocarburi alogenati e esafluoruro di zolfo 59,0 147,2 296,0 595,4
Totale PFC 272,5 231,7 358,3 657,7
Emissioni di SF6 (Gg CO2 equivalente)
A. Produzione di metalli
B. Produzione di idrocarburi alogenati e esafluoruro di zolfo 119,5 0,0 0,0 0,0
C. Consumo di idrocarburi alogenati e esafluoruro di zolfo 350,3 327,7 606,6 678,3
Totale SF6 469,8 327,7 606,6 678,3
Emissioni di HFC, PFC, SF6 (Gg CO2 equivalente)
A. Produzione di metalli 79,2 84,5 62,3 62,3
B. Produzione di idrocarburi alogenati e esafluoruro di zolfo 694,6 22,2 22,2 22,2
C. Consumo di idrocarburi alogenati e esafluoruro di zolfo 639,8 2.414,4 7.927,9 15.372,0
Totale HFC, PFC, SF6 1.413,6 2.521,1 8.012,5 15.456,5
Tabella 5.15 – Scenari di evoluzione delle emissioni di HFC, PFC, SF6 dal settore industriale(MtCO2 equivalente)
Tabella 5.14 – Proiezioni delle emissioni per la Terza Comunicazione Nazionale(scenario tendenziale)
5. Proiezioni ed effetti delle politiche e misure
132 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
Ciò nonostante, i trend più recenti relativi al settoredella refrigerazione e del condizionamento, alla pro-duzione di aerosol medici dosati e all’industria deisemiconduttori fanno presumere che, di qui al2010, le emissioni complessive siano destinate acrescere ben al di là dei valori previsti (tabella 5.14).I valori presentati nella Seconda ComunicazioneNazionale sono stati perciò rivisti come segue,
sulla base delle previsioni di mercato relative allediverse sostanze fornite dai produttori italiani econtenute negli studi citati promossi dallaDirezione Generale Ambiente della CommissioneEuropea.L’effetto delle misure presentate nel Capitolo 4sulle emissioni complessive di gas fluorurati è sin-tetizzato nella tabella 5.15.
Categorie animali
Vacche da latte Altri bovini Suini
1990 2.641.755 5.195.972 6.949.0911991 2.339.520 5.654.073 6.723.8151992 2.146.398 5.517.632 6.602.9201993 2.118.981 5.418.698 6.611.1151994 2.011.919 5.258.445 6.419.2561995 2.045.517 5.418.213 6.681.9631996 2.070.300 5.258.907 6.670.1871997 2.078.388 5.256.337 6.795.4471998 2.116.176 5.199.598 6.802.4421999 2.106.000 5.155.000 6.669.0002000 2.065.000 5.180.000 6.828.0002001 2.154.000 5.040.000 6.939.000
0,0
200,0
400,0
600,0
800,0
1000,0
1200,0
1961
/62
1963
/64
1965
/66
1967
/68
1969
/70
1971
/72
1973
/74
1975
/76
1977
/78
1979
/80
1981
/82
1983
/84
1985
/86
1987
/88
1989
/90
1991
/92
1993
/94
1995
/96
1997
/98
1999
/2000
Anno
1000
t N
tot
ale
Figura 5.11 - Evoluzione dei consumi di fertilizzanti azotati in Italia dal 1960 al 2000
Fonte: ISTAT
Fonte: International Fertilisers Association, 2001
Tabella 5.16 - Evoluzione delle consistenze bovine e suine dal 1990 al 2001
5. Proiezioni ed effetti delle politiche e misure
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 133
5.4.2 PROIEZIONI DELLE EMISSIONI DAL SET-TORE AGRICOLO
Le emissioni di gas-serra dalle attività agricole sonodiminuite dell’1,7% tra il 1990 e il 2000 (con undecremento medio annuo pari allo 0,17%), condecrementi per la fermentazione enterica (-6,5%), le
deiezioni (-1,1%) e per la combustione di rifiuti agri-coli (-7,6%) e incrementi per la coltivazione del riso(2,3%) e più pronunciato per i terreni agricoli (1,1%).La riduzione delle emissioni totali di metano ipotizza-ta dalla Seconda Comunicazione Nazionale (16%rispetto al 1990) era riconducibile quasi esclusivamen-te alla riduzione della consistenza del comparto bovi-
Emissioni di metano (Gg) 1990 1995 2000 2005 2010
A. Fermentazione enterica 648,8 636,1 606,9 593,1 570,6
B. Deiezioni 190,0 184,5 185,5 189,7 194,3
C. Coltivazione del riso 73,3 81,4 74,9 74,9 74,9
D. Terreni agricoli
E. Incendi nella savana
F. Combustione di rifiuti agricoli 0,6 0,6 0,6 0,6 0,6
Totale settore agricolo 912,7 902,5 867,9 858,3 840,5
Emissioni di protossido di azoto (Gg)
A. Fermentazione enterica
B. Deiezioni 12,4 12,8 12,4 12,5 12,5
C. Coltivazione del riso
D. Terreni agricoli 65,6 66,9 66,3 64,8 63,0
E. Incendi nella savana
F. Combustione di rifiuti agricoli 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0
Totale settore agricolo 78,0 79,7 78,8 77,3 75,5
Emissioni di gas-serra (Gg CO2 equivalente)
A. Fermentazione enterica 13.624,9 13.357,1 12.744,0 12.455,1 11.982,6
B. Deiezioni 7.836,6 7.839,5 7.751,3 7.861,8 7.992,5
C. Coltivazione del riso 1.538,5 1.708,6 1.573,6 1.572,9 1.572,9
D. Terreni agricoli 20.337,4 20.741,8 20.553,8 20.094,2 19.490,0
E. Incendi nella savana 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0
F. Combustione di rifiuti agricoli 17,1 16,9 15,8 12,6 12,6
Totale settore agricolo 43.354,5 43.664,0 42.638,6 41.996,6 41.050,6
Emissioni di gas-serra (MtCO2 equivalente) 1990 1995 2000 2005 2010
A. Fermentazione enterica 13,62 13,36 12,74 12,46 12,00
B. Deiezioni 7,84 7,84 7,75 7.86 7.99
C. Coltivazione del riso 1,54 1,71 1,57 1,57 1,57
D. Terreni agricoli 20,34 20,74 20,55 20,09 19,49
E. Incendi nella savana 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00
F. Combustione di rifiuti agricoli 0,02 0,02 0,02 0,02 0,02
Totale settore agricolo (scenario tendenziale) 43,35 43,66 42,64 42,00 41,00
Riduzione emissioni CH4 dagli stoccaggi delle deiezioni 0,08 0,15
Riduzione emissioni N2O dai suoli attraverso la razionalizzazione
dell’uso dei fertilizzanti azotati 0,24 0,46
Totale settore agricolo (scenario con ulteriori misure) 43,35 43,66 42,64 41,68 40,44
Tabella 5.17 – Proiezioni delle emissioni per la Terza Comunicazione Nazionale
Tabella 5.18 – Scenari evoluzione delle emissioni di gas-serra dal settore agricolo (MtCO2 equivalente)
5. Proiezioni ed effetti delle politiche e misure
134 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
no e delle vacche da latte in particolare, e all’aumen-tata efficienza di utilizzazione dell’energia ingerita,con un effetto pressoché trascurabile di altri fattori.Il trend effettivo delle consistenze bovine e suine tra il1990 e il 2000 evidenzia invece riduzioni inferiori aquelle previste per gli altri bovini (0,3% anziché 2,0%)e i suini (1,7 anziché 5,0%) e in particolare per le vac-che da latte (21,8% anziché 35,7%); ciò spiega la dif-formità dell’andamento effettivo delle emissionirispetto alle previsioni..L’andamento delle consistenze animali spiega anche iltrend di crescita delle emissioni di N2O dai suoli agri-coli – influenzate dagli apporti di azoto di origine ani-male e minerale – a fronte di una sostanziale stazio-narietà dei consumi di fertilizzanti azotati negli ultimianni.Su queste basi, e tenendo anche conto dell’influenzadelle vicende della BSE, si è assunto che le consisten-ze bovine dovrebbero rimanere costani di qui al 2010.Si può quindi prevedere, per le emissioni di N2O daisuoli agricoli, a fronte dell’incremento previsto dallaSeconda Comunicazione Nazionale tra il 2000 e il2010, una sostanziale stabilità in relazione alla stabili-tà o riduzione delle consistenze animali (in particolarebovini) (tabella 5.17).
I tre interventi specifici presi in considerazione perquesto settore nel capitolo 4 riguardano la riduzionedelle emissioni di CH4 dagli stoccaggi delle deiezioni,la riduzione delle emissioni di CO2 dai consumi dienergia attraverso la diffusione dell’agricoltura biolo-gica e la riduzione delle emissioni di N2O dai suoliattraverso la razionalizzazione dell’uso dei fertilizzantiazotati. Dal momento che la seconda misura vieneconsiderata nella sezione relativa ai consumi energe-tici, si considerano nella tabella 5.18 gli effetti dell’a-dozione delle altre due misure; le due tabelle differi-scono solo per l’entità del contributo della misurarelativa agli stoccaggi delle deiezioni.
5.4.3 PROIEZIONI DELLE EMISSIONI DAL SETTORE DEI RIFIUTI
Le emissioni di gas-serra dalla gestione dei rifiuti sonoaumentate del 3,5% tra il 1990 e il 2000 (con unincremento medio annuo pari allo 0,35%), con undecremento per le discariche (-1,0%) e incrementiper il trattamento delle acque reflue (11,0%), l’ince-nerimento dei rifiuti (20,0%) e il compostaggio(650,0%).
Emissioni di anidride carbonica (Gg) 1990 1995 2000 2005 2010
A. Discariche
B. Trattamento acque reflue
C. Incenerimento rifiuti 911,7 1.105,3 1.010,5 825,1 650,1
D. Altro (compostaggio)
Totale settore rifiuti 911,7 1.105,3 1.010,5 825,1 650,1Emissioni di metano (Gg)
A. Discariche 453,6 455,1 449,2 310,6 152,5
B. Trattamento acque reflue 98,0 103,8 111,9 107,8 107,8
C. Incenerimento rifiuti 7,6 12,9 11,9 11,9 11,9
D. Altro (compostaggio) 0,0 0,0 0,1 0,1 0,1
Totale settore rifiuti 559,2 571,7 573,1 430,4 272,3
Emissioni di protossido di azoto (Gg)
A. Discariche
B. Trattamento acque reflue 3,2 3,2 3,3 3,3 3,3C. Incenerimento rifiuti 0,3 0,5 0,4 0,4 0,4
D. Altro (compostaggio)Totale settore rifiuti 3,5 3,7 3,8 3,7 3,8
Emissioni di gas-serra (Gg CO2 equivalente)
A. Discariche 9.526,5 9.556,7 9.434,2 6.676,6 3.249,1
B. Trattamento acque reflue 3.041,9 3.184,9 3.376,0 3.291,5 3.295,6
C. Incenerimento rifiuti 1.168,6 1.528,3 1..399,7 1.208,7 1.037,4
D. Altro (compostaggio) 0,2 0,5 1,5 1,9 2,3
Totale settore rifiuti 13.737,2 14.270,3 14.211,4 11.024,8 7.537,6
Emissioni di anidride carbonica (Gg) nel settore energia
A. Commerciale/istituzionale 237,6 353,5 575,2 893,2 1.211,2
Tabella 5.19 – Proiezioni delle emissioni per la Terza Comunicazione Nazionale (scenario tendenziale)
5. Proiezioni ed effetti delle politiche e misure
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 135
Sulla base degli inventari più recenti e delle valuta-zioni relative all’attuazione delle misure di mitigazio-ne previste dalla Seconda Comunicazione nazionale,sono state elaborate le seguenti proiezioni per laTerza Comunicazione Nazionale, che includono unoscenario tendenziale basato sulle azioni fin qui avviatee prendono in esame gli effetti di due possibili inter-venti di mitigazione.Queste proiezioni prevedono, già nello scenario ten-denziale, una riduzione del 45 % delle emissionicomplessive di gas-serra dal settore, espresse in termi-ni di CO2 equivalente, dovuta essenzialmente al calodelle emissioni di metano dalle discariche; questa ridu-zione è di entità nettamente superiore all’aumentodelle emissioni di CO2 dagli inceneritori di rifiuti conrecupero energetico (tabella 5.19).Nel capitolo 4 sono stati inoltre presi in considerazio-ne due ulteriori interventi per la riduzione delle emis-sioni di gas-serra, ed in particolare di metano, dal ciclodei rifiuti, entrambi legati all’attuazione della normati-va nazionale ed europea relativa a questo ambito. Ilprimo intervento consiste nel rispetto degli obiettivitemporali di riduzione della frazione biodegradabiledei RU in discarica previsti dalla direttiva 99/31/CE,
che prevedono già per il 2010 una riduzione del 50%,rispetto al 1995, della quantità di RU biodegradabilida collocare in discarica. Il secondo intervento assumeinvece il sostanziale rispetto degli obiettivi del D.L.22/97, in particolare per quel che riguarda il recuperoenergetico dai rifiuti. In questa ipotesi, si assume chenel 2010 il 30% dei RU siano avviati a trattamenti direcupero energetico, in linea con le indicazioni del“Libro bianco per la valorizzazione energetica dellefonti rinnovabili” (ENEA, 1999), con un ulterioreincremento di 500 MWe della capacità elettricaaggiuntiva da RU rispetto al 2000. Gli effetti di questidue interventi sull’evoluzione delle emissioni dal set-tore sono evidenziati nella tabella 5.20.
5.4.4 SETTORE CAMBIAMENTI USO DELSUOLO E FORESTE
Per questo settore in Italia, nel periodo di tempoconsiderato, non si tratta di emissioni ma di assor-bimenti di CO2 dovuti all’aumento delle estensionidi boschi e foreste e del carbonio stoccato in quelleesistenti.
Emissioni di gas-serra (MtCO2 equivalente) 1990 1995 2000 2005 2010
A. Discariche 9,5 9,6 9,4 6,5 3,2
B. Trattamento acque reflue 3,0 3,2 3,4 3,3 3,3
C. Incenerimento rifiuti 1,2 1,5 1,4 1,2 1,0
D. Altro (compostaggio) 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0
Totale settore rifiuti (scenario tendenziale) 13,7 14,3 14,2 11,0 7,5
Stabilizzazione frazione organica, 50% dei RU biodegradabili al 2010 0,25 0,64
Recupero energetico dai RU, 30% dei RU prodotti al 2010
(+500 MWe) (valutato nel settore eneretico)
Totale settore rifiuti (scenario con ulteriori misure) 13,7 14,3 14,2 10,7 6,9
2005 2010 2015 2020
Assorbimenti di anidride carbonica (MtCO2 ), relativi ad art. 3.3
A. Ricognizione rimboschimenti effettuati 0.54 1.06 1.02 0
B. Realizzazione di nuovi impianti 0.55 1.21 1.29 0.46
C. Inventario aggiornato per riforestazione naturale 2.35 4.21 6.09 7.66
Assorbimenti di anidride carbonica (MtCO2 ), relativi ad art. 3.4
A. cap attuale 0,66 0.66 0.66 0,66
B. revisione del cap 0 4.10 4.12 4.12
Totale assorbimenti (scenario con misure addizionali) 4.10 11.26 13.18 12.90
Tabella 5.20 – Scenari di evoluzione delle emissioni di gas-serra dal settore dei rifiuti tCO2
equivalente)
Tabella 5.21 – Scenari di evoluzione degli assorbimenti di anidride carbonica dal settorecambiamenti uso del suolo e foreste (MtCO2)
5. Proiezioni ed effetti delle politiche e misure
136 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
Operazione preliminare per poter tenere conto siadegli aumenti degli assorbimenti è la realizzazionedi un inventario aggiornato dei rimboschimenti edella riforestazione naturale. Nel caso non si pones-se mano ad un’azione di ricognizione dei rimbo-schimenti effettuati (vedi capitolo 4), non si realiz-zano nuovi impianti (vedi capitolo 4), non si affron-ta con un provvedimento di legge ed un nuovoinventario la questione delle riforestazione naturale(vedi capitolo 4) il contributo di questo settoresarebbe nullo.Sulla base degli inventari più recenti e delle valuta-zioni relative all’attuazione delle misure di mitiga-zione previste dalla Seconda Comunicazione nazio-nale, sono state elaborate le seguenti proiezioni perla Terza Comunicazione Nazionale, che includonouno scenario tendenziale basato sulle azioni fin quiavviate e prendono in esame gli effetti di quattro pos-sibili interventi di mitigazione (tabella 5.21):
a) si fa un’azione di ricognizione dei rimboschimentieffettuati, non si realizzano nuovi impianti, non siaffronta con un provvedimento di legge ed un nuovoinventario la questione della riforestazione naturale(vedi capitolo 4). b) si fa un’azione di ricognizione dei rimboschimentieffettuati, si realizzano nuovi impianti, non si affron-ta con un provvedimento di legge ed un nuovoinventario la questione delle riforestazione naturale(vedi capitolo 4). c) si fa un’azione di ricognizione dei rimboschimen-ti effettuati, si realizzano nuovi impianti, si affrontacon un provvedimento di legge ed un nuovo inven-tario la questione delle riforestazione naturale (vedicapitolo 4).
5.5 PROIEZIONI ENERGETICHE EDEFFETTI DELLE POLITICHE E MISURE
5.5.1 METODOLOGIA DI PREPARAZIONEDEGLI SCENARI
Gli scenari di emissioni di gas serra derivanti da com-bustione di fonti energetiche sono ricavati dal model-lo CEPRIG (Calcolo delle Emissioni e Politiche per laRIduzione dei Gas serra), basato sull’approccio SystemDynamics. Il modello CEPRIG elabora formalmente,principalmente attraverso equazioni differenziali,input derivati statisticamente e/o econometricamente. I settori presi in considerazione quali generatori di CO2
sono i seguenti: • industria• residenziale• servizi• agricoltura• trasporti
• elettrico• bunkeraggi
L’anno base del modello è il 1998. Per i settoriIndustria, Residenziale, Servizi, Agricoltura, la model-lazione si concentra su tre variabili chiave:
• livello di attività;• intensità energetica: consumi energetici/livello di
attività; • mix energetico: quote percentuali di carbone, gas,
petrolio, olio combustibile, elettricità.
Tali variabili sono modellate a partire da analisi stati-stico-econometriche, basate sulla storia energeticaitaliana degli ultimi 30 anni. L’approccio è di tipo bot-tom-up: si parte dal singolo settore, o sotto-settore, esi ricava il dato aggregato come derivato. Ciò consen-te maggiore precisione e dettaglio rispetto ad unapproccio di tipo top down che deriva le variabili disettore da una macrovariabile (es. reddito). In ognicaso, i valori previsti non sono svincolati da un datoimportante quale il prezzo. Infatti, sia l’intensità ener-getica che le quote dei combustibili, previste annual-mente dal 1998 al 2010, interagiscono con scenari diprezzo distinti per fonte energetica (carbone, gas,petrolio, olio combustibile, elettricità). Le quote deicombustibili, anch’esse sono legate dinamicamente aiprezzi: il prezzo basso di una fonte ne favorisce l’e-spansione, e viceversa il prezzo alto. Da tale interazio-ne tra variabili si ricavano i consumi energetici setto-riali e sottosettoriali, nonché le emissioni di anidridecarbonica. Il tipo di rappresentazione nel modello dei i diversi set-tori è il seguente:
Industria, Residenziale, Servizi, Agricoltura
L’industria è divisa in 11 sottosettori, gli stessi indi-viduati da Bilancio Energetico Nazionale: Siderurgia,Metalli non ferrosi, Meccanica, Alimentari, Tessile eabbigliamento, Edilizia e materiali da costruzione,Vetro e ceramica, Chimica e petrolchimica, Carta,Estrattive, Altre manifatture. Il livello di attività è sin-tetizzato dalla variabile valore aggiunto dei sotto-settori. Per il residenziale, il livello di attività consideratosono i metri quadrati della abitazioni. Si è preferitoprendere in considerazione tale variabile piuttostoche la popolazione, variabile poco dinamica perl’Italia e, pertanto, non significativa per spiegare lacrescita dei consumi energetici del settore. Per i ser-vizi e l’agricoltura, il livello di attività è misurato dalvalore aggiunto.
Trasporti
La modellazione è basata su un livello di disaggre-gazione che tiene conto sia della strada che della
5. Proiezioni ed effetti delle politiche e misure
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 137
ferrovia, dell’aria e dell’acqua. Per la strada vienemodellato il parco auto (benzina, gasolio, gas) equello dei veicoli pesanti. Per motocicli e bus si pre-vedono direttamente i consumi energetici e le emis-sioni. L’analisi prende anche in considerazione i pas-seggeri-km, le tonnellate-km, le percorrenze ed iconsumi unitari (litri-km). Questi ultimi svolgonouna funzione analoga a quella svolta dall’intensitàenergetica negli altri settori.
Industria Energetica
Per il settore elettrico è prevista una modellazioneche tiene conto di un elevato livello di disaggrega-zione degli impianti e di un meccanismo di funzio-namento secondo un principio di borsa dell’energia,in cui viene fatto un bilanciamento puntualedomanda/offerta. La domanda di energia elettrica èsoddisfatta da un dettagliato parco macchine, esi-stente o in futura costruzione. Si è proceduto aduna aggregazione del parco in base alla tecnologia
di generazione, che ha condotto alla creazione di14 tipologie di impianto. Il modello di borsa è simi-le a quello inizialmente adottato in Inghilterra, dovetutta l’energia passa attraverso il pool e la domandaè comunicata agli operatori.
Bunkeraggi
Sono modellati sulla base di indagini statistico-eco-nometriche condotte sulle serie storiche.
5.5.2 SCENARIO TENDENZIALE, VARIABILIPRINCIPALI E CONSUMI ENERGETICI
A livello aggregato, lo scenario equivale ad una cre-scita del PIL pari al 2%. La popolazione è previstasostanzialmente stabile.Il tasso di crescita medio annuo al 2010 delle emis-sioni di gas serra è pari a 0,8%. Il tasso di crescitamedio annuo dei consumi fino al 2010 è pari al
2000 (Mtoe) Rinnovabili Carbone Gas Olio Energia elettrica Total
elettricità -11,32 -7,23 -18,83 -19,42 56,8 0,00
industria 0,23 4,00 16,75 6,781 1,73 39,49
trasporti 0,33 40,45 0,73 41,51
agricoltura 0,13 0,12 2,55 0,42 3,22
res. + serv. 1,16 0.07 20,7 7,19 10,59 39,71
usi non energetici 0,16 0,98 6,35 7,49
perdite 0,07 1,42 0,66 5,81 43,09 51,05
bunkeraggio 2,74 2,74
Total 12,91 12,88 58,37 91,29 66,56 185,21
2010 (Mtoe)
elettricità -12,17 -9,20 -28,29 -14,00 63,52 0,00
industria 4,42 17,12 5,96 15,11 42,61
trasporti 2,23 43,61 0,85 46,69
agricultura 0,39 2,50 0,38 3,27
res. + serv. 1,07 0,00 27,57 2,90 1,05 42,59
usi non energetici 0,12 0,50 10,03 10,65
perdite 0,97 0,72 6,66 44,08 52,43
bunkeraggio 2,05 2,05
Total 13,24 14,71 76,82 87,71 71,47 200,29
2020 (Mtoe)
elettricità -12,08 -9,20 -41,44 -17,36 80,08 0,00
industria 4,56 19,02 6,78 20,25 50,61
trasporti 2,80 47,81 0,98 51,59
agricoltura 0,88 1,95 0,31 3,14
res. + serv. 0,92 0,00 31,24 1,19 13,16 46,51
usi non energetici 0,09 0,30 12,83 13,22
perdite 0,85 1,07 6,66 52,64 61.22
bunkeraggio 1,79 1,79
Total 13,00 14,70 96,75 96,37 87,34 228,00
Tabella 5.22 – Scenari di evoluzione dei consumi energetici nello scenario tendenziale
5. Proiezioni ed effetti delle politiche e misure
138 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
1,1%. Si può notare come nel complesso i gas serra- ai quali concorrono comunque anche le emissioninon energetiche -, crescano in misura inferiore aiconsumi energetici, ciò a ragione delle modifichenel mix energetico e dei miglioramenti di efficienza.Una delle principali variabili riguarda le previsioni deiprezzi del petrolio greggio che, indirettamente, comenel gas, o direttamente, per i prodotti petroliferi,determina le quotazioni al consumo finale delle altrefonti. Lo scenario base prevede a 22 dollari al barile. Le previsioni per il carbone ipotizzano prezzi all’im-portazione in Italia rispettivamente di 34 dollari/ton-nellata. I prezzi del gas alla frontiera italiana sono stati previ-sti mantenendo un legame con le quotazioni delpetrolio. Fino al 2010 si prevede che la quasi totalitàdel gas importato avrà ancora prezzi fissati come inpassato, ancorati ai prodotti petroliferi.
Ai prezzi delle fonti primarie alla frontiera sono statiaggiunti gli oneri logistici, i costi di trasporto, quellidi distribuzione e i margini commerciali in Italia pergiungere al prezzo al consumatore finale.Si riportano i risultati delle simulazioni dello scenariotendenziale per il 2010 ed il 2020. Gli andamentidelle emissioni fin qui visti sono legati in gran parte aiconsumi energetici. Si riportano i bilanci energeticisintetici per gli anni 2000 (consuntivo), 2010 e 2020(previsioni), che offrono una visione sintetica dell’an-damento dei consumi energetici per fonte. Si ricorda che lo scenario tendenziale descritto incor-pora gli effetti delle misure per il contenimento delle
emissioni in atto, come evidenziato e descritto neiparagrafi precedenti sul settore energetico e suglialtri settori.I principali mutamenti del periodo 2000-2010 posso-no essere così sintetizzati (tabella 5.22):
• forte crescita dei consumi di gas (+29%), princi-palmente nel settore elettrico (+42%) e nei setto-ri residenziale e servizi (+33%). Forti incrementi siregistrano anche nei settori trasporti ed agricoltu-ra, ma partendo da valori assoluti assai più bassirispetto agli altri settori;
• crescita dei consumi elettrici (+7%), principal-mente nel settore industriale (+28,8%) e nei set-tori residenziale e servizi (+4,3%);
• Leggera diminuzione dei consumi di petrolio (-2,4%), per la riduzione dell’impiego nei settoridella generazione di energia, nelle industrie e nelresidenziale e servizi;
• Rimane significativo l’impiego del carbone(+14%).
Da tali andamenti emerge una crescita del peso rela-tivo del gas, la cui quota tra i combustibili passa dal24% al 28%. Le quote di petrolio e di carbone, inve-ce, decrescono, rispettivamente dal 37,7% al 33,7%e dal 5,3% al 5%. Stabile la quota dell’elettricità,intorno al 27%. Crescono, in valore assoluto, le fontirinnovabili, anche a seguito dell’obbligo del 2%richiesto tramite i certificati verdi. Infatti, alla lievecrescita in termini di Mtep., corrisponde una piùforte crescita in termini di TWh generati, a ragione
GHG emissione [Mt CO2eq.]
Anno base 2000 2005 2010 DA USI ENERGETICI, di cui: 424,9 452,3 444,1 444,5- Industrie energetiche 147,4 160,8 143,9 144,4- Industria 85,5 77,9 79,0 80,2- Trasporti 103,5 124,7 134,0 134,9- Civile 70,2 72,1 70,3 67,8- Agricoltura 9,0 9,0 9,1 9,6- Altro (militari+perdite) 9,3 7,8 7,7 7,6
DA ALTRE FONTI, di cui: 96,1 94,5 93,3 95,5- Processi industriali 35,9 33,9 30,1 30,2- Agricoltura 43,4 42,6 42,9 41,0- Rifiuti 13,7 14,2 11,0 7,5- Altro (F gas+solventi) 3,1 3,8 9,3 16,7TOTALE 521,0 546,8 537,5 540,1Target di Kyoto 487,1Crediti di carbonio da JI-CDM -12
Gap 41,0
TABELLA 5.23 – Scenario di riferimento, emissioni di GHG dal 1990 al 2020, [Mt CO2eq.]
5. Proiezioni ed effetti delle politiche e misure
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 139
della crescita dei rendimenti negli anni. Mentre al2000 l’idroelettrico e le altre rinnovabili generava-no, rispettivamente, 50 TWh e 7,5 TWh, al 2010 iTWh diventano rispettivamente 52,5 e 11,5.
5.5.3 SCENARIO DI RIFERIMENTO
Nello scenario di riferimento, oltre alle misure previ-ste nello scenario tendenziale, si prevede: a) la piena attuazione di tutti i provvedimenti appro-vati o in avanzata fase di elaborazione, anche nondi carattere strettamente ambientale, che compor-teranno un generale incremento dell’efficienza ener-getica, ed in particolare:
b) la modernizzazione del paese attraverso la realiz-zazione di opere infrastrutturali, essendo ciò decisivonel settore dei trasporti, per il passaggio di mobilitàsu ferrovia e per lo snellimento del traffico sugomma;c) la realizzazione di ulteriori nuovi impianti a ciclocombinato e di nuove linee di importazione dall’este-ro di gas ed elettricità che favoriscano l’entrata dinuove operatori, migliorando l’efficienza energetica ecreando le condizioni essenziali per la riduzione deiprezzi dell’elettricità e del gas all’interno delle politi-che di liberalizzazione dei mercati dell’energia;d) la gestione integrata del territorio e dell’ambienteper lo sfruttamento delle energie rinnovabili attraver-so la realizzazione e gestione efficiente di filiere indu-striali integrate; ciò riguarda in particolare lo sfrut-tamento dell’energia eolica e la gestione dei rifiuti.In particolare si prevede che vengano attuate tutte
le misure descritte nel paragrafo 4.1, tabella 4.1.L’evoluzione dello scenario energetico è simile aquella dello scenario tendenziale ma con una ridu-zione dei consumi complessivi di circa 14 Mtep cheporta i consumi totali al 2010 a circa 186 Mtep.
La disaggregazione degli effetti per settore di que-ste misure, per l’intero periodo considerato è espo-sta nella seguente tabella 5.23. Il totale delle emis-sioni al 2010 sarebbe pari a circa 540,1 Mt, con ungap residuo rispetto all’obiettivo di Kyoto pari acirca 41 Mt. Questo scenario è considerato lo sce-nario al momento più probabile e pertanto è consi-derato lo scenario di riferimento a livello nazionale,in particolare ai fini della valutazione delle emissionisettoriali nel periodo 2008-2012.
5.5.4 SCENARIO CON MISURE ADDIZIONALI,OBIETTIVO DI KYOTO
Nei precedenti paragrafi 5.3 e 5.4 e nel cap.4 con ladescrizione a livello settoriale dello scenario tenden-ziale e delle misure adottate venivano anche illu-strate delle misure addizionali ed i possibili effettisulle emissioni. La potenzialità complessiva di ridu-zione delle emissioni delle misure riassunte nellatabella 4.2 è pari a 30-43 Mt.La messa in atto di tutte queste misure configure-rebbe un nuovo scenario. Per l’anno 2010 le nuovemisure porterebbero le emissioni complessive a circa502.5-490 Mt con un residuo gap rispetto all’obiet-tivo di Kyoto di circa 15-3 Mt. Ulteriori misure fino-ra non considerate a livello nazionale (vedi paragra-
100
120
140
160
180
200
220
240
260
280
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2011
2012
2013
2014
2015
2016
2017
2018
2019
2020
100
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180
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220
240
260
280
1998
1999
2000
2001
2002
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2004
2005
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2008
2009
2010
2011
2012
2013
2014
2015
2016
2017
2018
2019
2020
FigurA 5.12 - EMISSIONI DI CO2 del settore termoelettrico (Mtonn.)
Inerziale con capacitàproduttiva inalterata
Caso base
60 Mtonn. Per politiche giàavviate
5. Proiezioni ed effetti delle politiche e misure
140 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
fo 5.4.4, sinks) consentirebbero di ridurre ulterior-mente il gap, fino ad annullarlo. In alternativa allemisure addizionali si prevede anche di fare ricorsoai meccanismi di flessibilità.
5.5.5 SCENARIO SENZA MISURE
La preparazione di uno scenario “senza misure” apartire dal 1990 è impresa alquanto complessa e dinon facile realizzazione. Vista l’importanza di que-sto tipo di scenario nel contesto europeo ed inter-nazionale si riportano gli elementi disponibili. Per il solo anno 2000 una valutazione quantificatacomplessiva è contenuta nella prima Comunicazio-ne nazionale, si riferisce al 2000 ed riguarda le soleemissioni di anidride carbonica. essa prevede emis-sioni in aumento di 60-65 MT rispetto al 1990. Conriferimento agli inventari più recenti si riferisce quin-di ad emissioni complessive di circa 582-587 MtCO2 equivalente, +7% rispetto ad un consuntivo dicirca 546.6 Mt.
Per l’anno 2010 sono disponibili dati relativi al set-tore energetico: combinando i risultati di uno sce-nario tendenziale completo di questo settore, ovve-ro lo scenario tendenziale della II ComunicazioneNazionale, vedi sezione 5.6.2, più le riduzioni diemissioni delle misure incluse nello scenario (rif. Tab6.8 della SCN). Gli effetti delle misure consideratesono valutati autonomamente in quella tabella edammontano a circa 68.2 Mt di anidride carbonica.,di cui circa 32.7 nel settore elettrico.Le emissioni totali di anidride carbonica da fonteenergetica al 2010 in questo scenario “senza misu-re” sarebbero pertanto circa 554 Mt a cui sommarela stima delle emissioni di metano e protossido diazoto dal settore energetico, rispettivamente circa7.7 e 13.1 Mt di CO2 eq.. In totale circa 575 Mt diCO2 eq. . Questo valore è superiore di circa il 16.8%alle emissioni ipotizzate nello scenario base di cal-colo della SCN e di circa il 16% allo scenario ten-denziale attuale.Per quello che riguarda le emissioni dagli altri setto-ri non si ritiene opportuno riferirsi alle stime dellaSCN a causa dei mutamenti intercorsi nelle meto-dologie di stima delle emissioni negli ultimi 5 anni.Per dare un idea le emissioni complessive previste al2000 nella SCN erano pari a circa 118 Mt mentre leemissioni a consuntivo sono pari a circa 93.3 Mt,pur in presenza di un aumento dei sottostanti fat-tori di attività. Quindi l’unico scenario affidabile econfrontabile con l’inventario attuale è pertanto loscenario tendenziale, anche se da un punto di vistametodologico esso non può essere considerato unoscenario “senza misure”.Le emissioni complessive al 2010 in questo ipoteti-co “scenario senza misure” sarebbero pertanto pari
a circa 672 Mt, circa il 13% in più dello scenarioattuale.
In questa Terza Comunicazione alla Convenzionesul clima uno scenario complessivo senza misurenon è stato preparato: nel corso di circa 12 annisono intervenuti mutamenti strutturali nel sistemaenergetico e risulta ormai quasi impossibile costrui-re uno scenario “senza misure”. Tuttavia, relativa-mente al solo settore elettrico, il modello messo apunto per ha consentito di stimare la quantità dianidride carbonica che avrebbe prodotto un parcodi centrali termoelettriche analogo a quello mediodel 1995-98 per soddisfare la domanda di energiaprevista nel 2010, vedi figura 5.12. Si tratta di una valutazione “virtuale” visto cheoccorrerebbe comunque un parco addizionale di“vecchie” centrali termoelettriche (ipotizzate allaefficienza media del periodo). L’esercizio è indicati-vo dell’impatto delle misure adottate in questo rile-vante settore: le misure adottate o approvate nelcorso degli ultimi 5-7 anni hanno consentito diridurre le emissioni tendenziali del settore elettricoal 2010 di circa 60 Mt CO2, rispetto al trend che siavrebbe avuto in loro assenza.
5.6 SCENARI DELLA SNC (SECONDA COMUNICAZIONE NAZIONALE)
Si riportano per completezza alcuni cenni sugli sce-nari di emissione contenuti nella SCN, pubblicatanel 1998.
5.6.1 METODOLOGIA UTILIZZATA
Per la formulazione degli scenari erano state utiliz-zate due metodologie: un modello di ottimizzazio-ne e modelli simulativi settoriali. Si è partiti da unabase di calcolo in cui non viene modificato il ritmotendenziale di utilizzo delle opzioni tecnologiche edorganizzative di mitigazione delle emissioni; datoche all’epoca non erano disponibili documenti cheesploravano i possibili sviluppi economici nazionalinel contesto internazionale nel medio lungo perio-do e di proiezioni ufficiali al 2010 del solo settoreenergia, si era costruita una base di calcolo inmaniera indipendente. Successivamente si sono calcolate le riduzioni diemissioni a partire dalla base di calcolo: con il primoapproccio si è usata la metodologia propria delmodello tecnologico di minimo costo di lungo ter-mine Markal; con il secondo metodo le emissioni al2010 sono state calcolate sottraendo le riduzioni diemissioni conseguibili con le opzioni tecnologicheindotte dalle politiche e misure ipotizzate ed in linea
5. Proiezioni ed effetti delle politiche e misure
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 141
di massima scelte dal modello di ottimizzazione.Le assunzioni base del modello sono descritte nelparagrafo successivo e riassunte nella tabella 5.24,il modello comprendeva anche un aumento intrin-seco dell’efficienza energetica variabile da settore asettore e pari circa all’1% per anno. Nel modelloerano considerati anche i costi delle tecnologie el’ottimizzazione consiste nel ridurre i costi comples-sivi per il sistema paese. La seconda metodologia ha comportato una valuta-zione dell’impatto di una serie di politiche approva-te o previste mediante una serie di iterazioni a par-tire dallo scenario base (definito come “base di cal-colo”) elaborato con il modello Markal. L’uso diquest’ultima procedura ha permesso di disporre diuna stima addizionale delle potenzialità delle misu-re adottate ma la stima stessa contiene una certaapprossimazione dovuta alla sovrapposizione deglieffetti di diverse misure.
5.6.2 LO SCENARIO “ BASE DI CALCOLO”
Lo scenario tendenziale riproduceva in qualchemisura le proiezioni ricavabili dalle ipotesi correntisullo sviluppo della domanda, dei prezzi, del sistemaeconomico e di quello amministrativo; costruita ini-zialmente con il modello tecnologico che sceglie gliinterventi ipotizzando il permanere degli scartiattuali tra i tassi di sconto percepiti dai vari attori delsistema energetico nazionale, lo scenario si può
ricostruire con il metodo econometrico ipotizzandoun continuo miglioramento intrinseco dell’efficien-za energetica (circa 1% medio annuo).I valori delle emissioni erano ottenuti estrapolandoal 2010 i valori più recenti dell’elasticità rispetto alreddito dell’energia elettrica e dei consumi energe-tici per il trasporto, che porta a proiettare al 2010un richiesta elettrica in rete di 340 TWh e di 48Mtep per carburanti. In tale ipotesi si arrivava aduna domanda energetica al 2010 di 196 Mtep e ademissioni annuali di anidride carbonica dal settoreenergetico dell’ordine di 485 MtCO2/anno, ipotiz-zando stabilità nelle quantità di carbone, incremen-to del metano a 71 Mtep e riduzione delle importa-zioni elettriche a 25 TWh. Nella SCN inoltre lo scenario tendenziale era statoleggermente ridotto, in considerazione dell’oriz-zonte temporale medio lungo (13 anni) e dellarelativa maturità del mercato dell’energia. Si ipo-tizzava che sopravvenissero effetti di saturazionesia nel settore dei trasporti (rappresentati da unaelasticità pari a 0,6 che porta ad una richiesta di46,5 Mtep/anno di carburanti) che nel settore elet-trico (elasticità 0,9, richiesta in rete di 325 Mtep),il fabbisogno energetico primario era così ridotto a193 Mtep/anno e le emissioni a 470 MtCO2/anno.Questo scenario è stato definito come “base dicalcolo” e si posizionava su valori medio-bassirispetto agli scenari energetici predisposti da altrianalisti.
1990 1995 2000 2010
Popolazione (milioni) 56,7 57,3 57,3 56,5
PIL (in migliaia di miliardi del 1990) 1311 1386 1530 1865
Tasso medio annuo di crescita 1,1 2,0 2,0
Produzione industriale (indice) 100,0 106,9 118 145
Consumi delle famiglie (migliaia di miliardi 1990) 1041 1093 1207 1471
Passeggeri Km (in miliardi di Pass.km) 717 824 878 994
Tonnellate Km (in miliardi di Ton.km) 230 244 272 331
Tabella 5.24 - Principali ipotesi di sviluppo al 2010
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 143
6. Valutazioni di vulnerabilità, impatti deicambiamenti climatici e adattamento
INTRODUZIONE
In questo capitolo vengono indicati gli impatti e la vulne-rabilità al cambiamento climatico in Italia nei vari settori
coinvolti e delineate le strategie di adattamento ai cam-biamenti stessi. Viene inoltre fornita una panoramicadelle misure di adattamento prioritarie e le azioni presea livello governativo che vanno in questa direzione.
Fig. 1 - Trend delle precipitazioni totali per (a) inverno, (b) primavera, (c) estate e (d) autun-no. I risultati sono espressi come variazioni percentuali rispetto al valore medio nel periodo1951 – 1996.
A cura di: Fabrizio Antonioli, Orietta Casali, Vincenzo Ferrara, Carlo Pona, Maurizio Sciortino (ENEA); Teresa Nanni(ISAC-CNR); Sandro Federici, Roberta Quaratino, Riccardo Valentini (Università della Tuscia); Gretel Gambarelli,Alessandra Goria.
6. Valutazioni di vulnerabilità, impatti dei cambiamenti climatici e adattamento
144 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
6.1 VARIAZIONI AMBIENTALI OSSERVATE IN ITALIA
6.1.1 TREND DI TEMPERATURA E DI PRECIPITAZIONI
Un ingente patrimonio di documentazioni storicheha permesso di realizzare un quadro dell’evoluzionedel clima e valutare i cambiamenti in atto in una pro-spettiva di lungo periodo. Ricerche e progetti hannodocumentato i più rilevanti fenomeni climatici ed illoro impatto sul tessuto sociale ed economico del ter-ritorio a partire dall’anno 1000 (Pfister, et al.,1999;Camuffo et al., 2002). Le prime registrazioni stru-mentali a Roma, Milano, Padova e Bologna risalgonoal XVIII secolo. Le singole serie storiche secolari e plu-risecolari di valori mensili e giornalieri delle tempera-ture e delle precipitazioni sono state vagliate ed ana-lizzate nell’ambito di programmi scientifici nazionalied europei (Moberg, A., et al.2000,). A partire dalla seconda metà del XIX secolo le stazio-ni disponibili sono molto più numerose. L’ISAC-CNR
in collaborazione con l’Istituto di Fisica Applicatadell’Università di Milano, ha svolto ricerche di clima-tologia storica. A questo scopo ha organizzato unabanca dati di serie storiche di temperatura e precipi-tazioni, sia mensili che giornaliere. Le serie secolari(1865-2000) provengono da UCEA e dai ServiziIdrografici, mentre quelle pluri-decennali (1951-2000) provengono dal Servizio Meteorologicodell’Aeronautica Militare. Le serie sono state in parte completate, digitalizzate,ed omogeneizzate in modo tale da poter estrarne unsegnale climatico.L’analisi delle serie storiche (circa 40) relative al perio-do 1865-1996 (Buffoni et al., 1999; Brunetti et al.2000, Brunetti et al 2001) indicano che:• le temperature massime e minime mensili sono
aumentate in modo differenziato nelle regionidel Nord e del Centro-Sud;
• la temperatura massima è aumentata nel perio-do di osservazione di circa 0.6 °C al Nord e di 0.8°C al Centro-Sud;
• la temperatura minima è aumentata di circa0.4°C al Nord e 0.7° al Centro-Sud;
Fig. 2 - Trend del numero di giorni di pioggia per (a) inverno, (b) primavera, (c) estate e (d)autunno. I risultati sono espressi come variazioni percentuali rispetto al valore medio nelperiodo 1951 – 1996.
6. Valutazioni di vulnerabilità, impatti dei cambiamenti climatici e adattamento
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 145
• l’inverno è la stagione in cui le temperature mas-sime e minime sono aumentate maggiormentesia al Sud che al Nord;
• a partire dal 1930 nel centro e sud Italia, si riscon-tra insieme all’incremento delle temperature, unaprogressiva riduzione delle precipitazioni e quindiun incremento delle condizioni di aridità.
I risultati disponibili delle analisi delle settantacinqueserie di precipitazione giornaliera relativi al periododal 1951-1996 (Brunetti et al., 2001; 2002), eviden-ziano che:
• le precipitazioni sono diminuite in tutto il territo-rio nazionale nel periodo preso in esame conmaggiori riduzioni al Centro-Sud rispetto al Nord,figura 1:
• La riduzione del numero dei giorni di pioggia sulterritorio nazionale (circa 14% sia al Nord che alSud) è statisticamente significativa e l’inverno è lastagione in cui si verificano le riduzioni maggiori,fig 2;
• in tutte le stagioni si riscontra un incremento del-l’intensità delle precipitazioni sia al Nord che alSud;
• la persistenza dei periodi siccitosi è maggiore alnord in inverno e al sud in estate.
I trend osservati in Italia sono attribuibili sia a variazio-ni della circolazione atmosferica che all’aumento delcontenuto di umidità dell’atmosfera dovuto agli incre-menti locali e globali della temperatura. Le riduzioni diprecipitazioni invernali osservate sono attribuibili
all’incremento della frequenza ed alla maggiore persi-stenza dei cicloni extratropicali sul bacino del mediter-raneo (Colacino, 1993; Maugeri et alt., 2001) mentrel’incremento dell’intensità delle precipitazioni è spie-gabile con un’intensificazione del ciclo idrologico.
6.1.2 INNALZAMENTO DEL LIVELLO DEL MARE
All’innalzamento del livello del mare contribuisconodiverse cause, quali: l’espansione termica degli ocea-ni, lo scioglimento dei ghiacciai delle medie e basselatitudini, lo scioglimento delle calotte polari.Secondo l’ultimo rapporto IPCC, i diversi contributi,entro la fine del 2100, sono così suddivisi (il segno +indica contributo positivo all’innalzamento del livellodel mare, il segno - viceversa):
• espansione termica: da +20 a +37 cm; • contributo ghiacci artico: da +2 a +5 cm; • contributo ghiacci antartici: da -8 a -2 cm; • contributo di tutti gli altri ghiacciai (esclusi quelli
polari): da +8 a +11 cm.
In seguito a precise misurazioni effettuate dal satelli-te Topex-Poseidon. È è statp rilevato un tasso di risa-lita degli oceani medio mondiale di circa 0,7 mm/a-1,dovuto all’espansione termica (fig. 3).
A livello regionale l’innalzamento del livello delmare è diverso a seconda delle diverse regioni delglobo.
Figura 3- la distribuzione geografica dell’andamento del livello del mare nel periodo 1993-1998 misurato dal satellite Topex/Poseidon (Science 2001).
A Andamenti del livello del mare del Topex/Poseidon (1993-1998)
mm/yr
6. Valutazioni di vulnerabilità, impatti dei cambiamenti climatici e adattamento
146 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
Nel Mediterraneo tale innalzamento dovrebbe esserecontenuto tra i 20 cm ed i 30 cm al 2100 non tenen-do conto dei movimenti verticali tettonici. Poichél’Italia settentrionale, soprattutto nella parte orientale,ha un lento movimento di sprofondamento rispettoall’Italia meridionale, l’innalzamento effettivo del livel-lo del mare tenderà ad essere maggiore sulle costedell’Italia settentrionale rispetto a quelle dell’Italiameridionale.A questi livelli di innalzamento risulterebbero a rischioinondazione (secondo uno studio della NASA-GISS)circa 4500 chilometri quadrati di aree costiere e pia-nure distribuite nel modo seguente:
• 25.4% nel nord dell’Italia (nord Adriatico); • 5.4% nell’Italia centrale (le coste tra Ancona e
Pescara; le coste vicino a Roma e Napoli): • 62.6% nell’Italia meridionale (Golfo di
Manfredonia, coste tra Taranto e Brindisi, Siciliasud orientale);
• 6.6% in Sardegna.
Tuttavia per quanto riguarda il mare Mediterraneo equindi anche i mari italiani, sembrerebbe che, nelcorso degli ultimi 30 anni, si siano verificati andamen-ti diversi rispetto a quelli degli oceani osservati su scalaglobale.
Gli stessi dati del satellite Topex Poseidon riferiti alMediterraneo e l’analisi di mareografi unitamente adaltre osservazioni indicherebbero vistose anomalie oaddirittura una stasi nella risalita del mare da almeno30 anni. Questo andamento, se paragonato con quel-lo della media degli Oceani implicherebbe necessaria-mente la formazione di una sorta di “scalino” chedovrebbe formarsi presso lo stretto di Gibilterra. Leipotesi che spiegherebbero la cause di questo feno-meno sono state recentemente pubblicate da Pirazzoli& Tomasin 1999, Tsimplis & Baker 2000 e Tsimplis &Josey 2001 e vengono tutte interpretate come dovu-te a variazioni atmosferiche (pressione) o di vento. Inpratica una sostanziale aumento medio della pressio-ne terrebbe “schiacciato” il mare. Sta di fatto che imari italiani, secondo le analisi mareografiche e/ometeoclimatiche hanno recentemente mostrato unasostanziale “stabilità”.A supporto di questi nuovi dati, vi è la conferma dellaformazione di uno “scalino” a Gibilterra, come risultaanche da recenti ricerche ENEA (Sannino et al. 2002).
Anche se l’area mediterranea, per il momento nonappare tra le più critiche per problemi di popolazionia rischio di inondazione è, comunque fra quelle mon-diali a più alta vulnerabilità in termini di perdita dizone umide ed in particolare degli ecosistemi e dellabiodiversità marino-costiera.
L’invasione marina delle aree costiere basse e delle
paludi costiere, accelera l’erosione delle coste,aumenta la salinità negli estuari e nei delta e a causadell’ingresso del cuneo salino, produce una maggioreinfiltrazione di acqua salata negli acquiferi della fascialitorale.
Le coste basse saranno inoltre maggiormente espostealle inondazioni in caso di eventi meteorologici estre-mi accompagnati da onde superiori a 5 metri: in que-ste condizioni, inoltre, il deflusso dei fiumi nel mare, èpiù difficoltoso, e aumentano le probabilità di strari-pamenti e di alluvioni.
Va osservato, comunque, che i maggiori rischi valu-tati per l’Italia sono in realtà rischi aggiuntivi di quelligià esistenti a causa della attuale pressione antropicae dell’uso dei territori costieri. Infatti, almeno perquanto riguarda l’Italia, i cambiamenti climatici nontendono a creare nuovi rischi, ma tendono ad accen-tuare ed amplificare (con effetti talvolta non prevedi-bili) i rischi già esistenti derivanti dalla urbanizzazione,dalla produzione industriale, dalla pesca, dal turi-smo, dai trasporti marittimi, ecc.
6.1.2.1 Livello del mar Tirreno, nuovi datidall’ENEA
In un Workshop internazionale organizzato pressol’Accademia dei Lincei di Roma è stato fatto il puntosulle attuali conoscenze relative alle oscillazioni cli-matiche occorse nel Mediterraneo durante l’Olocene(ultimi 10 ka). In questa sede sono stati presentati iprimi dati riguardanti una ricerca ENEA sui solchi dibattente scolpiti sulle falesie carbonatiche del mareTirreno. La formazione del solco di battente (Figg 4 e5) è strettamente legata alla stabilità del mare e dellaroccia nella quale si forma. Durante periodi di risalitarapida del mare o di instabilità tettonica della costa, ilsolco di battente non riesce a formarsi. La formazio-ne del solco è dovuta all’azione fisica delle onde esoprattutto alla corrosione chimica dell’acqua marinamiscelata ad acqua dolce. Il solco di battente quindiè presente solo in zone costiere di comprovata stabi-lità tettonica e in momenti di stillstand del livello delmare. Prova di questa ipotesi è che nelle zone dovel’attività tettonica supera tassi superiori 0,3/0,4 mm/a(in Sicilia orientale per esempio) il solco non si forma.La concavità del solco ricalca con precisione le massi-me e minime attività mareali. Fatte queste premesseè stato monitorato per tre mesi il solco di battentefotografato nella Fig 4 (Cala di Luna, Sardegna) e lemassime escursioni mareali non hanno mai superatola concavità superiore del solco, che peraltro corri-sponde all’ampiezza del regime mareale (Fig 5). E’noto che i solchi di battente hanno una età media dicirca 200/300 anni. Se l’attuale livello massimomareale non supera la concavità più alta vuol dire cheil mare sta quasi fermo.
6. Valutazioni di vulnerabilità, impatti dei cambiamenti climatici e adattamento
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 147
6.1.3 VULNERABILITÀ DELLE COSTE ITALIANE
La vulnerabilità, come noto, è strettamente correlataalla quota topografica alla quale si trova quella super-ficie rispetto al livello del mare, alla litologia ma sopra-tutto al valore del tasso di sollevamento del mare. Seperò, come sembrerebbe, il sollevamento dei mari ita-liani non presenta evidenti valori positivi, è necessariospiegarci perché esistono zone che rischiano di essereallagate dal mare o evidenti fenomeni di erosionecostiera. La risposta è che i fenomeni legati ai movi-menti tettonici costieri in un bacino sismicamente atti-vo come quello di molte zone costiere italiane presen-tano una valenza di grande importanza e, presumibil-mente quasi da soli sono in grado di caratterizzare insenso negativo le zone costiere. I movimenti non lega-ti a quello eustatico del mare, in grado di procurarespostamenti verticali negativi (e positivi) sono : tetto-nica, subsidenza e isostasia.La tettonica è costituita da quell’insieme di fenome-nologie geologiche legate alla presenza di faglie chein seguito ai movimenti tra zolle tengono in costantemovimento porzioni di crosta terrestre.I movimentitettonici possono essere positivi, negativi o trascorren-ti. Numerose porzioni di zone costiere italiane sonoaffette da tettonica attiva con movimenti verticalipositivi o negativi che possono superare i 2 mm/a. Lasubsidenza è quell’insieme di movimenti negativiche occorrono nelle pianure costiere indotti da costi-pamento di particolari formazioni geologiche come letorbe o da cause antropiche (emungimento di acque
Figura 4 - Sardegna, Cala di Luna, il solco di battente monitorato.
Figura 5 - Figura schematica nella quale èvisibile un solco di battente, la sua conca-vità ed il massimo (A) ed il minimo (B)livello mareale riscontrato.
6. Valutazioni di vulnerabilità, impatti dei cambiamenti climatici e adattamento
148 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
Figura 6 - Il contributo isostatico alla risalita relativa del livello del mare negli ultimi 6 e ka(da Pirazzoli et al 1997).
a
b
c
anni anni
6. Valutazioni di vulnerabilità, impatti dei cambiamenti climatici e adattamento
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 149
Figura 7 - Mappa italiana con le aree a rischio di allagamento da parte del mare ed indica-zioni tettoniche (Antonioli et al 2001).
6. Valutazioni di vulnerabilità, impatti dei cambiamenti climatici e adattamento
150 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
o gas). I fenomeni isostatici sono invece movimentielastici del mantello dovuti alle variazioni di ghiacciood acqua che insistono sulle piattaforme continenta-li. Tali movimenti avvengono in correlazione con ifenomeni ciclici delle glaciazioni e le conseguentiingressioni e regressioni marine e possono esseremodellati e previsti (Lambeck & Jhonston, 1995,Lambeck & Bard, 2000). Esistono per le coste italianealcuni dati preliminari che mettono in evidenza cometali movimenti isostatici (che raggiungono valori diqualche metro per gli ultimi 6000 anni) siano diretta-mente proporzionali alla latitudine (Fig. 6).In uno studio commissionato dal Ministerodell’Ambiente all’ENEA (2001) viene rilevato che allaluce della grande variabilità tettonica e isostaticaitaliana (sollevamenti e abbassamenti della porzionecostiera), risulterebbe assai più rilevante lo studiodel comportamento tettonico delle aree pianeg-gianti volto ad individuarne con precisione i tassi divariazione. Infatti rispetto ai tassi di risalita mediaattesi per i mari italiani (circa 0.2- 0.4 mm/anno),molte zone costiere a potenziale rischio (perché già
topograficamente depresse, sotto il livello del mare)presentano valori di sollevamento o abbassamentoche sono assai più alti dei tassi di risalita del mare.Nella figura 5 oltre alla superficie della porzionecostiera attualmente posizionata al livello zero (osotto il livello del mare), evidenziata in rosso, vieneintrodotto un fattore relativo al trend tettonico rela-tivo alla pianura in oggetto. Se il numero corrispon-de al valore di 7 significa che la piana è stabile, se èsuperiore a 7 che la piana è in sollevamento, se infe-riore a 7 che la piana è in abbassamento. I primirisultati di questo studio mettono infatti in evidenzache le 33 pianure costiere italiane a potenzialerischio di allagamento del mare (fig 7) siano in effet-ti ubicate per la maggior parte in zone stabili od insollevamento. Rimangono invece presumibilmentedei problemi in un prossimo futuro per la PianuraPadano-Veneta (fig 8), La Versilia (fig. 9), e le pia-nure di Fondi e Pontina che, oltre a presentareparecchi chilometri quadrati a quote inferiori allozero, mostrano abbassamenti tettonici di notevoleentità.
Figura 8 - Scenario riferito all’anno 2100 dell’assetto topografico della Pianura del Po’. Sinota come molte siano le aree che si prevede saranno allagate ( da: CENAS EC EnvironmentProgramme 1990-1994).
6. Valutazioni di vulnerabilità, impatti dei cambiamenti climatici e adattamento
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 151
Alcuni progetti geologici ENEA, avviati di recente,hanno l’obiettivo di appurare i tassi di abbassamen-to (tettonico e isostatico e antropico) con appositeazioni su tutte le piane costiere italiane con porzionidi territorio a rischio allagamento.
6.2 IMPATTI DEI CAMBIAMENTI CLIMA-TICI ATTESI E VALUTAZIONE DELLAVULNERABILITA’
6.2.1 DIMENSIONE SOCIO-ECONOMICA DELLAVULNERABILITÀ E DEGLI IMPATTI DEL CAMBIA-MENTO CLIMATICO IN ITALIA
Gli impatti del cambiamento climatico sul sistemanaturale e sociale del nostro paese comportano costie benefici variabili in relazione al grado di vulnerabili-tà del territorio. La vulnerabilità al cambiamento cli-
matico risponde non solo a criteri di natura ambien-tale, ma anche sociale ed economica, in quantodipende dalla capacità dell’intero sistema di far fron-te a fattori di stress e di ripristinare una situazione diequilibrio. Questa capacità dipende da innumerevolifattori, fra i quali la ricchezza e la sua distribuzione, latecnologia, l’educazione, la conoscenza, le infrastrut-ture, la disponibilità e l’accesso alle risorse, le capaci-tà gestionali, il livello di integrazione e di coesionesociale, oltre naturalmente alla fragilità ecologica eambientale. Sfruttando una classificazione usata in letteratura(Burton et al, 1993) , che raggruppa le misure diadattamento in otto categorie (capacità di sopporta-re le perdite legate ai cambiamenti climatici, di divi-dere le perdite, di modificare la ‘minaccia’, di preve-nirne gli effetti, di cambiare gli usi di beni e serviziinfluenzati dai cambiamenti climatici, di cambiareubicazione delle attività produttive, di investire inricerca, e infine di educare, informare e incoraggiare
Figura 9 - Si tratta di un ingrandimento della figura 7. La pianura Versilia oltre a presentare una notevole porzionedi superficie costiera depressa,presenta caratteristiche tettonichecon notevoli evidenze di abbassamento.
6. Valutazioni di vulnerabilità, impatti dei cambiamenti climatici e adattamento
152 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
comportamenti diversi), si può osservare come diver-si livelli di sviluppo economico di un paese o di unaregione permettano di adottare determinate misuredi adattamento ai cambiamenti climatici, rendendo ilpaese o la regione più o meno vulnerabile ai cambia-menti stessi. Ad esempio, le regioni povere sono piùvulnerabili in quanto meno capaci di sopportare delleperdite attuando delle misure in risposta ai cambia-menti, di ri-localizzare le attività economiche, di inve-stire nella ricerca a favore di nuove tecnologie e altremisure di adattamento, di diffondere informazione econoscenze in grado di modificare il comportamentoindividuale e degli agenti di produzione.
I settori generalmente identificati come più vulnera-bili nel nostro Paese sono l’agricoltura, le foreste, leacque, il turismo e la salute; le aree ritenute più vul-nerabili sono le zone costiere e le zone alpine, sog-gette rispettivamente alle previsioni di innalzamentodelle acque del mare e di mutamento del ciclo idro-logico. Numerosi studi offrono stime sulla grandezza“fisica” degli impatti. Quasi totalmente assenti inve-ce sono studi volti ad esplorare la dimensione socialeed economica della vulnerabilità e degli impatti delcambiamento climatico, utili soprattutto nell’orienta-re le politiche di adattamento. Esistono, in realtà, alcuni studi che forniscono unvalore economico degli impatti dei cambiamenti cli-matici, ma si tratta per lo più di analisi condotte ascala mondiale, basate sui risultati di modelli di equi-librio economico generale. Poiché tali modelli nonsono specifici per Paese, ma si riferiscono a macro-aree, da essi si può ottenere solo una stima moltoapprossimativa applicabile alla maggioranza dei PaesiSviluppati. Ad esempio Nordhaus, in uno studio con-dotto sugli Stati Uniti ma applicabile in generale aiPaesi Sviluppati, dopo aver raccolto le opinioni diesperti in vari settori, arriva ad una stima di impattototale compresa fra 0.7% e 8.2% del PIL degli USA,con un intervallo di confidenza del 90% e un valoremediano pari a 1.9%. Anche altri studi si assestanointorno al 2% del PIL nazionale dei Paesi Sviluppati.
Per quanto riguarda l’Italia, alcuni risultati interessan-ti sono emersi dal progetto WISE (Weather Impactson Natural, Social and Economic Systems), finanziatodalla Commissione Europea e condotto, per quantoriguarda il nostro Paese, da un gruppo di ricercatoridella Fondazione Eni Enrico Mattei nel corso del trien-nio 1997-1999, volto a valutare l’impatto delle varia-zioni nel clima, in particolare di estati molto calde e diinverni miti, sui sistemi naturali, sociali ed economicidi alcuni paesi Europei, comprendendo là dove possi-bile anche una valutazione economica. Lo studio èstato di duplice natura, riguardando sia la valutazio-ne quantitativa degli impatti delle variazioni nel climasu alcuni settori dell’economia mediante l’utilizzo dimodelli econometrici e dati delle statistiche naziona-
li, sia analizzando la percezione individuale degliimpatti del cambiamento climatico sulla vita di tutti igiorni attraverso questionari ed interviste.In Italia, i risultati dell’indagine soggettiva, condottanel 1998, basata sui risultati di un questionario rivol-to ad un campione di 300 individui estratto dalleregioni Lombardia e Sicilia mostrano indiscutibilmen-te che stagioni climatiche estreme, in particolare leestati molto calde, hanno un impatto negativo sullavita degli individui intervistati; in genere il benessere,il lavoro, il tempo libero, la salute, le attività domesti-che, la scelta dei mezzi di trasporto sono fortementeinfluenzati dagli estremi climatici.
Entrando più nel dettaglio, rispetto agli incendi, ilmodello stima che nel 1985, anno in cui si è verifica-ta un’estate eccezionalmente calda e asciutta, vi èstato un aumento nel numero degli incendi medi perregione imputabile alle variazioni climatiche pari a328. Negli anni in cui si sono verificate le estati piùcalde, il 1985 ed il 1994, le spese di ripristino per idanni derivanti dagli incendi sono state superiori del26,3% rispetto alle spese di ripristino sostenute nellastagione precedente.
Per quanto riguarda il turismo, le stime rivelano cheil turismo domestico è abbastanza sensibile alle varia-zioni climatiche, anche se la variazione della doman-da di turismo muta nell’arco dell’anno e in relazionealle caratteristiche delle regioni considerate, con deglieffetti totali che sembrano compensarsi. Misurando iflussi di turismo interno in base al numero di nottiregistrate presso gli esercizi ricettivi del turismo, lestime mostrano che mesi estivi molto caldi tendono adiminuire il flusso di turismo stagionale in misura paria 39.494 registrazioni per notte in media per regio-ne, ovvero dell’1,22% rispetto al numero di prenota-zioni registrate in condizioni climatiche nella norma.Tuttavia, la distribuzione regionale degli effetti di unaumento della temperatura non è omogenea: il turi-smo estivo verso le sole zone costiere aumenta in cor-rispondenza di estati particolarmente calde. Nellesole regioni costiere si stima che un aumento di 1°nella temperatura estiva comporti un aumento pari a62.294 registrazioni per notte. Nelle regioni alpine,invece, un aumento della temperatura ed una dimi-nuzione della piovosità invernale rispetto alla normahanno un impatto negativo sul turismo invernale. Sistima che un aumento di 1° nella temperatura nelmese di dicembre comporti una diminuzione dei flus-si turistici nel mese di gennaio nelle sole regioni alpi-ne pari a 30.368 registrazioni per notte.
I settori energetici mostrano una risposta più chia-ra agli aumenti delle temperature estreme, dove siosserva addirittura una riduzione dei consumi nellestagioni eccezionalmente calde. Le stime mostrano,infatti, che il consumo di gas e di energia elettrica per
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Terza Comunicazione Nazionale, 2002 153
uso domestico tendono a diminuire durante anni par-ticolarmente caldi, sia durante il periodo estivo cheinvernale, con una diminuzione maggiore durante gliinverni più miti rispetto alla norma che non durante leestati estremamente calde. Nel 1994, anno particolar-mente caldo, si stima che il consumo invernale di gasper uso domestico in media in Italia sia diminuito di510.000.000 tep (tonnellate equivalenti di petrolio),pari ad una riduzione della spesa di 414 milioni di lirea prezzi correnti, ossia 213. 810 Euro.
Riguardo alla salute, è stato valutato l’impatto delclima sulla mortalità dovuta a malattie di natura car-diovascolare e respiratoria. Le stime mostrano cheelevate temperature nei mesi estivi tendono adaumentare la mortalità, mentre temperature più ele-vate rispetto alla media durante i mesi invernali ten-dono a ridurla. Un aumento di 1° nella temperaturamedia estiva comporterebbe in media 27 morti in piùin tutto il Paese. Sempre in base alle stime, l’estateeccezionalmente calda del 1994 avrebbe causato inmedia un aumento di 63 decessi nel Paese.
In agricoltura solo alcuni prodotti risultano partico-larmente sensibili all’aumento della temperatura, conconseguenti danni economici: la stagione eccezional-mente calda e asciutta del 1985, ad esempio, spiegauna diminuzione del raccolto di patate in media inogni regione pari a 13 quintali per ettaro, equivalen-te ad una perdita in moneta di 376.346 lire per etta-ro, a valori correnti, pari a ca. 194 Euro.Analogamente la stagione estrema del 1994 avrebbecomportato una diminuzione nella produzione divino in media in ogni regione pari a 519 migliaia diettolitri, con una perdita monetaria complessiva di44.677.395 migliaia di lire a valori correnti, equiva-lenti a 23 milioni di Euro. Il quadro delle risposte del-l’agricoltura al clima tuttavia non è omogeneo: laproduzione di frutta sia al Nord che al Sud sembre-rebbe favorita dall’aumento della temperatura, men-tre la produzione di grano non risulta essere partico-larmente sensibile.
6.2.2 INNALZAMENTO DEL LIVELLO DEL MARE
L’aumento del livello del mare comporterà una cre-scita dei rischi per le zone costiere italiane. In partico-lare, si valuta che i maggiori problemi siano dovutialla perdita di zone umide alla foce dei fiumi, nellainvasione di acqua salata nelle falde costiere di acquadolce con conseguenze sull’agricoltura e sulla dispo-nibilità di acqua dolce, ed infine, nella maggiore e piùrapida erosione delle spiagge basse e delle spiaggeottenute con opere di difesa idraulica delle coste e dizone bonificate. L’innalzamento del livello del mareoltre a comportare modifiche nell’assetto territorialeha profonde implicazioni sull’agricoltura, sulla produ-
zione industriale, sul turismo, sulla salute e sul setto-re assicurativo.
6.2.3 VULNERABILITÀ DEL SUOLO
La qualità dei suoli italiani, senza opportuni interven-ti, tenderà generalmente a deteriorarsi. In particolare,nell’Italia settentrionale gli equilibri idrologici potreb-bero subire delle variazioni a causa della maggioredisponibilità d’acqua che comporta un degrado lega-to alle condizioni di maggior ruscellamento (o “run-off”) a cui sono sottoposti soprattutto i pendii e lezone collinari, più soggetti a problemi di franosità edi erosione. Mentre i terreni bassi nella zona del deltadel Po potrebbero essere colpiti in maniera significa-tiva da fenomeni di innalzamento del livello del maree di intrusioni di acque salmastre. Nell’Italia meridionale, invece, i cambiamenti climati-ci prevedibili indurranno ulteriori fattori di rischioinclusi i rischi di desertificazione per i quali sono incorso opportuni studi nell’ambito dell’Annesso IVdella Convenzione ONU per la lotta contro la deserti-ficazione (cfr. § 6.2.6)La possibilità di ulteriore degrado a causa dei cambia-menti climatici è legata alla concomitanza di due fat-tori che gli attuali scenari di cambiamento climaticonon stimano con certezza ma indicano come proba-bili, e cioè: la diminuzione delle precipitazioni totaliannue al di sotto della soglia di circa 600 mm/anno;l’estensione dei periodi di siccità per periodi prolunga-ti di molti mesi, soprattutto se in coincidenza con ilsemestre caldo (evapotraspirazione molto alta). Anchese irrigati, i suoli possono ugualmente degradare se leattività umane sul territorio (ed in primo luogo l’agri-coltura) sono tali da indurre cambiamenti insostenibi-li nei terreni, ridurre la biodiversità e rendere non per-manente qualsiasi tipo di equilibrio ecosistemico.Tuttavia, prevedere l’erosione del suolo è molto diffi-cile, anche con modelli numerici sofisticati, a causadella mancanza di dati per verificare le ipotesi e leparametrizzazioni inserite nei modelli. Le conclusioniche si possono ragionevolmente ipotizzare sono dicarattere generale e basati sulle conclusioni riportatenel Terzo Rapporto di Valutazione (TAR) dell’IPCC.
6.2.4. CAMBIAMENTI CLIMATICI E AGRICOLTURA
L’incremento di temperatura previsto da IPCC influen-zerà sia la vegetazione naturale che le coltivazioni. Cisi aspetta che in Italia Meridionale, si potrebbe avereun effetto particolarmente negativo sui sistemi locali,poiché sia vegetazione che terreni si trovano già in unregime di disponibilità idrica marginale. Da un lato, climi più caldi e secchi nelle regioniCentro-Meridionali potrebbero favorire l’espansione
6. Valutazioni di vulnerabilità, impatti dei cambiamenti climatici e adattamento
154 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
verso Nord di colture specifiche come l’olivo, la vite egli agrumi. Dall’altro lato, gli aumenti di temperaturae gli effetti sul ciclo idrologico richiederanno cambia-menti di gestione in molte regioni. Ognuna dellevariabili climatiche considerate influenzerà le colturein vari modi. Tuttavia, i risultati finali dipenderannodalle interazioni simultanee di ognuna di queste. Peresempio, i raccolti di grano invernale, se vi sono suf-ficienti risorse idriche, non dovrebbero diminuire. Laproduzione agricola delle regioni settentrionali,potrebbe variare solo nella tipologia agroalimentare,senza subire complessivamente danni se vengonoadottati migliori sistemi di drenaggio dell’acqua, diprevenzione dall’inquinamento delle falde e di prote-zione dei raccolti. Tra gli effetti indiretti dei cambiamenti climatici sul-l’agricoltura va segnalata la perdita di suolo agricoloutile soprattutto nelle zone costiere dell’AltoAdriatico a causa dell’innalzamento del livello delmare e dell’intrusione dell’acqua salata in falda.I principali effetti diretti dei cambiamenti climatici sul-l’agricoltura possono essere riassunti come segue:
• prolungamento del periodo vegetativo di circa10-15 giorni per ogni °C di aumento della tem-peratura media annua e conseguente diminuzio-ne del periodo freddo invernale. In tal modo ver-rebbero favorite le coltivazioni di ulivo, agrumi evite nel Nord Italia e sfavorite le coltivazioni dicereali nel Sud Italia;
• spostamento verso nord e verso le alte quotemontane di tutti gli ecosistemi: circa 100 Kmverso nord e circa 150 metri verso l’alto per ogni°C di aumento della temperatura media annuale.Tali spostamenti rappresentano una situazione dipotenziale danno per l’Italia sia a causa dell’oro-grafia del territorio, sia per i tempi incompatibilitra spostamento degli ecosistemi e cambiamentidel clima;
• aumento della variabilità della distribuzione dellaprecipitazione con possibilità di alluvioni in autun-no e siccità in inverno e aumento della variazionedella distribuzione degli estremi termici con possi-bilità di gelate e temporali violenti in primavera edestate. Verrebbero quindi sfavorite le operazionidi semina dei cereali in autunno, si avrebbero unariduzione dei raccolti a ciclo invernale e primave-rile e danni ai raccolti estivi e autunnali.
6.2.5 FORESTE
Sebbene non sia ancora possibile distinguere, in baseai dati disponibili, sul territorio nazionale l’entità dellealterazioni climatiche di origine antropogenica dallevariazioni climatiche naturali, risulta evidente la vul-nerabilità degli ecosistemi forestali agli incrementi diaridità ed alle modificazioni della linea di costa.
Inoltre le deposizioni azotate, oltre a causare unaumento del pH del suolo, alterano i normali ritmi dicrescita delle formazioni forestali stimolandone gliaccrescimenti e soprattutto modificandone la fenolo-gia ed esponendole, pertanto, a maggiori rischi didanni d’origine biotica ed abiotica.La risposta delle foreste italiane ai cambiamenti cli-matici presenta due andamenti, uno di segno nega-tivo legato alla riduzione della disponibilità idrica el’altro di segno positivo legato all’allungamento delperiodo vegetativo ed alle deposizioni azotate.Nell’Italia centro-meridionale, l’aumento dell’ariditàha reso le foreste italiane più vulnerabili ai fattori didisturbo biotici ed abiotici riducendone la resistenzae soprattutto compromettendone la resilienza. Sinotano, infatti, preoccupanti fenomeni di deperi-mento delle querce legati essenzialmente agli stressidrici verificatisi nell’ultimo ventennio. Dato allarman-te considerando che le querce rappresentano circa il26.5% del patrimonio forestale nazionale.A ciò si aggiunga che, in media, gli incendi danneg-giano, più o meno gravemente, ogni anno 55.000 hadi superficie boscata con un incremento del 10%negli ultimi 20 anni.Si consideri inoltre che circa il 3% dei boschi si trova-no in aree soggette a pericolo di sommersione.Risulta quindi che circa un terzo delle foreste italiane,a causa dei cambiamenti climatici, sono a serio rischiodi distruzione. Ciò comporterà inevitabilmente ancheuna considerevole perdita di habitat e quindi di bio-diversità.Nell’Italia centro-settentrionale di segno oppostoappare essere il fenomeno di espansione della floraarborea determinato dall’allungamento del periodovegetativo.Anche per quel che riguarda la produttività degli eco-sistemi forestali, pur non essendovi dati, appare chia-ro che vi è un effetto negativo legato ai fenomeni dideperimento, mentre vi è un effetto positivo deter-minato dall’allungamento del periodo vegetativo.
6.2.6 I CAMBIAMENTI CLIMATICI E LA DESERTIFICAZIONE
Vaste aree con climi secchi nel Mediterraneo sogget-te all’effetto combinato della pressione antropicasulle risorse naturali e dei cambiamenti del clima sonosoggette ad una riduzione della produttività biologi-ca ed economica delle attività agricole e degli ecosi-stemi naturali.In Italia, nelle regioni meridionali ed insulari, l’ariditàè aumentata nel corso del ‘900 sia in termini di esten-sione delle aree interessate che di valori dell’indiceutilizzato per valutarne l’intensità. Le aree aride,semi-aride e sub-umide secche interessano, attual-mente il 47%, della Sicilia, il 31.2% della Sardegna,il 60% della Puglia, ed il 54% della Basilicata.
6. Valutazioni di vulnerabilità, impatti dei cambiamenti climatici e adattamento
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 155
Contemporaneamente, l’errata concezione ed appli-cazione di alcune politiche a sostegno dell’agricoltura,l’impiego irriguo di risorse idriche non idonee, gliincendi boschivi, la concentrazione dell’urbanizzazio-ne nelle aree costiere hanno contribuito alla progres-siva riduzione quantitativa e qualitativa della risorsasuolo.I principali processi fisici causa del degrado del suolo equindi di desertificazione in Italia sono l’erosione, lasalinizzazione, la perdita di sostanza organica e l’im-permeabilizzazione.I futuri scenari di cambiamento climatico e le lororipercussioni sulle molteplici cause che possono indur-re degrado del suolo permettono di affermare che ilterritorio interessato da desertificazione aumenterànel corso dei prossimi decenni qualora non venganoindividuate ed attuate appropriate misure di mitiga-zione.Un cambiamento del clima influirà sulla desertificazio-ne se si verificheranno incrementi dei seguenti fattori:
• intensità delle piogge che accentueranno i feno-meni erosivi,
• evapotraspirazione che incrementerà la salinizza-zione,
• aridità che contribuirà alla riduzione del contenu-to di sostanza organica dei suoli, della siccità chemetterà a rischio numerose attività antropiche.
6.2.7 RISORSE IDRICHE
Le stime effettuate in occasione delle due ultimecampagne di studio della Conferenza nazionale delle
Acque (CNA) sulla base dei dati pluviometrici relativial periodo 1921-50, valutano che l’apporto globaledelle piogge sul territorio nazionale è di 296 miliardidi m3 . Questo apporto che si distribuisce in modo dis-omogeneo fra nord (41%), centro (26%), sud (20%)ed isole (6%) si riduce a causa dell’evapotraspirazio-ne e la risorsa netta utilizzabile risulta quindi di 52miliardi di m3 . Le risorse utilizzabili sono ripartite inacque sotterranee (5-13 milardi di m3 ) e acquesuperficiali (40 miliardi di m3 ) di cui circa 10 miliardidi m3 in invasi naturali ed artificiali. L’utilizzo di talirisorse è più intenso al Nord ove si utilizzano il 78%delle risorse rinnovabili disponibili nell’area, pari al65% del totale nazionale; è particolarmente critico alSud e nelle Isole dove gli utilizzi costituiscono il 96%della disponibilità dell’area, pari al 23% del totalenazionale. Il Centro utilizza il 52% delle risorse dis-ponibili e risulta quindi l’area meno vulnerabile. I con-sumi idrici del settore agricolo, che risulta di granlunga il maggior utilizzatore di acqua sia al Nord cheal Sud e nelle Isole, sono soddisfatti al Nord utilizzan-do acque superficiali ed utilizzando invasi artificiali alsud e nelle Isole.L’uso idropotabile è soddisfatto utilizzando prevalen-temente acque sotterranee ma al sud acquista impor-tanza fondamentale l’uso delle acque di invasi artifi-ciali e di acquedotti interregionali.Sia le acque sotterranee che superficiali sono vulne-rabili in quanto gli utilizzi di acqua sono in costanteaumento e gli apporti meteorici sono invece stazio-nari o in diminuzione, ma la situazione dell’approvvi-gionamento nel Meridione è particolarmente critico acausa dei ripetuti episodi di siccità verificatisi negliultimi anni.
0,0
20,0
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1990 1992 1994 1996 1998 2000 2002
Mm
c
Arancio (35) Disueri (14) Comunelli (8) Cimia (7) Biviere (4,5) Garcia (60) Don Sturzo (110) Pozzillo (123) Ancipa (28)Nicoletti (19,3)Trinità (18)
Figura 10 - Acqua immagazzinata in alcuni dei bacini artificiali siciliani nel periodo 1989-90.
Fonte: Consorzio Nazionale Bonifica, 2002
6. Valutazioni di vulnerabilità, impatti dei cambiamenti climatici e adattamento
156 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
L’approvvigionamento idrico nelle regioni Puglia,Basilicata, Sicilia e Sardegna si sta configurando comeun’emergenza di tipo sociale ed economico. Le dispo-nibilità idriche invasate nei sei invasi della regioneBasilicata, nei cinque della Puglia, nei ventiquattrodella Sicilia e nei trentuno della Sardegna sono costan-temente diminuite nel corso degli ultimi anni sino araggiungere nel gennaio 2002 un minimo che per-mette di fornire acqua solo per uso idropotabile. La figura sotto riportata mostra, a titolo di esempio,l’evoluzione della situazione in Sicilia in seguito allagrave crisi di siccità del 1989-1990 per alcuni invasi.Si evince dal grafico che lo stato di riempimentomedio degli invasi nel decennio considerato non hamediamente superato il 50% della capacità massimanon assicurando in tal modo le risorse necessarie allosvolgimento del normale programma irriguo. Ulterioririduzioni nella disponibilità di risorse idriche costitui-rebbero un danno alle economie regionali mettendoin crisi anche l’approvvigionamento idropotabile.
La attuale, ed ancor più la futura, pressione antropicasulle risorse idriche ed in particolare sul loro uso e sullaloro gestione, tenderà a diventare più acuta con icambiamenti climatici. I rischi da alluvioni e da inon-dazioni tenderanno ad aumentare ed aumenterannoanche i rischi di disponibilità di adeguate risorse idri-che, in particolare sul sud Italia, accentuando il divarioeconomico già esistente tra nord e sud.
6.2.8 ECOSISTEMI
L’aumento della temperatura media e la crescita delleconcentrazioni di anidride carbonica in atmosfera pos-sono cambiare gli equilibri degli ecosistemi naturalicon modifiche anche nel paesaggio. La vegetazione egli ecosistemi naturali più tipici dell’area mediterraneatenderanno a spostarsi verso nord e verso il centroEuropa. Tenderanno ad aumentare il rischio di incen-di boschivi e di perdita degli ecosistemi e della biodi-versità attuale.
6.2.9 AMBIENTE ALPINO E MONTANO
E presumibile che nelle zone montane più alte, l’au-mento della temperatura oltre a portare ad uno spo-stamento verso le vette degli ecosistemi esistenti e adun ritiro dei ghiacciai, possa perturbare anche il cicloidrogeologico montano con ripercussioni sia sul bilan-cio idrico dei bacini imbriferi, sia sulla stabilità dei ver-santi.
6.2.10 EVENTI ESTREMI
Le tendenze previste da IPCC a livello globale avrannoripercussioni anche a livello nazionale. In particolare è
possibile che aumenti la frequenza, ma soprattutto laintensità di fenomeni estremi quali siccità, alluvioni eddi altri fenomeni meteorologici particolarmente vio-lenti (trombe d’aria, burrasche, groppi, ecc). La recrudescenza soprattutto dell’intensità dei feno-meni estremi porterà come conseguenza ad unavariazione, probabilmente significativa, degli esistentirischi di catastrofi naturali e della vulnerabilità del ter-ritorio nazionale, la cui valutazione di dettaglio èattualmente soggetta ad attente analisi.
Il probabile aumento della frequenza e della intensitàdegli eventi meteorologici estremi, ipotizzati da IPCC,potrebbe portare anche in Italia ad un aumento deidanni economici e sociali sulle strutture ed infrastrut-ture residenziali e produttive, la cui entità dipende siadalla diversa vulnerabilità delle singole strutture edinfrastrutture, sia dalla vulnerabilità ambientale e ter-ritoriale che in Italia non è uniforme, ma variamentedistribuita. La crescita di eventi estremi, potrebbeincidere anche sulle attività produttive
6.3 MISURE DI ADATTAMENTO
6.3.1 CONSIDERAZIONI GENERALI SULL’ADAT-TAMENTO IN ITALIA
Il Third Assessment Report dell’IPCC, relativamenteagli impatti, adattamento e vulnerabilità, afferma cheil potenziale di adattamento dei sistemi socio-econo-mici in Europa è piuttosto alto, grazie alle condizionieconomiche (PIL elevato e crescita stabile), ad unapopolazione stabile e a sistemi politici, istituzionali etecnologici ben sviluppati. D’altro canto, lo stessorapporto indica come particolarmente vulnerabili aicambiamenti climatici le aree del Sud Europeo,soprattutto le zone costiere e quelle più marginali econ condizioni economiche più disagiate.
Data la topografia del nostro Paese, un’importantefonte potenziale di rischio è costituita dall’innalza-mento del livello del mare, soprattutto a causa dellamarcata presenza sia di zone residenziali, sia di attivi-tà economiche nelle aree costiere italiane. Di conse-guenza, nelle zone litoranee che, in seguito a recentistudi condotti soprattutto dall’ENEA, risultano piùvulnerabili, è auspicabile un intensificarsi della ricercasulle migliori opzioni di adattamento, anche dalpunto di vista di efficienza economica. Sebbene l’evi-denza degli ultimi anni sia per un livello del marepiuttosto stabile, le previsioni per i decenni futurisono soggette ad un fortissimo grado di incertezza.Inoltre, è possibile prevedere che, anche se le medietemperature e i valori del livello del mare tendono adaumentare lentamente con impatti poco percettibili,la frequenza dei fenomeni estremi, quali inondazionied alluvioni, tenderà ad aumentare nei prossimi anni.
6. Valutazioni di vulnerabilità, impatti dei cambiamenti climatici e adattamento
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 157
In considerazione di ciò, rimandare interventi di pro-tezione delle coste e degli argini di fiumi e laghi finoa che non si rendano assolutamente necessaripotrebbe rivelarsi una strategia perdente, a causadel rischio di ingenti perdite di capitale fisico. Lastessa conclusione riguardo all’opportunità di predi-sporre preventivamente determinate misure di adat-tamento, in particolare se di lunga durata e nonrecuperabili, è stata raggiunta con una dimostrazio-ne economica formale, da Fankhauser et al. (1999).Un comportamento pro-attivo rispetto all’adatta-mento avrebbe, inoltre, sicuri benefici sul settoreassicurativo, riducendo di molto la tendenza al levi-tare dei premi nel settore property che si sta osser-vando in questi ultimi anni.Settori quali il sistema delle acque e l’agricoltura,destinati a subire forti impatti nei prossimi decenni,necessitano altresì di importanti misure di adatta-mento, e in questo caso l’entità del pericolo di unposticipo degli interventi è assai più chiaro. Bastipensare alla difficilissima situazione che ampie zonedel Sud Italia, e in particolare la Sicilia e la Sardegna,stanno sperimentando, in seguito ad una stagioneinvernale particolarmente secca: da mesi la disponi-bilità di acqua è ridottissima anche per gli usi dome-stici, cosicché il settore agricolo viene penalizzatoancor più rispetto alla norma. Oltre a ragioni clima-tiche ed ambientali, a favorire un processo di deser-tificazione nel Sud concorre anche la carenza infra-strutturale ed un’inefficienza e cattiva gestione dellestrutture esistenti. Progetti di fondamentale impor-tanza quali la riparazione o sostituzione di lunghitratti della rete idrica o la costruzione di condotte edimpianti di pompaggio in molte zone del Sud com-portano grossi impegni finanziari, ma tali spese nondovrebbero interamente rientrare nella categoriadei costi di adattamento, trattandosi di interventino-regret, ossia necessari anche a prescindere dal-l’impatto dei cambiamenti climatici. Nell’Italia set-tentrionale, per l’agricoltura dovrebbero essere suf-ficienti investimenti economici molto meno ingenti:si tratterebbe fondamentalmente di modificare isistemi di gestione delle acque ed alcune praticheagricole, con interventi strutturali limitati. Rispettoal rischio di danno alle coltivazioni in seguito adalluvioni, massicce misure di protezione degli arginie la predisposizione di piani di emergenza sarannoinvece necessarie soprattutto al Nord. Un’altramodalità d’intervento assai auspicabile è quella del-l’informazione del mondo agricolo rispetto alle ten-denze climatiche future, alle coltivazioni e alle prati-che agricole più adatte nella nuova situazione, inmodo da favorire un adattamento autonomo tem-pestivo, che ridurrebbe di molto le possibili perditemonetarie nel periodo di transizione verso i nuovi
scenari climatici. Infine, è importante evitare di daresegnali di mercato distorti. Permettere ai segnali dimercato di guidare le scelte degli agenti verso uncorretto adattamento è di importanza fondamenta-le poiché le persone modificano i loro comporta-menti solo nel caso in cui questo cambiamento sitraduca in un aumento di benessere.E’ auspicabile che rientrino nell’agenda di program-mazione economica anche interventi a favore dialtri settori vulnerabili ai cambiamenti climatici conun forte impatto sulla sfera sociale, come la sanitàpubblica. A tale riguardo, l’OrganizzazioneMondiale della Sanità sta coordinando uno studiofinanziato dall’Unione Europea (Climate Changeand adaptation strategies for human health inEurope), che si concluderà nel 2004, volto alla valu-tazione della vulnerabilità della popolazione euro-pea agli impatti sulla salute derivanti dai cambia-menti climatici, nonché all’individuazione delle poli-tiche di adattamento per la salute più efficaci,anche da un punto di vista economico. E’ assai pro-babile che un caso studio sarà proprio sull’Italia.Altri settori ad elevata vulnerabilità, quali il turismoed il settore energetico (in particolare idroelettrico),pur essendo a forte connotazione privatistica,potrebbero necessitare di sussidi economici per rac-cogliere le nuove sfide derivanti dai cambiamenticlimatici.
6.3.1.1 Breve analisi critica della letteratura in tema di dimensione economica dell’adattamento alla luce della realtà italiana
Valutazioni economiche relative all’adattamento inItalia sono quasi inesistenti. Ci sono, in particolare,studi legati a problematiche molto specifiche, comel’acqua alta a Venezia, che hanno un enorme valo-re a livello locale, ma non possono dare informazio-ni generali rispetto all’incidenza dell’adattamentosull’economia italiana. A questo riguardo, esistonoalcuni lavori di tipo accademico che, adottando unapproccio di modellistica, mirano a valutare i risvol-ti economici di determinate tipologie di intervento.Ad esempio, dall’analisi dei risultati di alcuni autori(Cline, 1992, Tol, 1995, Fankhauser, 1995) è possi-bile tentare una quantificazione dei costi dell’adat-tamento rispetto all’impatto totale del cambiamen-to climatico. Le stime che ne derivano sono dell’or-dine del 7-25% rispetto al costo totale1 (si richiamache il costo totale viene generalmente calcolatointorno al 2% del PIL nazionale nei Paesi Sviluppati).Va però tenuto conto del fatto che l’affidabilità dimisurazioni di questo genere è assai limitata, siaperché non si tengono in alcun conto le specificitàdei singoli Paesi, sia perché vengono considerate
1 Il costo totale associato all’impatto dei cambiamenti climatici viene considerato, in letteratura, pari alla somma deicosti di adattamento e del danno residuo.
6. Valutazioni di vulnerabilità, impatti dei cambiamenti climatici e adattamento
158 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
solo alcune misure di adattamento. In particolare,solamente le seguenti voci di costo sono state presein considerazione fra i costi di adattamento:
• protezione delle coste;• spese per la climatizzazione degli ambienti;• costi di migrazione e re-insediamento della popo-
lazione.
Negli studi in cui si prevede adattamento in altri set-tori, come l’agricoltura o la salute pubblica, si assumeimplicitamente che tali politiche non diano luogo acosti per la società.
Altri studi prendono in considerazione singoli proble-mi, come l’innalzamento del livello del mare, con loscopo di definire l’impatto economico totale delfenomeno, considerando anche l’adattamento. Aquesto riguardo, è molto istruttivo il modello diFankhauser (1995), che ha l’obiettivo di derivare lapercentuale ottimale di protezione delle coste da unpunto di vista di efficienza economica, ossia di mini-mizzazione del costo totale5, fornendo dati disaggre-gati per i singoli Paesi, compresa l’Italia. Sotto le ipotesi del modello (tra cui un aumento dellivello del mare pari a 100 cm nel 2100), all’Italia con-verrebbe proteggere quasi interamente le sue coste,dato l’alto valore economico di gran parte del nostrolitorale. In particolare, in corrispondenza di città eporti si ottiene un valore molto prossimo al 100%, perle coste aperte la percentuale ottima scenderebbe al95% (contro una media OECD pari all’80%), mentreper le spiagge si avrebbe l’ottimo in corrispondenzadel 90%, contro una media dell’OECD del 57%.
Per quanto riguarda l’adattamento in agricoltura, esi-stono alcuni studi volti ad analizzare l’impatto di spe-cifiche politiche sulla produzione di certe colture.Stando alle nostre informazioni, nessuno di questilavori considera esplicitamente il caso italiano. Lepolitiche previste dai vari studi possono essere sia ditipo tecnico (modificazioni nella gestione delle semi-ne e dei raccolti), sia istituzionale (distribuzione dellerisorse idriche) ed essere applicate in maniera più omeno intensiva a seconda degli scenari. I risultatimostrano in generale che anche un moderato adat-tamento può ridurre di molto il danno apportatoall’agricoltura dai cambiamenti climatici, ma la misu-ra del danno evitato varia enormemente a secondadelle ipotesi sottostanti il singolo studio. Purtroppo,nessuno di questi studi considera la componente dicosto associata alle politiche di adattamento conside-rate. In alcuni di questi modelli e sotto certe ipotesi,nel passaggio da uno scenario di non-intervento aduno in cui è previsto l’adattamento, la perdita econo-
mica si trasforma in un guadagno. Questo risultatopotrebbe forse dimostrarsi corretto per l’Italia setten-trionale, dove non è prevista una diminuzione dellaproduzione nel caso in cui i coltivatori sfruttino almeglio le nuove opportunità nate dallo spostamentoa Nord degli ecosistemi. Nel Sud, le problematichelegate alla desertificazione potranno invece esseresolo parzialmente limitate da oculate misure di adat-tamento.
In generale, da una rassegna della letteratura esi-stente in tema di aspetti economici dell’adattamento,si può osservare che le informazioni derivabili da talistudi sono di scarsa utilità per i decisori pubblici e chela scelta dovrebbe essere dettata ogni volta dalle spe-cificità locali, rendendo quindi necessario un numeroassai elevato di studi ad hoc, con un notevole costo.
6.3.2 SOLLEVAMENTO DEL LIVELLO DEL MARE
In relazione al sollevamento relativo2 del livello deimari italiani, fenomeno particolarmente sensibilenelle zone delle pianure costiere, vi sono stati nelcorso degli ultimi decenni alcuni azioni di adatta-mento dell’uomo rispetto a quanto sta avvenendo.L’attuazione del piano Mose a Venezia può essereconsiderato uno dei più rappresentativi sforzi dell’uo-mo per fronteggiare il fenomeno del sollevamentomarino. Esso dovrebbe servire a “calmierare” lequote di picchi massimi raggiunti durante il fenome-no dell’acqua alta, che recentemente, per motivilegati all’effettiva subsidenza, ma soprattutto permotivi meteo-climatici (prevalenza di venti dai ver-santi meridionali), aveva raggiunto quote e cadenzepreoccupanti.
Per contrastare le conseguenze negative dell’aumen-to relativo del livello di mari italiani, altre misurepotrebbero essere adottate, tra le quali si segnalano:
1. opere di canalizzazioni e pompaggio con idrovo-re di zone anche depresse in seguito a bonifiche;
2. dismissione di pozzi per gas-idrocaburi e acqua;3. ripascimento di sabbie;4. cuneo salino
6.3.2.1 Opere di canalizzazioni e pompaggio conidrovore di zone anche depresse in seguito abonifiche
In seguito a numerosi processi di bonifica operati intutto il territorio nazionale dai primi anni di questosecolo fino al presente, in quasi tutte le piane costie-re con aree depresse si trovano canalizzazioni artifi-
2 Per sollevamento relativo si intende la sommatoria di tutti movimenti che fanno apparire il livello del mare in sol-levamento.
6. Valutazioni di vulnerabilità, impatti dei cambiamenti climatici e adattamento
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 159
ciali ed impianti idrovori, in grado di pompare artifi-cialmente acque da zone depresse dentro al mare.Queste opere, inizialmente progettate per liberare dapaludi stagnanti suolo da dedicare alla pratica agri-cola, sono oggi una notevole risorsa in grado di con-trastare il fenomeno di sollevamento del mare. Unostudio mirato alla conoscenza delle eventuali modifi-che operate sugli impianti (quota, potenza, consumi,ecc) nel corso del tempo nelle diverse pianure sareb-be auspicabile.
6.3.2.2 Dismissione di pozzi per gas-idrocaburi e acqua
Nella zona compresa tra Cesenatico e Ravenna sisono verificati a cavallo tra gli anni ’60 e ’80 feno-meni di subsidenza di notevole entità che hanno sfio-rato i 10 cm/anno. In seguito è stata decisa la chiu-sura di pozzi metaniferi ma anche di sfruttamento diacque, la risposta a questi “adattamenti” è stataquasi immediata, ed i tassi di subsidenza sono ritor-nati ai livelli più accettabili di mm/anno.
6.3.2.3 Ripascimento di sabbie
Per meri scopi turistici, in seguito all’erosione costiera,vengono annualmete spese somme di centinaia dimiliardi per ricostituire il manto sabbioso eroso permotivazioni varie. Ciò avviene evidentemente solo inzone il cui indotto turistico permette di far fronte allespese.
6.3.2.4 Cuneo salino
Nelle zone costiere l’equilibrio che si viene a formaretra la falda di acqua dolce e quella salina costituisceun “sistema” non stabile che dipende da numerosifattori: se il livello di base relativo al mare sale, di con-seguenza varia l’equilibrio (in senso negativo); se lafalda acquifera dolce decresce (in seguito a sovras-fruttamento) si rompe l’equilibrio. In molte zonecostiere italiane il concorso di questi due motivi haportato ad intrusioni fino a 3/4 chilometri all’internodella costa di cuneo salino. Operando con la chiusu-ra e/o regolamentazione del pompaggio d’acqua, inalcuni casi sono stati raggiunti risultati positivi. Nellanorma le pianure costiere depresse interessate dacanalizzazioni non hanno mostrato avanzamentipreoccupanti negli ultimi 30 anni.
6.3.3 DESERTIFICAZIONE
Il governo Italiano, riconosciuta la significatività delproblema della desertificazione sul suo territorio, edavendo aderito alla Convenzione delle Nazioni Uniteper la Lotta alla Desertificazione, ha predisposto unProgramma di Azione Nazionale (PAN). Il PAN,
approvato con delibera CIPE il 21 Dicembre 1999, hatracciato un percorso di informazione e di coinvolgi-mento delle Regioni e delle Autorità di Bacino (AdB)per l’individuazione delle aree vulnerabili e per la defi-nizione degli interventi di prevenzione, mitigazioneed adattamento. Le Regioni e le AdB sono statecoadiuvate da un gruppo di lavoro che ha predispo-sto le linee guida ed ha realizzato una sintesi delleproposte pervenute.Dieci Regioni ed undici AdB con una copertura delterritorio nazionale dell’87% hanno presentato i loroprogrammi al Comitato Nazionale per la lotta allaDesertificazione. Il PAN ha infatti esteso il suo ambi-to di interesse anche alle zone non aride che comun-que risultano interessate da fenomeni di degrado delterritorio anche a prescindere dai fattori di pressionegenerati dal clima. Sulla base dei Programmi delleRegioni e delle AdB sono state individuate le prioritàe le necessità finanziarie per l’attuazione della lottaalla desertificazione in Italia. Il piano di interventi pre-vede la realizzazione di studi e ricerche, di infrastrut-ture e di attività di formazione ed informazione rela-tivamente ai settori della protezione del suolo, dellagestione sostenibile delle risorse idriche, la riduzionedi impatto delle attività produttive ed il riequilibrio delterritorio. L’attuazione del piano non prevede l’allo-cazione di risorse finanziarie specificamente destina-te alla lotta alla desertificazione ma richiede la com-penetrazione dei principi e delle priorità di tutela delterritorio nelle politiche settoriali che hanno unimpatto sulla desertificazione facendo ricorso quindiall’impiego dei fondi strutturali, a piani stralcio darealizzare all’interno degli strumenti normativi quali lalegge 183/89 sulla Difesa del Suolo.
6.3.4 AGRICOLTURA
Le linee di azione previste in Italia per affrontare glieffetti indesiderati in agricoltura ricalcano le indica-zioni contenute nell’Agenda 21 delle Nazioni Unite.Esse consistono in:
• un’attenta pianificazione del territorio e dell’usodei suoli con una visione multifunzionale tenendoconto dei cambiamenti globali in atto e previsti;
• una produzione agricola diversificata e compatibi-le con le caratteristiche dei suoli e della fascia cli-matica a cui appartiene il territorio destinato aduso agricolo;
• la protezione e conservazione della diversità bio-logica ed ecologica e del patrimonio genetico esi-stente sia in termini di risorse genetiche vegetaliche animali;
• l’uso efficiente di energia nelle pratiche agricole edi produzione alimentare;
• un’attenta pianificazione dell’uso delle risorse idri-che di superficie e di falda in modo compatibile
6. Valutazioni di vulnerabilità, impatti dei cambiamenti climatici e adattamento
160 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
con le esigenze agricole, umane ed industriali, macon particolare riguardo a:
a) miglioramento delle infrastrutture per l’accumulo ela conservazione dell’acqua;b) eliminazione degli scarichi inquinati e degli inqui-nanti che contaminano le risorse idriche;c) riduzione drastica degli sprechi dell’acqua.
6.3.5 FORESTE
Le azioni di protezione del patrimonio forestale con-tribuiscono alla prevenzione dei fenomeni di degradoe di desertificazione. Occorrerà prendere in conside-razione le seguenti misure:
• favorire l’incremento della biodiversità specifica estrutturale delle foreste italiane incrementandonein tal modo la resistenza e la resilienza ai disturbi.Così facendo se ne aumentano le possibilità diadattamento alle condizioni climatiche in conti-nua evoluzione e ci si assicura la presenza di unacopertura arborea, nello spazio e nel tempo, delsuolo anche se con formazioni forestali diversedalle attuali;
• realizzare sulle superfici nude abbandonate nuoviimpianti forestali polispecifici;
• realizzare fasce di vegetazione arborea nel pae-saggio agro-industriale e nelle zone urbane;
• attuare efficaci politiche di prevenzione ed estin-zione degli incendi.
6.4. IL QUADRO NORMATIVO DELLEMISURE DI ADATTAMENTO AI CAM-BIAMENTI CLIMATICI
Non esiste in Italia una normativa in cui viene diretta-mente e specificamente citato l’adattamento ai cam-biamenti climatici. Essa va rinvenuta nei provvedi-menti presi a difesa del suolo (dissesto e rischio idro-geologico), nella bonifica dei siti inquinati, delle atti-vità estrattive, della subsidenza, del rischio sismico,della vulnerabilità idrogeologica, nella normativariguardante le aree aree protette, gli habitat naturali,le specie faunistiche e floristiche e le bellezze natura-li e in quella relativa alla gestione delle risorse idrichee tutela delle acque.
Viene indicata in allegato un tabella sinottica relativaal quadro normativo italiano comprensiva sia di misu-re volte alle misure di mitigazione che a quelle ricon-ducibili all’adattamento ai cambiamenti climatici (cfr.allegato 2)
6.5 LA VALUTAZIONE DI VULNERABILI-TA’, GLI IMPATTI DEI CAMBIAMENTICLIMATICI E L’ADATTAMENTO NEIDOCUMENTI PROGRAMMATICI DELGOVERNO ITALIANO
6.5.1 1998 LINEE GUIDA DEL PIANO NAZIONALEDI RICERCA PER LA PROTEZIONE DEL CLIMA
Il Ministero dell’Ambiente ha redatto nel 1998 lelinee guida del Piano Nazionale di Ricerca per laProtezione del Clima. Tra gli obiettivi del piano figurail potenziamento e l’analisi delle misure di risposta edella ricerca tesa allo sviluppo di nuove tecnologiefinalizzate a mitigare gli effetti e o a ridurre l’emissio-ne dei composti pericolosi per l’evoluzione del clima,inclusi studi di fattibilità, analisi costi-benefici e anali-si di efficacia delle strategie di risposta. In particolare,le attività di ricerca dovranno studiare e garantire inmodo trasversale la considerazione degli aspetti nor-mativi, istituzionali e tecnologici, il ruolo degli opera-tori (imprese, associazioni di settore, ecc.), degli uten-ti e dei consumatori (fabbisogni e ruolo possibile) e lamessa a punto di strumenti di accordo, premio, cer-tificazione.3
6.5.2 DELIBERA CIPE SUI TEMI DI RICERCA PRIO-RITARI DEL PROGRAMMA NAZIONALE DIRICERCA SUL CLIMA, 21 DICEMBRE 1999
Il 21 dicembre 1999, il CIPE (Comitato Intergover-nativo per la Programmazione Economica) ha appro-vato i temi di ricerca prioritari del ProgrammaNazionale di Ricerca sul clima per il triennio 1999-2001.4 Tra i temi indicati figura lo studio degli impat-ti del cambiamento climatico nella regione mediter-ranea e vulnerabilità dell’Italia, nell’ambito del-l’Intergovernmental Panel on Climate Change(IPCC), al fine di valutare gli effetti su:
• ecosistemi terrestri ed acquatici, con particolareriferimento alla modifica dell’estensione delleforeste e della tipologia di flora e fauna prevalen-ti, alla variazione dell’estensione dei ghiacciai edella copertura nevosa, all’erosione dei suoli,all’aumento del livello del maree alla modificadelle zone umide costiere;
• risorse d’acqua, con particolare riferimento allavariazione della consistenza e della distribuzionedelle disponibilità idriche per l’alimentazioneumana e per gli usi irrigui;
• disponibilità di risorse alimentari e legname, conparticolare riferimento alla variazione di produtti-
3 Linee Guida del Piano Nazionale di Ricerca per la Protezione del Clima. Avverbi edizioni, 1998, pag. 16.4 Delibera CIPE 226/99.
6. Valutazioni di vulnerabilità, impatti dei cambiamenti climatici e adattamento
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 161
vità agricola dei suoli per usi alimentari e per altriusi industriali o energetici;
• salute umana, in relazione alla emergenza dellepatologie connesse alle “onde di calore”, glieffetti delle radiazioni UVB, allo smog fotochimi-co, alla emergenza di nuove malattie infettive ealla trasmissione di malattie infettive già note.
La delibera CIPE prevede inoltre che per le strategie dirisposta agli effetti dei cambiamenti climaticisull’Italia, verrà data particolare attenzione all’elabo-razione di misure per la conservazione e l’estensionedelle foreste; la protezione del suolo dalla perdita dihumus e dai dissesti idrogeologici; la protezione dellazona costiera dell’alto Adriatico e della laguna diVenezia dall’innalzamento del livello del mare.
6.5.3 AGENDA 21 LOCALE IN ITALIA
Il Ministero dell’Ambiente è attivamente impegnato asostenere lo sviluppo di esperienze ed iniziative diAgende 21 locali attraverso forme di incentivazione,come il Premio “Città Sostenibili”. Nel febbraio 2000,le amministrazioni locali che avevano aderito alla“Carta di Aalborg”, Campagna Europea Città soste-nibili erano 51. Con tale adesione, le amministrazionilocali, oltre a prendere atto dei problemi relativi aiconcetti di sostenibilità ambientale in generale, qualil’equità sociale, l’adozione di modelli sostenibili di usodel territorio, la conservazione della biodiversità, lapromozione del coinvolgimento dei cittadini, deigruppi di interesse e del mondo economico alle pro-blematiche ambientali, prendono atto delle responsa-bilità in merito alle problematiche climatiche a livelloplanetario e si impegnano ad adottare misure per laprevenzione dell’inquinamento degli ecosistemi. Tuttavia in Italia la diffusione territoriale dell’Agenda21 deve essere ancora potenziata in modo particola-re nelle regioni del centro-sud. Vi sono ancora moltiostacoli e resistenze. Molti comuni devono essereraggiunti dall’informazione ed avere accesso direttoal circuito europeo per poter esprimere il loro inte-resse in materia. Molti contesti territoriali del nostropaese aggregano realtà comunali diverse, ma omo-genee per caratteri economico-ambientali e potreb-bero condividere e progettare proprie strategie di svi-luppo attraverso la messa in opera di strutture dicoordinamento, di indirizzo e di governo comuni.5
6.5.4 PRESENTAZIONE DEL PIANO NAZIONALEDI SVILUPPO SOSTENIBILE, 5 DICEMBRE 2000
Il 1 aprile 1999 il Ministro dell’ambiente ha datoincarico ad un esperto della Commissione tecnico-scientifica del Ministero stesso di predisporre ilPiano Nazionale di Sviluppo Sostenibile. Il piano,presentato il 5 dicembre 2000,6 mira a dare indi-rizzi di sviluppo sostenibile. Pur non accennandoesplicitamente i problemi relativi alla vulnerabilitàclimatica, nel mettere in evidenza le grandi lacunenazionali in materia ambientale tocca settori con-nessi direttamente e indirettamente alla vulnerabi-lità climatica. Tra gli snodi più importanti per l’in-tegrazione delle politiche ambientali viene annove-rato il territorio in quanto destinatario finale ditutte le politiche pubbliche, facenti capo a unapluralità di soggetti che agiscono senza una logicaunitaria, ma perseguendo obiettivi settoriali spessodivergenti. Viene auspicata la definizione di unastrategia per il territorio da attuare in collaborazio-ne con il Governo, le Regioni e gli enti locali.
6.5.5 DELIBERA CIPE PER IL PROGRAMMANAZIONALE DELLA RICERCA, 21 DICEMBRE2000
Il 21 dicembre 2000, il CIPE ha approvato ilProgramma Nazionale della Ricerca7 dove è previstala messa in atto del Programma Strategico SviluppoSostenibile e Cambiamenti Climatici. Tale program-ma intende rispondere ad una domanda di ricercacaratterizzata da un ampio spettro di problematicheriguardanti: la variabilità climatica stagionale ed inte-rannuale, i cambiamenti climatici su scale decennali esecolari, gli effetti climatici diretti e indiretti dei cam-biamenti nella composizione chimica dell’atmosfera,i cambiamenti negli usi e destinazione del suolo enegli ecosistemi acquatici e terrestri, le strategie dirisposte e le misure di mitigazione, gli effetti sullasalute pubblica. Per rispondere alle esigenze sopra indicate, il Pianoprevede la realizzazione di una infrastruttura di ricer-ca, caratterizzata come Centro Euro Mediterraneoper la Ricerca sui Cambiamenti Climatici a supportodella rete dei Centri e dei Laboratori di Ricerca coin-volti nel Programma.8.
5 Linee Guida per le Agende 21 locali, Manuale ANPA in Collaborazione con Ambienteitalia, 2000.6 Piano Nazionale di Sviluppo Sostenibile. Predisposto da Mario Signorino, presentato al Ministero dell’ambiente il
5.12.2000 in esecuzione del DM GAB/dec/884/99 1.4.1999.7 Programma Nazionale della ricerca (21 dicembre 2000) pagg. 29-31.8 Programma Nazionale della Ricerca, Approvato dal CIPE Il 21.12.2000, pagg. 29-30.
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 163
7. Risorse Finanziarie e Trasferimento di Tecnologie
INTRODUZIONE
Questo capitolo intende descrivere sinteticamentele misure intraprese dall’Italia fra il 1997 ed il 20001
per assolvere agli impegni previsti dallaConvenzione sui Cambiamenti Climatici agli articoli4.3, 4.4 e 4.5. In tali articoli, i Paesi industrializzati siimpegnano ad assistere i Paesi in via di sviluppo e leeconomie in transizione nell’attuazione di politichee strategie coerenti con gli obiettivi dellaConvenzione stessa. In particolare si tratta di forni-re risorse finanziarie tramite progetti e programmi esupportare il trasferimento di tecnologie atte aridurre l’impatto delle attività umane suiCambiamenti Climatici e a sostenere l’adattamentodi quei paesi agli effetti previsti di tali Cambiamenti.
7.1 L’AIUTO PUBBLICO ALLOSVILUPPO
Considerato nel suo insieme, l’Aiuto Pubblico alloSviluppo (APS) italiano nel 1998 è aumentato dicirca l’80% rispetto al 1997 [1], quando l’APSaveva toccato il suo minimo assoluto per gli anni‘90, con un rapporto APS/PIL pari allo 0,11% [14].In effetti il ridotto risultato del 1997 scontava ilritardo maturato dal Parlamento nell’approvare lalegge finanziaria, con cui si stanziavano notevolirisorse a favore dell’International DevelopmentAssociation (IDA), la ricostituzione del capitale dialcune banche e fondi di sviluppo e alcuni creditid’aiuto. Questi stanziamenti, unitamente ad unforte contributo venuto da importanti operazionidi ristrutturazione del debito dei PVS, sono cosìconfluiti nel conteggio per il 1998, facendo lievi-tare il rapporto con il PIL per quell’anno fino allo0,20%. Nel 1999 il rapporto APS/PIL è tornato aivalori medi del periodo, scendendo allo 0,15%[16]. Nel 2000 al computo dell’APS italiano sononuovamente venuti a mancare i versamenti per la
ricostituzione del capitale di banche e fondi di svi-luppo, riportando il rapporto APS/PIL verso lo0,13% [17]. Considerando i flussi di aiuti in ter-mini assoluti l’Italia è stato il settimo maggior con-tribuente fra i membri del Development AidCommittee (DAC) dell’OCSE sia nel 1998 che nel1999, e il decimo nel 2000 [2].
Per quanto riguarda la ripartizione dei contributiin base agli obiettivi, l’APS italiano si caratterizza,rispetto alla media dei paesi membri del DAC/OCSE,per la forte prevalenza degli impegni relativi agliaiuti d’emergenza e le azioni collegate al debito (nel1998 le due voci totalizzavano infatti il 37,6% del-l’intero impegno italiano – contro il 15,5% dellamedia DAC –, mentre nel 1999 le stesse voci arriva-vano al 40,3% – a fronte del 18,5% della mediaDAC). Ne consegue, dunque, una ridotta disponibi-lità nei confronti di altri settori di cooperazione, trai quali quello ambientale.
Le priorità d’azione dell’APS italiano restanocomunque saldamente ancorate non solo ai criteristabiliti dalla Legge n. 49 del 1987, ma anche esoprattutto alle linee programmatiche dettate alivello governativo. Tali linee programmatiche, fral’altro, stabiliscono che l’azione di cooperazione ita-liana sia anche tesa a supportare la politica esteravolta alla tutela ed alla protezione dell’ambiente [1].
L’Italia, insieme agli altri paesi membri del DAC,sta definendo degli indicatori che permettano didistinguere i finanziamenti che fanno capo agliimpegni assunti nell’ambito delle ConvenzioniGlobali per l’Ambiente – e fra questi quelli speci-ficamente indirizzati alla lotta ai cambiamenti cli-matici – e le altre iniziative di cooperazione incampo ambientale. Tuttavia, il processo cosìavviato non è ancora giunto a definire uno stan-dard comune, condiviso da tutti i membri delDAC. Ne consegue che spesso non risulta tecnica-
1 Come previsto dalle Linee Guida preparate dal segretariato UNFCCC.
A cura di M. Dalla Costa, APAT, con la collaborazione di Luca Manunta, APAT.
7. Risorse Finanziarie e Trasferimento di Tecnologie
164 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
mente possibile estrapolare i dati specifici relativialle iniziative di cooperazione riconducibili all’ambi-to della Convenzione sui Cambiamenti Climatici,distinguendoli con precisione dalle altre compo-nenti dei progetti e programmi di assistenza allosviluppo.
7.2 COOPERAZIONE MULTILATERALEPER L’AMBIENTE
L’impegno italiano volto alla tutela ambientale staacquisendo maggiore continuità e coerenza sulpiano multilaterale tramite una più efficace collabo-razione con le istituzioni ambientali internazionali,grazie anche ad un’accresciuta consapevolezza sullanecessità di rafforzare le sinergie tra le attività pre-viste dalle varie Convenzioni Globali e Regionali perla Protezione dell’Ambiente, e di integrarle negliobiettivi più ampi di cooperazione internazionale, inparticolar modo alla lotta contro la povertà.
L’impegno in favore delle istanze multilaterali per latutela dell’ambiente ha avuto modo di manifestarsiconcretamente in diverse occasioni. In collaborazio-ne con la FAO e l’IFAD, è stata organizzata a Romala Prima Conferenza delle Parti della Convenzionesulla Lotta alla Desertificazione2. Successivamente èstata rafforzata la cooperazione con laCommissione per gli Insediamenti Umani, facenteseguito alla Conferenza di HABITAT del Cairo nel1997, tramite la realizzazione di alcune iniziativefinanziate da contributi volontari italiani negli ambi-ti del Programma per la Riabilitazione degliInsediamenti Informali, del Forum sulla PovertàUrbana3, del Forum internazionale sulle città amichedelle bambine e dei bambini.
Per rafforzare le capacità di favorire l’integrazionefra le diverse istanze multilaterali in campo ambien-tale, nel febbraio 2000 è stato organizzato, pressola FAO a Roma, un workshop internazionale dedi-cato all’interazione e alle possibili sinergie fra le atti-vità connesse alla desertificazione, ai cambiamenticlimatici, alla biodiversità e alle foreste con partico-lare riferimento alla regione Mediterranea. In sinto-nia con le conclusioni di tale workshop, l’Italia hadisposto il finanziamento di un programma di azio-ne comune fra la Convenzione per la Lotta allaDesertificazione e quella sulla Biodiversità. Ha soste-nuto inoltre l’esigenza di costituire a Bonn un segre-tariato amministrativo comune fra UNCCD eUNFCCC e ha ottenuto che rappresentanti deisegretariati delle Convenzioni sulla Desertificazione,
sulla Biodiversità e sui Cambiamenti Climatici fac-ciano parte del Collaborative Panel on Forests (CPF)[17].
La collaborazione della Cooperazione Italiana con leistituzioni ambientali internazionali si è anche espli-cata attraverso l’attiva partecipazione al processo diristrutturazione del Programma delle Nazioni Uniteper l’Ambiente (UNEP) [14], nonché tramite il soste-gno finanziario della Cooperazione Italiana perfavorire la partecipazione dei PVS, a livello governa-tivo e di ONG, alle Conferenze delle Parti delle prin-cipali Convenzioni globali [17].
La costante partecipazione alle attività del Gruppodi Lavoro OCSE su “Assistenza allo Sviluppo edAmbiente” ha altresì assicurato l’impegno dellacooperazione italiana a discutere e monitorare intale sede gli approcci dei vari paesi OCSE nell’ot-temperare agli obblighi assunti nelle Conferenzeglobali sull’ambiente, a partire dalla ConferenzaUNCED di Rio nel 1992 [16].
Per quanto riguarda la collaborazione con gli orga-nismi non governativi internazionali, va segnalato ilcontributo alla International Union for theConservation of Nature – The World ConservationUnion (IUCN) che ha permesso, già nel 1997, di pre-disporre studi e missioni tecniche a supporto di pro-grammi e progetti in corso in Egitto (Piano di AzioneNazionale per l’Ambiente) e in Libano (studi e valu-tazione impatto ambientale per progetti di adduzio-ne idrica e trattamento dei reflui) [14].
Il quadro delle attività italiane connesse ai cambia-menti climatici è ulteriormente arricchito dal soste-gno attivo al Regional Environmental Centre forCentral Eastern Europe in relazione soprattutto alprogetto “Capacity for Climate Change in CentralEastern Europe”. Il progetto, sostenuto dalMinistero dell’Ambiente italiano, si propone di raf-forzare la capacità del settore privato e delle ONG dicontribuire al dibattito sui cambiamenti climaticipromuovendo il dialogo con i rispettivi governi efavorendo lo scambio a livello regionale e quello fraEst ed Ovest.Rilevante è anche la partecipazione italiana alla“Climate Technology Initiative” (CTI) presso laInternational Energy Agency (IEA). Nell’ambito dellaCTI è stato infatti organizzato a Portici (Napoli) unworkshop per esperti energetici ed ambientali deipaesi della sponda sud del Mediterraneo per favori-re lo scambio di informazioni e lanciare le basi perlo sviluppo di futuri progetti nell’ambito del CleanDevelopment Mechanism.
2 29 settembre-10 ottobre 1997.3 Organizzazione a Firenze della prima riunione del Forum (novembre 1997)
7. Risorse Finanziarie e Trasferimento di Tecnologie
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 165
7.3 COOPERAZIONE BILATERALE CON I PVS
I flussi di risorse nuove e addizionali per attività di tra-sferimento tecnologico in campo ambientale, inne-scate dalla firma del Protocollo di Kyoto, in vista dellasua ratifica, possono essere considerati un impegnoaggiuntivo per la fase di transizione tra gli impegniprevisti dagli artt. 4.3, 4.4 e 4.5 della Convenzionequadro sui cambiamenti climatici e le attività prope-deutiche al lancio dei meccanismi flessibili (CDM e JI)previsti dal Protocollo stesso.Si tratta delle risorse messe a disposizione dalla cosid-detta “Carbon Tax”, la legge n. 448/1998 definitatassa ecologica “al fine di perseguire l’obiettivo diriduzione delle emissioni di anidride carbonica”.Come stabilito anche dal Comitato Interministerialeper la Programmazione Economica (CIPE) nelle“Linee Guida per le Politiche e Misure Nazionali diRiduzione delle Emissioni dei Gas Serra” del 19novembre 1998 le azioni nazionali per la riduzionedelle emissioni di gas ad effetto serra devono essereaccompagnate anche da programmi di cooperazioneinternazionale.
I programmi finanziati da tali fondi rispondono aobiettivi di cooperazione ambientale multipli ed inte-
grati, riflettendo l’approccio perseguito dal GovernoItaliano nel promuovere la cooperazione internazio-nale per l’Ambiente basato sul coordinamento e lasinergia fra le iniziative intraprese nell’ambito dellediverse convenzioni globali. In tale ambito il Ministerodell’Ambiente italiano sta attivando in centro e sud-America alcuni progetti volti al recupero energeticodalle biomasse, in Argentina e Cuba, dove sarannoanche effettuati studi a supporto del risanamentodella rete idrica ed il risparmio energetico.
La cooperazione ambientale italiana si è anche par-ticolarmente distinta per il supporto alle istituzioniambientali dei paesi in via di sviluppo, in particolaretramite attività volte al trasferimento di know-howe il consolidamento delle capacità istituzionali. Talesupporto – sostenuto anche tramite schemi di cofi-nanziamento con i principali organismi finanziariinternazionali, dalla Banca Mondiale al GEF, alleBanche Multilaterali Regionali di Sviluppo – è statoprincipalmente rivolto alle regioni limitrofe, ma nonsolo, per rafforzarne le capacità di raggiungere gliobiettivi delle Convenzioni globali nel loro insieme.
Egitto, Tunisia e Libano [17] sono stati i beneficia-ri principali di uno sforzo più specificamente rivol-to ai paesi del quadrante nordafricano: a loro
Il Fondo per l’Ambiente Globale
Un’importante risorsa nuova e addizionale fornita dall’Italia per risolvere i problemi ambientali globali è sen-z’altro costituita dal contributo a favore del Fondo per l’Ambiente Globale (Global Environment Facility –GEF).
Fin dal principio l’Italia è stata uno dei principali paesi sostenitori della GEF, a testimonianza dell’impegnoassunto in ambito internazionale per la salvaguardia dell’ambiente e per lo sviluppo sostenibile. In tal sensoè stato pienamente accolto l’approccio che aveva portato nel 1991 alla creazione della GEF: far finanziarealla comunità internazionale il “costo incrementale” gravante sui progetti di sviluppo derivante dai costiaggiuntivi necessari ad introdurre benefici a favore dell’ambiente globale.
Dopo la fase pilota di tre anni, la GEF è stata “ristrutturata” per farne uno strumento permanente di coope-razione internazionale, e per renderla idonea a funzionare come meccanismo finanziario delle convenzioniinternazionali sul cambiamento climatico e sulla biodiversità.
Nel marzo 1998 è stato approvato il secondo rifinanziamento del fondo GEF (GEF-2), relativo al periodo 1luglio 1998 – 30 giugno 2002. I paesi partecipanti hanno così confermato la volontà di sostenere le opera-zioni per la difesa dell’ambiente globale, garantendo la continuità e la credibilità della GEF quale meccani-smo finanziario delle convenzioni per i cambiamenti climatici e la diversità biologica [13].
L’Italia, che nella GEF-1 aveva partecipato con 128 milioni di dollari USA, ha contribuito alla seconda ricosti-tuzione della GEF con 90,5 milioni di dollari USA. Sottoscrivendo una quota pari al 4,39% del totale, l’Italiasi conferma pertanto sesto contribuente assoluto del fondo, subito dopo USA, Giappone, Germania, Franciae Gran Bretagna. Il piano d’azione della GEF per il triennio 2002-2004 prevede la prosecuzione dell’ap-proccio di tipo “programmatico”, recentemente intrapreso. L’Italia ha sostenuto i principi alla base dellanuova strategia, che impegna la GEF in programmi pluriennali di intervento nei paesi beneficiari conforme-mente ai loro piani nazionali nel settore ambientale e in base alla loro capacità di attuazione [13].
7. Risorse Finanziarie e Trasferimento di Tecnologie
166 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
favore sono state impegnate risorse sia nell’ambi-to della Convenzione per la lotta alla desertifica-zione, sia a fini del rafforzamento istituzionaledegli organismi per la protezione dell’ambiente. InTunisia, inoltre, il Ministero dell’Ambiente ha pre-disposto una serie di iniziative volte al migliora-mento delle risorse naturali ed alla conservazionedelle acque ed alla costituzione di un Sistema dimonitoraggio e valutazione per l’attuazione delPiano d’Azione Nazionale di lotta contro la deser-tificazione. Sono anche stati attivati strumentiinnovativi di cooperazione, quali la conversionedel debito per interventi ambientali (Debt forEnvironment Swap): in tale ambito si inseriscel’accordo pilota con il Marocco, raggiunto nel2000, che consente la conversione del debito infondi di valuta locale da destinare a programmi diprotezione ambientale e di sviluppo socioecono-mico, per un valore pari a 100 mln di $ USA. È incorso di preparazione un accordo con la Libia, inpreparazione delle future attività nell’ambito del“Clean Development Mechanism”, per la predi-sposizione di progetti pilota comuni per la ridu-zione delle emissioni di gas serra negli usi finalicivili e industriali dei combustibili fossili. Semprecon la Libia il Ministero dell’Ambiente ha avviatoun progetto volto alla bonifica dai residuati belli-ci della IIa guerra mondiale e alla successiva valo-rizzazione agricola dei terreni così bonificati.
Particolare rilevanza, per la regione considerata, èil progetto per la realizzazione di un SistemaInformativo sulla Desertificazione SID/MED, checoinvolge Marocco, Algeria, Tunisia ed Egitto, asupporto della pianificazione nazionale e regiona-le nell’area mediterranea, tramite il potenziamen-to delle capacità di analisi e programmazionedelle istituzioni nazionali coinvolte [17].
Sempre nel Mediterraneo, l’Italia ricopre il ruolo dipaese-guida in materia di gestione dei rifiuti nel-l’ambito del Gruppo di lavoro multilaterale sul-l’ambiente del processo di Pace per i TerritoriPalestinesi, indirizzando le attività degli altri dona-tori nel settore della gestione di risorse ambienta-
li di carattere strategico. L’Italia ha anche contri-buito all’istituzione di un organismo ambientalenazionale palestinese e all’introduzione di unSistema Informativo Territoriale per la pianifica-zione territoriale ed ambientale nel distretto diHebron [17].
Per quanto riguarda l’Africa sub-sahariana, l’im-pegno italiano è stato indirizzato alla riqualifica-zione di grossi bacini imbriferi (in AfricaSaheliana) [17]. In America Latina laCooperazione Italiana ha sostenuto interventi divalorizzazione e tutela di ecosistemi acquatici adalta valenza di biodiversità in Brasile e Perù, pro-getti in appoggio alla gestione sostenibile e allaconservazione delle risorse ambientali di basenell’arcipelago delle Galapagos e nella forestaamazzonica Peruviana [17].
7.4 COOPERAZIONE BILATERALECON I PAESI DELL’EUROPA CENTRO E SUD-ORIENTALE E DELLA COMUNITÀ DEGLI STATI INDIPENDENTI
L’Italia è membro della Commissione Trilateraleper la tutela dell’Alto Adriatico e delle zonecostiere (ASEMP), di cui fanno parte ancheCroazia e Slovenia. Il Ministero dell’Ambiente ita-liano partecipa regolarmente agli incontri di taleCommissione, assicurando che le attività intrapre-se affrontino anche le questioni connesse ai cam-biamenti climatici. In particolare, nel quadro delMaster Plan dell’Adriatico, elaborato dallaCommissione, il Ministero dell’Ambiente italianoha finanziato nel 1999 un progetto trilateraledenominato “Anthropogenic Impact of ClimateChange in the Northern Adriatic Sea – CAIEDAS”.Tale progetto vedrà un seguito nel successivo pro-getto “ADRICOSM – ADRIatic sea integratedCOastal areaS and river basin Managementsystem pilot project” ugualmente supportato dalMinistero dell’Ambiente.
Tutela dell’ambiente negli ecosistemi transfrontalieri e costruzione della pace
Il contributo alla pace in Medio Oriente si inserisce nell’ambito di una strategia più vasta che si proponedi integrare l’attenzione alla gestione equa e sostenibile di ecosistemi transfrontalieri con i processi dipacificazione regionali. Tale strategia è stata perseguita, difatti, anche al di fuori del Mediterraneo, attra-verso programmi e progetti di gestione ambientale sostenibile e realizzazione ottimale della produttivi-tà degli ecosistemi condivisi, ad es. in Africa australe, tra Zimbabwe, Sudafrica e Mozambico; traZimbabwe, Sudafrica e Botswana; e in America Latina tra Perù e Bolivia [17].
7. Risorse Finanziarie e Trasferimento di Tecnologie
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 167
In Albania e Bosnia, sono state avviate iniziativedi cooperazione finalizzate soprattutto al soste-gno alle istituzioni e alle politiche per l’uso soste-nibile delle risorse forestali. Sono stati inoltre rag-giunti accordi di cooperazione con i Ministeridell’Ambiente di Bulgaria ed Ucraina in prepara-zione delle future attività congiunte nell’ambitodel meccanismo di Joint Implementation.
Il Ministero dell’Ambiente e della Tutela delTerritorio è in procinto di avviare una serie di ini-ziative nell’area dell’Europa sud-orientale, finan-ziate in base ai fondi della citata Leggen. 448/1998 (Carbon Tax): in Bulgaria tramitel’aggiornamento di Master Plan per la protezioneambientale e lo sviluppo di servizi integrati delleacque; in Romania con l’effettuazione di uno stu-dio di fattibilità per il riutilizzo di rifiuti solidiurbani a scopi energetici, analogamente a quantosi propone un’iniziativa in Slovenia, tramite ilrecupero energetico da scarti di lavorazioni indu-striali; in Croazia, infine, verranno attivate inizia-tive volte allo sfruttamento di fonti di energia rin-novabili e alla realizzazione di un modello di svi-luppo sostenibile e di gestione ambientale inte-grata nell’isola di Mljet.
7.5 LA COOPERAZIONE SCIENTIFICA
La Direzione Generale per la Promozione e laCooperazione Culturale del Ministero degli AffariEsteri, in collaborazione con il Ministero perl’Istruzione, l’Università e la Ricerca Scientifica,sostengono accordi bilaterali di collaborazionescientifica e tecnologica attualmente con 43 paesifra PVS e PVT, miranti principalmente allo scambiodi informazioni e ricercatori, di metodologie eapprocci di ricerca, di attività preparatorie alladefinizione di progetti congiunti per successivifinanziamenti mirati da parte di altre istituzionibilaterali o multilaterali. Molti di questi accordiincludono anche tematiche relative all’ambiente,quali i cambiamenti climatici, gli eco-sistemi terre-stri, costieri e marini e le energie pulite:
•nell’ottobre 1997 è stato anche ratificatol’Accordo di Cooperazione Scientifica eTecnologica in Campo Ambientale conl’Argentina. Tale accordo prevede il supportoad attività di cooperazione per la soluzione deiproblemi della conservazione e del risanamentoambientale, con particolare riferimento allo stu-dio dell’impatto nocivo delle attività umane sul-
Il programma di cooperazione ambientale con la Cina verso lo sviluppo sostenibile: un esempio di partnership
Particolarmente sviluppato, sia in termini qualitativi che quantitativi, è l’impegno del Ministero dell’Ambientee della Tutela del Territorio italiano per la cooperazione ambientale con la Cina. Con una cifra complessivadi oltre 14.460.000 euro, il programma è finalizzato alla realizzazione di progetti pilota e studi di fattibilitàvolti allo sviluppo di progetti scientifici e industriali nei settori della protezione dell’ambiente e delle fontienergetiche rinnovabili. Il contributo del Ministero dell’Ambiente intende costituire una sorta di “volano”, dando luogo ad un polodi attrazione dei finanziamenti di Banche e Fondi multilaterali per lo sviluppo. A tal fine i progetti e gli studidi fattibilità sono predisposti secondo i formati utili, in un secondo momento, a richiedere finanziamenti alleistituzioni finanziarie multilaterali per lo sviluppo dei progetti nell’ambito degli Accordi Multilaterali perl’Ambiente.
Fra le attività previste nell’ambito di tale cooperazione, risultano qui rilevanti:
• le iniziative volte alla riduzione dei consumi energetici e delle emissioni nel settore industriale e in quel-lo edilizio, tramite il rimodernamento dei sistemi di riscaldamento residenziali e industriali ed il recupe-ro di calore ed energia negli impianti siderurgici;
• le iniziative per la riduzione dei consumi energetici e delle emissioni nel settore dei trasporti, che preve-dono la produzione di motori e veicoli a basso impatto ambientale (gas naturale e ibridi), la produzionelocale e l’impiego sperimentale di emulsione acqua-gasolio per il trasporto urbano, la formazione di tec-nici municipali;
• la promozione delle fonti energetiche rinnovabili, mediante progetti pilota per l’impiego delle biomas-se, dei rifiuti e del biogas, dell’energia solare e di quella eolica;
• la sperimentazione e diffusione delle migliori tecniche e pratiche per lo sviluppo di una agricoltura soste-nibile, attraverso la riduzione del consumo delle risorse idriche e la riforestazione di aree semi-deserti-che, nonché lo studio delle possibilità di sfruttamento di fonti di energia rinnovabile (solare, eolica, idroe-lettrica su piccola scala) per il settore agricolo.
7. Risorse Finanziarie e Trasferimento di Tecnologie
168 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
l’ambiente. Fra gli altri settori specificamentesostenuti ci sono l’uso sostenibile delle risorsenaturali, le tecnologie per minimizzare l’impattodei rifiuti sull’ambiente, l’utilizzazione razionaledelle risorse energetiche e lo sviluppo di fontienergetiche non inquinanti. Nel dicembre 1997inoltre è stato sottoscritto l’Accordo quadro dicollaborazione in campo scientifico e tecnologi-co, che prevedeva fra i settori prioritari, le nuovefonti rinnovabili di energia, l’ambiente e il cam-biamento climatico globale. Nel periodo inesame, infine, l’Accordo bilaterale Italo-Argentino di cooperazione scientifica inAntartide (del 1992) è stato completato da unapposito Protocollo per la Misura dell’EffettoSerra;
•in cooperazione con la Cina sono previste colla-borazioni per la ricerca e lo sviluppo di fontienergetiche rinnovabili o a basso impatto neisettori dello sfruttamento delle risorse geotermi-che, della ricerca nel campo dell’energia fotovol-taica, della produzione di energia tramite la gasi-ficazione dei residui agricoli4. Scambi di espe-rienze sono inoltre stati attivati nella sperimenta-zione di modelli e strumenti tecnologici innovati-vi di gestione sostenibile in agricoltura5;
•nel febbraio 1998 è stato firmato un Accordo diCooperazione nel settore dell’EfficaciaEnergetica e delle Fonti di Energia Rinnovabilecon la Russia. Nell’ambito di tale accordo sonostati istituiti quattro Gruppi di Lavoro6 chehanno, fra l’altro, selezionato quattro progetti,su 87 proposte iniziali, da considerare in prepa-razione delle future attività nell’ambito del mec-canismo di Joint Implementation7. Altri Gruppi diLavoro hanno anche individuato possibili temi dicollaborazione nella sostituzione di generatoridiesel, nell’impiego di aerogeneratori, il riutilizzodi scarti legnosi per la produzione di energiaelettrica, l’elettrificazione di villaggi mediantesistemi fotovoltaici, la definizione di indicatoriper lo sviluppo e la realizzazione di collettorisolari ad alta efficienza. E’ stato inoltre costituito
un Istituto Misto di Formazione e RicercheEcologiche avente, fra le altre finalità, la promo-zione di ricerche e scambi di ricercatori nei campidell’ecologia, della tutela ambientale, dell’usorazionale delle risorse e dello sviluppo sostenibi-le;
•nel quadro dell’Accordo sulla CooperazioneCulturale, Scientifica e Tecnologica con la Tunisiadel 1997, il programma delle attività per gli anni2000-2003 ha individuato, fra gli altri temi dicollaborazione, l’ottimizzazione dell’uso di ener-gia rinnovabile (in particolare solare), lo sviluppodella cogenerazione, lo studio e la pianificazionedella domanda di energia elettrica, la formazio-ne del management nel settore dell’elettricità;
•nell’ambito del Protocollo Esecutivo 1998-2001per le Attività di Collaborazione Scientifica conil Vietnam, sono previste iniziative relative allaricerca sui sistemi fotovoltaici e sui generatorieolici, allo studio di soluzioni per la fornitura diacqua calda e la distillazione dell’acqua tramitel’utilizzo di energia solare, nonché il condizio-namento dell’aria con l’uso di energia solare, lacostruzione di centrali elettriche ibride, il recu-pero di piccole stazioni idroelettriche, la forma-zione di quadri tecnici nelle società di pubblicoservizio per la gestione delle politiche ambien-tali.
Il sostegno ad attività di ricerca scientifica e tec-nologica e di formazione nei settori rilevanti per laConvenzione sui Cambiamenti Climatici è conte-nuto anche negli accordi sottoscritti con ill’Egitto8, l’India, Pakistan9, la Romania el’Ungheria.
Infine, organismi tecnico scientifici quali ENEA eCNR sostengono con risorse proprie programmi diborse di studio per ricercatori provenienti da PVSe PVT in campi relativi alle tematiche ambientaliglobali e co-finanziano con l’UE progetti di ricercasu tematiche relative anche ai cambiamenti clima-tici.
4 Research, development and utilization of Geothermal Resources (ENEL)5 Solar Photovoltaic Technology (ENEA e Eurosolare)6 Che hanno visto, per la parte italiana, la partecipazione di ENEA, EDISON, ENEL e ENI, oltre al Ministero
dell’Industria.7 Realizzazione a Kaliningrad di una Centrale Termoelettrica a cogenerazione e di un metanodotto per l’alimentazio-
ne della Centrale e dell’impianto di teleriscaldamento della città; realizzazione Centrali Termoelettriche a Krasnodare a Novgorod; completamento a Perm del quarto gruppo di una Centrale Termoelettrica.
8 Progetto ENEA per la valorizzazione energetica dei residui industriali (cotone) “Steam Explosion”, e trasferimento diknow-how ai centri di ricerca locali nella sperimentazione di nuove tecnologie-eco-compatibili.
9 Progetto ENEA-Pakistan Council of Appropriate Technologies “Utilization of City/Agro-Industrial Residues for pro-ducine energy and organic fertilizers”.
7. Risorse Finanziarie e Trasferimento di Tecnologie
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 169
7.6 LA COOPERAZIONE DEL SETTOREPRIVATO
Va infine segnalato che numerose imprese e società diservizi italiane sono attive nel trasferimento di tecno-logie a ridotto impatto sull’ambiente e nell’attuazionedi progetti volti ad introdurre schemi di gestione inte-grata delle risorse naturali o dei rifiuti, anche tramiteschemi di cofinanziamento sostenuti da istituzionipubbliche nazionali e locali.
Nell’ambito del Gruppo di Lavoro interministerialeper l’attuazione del Protocollo di Kyoto, presiedu-to dal Ministero dell’Ambiente, sono anche statiattivati dei meccanismi di coordinamento ecooperazione tra i vari Ministeri, le Regioni italia-ne e le associazioni delle imprese per rendere lacollaborazione scientifica nel settore ambientalesinergica con le attività di cooperazione più speci-fiche a livello progettuale nei vari paesi prioritariper l’Italia.
7. Risorse Finanziarie e Trasferimento di Tecnologie
170 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
Tab. 1 – Contributi Finanziari alla Global Environment Facility (GEF)
Contributi (milioni di US$)
1997 1998 1999 2000
GEF – 17.3 – 3.6
Tab. 2 – Contributi Finanziari a Istituzioni e Programmi Multilaterali
Istituzione o Programma Contribuzione(milioni di US$)
1997 1998 1999 2000
Istituzioni multilaterali:
1. Banca Mondiale (IBRD) 15.47 5.184.67
13.77
5.39 326.67295.96 -
2. International Finance Corporation 0.59 0.581.10
0.95
3. African Development Bank- - 0.28
3.18
- African Development Fund-
33.90- -
4. Asian Development Bank-
1.900.20 -
- Asian Development Fund-
24.46- -
5. Banca Europea per la ricostruzione e loSviluppo (BERS) -
10.7616.83
0.29
IFAD 3.68 3.56 3.40 19.86
6. Inter American Development Bank 1.35 18.59 6.40 10.99
7. Other Regional Banks-
1.6112.63
4.65
8. United Nations Development Programme 13.85 13.51 12.38 38.36
9. United Nations Environment Programme 0.31 0.45 0.61 0.73
- CCD - -
10. UNFCCC
IDA
0.59 0.59
0.38 0.44 0.58 0.58
11 Altro
CTI - - 50.08 -
FAO 9.25 8.64 8.25 17.37
Consultative Group on International Agricultural Resarch - CGIAR
2.64 2.59 2.48 2.86
IUCN - International Union for the Conservation of Nature- 0.23 0.17 0.24
Source: DAC-OECD. International Development Statistics.
7. Risorse Finanziarie e Trasferimento di Tecnologie
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 171
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8. La Ricerca sul cambiamento climatico e su i suoi effetti
Gli ultimi anni hanno visto un rinnovato impegno delsistema della ricerca italiano nel campo dello studiodegli effetti antropogenici sul clima, sulla sua variabi-lità e sugli impatti sull’ambiente. E’ stato varato unPiano Nazionale di Ricerca sul Clima, grazie allacollaborazione del Ministero dell’Ambiente e dellaTutela del Territorio e del MIUR (Ministerodell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca), che è incorso di implementazione. Il Piano è una componen-te del Piano Nazionale della Ricerca e riafferma ilruolo strategico che la ricerca climatica ha ormaiassunto per un paese vulnerabile come l’Italia.
I principali campi d’intervento della ricerca climaticaitaliana sono i seguenti:
8.1 ATTIVITÀ DI MONITORAGGIO,OSSERVAZIONE E MISURA
In Italia è ormai attiva un’efficiente rete di monito-raggio dei componenti dell’atmosfera (del ServizioMeteorologico e di altri enti ed organizzazioni), cheha portato anche ad uno sviluppo innovativo distrumenti e tecniche di analisi dati. Recentementeuna diminuzione delle precipitazioni negli ultimidecenni e l’aumento dei casi di siccità invernale nelcorso del periodo 1950-2000 è stata verificatamediante l’analisi di queste osservazioni nazionali.
L’Italia dispone inoltre di diverse navi oceanografi-che che sono utilizzate per le crociere di ricerca, e
recentemente si sono avviate alcune iniziative chepermetteranno l’ammodernamento del parco navidi ricerca. L’impegno sull’Antartide continua inclu-dendo una parte di studi e ricerche rilevanti per leproblematiche climatiche.
L’ENEA (Ente per le Nuove Tecnologie, l’Energia el’Ambiente) ha cominciato a raccogliere dati storicidi temperatura e salinità del Mar Mediterraneo findal 1982. I dati storici risalgono fin dal 1900, e finoal 1994 hanno costituito uno dei data set più ricchiper l’area Mediterranea, con circa 12.000 profili col-lezionati nell’area Mediterranea. Tutti i dati sonostati inclusi nel Mediterranean Oceanographic DataBase (MODB). Ulteriori dati reperiti dal 1996 al 2000sono stati inclusi in MEDAR/MedAtlas. I dati sonostati utilizzati per valutare i cambiamenti delle pro-prietà fisiche del Mar Mediterraneo. In particolare,sono stati analizzati i trend di temperatura e salinitàdell’acqua levantina ed atlantica (Manzella, 1994,Spannocchia et al., 1994). Una particolare attenzio-ne è stata data anche alla variabilità interannualenella formazione di acque dense in alcune aree cri-tiche come il Mar Ligure (Sparnocchia et al., 1995).
L’ENEA, in collaborazione con ISAC (Istituto diScienze dell’Atmosfera e del Clima) del CNR, analiz-za dati di Sea Surface Temperature (SST), altimetriae colore. Analisi sulla variabilità stagionale ed inte-rannuale è stata fatta per l’ultimo decennio.Confronti con dati in situ permettono di valutare leanalisi dei dati satellitari, in base alla variabilità dellastruttura interna del Mar Mediterraneo.
A cura di Sergio Castellari, INGV, Roma - Hanno collaborato: Antonio Navarra, INGV, Roma - Annalisa Cherchi, INGV, Roma- Entcho Demirov, INGV, Roma - Marcello Vichi, INGV, Roma - Fedora Quattrocchi, INGV, Roma - Francesco Apadula, CESI,Milano - Franco Miglietta, IATA-CNR, Firenze - Sandro Fuzzi, ISAC-CNR, Bologna - Riccardo Valentini, Università dellaTuscia, Viterbo - Riccardo Santaguida, Aeronautica Militare - C.A.M.M. Monte Cimone, Sestola (Modena) - GiuseppeManzella, ENEA, S. Teresa (La Spezia) - Alcide Giorgio di Sarra, ENEA, La Casaccia (Roma) - Maurizio Sciortino, ENEA, LaCasaccia, Roma - Vincenzo Artale, ENEA, La Casaccia, Roma - Wolfango Rupolo, ENEA, La Casaccia, Roma - GiovannaPisacane, ENEA, La Casaccia, Roma - Adriana Carillo, ENEA, La Casaccia, Roma - Paolo M. Ruti, ENEA, La Casaccia, Roma- Domenico Di Rocco, ENEA, La Casaccia, Roma - Filippo Giorgi, ICTP, Trieste
8. La Ricerca sul cambiamento climatico e su i suoi effetti
176 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
Di grande interesse sono anche le investigazioni pervalutare le possibili tendenze del campo di precipi-tazione. Questi studi si basano sull’analisi statisticadelle serie temporali di osservazioni distribuite nellospazio, ma raramente sono disponibili serie chesono sufficientemente lunghe nel tempo e ben dis-tribuite nello spazio. In genere, occorre effettuareun compromesso tra una buona distribuzione spa-ziale ed una buona lunghezza temporale. La (Fig. 1)mostra la proporzione di giorni secchi invernali, unaquantità che richiede una buona copertura spazialeper aree regionali. E’ possibile notare un aumentodella frequenza di giorni secchi tra il periodo 1951-1980 e 1981-2000. L’aumento è più marcato per learee settentrionali (NW, NEN, NES), corrispondentialla valle padana e all’arco alpino, meno pronuncia-to per il meridione (SO) e per il centro (CE), assentenelle isole (IS). La copertura temporale piuttostocorta di questi dati non permette di valutare la ten-denza, che invece può essere fatta agevolmentemediante l’uso di modelli climatici che possono pro-durre serie più lunghe. La (Fig. 2) mostra la fre-quenza di precipitazioni annuali per la precipitazio-ne superiore a 25 mm/giorno nell’Italia del Nord(Brunetti et al., 2000).
L’effetto dell’aerosol sul sistema climatico globale èuno delle maggiori fonti di incertezza nelle previsio-ni climatiche odierne. Inoltre l’aerosol ha un ruoloimportante nella chimica atmosferica e quindiinfluenza le concentrazioni di altri importanti costi-tuenti atmosferici come l’ozono. L’effetto dellacomposizione chimica dell’aerosol sulle proprietàradiative delle nubi (effetto climatico indiretto del-l’aerosol) fa parte dei programmi di studio del CNR-ISAC.
Presso le due stazioni sperimentali dell’ISAC delCNR di S. Pietro Capofiume (SPC, al centro dellaValle Padana) e di Monte Cimone (MTC, la vetta piùelevata Appennino Settentrionale, 2165 mslm) sonoattivi programmi di misura sistematici per la caratte-rizzazione chimico-fisica di aerosol atmosferici e perla misura in continua di ozono troposferico (SPC eMTC). A MTC è anche attivo un programma di rile-vamento in continua di CFC ed HCFC così come diNO2 ed O3 stratosferico, CO, Be-7 e Pb210, Rn-222.
Il CESI (Centro Elettrotecnico Sperimentale Italiano)è responsabile di un progetto di ricerca dedicatoallo studio delle interazioni tra il sistema elettrico(produzione, trasporto e distribuzione dell’energiaelettrica) ed i cambiamenti climatici. Questo proget-to è costituito da diverse attività di ricerca che sibasano su: misure sperimentali, laboratori, strumen-tazione di telerilevamento, gestione dei dati climati-ci e modellistica. Un’attività sperimentale gestita
sempre dal CESI che riveste parecchio interesse èquella relativa al monitoraggio delle concentrazionidei gas serra in corso al Plateau Rosa. La stazione dimonitoraggio del CESI è ospitata nel laboratorioTestagrigia del CNR-ICG di Torino, sulle AlpiOccidentali Italiane (3480 mslm) in prossimità delterritorio Svizzero. È una delle stazioni di monito-raggio più alte del continente europeo e grazie aquesta sua peculiarità consente, essendo general-mente posta al di fuori dello strato limite planetario,di misurare il fondo naturale con maggiore facilità.I principali gas serra monitorati sono: CO2, CH4, N2Oe O3. Altre variabili sono sistematicamente misurate,quali SO2, NOX ed idrocarburi totali e le principaligrandezze meteorologiche (temperatura, umiditàrelativa, pressione, radiazione solare e UVB, velocitàe direzione del vento). La maggior parte di questemisure vengono eseguite in continuo. Attualmenteper CH4 e N2O vengono effettuati anche dei cam-pionamenti settimanali di aria da analizzare presso ilaboratori del CESI di Milano. Sono state eseguiteanche misure di alcuni clorofluorocarburi (CFCl3 eCF2Cl2). Attualmente si sta lavorando alla messa apunto della metodologia analitica per la misuradello SF6. I principali risultati sinora raggiunti sono: ladisponibilità di un database storico delle misure deigas serra e degli altri parametri acquisiti in stazione;produzione di misure di qualità in termini di preci-sione, accuratezza e confrontabilità; un sito Web,realizzato per fornire informazioni sull’attività dimisura in corso al Plateau Rosa (ad esempio in (Fig.3) vengono mostrati gli andamenti su lungo perio-do delle concentrazioni di fondo del CO2 e del CH4
al fine di valutarne i tassi di crescita).
Il Servizio Meteorologico dell’Aeronautica Militareeffettua misure di anidride carbonica atmosfericadal marzo 1979; esse sono state condotte sino adoggi senza significative interruzioni. M. Cimone(2165 m.s.l.m.) è una delle stazioni in cui si effettuauna misura di fondo, cioè a scala planetaria, dellaCO2 e dove viene eseguito il rilevamento in continuodi tale gas. Le misure di CO2 sono realizzate conanalizzatori all’infrarosso non dispersivi (NDIR).Presso il Monte Cimone sono in uso anche duespettrofotometri per la misura dell’ozono stratosfe-rico: lo spettrofotometro Dobson (Fig. 4) e lo spet-trofotometro Brewer entrambi ubicati presso labase logistica di Sestola (1020 mslm). Il primo è inuso operativo dal 1975, il secondo dal 1992.
Inoltre, misure di parametri atmosferici di interesseclimatico vengono svolte dall’ENEA in tre stazionisul territorio nazionale, ed in Antartide. L’ENEAgestisce una rete di stazioni meteorologicheAntartiche (regione di Terra Nova, 73-77°S, 160-169°E), ed effettua misure di grandezze meteorolo-giche presso la Casaccia (42.1°N, 12.3°E), ed a
8. La Ricerca sul cambiamento climatico e su i suoi effetti
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 177
Lampedusa (35.5°N, 12.6°E). Il Laboratorio diLampedusa è dedicato inoltre alla misura su lungoperiodo della concentrazione di gas ad effetto serra,ozono, radiazione ultravioletta, aerosol. Presso ilBrasimone (44.1°N, 11.1°E) si studiano prevalente-mente nubi nell’alta troposfera, aerosol stratosfericie temperatura nell’atmosfera media. Altri program-mi, in particolare dedicati allo studio delle stratosfe-re polari, vengono svolti in collaborazione con altriIstituti.
Nel 1991 ha avuto inizio, nell’ambito di una colla-borazione tra ENEA e CNR, un programma per ladeterminazione della concentrazione atmosfericadei gas ad effetto serra, con lo sviluppo presso laCasaccia di un laboratorio per la messa a punto dimetodologie e tecniche di misurazione di detti gas.
Nel 1996 l’ENEA ha costituito una Stazione perOsservazioni Climatiche presso Capo Grecale sullacosta nord-orientale dell’isola di Lampedusa. Dal1999 le misure di biossido di carbonio sono effet-tuate anche in continuo presso la stazione, doveattualmente è dislocata la strumentazione per lamisura di questo gas. Il Laboratorio ha fatto uso sindall’inizio del progetto, e lo fa tuttora, degli stan-dard di concentrazione dell’OrganizzazioneMeteorologica Mondiale, cui sono riferite le misuredi numerose stazioni internazionali. La stazione diLampedusa fa parte della rete Global AtmosphereWatch dell’Organizzazione MeteorologicaMondiale. Le attività sviluppate presso la Stazionesono indirizzate allo studio del bilancio radiativodell’atmosfera terrestre, e comprendono attual-mente due filoni principali: lo studio dell’evoluzionedella concentrazione dei gas ad effetto serra e leindagini sul trasferimento della radiazione solare.
La prima attività è indirizzata alla caratterizzazionesul lungo periodo della concentrazione di alcuni gas(CO2, CH4, N2O, CFC-11 e CFC-12) che contribui-scono in modo significativo all’effetto serra (Fig. 5).La distribuzione in atmosfera dei gas ad effettoserra dipende, oltre che dalle emissioni, anche dafenomeni dinamici a larga scala, dagli scambi traoceano, atmosfera, e superficie terrestre, e dalclima. Le osservazioni vengono anche utilizzate perlo studio delle interazioni tra la composizione atmo-sferica ed i processi a larga scala ed il clima.
La seconda linea di attività è dedicata sia alla misu-ra su lungo periodo di alcuni parametri importantidal punto di vista del bilancio radiativo (ozono tota-le, radiazione solare globale, irradianza ultraviolettaspettrale, spessore ottico degli aerosol), sia allo stu-dio di processi specifici di importanza per il clima(Fig. 6). In questo contesto vengono realizzate cam-pagne di misura, anche in collaborazione con vari
istituti di ricerca internazionali. Durante le campa-gne vengono installati strumenti aggiuntivi e ven-gono misurati numerosi parametri geofisici, inmodo da ottenere una descrizione quanto più det-tagliata possibile della struttura dell’atmosfera e delcampo radiativo.
Vengono svolte anche campagne sperimentali indi-rizzate allo studio di processi specifici di importanzaper il clima. Nel 1999, ad esempio, si è svolta aLampedusa la campagna europea PAUR II(Photochemical Activity and Ultraviolet Radiationmodulation factors). Durante la campagna, svolta incollaborazione con vari Istituti (Università di Roma,NOAA, IFU, CNR-ISAC) sono state effettuate misu-razioni dettagliate del campo radiativo e delle pro-prietà dell’atmosfera, sia attraverso osservazioni daterra, sia tramite misurazioni da aereo ultraleggero.La campagna è stata indirizzata alla caratterizzazio-ne dei fattori, quali ozono ed aerosol, che possonomodulare i flussi di radiazione ultravioletta nell’at-mosfera. Durante la campagna è stato possibileottenere una descrizione dettagliata delle caratteri-stiche delle polveri di origine Sahariana, che hannoinvestito Lampedusa.
Le attività svolte presso la Stazione di OsservazioniClimatiche di Lampedusa sono state finanziate dalMinistero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio,dal MIUR, dall’Unione Europea e dall’AgenziaSpaziale Italiana.
Gli sviluppi futuri relativamente al primo filoneriguardano l’estensione del numero di specie chimi-che rilevate. E’ intenzione dell’ENEA estendere leanalisi ad alcuni composti che, sebbene presenti inconcentrazioni molto basse, hanno un potenziale diriscaldamento molto elevato e sono in forte aumen-to. Relativamente al secondo filone, sono in via diacquisizione e sviluppo alcuni strumenti che per-metteranno di ottenere una migliore caratterizza-zione dell’atmosfera e di misurare alcune grandezzerilevanti dal punto di vista radiativo, sia per il loroeffetto diretto, che per le interazioni indirette. Inparticolare, sarà attivato un programma di radio edozonosondaggi, verrà poi sviluppato un LIDARRaman per la caratterizzazione dei profili di vapored’acqua e degli aerosol e verranno installati deglispettrometri per la misura della concentrazione dialcune specie chimiche.
L’INGV (Istituto Nazionale di Geofisica eVulcanologia) ha sviluppato prototipi di stazionigeochimiche di tipo multi-parametrico (prototipiGMSI e GMSII), con l’opportuna creazione di soft-ware e hardware tale da poter configurare e instal-lare reti geochimiche di monitoraggio per differentisituazioni logistiche quali acquiferi, emissioni gasso-
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178 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
se, fumarole, di interesse vulcano-tettonico, idro-geologico e di altri rischi naturali. L’idea di base èstata quella di voler creare un sistema di monito-raggio in continuo estremamente versatile e adatta-bile alle diverse situazioni logistiche, diversi sensori,diversi strumenti in linea, anche di tipo geofisicooltre che geochimico. Ciò al fine di passare da unafase di ricerca ad una fase di sorveglianza routinariache sia il più multi-disciplinare possibile.
Di particolare importanza è la ricerca, che questestazioni hanno permesso di avviare, sul sequestrodi emissioni di CO2 in trappole geologiche per lariduzione dell’Effetto Serra. (green-house effect).Infatti, negli ultimissimi anni è crescente l’interessestrategico per la “sequestrazione geologica dellaCO2 di origine industriale-antropogenica” per ladiminuzione dell’Effetto Serra, da cui sono scaturi-ti progetti e ricerche al livello internazionale peracquisire conoscenze tecniche e scientifiche chepossano essere applicate in modo innovativo alproblema. In particolare si ricerca di applicare a sitieuropei questo tipo di metodologia. Quindi la“sequestrazione di CO2” potrebbe permettere unrapido e sicuro stoccaggio alla “sorgente” senzatempi di residenza apprezzabili dei gas “EffettoSerra” in atmosfera. Al livello di “sito” locale èimportante valutare caso per caso la fattibilità del-l’impresa ed i costi/benefici.
8.2 SIMULAZIONI NUMERICHE DEL CLIMA
L’Italia ha alcuni gruppi, all’INGV, all’ENEA edall’ICTP (Abdus Salam International Centre forTheoretical Physics), che sono attivi e riconosciuti alivello internazionale nel campo delle simulazioninumeriche globali e regionali del sistema climatico.La maggior parte dell’attività di simulazione è incen-trata su simulazioni a scala globale con modelliaccoppiati atmosfera-oceano.
Sono diffusi anche i modelli di simulazione regio-nali, ormai alla portata di parecchi gruppi sia nelcaso atmosferico, sia in quello oceanico. Modelliregionali dell’atmosfera vengono utilizzati perstudi di downscaling dinamico della variabilità cli-matica, previsioni a breve termine e studi di pro-cessi.
Grande successo ha avuto un modello di circolazio-ne oceanica del Mediterraneo, sviluppato in Italia esuccessivamente diffuso in campo internazionale,che consente la simulazione realistica e dettagliatadella variabilità interannuale del Mediterraneo.Esistono inoltre modelli oceanici a scala più piccolaper il Mare Adriatico ed altre zone.
E’ di grande interesse inoltre lo sviluppo in Italia dimodelli di simulazione dell’ecosistema marino, conuna descrizione dettagliata della dinamica dellepopolazioni, che promettono di essere enormemen-te importanti nello studio degli effetti dei cambia-menti climatici sugli ecosistemi. Esiste anche unaforte tradizione di studi teorici che si incentranosulle investigazioni delle caratteristiche fondamen-tali della dinamica del clima, sulla predicibilità eriproducibilità delle variazione climatiche e sullanatura e origine della statistica delle fluttuazioni cli-matiche. Altri gruppi sono attivi nelle simulazionidella stratosfera ed in particolare della complessacatena di reazioni chimiche che regola i componen-ti minori atmosferici.
All’INGV è attiva una ricerca sulla risposta atmosfe-rica alle emissioni di CO2 ed alla sua variabilità. Perquesto studio viene utilizzato il modello atmosfericoglobale ECHAM4, sviluppato originariamente alMax-Planck Institute of Meteorology (Hamburg,Germania), con una risoluzione T106 e con il for-zante di temperatura superficiale marina provenien-te da un modello dello strato misto. In particolare sicerca di valutare l’effetto dei mutamenti nella con-centrazione di CO2 sulla variabilità atmosferica glo-bale e sulle aree Europea e Mediterranea.
Lo studio si è basato su due esperimenti: nel primosono state eseguite due simulazioni (la prima con ivalori attuali di concentrazione atmosferica di CO2,e la seconda con una concentrazione doppia); nelsecondo sono state eseguite ancora due simulazio-ni con differenti concentrazioni di CO2, ma variabilinel tempo. Queste simulazioni sono iniziate dalGennaio 1979 e mantengono una concentrazionerealmente osservate di CO2 fino al 2000. Dopo il2000 le due simulazioni continuano con differenticoncentrazioni di CO2, che sono definite secondo idue scenari IPCC di emissione di CO2 (A2 e B2, del“Special Report on Emissions Scenarios”).
Nelle (Fig. 7–10) sono mostrate le differenze tra latemperatura superficiale marina e la precipitazionetotale tra le due simulazioni del primo esperimento(simulazione con la concentrazione attuale di CO2 econ una concentrazione doppia). Il raddoppio diCO2 in atmosfera causerebbe un aumento di SSTnelle aree polari fino a 10oC di aumento durantel’inverno (Fig. 7). Sulla area Europea il maggioreaumento di SST si avrebbe nella regione centrale,dove può raggiungere un aumento di 6°C in estate(Fig. 8), mentre in inverno il riscaldamento influen-zerebbe principalmente la parte più orientale delcontinente europeo. La variabilità globale di precipi-tazione totale mostra un grande cambiamentodovuto alla variazione di CO2 (Fig. 9), dove in alcu-ne aree può essere fino a 200 cm/anno. Sull’area
8. La Ricerca sul cambiamento climatico e su i suoi effetti
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 179
Europea e Mediterranea i mutamenti della precipi-tazione sembrano invece dipendere fortementedalle stagioni (Fig. 10).
All’INGV è attiva inoltre una ricerca sul clima tropi-cale e sulla sua variabilità, in cui il Monsone Asiaticoha un ruolo fondamentale, perché è un fenomenoampio e complesso in grado di influenzare ed esse-re influenzato dalla circolazione tropicale. Il monso-ne Indiano, parte del più vasto Monsone Asiatico,ha come sua manifestazione più evidente le abbon-danti precipitazioni che si riversano nella stagioneestiva (giugno - settembre) in India, precipitazioniche rappresentano, per quelle regioni, la principalefonte di acqua nel corso dell’anno. La presenza dimodelli di circolazione generale permette di appro-fondire lo studio del monsone e della sua variabilitàcon la realizzazione di esperimenti, il cui scopo è laricerca di una buona riproducibilità del fenomeno,base essenziale nel tentativo di realizzare delle pre-visioni. Attualmente la capacità dei modelli di circo-lazione generale di riprodurre il monsone anchenelle sue rappresentazioni più elementari può esse-re migliorata: le precipitazioni monsoniche rappre-sentano, infatti, la maggior evidenza del fenomeno,ma non sono facilmente riproducibili.
All’INGV sono stati realizzati con il modello di circo-lazione generale ECHAM4 (Roeckner et al., 1996)due esperimenti forzati con SST dal 1956 al 1999con due diverse risoluzioni orizzontali: il primo allarisoluzione orizzontale triangolare T30 ed il secondoalla risoluzione orizzontale T106. La (Fig. 11) mostrale precipitazioni estive (mediate da giugno a set-tembre su tutto il record temporale dal 1956 al1999) per i due esperimenti (primo e secondo pan-nello) e per osservazioni provenienti da Xie andArkin (1996). È subito evidente come una maggiorrisoluzione orizzontale permetta di simulare inmodo più realistico le precipitazioni, in particolarenell’esperimento alla risoluzione più bassa (T30,pannello centrale) le abbondanti precipitazioni nellaparte occidentale dell’India (i cosiddetti WesternGhats) non sono simulate, mentre sono presentinell’esperimento a risoluzione maggiore, anche secon intensità inferiore alle osservazioni. In generalel’esperimento a risoluzione maggiore presenta unpattern di precipitazione più simile alle osservazioni,sia nel continente Asiatico, zona principalmenteinteressata dal monsone in estate, che nel resto delglobo, Oceano Pacifico Equatoriale e coste occiden-tali dell’America Meridionale comprese.
La realizzazione di esperimenti con serie temporalilunghe permette uno studio della variabilità inte-rannuale delle precipitazioni, a questo scopo esisto-no in letteratura degli indici che permettono di clas-sificare anni con monsoni intensi e anni con mon-
soni più deboli, fra questi sono ampiamente usatiDMI (Dynamical Monsoon Index) e EIMR (ExtendedIndian Monsoon Rainfall Index). Il DMI rappresentala differenza tra le anomalie stagionali (mediate dagiugno a settembre) del vento zonale a 850 mb e a200 mb mediata nella regione compresa tral’Equatore e 20°N e tra 40°E e 110°E. Il DMI è unindice dinamico e tiene conto della variabilità ditutto il sistema monsonico asiatico, ma ha unabuona correlazione anche con gli indici di precipita-zione e, dal momento che è più facilmente riprodu-cibile dai modelli di circolazione, viene ampiamenteusato come indicatore di anni monsonici intensi edeboli. L’EIMR è un indice di precipitazione che rap-presenta la media estiva (da giugno a settembre)delle anomalie di precipitazioni (rispetto al ciclo sta-gionale) mediate nella regione compresa tra 70°E e110°E e tra 10°N e 30°N; questo indice è statointrodotto per rappresentare la variabilità delle pre-cipitazioni anche in India. In (Fig. 12) sono rappre-sentati i due indici sopra descritti per ECHAM4; ilcoefficiente di correlazione è 0.7. Questo indica cheesiste una buona corrispondenza tra DMI e EIMR eche con il modello ECHAM4 lo studio della variabi-lità interannuale del monsone può essere fatto siaattraverso gli indici caratteristici della circolazione,sia attraverso quelli caratteristici delle precipitazioni.Questo è un primo passo positivo nello studio dellacapacità dei modelli di circolazione generale ed inparticolare di ECHAM4 di simulare ed eventualmen-te predire fenomeni complessi e cruciali per le areetropicali quali il Monsone Indiano, e per estensionequello Asiatico.
All’ENEA (La Casaccia, Roma) è attiva una ricercasulla variabilità interna, decadale e multidecadale,del Mar Mediterraneo. La variabilità naturale dellacircolazione termoalina nel bacino mediterraneo e’sensibile alle condizioni al contorno imposte all’in-terfaccia con l’atmosfera. Il modo classico di inne-scare tale variabilità è effettuare delle simulazioniclimatologiche con restoring boundary conditions econ mixed boundary conditions. Complessivamentela durata media di queste simulazioni, usando ilmodello MOM (Modular Ocean Model), è stata dicirca 400 anni. L’analisi è stata focalizzata sull’areadi formazione di acqua intermedia (Egeo) nel baci-no orientale, sul Canale di Sicilia e sul bacino occi-dentale, ed in particolare sulla zona ad ovest dellaSardegna, importante per il trasporto meridionale dicalore e sale. Da tali analisi sono state riscontrateoscillazioni pluriennali nell’attività convettiva inEgeo, che si trasferiscono nel bacino occidentaleattraverso il Canale di Sicilia e raggiungono la costasarda. Le anomalie intermedie di sale, generatenell’Egeo e poi trasmesse tramite il canale di Sicilianel bacino occidentale, si organizzano come oscilla-zioni pluriennali. Tale variabilità ha un impatto sul-
8. La Ricerca sul cambiamento climatico e su i suoi effetti
180 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
l’intera circolazione termoalina del Mediterraneo.L’analisi della risposta dinamica del modello aidiversi forzanti è attualmente in corso.
Inoltre, sempre all’ENEA (La Casaccia, Roma) è atti-va una ricerca sulla variabilità dei fenomeni convet-tivi nella fascia tropicale. La circolazione atmosfericanella fascia extratropicale risente in maniera signifi-cativa della variabilità dei fenomeni convettivi, equindi del rilascio di calore, nell’area tropicale. Inparticolare, il fenomeno che riveste la maggioreimportanza su una scala temporale intra-stagionale,è la Madden-Julian Oscillation (MJO), caratterizzatadalla propagazione verso est della zona di convezio-ne lungo la fascia tropicale. In particolare questostudio ha lo scopo di verificare l’effetto della riso-luzione verticale sulla rappresentazione dei feno-meni convettivi. Sono state effettuate simulazionicon il modello ECHAM4 ad alta risoluzione (T106)con 19 e con 31 livelli verticali, aumentando larisoluzione soprattutto in corrispondenza della tro-popausa. Nella (Fig. 13) sono mostrate le precipi-tazioni medie per il periodo gennaio-aprile con ledue risoluzioni verticali (19 e 31 livelli). La (Fig. 14)mostra il confronto tra le medie zonali della preci-pitazione, per lo stesso periodo, calcolate tra 60°Ee 150°E, per i due esperimenti e per il data-setERA15 (con relativa banda di errore). Risulta evi-dente la migliore rappresentazione della posizionee dell’estensione dei massimi di precipitazione nel-l’esperimento a più alta risoluzione verticale. Sonopreviste ulteriori simulazioni con differenti risolu-zioni verticali con lo scopo specifico di migliorarela simulazione della MJO.
Inoltre il gruppo Physics of Weather and ClimateGroup all’ICTP è attivo in varie ricerche nel campoclimatico. In particolare è stata condotta un’analisidei patterns a scala regionale dei mutamenti clima-tici basata su ensembles di simulazioni da un model-lo di circolazione generale accoppiato atmosfera-oceano (AOGCM). Un set di nove simulazioni perognuno dei due scenari IPCC-SRES (A2, B2) è statoanalizzato nelle variazioni di precipitazione e tem-peratura d’estate ed inverno in 22 regioni del pia-neta. Le (Fig. 15 e Fig. 16) mostrano le diverse regio-ni e l’accordo tra i modelli nei mutamenti regionalisimulati. Le incertezze nelle simulazioni dei muta-menti climatici sono state analizzate, ed in partico-lare è stato derivato un metodo (“ReliabilityEnsemble Averaging”) per stimare il range di incer-tezza e l’affidabilità dei mutamenti regionali negliensembles delle simulazioni. Un’altra ricerca all’ICTPè attiva sullo sviluppo ed applicazione di un sistemadi modellizzazione climatico regionale (RegCM) perl’applicazione alla simulazione dei mutamenti clima-tici regionali. Il RegCM è usato nella comunità scien-tifica per varie applicazioni, ed in particolare un set
di simulazioni climatiche regionali sulla regioneeuropea sta per essere completato. Infine, sempreall’ICTP sono stati condotti studi sugli effetti degliaerosol di solfato antropogenico e dei combustibilifossili sul clima dell’Est Asiatico, dove le emissioniinquinanti sono aumentate enormemente negli ulti-mi 20 anni a causa dello sviluppo economico. I risul-tati hanno mostrato che gli effetti degli aerosolhanno influenzato il clima di questa regione e quin-di l’agricoltura a causa di un raffreddamento regio-nale dovuto alla riflessione della radiazione solare eall’aumentato albedo delle nuvole.
8.3 STUDI DI IMPATTO
Il settore di studi d’impatto è presente con unaserie di iniziative che si concentrano principalmen-te sullo studio degli effetti delle variazioni di livel-lo marino come conseguenza dei cambiamenti cli-matici, di particolare interesse per le aree paludaricostiere. Gli studi sono tesi a stabilire non solo glieffetti locali, ma anche la possibilità di usare ilMediterraneo come un rilevatore per i cambia-menti di livello globali. Diversi studi sono inoltrerivolti all’investigazione dell’effetto dei cambia-menti climatici sul territorio e sul rischio ambienta-le. I ricercatori italiani sono impegnati nell’areadella valutazione del rischio da “slope instability”,dell’erosione costiera, nell’identificazione di baciniidrogeologici a rischio per il cambiamento dellecaratteristiche della precipitazione.
8.4 ECOSISTEMA DEI MARI ITALIANI
La modellistica numerica degli ecosistemi ha fattograndi progressi negli ultimi anni e l’Italia è tra ipaesi all’avanguardia in questo settore. Un modellodel sistema ecologico marino è stato implementatonell’area mediterranea dall’INGV, partendo da unacollaborazione con gruppi di ricerca olandesi edanesi. Il modello è stato usato per valutare l’im-patto dei cambiamenti climatici causati dall’aumen-to dei gas serra nell’ecosistema del Mar Adriatico(Fig. 17), usando valori atmosferici ottenuti da unoscenario time-slice in collaborazione con il DanishMeteorological Institute (DMI). I risultati indicanouna possibile diminuzione dell’ossigeno disciolto inacqua, con il conseguente aumento della probabili-tà di eventi anossici (Vichi et al., 2002). Questomodello è particolarmente interessante perché puòessere usato per stimare l’uptake di carbonio daparte del sistema marino. Lo studio di Vichi et al.(2002) indica che per i mari italiani l’ordine di gran-dezza del trasferimento netto di carbonio dall’at-mosfera al mare può essere dell’ordine di 1Mton/anno.
8. La Ricerca sul cambiamento climatico e su i suoi effetti
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 181
8.5 DESERTIFICAZIONE
L’Italia è attiva in quest’area con progetti internazio-nali di ricerca per la ricostruzione della storia delladesertificazione nel Mediterraneo attraverso l’analisidi dati proxy al fine di ricostruire l’evoluzione tempo-rale e i meccanismi della desertificazione nelMediterraneo. Sono anche attive ricerche per lo stu-dio di come si possa rispondere alla desertificazioneed impostare strategie di risposta e mitigazione per lagestione delle risorse idriche e agricole in situazione diaumentato stress ambientale, sociale ed economico.
8.6 PARTECIPAZIONE ITALIANA A PRO-GRAMMI DI RICERCA
L’Italia continua a mantenere un’intensa partecipa-zione ai Programmi Quadro della CommissioneEuropea, in particolare quella di “Environment”. Igruppi italiani hanno avuto un discreto successo nelvincere le gare di finanziamento europeo.
Progetti nazionali
NITCARIl progetto NITCAR (Nitrogen and Carbon Balance –Strategic Project CNR) ha l’obiettivo di studiare i piùimportanti fattori determinanti il ciclo del carbonioe dell’azoto nei terreni agricoli. In particolare si ana-lizzano i processi base (dalle cellule all’ecosistema)per acquisire maggiore informazione sui meccani-smi coinvolti nella regolazione e nel controllo degliuptake di azoto e di carbonio da parte dei raccoltiagricoli e sull’equilibrio di ecosistema tra le sorgentie i pozzi di carbonio.
PianosaLABQuesto progetto è finanziato dall’Agenzia 2000 –CNR ed ha come obiettivo il monitoraggio del bilan-cio di carbonio dell’ecosistema terrestreMediterraneo dell’Isola di Pianosa. Nel progetto siusano tecnologie innovative per studiare lo scambiogassoso di vari land-uses. Sono coinvolte 4Università Italiane e 9 Laboratori del CNR.
SOMITIl progetto SOMIT (Soil Organic Matter in ItalianAgricultural soils) è finanziato dal MIUR ed ha por-tato a far lavorare congiuntamente scienziati italia-ni di varie Università (Pisa, Udine, Bologna, Padova,Perugia e Palermo) e Centri di Ricerca (Firenze,Foggia), che hanno accesso ai dati di esperimentiagronomici di lunga durata (rotazioni, schemi di fer-tilizzazione e sistemi di raccolto). Questo progettoha anche una forte componente di modellistica, cheha come scopo quello di simulare i trend di accu-
mulo di carbonio nei terreni agricoli in risposta a dif-ferenti trattamenti.
CLIMAGRIIl progetto CLIMAGRI (Cambiamenti Climatici eAgricoltura) è coordinato dall’Ufficio Centrale diEcologia Agraria di Roma ed è finanziato dal MIPAF(Ministero delle Politiche Agricole e Forestali). Vi par-tecipano unità del CNR, dell’UCEA, dell’Università edell’INGV. Gli obiettivi sono:
• definire sul piano nazionale, in termini quantitati-vi affidabili, con particolare riferimento all’agricol-tura il fenomeno delle variazioni o delle variabilitàclimatiche;
• fornire elementi di supporto per la gestione poli-tica, nazionale ed internazionale, incrementandol’oggettività delle affermazioni scientifiche italia-ne nei vari consessi interessati al problema;
• favorire una più attenta maturazione della men-talità di salvaguardia dell’ambiente;
• potenziare le strutture agro-meteorologiche edin particolare la banca dati agro-meteorologica ela sua modellistica di previsione del MIPAF.
Variabilità Naturale del Clima
Questo è un progetto coordinato dall’INGV e finan-ziato dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela delTerritorio per lo studio della variabilità naturale edegli effetti dell’aumento di CO2 con modelli disimulazione numerica globali ad alta risoluzione.
SINAPSIQuesto è un progetto integrato tra CNR, ENEA,INGV, Università, Stazione Zoologica e OGS (IstitutoNazionale di Oceanografia e di GeofisicaSperimentale) per lo studio interdisciplinare deicambiamenti climatici con un forte accento sugliecosistemi marini.
Studio per la definizione di interventi di lotta alladesertificazione in un’Area-Pilota della RegioneSiciliaQuesto progetto è stato realizzato dall’ENEA in col-laborazione con INEA (Istituto Nazionale diEconomia Agraria) nell’ambito delle attività previstedall’accordo tra ENEA e Ministero dell’Ambiente edella Tutela del Territorio. Il progetto ha elaboratosulla base dei dati disponibili a scala regionale unacarta della sensitività del territorio regionale alladesertificazione. L’analisi è stata approfonditamediante la realizzazione di consultazioni con lapopolazione di due comuni (Licata e Cammarata)attraverso la Metodologia di Laboratorio diPartecipazione Sociale. I possibili interventi di miti-gazione dei fenomeni in atto sono stati presentati e
8. La Ricerca sul cambiamento climatico e su i suoi effetti
182 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
discussi con le Autorità Comunali e Provinciali per laloro successiva attuazione
AERORGIl Progetto AERORG (Effetti climatici della compo-nente organica dell’aerosol atmosferico e delle goc-cioline di nube) finanziato da Agenzia 2000 delCNR, studia gli effetti della componente organicadell’aerosol sulle proprietà microfisiche e radiativedelle nubi. Il progetto, di natura interdisciplinare, ècoordinato dal CNR-ISAC e vi partecipano 3Università, due Istituti del CNR ed il Centro Comunedi Ricerca della Commissione Europea.
Progetti Internazionali:
PREDICATEIl progetto PREDICATE (Mechanisms andPredictability of Decadal Fluctuations in Atlantic-European Climate) è finanziato dalla UE ed in Italiavi partecipa l’INGV. Questo progetto cerca di soddi-sfare la necessità di maggiore comprensione delleinterazioni oceano-atmosfera e la richiesta dimigliori previsioni delle fluttuazioni climaticheAtlantiche-Europee a scala decadale.
DEMETERIl progetto DEMETER (Development of a Europeanmulti-model ensemble system for seasonal to interan-nual prediction) è finanziato dalla UE ed in Italia vi par-tecipa l’INGV. DEMETER ha come principale obiettivoquello di sviluppare un ensemble multi-modelEuropeo per previsioni climatiche stagionali ed inte-rannuali. In particolare si produrrà un set di ensemblehindcasts del multi-model usando i dati di ri-analisi perl’inizializzazione e per la convalida. Quest’ultimaincluderà anche una verifica della predicibilità dell’ElNino e dell’Oscillazione Nord Atlantica, e di altri ele-menti stagionali meteorologici in Europa. I dati pro-dotti dal progetto saranno usati come input in model-li applicativi per previsioni di distribuzioni di probabili-tà di rendimento dei raccolti agricoli in Europa e l’in-cidenza di malattie nell’Africa Tropicale.
EARLINETIl progetto EARLINET (A European AerosolResearch Lidar Network to Establish an AerosolClimatology), finanziato dalla UE, ha prodotto undata base statistico delle distribuzioni orizzontali everticali di aerosol su scala continentale medianteun network di stazioni di advanced laser remotesensing localizzate su quasi tutta l’Europa. L’usodi questi dati potrà contribuire in maniera signifi-cativa alla quantificazione delle concentrazioni diaerosol, delle proprietà radiative, al trasporto alarga scala, al budget ed alle previsioni dei trendfuturi. In questo progetto partecipano per l’Italial’Università degli Studi dell’Aquila, e l’INFM
(Istituto Nazionale per la Fisica della Materia) diLecce, Napoli e Potenza.
FUTURE-VOCQuesto progetto è finanziato dal V ProgrammaQuadro della EU–Energy, Environment andSustainable Development. L’obiettivo e di prevede-re i mutamenti nella emissione di composti organicivolatili (volatile organic compounds – VOCs) daparte della vegetazione in risposta ai mutamenti cli-matici ed all’aumento della concentrazione di CO2
nell’atmosfera.
CARBOEUROFLUX Il progetto CarboEuroflux è un progetto finanziatodalla UE e fa parte del cluster di progettiCarboEurope, che ha l’obiettivo di quantificare ilbilancio del carbonio del continente Europeo, inclu-sa l’Eurasia e l’Amazzonia. Il progetto CarboEurofluxsi basa su 30 stazioni di monitoraggio in continuodei flussi di CO2, vapore acqueo ed energia in diver-si ecosistemi europei. In Italia la rete di monitoraggio(Fig. 18) è attiva dal 1996, ed è previsto il suo fun-zionamento fino al 2003 (sono in corso richieste difinanziamento per il prolungamento fino al 2008). InItalia vi sono 7 stazioni permanenti su tipologie fore-stali rappresentative del nostro Paese. In aggiunta 2stazioni sono in installazione per l’anno 2002 su eco-sistemi a prateria nelle Alpi ed Appennino centrale. Iparametri raccolti riguardano i flussi di carbonio travegetazione ed atmosfera ed i parametri meteo-cli-matici ed ecologici necessari alla loro interpretazio-ne. Sono disponibili i dati della serie storica 1996 –1999 su CD-ROM.
CONECOFORIl progetto CONECOFOR (Controllo EcosistemiForestali) è finanziato dalla UE, ed il MIPAF è ilresponsabile italiano. Le aree permanenti, gestitedirettamente dagli Uffici Periferici del CorpoForestale dello Stato o in collaborazione conAmministrazioni Locali, comprendono ognunasuperfici di 10-100 ettari, al cui interno sono pre-senti due parcelle di studio di 5.000 m2. Le speciedominanti principali sono il faggio Fagus sylvatica(10 aree), il cerro Quercus cerris (5), l’abete rossoPicea abies (6), il leccio Quercus ilex (4), la rovereQuercus petraea (1) e la farnia Quercus robur (1). Larete italiana EU/ICP Forests (Fig. 19) è stata realizza-ta nel 1995, anno di installazione delle prime 20aree; nel 1998 sono state compiutamente installatealtre 4 aree, seguite dall’ultima nel 2000, mentre leultime 2 sono in corso di installazione così da per-venire ad una rete nazionale di 27 aree. Dal 1997,le aree dove si svolgono le indagini più avanzate(10) fanno parte anche della rete ICP-IM: si trattadei siti dove sono attive le ricerche più impegnativeed onerose, tra quelle più interessanti per il rag-
8. La Ricerca sul cambiamento climatico e su i suoi effetti
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 183
giungimento degli scopi del programma a lungotermine. Altri 3 siti, installati e gestiti a partire dal1992/3 dalle Amministrazioni Provinciali Autonomedi Bolzano e Trento in modo indipendente dalMIPAF, si affiancano alle 10 aree CONECOFOR,portando a 13 il numero di siti italiani della reteinternazionale ICP-IM.
RECABRECAB (Regional Assessment of Carbon Balancewithin Europe) è un progetto che ha come obietti-vo l’uso di nuove tecniche per misurare e simularei flussi di CO2 a scala regionale. Si usa lo SkyArrows ERA (Environmental Research Aircraft), unnuovo ed innovativo aereo capace di misurare iflussi superficiali mediante la tecnica airborne eddycovariance. La piattaforma ERA è stata sviluppataall’interno di una collaborazione tra NOAA-ATDD(USA), IB-CNR (Firenze) ed una compagnia privata(Iniziative Industriali Italiane, Roma).
PRISMQuesto è un progetto finanziato dalla UE per sta-bilire una rete europea di sviluppo ed integrazionedei modelli numerici globali. Partecipa per l’Italial’INGV.
MEDACTIONIn questo progetto partecipa per l’Italia l’INEA.MEDACTION svilupperà un supporto di informa-zione e decisioni riguardo temi legati alla desertifi-cazione nel Nord Mediterraneo per assistere i poli-tici (dai locali al livello Europeo) nei processi didecisione. L’output di MEDACTION sarà il risultatodi un dialogo tra diversi entità sociali. Questosignifica che il processo di progettazione di scena-ri di land use change, di opzioni di gestione e dipolitiche coinvolgerà la partecipazione di un vastonumero di politici.
MWISEDIl progetto MWISED (Modelling within-storm soilerosion dynamics), coordinato dal CNR-IGES(Firenze), è stato sviluppato da 8 unità di ricerca, dicui 3 in Italia, ed ha studiato processi di erosioneidrica del suolo che possono accelerare la desertifi-cazione e che, in una situazione di cambiamento cli-matico o situazioni di particolare gestione ed uso delsuolo possono divenire non sostenibili. Le analisi discenario (con uso combinato di uno dei due modellidi erosione del suolo e del modello generatore dipiogge) rappresentano uno strumento di supportotecnico per pianificare controlli, effettuare scelte diuso e gestione del territorio, o valutazione della vul-nerabilità del suolo ai cambiamenti climatici. I risultati ottenuti dal progetto sono in parte riassu-mibili nella serie di miglioramenti introdotti in duemodelli di valutazione dell’erosione (EUROSEM e
EUROWISE), in un applet Java (SEI) per la stima delleprincipali caratteristiche fisiche ed idrologiche delsuolo in base a caratteri pedologici di facile reperibi-lità, e di un modello di simulazione di eventi piovosiper analisi di scenario. I modelli di erosione utilizzatilavorano sul singolo evento di pioggia e si prestanoalla valutazione dell’impatto di opere di prevenzionee di conservazione a scala di dettaglio (piccoli bacini,bacino-versante, campo). Quanto sviluppato si basasu dati raccolti in tutta Europa (dal Regno Unito, allaSpagna ed all’Italia). In particolare, i nuovi algoritmiintrodotti nei modelli citati si basano su relazioni svi-luppate anche in ambienti semi-aridi e verificate inItalia (Toscana e Sicilia).
MEDRAPIl progetto MEDRAP, Azione Concertata dellaCommissione Europea, ha l’obiettivo di fornire unsupporto scientifico alla preparazione di unProgramma Regionale di lotta alla desertificazionedei paesi del Nord Mediterraneo. Il progetto ècoordinato dall’Università di Sassari.
PREDESODIIl progetto PREDESODI (Integrated approach forsustainable management of irrigated lands suscep-tible to degradation/desertification), coordinatodall’Università di Palermo, si prefigge di valutare ilrischio di salinizzazione e desertificazione in areeirrigue ove vengono impiegate acque con elevatilivelli di salinità in terreni argillosi, suscettibili allaformazione di crepacciature. Il progetto è basatosulla realizzazione di campagne di misura finaliz-zate ad individuare le aree a rischio, e a determi-nare tutta una serie di parametri e di grandezzenecessarie per la validazione di modelli fisicamen-te basati utilizzabili per la previsione del rischio disalinizzazione e per la messa a punto di scenari digestione idonei a minimizzare tale rischio.
DESERTLINKIl progetto DESERTLINK è un progetto finanziatodalla UE cui partecipa per l’Italia l’Università dellaBasilicata, che si prefigge di rivedere e migliorarel’uso degli indicatori di desertificazione, sviluppare edocumentare un data base di indicatori attualmen-te impiegati, selezionare ed applicare nelle areepilota indicatori di desertificazione. L’area pilota ita-liana è il Bacino dell’AGRI (Basilicata). Nel progettoverranno attuate forme di partecipazione degli atto-ri locali per individuare metodi di gestione del terri-torio idonei a combattere la desertificazione.
WEYBURNIl progetto WEYBURN è un progetto finanziatodalla UE ed ha come partner Italiano l’INGV diRoma, in qualità di responsabile del pacchetto dilavoro groundwater and soil surveys. Il progetto è
8. La Ricerca sul cambiamento climatico e su i suoi effetti
184 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
Figura 1 - Proporzione di giorni secchi invernali per le sei regioni della penisola italiana. le medie suiperiodi 1951-1980 e 1981-2000 sono indicate dalle linee tratteggiate (Brunetti et al., 2001). L’aumentoe’ più marcato per le aree settentrionali (NW, NEN, NES), corrispondenti alla valle padana e all’arco alpi-no, meno pronunciato per il meridione (SO) e per il centro (CE), assente nelle isole (IS).
svolto anche in collaborazione con l’Università “LaSapienza” di Roma, l’INGV di Napoli e l’Università“Ca Foscari” di Venezia. Il progetto è focalizzato allostudio della sequestrazione di CO2 durante l’enhancedoil recovery (EOR) a Weyburn (Saskatchewan,Canada), e il ruolo che può avere questa sequestra-zione di CO2 nella riduzione delle emissioni dei gas adeffetto serra. Inoltre cerca di promuovere una mag-
giore collaborazione internazionale riguardo la ricercanel campo del carbon management.
Accordo Bilaterale Italia-USANell’ambito dell’Accordo Bilaterale Italia-USA siattuerà una cooperazione nella ricerca scientificasulla variabilità climatica, le sue incertezze ed impli-cazioni ecologiche, sanitarie e tecnologiche.
8. La Ricerca sul cambiamento climatico e su i suoi effetti
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 185
Figura 2 - Frequenza di precipitazioni annuali per la classe di precipitazione superiore a 25 mm di piog-gia al giorno nell’Italia del Nord. (Brunetti et al., 2000)
Figura 3 - Medie mobili centrate di ordine 12 dei valori medi mensili delle concentrazioni di fondodel CO2 e CH4. Il tasso di crescita medio mensile è calcolato mediante una regressione lineare (dallaStazione di monitoraggio al Plateau Rosa, CESI).
MEDIE MOBILI CENTRATE DI ORDINE 12
8. La Ricerca sul cambiamento climatico e su i suoi effetti
186 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
Figura 4 - Medie mensili di ozono totale misurate alla stazione 201 di Sestola dal Servizio Meteorologicodell’Aeronautica Militare.
Figura 5 - Andamento della concentrazione di CO2 osservata a Lampedusa dal 1992 al 2000 sulla base dicampionamenti settimanali. La variabilità settimanale è principalmente dovuta all’origine delle massed’aria al momento del campionamento. Si nota un’evidente oscillazione annuale di circa 10 ppm diampiezza, dovuta al ciclo fotosintetico, ed una crescita progressiva della concentrazione ad un tasso dicirca 1.5 ppm/anno. Il tasso di crescita è fortemente influenzato da fenomeni a larga scala, quali ElNiño/Oscillazione meridionale, e l’oscillazione Nord Atlantica.
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8. La Ricerca sul cambiamento climatico e su i suoi effetti
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 187
Figura 6 - Grafico in basso: spettri di irradianza ultravioletta misurati a Lampedusa il 18 e il 27 Maggio1999 in condizioni di cielo sereno ad un angolo zenitale solare di 60°, con valori di ozono totalerispettivamente di 347 e 294 unità Dobson. Lo spessore ottico degli aerosol a 415 nm era di 0.65 il 18Maggio, quando erano presenti polveri Sahariane, e di 0.23 il 27 Maggio, quando le masse d’ariaprovenivano da Nord. Grafico in alto: rapporto tra lo spettro del 27 e quello del 18 Maggio. Le dif-ferenze tra i due spettri a lunghezze d’onda minori di circa 320 nm sono dovute all’ozono, e sonodovute agli aerosol a lunghezze d’onda maggiori. I due effetti si compensano nella regione attornoa 315 nm. Appare evidente l’influenza degli aerosol sulla radiazione ultravioletta.
8. La Ricerca sul cambiamento climatico e su i suoi effetti
188 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
Figura 7 - Differenza in temperatura superficiale marina (SST) globale tra la simulazione con con-centrazione atmosferica raddoppiata di CO2 e la simulazione con concentrazione attuale (simu-lazioni effettuate dall’Unità Climatologia Dinamica dell’INGV). Grafico in basso: estate. Grafico inalto: inverno.
Differenza in temperatura superficiale marina globale in inverno
Differenza in temperatura superficiale marina globale in estate
8. La Ricerca sul cambiamento climatico e su i suoi effetti
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Figura 8 - Differenza in temperatura superficiale marina (SST) dell’area Europea e Mediterranea trala simulazione con concentrazione atmosferica raddoppiata di CO2 e la simulazione con concen-trazione attuale (simulazioni effettuate dall’Unità Climatologia Dinamica dell’INGV). Grafico inbasso: estate. Grafico in alto: inverno.
Differenza in temperatura superficiale marina nell’area europea mediterranea in inverno
Differenza in temperatura superficiale marina nell’area europea mediterranea in estate
8. La Ricerca sul cambiamento climatico e su i suoi effetti
190 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
Figura 9 - Differenza in precipitazione totale globale tra la simulazione con concentrazione atmos-ferica attuale di CO2 e la simulazione con concentrazione raddoppiata (simulazioni effettuatedall’Unità Climatologia Dinamica dell’INGV).
Differenza in precipitazione totale globale in inverno (cm/anno)
Differenza in precipitazione totale globale in estate (cm/anno)
8. La Ricerca sul cambiamento climatico e su i suoi effetti
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 191
Figura 10 - Differenza in precipitazione totale dell’area Europea e Mediterranea tra la simulazione conconcentrazione atmosferica attuale di CO2 e la simulazione con concentrazione raddoppiata (simu-lazioni effettuate dall’Unità Climatologia Dinamica dell’INGV).
Differenza in precipitazione totale globale nell’area europea mediterranea in inverno (cm/anno)
Differenza in precipitazione totale globale nell’area europea mediterranea in estate (cm/anno)
8. La Ricerca sul cambiamento climatico e su i suoi effetti
192 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
Figura 11 - Precipitazione media per il periodo giugno-agosto (mm/day) per il modello ECHAM4 a riso-luzione T30 e T106, e per le osservazioni di Xie and Arkin (1996).
8. La Ricerca sul cambiamento climatico e su i suoi effetti
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 193
Figura 12 - DMI (Dynamical Monsoon Index) e EIMR (Extended Indian Monsoon Rainfall) per ilmodello (ECHAM4 con risoluzione T106) in unità di deviazioni standard.
8. La Ricerca sul cambiamento climatico e su i suoi effetti
194 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
Figura 13 - Precipitazioni mediate sul periodo gennaio-aprile (mm/day).
8. La Ricerca sul cambiamento climatico e su i suoi effetti
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 195
Figura 14 - Precipitazione L19 (cerchi), L31 (quadri) ed ERA15 (linea continua).
District mean 60E - 150E JFMA
8. La Ricerca sul cambiamento climatico e su i suoi effetti
196 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
Figure 15 - Accordo tra i diversi modelli nei mutamenti regionali di temperatura per gli scenari A2e B2.
8. La Ricerca sul cambiamento climatico e su i suoi effetti
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 197
Figura 17 - Saturazione dell’ossigeno sul fondo secondo le simulazioni del modello ecologico del NordAdriatico forzato da una simulazione di controllo (linea tratteggiata) e da una di scenario (linea solida).Si può notare l’impoverimento del contenuto di ossigeno nel caso dello scenario serra.
Figure 16 - Accordo tra i diversi modelli nei mutamenti regionali di precipitazione per gli scenari A2 eB2.
Anni
8. La Ricerca sul cambiamento climatico e su i suoi effetti
198 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
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Figura 18 - Siti Italiani del progetto CARBOEUROFLUX.
8. La Ricerca sul cambiamento climatico e su i suoi effetti
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 199
Figura 19 - Localizzazione geografica delle aree permanenti della Rete Nazionale CONECOFOR (inverde: siti ICP-IM; in grigio: aree in corso di installazione).
˚Red fir wood: boreal forest with whitewood (Picea abies) 06 aree (spruce forest)
Beechwood: Sub-Atlantic forest with copper beech trees (Fagus Sylvatica) 10 aree (beech forest)
Wood of Turkey oaks: mid-European forest with bitter oaks (Quercus cerris) 05 aree (Turkey oak forest)Oak-wood: acidophilous forest with sessile oaks (Quercus petraea) 02 aree (sessile/European oak forest)
Holm-oak wood: Mediterranean forest with live oaks (Quercus ilex) 04 aree (holm oak forest)
Pecceta foresta boreale a Picea abies 06 aree (spruce forest)Faggeta foresta sub-atlantica a Fagus sylvatica 10 aree (beech forest)Cerreta foresta medio-europea a Quercus cerris 05 aree (Turkey oak forest)Querceta foresta acidofila a Quercus petraea/robur 02 aree (sessile/European oak forest)Lecceta foresta mediterranea a Quercus ilex 04 aree (holm oak forest)
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 201
9. Informazione, formazione e partecipazione
9.1 L’EDUCAZIONE AMBIENTALE IN ITALIA
Il documento programmatico Agenda 21, prodot-to durante la Conferenza di Rio de Janeiro nel1992, ha configurato l’educazione ambientalecome educazione allo sviluppo sostenibile qualestrumento in grado di spiegare le interrelazioni tral’ambiente e le attività antropiche (l’economia, ilcommercio, la produzione agricola ed industriale,il turismo). Nella gestione dei problemi ambientalientrano in gioco fattori storici, economici e socia-li. Pertanto, per consentire una lettura complessivadell’ambiente, è necessario ricorrere all’apportointegrato di diversi approcci disciplinari, utili allacomprensione della interdipendenza tra ambientefisico e ambiente sociale.Il principale obiettivo dell’educazione ambientale ècreare un modello culturale di riferimento nuovo,orientato allo sviluppo sostenibile, che fornisca glistrumenti che aumentino assunzioni di responsabi-lità del cittadino rispetto all’ambiente.I processi formativi, sia nel mondo della scuola maanche degli adulti, rivestono un ruolo importantenel determinare i comportamenti ecocompatibilidei soggetti che agiscono ai diversi livelli politici,economici e sociali e nel promuovere indirizzi digoverno e processi di produzione e di consumo piùsostenibili.In particolare, gli insegnamenti ambientali devonoessere applicati a contesti reali e quindi l’educazio-ne scolastica deve instaurare un forte collegamen-to con il territorio, rivolgendosi principalmente allostudio delle problematiche della realtà locale che èparte del vissuto degli studenti. L’attenzione allivello locale, ovviamente, deve essere consideratacome un primo passo per fornire agli studenti lecapacità interpretative e critiche per comprenderele condizioni ambientali delle diverse aree geogra-fiche.
Accanto ai processi formativi devono essere presiin considerazione anche il mondo dell’informazio-ne e della comunicazione che sono strumenti car-dine per promuovere programmi e/o meccanismiper aumentare la consapevolezza del cittadino difronte alle nuove sfide ambientali.Il ruolo dei media appare tanto più importante allaluce delle più recenti tendenze politiche dellaUnione Europea, che trovano espressione nei trat-tati internazionali, volte al raggiungimento di unmodello politico di governance quale sistema allar-gato di governo catalizzatore delle risorse e dellecapacità dei membri della comunità che richiedeuna maggiore partecipazione di tutte le parti inte-ressate. Ciò permette di giungere a soluzioninegoziate che tendono ad essere più eque di quel-le tradizionali poiché a tutti gli interessi è fornitauna condizione di parità nell’accesso alle informa-zioni ed ai processi decisionali.In questo contesto la Convenzione di Aarhus(Convenzione sull’accesso all’informazione, lapartecipazione pubblica nei processi decisionali el’accesso alla giustizia in tematiche ambientali)rappresenta un concreto strumento internaziona-le per l’implementazione dei principi di gover-nance.
9.2 LE ATTIVITÀ DELLA PUBBLICAAMMINISTRAZIONE
9.2.1 LA DELIBERA CIPE 21/12/99
La Delibera CIPE (n. 218/99 del 21/12/1999), cheha come oggetto la definizione di un piano perl’informazione ambientale nel campo dei cambia-menti climatici, non ha effettivamente ancora tro-vato attuazione in quanto faceva parte di un "pac-chetto" di programmi ed azioni collegate allaattuazione del Protocollo di Kyoto in Italia, attual-
a cura di: Gaetano Borrelli (ENEA), coordinatore, Daniela Antonietti (APAT), Daniela Bertuzzi (ENEA), Astrid Raudner(APAT), Caterina Vinci (ENEA)
9. Informazione, formazione e partecipazione
202 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
mente in fase di definizione a seguito degliAccordi di Marrakech.In particolare, la Delibera CIPE identifica le iniziati-ve prioritarie del Programma Nazionale per l'infor-mazione sui cambiamenti climatici per il triennio1999-2001:
1. Presentazione e diffusione del "Secondo rap-porto dell'IPCC sullo stato del clima (SAR)"
2. Presentazione e diffusione del Protocollo diKyoto e dei programmi e delle decisionidell'Unione Europea per la sua attuazione
3. Presentazione e diffusione della "Secondacomunicazione nazionale dell'Italia allaConvenzione Quadro sui cambiamenti climati-ci" e della delibera CIPE del 19/11/1998 "Lineeguida per le politiche e misure nazionali di ridu-zione delle emissioni dei gas serra"
4. Presentazione e diffusione del "Programmanazionale per la valorizzazione delle biomasseagricole e forestali", del "Libro bianco per lavalorizzazione energetica delle fonti rinnovabi-li" e del "Libro bianco per la mobilità sostenibi-le", secondo quanto previsto ai punti 2.3, 2.4 e2.5 della delibera CIPE del 19/11/1998
5. Diffusione delle informazioni scientificheriguardanti la vulnerabilità dell'Italia rispettoagli scenari climatici futuri
6. Diffusione delle informazioni relative all'effi-cienza energetica dei processi industriali e deiprodotti e negli usi finali in particolare per:
a) Produzione e distribuzione dell'energia elettrica,termica anche da biomasse
b) Standard di efficienza di elettrodomestici, siste-mi di illuminazione, impianti di condizionamen-to e riscaldamento
c) Efficienza delle diverse modalità di trasporto,nonché standard di efficienza specifica degliautoveicoli e dei motoveicoli/ciclomotori
d) Efficienza delle diverse modalità di recupero esmaltimento dei rifiuti.
7. Promozione di programmi di informazione loca-le finalizzati alla diffusione delle migliori prati-che e tecniche di risparmio energetico degliEnti locali.
In particolare, la delibera affida al Ministerodell'Ambiente l'attuazione di tali azioni, che dove-vano concludersi entro il 2000, mediante:
• l'organizzazione di un Centro servizi, pressol'ENEA, per la predisposizione e distribuzione dimateriale informativo in lingua italiana, suddivi-sa per tipologia di destinatari d'intesa con ilMIUR;
• la presentazione e la diffusione dei testi nelle
scuole medie inferiori, superiori e nelle univer-sità entro il 30/5/2001;
• la promozione di programmi di comunicazioneattraverso stampa, radio e televisione, median-te accordi volontari con le imprese editoriali econ i network televisivi e radiofonici, e nei con-fronti anche di settori selezionati di pubblico;
• coordinamento delle iniziative di cui ai punti 5,6, 7, d'intesa con il Ministero dell'Industria e delMIUR, anche attraverso la stipula di accordi diprogramma con le Università, gli Enti di ricerca,le Regioni e gli Enti locali e territoriali, le Impreseprivate, le Ong.
9.2.2 LE ATTIVITÀ DEL MINISTERO DELLAPUBBLICA ISTRUZIONE
I corsi formativi, per la formazione del personalescolastico, vengono organizzati a livello regionale,provinciale e dai singoli istituti scolastici e la lororealizzazione, per la maggior parte viene affidata adEnti accreditati dal Ministero dell’Istruzione, esternialla scuola, ad esempio, nel 2001 il ComitatoTecnico Nazionale ha redatto un elenco provvisorioin cui vengono indicati 89 enti accreditati (solamen-te 2 prevedono, però, un ambito disciplinare relati-vo agli aspetti ambientali). Pertanto non è disponi-bile presso la Direzione Generale formazione edaggiornamento del Ministero il numero complessivodei corsi effettuati, ed in particolare i corsi di carat-tere ambientale. E’ eventualmente possibile avereattraverso una ricerca sui siti Internet degli UfficiScolastici Regionali e Provinciali e contattando diret-tamente gli istituti scolastici. Tale situazione rispon-de a quanto indicato dalla Direttiva n. 143 delMinistero dell’Istruzione sulla Formazione del perso-nale scolastico per il 2001 che sottolinea l’impor-tanza dei processi di aggiornamento e formazionedel corpo docente, soprattutto nell’attuale fase disviluppo della autonomia didattica, organizzativa edi ricerca. Le attività formative devono essere svoltetenendo conto dell’autonomia funzionale e deldecentramento istituzionale. In tale contesto,l’Amministrazione centrale svolge solamente fun-zioni di coordinamento e diffusione di nuove tipo-logie formative e di sussidio per progetti pilotasvolti anche a livello periferico.Per ciò che concerne più specificamente i corsi sutematiche ambientali, il Ministero dell’Ambienteha riconosciuto le attività formative ed educativesvolte da numerose associazioni ambientaliste ine-renti a tematiche quali: la biodiversità, l’educazio-ne alla cittadinanza ed alla sostenibilità dello svi-luppo, l’impegno per il clima e la lotta all’inquina-mento.Tali attività sono state raccolte nell’“Archivionazionale di educazione ambientale” (ANDREA)
9. Informazione, formazione e partecipazione
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 203
sviluppato nell’ambito dell’accordo di programmatra il Ministero dell’Ambiente ed il Ministero dellaPubblica Istruzione stipulato nel 1987 e rinnovatonel 1996.Si deve tuttavia sottolineare che fermo restandol’autonomia dei Provveditorati, non esiste da partedel Ministero della Istruzione una politica di coin-volgimento degli insegnanti che sarebbe utilissima.La scuola potrebbe essere al centro di iniziative perla diffusione di comportamenti ecoconsapevolianche nelle famiglie attraverso il coinvolgimentodiretto degli studenti guidati dagli insegnanti adesempio nella rilevazione degli sprechi energetici enella correzione dei comportamenti non compati-bili.Questi obiettivi dovrebbero essere al centro delProtocollo di intesa tra Ministero dell’Ambiente eMinistero dell’Istruzione.
9.2.3 ATTIVITÀ DELLE AMMINISTRAZIONICENTRALI E LOCALI
Allo stato attuale le iniziative tese alla informazio-ne del pubblico sui cambiamenti climatici sono dicarattere sporadico e affidate principalmente aassociazioni ambientaliste o organizzazioni diComuni attive sul territorio. Manca un vero coor-dinamento che stabilisca gli obiettivi della infor-mazione e permetta lo scambio delle esperienze incorso.Iniziative interessanti promosse dal Ministerodell’Ambiente, come la campagna “Comuni con-tro l’Effetto Serra”, non sono state oggetto dicampagne di comunicazione, anche se finanziate,e ciò ne ha ridotto fortemente il potenziale.
Da parte loro le Regioni, le Province, Comuni e icosiddetti Enti intermedi (Comunità montane, Entiparco, Autorità di bacino) dovrebbero impegnarsi,come organismi più vicini al cittadino, a favorireuna ampia partecipazione al dibattito e alle sceltespecifiche che influenzano a livello locale le emis-sioni di gas serra con proposte anche di cambia-menti negli stili di vita e nell’economia che segua-no in ogni caso le vocazioni territoriali che questiEnti meglio di tutti dovrebbero conoscere.
9.2.4 ALCUNE INIZIATIVE DI ANPA ED ENEA
La Banca Dati Gelso
ANPA ha messo a punto la Banca Dati GELSO -Gestione Locale per la Sostenibilità ambientale.GELSO risponde all’esigenza di avere a disposizio-ne una banca dati on line sulle buone pratiche perla sostenibilità locale che sia un efficace strumen-
to di lavoro per le Pubbliche Amministrazioni, leImprese, le Associazioni Ambientaliste, i tecnici, iconsulenti ambientali, i cittadini e comunque pertutti coloro che siano interessati a quanto di inno-vativo si sta facendo nel campo dello SviluppoSostenibile. Gelso intende promuovere le buonepratiche agendo come stimolo ed incentivo per unpercorso verso lo sviluppo sostenibile locale, soste-nendo il cambiamento, la partecipazione, l’inte-grazione, la programmazione e pubblicizzando iprogetti innovativi che hanno raggiunto obiettividi sostenibilità; può inoltre presentare un nuovomodo di intendere l’amministrazione della cosapubblica e costituire un’occasione per future part-nership tra città o attori locali. La Banca Dati Gelsocostituisce quindi un importate veicolo per diffon-dere le iniziative e le attività svolte per il clima.
Il Museo Vivo delle Tecnologie per l’Ambiente
L’ENEA tra le attività rivolte a promuovere l’au-mento della consapevolezza del pubblico rispettoai cambiamenti climatici, ha realizzato il primomuseo dedicato al clima ad Arenzano, che è statoinaugurato nel 2002.Il Museo Vivo delle Tecnologie per l’Ambiente èuna struttura innovativa che consente di visitare lediverse sezioni espositive lungo un percorso alta-mente interattivo, ideato per intrattenere il pubbli-co con giochi multimediali, esperimenti e proiezio-ni avvincenti.L’ENEA, che ha fornito il suo apporto tecnico-scientifico alla realizzazione della sezione “i climi,le energie”, ha contribuito a questa impostazioneinnovativa del Museo con l’obiettivo di facilitarel’avvicinamento e l’interesse del pubblico a temati-che spesso considerate difficili e poco comprensi-bili, come la questione energetico-ambientale,riuscendo a coniugare divertimento e apprendi-mento, in modo da riproporre all’attenzione ditutti un tema cruciale per il nostro futuro.La finalità è di spiegare al grande pubblico i cam-biamenti climatici e la questione energetica coin-volgendolo, in modo da facilitare l’acquisizione diuna conoscenza critica delle dinamiche e dei feno-meni ambientali ma anche una maggior consape-volezza delle diverse responsabilità individuali ecollettive.
9.3 LE ATTIVITÀ DELLEORGANIZZAZIONI NON GOVERNATIVE
Nel campo dell’informazione e della partecipazionedel cittadino alle scelte che riguardano le azioni permitigare gli effetti del cambiamento climatico, unaserie di attività sono svolte dalle Organizzazioni Non
9. Informazione, formazione e partecipazione
204 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
Governative e da organizzazioni, operanti in Italiacome diretta emanazione di associazioni che si occu-pano in generale di ambiente, nate con il proposito diaumentare la consapevolezza del cittadino nei con-fronti dei cambiamenti climatici.Il rafforzamento e il finanziamento, anche sotto formadi fornitura di expertise, per campagne di sensibilizza-zione sul modello di quelle svolte da ICLEI, Alleanzaper il clima e Coordinamento Agenda 21 locale, appa-re necessario.D’altra parte la definizione di programmi mirati alrisparmio energetico, al tema dei sink e al cambia-mento degli stili di vita con obiettivi precisi e comuni-cabili appare necessaria specie da parte delleAssociazioni ambientaliste. Si tratta di creare unasinergia tra questi programmi e gli obiettivi generaliche saranno definiti ai fini dell’attuazione delProtocollo di Kyoto.
9.3.1 ATTIVITÀ DI EDUCAZIONE E SENSIBILIZZAZIONE DELLE ASSOCIAZIONIAMBIENTALISTE
Le principali associazioni ambientaliste hanno daanni posto il clima al centro delle loro azioni.L’impronta ecologia promossa dal WWF, ad esem-pio, pur avendo come obiettivo “il calcolo delladisponibilità ambientale per cittadino”, di fattotrattava argomenti relativi all’energia e al consumoenergetico che sono certamente fattori determi-nanti per l’aumento dell’effetto serra.Legambiente propone, invece, un nuovo modellodi politica energetica che tende a razionalizzare iconsumi e ad utilizzare fonti alternative. La conse-guenza di queste azioni ha un’ovvia ricaduta sulladiminuzione dei gas serra.Gli Amici della Terra hanno in corso azioni su duefronti: da una parte creare una rete che agisca sulsistema educativo e dall’altra parte proporre misu-re che limitino il consumo di energia.I paragrafi che seguono sono sintesi di interventi chie-sti direttamente ai responsabili delle associazioni.
9.3.1.1 WWF Italia
Sul tema dei cambiamenti climatici, nel periodo1999-2001, il WWF Italia, nell’ambito della ClimateChange Campaign del WWF Internazionale, ha svi-luppato le seguenti iniziative di sensibilizzazione:22 Ecoconsigli in GIRO per migliorare l’aria:Camper al seguito del Giro d’Italia 1999, con dis-tribuzione di un opuscolo contenente 22 consigliper ridurre il proprio impatto personale sul clima.Gli eco-consigli, uno per ogni tappa del Giro, veni-vano pubblicati sulla Gazzetta dello Sport ed espo-sti durante la quotidiana trasmissione radiofonicaRAI.Cambiamo aria al clima, percorsi educativi verso un
futuro sostenibile: materiale di educazione ambienta-le per ragazzi di scuola elementare e media, compo-sto da un quaderno per i ragazzi ed uno per gli inse-gnanti (1999).Campagna con Federtrasporti sulla mobilità sostenibi-le: campagna pubblicitaria con affissione sugli auto-bus di alcune città italiane per incentivare l’uso delmezzo di trasporto pubblico (1999, 2000, 2001).Mostra sui cambiamenti climatici: 8 pannelli: La situa-zione, La temperatura terrestre, Cosa sta accadendooggi?, Da dove proviene l’energia che utilizziamo, Gliimpatti, Scenari diversi, Gli ecosistemi in pericolo, Lerisposte. La mostra è consultabile sul sito www.wwf.it(2001).Pianeta Serra, un’agenda per l’azione: opuscolo suicambiamenti climatici distribuito in diverse manifesta-zioni pubbliche. (2001)Inserto sul quotidiano la Repubblica: prima del COP6di Bonn (Luglio 2001)Campagna cartoline: cartoline inviate al Presidente delConsiglio per chiedere la ratifica del Protocollo diKyoto. (2001)Il futuro del pianeta non mandiamolo in fumo:Campagna di manifesti stradali, luglio 2001Petizione: per sollecitare la ratifica del Protocollo diKyoto; le firma vengono raccolte anche nel sitowww.wwf.it (2001)Cambiamenti climatici ed eventi meteorologici estre-mi: di P.Vellinga, W.J. van Verseveld. Dossier pubbli-cato come inserto della rivista Attenzione, n. 20, gen-naio 2001.Sale la febbre del pianeta: Sintesi del III Rapportodell’IPCC pubblicato come Dossier inserito nella rivistaAttenzione, n.22, luglio 2001, distribuito anche sepa-rato dalla rivista.Nel 2002 l’associazione ha previsto le seguenti inizia-tive:Banca del Clima: Istituzione di una struttura ope-rativa in grado di coinvolgere le istituzioni, gli entilocali, le aziende e le famiglie italiane per contri-buire a ridurre le emissioni di gas serra e fronteg-giare i cambiamenti climatici. All’iniziativa in fasedi progettazione hanno già aderito importantiimprese nazionali del settore energetico.Fondo etico per il clima: istituzione di un fondo diinvestimento riguardante aziende ed attività checonsentano significative riduzioni delle emissioni digas serra. In avanzato stato di progettazione.Seminario sugli effetti negativi sul clima del pro-cesso di liberalizzazione dell’energia: da svolgersiin collaborazione con il CNEL, sulla base di un rap-porto commissionato European Policy Office delWWF all’Ecoistituto di Friburgo.Rapporto su Clima ed Energia: che verrà pubblica-to entro giugno 2002.Iniziative di sensibilizzazione a sostegno delle fontirinnovabili di energia Campagna Kyoto: campagnainternazionale del WWF per sensibilizzare cittadini
9. Informazione, formazione e partecipazione
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 205
ed istituzioni sulla necessità di una pronta ratificadel Protocollo di Kyoto (prima metà del 2002).
9.3.1.2 Legambiente
Le azioni di Legambiente per una politica orienta-ta alla salvaguardia del clima e dell’ambiente sonostate molte in questi ultimi anni. Alcune di esse,come “Fermare l’effetto serra, curare la febbre delpianeta” e la petizione ad essa collegata e inviataal G8 di Genova del Luglio 2001, erano assoluta-mente mirate.Il raggiungimento degli obiettivi proposti dalProtocollo di Kyoto è ricaduto (e ricade) comunque“a pioggia” anche su campagne meno specifiche,come TrenoVerde, Mal’Aria, Salvalarte, Acquepulite.Vanno sottolineati, inoltre, il costante monitorag-gio dell’azione politica e la continua denunciadelle azioni parlamentari e governative che vannocontro gli obiettivi del Protocollo. Denunce che -evidentemente - non sempre provocano una mar-cia indietro ma che almeno assolvono ad un com-pito primario: quello di sensibilizzare il mondo del-l’informazione sull’argomento.
Di seguito vengono sintetizzate le azioni a soste-gno del clima e del Protocollo.
Campagna clima e povertà
La campagna si articola in iniziative d’informazio-ne, giornate di mobilitazione, azioni concrete disolidarietà. La campagna ha lo scopo di diffonde-re informazioni sulle conseguenze dei cambiamen-ti climatici. L’aumento dell’effetto serra e il rischioconseguente di mutamenti climatici sono forte-mente intrecciati con la povertà e il sottosviluppo.I Paesi poveri sono all’origine di una piccola quotadelle emissioni di anidride carbonica e degli altrigas serra ma gli effetti di un incremento della tem-peratura sulla Terra — avanzata dei deserti e dellezone aride, incremento dell’incidenza di malattieendemiche come la malaria — colpiscono con par-ticolare violenza nel Sud del mondo, rendendoancora più precarie le condizioni di vita di centi-naia di milioni di persone che già oggi fanno iconti ogni giorno con la fame, la miseria, le malat-tie. E d’altra parte, proprio il sottosviluppo alimen-ta fenomeni, come la deforestazione, che aggra-vano il rischio climatico.Fermare l’aumento dell’effetto serra è un passoobbligato se si vuole sconfiggere la povertà. Unpasso che devono compiere prima di tutto i Paesiricchi, responsabili della stragrande maggioranzadelle emissioni dannose per il clima, un passo cheimpone di ridurre i consumi di petrolio e di fontienergetiche fossili (la fonte di gran lunga principa-
li delle emissioni di gas serra) e di mettere a dispo-sizione dei Paesi più poveri le tecnologie necessa-rie per uno sviluppo davvero sostenibile.
Caro Petrolio: la nostra proposta energetica. Le azioni previste daLegambiente riguardano attività di impulso perl’aumento della capacità delle fonti rinnovabili conproiezioni al 2002; innovazione nella produzionedi energia elettrica da fonti fossili, come la Macro-cogenerazione e la Micro-cogenerazione; azionistrutturali sul sistema dei trasporti; maggiore usodei biocombustibili specie ad uso agricolo; azioninel settore dell’edilizia.
9.3.1.3 Amici della Terra
Cambiamenti climatici: Dal 1996 gli Amici dellaTerra sono impegnati in campagne internazionali enazionali contro i cambiamenti climatici. In questoquadro hanno partecipato con propri militanti allespettacolari e pacifiche manifestazioni organizzateda FoE International all'Aia (2000) e a Bonn (2001)in occasione dei due Vertici Mondiali sul Clima(COP 6 e 6 bis). Per preparare tali eventi ("LaDiga" e "La Scialuppa") sono anche stati predi-sposti, e ripetutamente distribuiti ai media e alpubblico, comunicati, dossier informativi, volantiniecc. ed un apposito settore del sito web è statodedicato all'argomento.A partire dal 2000 viene anche condotto il proget-to di educazione ambientale per le scuole superio-ri: "La scommessa". Il progetto mira a rendere glistudenti responsabili dei consumi energetici dellapropria scuola, con lo scopo di realizzare in quel-l'ambito almeno un 8% di riduzione di CO2 , ovve-ro l'obiettivo su cui i governi Europei si sono impe-gnati, per ora solo a parole. Un manuale apposita-mente preparato permette ad insegnanti e studen-ti di identificare le azioni e le iniziative da prende-re, quantificandole in termini di riduzione di emis-sioni (la valutazione viene eseguita con un metodomesso a punto in collaborazione con l'ENEA). Nelprimo anno di svolgimento le scuole partecipantihanno ottenuto risparmi di CO2 pari al 17 %.
Energia: Per quanto riguarda il settore energetico,uno dei punti di forza degli Amici della Terra, sisegnala uno studio, eseguito nel 2000 per contodella Regione Lombardia e diretto a valutare i van-taggi della cogenerazione e del teleriscaldamentoin alcuni comuni. Questa attività si è inserita nel-l'ambito del Progetto Europeo EASE, (EnergieAlternative per un'Europa Sostenibile), svolto dagliAmici della Terra europei con il sostegno della DG11 dell'UE. Più recentemente, l'associazione hacompletato una nuova importante ricerca, chesarà presentata al pubblico nei prossimi mesi. Essa
9. Informazione, formazione e partecipazione
206 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
identifica nell'uso dell'idrogeno come vettoreenergetico una possibile risposta al problema del-l’intermittenza delle fonti rinnovabili e al riscalda-mento globale del pianeta.
Trasporti: la campagna per una mobilità sostenibi-le, basata sul calcolo dei costi esterni, ha visto l'e-laborazione e presentazione al pubblico di 3 suc-cessivi studi sui costi esterni dei trasporti in Italia,in collaborazione con le Ferrovie dello stato. Unquarto studio è appena stato completato.La stessa metodologia, (che prende in considera-zione i costi esterni derivanti da CO2, inquinamen-to atmosferico, incidenti, rumore e congestione) èstata applicata:
• nella valutazione dei vantaggi del trasportomerci via mare, in collaborazione conConfitarma;
• nella valutazione dei vantaggio (in termini diinquinamento atmosferico) dell’utilizzo dell’al-luminio riciclato nella costruzione dei veicoli, incollaborazione con l’industria dell’alluminio;
• nella valutazione di un progetto di ampliamen-to della metropolitana a Roma, promosso dallaprovincia di Roma e dall’Università degli Studidi Roma “La Sapienza”.
Un'altra campagna condotta dall'associazioneriguarda la promozione del GPL per autotrazione.
9.3.2 LE ASSOCIAZIONI DEGLI ENTI LOCALIPER L’AMBIENTE
In Italia operano, come in tutto il mondo occiden-tale, un certo numero di associazioni che hannocome obiettivo specifico nella loro azione, le attivi-tà sul clima.Alleanza per il Clima e l’International Council forLocal Environmental Initiatives (ICLEI), che fannoparte di un network internazionale, sono le piùattive in questo settore. Il loro obiettivo specifico èquello di promuovere una rete sia nazionale cheinternazionale di città che si impegnano, attraver-so una serie di azioni che vanno dall’informazionealla stesura di piani energetici locali, a ridurre alivello urbano le emissioni responsabili dell’aumen-to dell’effetto serra.ICLEI, che nasce come emanazione diretta dellaConferenza di Rio, ha come obiettivo generale lasostenibilità. Ciò non di meno molte delle azionipromosse dal Coordinamento italiano delleAgende 21 locali si muovono nella direzione dellalotta all’aumento dell’effetto serra. L’azione delcoordinamento Agende 21 locali comprende in séla formazione di forum che hanno l’obiettivo diaumentare la consapevolezza del pubblico rispettoai temi della sostenibilità. Questa azione ha ovvia-
mente un impatto positivo sull’informazione cheriguarda anche i cambiamenti climatici. Da partesua il Ministero dell’Ambiente ha promosso unbando pubblico di cui si riferisce nel capitoloriguardanti le istituzioni.
9.3.2.1 Alleanza per il Clima
L'Alleanza per il Clima, nata nel 1990 i cui partnersono Comuni europei e popoli indigeni delle fore-ste pluviali, rappresenta oggi, con circa 1000comuni europei aderenti, la rete più grande per laprotezione del clima a livello locale.Gli obiettivi sono espressi nel Manifesto e nellaDichiarazione e comprendono tra l'altro la riduzio-ne del 50% di CO2, il non-utilizzo dei legni tropi-cali e il sostegno ai popoli indigeni dell'Amazzonianel loro sforzo per la salvaguardia delle foreste,per la demarcazione dei loro territori e per l'usosostenibile di questi territori.Campi d'azione sono: energia, traffico, legni tropi-cali, cooperazione con i popoli indigeni, formazio-ne ambientale e nel campo della cooperazione,biodiversità e Agenda 21. L'Alleanza per il Climapunta soprattutto alle attività e potenzialitàComunali con effetti globali.Il trasferimento di esperienze e soluzioni è uno deicompiti principali dell'Alleanza. Il coordinamentoeuropeo e quelli nazionali promuovono lo scambiodiretto di esperienze tra i Comuni in convegni eseminari nazionali ed internazionali. Un'ampia atti-vità di ricerca sulle strategie e sugli effetti delleattività Comunali fornisce i dati per la divulgazionedi esempi positivi e di strategie promettenti e perl'elaborazione di raccomandazioni ai membri.Per quanto riguarda l’effetto serra, l'Alleanza hasviluppato il "Metodo Alleanza per il Clima" e unset di indicatori.Alleanza per il clima ha, inoltre, approntato unmetodo di analisi e comunicazione per affrontare,nelle realtà urbane, il tema dei cambiamenti clima-tici.
9.3.2.2. ICLEI (International Council for LocalEnvironmental Initiatives)
Molte città stanno rispondendo alle problematicheconnesse all'effetto serra e ai cambiamenti clima-tici, coordinandosi fra loro nella campagna "Citiesfor Climate Protection" promossa da ICLEI. LaCampagna è un progetto innovativo che rientranel quadro delle iniziative promosse dal Governoitaliano in attuazione del Protocollo di Kyoto, conl'obiettivo di assistere i governi locali nelle loroattività per la riduzione dei gas serra. I Governilocali possono produrre azioni estremamentesignificative per ridurre le emissioni di gas serra nelcampo dei trasporti, dell'energia, della gestione
9. Informazione, formazione e partecipazione
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 207
rifiuti, della gestione dei sistemi edilizi. Le ammini-strazioni comunali hanno la capacità di influenza-re attività che incidono per quasi il 50% della pro-duzione nazionale dei Gas Serra.La Campagna italiana si svolgerà in stretto coordi-namento con la segreteria Europea ICLEI che coor-dina la campagna "Cities for Climate Protection-Europe". In Italia, la Campagna verrà coordinata,dal punto di vista della promozione e del coordi-namento a livello nazionale dall'Agenzia perl'Energia della Città di Torino e dal punto di vistatecnico scientifico dall'Agenzia Energetica dellaProvincia di Livorno, che si avvarrano del supportodel Ministero per l'Ambiente e dell'Istituto diRicerche Ambiente-Italia. La campagna fornirà allecittà aderenti il supporto tecnico necessario perredigere il proprio Bilancio di emissioni di CO2 efornirà assistenza nella redazione dei PianiComunali per la Riduzione dei Gas Serra. Graziealla campagna sarà possibile ottenere dati omoge-nei e confrontabili fra le città aderenti.
9.3.2.3. Le Agende 21 locali
Il Coordinamento italiano delle Agende 21 localiraggruppa 331 tra Comuni e Province distribuitesu gran parte del territorio nazionale. E’ benericordare che le attività previste dall’adesione alleagende 21 locali si muovono su due livelli.Il primo livello può essere definito “tecnico” e con-siste nella definizione dello Stato dell’ambientelocale. Il secondo livello invece tratta espressamen-te di informazione, partecipazione del cittadino eaumento della consapevolezza sui temi della soste-nibilità ambientale. Questa suddivisione è statariportata nel bando del Ministero dell’Ambientenel 2001, riproposto nel 2002, per le attività con-nesse allo sviluppo delle Agende 21 locali.Il Coordinamento Agende 21 locali ha avviato ini-ziative sul tema dei cambiamenti climatici, speciedal punto di vista dell’aumento della consapevo-lezza del cittadino su questo argomento.Nel corso del 2001 si sono svolte 5 iniziative chehanno avuto come tema centrale il clima:
1. I mutamenti climatici. Province aperte (gennaio2001)
2. Il clima cambia globalmente. I Comuni lo pro-teggono localmente (Ancona, febbraio 2001)
3. Le città contro il mutamento climatico: stru-menti di azione (Livorno, febbraio 2001)
4. Zone Umide: gestione integrata delle zoneumide (Comacchio, maggio 2001)
5. Il contributo delle aree urbane al Protocollo diKyoto (Genova, giugno 2001).
APAT e ENEA, in collaborazione con ilCoordinamento Agende 21 locali, hanno propostoun’indagine, mediante l’utilizzo di un questiona-rio, sulle attività già realizzate e programmate
negli ultimi tre anni, nelle quali sia stato trattato iltema dei cambiamenti climatici.L’indagine intendeva misurare il peso che il climaha all’interno delle attività del CoordinamentoAgende21 locali.
9.4. I MEZZI DI COMUNICAZIONE
Nel campo dell’informazione, educazione e forma-zione del pubblico sui rischi ambientali l’importan-za dei media può essere considerata un datoacquisito nelle moderne società industriali.Tuttavia le strutture giornalistiche esistenti nonriescono a svolgere questo ruolo di divulgatore diidee che, almeno teoricamente, i media dovrebbe-ro avere. Le cause di questo problema sono molte-plici:
• il rapporto tra fonti primarie di informazioni (adesempio, enti di ricerca, scienziati, tecnici,agenzie governative, ecc.) e mass media suquesti temi è carente da un punto di vista qua-litativo. La differenza di linguaggio tra giornali-sti e fonti primarie non consente un’efficientetrasmissione delle notizie: è difficile per il gior-nalista divulgare in maniera chiara le notizie dicarattere ambientale e tecnologico;
• la cultura ambientale dei mezzi di comunicazio-ne di massa è orientata prevalentemente alleemergenze e questo comporta una trattazionedei temi in termini di cronaca piuttosto che didiscussione e divulgazione;
• i direttori dei giornali, ma anche dei telegiorna-li, assegnano all’ambiente un ruolo marginalenelle programmazione delle attività di medio elungo periodo.
A questi motivi strutturali va aggiunta, nel casodella stampa quotidiana, una continua rincorsaverso un modello di tipo televisivo che impediscedi fatto l’approfondimento di temi come l’ambien-te.Da tutto ciò, per quanto riguarda il ruolo deimedia nella divulgazione dei temi connessi al cam-biamento climatico, esiste l’esigenza di analizzareil comportamento dei giornali e della televisionesul tema dell’effetto serra.L’ENEA ha avviato una indagine che intende ana-lizzare il comportamento dei media – giornali,internet e televisione- nei confronti dell’effettoserra. Sono in corso di analisi le due testate nazio-nali più diffuse – la Repubblica e il Corriere dellaSera, nel periodo 1999-2001. Per quanto riguardala televisione si è avviato il censimento di tutte letrasmissioni su questo tema per lo stesso periodo.L’obiettivo è quantitativo, quale è l’incidenza del
9. Informazione, formazione e partecipazione
208 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
tema, e qualitativo, come viene trattato.L’analisi sarà svolta tramite un questionario com-posto da 27 domande che rilevano le caratteristi-che fondamentali di ogni articolo:
1. caratteristiche morfologiche2. modalità di presentazione del tema preso in
esame3. modalità comunicative.
Obiettivo finale della ricerca sarà quello di indivi-duare gli indicatori di qualità dell’informazionecirca il tema dell’effetto serra e i possibili rischiambientali trasmessi al grande pubblico e quindiorientare il senso e la direzione della comunicazio-ne sul clima.
9.5. CONCLUSIONI
Ad una maggiore consapevolezza degli aspettiscientifici dei cambiamenti climatici non corrispon-de nei mezzi di comunicazione di massa un dibat-tito circa le relazioni tra il fenomeno e le azioni daintraprendere. La ragione sta principalmente neltipo di flusso dell’informazione. Le maggiori infor-mazioni ambientali arrivano infatti da organisminon istituzionali e quindi soggetti a interpretazio-ne. Molto spesso, inoltre, le informazioni sui cam-biamenti climatici arrivano da organismi interna-zionali e sono per forza di cose distanti dalla realesituazione italiana.
L’azione prioritaria da intraprendere per superarequesti ostacoli è la messa a punto di un quadrodettagliato e non tecnico dei possibili impatti deicambiamenti climatici sul territorio italiano con leconseguenze specialmente di carattere economicoe sociali che ne possono derivare. Alcuni esempi:il turismo invernale sulle Alpi, le coltivazioni delMezzogiorno d’Italia, le frequenti alluvioni nellaparte Nord del Paese.
Questa attività, promossa dal Ministero del-l’Ambiente, potrebbe avere il suo braccio operati-vo nelle Agenzie Nazionali e negli Enti di Ricercache trattano questo argomento.Allo stesso tempo il Ministero potrebbe promuo-vere le iniziative tese alla informazione del pubbli-co sui cambiamenti climatici attualmente di carat-tere sporadico e affidate principalmente a associa-zioni ambientaliste o organizzazioni di Comuniattive sul territorio.Manca un vero coordinamento che stabilisca gliobiettivi della informazione e permetta lo scambiodelle esperienze in corso.
Iniziative interessanti promosse dal Ministero
dell’Ambiente, come la campagna “Comuni con-tro l’Effetto Serra”, non sono state oggetto dicampagne di comunicazione, anche se finanziate,e ciò ne ha ridotto fortemente il potenziale.
Un altro tema riguarda l’educazione scolastica.Ferma restando l’autonomia dei Provveditorati,non esiste da parte del Ministero della Istruzioneuna politica di coinvolgimento degli insegnanti chesarebbe utilissima.
La scuola potrebbe essere al centro di iniziative perla diffusione di comportamenti ecoconsapevolianche nelle famiglie attraverso il coinvolgimentodiretto degli studenti guidati dagli insegnanti adesempio nella rilevazione degli sprechi energetici enella correzione dei comportamenti non compatibili.
Questi obiettivi dovrebbero essere al centro delProtocollo di intesa tra Ministero dell’Ambiente eMinistero dell’Istruzione.
Da parte loro le Regioni, le Province, Comuni e icosiddetti Enti intermedi (Comunità montane, Entiparco, Autorità di bacino) dovrebbero impegnarsi,come organismi più vicini al cittadino, a favorireuna ampia partecipazione al dibattito e alle sceltespecifiche che influenzano a livello locale le emis-sioni di gas-serra con proposte anche di cambia-menti negli stili di vita e nell’economia che segua-no in ogni caso le vocazioni territoriali che questiEnti meglio di tutti dovrebbero conoscere.
D’altra parte la definizione di programmi mirati alrisparmio energetico, al tema dei sink e al cambia-mento degli stili di vita con obiettivi precisi ecomunicabili appare necessaria specie da partedelle Associazioni ambientaliste. Si tratta di creareuna sinergia tra questi programmi e gli obiettivigenerali che saranno definiti ai fini dell’attuazionedel Protocollo di Kyoto.
L’esperienza internazionale dimostra che obiettividi sostenibilità sono raggiungibili solo in accordocon le popolazioni locali. Esempio rilevante è larecente legislazione francese sulla “concertation”.Strumenti come il dibattito pubblico per le grandiopere in Francia, la negoziazione nei paesi anglo-sassoni, i focus group in Germania, sono ritenutialla base dei cambiamenti auspicabili in tema diambiente sostenibile.
Lo sviluppo di tali metodi anche in Italia è auspica-bile non solo, come sta avvenendo per temi forte-mente localizzabili come la desertificazione, maanche per temi più globali, come il clima, al fine dipromuovere la consapevolezza del fenomeno.Il primo passo per l’azione, come diretta derivazio-
9. Informazione, formazione e partecipazione
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 209
ne della delibera CIPE, a cui è stata dedicata laprima parte, è la creazione di un Osservatorio per-manente sui cambiamenti climatici che serva di baseai mezzi di comunicazione e agli operatori per averenotizie certe su questo argomento.
L’osservatorio dovrebbe:
• Censire gli interventi dei mezzi di comunicazio-ne di massa nazionali e internazionali sul tema
• Fornire in tempo reale informazione sulle azio-ni del Governo centrale e degli Enti locali suicambiamenti climatici
• Fornire informazione sulla partecipazione italia-na ai negoziati sui cambiamenti climatici e suiprincipali appuntamenti scientifici sul tema
• Presentare review aggiornate della letteraturascientifica e sui risultati delle attività internazio-nali sul tema in forma divulgativa
• Fornire supporto a quelle istituzioni che a livel-lo locale intendono promuovere attività miratead aumentare la consapevolezza dei cambia-menti climatici.
Annex 1: Revised guidelines for national policies and measures regarding the reduction of greenhousegas emissions (Law 120/2002)
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 211
I L C I P E
VISTA la decisione 93/389/CEE del Consiglio dell’Unione europea, modificata dalla decisione 1999/296/CEche istituisce il meccanismo di controllo per la CO2 e altri gas ad effetto serra di origine antropica all’inter-no della Comunità;
VISTA la Comunicazione della Commissione europea COM/2000/88 dell’8 marzo 2000 che individua lelinee di sviluppo delle politiche e misure europee per l’attuazione del Protocollo di Kyoto, con particolareriferimento all’energia, ai trasporti, all’agricoltura, all’industria, alle misure fiscali, alla ricerca scientifica edallo sviluppo di nuove tecnologie, oltreché alla utilizzazione dei meccanismi di flessibilità;
VISTA la legge 15 gennaio 1994, n. 65, di ratifica della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite suiCambiamenti Climatici, fatta a New York nel 1992, concernente la “stabilizzazione delle concentrazioni inatmosfera di gas ad effetto serra ad un livello tale da prevenire pericolose interferenze delle attività umaneal sistema climatico”;
VISTA la decisione del Consiglio del 25 aprile 2002, n. 2002/358/CE riguardante l’approvazione, a nomedella Comunità europea, del Protocollo di Kyoto allegato alla Convenzione Quadro delle Nazioni Unite suiCambiamenti Climatici e l’adempimento congiunto dei relativi impegni, che impegna l’Italia alla riduzionedelle proprie emissioni di gas serra nella misura del 6,5% rispetto ai livelli del 1990 entro il periodo com-preso fra il 2008 e il 2012;
VISTA la decisione del Parlamento europeo e del Consiglio n. 1513/2002 del 27 giugno 2002 per l’ado-zione del “Sesto Programma Quadro di azioni comunitarie di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazio-ne” che individua tra le sette priorità tematiche di ricerca del programma specifico “Integrating and streng-thening the European Research Area” quella dello “Sviluppo sostenibile, cambiamento globale ed ecosi-stemi”(sesta priorità), comprendente anche le attività di ricerca in materia di energia e di trasporti;
VISTO il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, che trasferisce alle Regioni e agli Enti Locali ulteriorifunzioni e competenze, anche in materia ambientale ed energetica;
VISTA la legge 23 dicembre 2000, n. 388, che all’articolo 110 ha stabilito l’istituzione di un “Fondo per lariduzione delle emissioni in atmosfera e per la promozione dell’efficienza energetica e delle fonti sosteni-bili di energia”;
VISTO il decreto legislativo 18 maggio 2001 n. 227 concernente “Orientamento e modernizzazione del set-tore forestale”;
VISTA la legge 1 marzo 2002, n. 39, che delega al Governo il recepimento della direttiva comunitaria n.2001/77/CE sulla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili nel mercato interno del-l’elettricità;
Allegato 1: Revisione delle linee guida per le politiche e misure nazionali diriduzione delle emissioni dei gas serra (Legge 120/2002)
Allegato 1: Revisione delle linee guida per le politiche e misure nazionali di riduzione delle emissioni dei gas serra (Legge 120/2002)
212 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
VISTA la legge del 1 giugno 2002, n. 120, di ratifica del Protocollo di Kyoto della Convenzione quadro delleNazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, e in particolare l’articolo 2, comma 1, che prevede che il Ministrodell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e deglialtri Ministri interessati, presenti al Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica un pianodi azione nazionale per la riduzione dei livelli di emissione dei gas serra e l’aumento del loro assorbimentoal fine di raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni con il minor costo;
VISTA la propria delibera n. 137 del 19 novembre 1998, che approva le “Linee-guida per le politiche emisure nazionali di riduzione delle emissioni dei gas serra”;
VISTE le successive delibere con le quali questo Comitato ha approvato i seguenti programmi nazionali, incoerenza con le suddette linee guida;• “Libro Bianco sulle fonti rinnovabili” (delibera n. 126 del 6.8.99);• “Programma Nazionale per la valorizzazione delle Biomasse agricole e forestali” (delibera n. 217 del
21.12.99);• “Programma Nazionale per l’informazione sui Cambiamenti Climatici” (delibera n. 218 del 21.12.99);• “Programma Nazionale per la ricerca sul clima” (delibera n.226 del 21.12.99);• “Programma nazionale biocombustibili (PROBIO) (delibera n. 27 del 15.2.2000);
VISTA la propria delibera n. 35/2002 del 19 aprile 2002 che approva le Linee guida per la politica scienti-fica e tecnologica del Governo nelle quali, in particolare, le aree dell’ambiente, dell’energia e dei traspor-ti sono considerate tra quelle a maggiore rilevanza socio-economica;
VISTA la comunicazione della Commissione dell’Unione europea, COM (2001) 581, concernente la pro-posta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce una disciplina per lo scambio diquote di emissioni dei gas ad effetto serra nella Comunità e che modifica la direttiva 96/61/CE delConsiglio;
TENUTO CONTO delle risultanze della Settima Conferenza delle Parti alla Convenzione Quadro suiCambiamenti Climatici (COP 7), tenutasi a Marrakech dal 29 ottobre al 9 novembre 2001, le cui decisionirelativamente all’attuazione del Protocollo di Kyoto:a) hanno riconfermato l’impegno dei Paesi “Annex I” (Paesi industrializzati e Paesi con economia in trans-izione) per la riduzione delle emissioni dei sei principali gas serra, non controllati dal Protocollo di Montrealper la protezione della fascia di ozono, individuati in: Anidride Carbonica (C02), Metano (CH4), Protossidodi azoto (N2O), Idrofluorocarburi (HFC), Perfluorocarburi (PFC) e Esafluoruro di zolfo (SF6);b) hanno stabilito il ricorso illimitato ai tre meccanismi di flessibilità istituiti dal Protocollo di Kyoto, per inte-grare le azioni nazionali con la realizzazione di azioni comuni tra paesi “Annex I” (Joint Implementation-JI), o mediante la cooperazione con i paesi in via di sviluppo “Non Annex I” (Clean DevelopmentMechanism-CDM), oppure attraverso il commercio internazionale dei permessi di emissione (EmissionsTrading-ET);c) hanno riconosciuto il ruolo delle attività di gestione forestale, di gestione dei suoli agricoli e pascoli e dirivegetazione per il raggiungimento degli obiettivi fissati dal Protocollo di Kyoto, purché tali attività risulti-no addizionali e siano indotte dall’attività umana e abbiano avuto inizio dopo il 1990. In particolare, i limi-ti all’uso della gestione forestale per ciascun paese sono stati posti pari al 15% dell’incremento netto deglistock di carbonio delle foreste gestite. Tali valori sono riportati nell’Appendice Z dell’accordo politico diBonn (COP6 bis) e per l’Italia tale limite è stato fissato in misura pari a 0,18 Mt di carbonio per anno (equi-valenti a 0,66 Mt di CO2);d) hanno riconosciuto, senza alcuna limitazione, il ruolo dell’assorbimento di carbonio ottenuto medianteinterventi nazionali di afforestazione e riforestazione svolti a partire dal 1990 (anno base del protocollo diKyoto), per il raggiungimento degli obiettivi fissati dal Protocollo di Kyoto;e) hanno riconosciuto il ruolo delle attività di afforestazione e riforestazione nell’ambito del meccanismo diJI;f) hanno riconosciuto il ruolo delle attività di afforestazione e riforestazione nell’ambito del CDM, purchétali attività risultino addizionali ed abbiano avuto inizio dopo il 2000. Su tali attività si applica il limitedell’1% del valore delle emissioni del 1990, che per l’Italia corrisponde a circa 5 MtCO2.
VISTA la nota n. GAB/2002/10007/C dell’8 ottobre 2002 con la quale il Ministro dell’ambiente e della tute-la del territorio ha trasmesso il Piano di cui all’art, 2 comma 1, della legge n. 120/2002 prima citata;
Allegato 1: Revisione delle linee guida per le politiche e misure nazionali di riduzione delle emissioni dei gas serra (Legge 120/2002)
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 213
P R E N D E A T T O
del quadro di riferimento programmatico, delineato nel Piano predisposto dal Ministro dell’ambiente edella tutela del territorio, ed in particolare:
A. dei valori di emissione di gas ad effetto serra per l’anno 1990 e per l’anno 2000, riportati nella tab. 1,elaborati sulla base dei dati trasmessi al Segretariato della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite suiCambiamenti Climatici e alla Commissione europea nell’ambito della decisione 93/389/CEE del Consiglio,richiamata in premessa:
B. dello scenario “tendenziale “ delle emissioni di gas ad effetto serra, elaborato assumendo una crescitamedia del PIL pari al 2% e tenendo conto delle misure già avviate o comunque decise, che individua livel-li di emissione al 2010 pari a 579,7 Mt CO2 eq. come riportato nella tabella 2;
C. delle misure individuate al 30 giugno 2002 dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, sullabase di provvedimenti, programmi e iniziative nei diversi settori, da attivare entro il periodo di validità delPiano medesimo, riportate nella successiva tabella 3, che potranno consentire di ridurre le emissioni di gasad effetto serra per 51,8 Mt CO2 eq./anno nel periodo 2008-2012.
D. dello scenario di riferimento delineato assumendo una crescita media del PIL pari al 2% e tenendo contodegli effetti delle misure di cui al precedente punto C, nonché della realizzazione di progetti per la ridu-zione delle emissioni nell’ambito dei meccanismi di JI e CDM, che individua livelli di emissioni di gas adeffetto serra al 2010 pari a 528,1 MtCO2eq. come indicato nella successiva tabella 4;
Emissioni di GHG
[Mt CO2eq.]
1990 2000
DA USI DI FONTI ENERGETICHE, di cui: 424,9 452,3- Industrie energetiche 147,4 160,8- termoelettrico 124,9 140
- raffinazione (consumi diretti) 18,0 17,4altro 4,5 3,4- Industria manifatturiera e costruzioni 85,5 77,9- Trasporti 103,5 124,7- Civile (incluso terziario e Pubbl. Amm.ne) 70,2 72,1- Agricoltura 9,0 9,0
- Altro (fughe, militari, aziende di distribuzione) 9,3 7,8
DA ALTRE FONTI 96,1 94,5
Processi industriali (industria mineraria, chimica,) 35,9 33,9Agricoltura 43,4 42,6Rifiuti 13,7 14,2Altro (solventi, fluorurati) 3,1 3,8
TOTALE 521,0 546,8
Tab. 1 – Emissioni di GHG al 1990 e al 2000 per settore di emissione
Allegato 1: Revisione delle linee guida per le politiche e misure nazionali di riduzione delle emissioni dei gas serra (Legge 120/2002)
214 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
Anno 2010 (Mt CO2 eq.)
DA USI DI FONTI ENERGETICHE, 484,1
- Industrie energetiche, di cui: 170,4- termoelettrico 150,1- raffinazione (consumi diretti) 19,2- altro 1,1- Industria manifatturiera e costruzioni 80,2- Trasporti 142,2- Civile (incluso terziario e Pubbl. Amm.ne) 74,1- Agricoltura 9,6- Altro (fughe, militari, distribuzione) 7,6DA ALTRE FONTI 95,6
Processi industriali (industria) mineraria, chimica 30,4Agricoltura 41,0
Rifiuti 7,5Altro (solventi, fluorurati) 16,7TOTALE 579,7
Tab. 2 – Scenari di emissione 2010, “tendenziale”
Riduzione(Mt CO2/year)
Industria elettrica 26,0Espansione CC per 3200 MW 8,9Espansione capacità import per 2300 MW 10,6Ulteriore crescita rinnovabili per 2800 MW 6,5Civile 6,3Decreti efficienza usi finali 6,3Trasporti 7,5Autobus e veicoli privati con carburanti a minor densità di carbonio (Gpl, metano) 1,5- Sistemi di ottimizzazione e collettivizzazione del trasporto privato- Rimodulazione dell’imposizione sugli oli minerali- Attivazione sistemi informatico-telematici 2,1Sviluppo infrastrutture nazionali e incentivazione del trasporto combinato su rotaia e
del cabotaggio 3,9
Totale misure nazionali 39,8
Crediti di carbonio da JI e CDM 12
TOTALE MISURE 51,8
Tab. 3 – Misure già indivuate incluse nello scenario di “riferimento”
Allegato 1: Revisione delle linee guida per le politiche e misure nazionali di riduzione delle emissioni dei gas serra (Legge 120/2002)
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 215
Anno 2010 (Mt CO2 eq.)
DA USI DI FONTI ENERGETICHE, 444,5- Industrie energetiche, di cui: 144,4- termoelettrico 124,1- raffinazione (consumi diretti) 19,2- altro 1,1- Industria manifatturiera e costruzioni 80,2- Trasporti 134,7- Civile (incluso terziario e Pubbl. Amm.ne) 68- Agricoltura 9,6- Altro (fughe, militari, distribuzione) 7,6DA ALTRE FONTI 95,6Processi industriali (industria mineraria, chimica) 30,4Agricoltura 41Rifiuti 7,5Altro (solventi, fluorurati) 16,7CREDITI DI CARBONIO DA JI e CDM -12
TOTALE 528,1
Tab. 4 – Scenari di emissioni di “riferimento” al 2010
Scenario tendenziale 579,7
Scenario di riferimento 528,1
Obiettivo di emissione 487,1
Ulteriore riduzione necessaria per il raggiungimento dell’obiettivo 41,0
Tab. 5 – Scenari di emissione e obiettivo di riduzione al 2008-2012 stabilito dalla Legge120/2002 (Mt. CO2 eq.)
Assorbimento Pubblico(Mt CO2 eq.)
Art 3.4 del Prot. di Kyoto: Forest Management 4,11 10
Art 3.4 del Prot. di Kyoto: Terre agricole, pascoli, rivegetazione 0,1 4,2Art 3.3 del Prot. di Kyoto: Riforestazione naturale 3,0 6,5Art 3.3 del Prot. di Kyoto: Afforestazione e Riforestazione (vecchi impianti) 1,0 6,0
Art 3.3 del Prot. di Kyoto: Afforestazione e Riforestazione (nuovi impianti) 1,0 2002
Art 3.3 del Prot. di Kyoto: Afforestazione e Riforestazione (nuovi impianti) su aree soggette a dissesto idrogeologico (Legge 183/89) 1,0 3003
Totale 10,2 526.7
Tab. 6 – Potenziale nazionale massimo di assorbimento di carbonio
1 Il parametro tiene già conto della revisione di cui alla decisione 11 COP 72 Costo totale dell’investimento a fronte del quale a fine turno dell’impianto si avrà la generazione di crediti di car-
bonio pari a 20 Mt CO2 (l’assorbimento riportato in tabella si riferisce al periodo 2008-2012). L’investimento pre-visto comprende anche le risorse destinate allo scopo dalla programmazione comunitaria 2000-2006
3 Costo totale dell’investimento a fronte del quale a fine turno dell’impianto si avrà la generazione di crediti di car-bonio pari a 10 Mt CO2 (l’assorbimento riportato in tabella si riferisce al periodo 2008-2012)
Investimento(Meuro)
2004/2012
Allegato 1: Revisione delle linee guida per le politiche e misure nazionali di riduzione delle emissioni dei gas serra (Legge 120/2002)
216 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
Riduzione potenziale
(Mt CO2 eq /anno)
A) OPZIONI PER ULTERIORI MISURE NAZIONALI DI RIDUZIONIUtilizzo di fonti energiaSettore industrialeSostituzione dei motori industriali con motori ad alta efficienza con risparmio tra 2-7,2 TWh 1-3,6Sostituzione del parco trasformatori 1,0Standard COSFI con risparmio di 1 TWh 0,5Cogenerazione di piccola/media taglia con produzione tra 10-20 TWh 0,8-1,5Produzione di energia da biogas da rifiuti solidi urbani e da scarti delle lavorazioni
agricole ed agroalimentari pari a 750 – 1.300 MW 0,9-1,9Recupero rifiuti nei cementifici 0,9-1,1RinnovabiliAumento della produzione di energia da fonti rinnovabili tra 500-1200 MW 1,5-3,1Diffusione del solare termico 0,2Ricerca e sviluppo nel settore del fotovoltaico, con impieghi di “nicchia” 0,1Settore civileProlungamento decreti efficienza usi finali (MICA 24/4/01) e misure regionali
con risparmi tra 1.5-2,9 MTep/anno 3,8-6,5Settore agricolturaRiduzione CO2 da consumi di energia 0,28-0,34Settore trasporti- misure tecnologicheSostituzione auto circolanti con auto a bassi consumi e emissioni (120 g CO2/Km)
con risparmi tra 1,5-2,5 Mtep 3,5-6Miglioramento efficienza energetica dei veicoli da trasporto pesante con risparmio
tra 0,1-0,3Mtep 0,3-0,8Miscelazione del gasolio per autotrazione con biodiesel fino al 5% 4Revisione metodo calcolo tassa proprietà veicoli e correlazione con revisioni periodiche 1,3- misure infrastrutturali Riorganizzazione traffico urbano 0,8Promozione reti ferroviarie regionali e connessioni con parcheggi scambiatori 0,6Piani urbani della mobilità (PUM) 1,5-3Soluzioni telematiche per i trasporti 0,5- ricerca e sviluppo Progetti pilota per l’impiego di sistemi di propulsione a idrogeno, e a celle a combustibile,
per la produzione di energia, per le motrici ferroviarie e per i motori auto 0,1-0,3Sviluppo e impiego sperimentale di materiali e che consentano la riduzione della massa
dei veicoli e dei convogli ferroviari 0,2-0,6Realizzazione e diffusione di propulsori ottimizzati monofuel metano e monofuel GPL ad iniezione diretta 0,5-1,2Da altre fontiSettore industrialeRiduzione emissioni di processo acido adipico e nitrico 6,20Settore agricolturaRiduzione CH4 dagli stoccaggi delle deiezioni animali 0,15-0,83Riduzione N2O dai suoli 0,46RifiutiStabilizzazione frazione organica 0,64Altro (solventi, fluorurati)Riduzione emissioni PFC attraverso il riciclaggio dell’alluminio 0,05Adozione sistemi di abbattimento e sostanze a minore GWP nella produzione di semiconduttori 0,02Riduzione perdite di HFC dai condizionatori degli autoveicoli 0,65Riduzione perdite SF6 dalle apparecchiature elettriche 0,04
B) OPZIONI PER L’IMPIEGO DEI MECCANISMI JI E CDM- Assorbimento di carbonioProgetti JI 2-5Progetti CDM 3-5- Progetti nel settore dell’energiaProgetti JI di aumento dell’efficienza nelle produzioni di energia elettrica e nelle attività industriali 3-10Progetti CDM per la produzione di energia da fonti rinnovabili 1-5Progetti CDM di aumento dell’efficienza nelle produzioni di energia elettrica e nelle attività industriali 1,5-3Progetti JI e CDM di gas flaring e gas venting in pozzi di estrazione del petrolio. 10-20
Tab. 7 – Opzioni per ulteriori misure di riduzione delle emissioni
Allegato 1: Revisione delle linee guida per le politiche e misure nazionali di riduzione delle emissioni dei gas serra (Legge 120/2002)
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 217
E. dell’obiettivo, stabilito dalla citata legge n. 120/2002, di riduzione delle emissioni dei gas ad effetto serradel 6,5% rispetto ai livelli del 1990, per cui la quantità di emissioni assegnata all’Italia non potrà eccedere nelperiodo 2008 – 2012 il valore di 487,1 Mt CO2eq., calcolato come media delle emissioni annuali del periodoe, quindi, della necessità di individuare ulteriori politiche e misure per la riduzione dei livelli di emissione pre-visti dallo scenario di riferimento di una quota pari a 41,0 Mt CO2eq., come indicato nella tabella 5:
F. del potenziale nazionale massimo di assorbimento di carbonio, ottenibile mediante interventi di afforesta-zione e riforestazione, nonché di gestione forestale, di gestione dei suoli agricoli e pascoli e di rivegetazione,pari a 10,2 Mt CO2eq, come riportato nella tab. 6;
G. della possibilità di utilizzare integralmente il potenziale nazionale di assorbimento di carbonio delleattività di cui al precedente punto F, subordinatamente alla revisione, entro il 31 dicembre 2006, dellimite all’uso della gestione forestale assegnato all’Italia, secondo quanto previsto dalla decisione 11 dellaCOP 7;
H. delle potenzialità di riduzione delle emissioni, al 2008-2012, corrispondenti a valori compresi tra 32,5 e47,8 Mt CO2eq per effetto delle misure individuate nella successiva tabella 7 sezione A), e a valori com-presi tra 20,5 e 48,0 Mt CO2eq per effetto degli ulteriori crediti di carbonio, ottenibili attraverso proget-ti industriali e nel settore forestale, nell’ambito dei meccanismi di JI e CDM come specificato nella stessatabella 7 sezione B);
I. dell’accordo politico raggiunto il 9 dicembre 2002 dal Consiglio dei Ministri dell’ambiente dell’UnioneEuropea sulla direttiva per lo scambio delle quote di emissioni dei gas ad effetto serra nella Comunità, cheimpegna gli Stati membri a comunicare alla Commissione e agli altri Stati Membri, entro il 31 marzo 2004,i rispettivi piani nazionali di assegnazione delle quote di emissioni.
Allegato 1: Revisione delle linee guida per le politiche e misure nazionali di riduzione delle emissioni dei gas serra (Legge 120/2002)
Tab. 8 – Livelli massimi di emissioni di GHG per il periodo 2008-2012 ((Mt. Co2eq.)
1990 emissioni Livelli max di emissioni GHG
2008-2012
USI ENERGETICI, di cui: 424,9 444,5- Industrie energetiche 147,4 144,4- termoelettrico 124,9 124,1- raffinazione (consumi diretti) 18,0 19,2- altro 4,5 1,1- Industria 85,5 80,2- Trasporti 103,5 134,7- Civile (incluso terziario e Pubbl. Amm.ne) 70,2 68,0- Agricoltura 9,0 9,6- Altro (fughe, militari, aziende di distribuzione) 9,3 7,6
USI NON ENERGETICI 96,1 95,6Processi industriali (industria mineraria, chimica) 35,9 30,4Agricoltura 43,4 41,0
Rifiuti 13,7 7,5Altro (solventi, fluorurati) 3,1 16,7
TOTALE 521,0 540,1
218 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
D E L I B E R A
1. E’ approvato il Piano di azione nazionale per la riduzione dei livelli di emissione dei gas serra e l’aumentodel loro assorbimento redatto dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio ai sensi dell’art. 2 dellalegge 1 giugno 2002 n. 120, allegato alla presente delibera.
2. I livelli massimi di emissione assegnati ai singoli settori per il periodo 2008-2012, questi ultimi calcolaticome media delle emissioni annuali del periodo di cui alla tabella 8, sono stabiliti sulla base dello scenariodi riferimento, ovvero sulla base dei risultati conseguibili con le misure già individuate al 30 giugno 2002con provvedimenti, programmi, e iniziative nei settori della produzione di energia elettrica, dei trasporti,dei consumi energetici negli usi civili e nel terziario, della cooperazione internazionale.
3. Nell’ambito della Commissione Sviluppo Sostenibile di questo Comitato, è istituito un Comitato TecnicoEmissioni Gas-serra (CTE), presieduto da un rappresentante del Ministero dell’ambiente e della tutela delterritorio e composto dai rappresentanti dei Ministeri dell’economia e delle finanze, delle attività produtti-ve, delle infrastrutture e dei trasporti, delle politiche agricole, dell’istruzione, dell’università e della ricerca,degli affari esteri, degli affari regionali nonché della Conferenza Stato-Regioni. Entro il 30 settembre diogni anno, a decorrere dal 2003, il CTE:
3.1 predispone, sulla base delle informazioni fornite dalle amministrazioni interessate, un rapporto sullostato di attuazione delle misure di cui al punto 2, e sull’andamento delle emissioni rispetto a quanto pre-visto nello scenario di riferimento, e formula le eventuali proposte di modifica dei livelli massimi di emis-sione di cui alla tabella 8, coerentemente con i progressi già realizzati o da realizzare per rispettare gli impe-gni di cui alla legge 120/2002, da sottoporre all’esame della predetta Commissione per le successive valu-tazioni e determinazioni di questo Comitato;
3.2 considerati i programmi pilota di cui all’art. 2 comma 3 della legge n.120/2002 e le opzioni per le ulte-riori riduzioni delle emissioni di cui alla tab. 7 - da confermare sulla base di specifiche analisi di fattibilità edi costi/benefici da effettuare a cura delle amministrazioni interessate – propone alla CommissioneSviluppo Sostenibile di questo Comitato il programma delle ulteriori misure necessarie per rispettare l’o-biettivo di cui alla legge n. 120/2002.
4. Entro il 30 ottobre di ciascun anno, sulla base delle risultanze dei lavori del CTE il Ministro dell’ambien-te e della tutela del territorio, sentita la Conferenza Stato-Regioni, propone a questo Comitato l’adozio-ne delle ulteriori misure necessarie per rispettare l’obiettivo di cui alla legge n.120/2002, tenuto conto delcriterio prioritario di raggiungere il migliore obiettivo con il minor costo.
5.Al fine di assicurare la promozione ed il coordinamento dei progetti nell’ambito dei meccanismi di JI eCDM e la partecipazione dell’Italia al mercato dei permessi di emissioni sia internazionale che comunitario(ET), il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, dovrà provvedere, utilizzando le ordinarie risor-se di bilancio umane e strumentali, ad organizzare i propri uffici in modo tale da consentire, d’intesa coni Ministeri delle attività produttive, delle politiche agricole e forestali, degli affari esteri, e dell’economia edelle finanze:
• la predisposizione, entro il 31 maggio 2003, del censimento delle iniziative italiane pubbliche e private,già realizzate o in corso, nei paesi Annex I e nei paesi in via di sviluppo, che possono generare creditidi emissione, secondo quanto stabilito in ambito comunitario e internazionale;
• l’avvio, entro il 30 giugno 2003, delle procedure per la registrazione, presso gli organi competenti isti-tuiti dalla Conferenza delle Parti alla Convenzione sui Cambiamenti Climatici, dei progetti già realizza-ti o in corso, al fine del rilascio dei crediti di emissione;
• l’avvio, entro il 30 giugno 2003 delle attività preliminari finalizzate alla partecipazione delle imprese ita-liane al mercato dei permessi di emissione sia internazionale che comunitario;
• la promozione della realizzazione di ulteriori progetti nell’ambito dei meccanismi di JI e CDM, con l’o-biettivo di raggiungere il miglior risultato in termini di generazione di crediti di emissione con il minorcosto incrementale. A questo fine il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio dovrà, tra l’al-tro, assicurare alle imprese italiane una informazione completa e aggiornata sulle opportunità offertedai meccanismi di JI e CDM, sugli eventuali meccanismi incentivanti previsti dalle norme nazionali, e
Allegato 1: Revisione delle linee guida per le politiche e misure nazionali di riduzione delle emissioni dei gas serra (Legge 120/2002)
Allegato 1: Revisione delle linee guida per le politiche e misure nazionali di riduzione delle emissioni dei gas serra (Legge 120/2002)
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 219
sugli eventuali finanziamenti resi disponibili dalla Banca Mondiale, dalla Global Environment Facility,dalle Banche di Sviluppo Regionali, dalla Banca Europea degli Investimenti, nonché dalle IstituzioniFinanziarie Internazionali;
6. Al fine del rispetto dei livelli di emissione di cui alla tabella 8 da parte dei settori, questi ultimi potran-no ricorrere ai meccanismi previsti dal protocollo di Kyoto e allo scambio di quote di emissione all’internodella Comunità, in conformità con le decisioni che verranno assunte in sede internazionale e comunitariae nazionale.
7. Un’ulteriore riduzione delle emissioni potrà essere conseguita mediante interventi di afforestazione eriforestazione, attività di gestione forestale, di gestione dei suoli agricoli e pascoli e di rivegetazione secon-do quanto indicato al punto G. e dall’annessa tabella n. 6.
7.1 Entro il 30 aprile 2003 il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministeroper le politiche agricole e forestali e d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni, presenta a questo Comitatoil piano dettagliato riferito al primo triennio 2004-2006, per la realizzazione delle attività nazionali di cuialla tabella 6 nell’ambito delle risorse pubbliche destinate allo scopo.
7.2 Entro il 30 luglio 2003 il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministeroper le politiche agricole e forestali, provvede ad effettuare la ricognizione della legislazione regionale,nazionale ed internazionale in vigore nel nostro Paese dal 1990 ad oggi di tutte le norme che contempla-no la tutela delle risorse forestali, al fine di certificare la “riforestazione naturale” avvenuta sul territorionazionale nel periodo 1990-2012, quale conseguenza di attività intraprese dall’uomo e quindi eleggibile aifini del rispetto dell’obiettivo di riduzione delle emissioni stabilito dalla legge n.120/2002.
7.3 Entro il 31 maggio 2005 il Ministero per le politiche agricole e forestali, di concerto con il Ministerodell’ambiente e della tutela del territorio, realizza l’Inventario Forestale Nazionale e degli altri Serbatoi diCarbonio, al fine di avviare la procedura di revisione del limite all’utilizzo dei crediti, derivanti dalla gestio-ne forestale, assegnato all’Italia.
7.4 Entro il 31 dicembre 2006 il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, d’intesa con ilMinistero per le politiche agricole e forestali , realizza il Registro Nazionale dei Serbatoi di carbonio agro-forestali al fine di certificare i flussi di carbonio nel periodo 2008-2012 derivanti da attività di afforestazio-ne, riforestazione, deforestazione, gestione forestale, gestione dei suoli agricoli e pascoli e rivegetazione
8. Per l’anno 2003 agli oneri derivanti dall’ attuazione di quanto previsto ai punti 7.3 e 7.4 della presentedelibera si farà fronte con gli ordinari stanziamenti di bilancio dei Ministeri interessati.
9. A partire dal 2003, in sede di predisposizione annuale del Documento di Programmazione Economica eFinanziaria (DPEF) il Ministero dell’economia e delle finanze dovrà prevedere una sezione dedicata al pre-sente Piano con l’individuazione degli strumenti necessari per il raggiungimento degli obiettivi previsti.
10. L’attuazione degli interventi previsti nel piano approvato sarà assicurata, per la parte di competenzastatale, nei limiti delle risorse allo scopo destinate dai relativi documenti di bilancio.
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 221
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222 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
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224 Terza Comunicazione Nazionale, 2002
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Terza Comunicazione Nazionale, 2002 233
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Allegato 2: Provvedimenti, norme, Istituti legislativi e strumenti amministrativi per interventi di mitigazione e di adattamentoambientaleai cambiamenti climatici a livello nazionale
Terza Comunicazione Nazionale, 2002 237
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Allegato 2: Provvedimenti, norme, Istituti legislativi e strumenti amministrativi per interventi di mitigazione e di adattamentoambientaleai cambiamenti climatici a livello nazionale
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