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DMC Un centro per una nuova filosofia del design

Primo capitolo

““DDMMCC VVIILLLLAA TTOOSSCCAA:: UUNN CCEENNTTRROO PPEERR UUNNAA NNUUOOVVAA FFIILLOOSSOOFFIIAA DDEELL DDEESSIIGGNN””

•• CCIIRRCCOOSSTTAANNZZEE EE RRAAGGIIOONNII DDEELLLLAA NNAASSCCIITTAA

•• PPEERRCCHHÉÉ UUNN DDEESSIIGGNN MMAANNAAGGEEMMEENNTT CCEENNTTRREE??

•• PPEERRCCHHÉÉ VVIILLLLAA TTOOSSCCAA AA MMIILLAANNOO??

•• UUNNAA NNUUOOVVAA FFAASSEE PPEERR IILL DDMMCC VVIILLLLAA TTOOSSCCAA

Milano, 8 giugno 2002

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DMC Un centro per una nuova filosofia del design

Circostanze e ragioni della nascita

Il DMC Villa Tosca (Design Management Centre) viene inaugurato ufficialmente a Milano il 20 Aprile 1993.

Le ragioni della sua fondazione sono molteplici e tutte profondamente radicate nelle problematiche dell’azienda contemporanea e della società in cui essa si trova ad operare.

Insieme alla consapevolezza dell’importanza di queste ragioni, contribuisce in modo determinante la spiccata sensibilità verso il Design presente nel pensiero e nell’opera del fondatore del gruppo Matsushita, Konosuke Matsushita. In più occasioni, ed in tempi non sospetti, egli affermò che il design ha un ruolo chiave nel determinare il vantaggio competitivo e il successo delle imprese, profetizzando che nel XXI secolo il suo ruolo sarà ancora più chiaro e marcato.

L’insieme di questi fattori combinati costituisce la motivazione principale che ha spinto la Matsushita Investment & Development a fondare il DMC Villa Tosca.

In effetti, è ormai consolidata l’idea che i Paesi sviluppati procederanno sempre di più verso una società post-industriale, dove il lavoro sarà svolto da creativi che inventano nuovi prodotti e nuovi servizi e da macchine complesse, robot ed altro, che realizzano e producono, in uno schema organizzativo anch’esso in grado di stimolare e valorizzare la creatività.

Questo approdo definibile come la liberazione dell’uomo contemporaneo dallo stress del lavoro, arriva a noi dopo un lungo cammino che ha visto i Paesi sviluppati del mondo liberarsi progressivamente prima di tutto dalla schiavitù. Cioè, da una impostazione della produzione in cui tutto veniva prodotto da schiavi e da animali domestici, con l’ausilio di pochi e rozzi utensili.

Successivamente gli artigiani serviti da macchine più sofisticate e via, via gli operai nelle catene di montaggio delle prime fabbriche, procedevano verso la liberazione dell’uomo dalla fatica quasi animalesca cui i loro progenitori si erano per secoli sottoposti.

A partire dagli anni cinquanta inizia un cammino in cui operai, impiegati, dirigenti e professionisti a vario titolo, coadiuvati da macchine complesse, meccaniche ed elettroniche, pongono le basi per sviluppare la cosiddetta società post-industriale, in grado di generare attività “lavorative” nelle quali creatività, estetica, ludicità, e, tutti i valori in grado di rafforzarli, saranno i perni del sistema.

In un mondo in cui il concetto di lavoro subisce cambiamenti così radicali e profondi ed in cui l’estetica è chiamata a giocare un ruolo così importante e significativo, si coglie in tutta la sua pienezza il significato e la portata del DMC Villa Tosca, delle aspettative che suscita e delle responsabilità che gli sono fatte carico.

Perché un Design Management Centre?

I cambiamenti che hanno investito il concetto stesso di lavoro e di produzione hanno dato un nuovo ruolo anche al mondo della progettazione, del design. Di fatto il design all’interno delle aziende è stato ed è al centro di cambiamenti profondi.

In effetti, il designer ha smesso da un pezzo di essere lo stilista che “vestiva” di forma e colore i prodotti una volta che questi venivano messi a punto dal marketing e dagli ingegneri. In futuro egli dovrà essere sempre di più coordinatore di funzioni complesse e

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diverse, dovendo orientare le sue capacità creative verso un’ottica manageriale e, quindi, di marketing e gestionale.

Il lavoro di progettazione sarà sempre di più e necessariamente un lavoro di analisi e sintesi realizzato con l’ausilio di team multidisciplinari che avranno come protagonisti sociologi, psicologi, analisti di simboli ed esperti di comunicazione.

In questa nuova esigenza si fonda la necessità di un Design Management Centre, cioè: di un centro in cui si gestisca il design e la sua complessità in senso moderno, servendosi delle analisi delle più avanzate ricerche scientifiche, delle personalità creative più spiccate e significative; e, gestendo il tutto nell’ottica contemporanea della rete.

Di fatto un Design Management Centre in cui, per dirla con le parole del fondatore del gruppo Matsushista: Konosuke Matsushita sia possibile realizzare la: “shuchi o atsumeru”, cioè: la osmosi tra Università-ricerca e creatività-progetto al servizio delle aziende orientate al futuro.

Perché Villa Tosca a Milano?

La decisione di fondare a Milano il DMC Villa Tosca è spiegata dal fatto che questa città ha svolto un ruolo non secondario nel design contemporaneo, meritandosi l’appellativo di capitale del design, un riconoscimento senza dubbio meritato, che poggia su una lunga serie di contributi che giustificano la fama e la stima di cui ancora oggi Milano gode nel mondo.

Villa Tosca antico palazzo nel cuore di Milano, è stata la prima sede del DMC Villa Tosca, rappresentando al tempo stesso un investimento ed un atto di fiducia verso Milano e la sua capacità di essere in rete con il resto del mondo, e, nello specifico, con le altre capitali del design.

Una nuova fase nella vita del DMC Villa Tosca. La seconda fase della vita del DMC Villa Tosca si apre, dopo un decennio, con una società indipendente ed autonoma dalla Matsushita, con una nuova sede a Milano più grande ed adeguata alle esigenze di un centro di ricerca e di creatività, con una sede negli USA e con il rafforzamento della rete di designers e ricercatori ottenuto attraverso lo sviluppo del portale della creatività denominato Aedo-to.com. Il modello di business iniziale che ha saputo generare iniziative imprenditoriali nuove e complesse come i progetti: Heliopolis, Aedo-to.com, MC4 – musicolor e Ludea ne esce, cosi, ampiamente confermato e rafforzato.

DMC Villa Tosca

Creatività e ricerca scientifica al servizio delle imprese.

Augusto Grillo

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Secondo capitolo

““CCOONNTTRROO LL’’OOMMOOLLOOGGAAZZIIOONNEE PPRROODDUUTTTTIIVVAA””

•• II RRIISSCCHHII DDEELL PPRROOCCEESSSSOO DDII GGLLOOBBAALLIIZZZZAAZZIIOONNEE

•• TTAARRGGEETT CCOOSSTTIINNGG EE SSTTAANNDDAARRDDIIZZZZAAZZIIOONNEE PPRROODDUUTTTTIIVVAA

•• MMEEDDIIAA DDII MMEEDDIIEE EE PPRROODDOOTTTTII SSEENNZZ’’AANNIIMMAA

•• LLAA CCRRIISSII DDEELLLLAA TTEECCNNOOLLOOGGIIAA

•• II LLIIMMIITTII DDEELL KKAAIIZZEENN ((MMIIGGLLIIOORRAAMMEENNTTOO CCOONNTTIINNUUOO))

Milano, 8 giugno 2002

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•• II RRIISSCCHHII DDEELL PPRROOCCEESSSSOO DDII GGLLOOBBAALLIIZZZZAAZZIIOONNEE Ciascuno di noi è ben cosciente che da molti anni si sta realizzando una sempre più marcata globalizzazione dei mercati. Sappiamo, inoltre, che la globalizzazione, intesa come allargamento del proprio orizzonte di esperienze, ha spinto l’uomo da sempre ad andare oltre i limiti, oltre i confini del suo ristretto ambito d’azione. Gli scambi commerciali delle prime civiltà, le scoperte geografiche o, anche, la colonizzazione di popoli e territori sono una riprova di quanto questo fenomeno sia antico e rappresenti una costante nella storia dell’uomo.

La globalizzazione ha portato finora con se innumerevoli vantaggi, primo fra tutti forse il fatto che il consumatore ha potuto godere di merci di migliore qualità a prezzi più bassi ma, come tutti i fenomeni complessi, insieme ai vantaggi, ha portato con se anche qualche problema, ed alcuni di questi hanno già cominciato a dispiegare i lori effetti. Il più evidente è quello di avere generato un clima di iper-concorrenza tra imprese e sistemi-paese che molti vedono come uno dei fattori che ha favorito e favorisce la nascita di prodotti industriali standardizzati, cioè: indifferenziati, omogeneizzati, massificati, viziati sul nascere da una spirale di riduzione costi-prezzi che sembra non avere fine.

La globalizzazione, nel campo dei prodotti industriali, tende, quindi, a non diversificare l’offerta e a depotenziare l’arbitraggio del consumatore finale. Contrariamente alla globalizzazione finanziaria, dove il cliente finale può scegliere il prodotto o il servizio che più si addice ai suoi obiettivi (in una gamma enorme che va dal securizzatissimo BOT al rischiosissimo fondo asiatico), nel campo della produzione industriale, egli è prigioniero di offerte praticamente tutte uguali, a bassissimo tasso d’arbitraggio e quindi di possibile identificazione.

Naturalmente siamo in presenza di un fenomeno di straordinaria portata che, pur avendo determinato cambiamenti epocali, è ancora in divenire, e che, lungi dall’essere un fatto compiuto, può e deve essere visto come una tensione verso il raggiungimento di un mondo in cui merci e servizi possano circolare liberamente senza subire le restrizioni di standard e regolamenti artificiosamente punitivi.

Noi siamo convinti che la globalizzazione in futuro potrà e dovrà garantire la interdipendenza tra tutti i Paesi nei settori della Scienza, dell’Informazione, della Medicina, degli standard tecnici, garantendo allo stesso tempo la multiformità, le specificità culturali, le tradizioni, le nicchie produttive. In poche parole, vorremmo che la possibilità di viaggiare su scala planetaria restituisse all’uomo la gioia e la sorpresa di incontrare in ogni regione varietà e originalità che sono proprie di quelle regioni, ovvero l’identità culturale, anche attraverso i prodotti che esse esprimono.

••TTAARRGGEETT CCOOSSTTIINNGG EE SSTTAANNDDAARRDDIIZZZZAAZZIIOONNEE PPRROODDUUTTTTIIVVAA La stessa metodologia della progettazione industriale ha finito per subire l’influenza che il clima di iperconcorrenzialità ha portato con se. Il metodo del “Target Costing” è uno degli esempi più recenti: esso si inserisce nell’attuale logica produttiva incrementando le capacità delle aziende di controllare i costi industriali, in modo da posizionare i prodotti sul mercato dal punto di vista della relazione “prestazione–prezzo”. In questo senso, questo metodo asseconda la tendenza di fondo che incentrata sulla competizione sui prezzi erode sempre più pesantemente i margini di profitto delle aziende.

In molti settori merceologici, soprattutto di beni durevoli la competizione fra le aziende per assicurarsi maggiori quote di mercato o solo per mantenerle è diventata quasi esclusivamente una competizione sui prezzi. Costi industriali e prezzi in diminuzione sono quasi una costante che, molte volte, proprio perché indotti, (non dalla normale concorrenza fra aziende che opera positivamente con la sua azione calmierante, ma dalla eccessiva concorrenza), complica non poco i già pesanti problemi delle aziende.

E’ ovvio che se il consumatore può avere prodotti di qualità simile e simili tra loro, allo stesso prezzo, orienta la sua scelta sul prezzo e sulla base di questo decide, provocando alla fine il crollo dei prezzi stessi, ma il metodo del “Target Costing”, essendo un metodo che non rompe la spirale “prezzi giù-costi giù” e viceversa, nel lungo periodo non può rappresentare una via d’uscita

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DMC Un centro per una nuova filosofia del design

••MMEEDDIIAA DDII MMEEDDIIEE EE PPRROODDOOTTTTII SSEENNZZ’’AANNIIMMAA Il panorama della maggioranza dei prodotti industriali che abbiamo di fronte a noi è stato generato da un modo di progettare che in pochi anni ha portato alla omogeneizzazione dei prodotti stessi, prodotti tutti uguali, senza personalità che hanno invaso i mercati.

In non poche grandi e grandissime industrie, televisori, auto e molti altri beni di largo consumo sono il risultato di una progettazione che analizza i prodotti leader della concorrenza, per poi proporre una versione cosiddetta “media”, cioè: che incorpora le migliori caratteristiche (migliori nel senso di più gradite ai consumatori) dei prodotti rivali. Ogni prodotto nuovo è cosi una media dei prodotti concorrenti più venduti. In questo modo alla lunga il design dei prodotti è il risultato della “media delle medie delle medie”. Una sorta di evoluzione della specie che ha portato ad una situazione di indifferenziazione generalizzata dei prodotti.

Tutti con piccolissime differenze, i prodotti contemporanei confondono le capacità del consumatore di “valutare” l’acquisto, intaccando pesantemente la relazione di fiducia tra acquirente e prodotto.

••LLAA CCRRIISSII DDEELLLLAA TTEECCNNOOLLOOGGIIAA Alle difficoltà descritte la grande impresa deve aggiungere un fenomeno più recente che complica il quadro all’interno del quale essa si muove. Si tratta dell’affievolirsi del potere fascinatorio della tecnologia. Certamente la tecnologia ha giocato e gioca un ruolo molto importante nel migliorare le condizioni di vita dell’uomo in generale e, in particolare, nel settore della produzione industriale è stata in grado per lungo tempo di dare un valore aggiunto ai prodotti industriali anche in presenza di un design mediocre..

Ciò nonostante si nota da qualche anno una tendenza del consumatore a non percepire la tecnologia nel prodotto industriale in se, nel prodotto “tout court”. TV, radio, frigoriferi, computer, calcolatrici, ecc., sono stati per anni l’incarnazione della tecnologia esercitando un fascino notevole sui consumatori, per il solo fatto di esprimere o meglio di “essere” la tecnologia.

Il Design non è mai stato un grande “plus” in questa categoria di prodotti. Oggi non tanto il prodotto in se, quanto le sue parti: microchips, transistors, cristalli liquidi, ecc., incarnano la tecnologia. La pubblicità “Intel inside” la dice lunga su questo trend, sul perché e sul senso in cui le aziende abbiano bisogno di altri componenti per accrescere il valore aggiunto dei propri prodotti

La componentistica di alta qualità, abbondante e a prezzi controllati dalla logica della domanda e dell’offerta, ha “sgranato” il prodotto tecnologico in tante piccole parti, concentrando in esse il valore aggiunto. Questa tendenza può rappresentare una grande opportunità per migliaia di piccole e medie aziende che capaci di interpretare meglio i bisogni espressi e latenti delle culture all’interno delle quali sono inserite e operano, possono esprimere al meglio questi tratti caratteristici nella produzione industriale.

•• II LLIIMMIITTII DDEELL KKAAIIZZEENN Una via tentata da molte aziende in questi ultimi anni per far fronte alla crescente competitività dai mercati internazionali è stata quella della diversificazione dei prodotti. Una diversificazione basata soprattutto, ma non solo, sull’aumento delle funzioni dei prodotti. Ad onor del vero questa tendenza scaturisce da un modello di sviluppo che prende le mosse subito dopo la seconda guerra mondiale.

Da quel momento la grande industria si è sviluppata seguendo due direttici fondamentali. La prima direttrice fu diffusa dall’americano W.E.Deming in Giappone nel primo dopoguerra, qui si sviluppò, arricchita dall’incontro con un background culturale favorevole, e originò quel metodo del miglioramento continuo dei prodotti, di cui abbiamo già accennato precedentemente, denominato comunemente “Kaizen”.

Il miglioramento continuo dei prodotti non riguarda soltanto il miglioramento degli standard qualitativi prestazionali dei prodotti: diminuizione dei difetti (difetti zero), aumento della durata e della stabilità, ma anche l’aumento delle prestazioni: cioè, della sua dotazione di numerose funzioni aggiuntive.

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L’orologio può essere un esempio: da semplice misuratore del tempo ha visto incrementare la sua precisione fino a limiti non più fruibili dal consumatore (miglioramento degli standard prestazionali), nello stesso tempo alla funzione iniziale sono state aggiunte a volte quelle di altimetro, termometro, barometro, sveglia, misuratore di passi, ecc. . Tutta una serie di funzioni non strettamente legate alla primaria, ma che cercano di differenziare il prodotto.

La seconda direttrice è il tentativo di ridurre il più possibile i costi industriali di produzione, cercando via, via, di rendere più efficienti le linee di montaggio, gli impianti, la logistica, ecc., e, rilocalizzando gli impianti produttivi, dapprima più semplici, e man mano quelli più complessi, nei Paesi in via di sviluppo con costi di manodopera bassi come Malesia, Indonesia, Est Europeo, ecc. .

Le due direttrici dell’aumento qualitativo e della diminuzione dei costi sembra stiano da tempo mostrando tutti i propri limiti. Nel senso che c’è sempre un concorrente che trova un Paese in cui ricollocare gli impianti produttivi che consenta risparmi nel costo della manodopera. E d’altra parte l’aumento degli standard qualitativi non argina l’erosione dei margini di profitto, costituendo essa stessa al contrario requisito minimo per accedere all’acquisto. Il consumatore, cioè: non è disposto a riconoscere un premio (prezzo superiore) per acquistare un prodotto di qualità, essendo considerata la qualità il requisito minimo indispensabile dei prodotti per accedere all’acquisto. Del resto anche aumenti eccezionali nella qualità delle prestazioni, non essendo fruibili dal consumatore per i limiti stessi della natura umana, non possono fare migliorare la situazione.

Abbiamo fatto riferimento poco fa al caso dell’orologio: una sua precisione che arrivi al milionesimo di secondo non avrebbe molto senso per la gran parte dei consumatori, altri esempi possono venire in molti campi dell’elettronica di consumo, delle auto, ecc. .

Di conseguenza continuare a percorrere i binari dell’aumento della qualità e della diminuzione dei costi industriali equivale ad andare contro due “muri”. Uno è il muro costituito dal limite stesso della natura umana (aumento della qualità delle prestazioni). Un altro è il muro costituito dal limite della sostenibilità sociale di un modello di sviluppo industriale che spinto dalla iper-concorrenza esporta e rialloca all’infinito impianti produttivi in Paesi in via di sviluppo perseguendo costi industriali più bassi.

Il problema allora, è di fare una corretta analisi della crisi attuale e su questo fondare delle nuove proposte. Si tratta in questo periodo di transizione di ritrovare il coraggio dell’analisi e di conseguenza della sperimentazione di nuove soluzioni. Si tratta si ritrovare il coraggio di mobilitarsi con proposte nuove provando e riprovando in “zone di frontiera” sapendo che i margini di errore possono essere molto alti.

Difatti, non pochi oggi vedendo un prodotto vorrebbero capire o almeno intuire la sua ragione culturale oltre che funzionale, il significato della sua forma e non solo il suo equilibrio formale, quello che esprime, dove nasce, ecc. .

In tutto questo ci sembra di intravedere il risveglio di una volontà di uscire dall’anomia, dalla standardizzazione, per avere prodotti industriali più radicati nell’identità culturale della quale sono figli. Si tratta di radicarsi, più che di localizzarsi, o, meglio, di ritrovare le radici della propria identità per recuperare ispirazione e vena creativa

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terzo capitolo

““PPRROODDOOTTTTII DDII SSEENNSSOO,, PPRROODDOOTTTTII VVIIVVII””

•• LL’’IIDDEENNTTIITTÀÀ DDEELL PPRROODDOOTTTTOO EE LLAA SSUUAA GGEENNEESSII

•• PPRROODDOOTTTTII DDII SSEENNSSOO ,, DDII SSIIGGNNIIFFIICCAATTOO

•• RRAADDIICCAAMMEENNTTOO EE RRIICCOONNOOSSCCIIBBIILLIITTAA’’ CCUULLTTUURRAALLEE DDEEII PPRROODDOOTTTTII

•• EEQQUUIILLIIBBRRIIOO EE AARRMMOONNIIAA

Milano, 8 giugno 2002

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DMC Un centro per una nuova filosofia del design

•• LL’’IIDDEENNTTIITTÀÀ DDEELL PPRROODDOOTTTTOO EE LLAA SSUUAA GGEENNEESSII Noi riteniamo che compito centrale del DMC Villa Tosca sia quello di stimolare la creazione di prodotti che esprimano un’identità culturale originale, cioè prodotti in grado di evidenziare valori condivisi all’interno della società e dei gruppi culturali entro cui sono generati. Prodotti in grado di interpretare non solo il proprio tempo ma che, dotandosi di una sorta di “intima essenza”, sottolineino o sintetizzino aspetti relativi all’identità di cui sono figli e testimoni allo stesso tempo. Ecco, noi riteniamo che quest’ultimo aspetto dell’identità culturale dei prodotti industriali debba essere trattato allo stesso modo e con la stessa cura e attenzione con cui le aziende oggi trattano le variabili di marketing. La valenza estetica, funzionale e culturale dei prodotti dovrà costituire una nuova modalità generativa della progettazione industriale. •• PPRROODDOOTTTTII DDII SSEENNSSOO,, DDII SSIIGGNNIIFFIICCAATTOO Fin dall’inizio della sua fondazione il DMC Villa Tosca ha cominciato a parlare di “prodotti di senso” o “prodotti vivi”: intendendo il fatto che tali prodotti accanto alle valenze estetiche e funzionali debbono essere il risultato di un profondo studio della loro identità nel senso più ampio del termine. I prodotti, infatti, sono un concentrato di conoscenza e sapienza, che va molto al di là di quello che la sola funzione è in grado di trasmettere: Ed è proprio questo “quid” che poc’anzi definivamo “intima essenza” che può e deve essere correttamente identificato e descritto. E ciò avviene, a nostro giudizio, quando la fase della genesi progettuale diventa essa stessa una storia, un racconto. Ci conforta moltissimo sapere che la ricerca sociologica recente ci dia ragione rispetto alla validità della presenza di una storia, di un racconto anche nei prodotti industriali. Vorrei sottolineare che tutte le volte che progettiamo qualcosa attraverso la metodologia da noi denominata Competition Workshop (di cui parleremo ampiamente in seguito) cerchiamo di mettere al centro dell’attenzione non solo il prodotto e la sua funzione, ma la fase di genesi progettuale, di modo che essa stessa divenga storia e racconto da cui il prodotto scaturisce. Abbiamo cercato, cioè, di rendere più intelligibile il cammino e le ragioni che portano il prodotto ad esistere, proprio attraverso un racconto che noi chiamiamo la “background story” del Competition Workshop. Questo “background story”, quindi, è il processo che nel nostro percorso metodologico genera il prodotto. E’ nostra opinione che questo processo-racconto, una volta pubblicizzato, valorizzi il prodotto, il quale, acquistata tale riconoscibilità, rafforza il suo rapporto con l’utilizzatore. E’ molto difficile dare una esatta definizione alla tipologia di prodotti che noi proponiamo, nel senso che la definizione “prodotti di senso” poc’anzi usata, per la sua genericità, lascia spazio a molte interpretazioni. La parola “senso”, invece, nel suo valore di significato, offre una lettura nuova e più adatta per prodotti non banali o figli di una cultura “usa e getta”. •• RRAADDIICCAAMMEENNTTOO EE RRIICCOONNOOSSCCIIBBIILLIITTAA’’ CCUULLTTUURRAALLEE DDEEII PPRROODDOOTTTTII A noi pare evidente che oltre al contenuto estetico dei prodotti, o, al tema su cui nel Novecento si è tanto discusso, come la forma e la funzione dei prodotti, c’è una richiesta di qualcosa di più, e più precisamente di “storia del prodotto”. Il termine storia inteso in primo luogo come un processo, un film e non un fotogramma che racconti della genesi e della vita del prodotto dando un senso ad esso. “Senso” è una delle parole più ricche che racchiude in sé numerose valenze simboliche quali: direzione, significato, repellente, senso inteso come uno dei cinque sensi percettivi dell’uomo. Nel nostro caso, quindi, che abbia un senso, nel senso di una direzione percepita, in cui il vecchio viene da lontano e va lontano, viene, cioè: da una sua storia, da un suo passato e tende, spinge, verso una certa direzione perché ne rappresenta il percorso. Ora, il percorso, che tendenzialmente, nella nostra cultura è lineare, è, al tempo stesso, semplificatore e rassicurante ed è, in qualche misura, orientativo o addirittura, per alcuni, prescrittivo, nel senso di una direzione orientativa per gli incerti e per i più giovani o per i più influenzabili. La storia è il rapporto tra passato, presente e futuro il che significa tra radici note, presente d’esperienze e futuro di promessa nel senso d’aspettative suscitate. Tutto ciò, recupera tra l’altro la grandissima importanza

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del tema delle radici che non è d’addebitare solo al tema del localismo, ma anche al tema della provenienza. Non è un caso, che tutte le volte che noi indichiamo un processo, raccontiamo le origini, facciamo vivere o anche semplicemente promettiamo di fare vivere delle esperienze, facciamo cioè delle promesse implicite o esplicite per il futuro, noi siamo produttori di senso. Altro importante elemento è rappresentato dal fatto che la gente è sempre più interessata a sapere, per distinguere, capire, investire affettivamente, come tale oggetto è stato fatto. Il meccanismo è assolutamente quello proprio infantile, ma non regressivo, dell’aprire il marchingegno. Certo, quando noi riusciamo ad accreditare una storia, (un film e non un fotogramma) - l’autore può essere un gruppo, cioè: un’azienda anonima, fatta di un team mitico, come nel caso di Ferrari, oppure può essere un centro di design, ecc. - conferiamo, proprio per questo, un senso mitico al prodotto creato, quasi un senso del fiabesco, che scaturisce proprio dalla “fiaba” con cui l’oggetto viene presentato al pubblico. Infatti, anche in italiano, il termine storia significa anche favola, fiaba. Questo processo può essere reso parzialmente noto facendo cosi permanere quelli che sono i segreti e la magia che aleggiano nella bottega del creatore. •• EEQQUUIILLIIBBRRIIOO EE AARRMMOONNIIAA L’equilibrio e l’armonia sono sicuramente valori a cui qualunque designer rivolge una particolare attenzione. Noi intendiamo l’armonia come l’insieme equilibrato e proporzionato dei fattori ineludibili nel design del prodotto industriale: quello della forma che dischiude ed evidenzia la funzione senza oscurarla e senza esaltarla, dell’equilibrio fra luce e ombra, tra fattori tecnologici e decorativi, tra soddisfazione del bisogno diretto legato alla funzione ed esigenza di ludicità, tra esigenze esogene legate all’equilibrio con l’ambiente e alle esigenze di certi segmenti di consumatori di prodotti esuberanti, dall’equilibrio tra emozioni derivanti da forme percepite come amiche, moderne, mitologiche, ostili, etc. Noi riteniamo che questi valori si formino e si rafforzino anche grazie alla metodologia, al processo di progettazione e, nel nostro caso, alla metodologia del Competition Workshop. L’importanza è nell’impostazione metodologica, non solo in senso tecnico: cioè degli strumenti e delle tecniche di progettazione industriale usati, l’armonia si forma e discende da un’azione ben impostata metodologicamente. Il Competition Workshop è la metodologia di progettazione che secondo noi meglio consente di far focalizzare ai designer le suddette esigenze di armonizzazione. Infatti, nella fase del Workshop la sapiente calibratura tra seminari di studio di natura umanistica e tecnica, tra momento di studio e di dibattito, costituiscono le basi che fanno si che il processo si riversi sul progetto inteso come risultato. In questa fase di calibratura non si può nascondere che esiste una forte influenza della cultura giapponese: soprattutto della scrittura. Come è noto il Giappone utilizza gli ideogrammi, ed essi furono importati anticamente dalla Cina, dove sembra che ne siano stati registrati circa 42.000. L’ideogramma rappresenta, in un certo senso, un equilibrio difficilissimo tra tante cose: grandezza, forma, ordine di tratti, un equilibrio che sottintende un armonia. Le armonie dunque, nella cultura giapponese, sono millimetricamente soppesate già a cominciare dalla scrittura e vorrei sottolineare che esse si evincono non soltanto dalla proporzione delle grandezze e delle forme dei tratti, ma anche , soprattutto, dalla successione temporale con cui i tratti stessi vengono scritti. In un certo senso, facendo ciò, la cultura giapponese pone una particolare attenzione al metodo, all’impostazione metodologica, ritenendola essa stessa capace di generare armonie, dove nel risultato si evince anche la bellezza e la cura per il processo che lo ha generato. Scorrendo il capitolo dedicato al Competition Workshop si potrà verificare che molti degli equilibri in esso presenti già dalla fase preparatoria, o del Workshop, sono figli di questa cultura che considera il processo, il viaggio, come un valore avente in se stesso ogni giustificazione.

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Quarto capitolo

““LLAA MMEETTOODDOOLLOOGGIIAA DDEELL CCOOMMPPEETTIITTIIOONN WWOORRKKSSHHOOPP”” •• LLAA MMEETTOODDOOLLOOGGIIAA DDEELL CCOOMMPPEETTIITTIIOONN WWOORRKKSSHHOOPP

•• LL’’EESSPPAANNSSIIOONNEE DDEELL BBRRIIEEFFIINNGG

•• IILL SSIIMMBBOOLLIISSMMOO DDEEII LLUUOOGGHHII

•• LLAA SSIINNEERRGGIIAA TTRRAA CCOOOOPPEERRAAZZIIOONNEE EE CCOOMMPPEETTIIZZIIOONNEE

Milano, 8giugno 2002

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•• LLAA MMEETTOODDOOLLOOGGIIAA DDEELL CCOOMMPPEETTIITTIIOONN WWOORRKKSSHHOOPP

Il competition workshop è una metodologia creativa ideata da Villa Tosca e rivolta ad aziende che intendono sviluppare il design di prodotti innovativi. I progettisti vengono invitati a partecipare a una serie di incontri, veri e propri seminari, in cui approfondiscono, insieme ad esperti ed all’azienda committente, le tematiche legate al prodotto da sviluppare (forma, spazio,colore, funzione, ma anche arte, filosofia, scienza, tecnica, ecc.). Successivamente i designer, in competizione tra di loro, realizzano una serie di soluzioni progettuali che propongono alla azienda committente. Nella fase di elaborazione collettiva, tra gli specialisti delle varie discipline, i manager delle aziende e i designer si stabilisce una forte cooperazione che viene messa a frutto nella fase di emulazione tra i progettisti, quando dalla stimolazione intellettuale e dalla ricerca comune si passa all’invenzione e alla progettazione individuale. L’unione di cooperazione e di competizione si rivela particolarmente efficace sul piano pratico. Il competition workshop presenta quattro caratteristiche fondamentali:

1) Multiforme varietà delle proposte, Il primo vantaggio del competition workshop è quello di analizzare e scegliere il progetto che l’azienda ritiene più adatto, senza doversi rivolgere, in modo diretto, a numerosi studi di design.

2) Flessibilità e controllo dei costi, Il competition workshop realizza “percorsi progettuali” adeguati alle imprese selezionando, per questo scopo, di volta in volta, il livello ed il numero dei designer da invitare ai seminari.

3) Approfondimento ed analisi dei trend di mercato, La prima fase: quella dei seminari (workshop), attraverso le ricerche di trend e di mercato specifiche, le relazioni degli esperti, le discussioni, gli incontri, lo studio comune dei temi, offre il vantaggio di verificare, in modo diretto, le tendenze del mercato in cui opera l’azienda che ha commissionato il competition workshop.

4) Oltre l’hardware, Il competition workshop permette ai progettisti di esplorare le tematiche legate ai singoli prodotti (storia, cultura, tecnica) attraverso una serie di seminari che, per disposizione spaziale e durata temporale, costituiscono una esperienza unica e per molti versi irripetibile: gli incontri, i dibattiti, gli interventi, i discorsi conviviali, i mille stimoli ricevuti dalle tante persone diverse, si traducono in un percorso ideale nello spazio e nel tempo che finisce per caratterizzare la nascita del progetto. Questo itinerario diviene parte integrante del prodotto sotto forma di “narrazione”, di “racconto” di “background story”, cosi che l’oggetto, nel momento in cui viene messo a disposizione del pubblico, reca con se la storia della propria genesi. Alla vendita del prodotto (hardware) si affianca perciò la cessione di una conoscenza (software): una lampada non è solo un oggetto, ma è anche un sapere sulla luce e il colore, è una forma per produrre sensazioni ed emozioni che nascono dall’incontro con antiche tradizioni come da nuove invenzioni. Progettare un oggetto nel competition workshop significa, quindi, indagare questo sapere, farlo proprio e metterlo a disposizione di tutti. La stessa “narrazione”, il “racconto” dell’oggetto costituisce, oltre che un veicolo per trasmettere questo sapere, anche una fonte di ispirazione e di guida per selezionare i concetti e le immagini che guideranno la campagna pubblicitaria per il lancio dei prodotti creati nel competition workshop.

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La decisione di immettere un nuovo prodotto nel mercato è sempre preceduta da indagini, analisi e riflessioni di varia natura all’ interno dell’azienda. Tutte queste riflessioni vengono, in genere, razionalmente sintetizzate in un documento chiamato “briefing”. Esso è una sorta di “summa” delle analisi di mercato, di marketing, di tecnologie di processo e di prodotto, e contiene gli “elementi chiave” che consentono al progettista di avviare il suo lavoro per rispondere al meglio ai problemi/targets dell’azienda. I designer sono, in genere, le vittime sacrificali del briefing, nel senso che essi si trovano, molte volte, costretti ad integrare con la loro “conoscenza” del mercato le manchevolezze di un briefing troppo semplicistico, oppure si trovano a soccombere di fronte ad un briefing molto dettagliato che non lascia spazio alla fantasia ed al loro apporto creativo. Sono numerosi i casi di piccole e medie aziende, magari deboli nelle loro strutture interne di marketing, che si rivolgono a progettisti, più o meno famosi, formulando come unico briefing la richiesta: “progetti un tavolo che si venda!” oppure: “progetti una sedia di successo!”. Dove per molte di queste aziende un briefing dettagliato sarebbe costituito dall’aggiunta delle parole: “tavolo da cucina o da salotto!” oppure: “sedie da giardino o anticamera”. Gli esempi dati costituiscono una estremizzazione della realtà. Ma non è raro il caso di aziende che forniscono briefing semplicistici, molte volte portando a supporto di questo confuso semplicismo azzardate teorizzazioni sulla necessità di lasciare liberi i progettisti e confondendo libertà creativa con assenza/carenza di dati per una progettazione creativa. Dall’altra parte, sono altrettanto numerosi i casi di aziende che fornendo attraverso il briefing tutte le specifiche tecniche del nuovo prodotto da progettare soffocano con i lori dettagli il possibile apporto creativo del designer. Informazioni sul mercato, sui consumatori, sui materiali, sui processi ed ancora sui gusti supposti degli utenti in merito alle forme, ai colori, alle superfici, ecc.. Tutti dati, si sottolinea, ricavati da “scientifiche indagini di mercato”, che, aggiungiamo noi, non fanno altro che fotografare la realtà esistente o meglio di tentare di fotografare la superficie della realtà esistente, non potendo penetrare più in profondità la dove la “domanda latente” si annida. Certo il briefing tecnico di questa natura non aiuta e non stimola molto la creatività dei designer, al contrario, li demotiva relegandoli di fatto al ruolo di progettisti di “copie” e di prodotti “media delle medie”. Il competition workshop è una metodologia che aiuta le aziende ad integrare i dati in loro possesso attraverso l’espansione del briefing in “territori” diversi dall’usuale. I territori della immaterialità del prodotto, della sua simbologia, dei suoi significati più reconditi, dello studio del modo e del perché esso assolve ai bisogni dell’uomo. Nel competition workshop il briefing è integrato con l’analisi di tutti gli aspetti della relazione uomo-prodotto e non solo “consumatore-prodotto”, in questo modo diventa possibile andare oltre la “domanda manifesta” per giungere alla comprensione della “domanda latente” alla possibilità di stimolare maggiormente nei designer la formazione di idee innovative. Nella filosofia del competition workshop ideare un prodotto vuol dire non soltanto pensare al prodotto specifico ma allargare l’analisi e la riflessione al tema cui il prodotto si riferisce e al tipo di necessità che il prodotto soddisfa ed evidenzia. Cosi, progettare una lampada vuol dire pensare alla luce, alla necessità di illuminare l’ambiente e i diversi ambienti per le diverse necessità umane: leggere, scrivere, riflettere, lavorare, rilassarsi, ecc. . Nei capitoli successivi, soprattutto nel capitolo VI, si trovano esempi specifici relativamente al concetto appena espresso.

•• IILL SSIIMMBBOOLLIISSMMOO DDEEII LLUUOOGGHHII Tra gli obiettivi fondamentali del Competition Workshop vi è quello di creare prodotti con una storia, una narrazione, un racconto, una paternità e, quindi, prodotti con una propria forte identità. Concorre a costruire questa forte identità anche il simbolismo del luogo dove i competition workshop si svolgono. I luoghi vengono accuratamente selezionati fra quelli che maggiormente simboleggiano i temi trattati. La capacità evocativa e stimolatrice dei luoghi è stata oggetto di attente valutazioni ed essi si sono sempre rivelati un potente supporto nella creazione di un ambiente concentrato e sereno. I luoghi evocano il tema, stimolano la riflessione storica su di esso e costituiscono una potente cornice naturale allo svolgimento del competition workshop. I luoghi permangono nella memoria del designer coinvolto associandosi e rafforzando quanto si analizza durante i seminari di studio, essi creano anche una sorta di cornice emotiva all’interno della quale lo svolgersi del tempo, delle relazioni con gli altri designer, delle riflessioni acquistano un significato e rafforzano le motivazioni dei convenuti, siano essi designer o esperti. Alcuni dei luoghi finora scelti sono: Il Santuario Francescano di Greccio, per il tema: “luce e colori”. La casa natale di Guglielmo Marconi, per il tema: “forme di comunicazione”. Il parco Nazionale del Gran Paradiso, per il tema: “purezza e pulito”. Castel del Monte, per il tema: “aprire e chiudere”. Bagno Vignoni, per il tema: “washing the time”. Lontani dal contesto dei propri uffici, circondati da un ambiente stimolante e culturalmente ricco, in una sorta di ritiro creativo, i progettisti possono liberamente attingere a quell’immenso serbatoio di creatività che la mente umana generosamente fornisce se opportunamente stimolata e nutrita.

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•• LL’’EESSPPAANNSSIIOONNEE DDEELL BBRRIIEEFFIINNGG

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•• LLAA SSIINNEERRGGIIAA TTRRAA CCOOOOPPEERRAAZZIIOONNEE EE CCOOMMPPEETTIIZZIIOONNEE Tra le caratteristiche innovative del competition workshop vi è il fatto che esso riunisce i progettisti, gli esperti ed i committenti in un unico luogo, in un determinato periodo di tempo chiamando i progettisti a collaborare nella fase di analisi del briefing e a competere nella fase di elaborazione dei concept: collaborare nella fase di input e competere nella fase di output. Due parole che evocano mondi diversi, o meglio opposti tra di loro sono cosi unite in forma sinergica. Collaborazione significa scambio, aiuto reciproco e presuppone relazioni non conflittuali, al contrario amichevoli, legate nel profondo al mondo dell’amore (eros). Competizione significa volontà di primeggiare di dominare e presuppone relazioni conflittuali legate al mondo dell’aggressività (thanatos). L’ insieme equilibrato del “collaborare” (workshop) e del “competere” (competition) è la chiave del successo della metodologia. In esso si distinguono chiaramente due fasi temporali: la prima fase del “Workshop” lega la simbologia dei luoghi al dibattito, alla analisi, allo scambio di idee e informazioni ed è tutta protesa a creare un “clima” di concentrazione sereno e collaborativo. La seconda fase del “Competition”, pur avendo il suo inizio contestualmente alla prima fase, essa cresce e si sviluppa nella sua intensità emotiva, di voglia cioè di battersi per vincere la competizione, alla fine del workshop, arrivando all’apice della sua intensità nei giorni di presentazione dei risultati. Il workshop è legato alla simbologia ed alla magia dei luoghi mentre il competition si svolge in un contesto spazio-temporale diverso, nella maggioranza dei casi esso è il securizzante mondo del proprio ufficio. La dove i propri colleghi e collaboratori rafforzano non poco la motivazione a fare bene, a vincere la competizione. L’esperienza sul campo fatta con questa metodologia ci fa ritenere che il principio della competizione, per altro molto usato nella storia dell’architettura, sia decisamente produttivo e particolarmente efficace anche nel settore dell’ industrial design. I fattori legati allo spazio - (simbologia dei luoghi, che suscitano senso di alterità e straneamento, desiderio di ricerca e approfondimento) - sono in sinergia con i fattori legati al tempo: fase uno del “workshop”. Allo stesso modo, il ritorno al proprio “quotidiano”, al proprio “ufficio”, restituendo sicurezza e fiducia nei propri mezzi, è in sinergia con la fase due del “competition”. Il bilanciamento e l’equilibrio dei fattori spazio-temporali risulta essere cosi decisivo per una efficace sinergia tra cooperazione e competizione.

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quinto capitolo

““II VVAANNTTAAGGGGII PPEERR LLEE IIMMPPRREESSEE,, II CCOONNSSUUMMAATTOORRII,, LL’’EECCOOSSIISSTTEEMMAA”” •• LLAA MMOOTTIIVVAAZZIIOONNEE DDEEII DDEESSIIGGNNEERR

•• LLAA RRIICCCCHHEEZZZZAA DDEEGGLLII EELLAABBOORRAATTII PPRROOGGEETTTTUUAALLII

•• IILL WWOORRKKSSHHOOPP CCOOMMEE OOCCCCAASSIIOONNEE DDII FFOORRMMAAZZIIOONNEE AANNCCHHEE PPEERR II MMAANNAAGGEERR

•• LLAA SSOODDDDIISSFFAAZZIIOONNEE DDEELL CCOONNSSUUMMAATTOORREE

•• RREECCUUPPEERROO DDII SSEENNSSOO DDEEII PPRROODDOOTTTTII

•• PPRROODDOOTTTTII CCOONN MMAAGGGGIIOORREE DDIIGGNNIITTÀÀ EE VVAALLOORREE DDII AAPPPPAARRTTEENNEENNZZAA

Milano, 8 giugno 2002

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Nell’ambito delle risorse umane, il designer interno all’azienda rappresenta una risorsa strategica, per la sua formazione e il suo aggiornamento molte aziende non investono adeguatamente. La creatività concepita come risorsa inesauribile, patrimonio genetico personale del designer, “giacimento” dal quale estrarre a piacimento e senza obblighi di restituzione, se non quelli del pagamento del salario, sembra essere una concezione ben radicata nel modo di essere e di fare delle aziende. Al designer il compito e la responsabilità di stare al passo con i tempi ed in linea con le tendenze ed i gusti. Per DMC Villa Tosca sia i designer interni alle aziende che i progettisti liberi professionisti rappresentano in ugual misura una risorsa strategica da valorizzare. Il migliore investimento che si possa fare con i designer è quello di stimolare la loro creatività, rendendo fertile il terreno intorno al quale o sul quale il progettista opera e si trova inserito. La creatività non è depositata in un “giacimento” da cui si possa a piacere estrarne quantità illimitate. Essa si può concepire come risorsa inesauribile solo se, in una sorta di “give and take”, si sente l’obbligo di restituire non solo un adeguato salario, ma anche e, soprattutto, una forte stimolazione intellettuale che rafforzi costantemente la profonda motivazione dei designer. DMC Villa Tosca ha considerato questo compito, fin dall’inizio della sua fondazione, come uno dei suoi compiti fondamentali: creare un ambiente culturalmente aperto, ricco, veramente in grado di stimolare i designer adeguatamente. La nostra esperienza sul campo ci dice che la motivazione stessa dei designer viene rafforzata proprio nel particolare clima che si viene a creare con il Competition Workshop, in quanto unicum intorno e dentro al quale, ritrovarsi e riuscire a trarre un’ispirazione, una motivazione particolare per la spinta a operare creativamente.

•• LLAA RRIICCCCHHEEZZZZAA DDEEGGLLII EELLAABBOORRAATTII PPRROOGGEETTTTUUAALLII Il competition workshop offre al cliente maggiore ricchezza di elaborati progettuali, rispetto ad ogni altra modalità di progettazione che si veda destinato un budget equivalente. Il committente ottiene, infatti, attraverso il competition workshop dei progetti realizzati da designer diversi per stili e per modalità di espressione. Ognuno dei designer partecipanti al competition workshop fornisce la propria “visione del mondo” attraverso ai suoi progetti e interpreta il tema proposto nel modo che gli è più consono. Diverso è ottenere dieci, quindici varianti su un tema, tutte frutto e opera della stessa “mano”, della stessa visione del mondo, diverso è ottenere dieci, quindici progetti frutto di “mani” (persone) diverse. In questo modo il committente si trova di fronte a una serie di espressioni stilistiche che sono molto diverse tra di loro e che costituiscono la ricchezza stessa del competition workshop. •• IILL WWOORRKKSSHHOOPP CCOOMMEE OOCCCCAASSIIOONNEE DDII FFOORRMMAAZZIIOONNEE AANNCCHHEE PPEERR II MMAANNAAGGEERR Il Competition Workshop prevede nella struttura del workshop un momento di confronto con i manager dell’azienda. Questo perché, in questo modo, i product manager delle imprese possono verificare in modo dialogico con gli esperti e i designer che intervengono durante il workshop le proprie ipotesi, le proprie convinzioni sulle aspettative dei consumatori, sulle specifiche e su come viene percepito, anche culturalmente, il proprio prodotto e il prodotto dei concorrenti, ecc.. Questo dialogo tra i product manager e gli esperti si rivela particolarmente fecondo per i designer e per i manager stessi, quando coinvolge gli aspetti più immateriali del prodotto: la sua simbologia, il suo significato culturale, ecc..

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•• LLAA MMOOTTIIVVAAZZIIOONNEE DDEEII DDEESSIIGGNNEERR

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Nel competition workshop sono presenti vari elementi che concorrono ad aumentare la soddisfazione dei fruitori nell’atto di consumo di un prodotto scaturito grazie a questa metodologia. Si tratta di elementi materiali e immateriali, in generale si può affermare che una migliore impostazione nel momento del briefing, con una ottimale armonizzazione dei temi e dei problemi oggetto di analisi durante i seminari ed un equilibrato mix di fattori spazio-temporali non può che produrre oggetti più pensati. Nella forma e nella funzione è facile riconoscere le tracce delle tematiche e delle soluzioni anche solo abbozzate durante la fase del workshop, quindi possono contenere queste “migliorie” tecnico-estetiche, ma esse non possono trasmettere al fruitore l’intera genesi progettuale del prodotto stesso, quella che abbiamo definito, storia, narrazione, racconto del prodotto. Sono proprio questi aspetti immateriali, già ampiamente discussi, invece, che possono generare nel consumatore una maggiore e diversa soddisfazione nell’atto del fruire. Considerato che né la forma, né la funzione raccontano la genesi e la storia del prodotto, DMC Villa Tosca si è posta il problema di come comunicare al consumatore il contenuto culturale e la storia del prodotto stesso. E’ nata cosi l’idea di trasformare il manuale d’istruzione del prodotto in un veicolo in grado di comunicare non solo le caratteristiche tecniche ma anche i contenuti culturali e la storia della genesi del prodotto. Un manuale siffatto può contenere la parte immateriale, fortemente innovativa, del prodotto, può descriverne il percorso progettuale, gettando una luce nuova e diversa sugli aspetti più reconditi dei prodotti moderni. La maggiore soddisfazione per il consumatore può derivare, cosi, dalla consapevolezza di aver acquistato di un “prodotto di senso”, in grado di legare per questo il prodotto e il fruitore in maniera più durevole. •• RREECCUUPPEERROO DDII SSEENNSSOO DDEEII PPRROODDOOTTTTII Vi sono vari modi in cui i prodotti, in passato, hanno teso a prendere “senso”. Alcuni prodotti si affermano come simboli di un’epoca, di un atteggiamento e così via. Basti pensare alla “Lambretta”, alla “Vespa” o alla quantità di altri prodotti industriali che si sono affermati come significanti di un particolare stile o modo di vivere. Il competition workshop si differenzia per due caratteristiche: la prima è che tali significati con il sistema del competition workshop vengono studiati a priori e non lasciati determinare dal mercato in modo libero e incontrollato. Nel competition workshop il senso, il significato, viene caricato in maniera consapevole, voluta; questa è una differenza molto importante, sostanziale, non è casuale e a sua volta diventa anche un vantaggio per l’impresa. La seconda differenza riguarda l’importanza di raccontare come si arriva all’ideazione, progettazione e creazione di un oggetto. Da questo punto di vista è vero che il consumatore tende ad avere di fronte una serie di produttori che avanzano i loro consumer benefit, e questo è ciò che il consumatore di solito sa, ciò che gli viene detto. Non succede quasi mai invece che il background di tale consumer benefit venga valorizzato, divenga esso stesso un tipo di preferenza e d’interesse, e questo ci pare essere invece l’altro terreno specifico in cui la proposta si definisce dal punto di vista del consumatore stesso e dei suoi possibili vantaggi. DMC Villa Tosca attraverso il competition workshop inserisce e carica di significato, di valenze culturali ed etiche, anche prodotti tecnologici, recuperando ai prodotti una “dignità” e “identità” quasi perdute nel “mondo dell’usa e getta” oggi dominante. •• PPRROODDOOTTTTII CCOONN MMAAGGGGIIOORREE DDIIGGNNIITTÀÀ EE VVAALLOORREE DDII AAPPPPAARRTTEENNEENNZZAA Nel consumo contemporaneo la componente comunicativa è fondamentale. I prodotti industriali, negli esempi migliori, cercano di comunicare in primo luogo attraverso la forma, che dispiega ed esalta la funzione, una capacità di soddisfare un bisogno. Il consumatore “vede” il prodotto ed innanzitutto la sua forma gli comunica, a livello subliminale, in pochi secondi, il soddisfacimento del bisogno. Ma la forma nasconde anche significati simbolici, culturali, emotivi. Essa, infatti, può comunicare leggerezza, pesantezza, allegria, monotonia, amicizia, ostilità, sofisticatezza, semplicità, ecc.. Nei “prodotti di senso” che il competition workshop propone, il racconto, la storia arricchiscono ulteriormente queste valenze di base impregnandole con un filo conduttore che da ai prodotti una “dignità” nuova.

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•• LLAA SSOODDDDIISSFFAAZZIIOONNEE DDEELL CCOONNSSUUMMAATTOORREE

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Abbiamo volutamente usato la parola dignità per rappresentare l’insieme dei valori che i “prodotti di senso” posseggono e che li rende distinti e riconosciuti come distinti dai consumatori. La dignità è anche legata al mondo delle relazioni tra l’uomo e l’oggetto e di conseguenza rimanda alle rappresentazioni mentali che l’uomo forma in se rispetto ad ogni oggetto. In questa triade rappresentata da: prodotto, rappresentazione mentale di esso ed uomo si intuisce quanto è importante il retroterra culturale entro cui i prodotti nascono e verso cui sono destinati. Si apre in questa triade il grande tema dell’appartenenza culturale dei fruitori, dei consumatori, degli acquirenti e con esso la necessità o meno di progettare sempre più prodotti culturalmente appropriati che tengano conto delle “rappresentazioni mentali”, quindi, dei valori culturali di riferimento della comunità, del gruppo cui sono destinati. Un colore, una forma possono avere significati diversi a seconda che siano “viste” in India, in Europa o in Giappone.

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sesto capitolo ““PPEERRCCOORRSSII DDII CCOONNOOSSCCEENNZZAA:: AALLCCUUNNII CCOOMMPPEETTIITTIIOONN WWOORRKKSSHHOOPP RREEAALLIIZZZZAATTII”” •• PPRREEMMEESSSSAA

•• 11999944 –– HHEELLIIOOPPOOLLIISS

•• DDAALL PPRROOGGEETTTTOO HHEELLIIOOPPOOLLIISS NNAASSCCEE UUNN SSIISSTTEEMMAA DD’’IILLLLUUMMIINNAAZZIIOONNEE

•• 11999955 –– HHIIRRAAKKUU--SSHHIIMMEERRUU

•• 11999955 –– TTHHRREEEE PPRROODDUUCCTTSS TTOO CCOOMMMMUUNNIICCAATTEE

•• 11999966 –– PPUURRIITTYY && CCLLEEAANNEERRSS

•• 11999977 –– LLAA TTAANNAA EE LL’’AALLVVEEAARREE

•• 11999977 –– VVIIDDEEOO--CCOOMMBBII

•• 11999977 –– LLUUCCIIFFEESSTTAA

•• DDAALLLLEE LLUUCCIIFFEESSTTAA AADD UUNN SSIISSTTEEMMAA DDII AARRCCHHIITTEETTTTUURREE LLUUMMIINNOOSSEE

•• 11999977 –– HHAAPPPPYY SSPPOOOONN

•• 11999999 –– AALLIISSEEII

•• 11999999-- 22 WWHHEEEELLSS OOFF JJOOYY

•• 22000000 –– WWAASSHHIINNGG TTHHEE TTIIMMEE

•• 22000000 –– DDIIGGIITTAALL CCAAMMCCOORRDDEERR

•• 22000000 –– WWEEAARRAABBLLEE CCOOMMPPUUTTEERR

•• 22000011 –– CCAANNIISSTTEERR VVAACCUUUUMM

•• 22000011 –– MMIICCRROOWWAAVVEE OOVVEENN

•• 22000011 –– EEDDUUTTOOYYSS

•• UUNNAA NNUUOOVVAA LLIINNEEAA DDII GGIIOOCCAATTTTOOLLII IINNTTEELLLLIIGGEENNTTII EEDD EECCOOLLOOGGIICCII

•• LLAA NNAATTUURRAALLEE EEVVOOLLUUZZIIOONNEE DDEELL CCOOMMPPEETTIITTIIOONN WWOORRKKSSHHOOPP::

EE--CCOOMMPPEETTIITTIIOONN

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•• PPRREEMMEESSSSAA Come abbiamo ampiamente descritto nel capitolo quarto, il Competition Workshop è un’innovativa metodologia che permette alle aziende di ottenere su un solo tema un’ampia selezione di progetti provenienti da studi di design diversi tra di loro. Su richiesta del cliente, Villa Tosca organizza una serie di incontri durante i quali i progettisti, affiancati da qualificati esperti e dai manager dell’azienda committente, affrontano il problema legato ad uno specifico prodotto sotto tutti i punti di vista. I significati simbolici degli oggetti, l’importanza della relazione emozionale, le modifiche comportamentali che essi possono indurre, oltre che la analisi della forma e della funzione, sono oggetto di studi molto profondi durante la fase del Workshop. Terminata la fase del Workshop, in cui la circolazione delle idee è resa più fluida e spontanea anche grazie alla “magia” dei luoghi in cui essi si svolgono, incomincia la fase del Competition ed i designer tornano ai loro studi per elaborare i dati acquisiti e proporre le loro soluzioni. Un incontro successivo permette un confronto diretto tra quanto richiesto dal cliente e quanto presentato dal designer, e tramite un ulteriore passaggio l’azienda ha modo di scegliere i concetti finali da ingegnerizzare per avviare alla produzione. In questo capitolo vengono brevemente descritti i più importanti competition workshop effettuati dal DMC Villa Tosca fin dall’inizio della sperimentazione nel 1994. Attraverso la selezione di competition workshop proposta in questo capitolo, il lettore potrà notare:

1) La straordinaria varietà dei campi applicativi del competition workshop (lampade, videocamere, architetture effimere, biciclette, maniglie, eccetera)

2) La flessibilità nella struttura organizzativa: relativa al numero di giorni dei seminari di studio e al numero di esperti coinvolti. Per esempio nel competition workshop “Alisei”, effettuato per NTT DoCoMo e Panasonic sui comunicatori di nuova generazione, le analisi che hanno preceduto la progettazione hanno rappresentato quanto di più complesso DMC Villa Tosca abbia prodotto ed offerto finora ai suoi clienti. Tra gli studi vi si trovano, infatti, analisi comportamentali della sofisticata “Behaviour Market Research”, analisi delle vetrine effettuata in 9 capitali europee (Shop Windows Analysis), analisi delle forme dei comunicatori presenti nei fumetti e nei film di fantascienza, alla analisi degli spot pubblicitari dei leader di mercato.

3) Il diverso numero, oltre che la diversa professionalità, la diversa nazionalità e la diversa esperienza degli studi di design e di singoli designer coinvolti. Su questo punto vi sono gli esempi del competition workshop su “Lucifesta” che prevedeva un basso numero di designer coinvolti, alle centinaia dell’ultimo e-competition.

Non ci è purtroppo possibile mostrare la straordinaria varietà dei progetti scaturiti dai vari competition workshop per ragioni di confidenzialità e per l’impossibilità di pubblicarle tutte in un breve saggio come questo. Vale la pena, però, segnalare al lettore che il primo Competition Workshop effettuato su Heliopolis ha generato 29 diversi progetti di lampada mentre l’ultimo in ordine di tempo effettuato tramite la rete del Portale della creatività aedo-to.com ha prodotto 268 progetti. In calce il lettore trova le foto dei progetti e dei prodotti autorizzati per la pubblicazione essi sono solo un piccolo esempio della enorme varietà raccolta dal DMC Villa Tosca per i suoi clienti.

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•• 11999944 -- HHEELLIIOOPPOOLLIISS Anno 1994 Cliente: Progetto interno Tema: luce e colore Il Competition Workshop “Heliopolis”, capostipite della lunga serie di Competition organizzati dal DMC Villa Tosca, si è svolto nel 1994 nel Santuario di Greccio, in Umbria. Nell’isolamento offerto dalla cornice unica del luogo e durante il solstizio d’autunno, vari designer ed esperti di vari settori hanno potuto riflettere sui profondi, decisivi significati che la luce ed il suo colore hanno per l’uomo. Da una sintesi dei molti progetti scaturiti è nata Heliopolis, la lampada a variazione cromatica continua che riproduce tutti i colori dello spettro solare con un meccanismo di filtri estremamente semplice. Heliopolis non è un nuovo prodotto, ma un prodotto nuovo, che non esisteva prima, in linea con la filosofia di DMC Villa Tosca: la creazione, tramite l’innovazione, di prodotti di senso.

Heliopolis La torcia, il lume, la lanterna, la lampada elettrica hanno assolto nel corso della storia dell’umanità il compito di rendere “amica” la notte, di rischiarare il buio delle tenebre, ricreando, per quanto possibile, il chiarore del giorno all’interno dei diversi ambienti domestici. Heliopolis è una lampada che permette di scegliere tra le infinite sfumature colorate che il sole crea nell’arco di una giornata, dando in tal modo forma e figura alla luce naturale, così mutevole e cangiante, ricchissima di colori, molti più di quelli che i nostri strumenti consueti di illuminazione riescono normalmente a ricreare. Una simile lampada costituisce senza dubbio un notevole miglioramento nello status qualitativo sia sul piano percettivo che su quello psicologico – la luce produce benessere, il colore è sensazione –, ma è anche un sostanziale passo in avanti rispetto all’attuale offerta di apparecchi per illuminare. Il colore è un’esperienza fondamentale nella vita dell’uomo: la successione delle stagioni, l’alternanza di giorno e notte, il mutamento continuo del cielo all’alba e al tramonto; tutti questi stati luminosi influenzano i nostri stati d’anima: ci eccitano e ci placano, ci immalinconiscono e ci esaltano, ci fanno carnali e spirituali, ma non ci lasciano mai indifferenti ed estranei rispetto al grande spettacolo della luce. Heliopolis nasce dal primo Competition Workshop tenutosi nel 1994 nel santuario francescano di Greccio, e rappresenta la soluzione più semplice e insieme più efficace alla sfida di ricreare mediante una lampada “le infinite sfumature colorate che il sole crea nell’arco di una giornata”. Heliopolis, i colori del sole in una lampada.

Designer Alberto M. Prina Andrès Mahdjoubian Cinzia Pagni Danilo Premoli Mathias Reuter Peppe Di Giuli Rolando Borsato Silvana Angeletti Simone Medio

Esperti Alberto Veca -critico d’arte Aldo Colonnetti- filosofo dell’estetica Fabio Emilio Simion - fotografo Franco Paparo - psicanalista Giovanni Anceschi - semiologo Joseph Sassoon - sociologo Paolo Maffei - astronomo Paolo Orlando - teologo

PICTURE # 1, 2, 3, 4

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•• DDAALL PPRROOGGEETTTTOO HHEELLIIOOPPOOLLIISS NNAASSCCEE UUNN SSIISSTTEEMMAA DD’’IILLLLUUMMIINNAAZZIIOONNEE

Heliopolis: i colori del sole in una lampada

Heliopolis La lampada da tavolo Heliopolis rappresenta la soluzione più semplice ed efficace alla sfida di riprodurre, mediante una lampada, le infinite sfumature cromatiche che il sole crea nell’arco di una giornata. Illumina, colora e dipinge l’ambiente, creando piacevoli atmosfere. Un meccanismo semplice, innovativo e appassionante permette di ottenere i colori dello spettro solare, adattando a piacere la colorazione della luce. Heliopolis, per questo, è anche un invito a toccare, manipolare e giocare con l’oggetto lampada e con la luce. La sua forma richiama simbolicamente lo stereotipo culturale del sole che sorge o tramonta. Nel suo complesso è un ossimoro: figura dell’inatteso che nasce dalla congiunzione di termini che esprimono concetti opposti (quadrato/cerchio, pesante/leggero, durezza/morbidezza, razionalità/emozione). La base quadrata, infatti, in alluminio pressofuso, è spigolosa e contrapposta alla rotondità e morbidezza del vetro soprastante: terra e cielo congiunti come nelle antiche simbologie.

Pandora La forma apparentemente semplice di Pandora rivela, con l’uso, la presenza di numerosi dettagli che fanno fede alla promessa evocatrice di un mondo di simboli e miti racchiusa nel nome. È una lampada a stelo caratterizzata da un contenitore cilindrico, chiuso da una base forata con segni di mezzaluna e sovrastato da un disco di copertura mobile. La struttura circolare della piantana ricorda simbologie pentagonali. Si può interagire e giocare con ogni sua parte. Il cilindro, come il mitico vaso, riproduce sensazioni e desideri in forma di luce: bianca o colorata delle mille sfumature cromatiche del sole. Aprendolo e chiudendolo a piacere, il disco riflette sul soffitto le fasi lunari. La luce, poi, si proietta sul pavimento, filtrando nei piccoli fori, spicchi di luna. Un’atmosfera a tutto tondo per seguire le fasi del giorno, delle stagioni e del proprio umore. Pandora, la luce per riflettere, per conversare, per ricordare, per sognare.

Ombra Ombra è una lampada da parete dalle forme estremamente semplici e raffinate. La sua struttura formale è costituita da un rettangolo essenziale caratterizzato da un segno che la divide idealmente in due. Accesa, rivela le sue caratteristiche originali: la luce bianca, la luce colorata, la doppia luce che nasce dall’incontro fra colori primari e complementari, tra il sopra e il sotto della lampada e soprattutto le ombre che proietta sulla parete. Il cambiamento della colorazione della luce avviene attraverso un meccanismo che può riprodurre, a scelta, i colori dello spettro solare. Ombra e luce, due antitetici insopprimibili. Dove la luce è protagonista, l’ombra silenziosa sottolinea la presenza del suo contrario. Avere dato il nome Ombra a questa lampada vuole essere un omaggio ad una presenza così silenziosa e al contempo così importante. Ombra T Ombra T è la trasformazione dell’originaria lampada da parete in lampada da tavolo. L’aggiunta di una base sulla quale farla roteare è un ulteriore invito a giocare, non solo con la luce e i colori, ma con l’oggetto in sé. Pisa Come la Torre che ha reso famosa la città nella quale sorge, Pisa è pendente. Può ruotare a 360° e oscilla di 12°. Un po’ faro, un po’ torre, un po’ missile è un tubo di luce che si colora. Capocolonna Capocolonna si ispira alla semplicità e all’essenzialità delle colonne doriche, anch’essa, come Pisa, è l’evoluzione di Pandora: le cinque colonnine che si allungano alla base, sostengono la lampada, e creano la miniatura di un tempio ideale. PICTURES # 28, 29, 55a, 55b, 55c, 55d, 56

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•• 11999955 –– HHIIRRAAKKUU--SSHHIIMMEERRUU Anno: 1995 Cliente: Union Co. Ltd, Tema: aprire-chiudere Il Competition Workshop “Hiraku-Shimeru” (che in giapponese significa aprire-chiudere) è stato organizzato nel 1995 su richiesta della Union Corporation Ltd, azienda giapponese leader nella produzione di maniglie. Ideato per indagare i concetti di “apertura” e “chiusura” nella storia e per progettare forme innovative di maniglie e cerniere, ha offerto nel medesimo tempo una straordinaria occasione di studio per sei giovani designer. La stessa impostazione del Workshop, realizzato secondo la formula dei seminari itineranti, ha permesso un’osmosi tra i temi trattati negli incontri e nelle lezioni e le verifiche sul campo. In tal modo, i numerosi progetti nati durante il seminario hanno subito l’influenza di questa originale impostazione sia per la ricchezza delle forme espressive che per la varietà degli stili progettuali.

Maniglie e cerniere Il gesto di aprire implica sempre quello di chiudere. La porta, oggetto d’uso quotidiano che quasi non guardiamo più, possiede invece un valore simbolico importante: apre e nello stesso tempo chiude su mondi diversi. Molte sono le metafore legate al verbo “aprire”: aprire gli occhi, ma anche la mente e il cuore, come ingiungono i vecchi saggi, dell’Oriente come dell’Occidente. La via mistica insegna che “chiudere” vale per custodire, conservare gelosamente le cose più importanti (il divino è il campo in cui aprire e chiudere sono metafore tra loro simmetriche, e come insegna la grande tradizione orientale, queste metafore religiose sono strettamente legate a quelle della sessualità). La nostra cultura architettonica si è strutturata intorno alla coppia aperto/chiuso: il castello (chiudere per custodire); la chiesa (custodire il popolo di Dio, ma anche aprire gli occhi della mente al bello e al bene), l’Università (aprire la mente al vero attraverso la conoscenza e il sapere). Questi sono stati i primi oggetti di studio e di conoscenza dei seminari itineranti. Travelling Seminars La cultura contemporanea ha fatto del viaggio una forma di apprendimento; viaggiare è un potente stimolo creativo anche per chi pratica il mestiere del designer e del progettista. I Travelling Seminar, o seminari itineranti, messi a punto dal DMC Villa Tosca, sono esperienze multidisciplinari, che attraverso una totale immersione nei luoghi e nelle culture prescelti consentono ai partecipanti di arricchire ed estendere i propri orizzonti culturali. Progettare significa infatti stabilire un confronto costante tra la ricerca di una qualità estetica e funzionale del prodotto e l’ambiente, la storia, le radici materiali e culturali in cui il prodotto è nato, allo scopo di restituirgli nel corso del processo creativo e ideativo il suo significato profondo. La cornice culturale e ambientale dei Seminari itineranti porta il designer a confrontarsi con argomenti all’apparenza lontani dalla sua vita quotidiana, creando uno “straniamento”, uno scarto percettivo e prospettico, geografico e culturale, che rende possibile la nascita di idee che si trasformano in forme e oggetti innovativi. Nel mondo scientifico esiste la casualità guidata, serendipity, che a volte consente al ricercatore di cogliere in modo intuitivo e immediato nuove conoscenze. Il viaggio reca con sé la possibilità concreta dell’illuminazione, che si può raggiungere attraverso pensieri laterali, stimolazioni sensoriali ed esperienze spirituali compiute dentro il paesaggio e la cultura. Designer Alberto M. Prina Esteban Bravo Francesco Scansetti Mathias Reuter Maurizio Prenna Peppe Di Giuli Sigurdur Thorsteinsson VillaTosca Design Team

Esperti Aldo Colonetti- filosofo dell’estetica Annibale Oste – scultore Gillo Dorfles – studioso del design Joseph Sassoon - sociologo Miro Virili – storico Patrizia Zagnoli – economista

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•• 11999955 –– TTHHRREEEE PPRROODDUUCCTTSS TTOO CCOOMMMMUUNNIICCAATTEE Anno 1995 Cliente: Panasonic Italia Tema: forme di comunicazione Il Competition Workshop “Three Products to comunicate” si è svolto a Pontecchio Marconi nella casa natale di Guglielmo Marconi. Il Competition Workshop è stato inserito ufficialmente nei programmi delle celebrazioni marconiane effettuate in occasione del centenario dell’invenzione della radio. Il seminario ha avuto luogo in quella che ora è la sede della Fondazione Marconi, nel medesimo edificio in cui lo scienziato italiano effettuò i primi esperimenti di trasmissione senza fili, in mezzo alle repliche delle prime radio, una sede che si è rivelata molto stimolante ed adeguata per una riflessione e uno studio sugli strumenti di comunicazione contemporanea. Il Workshop ha permesso ai cinque designer invitati di produrre una significativa serie di riflessioni, proposte e progetti sul tema della comunicazione. Su espressa richiesta del cliente, i campi di indagine per i progetti erano il car audio system, telefoni e fax per uso domestico e apparecchi Hi-Fi. I numerosi esperti intervenuti hanno permesso ai designer di avere una chiara idea non solo del funzionamento effettivo degli apparati, ma anche delle loro implicazioni filosofiche, sociologiche e perfino teologiche.

Marconi Nel mondo odierno la comunicazione, mediata elettronicamente, è diventata una dimensione imprescindibile dell’esistenza quotidiana, attraversando una quantità crescente di pratiche individuali e sociali. I prodotti per comunicare incorporano caratteristiche tecniche sempre più sofisticate. Ma per essere innovativi in questo campo occorre avere ben presenti, oltreché le tecnologie più avanzate, anche le ragioni profonde per le quali si comunica: assieme a quelle strumentali – le più ovvie – anche quelle emozionali, simboliche, spirituali. La comunicazione di informazioni, ma anche di sentimenti. La comunicazione di dati, ma anche di valori. L’essenziale è l’adattamento sempre più evoluto della logica comunicativa delle macchine ai bisogni comunicativi dell’uomo. Designer Alberto M. Prina Angelo Cortesi Christian De Poorter Denis Santachiara Marco Sonetto Mario e Dario Bellini Peppe Di Giuli Toshiyuki Kita

Esperti Ermanno Cressoni – centro stile FIAT Gianni Ambrosio – teologo Giuseppe De Rita – sociologo, Censis Guglielmo D’Inzeo – Prof. di biocompatibilità elettromagnetica Panasonic – marketing Panasonic – production Paolo Diodati - fisico Paolo Trivellato – sociologo Patrizia Zagnoli – economista Roberto Vacca – futurologo

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•• 11999966 –– PPUURRIITTYY && CCLLEEAANNEERRSS Anno 1996 Cliente: Matsushita Appliances Corporation of America Tema: Pulito e purezza Il Competition Workshop intitolato “Purity & Cleaners”, organizzato su richiesta della MAC, azienda USA produttrice di apparecchi per la pulizia domestica a marchio Panasonic, ha voluto affrontare il tema della progettazione di un sistema di pulizia ecologico. Il seminario si è svolto nel 1996 nella cornice naturale del Parco Nazionale del Gran Paradiso, e ha consentito a quattro studi di design e ai ricercatori intervenuti di trarre spunto direttamente dall’ambiente, per creare progetti in rapporto ai valori di freschezza, armonia e purezza.

Purity & cleaners La pulizia della casa nasce da un’esigenza di igiene divenuta col processo di civilizzazione e con la nascita della società moderna un fattore determinante, tramandato oramai come un valore e un elemento culturale nei sistemi educativi, sanitari e abitativi. Nella cultura occidentale, freschezza e profumo sono sinonimi di armonia e ordine, e il giardino ne è il simbolo più efficace. La ricerca della pulizia nasce dal bisogno di purezza; è l’esigenza e il sogno di vivere in luoghi incontaminati, integri, intatti che segna il nostro mutato rapporto con la Natura a partire dalla prima rivoluzione industriale. Per questo il parco naturale ha assunto un ruolo preponderante nell’immaginario contemporaneo. La cultura ambientalista e le idee ecologiche che si sono diffuse in Europa e negli Stati Uniti nel corso degli anni Settanta e Ottanta hanno modificato lo stesso rapporto con l’ambiente domestico, con la casa, mettendo a nudo in modo inequivocabile l’inadeguatezza dell’offerta di sistemi domestici di pulizia. I designer partecipanti si sono confrontati con le problematiche connesse alle esigenze di pulizia, sia a livello puramente meccanico che a livello delle inconsce paure legate alla contaminazione ed allo sporco, da cui un aspirapolvere ci deve “proteggere”. Designer Denis Santachiara Francesco Trabucco Marco Bonetto VillaTosca Design Team

Esperti Fabrizio Pregliasco - biologo Francesco Morace - sociologo Joseph Sassoon - antropologo Mac - Marketing Mac - Production

Dopo il successo del primo Competition Workshop, il cliente, Matsushita Appliances Corporation of America ha richiesto un altro Competition Workshop che si è svolto nel 1999. Nel 2001 la Matsushita Electric Espana, ha richiesto sullo stesso tema il Competition Workshop denominato “Canister Vacuum” Designer Deep Design Maria Gallo Studio Caramel VillaTosca Design Team

Esperti Decio Carugati – critico del design, giornalista Joaseph Sassoon – antropologo Maes Marketing

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Maes Production Virginio Briatore – trends analyst

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•• 11999977 –– LLAA TTAANNAA EE LL’’AALLVVEEAARREE Anno 1997 Cliente : BPT Nel 1997 su richiesta della BTP, azienda leader in Italia nella produzione di videocitofoni, il DMC Villa Tosca ha organizzato il Competition Workshop intitolato “La tana e l’alveare” incentrato sulla progettazione di sistemi innovativi di videocitofonia. La sede dell’incontro è stata Venezia, città dalla doppia faccia: terra e acqua, bastione difensivo e residenza patrizia. Al Competition Workshop hanno partecipato quattro diversi studi di design, oltre a numerosi ricercatori e studiosi. Al termine sono stati selezionati due differenti progetti di videocitofoni scelti tra molte proposte, tutte diverse e interessanti.

La tana e l’alveare

La casa moderna in un certo senso è ancora una “tana”, vale a dire un sistema semplice e primordiale di isolamento e di difesa dal mondo esterno percepito come ostile e pericoloso. Ma la casa è anche un “alveare”, un sistema integrato e complesso di singole unità inserite all’interno di agglomerati molto più grandi (edifici, complessi residenziali, quartieri), che necessitano di sistemi di comunicazione con l’esterno integrati tra loro e sempre più complessi.

Progettare oggi un sistema di videocitofoni per la casa significa cercare di far convivere la difesa con l’ostensione, la chiusura con l’apertura, significa mediare tra necessità opposte e contrastanti. Le soluzioni nate nel corso del Competition Workshop hanno cercato di risolvere in modo nuovo i problemi della comunicazione faccia a faccia a distanza, permettendo così al committente di mettere in commercio videocitofoni utili, discreti, modulari, in grado di garantire alla casa privacy, sicurezza ma anche integrazione col mondo circostante. Designer Bonetto Design Denis Santachiara Peppe di Giuli Trabucco Design Villa Tosca Design team

Esperti Alessandro Polistina – prof. industrial design BPT - Marketing BPT - Production Giuseppe Roma - sociologo, Censis Joseph Sassoon - sociologo Pierluigi Molinari – presidente premio SMAU Roberto Vacca - futurologo

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•• 11999977 –– VVIIDDEEOO--CCOOMMBBII Anno 1997 Cliente : Matsushita Electric UK Tema: tele-visione Il Competition Workshop “Video-Combi”, richiesto dalla MELUK, ha avuto come obiettivo la progettazione di un televisore portatile con videoregistratore integrato. Tale tipologia, assai interessante per i suoi svariati utilizzi, ha visto i progettisti intervenuti confrontarsi sulle tematiche legate al mercato ed alla tecnologia dei video di piccole dimensioni e dei videoregistratori. Spesso considerato come tv “da cucina”, il 14 pollici assume una differente importanza se dotato di riproduttore e registratore di cassette, ed i designer intervenuti hanno saputo interpretare al meglio le potenzialità del prodotto. Designer Bonetto Design Denis Santachiara Pininfarina Extra Villa Tosca Design Team

Esperti MELUK - Marketing MELUK - Production

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•• 11999977 -- LLUUCCIIFFEESSTTAA Anno 1997, Cliente: Wakayama Marina City Tema: Architetture luminose Lucifesta a Wakayama Le prime Lucifesta sono state realizzate nel 1997 per il Parco divertimenti di Wakayama Marina City in Giappone e riproducevano fedelmente l’antica tradizione: supporti in legno sorreggevano le lampadine colorate che hanno preso il posto delle candele, ornando i canali dell’isola di sculture luminose e di suggestive forme colorate. La sera stessa dell’inaugurazione i numerosi spettatori hanno potuto rivivere le antiche usanze europee attraverso una cerimonia allestita per l’occasione. Lighting Architecture La parola “Lucifesta” condensa due parole particolarmente significative: “luce”, simbolo di vita e di energia, e “festa”, simbolo di emozione e di gioia. Nella storia di tutti i popoli questi due aspetti sono sempre stati legati tra loro, tanto da rappresentare una fonte continua di ispirazione e creazione: dai primi falò – il cerchio del fuoco delle civiltà primitive –, alle più recenti forme di intrattenimento notturno – i fuochi artificiali, le illuminazioni dei monumenti, gli spettacoli all’aperto – , gli uomini hanno sempre sentito la necessità di fare festa con la luce artificiale in modo spontaneo e immediato. Nella tradizione popolare italiana le feste di luce e i grandi fuochi rituali e solenni sono un dato tradizionale che si rinnova in particolari ricorrenze dell’anno – feste sacre, processioni, fiaccolate – coinvolgendo vie, quartieri o intere città. Fin dal XVIII secolo grandi festoni di luce, realizzati attraverso migliaia di candele di cera, illuminavano e coloravano le strade e le piazze dei comuni italiani durante cerimonie religiose e civili. Artisti famosi e celebrati erano impegnati in prima persona nella loro progettazione. Nell’Italia meridionale queste decorazioni luminose sono chiamate “Luminarie”, e proprio da questo esempio di invenzione popolare, genuina e istintiva, ma ricca anche di cultura, arte e tradizione, il DMC Villa Tosca ha tratto spunto per realizzare il “Progetto Lucifesta”, connubio festoso di luce e gioia. Con il progetto Lucifesta DMC Villa Tosca ha avuto occasione di applicare la metodologia del Competition Workshop nel campo dell’architettura. Riproducendo spazi architettonici sullo sfondo del buio della notte, DMC Villa Tosca ha inteso riprendere la antica tradizione delle Architetture effimere avventurandosi in campi diversi dal design industriale per prodotti e beni di largo consumo. Anche in questo campo la metodologia del competition workshop ha evidenziato le sue straordinarie potenzialità, consentendoci di offrire ai clienti soluzioni originali, efficaci ed efficienti allo stesso tempo. Designer Annibale Oste Villa Tosca design team

Esperti Andrea Castiglioni - ingegnere Lumen Center Italia Studio Tecno-project Vincenzo Perna – poeta

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•• DDAALLLLEE LLUUCCIIFFEESSTTAA AADD UUNN SSIISSTTEEMMAA DDII AARRCCHHIITTEETTTTUURREE LLUUMMIINNOOSSEE Lucifesta nell’ IMP di Osaka 1998 All’interno dell’ IMP Building di Osaka sono state allestite in condizioni di grande sicurezza, e con numero molto alto di elementi luminosi, delle Lucifesta che utilizzano strutture in ferro e alluminio. La tradizione classica delle Luminarie si fonde così in modo perfetto con l’ambiente moderno dell’edificio; lo stesso tema scelto per l’occasione – il tempo – ha permesso di unire passato e presente nelle sale dove si illustravano, da un lato, la storia degli strumenti per la misurazione del tempo e dall’altro, il tempo naturale: qui tecnologia e natura si trovano a convivere in un unico spazio. Lucifesta Veneziane 1999 Palazzo Ducale, la Basilica di San Marco e il Ponte di Rialto con le Lucifesta nell’isola di Wakayama Marina City sono un’opera unica al mondo che dimostra la capacità di approfondire un aspetto storico e artistico della tradizione italiana utilizzando la metodologia progettuale del DMC Villa Tosca. La facciata di Palazzo Ducale ricostruita nel suo profilo luminoso, utilizzando migliaia di punti luminosi, è la più grande facciata di luminarie costruita in acciaio inossidabile del mondo; il Ponte di Rialto è la prima realizzazione tridimensionale di luce eretta all’aperto. L’accensione dei circa 160.000 punti luminosi è coordinata con la musica. Lucifesta Life river 2000 Life River, un fiume di luce bianca alla cui foce ci sorprende una gigantesca conchiglia: questo il tema principale delle Lucifesta installate al Royal Pines Hotel di Urawa, un nuovo albergo realizzato secondo un linguaggio hi-tech moderno e sofisticato. Life River è stato progettato da VillaTosca superando il concetto di decoro superficiale. Si è infatti creato degli elementi tridimensionali in grado di interagire con lo spazio rendendolo dinamico con la sua presenza luminosa: le parti comuni dell’hotel sono illuminate e decorate con oggetti di grande effetto. Questa struttura di luce resterà permanentemente installata all’interno dell’edificio. Per questo motivo i 300 metri quadrati del fiume di luce e le 2412 lampadine che compongono la conchiglia, sono installate su moduli abbassabili garantendone la completa ispezionabilità per la manutenzione e la sicurezza. PICTURES # 30, 31, 32, 33, 34, 35, 36, 37, 38, conchiglia, liferiver1, liferiver2

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•• 11999977 –– HHAAPPPPYY SSPPOOOONN Anno 1997 Cliente: Progetto interno Il Competition Workshop “Happy Spoon”, si è svolto a VillaTosca all’interno del Design Team ed ha avuto per oggetto la progettazione di un set di cucchiaini “bucati”. Su richiesta del Presidente di Matsushita Investment & Development i designer hanno proposto varie versioni di un oggetto all’apparenza bizzarro, ma che in realtà trova la sua ragion d’essere in un fattore meccanico, il rimescolamento di liquidi senza la creazione di vortici, e decorativo, il motivo di decorazione essendo il buco stesso. Esistono varie categorie di “buchi” e le confezioni contengono 7 cucchiaini, uno per ciascuna categoria, cosicché per ottenere i sette cucchiaini appartenenti alla medesima categoria occorre avere a disposizione più confezioni, in una ricerca di quello che manca, che stimola il collezionamento di un oggetto che è anche prezioso, poiché realizzato in acciaio, in ottone argentato o direttamente in argento. Designer Jacopo Filippo Bargellini Tsuneo Sekine VillaTosca Design Team

Esperti Giuseppe Caglioti - fisico Joseph Sassoon – antropologo

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•• 11999999 –– AALLIISSEEII Anno 1999 Cliente: Matsushita Communication Industries Tema: telefoni cellulari di nuova generazione Il Competition Workshop “Alisei”, dal nome dei venti che spinsero Cristoforo Colombo alla scoperta del nuovo mondo, è stato commissionato dalla società Giapponese MCI che produce telefoni cellulari a marchio PANASONIC. Tale Competition Workshop, assai complesso sia per quanto riguarda l’apparecchiatura da progettare, sia per quanto riguarda i dati da conoscere per farlo, è stato preceduto da una approfondita ricerca di mercato, da una analisi comportamentale , da una indagine storica di film e fumetti di fantascienza, da interviste ai protagonisti della telefonia cellulare e naturalmente da una ricerca riguardante le caratteristiche formali dell’oggetto telefono, dai progetti di Bell e Meucci agli attuali comunicatori. Il Workshop si è svolto Presso la Scuola Superiore di Telecomunicazioni Reiss Romoli dell’Aquila, in un contesto fortemente stimolante ed a diretto contatto con i migliori esperti di telecomunicazioni e le attrezzature più sofisticate. Lo spettacolare risultato, sotto forma di numerosi progetti e prototipi è stato presentato al Cliente a Yokohama ed ha riscosso un vivo interesse, permettendo l’integrazione delle numerose idee nate dal Workshop all’interno di prodotti Panasonic Designer Alberto Meda Denis Santachiara Francesco Scansetti (Syn) Studio Zapping Villa Tosca Design Team

Esperti Dina Riccò – sound designer Gianfranco Marrone – advertising, communication Giuseppe Roma – sociologo, Censis Joseph Sassoon - antropologo Paolo Semenzato - ingegnere elettronico Roberto De Leo - specialista biocompatibilità Roberto Vacca - futurologo Telital – specialisti tecnici Vittorino Andreoli - psicanalista

Dopo il successo del primo Competition Workshop Alisei, il cliente, MCI, ha richiesto un nuovo Competition mirato alla progettazione ed allo sviluppo di telefoni cellulari per il mercato nipponico, già dotato di un sistema di accesso di tipo a larga banda per scaricare e trasmettere immagini e filmati ad a colori. L’approfondita “Behaviour Market Research” già effettuata ha nutrito il nuovo gruppo di progettisti intervenuti, e le informazioni tecniche e le visioni progettuali del primo workshop sono state indispensabili per arrivare alla definizione dei nuovi concepts di cellulari mirati alla produzione e dotati di ampio schermo a colori. Come di consueto nel modus operandi delle aziende giapponesi, i concept proposti sono stati in vario grado rielaborati prima di giungere alla fase di produzione. Designer Camillo Sassano

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Maria Gallo Oikos Studio Random Studio Zapping PICTURES # 41, 42, 43, 44

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•• 11999999-- 22 WWHHEEEELLSS OOFF JJOOYY Anno 1999 Cliente: National Bycicles Tema: la bicicletta Il Competition Workshop “Two Wheels of Joy”, è stato richiesto dalla società Giapponese NATIONAL, produttrice, tra le altre cose, di biciclette con motore elettrico ausiliario. Tale workshop, che si è sviluppato durante due giorni a Villa Tosca, ha approfondito il tema della bicicletta, del motociclo e della particolare nicchia di mercato rappresentata dalle biciclette a pedalata assistita, la quale oscilla sia tecnicamente che dal punto di vista del design tra queste due categorie. Innovazione tecnica, collocamento della batteria, facilità d’uso, piacevolezza di linee, tutto è stato analizzato alla luce di un mercato ancora ridotto ma di ottime prospettive, sia nel campo turistico che in campo sportivo, senza tralasciare la bicicletta pieghevole, oggetto assai apprezzato sul mercato giapponese. Designer Camillo Sassano Studio Fagone-Belli Villa tosca Design Team

Esperti Alberto Prina - critico del design Joseph Sassoon - sociologo

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•• 22000000 –– WWAASSHHIINNGG TTHHEE TTIIMMEE Anno 2000 Cliente: Maytag International, Chicago, Illinois, Usa Tema: Il lavaggio come forma di rigenerazione Il Competition Workshop “Washing the Time”, è stato organizzato su richiesta della società di elettrodomestici Maytag con l’intento di progettare una lavastoviglie da immettere sul mercato europeo. Prodotto che doveva avvalersi della nuova tecnologia a cestello inclinato senza contrappesi, di cui Maytag detiene la tecnologia. Villa Tosca Design Management Centre è stata scelta per la sua capacità di riunire designer provenienti dai maggiori Paesi europei e di fornire ad essi le informazioni e gli stimoli necessari per questo tipo di progettazione. Il workshop si è svolto nella splendida cornice offerta dal paese toscano di Bagno Vignoni, la cui piazza centrale è in realtà una grande vasca di acque termali dove per secoli le sue acque sono servite per lavare indumenti, per bagnarsi, per curare le ferite dei soldati dei Medici, per consentire una sosta rigeneratrice tra le sue acque ai pellegrini provenienti da tutta Europa in viaggio per Roma. Il riferimento e la relazione tra il luogo del workshop e il tema della macchina lavabiancheria è immediato poiché essa nel fornirci la semplice funzione di lavare le “macchie”, lo “sporco” dai tessuti, ci consente di “ricominciare con abiti puliti”, di “lavare il passato”, facendoci comprendere che il concetto di pulizia trascende la materialità dello “sporco”. Designer Kemnitzer Design ( IDSA) Maria Gallo (I) Mathias Reuter (D) Metz und Kindler (D) Pool Products (F) Theo Williams(UK) VillaTosca Design team

Esperti De Masi - sociologo Fabrizio Ernesto Pregliasco - biologo Joseph Sassoon - sociologo Maytag International - marketing Maytag International - production Simona Segre - antropologa Vittorino Andreoli - psicanalista

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•• 22000000 –– DDIIGGIITTAALL CCAAMMCCOORRDDEERR

Competition Workshop “Digital Camcorder” Anno 2000 Cliente: Panasonic AVC IL Competition Workshop “Digital Camcorder” è stato commissionato dalla Divisione AVC di Panasonic, specializzata nella produzione di apparecchi portatili per la videoregistrazione, ed è stata la prima volta che tale divisione ha aperto la progettazione a designers non Giapponesi. Tale Competition Workshop, che si è svolto durante due giornate a Villa Tosca, ha visto la partecipazione di designer e specialisti che si sono confrontati con i problemi tecnici connessi alla costruzione di tali apparecchi, con le motivazioni chiare o latenti che spingono a videoregistrare gli avvenimenti, e con le innumerevoli altre implicazioni che tale pratica, sempre più diffusa, porta con se. Il briefing del cliente è stato assai stringente per quanto riguardava l’utilizzo di meccanica ed elettronica già esistenti, ciò nonostante, sono state molto apprezzate le analisi e le proposte riguardanti ipotesi di configurazioni assai differenti da quelle attuali, finalizzate ad usi specifici o legate a nuove tecnologie. Per la produzione è stato scelto un modello che coniugasse linee attuali e configurazione tradizionale, con grande schermo e facile maneggevolezza. Designer Oikos Design Studio Caramel Studio Random Villa Tosca Design team

Esperti Alberto M. Prina - critico del design Joseph Sassoon - sociologo Panasonic AVC - marketing Panasonic AVC - production Virginio Briatore - trends analyst

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•• 22000000 –– WWEEAARRAABBLLEE CCOOMMPPUUTTEERR Anno 2000 Cliente Panasonic AVC Tema: computer indossabili IL Competition Workshop “Wearable Computer”, è stato richiesto dal Design Center Department di Panasonic AVC. Oggetto del workshop, che si è svolto durante due giorni a Villa Tosca, una indagine progettuale spinta nel futuro dei computer indossabili, a partire da alcuni componenti elettronici appena sviluppati e destinati ad essere testati in apparecchiature di concezione innovativa. Assai stimolante, questo Workshop ha permesso di indagare a 360 gradi quali possano essere gli scenari di utilizzo di queste apparecchiature elettroniche , uno dei campi più promettenti da un punto di vista sia creativo che commerciale. Numerose le proposte giunte sul tavolo di Panasonic AVC, a partire da computer palmari componibili, fino a cinture o gilet computerizzati. La selezione dei progetti è stata lunga e difficile poiché la categoria merceologica a cui appartengono è praticamente ancora da creare e quindi conta pochissimi punti di riferimento. Alla fine sono stati selezionati due progetti, una cintura con schermo e tastiera, ed un gilet dotato di attacchi speciali per personalizzare il circuito con le periferiche più utili di volta in volta. Designer Denis Santachiara Michelangelo Giombini Studio Oikos Villa Tosca Design team

Esperti Alberto M. Prina - critico del design Joseph Sassoon - sociologo Panasonic AVC - marketing Panasonic AVC - production Virginio Briatore - trends analyst

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•• 22000011 –– CCAANNIISSTTEERR VVAACCUUUUMM Competition Workshop “ Canister Vacuum” Anno 2001 Cliente Matsushita Electric Espagna Il Competition Workshop “Canister Vacuum”, è stato organizzato su richiesta della società di elettrodomestici Spagnola MAES, che produce aspirapolvere e casse acustiche a marchio PANASONIC. Il Competition Workshop, si è svolto durante due giornate a Villa Tosca ed ha visto la presenza di tre studi di Design invitati, dello staff tecnico di MAES e di alcuni specialisti di aree correlate. Il cliente richiedeva la riprogettazione, a partire dalla stessa collaudata meccanica, dell’aspirapolvere da traino di loro produzione, ed in particolare aveva l’esigenza di introdurre alcune migliorie tecniche. Per quanto riguardava l’aspetto esterno, era richiesta una certa dose di innovazione ma senza tradire l’aspetto abituale di queste apparecchiature. I partecipanti si sono confrontati con le problematiche connesse tecnicamente alla pulizia ,al variare del concetto stesso di pulizia in rapporto all’abitare dei vari paesi, ed hanno discusso della peculiare caratteristica degli aspirapolvere, elettrodomestici dall’aspetto anche ricercato ma generalmente destinati ad essere “nascosti”, più che riposti, dopo l’uso. Designer Deep Design Maria Gallo Studio Caramel Villa Tosca Design Team

Esperti Decio Carugati - critico design e giornalista Joseph Sassoon - aociologo Maes - marketing Maes - production Virginio Briatore - trends analyst

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•• 22000011 –– MMIICCRROOWWAAVVEE OOVVEENN Competition Workshop “Microwave Oven” Anno 2001 Cliente MELUK IL Competition Workshop “Microwave Oven”, è stato richiesto dalla società di elettrodomestici inglese MELUK, specialista nella produzione di forni a microonde e televisori. Tale Competition, che si è svolto durante due giornate a Villa Tosca, ha avuto come punto centrale la discussione del rapporto tra uomo e cibo nelle varie culture e nelle varie epoche, oltre naturalmente all’approfondimento tecnico relativo alla costruzione. Il cliente ha sottolineato la sua richiesta di nuovi prodotti in due fasce di mercato, una entry level per il sud Europa, ed una High level per il Nord Europa, ed ha lasciato piena libertà di interpretazione ai designers, nel rispetto però dei rigidi vincoli causati dall’utilizzo di piattaforme condivise e dalla precisa indicazione di preferenza di interfaccia nei paesi nordici rispetto ai paesi mediterranei. Designer Archilab Maria Gallo Sonia Pedrazzini, Villa Tosca Design Team

Esperti Meluk - marketing Meluk - production Joseph Sassoon - sociologo Virginio Briatore - trends analyst Decio Carugati - critico del design, giornalista e autore di libri di cucina Alberto Prina - critico del design

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•• 22000011 –– EEDDUUTTOOYYSS Competition Workshop “Edutoys” Anno 2001 Cliente progetto interno Tema L’apprendimento e il gioco Giocattoli intelligenti ed ecologici Si impara, si gioca, si ricicla. Il gioco è una dell’attività gradevole, per grandi e piccini, che consente l’autoapprendimento, la gratificazione e la socialità. Ludea.com è nata proprio per diffondere questi principi e per creare giocattoli intelligenti capaci di regalare preziosi insegnamenti scientifici. Nel rispetto della natura, i giochi di legno Ludea sono pensati e disegnati per la multisensorialità: profumano, sono belli e sono realizzati con prodotti naturali. La confezione di ogni gioco non produce alcun rifiuto: ne è previsto infatti, il completo riuso. Le scatole, come i giocattoli, sono realizzati con diversi tipi di pregiato legno profumato, senza alcun trattamento superficiale e sono riutilizzabili come contenitori per oggetti diversi. Anche il tessuto che avvolge i giochi può essere reimpiegato in vari usi ed è confezionato in tessuto naturale. Ogni gioco trasmette piccole nozioni, ormai acquisite, ma di cui spesso non si conosce l’origine. Anche per questo, per i nomi, è stata scelta la radice latina. Designer Rodolfo Grillo VillaTosca Design Team

Esperti Stefano Breccia – matematico Giuseppe Caglioti – fisico

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•• UUNNAA NNUUOOVVAA LLIINNEEAA DDII GGIIOOCCAATTTTOOLLII IINNTTEELLLLIIGGEENNTTII EEDD EECCOOLLOOGGIICCII Alcuni esempi di giochi e il principio ispiratore: Aero la forza centrifuga Balestriglia astronomia, l’orientamento diurno Calculus aritmetica Canno principio della parabole Castrum i numeri di Fibonacci e la sezione aurea Chaos il principio del caos deterministico Elico principio del volo Gravi forza di gravità Maronda principio dell’onda Ornottero principio del volo Repo angoli e gradi Rialto principio dell’onda Sestante astronomia, l’orientamento notturno PICTURES # lu-aero, lu-balestriglia, lu-caelico, lu-calculus, lu-canno, lu-castrum, lu-chaos, lu-elico, lu-gravi, lu-maronda, lu-ornottero, lu-repo, lu-rialto, lu-sestante

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•• LLAA NNAATTUURRAALLEE EEVVOOLLUUZZIIOONNEE DDEELL CCOOMMPPEETTIITTIIOONN WWOORRKKSSHHOOPP::

EE--CCOOMMPPEETTIITTIIOONN Per completare l’ offerta di servizi avanzati di design e di ricerca, DMC Villa Tosca ha esteso alla rete internet la applicabilità del competition workshop, metodologia questa che utilizzava già ampiamente il concetto di rete nella formazione dei gruppi di designer e di esperti. Nasce cosi nel 2000 il portale della creatività aedo-to.com, con esso DMC Villa Tosca offre la possibilità alle aziende di avere accesso alla creatività mondiale via Internet. Nella sua struttura l’ “ e-competition” è un servizio estremamente flessibile. Nella prima parte, una ricerca sui trends permette di creare uno scenario e da questo estrapolare delle keywords, che saranno offerte, nella seconda parte, ai designers della rete quali punti sui quali riflettere per proporre concetti innovativi riferiti al prodotto da sviluppare. In alternativa, le aziende che avessero già individuato gli scenari di settore e quindi le keywords, potranno ususfruire direttamente della seconda parte del programma. L’ “e-competition”, che in ogni caso ne segue, si svolge contemporaneamente nei 5 continenti, vede la partecipazione di centinaia di progettisti e produce una grande quantità di proposte che vengono, nella terza fase, vagliate e selezionate da Aedo-to.com per il cliente. Tra gli esempi di “e-competition” finora effettuati si possono segnalare alcuni lavori sui temi: -La luce nomade, per Lumen Center Italia -bicchieri da collezione, per Martini -Occhiali sport & techno, per Safilo -Nuovi contenitori per facilitare il riciclo dei rifiuti domestici, per Conai -Premio Macef design, per Fiera di Milano PICTURES # 60

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