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ASEAN E MANTENIMENTO DELLA PACE NEL QUADRO DEL SISTEMA NAZIONI UNITE
1. PREMESSA
ASEAN (Associazione degli Stati del Sud-Est Asiatico)
o Inizialmente era composta da cinque soltanto dei Paesi appartenenti all'area del sud-est asiatico1
o Ha progressivamente esteso la sua membership fino a comprendere, con le recenti adesioni del 1997 e del 1998, la quasi totalità degli Stati della regione2
Tre distinte fasi: 1) Prima fase
Formativa. Va dal 1967 anno della istituzione, al 1976, anno della stipulazione dei tre accordi, viene definito il meccanismo di soluzione delle controversie;
2) Seconda fase, che si conclude all'inizio degli anni novanta, dominala dallo scontro tra USA e URSS e ancor più tra quest'ultima e la Repubblica popolare cinese si riflettono sulle potenzialità di ASEAN
3) Terza fase Si è aperta con la fine del mondo bipolare e che ha posto l’interrogativo sul futuro1 .
2. I DOCUMENTI ISTITUTIVI DELL’ASEAN CARATTERISTICHE E FUNZIONI DELL’ORGANIZZAZIONE NEI PRIMI ANNI DI ATTIVITÀ DICHIARAZIONE DI BANGKOK O DICHIARAZIONE DELL’ASEAN Documento istitutivo del l 'ASEAN: Firmato il 8 Agosto 1967 a Bangkok dai rappresentatiti di Thailandia, Malesia, Filippine,
Singapore e Indonesia
1 Indonesia. Malaysia. Filippine, Singapore e Thailandia sono i cinque Paesi fondatori;
2 1984 Adesione del Brunei.
1995 quella del Vietnam 1997 di Laos e Myanmar (denominazione assuma da! 1989 dalla Birmania). 1998 infine quella della Cambogia, membro effettivo dell'ASEAN da Dicembre. L'ingresso di quest'ultima, che avrebbe dovuto essere contestuale a quello di Laos e Myanmar, era salato in un primo mo-mento rinviato a causa della situazione politica interna, periamo essa godeva, assieme alla Papua Nuova Guinea, soltanto dello status di osservatore.
Elaborati da
Selena & Stefano - > www.ilcaffebianco.jimdo.com
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Le relazioni tra i cinque paesi erano turbate:
o Controversie territoriali che riguardavano (pretese di sovranità sia delimitazioni delle frontiere imposte dalle potenze coloniali.) 3
o Campagna di ostilità del presidente indonesiano Sukarno contro la costituzione della federazione della Malesia4
L’intento da parte dei cinque fautori era:
1. Creare un organismo - per la prevenzione - per la gestione
dei potenziali conflitti interni all’area e avviare cosi un periodo di pace e stabilità nelle relazioni tra gli stati della regione.
2. Creare una barriera contro il “pericolo rosso”
3. Risanare i legami tra i paesi dell’area minimizzando il rischio di conflitti intra-regionali
Nonostante questi principi cardine, la Dichiarazione di Bangkok del 1967
o Non contiene disposizioni specifiche in merito a come tale obbiettivo potesse essere raggiunto.
o Documento assai scarno - Composto di 5 articoli in tutto - Preambolo figura un generico riferimento a una azione comune per
o Promuovere la cooperazione o Contribuire alla pace alla prosperità della regione o Intenzione di assicurare stabilità e sicurezza contro ogni
forma di interferenza esterna: significativo il fatto che la denominazione prescelta sia
associazione anziché organizzazione. Art. 2, par 2 Scopi
Promuovere la pace e la stabilità dell’area nel rispetto del diritto nelle relazioni tra stati in conformità ai principi della cara delle NU
Art. 3: Struttura: molto embrionale
A. ASEAN MINISTERIAL MEETINGS (Art. 3, lett. a)
Incontri annuali dei Ministri degli Esteri dei paesi membri Si svolgono a rotazione in ciascuna delle capitali dei paesi membri
3 Tra le controversie territoriali più significative Filippine e Malesia in merito alla sovranità sulla regione di Sabah e quella nel Mar
Cinese del Sud 4 “confrontation” è il termine usato dagli studiosi del settore. L’opposizione attiva dell’Indonesia, alla nascita della federazione della
grande Malesia
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Funzione: elaborare o rivedere i programmi dell’organizzazione
2. COMMISSIONE PERMANENTE (Art. 3, lett. b)
Si riunisce a livello di Ministri degli Esteri (con funzionari di supporto)
Presieduto dal Ministro degli Esteri del paese ospitante
Composta dagli ambasciatori degli altri stati accreditati presso quell’ultimo 3. COMITATI AD HOC E COMITATI PERMANENTI (art 3 lett c)
con funzionari in settori specifici
4. SEGRETARIATO NAZIONALE(Art. 3, lett. d)
In ciascuno dei Paesi membri.
Ha la funzione di coordinare le attività dell’organizzazione a livello nazionale
23/25 Giugno 1976 Bali (Indonesia)5:
- Nel corso del vertice sono stati stipulati 3 accordi:
I. TRATTATO DI AMICIZIA E COOPERAZIONE DELL’ASIA DEL SUD-EST:
Viene dedicato un apposito capitolo IV alla soluzione pacifica delle controversie che si ispira ai principi stabiliti dalla Carta delle Nazioni Unite.
Le parti si impegnano a: o Prevenire il sorgere di controversie o Astenersi in ogni caso dall’uso o alla minaccia della forza nelle
relazioni reciproche o Risolvere le controversie attraverso negoziati (si veda l’Art. 13).
Istituzione di un consiglio (high council) composto dai ministri rappresentanti di ciascuno dei paesi membri incaricato di prendere conoscenza delle controversie e raccomandare od offirire alle parti appropriati mezzi per la soluzione pacifica delle stesse. Organo permanente (art 14)
II. DICHIARAZIONE DELL’ASEAN CONCORD (ASEAN CHARTER 2007) Ampliare la gamma di obiettivi definiti nella dichiarazione istituiva del 1967 Programma di azione per l’ASEAN suddiviso in settori (politico, economico, culturale della sicurezza)
POLITICA: Riunioni dei capi di governo da tenersi quando la situazione lo richieda e si ribadisce il energico impegno alla soluzione della controversia interregionali con mezzi pacifici
5 il primo incontro dei capi di stato
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SICUREZZA: Principio della cooperazione tra stati membri al di fuori dell’ambito dell’ASEAN in conformità ai bisogni di interessi reciproci
III. ACCORDO ISTITUTIVO DI UN SEGRETARIO PERMANENTE CON SEDE A JAKARTA 6
La dichiarazione si rivolge esclusivamente ai paesi membri dell’ASEAN, il trattato è aperto all’adesione anche dei paesi che non ne fanno parte.
Riunioni periodiche anche a livello di Capi di Stato Si sono aggiunte, in un secondo tempo, agli incontri annuali tra i Ministri degli Esteri
Queste avevano avuto luogo soltanto tre volte.
1987 Summit di Manila I membri del ASEAN stabilirono di convocare ogni tre/cinque anni le riunione di Capi di Stato
1992 Summit di Singapore I membri decisero che tali riunioni avrebbero formalmente avuto luogo ogni 3 anni
a testimonianza di un impegno più attivo assunto dai leaderes dei paesi membri dell’associazione
CARATTERISTICHE:
A. Così come concepita nella fase formativa, l’ASEAN è una figura “atipica” nell’ambito delle organizzazioni regionali
B. Intendeva affrontare le controversie con: - Strumenti diplomatici - Dialogo - Accomodamento al livello politico più elevato
C. Il rifiuto per una maggiore istituzionalizzazione ha impedito che l’ASEAN: - Potesse presentarsi come un’alleanza a scopo di difesa per le azioni di cui all’Art. 51
della Carta delle Nazioni Unite - Sviluppasse un meccanismo di sicurezza collettiva o con l’autorizzazione di quest’ultimo
ai sensi dell’Art. 53 della Carta. DIFFERENZE:
Il nucleo originario era composto da Stati apparenti geograficamente alla regione senza il supporto di potenze esterne.
6 L’istituzione di un Segretario generale dell’ASEAN avente il compito di coordinare (e non quindi di sostituire) i 5 segretari generali che operano a livello nazionale cosi
come contemplato dalla dichiarazione di Bangkok del 1967. Funzione di supervisione
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Ciò non toglie che tali stati tenessero accordi multilaterali tipo SEATO, ANZUS, FPDA per mantenere la pace nella regione contado sulle proprie forze senza appoggiarsi in modo troppo diretto a una superpotenza
Conseguenza della realizzazione di un modello di cooperazione multilaterale e accordi bilaterali
- Settore del mantenimento della pace: Opera per lo più in funzione preventiva Scarsa istituzionalizzazione del meccanismo di soluzione pacifica
- Sicurezza
Si è privilegiata la stipulazione di accordi bilaterali tra i singoli paesi asiatici
3. LE ATTIVITÀ DELL’ASEAN NEL SETTORE DEL MANTENIMENTO DELLA PACE DURANTI GLI ANNI DELLA SUA EVOLUZIONE (1976 / INIZIO ANNI 90’) Bisogna distinguere tra le questioni che:
- Interessano i rapporti tra stati membri - Coinvolgono attori esterni.
a) Gli stati si sono dimostrati riluttanti ad avvalersi del meccanismo di conciliazione contemplato dal
trattato di Bali nel 1976 poca propensione a portare a conoscenza dell’high council le controversie nelle quali essi
erano coinvolti. si è preferito gestirli con negoziati bilaterali secondo quello che risulta essere l’approccio privilegiato dai paesi asiatici.
gli stati, non sono mai giunti siano al punto ricorrere all’uso della forza, a dimostrazione del
fatto che la volontà di mantenere un atteggiamento di cooperazione ha sempre prevalso Punto di forza dell’ASEAN: ASEAN spirit
Gli incontri annuali dei Ministri degli Esteri sono stati utilizzi come foro di dialogo multilaterale con la conseguenza che la diplomazia si è sostituto all’uso della forza
Nonostante ciò, non si deve indurre a ritenere che la totalità delle controversie territoriali in corso al momento in cui l’ASEAN è stata istituita siano state affrontate e risolte nel merito. Esempi:
o Conflitti tra Filippine e Malesia per la regione di Sabah. E’ ritenuta la maggior causa di tensione nelle relazioni tra i due paesi.
o Isole Spratly contese tra Cina, Vietnam, Filippine, Malesia, Brumei. In questi casi
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non si è pensato di avvalersi dei mezzi di soluzione delle controversie contemplati dal trattato di Bali
e quindi si è consentito all’ASEAN di esercitare una funzione risolutiva in merito, emanazione di dichiarazione nell’ambito degli incontri annuali tra i Ministri degli Esteri dei paesi membri.
b) Il ruolo dell’ASEAN nell’ambito di conflitti in cui erano coinvolti attori esterni all’associazione Si veda l’invasione della Cambogia da parte del Vietnam nel 1978
Questa fu la prima occasione per mettere in evidenza le potenzialità dell’associazione con ricorso, a strumenti esclusivamente diplomatici Lo Statuto non contemplava alcun meccanismo per la gestione di un conflitto di cui fossero parte attori esterni
- Vietnam - Laos non avevano ancor aderito al Trattato di Bali - Cambogia
essi erano di fatto esterni alla cornice istituzionale dell’ASEAN.
Si escludeva la possibilità di intervenire nel conflitto mediante una azione collettiva, non essendo stata l’ASEAN in alcun modo concepita come alleanza di tipo militare
QUESTIONE CAMBOGIANA: Coinvolgeva gli interessi delle Grandi Potenze: Cina Sosteneva la Repubblica Democratica di Kampuchea istituita da Pol Pot 1975 URSS Alleata con il Vietnam, che con l’invasione del 1978 abbatté il regime di Pol Pot e istituì un regime fantoccio denominato Repubblica Popolare di Kampuchea La posizione espressa dai Ministri degli Esteri dell’ASEAN fu sin dall’inizio di totale condanna dell’accaduto. Giugno 1980 La situazione divenne ancora più critica
Incursioni nel territorio Thailandese
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- Esistenza di una minaccia alla sicurezza della Thailandia - Pericolo per la pace e la sicurezza dell’intera regione.
Gli stati membri dell’ASEAN esercitarono una costante pressione affinché della questione fossero investite le istituzioni delle Nazioni Unite
1980 Risoluzione 35/6 del 22/10/80
Adottata dall’Assemblea alla conferenza. Era assente l’URSS. Le questioni inerenti al conflitto in Cambogia restavano all’ordine del giorno anche nelle
riunioni dei Ministri degli Esteri dell’ASEAN.
La comunità internazionale faceva pressioni 1987 Colloqui tra il Principe Shanouk e il Primo Ministro della Repubblica Popolare di Kampuchea Hun Sen Inizia il processo di pace.
Decisione del Segretario del Partito Comunista Sovietico Mikahail Gorbachev di interrompere gli aiuti al Vietnam indusse quest’ultimo a porre fine all’intervento miliare in Cambogia.
ASEAN FORUM
1) La prima fase Rivolta allo sviluppo di confidence-bulding measures
2) La seconda fase Rivolta allo sviluppo di meccanismi di diplomazia preventiva
3) La terza fase Rivolta allo sviluppo di meccanismi per la soluzione dei conflitti
In sostanza si concepisce fin dall’inizio un processo da realizzarsi gradualmente rafforzando
preliminarmente: o fiducia tra i partecipanti in modo o legami da creare le condizioni
per garantire il manti mento della pace e dalla stabilità della regione.
1) PRIMA FASE (promozione di misure di Confidence - Bulding) Il documento suggerisce l’adozione da parte del Forum di due approcci tra loro complementari
Si rifà all’esperienza dell’ASEAN e alla capacità dell’associazione nel promuovere un clima di fiducia e collaborazione nella regione
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Si sottolinea l’importanza delle consultazione e dei regolari incontri tra i rappresentati dei paesi
che si sono evoluti in una vera e propria “rete diplomatica” capace di sviluppare legami di fiducia tra Paesi Vicini.
Si suggerisce a tutti i partecipanti di di aderire al Trattato di Bali del 1976
Messa in atto di concrete misure di confidence-building che a loro volta possono essere di
due tipi
Quelle suscettibili di attuazione in tempi brevi
Quelle che potranno essere sperimentate nel medio o lungo periodo
da parte di istituiti di studi strategici, quali (ASEAN-ISIS) o organismi non governativi quali il consiglio per la sicurezza e la cooperazione dell’Asia del Pacifico (CSCAP) o promotori di seminari e workshops sul tema.
2) SVILUPPO DI MECCANISMI DI DIPLOMAZIA PREVENTIVA Data la scarsa propensione a una maggiore istituzionalizzazione in materia di soluzione dei conflitti, il documento non prevede l’adozione di alcun meccanismo nell’immediato futuro. Si tratterebbe di un obbiettivo solo “eventuale” da perseguire in concomitanza con lo sviluppo del Forum come strumento per la promozione di pace stabilità della regione
3) SVILUPPO DI MECCANISMI PER LA SOLUZIONE DEI CONFLITTI
L’ASEAN sarà depositaria di tutti i documenti elaborati dal Forum e che nel corso delle riunioni verranno adottate regole di condotta proprie dell’ASEAN. NON si procederà a votazione e dunque le decisioni sono prese per consensus L’intenzione è quella di non imporrare hai partecipanti iniziative contrastanti con i loro
interessi
Il forum dell’ASEAN è un Organizzazione sui generis/atipica
5. SVILUPPI RECENTI NELL’ATTIVITÀ DEL FORUM REGIONALE DELL’ASEAN Dal primo meeting di Luglio 1994 sono state organizzate sei riunioni del Forum rispettando quindi la cadenza annuale stabilità inizialmente
Terzo forum (Jakarta, 1996) I partecipanti hanno adottato una serie di principi giuda circa l’ammissione di nuovi membri. Il geographical footprint sul quale esso concentrerà i propri sforzi per il mantenimento della pace sarà la regione comprendente:
- il Sud, - Il Nord, - il Sud-est dell’Asia - L’Oceania.
Luglio 1997
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Ha fornito l’occasione per una serie di considerazioni circa lo stato delle relazione nella regione del sud est asiatico a distanza di trent’anni esatti dalla nascita dell’ASEAN.
o Progressivo incremento di stabilità o Crescita economica o Nascita di un “sense of community”
Dicembre 1997
Riunione del vertice dei capi di stato e di governo dei paesi membri dell’ASEAN, il cui documento finale porta la significativa denominazione di ASEAN Vision 2020: ASEAN COMMUNITY
o Il documento ha valore programmatic Sono delle affermazioni fiduciose circa l’evolversi dei rapporti tra gli stati del sud est asiatico
o Si rinnova l’auspicio che le controversie territoriali e non siano risolte con mezzi
pacifici
o Si rinviano i governi ad applicare le diposizione del trattato di balì del 1976 come codice di condotta
o Si esprime fiducia nell’affermazione del Forum regionale quale strumento di confidence-bulding
Dicembre 1998: Si caratterizza per la decisione di ammettere la Cambogia come decimo paese membro dell’ASEAN – CREAZIONE ASEAN 10
1999 FORUM REGIONALE DELL’ASEAN (Singapore)
o L’istituzione del forum ha contribuito a creare un clima di fiducia Facilita:
- scambi di informazioni - confronto costante e trasparente su
questioni di interesse comune
o Impegno dei membri a realizzare una documento contenente criteri guida in materia di diplomazia preventiva da sottoporre all’attenzione dei partecipanti ai prossimi forum
o Riconoscimento da parte dei vari ministri delle ripercussioni della crisi del Kosovo
o I ministri hanno ribadito piena fedeltà ai principi della Carta e hanno espresso il loro appoggio alla Risoluzione 1244 del 10 giungo 1999 del Consiglio di Sicurezza
con la quale si sanciva la soluzione politica della crisi del Kosovo.
6. RAPPORTO TRA ASEAN E NAZIONI UNITE
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Non vi sono documenti ufficiali che possono aiutare a chiarire la natura giuridica del rapport (vd ASEAN CHARTER)
Sia l’ASEAN che il forum per quanto sui generis sono annoverate tra le organizzazioni ai sensi del Capitolo VII della carta delle Nazioni Unite
Bisogna escludere una qualsiasi rilevanza ai fini dell’inquadramento dell’organizzazione nell’ambito del Capitolo VIII dell’Art. 53
Disciplina le azioni coercitive intraprese dalle organizzazioni regionali sotto la direzione o con l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza.
1992 Agenda per la Pace
Il Segretario generale Boutros Boutros Ghali osservò
Mancanza nello statuto delle nazioni unite di una definizione precisa di accordo o organizzazione regionale che favorisca una certa flessibilità alle iniziative intraprese da gruppi di stati in materia di mantenimento della pace e della sicurezza regionale
a parere del Segretario la association of south east asian nations fa parte di questi organismi 1992 Risoluzione adottata dall’assemblea generale delle Nazioni Unite in merito al trattamento di
amicizia e cooperazione Art. 17 pur non precludendo il possibile ricorso ai mezzi di soluzione delle controversie previsti
dall’Art. 33 par 1 della carta dice: «Il Trattato include disposizioni inerenti alla soluzione pacifica delle controversie in conformità alla carta delle nazioni unite»
o Tra ASEAN e Nazioni Unite manca quel collegamento che dovrebbe invece intercorrere
secondo quanto previsto dalla carta.
o Nel recente incontro delle NU a Bangkok, il Segretario generale Kofi Annan si è domandato come mai l’ASEAN sia ancora l’unica organizzazione regionale priva dello status di osservatore delle Nazioni Unite rileva altresì l’assenza di legami ufficiali con le Nazioni Unite
Considerata l’attenzione rivolta dal forum al potenziamento degli strumenti di diplomazia preventiva, il Segretario generale ritiene che questo impegno meriti il più ampio sostegno possibile.
ASEAN COMMUNITY
Ottobre 2003 Nono Summit
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l'Associazione delle nazioni dell'Asia sudorientale (ASEAN) ha annunciato la sua intenzione di creare una Comunità dell'ASEAN basata su tre pilastri:
1) La Comunità dell'ASEAN per la sicurezza 2) La Comunità economica dell'ASEAN 3) Comunità Socio-Culturale dell’ASEAN
2004 L'ASEAN ha istituito il Programma di Azione di Vientiane per realizzare questo obiettivo.
Il processo di costruzione di una Comunità ASEAN è il risultato del notevole cambiamento nella missione dell'associazione nel recente due decenni. - La fine della Guerra Fredda - L'avanzata della globalizzazione - L'ascesa di Cina e India in termini di crescita economica e di influenza politica - La crisi finanziaria asiatica
Hanno costretto l’ASEAN a spostarsi dalla sua originaria diplomazia preventiva per mantenere la pace e l'armonia tra i suoi membri e nella regione
Diplomazia per la creazione di una Comunità per far fronte alle crescente concorrenza politica ed economica in un mondo globalizzato.
CINA Una delle minacce più rilevanti per i membri dell'ASEAN La sua economia è robusta in diretta concorrenza con quelli dei suoi vicini del sud est asiatico, in particolare nel commercio e negli investimenti esteri diretti.
In questi ultimi anni, la Cina ha anche cercato di rafforzare la propria influenza economica e politica, in particolare in Myanmar, Laos, Vietnam e Cambogia.
Necessità di agire collettivamente e di appoggiarsi a vicenda
OCCIDENTE La stessa situazione per gli Stati Uniti e l'Unione europea, o organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite e l'Organizzazione mondiale del commercio.
CRISI FINANZIARIA Inoltre, nei tempi della globalizzazione economica e dopo che è stato duramente colpito dalla crisi finanziaria asiatica, una comunità economica contribuirà Sud-Est asiatico migliorare la sua competitività e l'attrattiva per gli investitori all'interno e all'esterno della regione.
TENSIONI POLITICHE
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In termini di tensioni politiche e questioni di sicurezza, etnici e religiosi interni (Myanmar, Thailandia del sud, Indonesia orientale e sud delle Filippine) hanno portato ad attraversare l'instabilità delle frontiere, il terrorismo, l'immigrazione clandestina e il traffico di droga. Questi ed altri problemi come l'inquinamento atmosferico, l'influenza aviaria, AIDS tutti richiedono azioni concertate e coordinate.
In questo contesto, il futuro della regione e dell'ASEAN dipenderà, dal grado di successo della costruzione di una comunità.
La Comunità dell'ASEAN è basata su tre pilastri:
ASEAN Security Community (ASC),
Comunità economica dell'ASEAN (AEC)
ASEAN Socio-Culturale della Comunità (ASCC)
1) ASC Mantenere e rafforzare la pace, la sicurezza e la stabilità e rafforzare la capacità dell'ASEAN di autogestione della sicurezza regionale. Esso comprende:
o Cooperazione marittima o Lotta contro il terrorismo o Nessun piano per un blocco regionale militare o patto di difesa o I paesi membri sono liberi di perseguire la propria politica estera e le modalità di difesa.
2) AEC
La missione dell’ AEC è quella di: Sviluppare un mercato unico Una base di produzione che è stabile, prospera, altamente competitiva ed economicamente
integrata Agevolazioni efficaci per il commercio e gli investimenti in cui vi è libera circolazione di beni,
servizi di investimento, lavori qualificati, e libero flusso di capitali. Ma non adottare una moneta comune, come l'Unione europea.
3) ASCC
Ultimo ma non meno importante, è per una partnership per il Sud-est Asiatico Quattro elementi fondamentali:
o Costruire una Comunità solidale o Gestire l'impatto sociale di integrazione economica o Migliorare la sostenibilità ambientale o Rafforzare le basi della coesione sociale regionale verso una Comunità dell'ASEAN.
Nel 2005, i paesi membri hanno deciso di istituire una Carta dell'ASEAN
quadro giuridico e istituzionale per l'organizzazione regionale e la Comunità dell'ASEAN.
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Il raccordo fra nazioni unite e comunità economica degli stati dell’africa occidentale
1. il trattato istitutivo e i successivi strumenti per il mantenimento della pace e
della sicurezza regionale
ECOWAS: Comunità economica degli stati dell’africa occidentale
1. Fondata nel 1975
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2. Da 15 stati Benin, Burkina Faso, Costa d’avorio, Gambia, Ghana, Guinea, Guinea-Bissau, Liberia,
Mauritania, Niger, Nigeria, Senegal, sierra leone, Togo, capo verde (ha aderito nel 1977)
3. Nel 1977 si uni anche Capo Verde cosi gli stati membri divennero 16
4. Inizialmente concepita come un’organizzazione sub regionale di integrazione economica e sociale
L’intenzione iniziale era di dare vita ad una zona di
libera circolazione di merci e persone
o Prefigurando un unione economica ai sensi
dell’ art XXIV del Gatt
L’accordo istitutivo è: il Tratto di Lagos
Riflette gli obbiettivi della Comunità Economica Europea (art 2)
Gli Organi (art 5 par I):
L’autorità dei capiti di stato e di governo (Authority)
Funzioni di direzione e controllo dell’attività economica
Emette decisioni vincolanti per tutte le istituzione nella comunità (art 5. Par 3)
5. Il consiglio dei ministri
6. Il parlamento comunitario
7. Il consiglio Economico e Sociale
8. La corte di giustizia
9. Il segretario esecutivo
I leader dell’ECOWAS al fine di mantenere la sicurezza e la pace predispongono:
1. Protocollo di non aggressione (Lagos, aprile 1978)
o Art 5: gli stati si impegnano a sottoporre le controversie insorte tra di essi, non risolte con
altri mezzi pacifici, a un procedimento affidato a una commissione ad hoc istituita
dall’Authority, e, in ultima istanza alla medesima Authority
2. Protocollo di mutua assistenza per la difesa (Freetown, 1981)
o Obbiettivo: realizzare in tutti gli stati membri della comunità le condizioni di sicurezza
necessarie per il progresso economico
o Lo strumento per il raggiungimento di questi fini è la creazione di un sistema di mutua
difesa collettiva.
Alleanza militare a carattere difensivo (struttura civile e militare)
Forze armate alleate della comunità
Poste sottocomando dell’Authority (art 13,14)
La base giuridica del Protocollo di Non aggressione.
Secondo il protocollo l’Authority si pone come organo politico principale
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o Art 6 par 3 le viene conferito il potere di decidere un’azione militare e di affidarne
l’esecuzione alle AAFC.
Il sistema del protocollo di Lagos non contempla 3 organi:
Il consiglio di difesa: raccordo tra la struttura civile e quella militare
La commissione di difesa: organo tecnico composto dai capi di stato
maggiore di ciascun membro
Il segretario esecutivo: l’organo amministrativo incaricato dell’esecuzione
delle decisione dell’authority
o Art 2 e 3 disciplinano il casus foederis
o Art 1: intervento dell’ECOWAS è necessariamente di natura militare e si configura ai sensi
dell’art 15 lett. A) come esercizio di legittima difesa collettiva
Il problema si pone con riferimento all’ipotesi di
minaccia armata o aggressione contro uno dei membri della Comunità
conflitto armato tra due o più Stati membri.
conflitti interni ad uno stato membro che siano attivamente sostenuti
dall’esterno.
In questi casi le modalità d’intervento sono le stesse che nell’ipotesi di una minaccia
armata o un’aggressione contro uno stato membro
Per ognuna delle tre ipotesi spetta all’authority la competenza di decidere circa
l’opportunità di un’azione militare della Comunità
Si esclude l’intervento individuale
Il protocollo di non aggressione ha conferito rilievo nel quadro giuridico -istituzionale dell’ECOWAS
Nel nuovo trattato istitutivo dell’Organizzazione:
o Autonomia e specifica collocazione
o Processo di revisione, rafforzamento e accelerazione del processo di integrazione economica nella
regione
Include tra i principi dell’organizzazione anche
o il mantenimento della pace della stabilità, e delle sicurezza internazionale la non aggressione tra
membri
o e la soluzione pacifica delle controversie
Novità:
o ricorso al voto a maggioranza o a consensus a seconda delle materie oggetto di delibera
o abrogazione della struttura prevista dai protocolli
prevede accanto al consiglio di mediazione e sicurezza una commissione di difesa e
sicurezza (organo consultivo incaricato di esaminare gli aspetti tecnici delle questioni di
difesa). Consiglio degli anziani col compito di provvedere alla soluzione pacifica delle
controversie mediate il ricorso alla mediazione, alla conciliazione, all’arbitrato.
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2. l’ECOWAS nel quadro del sistema di sicurezza collettiva della carta delle NU Già con l’adozione dei due protocolli meno recenti si era manifestata la volontà degli stati membri di agire
collettivamente anche nel campo del mantenimento della pace.
Per inquadrare queste attività dell’Organizzazione regionale nel sistema della carta delle Nazioni Unite
occorre vedere se:
o Compatibile con i fini e i principi delle Nu
o Sia in grado di svolgere attività nel campo del mantenimento della pace secondo le previsione degli
art 52, 53 della Carta7ù
In che misura l’ECOWAS ha concretamente contribuito al mantenimento della pace regionale secondo
le previsione del capitolo VIII della Carta8?
Il procedimento previsto dal protocollo di non aggressione consente
- agli stati membri di ricorrere all’organizzazione come foro di prima istanza secondo la previsione
dell’art 52.
- inoltre dovrebbe essere istituito il consiglio degli anziani al quale il protocollo del dicembre 1999
affida la soluzione delle controversie mediante
o la negoziazione,
o la conciliazione
o e l’arbitrato.
3. Interventi dell’ECOWAS nella prassi
Solo a partire dal 1990 l’ECOWAS ha svolto un ruolo attivo nel mantenimento della pace e della sicurezza
regionale in relazione alle vicende della
a) Liberia
b) della Sierra Leone
c) della Guinea-Biassu
a) l’intervento di Liberia
dicembre 1989
Taylor alla guida di una fazione chiamata National Patriotic Front of Liberia (NPFL) attaccava la Liberia
penetrando dalla Costa d’Avorio
7 Il segretario generale Ghali, nell’agenda per la pace ha confermato la souplesse della nozione di accordi e organismi regionali hai
sensi del Capitolo VIII della Carta includendovi tra l’altro, organizzazioni di cooperazione economica.
8 Le attività che essa ha svolto in questo campo sono state inquadrate nel capitolo VIII della carta
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- lancia un’offensiva armata, in pochi mesi controlla la quasi totalità del territorio, lasciando al
governo di Samuel Doe soltanto una parte della capitale.
- guerra civile: gravi atti di violenza ai danni della popolazione civile creano una situazione di
gravissima emergenza umanitaria
maggio del 1990 intervento dell’ECOWAS.
L’authority decide di inviare ai sensi dell’art 5 del protocollo di non aggressione una commissione
permanente di mediazione (composta da 5 stati membri).
chiedeva alle parti in lotta di:
- osservare un immediato cessate il fuoco
- e istituiva una forza di mantenimento della pace incaricata di verificare il rispetto (ECOMOG)
Un governo provvisorio rappresentativo di tutti che avrebbe gestito il paese fino alle successive elezioni
- la forza di pace sarebbe rimasta nel paese durante tutto il periodo transitorio e
- avrebbe assistito il popolo liberiano nella ricostruzione di un regime democratico
Agosto 1990 L’ECOMOG sbarcava a Monrovia
Problema:
o il consenso del NPFL al cessate il fuoco e al dispiegamento della forza di pace arriva soltanto a
novembre, con l’accordo di Barnako9
o per lungo tempo si svolgono frequenti e crudeli scontri armati in uno scenario sempre più
complesso.
L’intervento dell’ECOWAS nella crisi liberiana è caratterizzato da problemi di liceità :
1. La commissione permanente di mediazione avrebbe avuto solo il potere di avviare una mediazione in
una controversia tra almeno due stati membri e non certo quello di istruire una forza di pace in un
conflitto interno:
La circostanza che la commissione avesse oltrepassato i poteri che le erano stati conferiti
provocava una crisi all’interno della Comunità
Non risulta agevole individuare con chiarezza la base giuridica dell’azione dell’Organizzazione
- i richiami ai protocolli da parte dell’authority e della Commissione appaiono contradditori
- Le decisioni sembrano il frutto di un accordo politico ad hoc
9 Il fermo rifiuto di Taylor di accettare le condizioni poste dal governo provvisorio poneva il NPFL in una situazione di isolamento
politico e militare.
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2. La commissione aveva espressamente qualificato l’ECOMOG come peacekeeping force conferendo un
mandato piuttosto articolato10. natura del mandato dell’ECOMOG
Problemi:
- al momento della nascita della forza non ci fu il consenso del avversario delle forze governative
- tardivo consegna del consenso
= sorgono seri dubbi circa la qualificazione dell’ECOMOG come forza di peace-keeping anche in
concrete modalità di attuazione del mandato
o L’ECOMOG intervenì ben oltre quanto necessario per rispondere ad attacchi subiti.
Il fine si dimostra più quello di respingere le truppe del NPFL fuori da Monrovia.
Con simili intervento l’ECOMOG lungi dal configurarsi come forza di interposizione.
o Nel ottobre del 1992 attivava il primo chiaro conferimento di poteri di enforcement con la
richiesta all’ECOMOG di adottare tutte le misure necessarie per garantire l’applicazione
delle sanzioni economiche a carico di quelle fazione nella specie il NPFL che violavano
l’accordo di Yamouuoukro
o La volontà del consiglio di assecondare l’operato dell’Organizzazione regionale, lodandone
gli sforzi e sostanzialmente “ratificando “ in toto le sue decisione.
L’approvazione intervenuta ex post lascia dei dubbi sulle operazione
dell’ECOMOG.
Ci si chiede se non resti che concludere necessariamente nel senso dell’illiceità dell’intervento perché
compiute in violazione del divieto dell’uso della forze e del principio di non intervento.
- Dubbio il consenso: provenendo da un governo che ormai non controllava altro che la sola capitale
potesse operare come valida causa di esclusione dell’illiceità dell’intervento
- Si invitava l’ECOWAS a dispiegare una forza di mantenimento della pace e non a effettuare un
intervento armato.
CONCLUSIONE:
La liceità dell’intervento armato in Liberia è stata affermata in ragione delle sue finalità umanitarie.
10 Nel documento con cui si provvedeva a informare il Segretario Generale dell’ONU della decisione adottata si sottolineava la
neutralità della forza e il fatto che essa era stata dispiegata fondamentalmente per scopi umanitari e di assistenza nel
ristabilimento di istituzioni democratiche
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La finalità umanitaria era solo un aspetto, l’obiettivo
in ultima istanza era di dare una certa soluzione
politico istituzione al conflitto.
Esso non fu condannato anzi fu accolto favorevolmente in tutte le sue fasi della comunità internazionale
nel suo insieme cosi come emerge dalla prassi del consiglio di sicurezza dell’assemblea generale dell’OUA.
In particolare sembra potersi affermare che il consiglio di sicurezza trovandosi davanti a una situazione di
emergenza umanitaria caratterizzata da gravi e massicce violazione dei diritti dell’Uomo e non potendo o
non volendo intervenire abbia favorevolmente accolto l’intervento di una organizzazione regionale in
risposta a tali violazioni .
LE FASI RECENTI
Agosto 1993 firma dell’accordo di Cotonou
La firma fu apposta sia dal governo provvisorio NPFL che dall’ ULIMO
- Frutto dell’azione mediatrice dalle NU: rappresenta una svolta nell’intervento perché disegnava un
piano di pace non elaborato da un organo dell’ECOWAS ma bensì concordato tra tutte le parti al
conflitto.
IL RUOLO DELL’UNIONE EUROPEA NEL MANTENIMENTO DELLA PACE E SUO COORDINAMENTO CON LE NAZIONI UNITE E LA UEO
1. INTRODUZIONE Carta delle Nazioni Unite Dedica il capitolo VIII alle organizzazioni regionali (REGIONAL ARRAGEMENTS E REGIONAL AGENCIES) non definisce le organizzazioni o gli accordi regionali.
La mancata precisazione è voluta si temeva che l’adozione di una definizione potesse portare ad escludere organizzazioni esistenti o di futura costruzione
La dottrina si è sforzata di ricavare una definizione dagli scarni elementi che offriva la Carta L’interesse derivava dalla circostanza che
il Consiglio di Sicurezza poteva delegare il ricorso all’uso della forza solo a tali organizzazioni o stati appartenenti a tali accordi
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Quello che conta per le NU è che l’organo o gli Stati parte si attivino per collaborare con
essi per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale
CE e UE sono stati inclusi nel concetti di organizzazioni regionali è necessario chiedersi come questa si attivi per il mantenimento della pace e della sicurezza 2) LA COMPETENZA DELLA COMUNITÀ E DELL’UNIONE IN TEMA DI MANTENIMENTO DELLA PACE E DELLA SICUREZZA INTERNAZIONALE 1957 TRATTATO DI ROMA
o Istitutivo dell’CEE
o Competenze in ambito delle relazioni internazionali soprattutto inerenti agli accordi con Stati terzi
o Competenze limitate in alcuni settori Funzionali al funzionamento del mercato comune
1986 ATTO UNICO EUROPEO Primo esplicito riferimento a funzioni inerenti al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale.
o Aveva portata limitata perché contenuto nel Preambolo o Obiettivo degli Stati operanti congiuntamente e non della Comunità
1992 TRATTATO DI MAASTRICHT 1997 TRATTATO DI AMSTERDAM
Apportano alcune modiche
- Istituendo un Unione europea - Nuova fase del processo di integrazione comunitaria
Unione si può concepire come una singola entità
le cui istituzioni agiscono secondo le competenze e le procedure disciplinati nei diversi trattati
L’invito che riconosce la CE e poi l’UE ad essere qualificato come organizzazione regionale ai sensi
del Cap. VII
Risoluzione 713 (1991) L’ONU si congratula per gli sforzi effettuati in relazione alla situazione in
Jugoslavia. Sarà la Danimarca a rispondere all’invito a nome della Comunità degli stati membri
(1993 - Non era ancora entrato in atto il tratto di Maastricht)
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Il trattato di Amsterdam prevede che l’Unione in quanto tale (e non più l’Unione e gli stati membri) possa agire nel campo della pace e della sicurezza internazionale.
Tra gli obbiettivi della PESC 1. la difesa dei valori comuni e degli interessi fondamentali, 2. il mantenimento della pace della sicurezza internazionale conformemente ai
principi della Carta della Nazioni Unite
3. LA SOLUZIONE PACIFICA DELLE CONTROVERSIE E LA FUNZIONE CONCILIATIVA Funzione conciliativa:
1. Ristabilimento di condizioni di normalità in territori e situazioni segnati da conflitti
2. Azioni che: - non implichino l’uso della forza - siano condotte su sollecitazione o per lo meno con il consenso delle parti in causa
Soluzione pacifica delle controversie di ordine locale (che possono sorgere al di fuori delle questioni di applicazione del diritto comunitario per il rispetto del quale apposite procedure sono previste del Trattato CE)
Non rientra esplicitamente né nelle competenze della Comunità ne in quelle dell’Unione. Ad ogni modo anche in assenza di una competenza esplicita l’UE si può occupare di una
controversia sorta tra gli stati membri suscettibile di mettere in pericolo la pace e la sicurezza internazionale
L’Unione si fa garante di valori quali: - Stato di diritto - Tutela dei diritti umani
1) Per quanto attiene l’UE La soluzione delle controversie che possono sorgere tra stati non membri nulla vieta sotto il profilo internazionale un intervento dell’organizzazioni regionali su sollecitazione delle parti in causa o su propria iniziativa
2) Per quanto attiene la CE La soluzione delle controversie la prassi non conferma l’esistenza di tale competenza. I numerosi atti di azioni conciliative della Comunità, in realtà erano assunte in sede di cooperazione politica.
Unione Europea Le decisione sugli interventi rimandano agli Artt. 14 e 15 Trattato Ue per l’adozione di due tipi di atti:
o La PESC o Le azioni e le posizioni comuni
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Nella prassi l’Unione invia i rappresentati speciali in zone di crisi, l’invio di osservatori elettorali e l’amministrazione della città di Mostar:
Invio di osservatori alle elezioni parlamentari in Russia nel 1993 Mozambico 1994, 1998, 1999 In territori Palestinesi In Bosnia-Erzegovina 1996, 1997, 1998 Yemen, Togo, Nicaragua, Paraguay e Cambogia, Nigeria ed Indonesia
Amministrazione della città di Mostar
L’unione assumeva la responsabilità dell’amministrazione della città, al fine di porre in condizioni di convivenza civile che rendesse possibile la istituzione di una amministrazione unica e plurietnica della città
L’amministrazione ha svolto un compito importante nel cercare di trovare un accordo tra croati bosniaci e mussulmani n merito alla limitazione delle divisioni amministrative della città in relazione alla quale erano sorte le maggiori divergenze che avevano impedito l’adozione dello statuto della città.
Compiti preparatori alle elezioni municipali Compiti di tipo strettamente civile
Comunità Europea Casi più recenti:
Slovenia: Scontri armati tra le forze delle esercito jugoslavo e le forze slovene, vennero inviati nella regione dei rappresentati degli stati membri. 7 Luglio 1991 Accordo di Brioni
Sospensione della Dichiarazione d’Indipendenza della Slovenia e della Croazia per un periodo di tre mesi e rispetto del cessate il fuoco.
European Community Monitor Mission (ECMM) (1991) La missione era composta da solo persone civile privo quindi di armi che doveva svolgere i propri compiti con totale imparzialità
La natura dell’atto e le modalità della missione mostrano che essa faceva capo agli Stati e non alla Comunità
3 Settembre 1991 Convocazione della conferenza europea di pace in Jugoslavia: Conferenza si bloccò quasi subito
Anche qui, Stati agenti nell’ambito della CPE.
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Conclusione: La prassi sembra confermare l’assenza di competenza della comunità e la necessità che la decisione politica di intraprendere attività di conciliazione fosse rimessa agli stati membri agenti nel quadro della concertazione politica. La forma di partecipazione dell’unione può essere classificata come post-conflict peace-building
- Assistenza tecnica e non militare
- Nella maggior parte di questi casi l’azione dell’unione si è svolta in coordinamento con le NU
4. LE AZIONI COERCITIVE: LE MISURE ECONOMICHE
A) MISURE ADOTTATE SULLA BASE DI UNA DELIBERA DEL CONSIGLIO DI SCUREZZA La partecipazione a misure di pressione economica deliberate dal Consiglio di Sicurezza è forse la misura più concreta che può essere offerta dall’Unione per il mantenimento della Pace e della sicurezza internazionale. (MISURE NON IMPLICANTI L’USO DELLA FORZA)
Art. 41 della Carta Costituiscono di per se la violazione di un diritto soggettivo della stato contro cui sono
adottate ma divengono lecite perché sono imposte o raccomandate dal consiglio di sicurezza in presenza di una delle situazioni elencate nell’Art. 39 della carta.
la Carta è indifferente al modo di attuazione degli obblighi derivanti dalle risoluzione del consiglio purché essi siano ottemperati.
Gli stati membri dell’unione sono obbligati a ricorrere ad un atto comunitario qualora essi debbano dare attuazione ad una risoluzione del consiglio di sicurezza che contempli misure a carattere commerciale
Questo non significa che le risoluzioni siano vincolanti per l’Unione, L’art 53 della carta non sono vincolanti
Gli stati pero hanno 2 obblighi11 L’unione non ha obbligo perché non è parte contraente Gli stati hanno l obbligo di dare attuazione agli obblighi del consiglio di
sicurezza e rispettare la competenza comunitaria esclusiva in materia dell’Ue
La procedura per dare le sanzioni si adatta a quella del consiglio di sicurezza: 1. Azione comune
11 La prima volta che venne sollevato il problema della competenza della comunità ad adottare sanzioni
economiche fu in relazione alla proclamazione dell’indipendenza della Rodesia del Sud. In tale circostanza
gli stati membri daranno attuazione con misure nazionali alle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza che aveva
imposto l’embargo commerciale nei confronti del paese. Successivamente in occasione della crisi delle
Falkands/Malvinas viene inaugurata la prassi di far seguire ad una decisione assunta a livello di CPE un
atto comunitario che stabiliva le misure commerciali ed economiche specifiche. Tale soluzione era
sostanzialmente corretta in quanto non si può negare che la comunità fosse priva di competenza in materia
di sanzioni.
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Le risoluzioni del consiglio di sicurezza sono adottate sulla base del art 14 trattato Ue.
2. Regolamento del consiglio in base agli articoli 301 e 60 Tratto CE il regolamento stabilisce quali misure devo essere adottate (richiamando come base giuridica il tratto CE e la PESC)
Se l UE non adotta tali sanzioni (perché ad esempio non siano stati applicati gli articoli 301 e 60) si tratta di inadempimento degli obblighi della carta in capo agli stati membri
PROBLEMA: gli stati hanno delegato la loro competenza in materia all’UE, ma gli obblighi internazionali riguardano i comportamenti degli stati:
Di chi è la responsabilità?
Conclusione Le norme dei trattati UE e CE appaiono idonee a consentire l’attuazione di misure deliberate dal Consiglio di Sicurezza. Il ricorso a regolamenti comunitari per dare attuazione alle risoluzione del consiglio di sicurezza comportava il vantaggio di assicurare l’uniformità e l’immediatezza delle misure attuative in tutti gli stati membri B) MISURE ADOTTATE IN ASSENZA DI UNA DELIBERA DEL CONSIGLIO DI SICUREZZA Ai sensi dell’art 53 «nessuna azione coercitiva potrà venire intrapresa in base ad accordi regionali o da parte di organizzazioni regionali” senza l’autorizzazione del consiglio di sicurezza»
Azione coercitiva e misura coercitiva comprendono anche le misure non implicanti l’uso della forza. 12
Si dovrebbe pertanto escludere che una organizzazione regionale possa adottare misure economiche
altrimenti illecite in assenza di una previa delibera del consiglio di sicurezza.
Le misure economiche adottate dagli stati, se di per se contrarie ad obblighi internazionali, devono, per
essere lecite rispondere ad un previo illecito internazionale. Senza una previa delibera del consiglio di
sicurezza non sarebbero lecite misure che fossero adottate in presenza di situazioni di minaccia alla pace
non caratterizza da violazioni di diritto internazionale
L’unione può adottare misure economiche di tipo sanzionatorio in riposta ad illeciti che si configurino come violazioni di norme che pongono obblighi erga omnes?
12 L’URSS contestò le misure sanzionatorie adottare della CEE nei confronti dell’argentina dopo l’invasione
delle Falkland-Malvinas.
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Riconoscere che l’unione possa adottare misure sanzionatorie nel caso di violazioni di obblighi erga omnes lascerebbe uno spazio di azione all’organizzazione regionale in conformità con il diritto internazionale
Significa limitare la necessità di una previa autorizzazione del Consiglio di Sicurezza ai casi di minaccia alla pace non accompagnate da violazioni del diritto
internazionale configurabile come violazione di obblighi erga omnes
Il divieto imposto all’art 53 andrebbe inteso solamente come:
o divieto di valutazione autonomo di situazioni che possono minaccia la pace e la sicurezza internazionale
o divieto di decidere conseguentemente misure coercitive
Se il consiglio di sicurezza ha accertato l’esistenza di una situazione riportabile all’art 39 della carta pur non deliberando l’adozione di misure ai sensi dell’art 41 è possibile un’adozione di misure sanzionatorie da parte dell’Unione? SI, In assenza di una delibera essa è giustificata come reazione ad un previo illecito internazionale dello stato contro cui venne adottata
CASI RECENTI:
Crisi in Jugoslavia:
L’adozione di sanzioni economiche venne decisa dagli stati membri in ambito della CPE l’8 novembre 1991, esso richiama la risoluzione del Consiglio di Sicurezza 713 (1991).
Embargo generale
Non è una misura sanzionatoria nei confronti di una delle parti in conflitto, ma di una misura diretta ad eliminare la minaccia alla pace
Furono adottati 3 regolamenti:
a) Sospensione dell’accordo di cooperazione in vigore tra la comunità e la Jugoslavia
Furono adottate dalla comunità con intenti sanzionatori nei confronti di una parte al conflitto
La causa della sospensione è il mutamento delle circostanze di fondo a) Ripristino di restrizione all’importazione di prodotti tessili b) Esclusione della Jugoslavia dal sistema comunitario delle preferenze generalizzate
Invasione del Kuwait: Il 1 e 2 agosto del 1990 il CPE (comitato politico dei dodici) annunciava
la sospensione dell’Iraq dal sistema delle preferenze generalizzate, adottando un atto unilaterale comunitario,
non può essere considerata una misura sanzionatoria quanto piuttosto una ritorsione
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Le misure comunitarie contro Haiti La sospensione degli aiuti previsti dalla IV Convenzione di Lomé (entrata in vigore il 1 settembre 1991)di cui Haiti è parte.
La decisione degli stati membri in ambito CPE in questo caso segue quella comunitaria la sospensione dell’aiuto alimentare non era giustificata in diritto internazionale
Sia perché era assente una decisione del consiglio di sicurezza Sia perché l’instaurazione di un governo non democratico non sembra possa qualificarsi
come illecito erga omnes
5. LE MISSIONI PETERSBERG ED IL PROBLEMA DELL’USO DELLA FORZA L’Unione Europea non ha competenza in materia di uso della forza.
- Sia a titolo di legittima difesa - Sia in caso di attacco armato in cui siano vittima uno o più dei suoi membri - Sia per intraprendere azioni armate di vasta portata
(di quelle all’Art. 42 Carta ONU: contro uno Stato autore di una minaccia, violazione o aggressione alla pace)
Il Consiglio di Sicurezza non potrebbe utilizzare l’Unione per azioni coercitive di questo tipo MA
TRATTATO SULL’UNIONE Riconosce la competenza a svolgere una serie di attività:
Missioni umanitarie e di soccorso Attività di mantenimento della Pace Missioni di unità di combattimento nella gestione delle crisi (Missioni Ristabilimento della pace)
[Art.17, par. 2]
MISSIONI PETERSBERG Consiglio dei Ministri UEO al Castello di Petersberg, 1992 Attività in cui impiegare le unità militari degli Stati membri (Ripresa dal Trattato di Amsterdam)
Attività eterogenee, alcune delle quali prevedono l’uso della forza o Prevenzione dei conflitti o Consolidamento della pace o Stabilità interna in periodi di transizione
L’Unione Europea non dispone, a tutt’oggi, di unità militari Il Trattato UE stabilisce che: Art.17 «si avvalga dell’UEO per elaborare ed attuare decisioni ed azioni dell’Unione nel settore della
difesa» MA
TRATTATO DI NIZZA Prevede importanti novità e modifiche radicali: Assorbimento delle funzioni UEO da parte dell’Unione Europea
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A) LE MISSIONI UMANITARIE Possono essere di due tipi:
1) Missioni di aiuto a popolazioni che si trovano in situazioni di:
- Grave sofferenza fisica e psichica - Ingenti perdite materiali
Inoltro e distribuzione di:
o Beni materiali (cibi, alloggi, medicine) o Assistenza di tipo medico
Realizzati dalla Comunità a partire dal 1996 (Regolamento 1257/96)
Le azioni di assistenza umanitaria escludono azioni aventi implicazioni di difesa
Art. 17, par. 2 Base giuridica Sia per l’utilizzo dei mezzi e il supporto logistico e
militare Sia per azioni che richiedono il ricorso all’uso della
forza
Nessun problema circa la liceità di tali missioni in base al Diritto Internazionale generale e alla Carta delle Nazioni Unite se tali missioni siano svolte:
o Con il Consenso dello Stato o delle parti (in caso di guerra civile) o Con o senza l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza
Nel caso in cui manchi il consenso Necessaria l’AUTORIZZAZIONE DEL CONSIGLIO per il ricorso a mezzi implicanti l’uso della forza per assicurare la distribuzione di aiuti
RICORSO ALL’USO DELLA FORZA PER RAGIONI DI UMANITA’(per far cessare violazioni gravi e sistematiche dei diritti dell’uomo) Nuova tendenza nel Diritto Internazionale. Se si formasse una norma autorizzante gli Stati a ricorrere alla forza armata per fini umanitari, sarebbe auspicabile che questi fossero decisi e realizzati all’interno di un ambito istituzionale precostituito
2) Intervento volto a proteggere la popolazione civile di uno Stato da gravi e ripetute violazioni dei diritti fondamentali
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C) LE MISSIONI DI SOCCORSO Missioni volte a salvare la vita di cittadini dello Stato interveniente che si trovano in uno Stato terzo. Circostanze:
- Imminente pericolo per la vita di tali cittadini - Grave
27 Giugno 1996 Decisione del Consiglio dell’Unione Nel Caso in cui il Consiglio decida una operazione di evacuazione di cittadini di Stati membri la cui sicurezza sia in pericolo in uno Stato terzo Tale decisione è attuata dall’UEO Per quanto riguarda le implicazioni in materia di
- Difesa - Impiego di mezzi militari
Missioni di Soccorso possono fare uso di mezzi militari L’uso della forza in soccorso dei propri cittadini non è un eccezione al divieto dell’uso della forza:
Possono configurare una violazione della sovranità territoriale Sono lecite ove ricorrano le condizioni indicate per le missioni umanitarie
MISSIONI ATTUATE DALL’UNIONE (dirette al salvataggio dei cittadini membri in uno Stato terzo) E’ necessario interpretare il Trattato UE riferendosi solo a missioni di soccorso che avvengano col consenso dello Stato territoriale.
C) LE OPERAZIONI DI MANTENIMENTO E RISTABILIMENTO DELLA PACE E LE UNITÀ DI COMBATTIMENTO NELLA GESTIONE
DELLE CRISI Art. 17, par. 2 Missioni di mantenimento e ristabilimento della pace
o Rispondono ai requisiti classici delle operazioni di peace-keeping - Consenso dello Stato territoriale - Ricorso alla forza strettamente circoscritto a ipotesi di legittima difesa
o Non sono esclusi interventi di peace-enforcement
- Riferimento a «unità di combattimento nella gestione delle crisi»
Tuttavia il limite entro il quale forze militari facenti capo all’Unione in missioni implicanti l’uso della forza è (in assenza di consenso dello Stato territoriale) l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza.
6) I RAPPORTI TRA LA UEO E L’UNIONE EUROPEA E I NUOVI ORGANI POLITICO-MILITARI DELL’UNIONE Art. 17, par.3 Per l’attuazione ed elaborazione delle decisioni prese in materia di difesa, l’Unione Europea
si avvalga della UEO TRATTATO DI NIZZA Apporta delle modifiche di rilievo: Soppressione di alcuni comma dei par. 1 e 3
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Eliminazione dei riferimenti all’UEO
o Non viene più concepita come “parte integrante” della Politica di Difesa dell’Unione Europea
o Assorbimento delle sue funzioni o Sviluppo di capacità proprie
La decisione di integrare l’UEO nell’Unione Europea era prevista nello stesso Art. 17, par.1 secondo comma.
La decisione dell’assorbimento deve essere adottata dagli Stati membri secondo le rispettive norme costituzionali.
19 Giugno 1999 Decisione 1999/404/PESC Adottata per dare attuazione al Protocollo sull’Art.17 TUE:
o Miglioramento dei processi consultivi o Possibilità degli organi UE di utilizzare le risorse UEO o Unità di pianificazione della Difesa
U.E.O. Forze militari proprie fornite dagli Stati membri
o EUROFOR o EUROCORPS o EUROMAFOR o Combined Joint Task Force
CONSIGLIO EUROPEO DI NIZZA Conferma l’intenzione di rilevare la funzione di gestione delle crisi dell’UEO.
Due decisioni: o Creazione di un centro satellitare e di un istituto di studi o Gestione da parte dell’Unione di una missione di cooperazione tecnica di polizia in Albania
La sostituzione dell’Unione all’UEO nelle missioni di tipo Petersberg, è possibile solo con lo sviluppo
di una capacità propria dell’Unione.
1999 CONSIGLIO EUROPEO DI COLONIA
Necessità che l’Unione si dotasse di strumenti per svolgere in modo autonomo i compiti indicati nel Trattato e le attività di gestione delle crisi Necessità di sviluppare capacità militari europee
1999 CONSIGLIO EUROPEO DI HELSINKI Due relazioni per il rafforzamento della PESC e per nuove strutture politiche e militari. Obiettivo
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Consentire all’Unione:
- Capacità autonome - Lanciare e condurre operazioni militari
Due possibilità:
1) L’Unione conduce operazioni di tipo militare Senza ricorrere a capacità e mezzi della NATO
Non si prevede la creazione di un esercito europeo L’Unione si dovrebbe avvalere di strutture già esistenti (sia a livello nazionale che non)
2) L’Unione si avvale di tali mezzi e capacità Rapporti con la NATO sulla base di accordi e forme di consultazione
Si prevede inoltre l’istituzione dei nuovi organi politici e militari:
- organi ad interim - Privi di poteri e funzioni decisionali
2000 CONSIGLIO EUROPEO DI NIZZA Si decide per la trasformazione di questi organi da temporanei a permanenti Comitato Politico e di Sicurezza Permanente
- Composto da civili - Compito di svolgere un controllo politico di ogni operazione con implicazioni militari decise dall’Unione
Comitato Militare
- Delegati militari dei Capi di Stato maggiore della Difesa - Consulenza militare e direzione militare dello Stato maggiore
Stato Maggiore
- Consulenza militare (comprese le esecuzioni delle operazioni di gestione militare delle crisi sotto l’Unione)
- Identificazione delle forze nazionali e multinazionali - Valutazione della situazione e pianificazione strategica
La situazione appare in grande evoluzione. Volontà politica di dotare l’Unione di capacità militari autonome affinché possa svolgere missioni che implicano l’uso di mezzi militari e del mantenimento della pace e sicurezza internazionale
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Nel caso in cui l’Unione utilizzi forze militari proprie potrà chiedere l’autorizzazione al Consiglio di
Sicurezza in quanto organizzazione regionale. Problema più complesso se utilizzasse mezzi della NATO. In ogni caso anche queste dovrebbero ottenere l’autorizzazione
7. CONCLUSIONI E’ un luogo comune quello di rimproverare all’Unione Europea il suo ruolo marginale nella gestione delle crisi internazionali. Debolezza strutturale: la PESC non ha in realtà una politica estera chiara come tale, vi è ancora una forte differenza tra le politiche estere degli stati membri e la posizione dell’Unione
Questa debolezza ha limitato
la funzione conciliativa dell’unione e si è tradotta in un atteggiamento rinunciatario per quanto riguarda interventi
diversi da quelli dell’assistenza umanitaria.
L’unione in questi interventi ha dimostrato grandi capacità in particolare ove si tratta di ricostruire il paese dopo una situazione di crisi
L’unione si sta dotando si strutture nuove di tipo militare e che è stata prevista nello stesso trattato sull’unione una tipologia di azione che possono comportare il ricorso all’uso della forza
o Ferma volontà da parte dei redattore del trattato di ancorare l’azione dell’Unione alle NU o Il riconoscimento del ruolo preminente delle Nazioni Unite nel campo del mantenimento
della pace, si trova riconfermano anche nelle conclusioni del consiglio europeo di Helsinki del 10 e 11 dicembre 1999.
L’unione può intraprendere azioni implicanti l’uso della forza solo in presenza di un’autorizzazione data dal consiglio di sicurezza.
Questo limite discende dal diritto internazionale consuetudinario che, esclusa l’ipotesi di legittima difesa, riconosce il monopolio dell’uso della forza del consiglio di sicurezza.
Lo spazio di autonomia riconosciuto all’Unione per le misure non implicanti l’uso della forza è piuttosto ampio.
Se queste azioni costituiscono reazione ad illeciti internazionali che si configurano, oltre che come pericolo per la pace come violazione erga omnes
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ORGANIZZAZIONE DEGLI STATI AMERICANI E ORGANIZZAZIONE
DELLE NAZIONI UNITE
1. INTRODUZIONE
La cooperazione interamericana è stata avviata nel 1890
Non un’ Organizzazione regionale, quanto, piuttosto, di una forma di cooperazione stabile avviata sulla
base di alcuni principi comuni:
1) Panamericanismo
come teoria geopolitica
2) Divieto d'ingerenza negli affari interni o internazionali di uno Stato
per aggressione ai danni di uno Stato, bisogna intendere non solo quella derivante da un attacco
armato, ma anche:
o Aggressione economica
o Aggressione politico-ideologica
- Propaganda,
- Finanziamento, da parte di governi stranieri, di gruppi interni di opposizione al
governo sovrano
3) Principio di Democrazia
conseguenze immediate sul piano giuridico – sanzionatorio:
o Sospensione dall’organizzazione
o Azione collettiva di pressione diplomatica
4) Rispetto dei Diritti Umani
Le forme di controllo sono però soprattutto di natura politica, affidate ai comitati
Stati restii alla possibilità che le proprie questioni interne vengano discusse a livello internazionale
2. I PRINCIPI FONDAMENTALI DELLA COOPERAZIONE INTERAMERICANA
I principi della cooperazione americana sono stati sviluppati ancor prima della nascita dell’OSA e incorporati
successivamente in questa.
1945 ATTO DI CHAPULTEPEC
Dichiarazione di principi con valore vincolante firmata alcuni mesi prima della entrata in vigore della
Carta delle Nazioni Unite
Gli Stati firmatari dell’Atto e i membri della Lega Araba premevano affinché nel Trattato
istitutivo dell’ ONU fosse prevista la legittima difesa collettiva (art. 51).
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1947 TRATTATO DI DIFESA RECIPROCA (TRATTATO DI RIO)
1948 CARTA DI BOGOTA’
Definisce struttura e obiettivi
PAESI PARTE
35 paesi, ultimo paese il Canada (1989)
MECCANSIMO DELLE VOTAZIONI : Formalmente la maggior parte delle decisioni sono votati a maggioranza (assoluta o 2/3) e non ad unanimità
CARATTERISTICHE DELLO STRUMENTO NORMATIVO o La Carta di Bogotà è stata modificata 4 volte:
1967, 1985, 1992 si fa riferimento per la prima volta al principio democratico
protocollo di Washington che introduce nel trattato l’art 9 “difesa del principio democratico”
o La carta ha 126 articoli (rapporti tra organi e anche il coordinamento con le NU)
Art. 1 L’OSA è un’organizzazione internazionale e un organizzazione regionale (ai sensi del capitolo VIII della Carta ONU)
OBBIETTIVI: Cooperazione economica Cooperazione culturale Approccio di tipo generale (wide spread).
Al fine di perseguire lo sradicamento della povertà si intende necessario anche una forma di cooperazione a tutti i livelli, al fine di garantire il massimo sviluppo.
SCOPI: Art. 2 Rafforzare la pace nel continente Promuovere la democrazia rappresentativa (PRINCIPIO DI NON INTERVENTO), Fornire un azione comune in caso di aggressione, cooperazione culturale, economico Scopo sradicamento della povertà estrema
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STRUTTURA ISTITUZIONALE
Art. 53 Capitolo VIII della Carta di Bogotà:
Assemblea generale - uno Stato un voto (massima realizzazione della democrazia) - Organo supremo:
a) Stabilisce le politiche generali dell’organizzazione b) Garantisce il coordinamento con le Nazioni Unite c) Delibere sono adottate a maggioranza assoluta, rari casi si usa la maggioranza relativa
Riunione consultiva dei ministri degli affari esteri - Convocato su richiesta:
a) dell’Assemblea b) di uno Stato membro
per discutere di questioni urgenti (attacco armato, aggressione) Es. crisi di cuba, crisi tra argentina e Gb
- Riunioni di ministri degli affari esteri dell’organizzazione - Si riunisce come organo di consultazione: organo direttivo (tipo Consiglio di sicurezza ONU)
Consigli Tecnici fanno proposte su materie precise
Consiglio permanente - Funzione conciliativa - Formata da tutti gli stati della OSA - E’ l’organo al quale uno Stato o gli stati parti di una controversia si possono risolvere una
controversia - Delibera a maggioranza dei 2/3
Segretariato Generale - Vertice di tipo amministrativo, - Rappresenta l’organizzazione degli Stati americani nei rapporti con gli Stati terzi
Ruolo del segretario dell’OSA non è mai Stato cosi determinante.
Commissione Interamericana dei diritti dell’uomo - Organo di individui indipendenti chiamati a giudicare - Organo principale, incardinato nella struttura dell’OSA (previsto con la Carta di Bogotà) - Competete a vigilare sull’applicazione dei diritti dell’uomo (esercita le sue funzioni nei confronti
di tutti gli Stati firmatari della Carta di Bogotà) - - Base giuridica:
o Carta interamericana dei diritti dell’uomo del 1948
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o Carta di Bogotà o Convenzione interamericana del 1969
Definisce la Corte interamericana dei diritti dell’uomo: non è prevista dalla carta di Bogotà
- Un giudice agisce solo su ricorso interstatale, solo indirettamente può ricorre a ricorsi individuali, che pero sono destinati alla commissione. Se la commissione ritiene che il ricorso individuale sia grave può deferire alla corte.
- Non è un organo giuridico vero e proprio
Gli Stati Uniti sono firmatari della Carta di Bogotà per cui sono sottoposti al controllo della Commissione. Non sono però parte della Convenzione del 1969. La Commissione dei diritti dell’uomo ha fatto reiterate richieste agli Stati Uniti per domandare chiarimenti sulla detenzione di prigionieri a Guantanamo, richiamando gli Stati Uniti al rispetto dello standard minimo di tutela dei diritti umani nei confronti dei terroristi
Parlamento Latino Americano
- Istituito nel 1987
- 22 membri
- I parlamentari sono eletti a suffragio popolare diretto.
- Adotta risoluzioni che sono sostanzialmente delle proposte che il parlamento indirizza agli stati.
Si ispira a questi obbiettivi: Difesa democrazia
come difesa dei parametri fondamentali
Maggiore integrazione tra i paesi latino americani (integrazione economica, culturale, cooperazione multi-livello)
Principio democratico Riscoperto verso la fine degli anni Novanta. Il movimento ha portato ad un rovesciamento politico e sociale
Principio di Autodeterminazione dei popoli Inteso come non intervento negli affari interni. Si riferisce alle pressioni economiche che arrivano dall’esterno (Stati Uniti, Cina, UE: concorrenza sleale)
Soluzione pacifica delle controversie
Foro di consultazione dove si possono avviare dei procedimenti diplomatici di soluzione pacifica delle controversie
La promozione del diritto internazionale quale standard di tutti i paesi latino americani Riferimento essenziale, perché si riteneva che fosse un diritto degli Stati forti. Molti chiedevano riforme e non obbligatorietà. Oggi nuovi intenti.
1967 TRATTATO DI TLATETOLCO (MESSICO)
prevedere l’area del centro e Sud America come zona denuclearizzata.
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o Obbligo di non istallare ordigni nucleari o Divieto di fare esperimenti nucleari. Accordo che ricalca gli accordi di denuclearizzata. vd
trattato di Bangok.
Conseguenze politiche di rilievo, soprattutto durante la guerra fredda. Agli stati è divieto di costruire, utilizzare materiali nucleari sia a scopo militare che civile. o Comprende un area molto vasta (Sud America, Caraibi) e l’accordo è Stato ratificato anche
da: Stati Uniti CINA Francia 5 Stati del Consiglio di Sicurezza Gran Bretagna RUSSIA
1987 MERCOSUR
Nato in risposta a NAFTA e Comunità dei Paesi Andini
o Organizzazione strettamente dominata dal Brasile. (85% degli scambi sono riferiti al Brasile) o Obiettivo: integrazione economica o Meccanismi ancora primitivi
- Opera con il principio di unanimità - Ha una propria struttura istituzionale (Assemblea, Consiglio, ecc.)
Per il momento è solo un area di libero scambio. Che ha come prototipo l’UE (mercato unico e
moneta unica) Questo parlamento ha rapporti solo di semplice cooperazione con l’OSA, non rientra nell’OSA.
1995 ACCORDO DI COOPERAZIONE
Siglato dal Segretario generale dell’OSA e da quello delle Nazioni Unite, a New York.
Prevede il mantenimento di una linea di comunicazione permanente
se si dovessero accendere focolai di guerra all’interno del continente americano, l’Organizzazione
regionale può informare immediatamente l’Organizzazione universale e i Segretari generali
possono concordare le strategie e le tipologie d’intervento
3. I RAPPORTI TRA GLI STRUMENTI DELL'O.S.A. E LA CARTA O.N.U.
Art. 103 Statuto delle Nazioni Unite
«in the event of a conflict between the obligations of the Members of the United Nations, under the
present Charter and their obligations under any other international agreement, their obligations under the
present Charter shall prevail»
La prevalenza degli obblighi derivanti dallo Statuto dell'O.N.U., su quelli
posti dagli strumenti fondamentali dell'O.S.A., trova un sicuro
fondamento nelle clausole di compatibilità* contenute in questi ultimi
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Art. 131 Carta di Bogotà
«none of the provisions of this Charter shall be construed as impairing the rights and obligations of the
Member States under the Charter of the United Nations»
Art. 10 Trattato di Rio Contenuto simile.
Obblighi e diritti della Carta dell'O.N.U. prevalgono su quelli posti dai trattati dell' organizzazione
americana.
Si risolvono, a favore dello Statuto dell'O.N.U., gli eventuali conflitti tra le situazioni giuridiche di
Stati membri dalla contemporanea appartenenza alle due organizzazioni.
Art. 131 Obbligo per gli organi dell'O.S.A. di esercitare le proprie competenze e i propri poteri in
modo da non arrecare pregiudizio ai diritti e agli obblighi di cui gli Stati membri sono
destinatari in base alla Carta dell'O.N.U.
*Clausola di compatibilità
(salvi i diritti e gli obblighi derivanti da convenzioni concluse con Stati terzi anteriormente all'entrata in
vigore del trattato istitutivo)
Le istituzioni comunitarie sono tenute a non intralciare il rispetto degli impegni internazionali già in vigore
per gli Stati membri.
Prevalenza dello Statuto dell'O.N.U., estesa anche ai diritti e agli obblighi derivanti dagli atti
vincolanti di quest’organizzazione
Artt. 25 e 41 Obbligo di accettare ed eseguire le risoluzioni con cui il Consiglio di sicurezza
decide misure sanzionatorie contro uno Stato che abbia minacciato o violato la pace e la
sicurezza internazionale.
Coordinamento delle competenze e delle attività delle due organizzazioni
attraverso
o Norme dei trattati fondamentali dell'O.S.A.
o Norme riguardanti questa le organizzazioni regionali contenute nella Carta delle Nazioni Unite.
Gli Stati americani hanno voluto collegare la loro organizzazione al sistema delle Nazioni Unite e sottoporla
alle regole esistenti. (Art.1 e Art. 2 Carta di Bogotà)
2. LA NORMATIVA DELL'O.N.U. IN MATERIA DI ORGANIZZAZIONI REGIONALI
Art. 52 par. 1 Riconosce la compatibilità con la Carta delle Organizzazioni Regionali in materia di
mantenimento della pace e sicurezza internazionale
norme regionaliste (art. 52, paragrafi 2 e 3)
VS
norme universaliste (art. 52, par. 4)
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Art. 52 Disciplina:
o a carico degli Stati membri di organizzazioni regionali:
l'obbligo di fare ogni sforzo per raggiungere una soluzione pacifica delle controversie
locali attraverso queste organizzazioni prima di rivolgersi al Consiglio di sicurezza (par.
2)
o soluzione delle controversie locali mediante tali accordi o organizzazioni (par. 3)
L'articolo in questione però (par. 4) fa salvi gli artt. 34 e 35 della Carta
Il Consiglio può fare indagini
gli Stati membri dell'O.N.U. hanno la facoltà di sottoporre:
- qualsiasi controversia
- qualsiasi situazione
che possa portare a un attrito internazionale
all'attenzione:
del Consiglio di sicurezza
dell'Assemblea generale.
Le organizzazioni regionali possono fare ricorso in caso di minaccia alla pace, violazione della pace o atto di
aggressione in base agli Artt. 51, 53, 54:
3. SOLUZIONE DELLE CONTROVERSIE LOCALI
Art. 52 della Carta dell'O.N.U. presenta un certo grado di ambiguità. Esso, infatti, contiene:
due norme regionaliste (Par. 2 e Par. 3)
una norma universalista (Par. 4, che fa salvi gli articoli 34 e 35 della Carta).
A fronte di tali contraddittorie disposizioni,
gli strumenti fondamentali dell’O.S.A., contenevano delle norme che:
- riproducevano il par. 2 dell' art. 52
- ignoravano il disposto del par. 4.
Art. 20 Carta di Bogotà
«All international disputes between American States shall be submitted to peaceful procedures set forth in
this Charter, before being referred to the Security Council of the United Nations»
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Art. 2 Trattato di Rio
«(…) submit every controversy which may arise between them to settle any such controversy among
themselves by the Inter-American System before referring it to the General Assembly or the SecurityCouncil
of the United Nations»
Una norma simile fu inserita anche nell' Art. II dell' American Treaty on Pacific Settlement
(Patto di Bogotà).
1947-48 In quegli anni, rinforzando il principio try OAS first, solo la parte regionalista dell'art. 52 fu
recepita nei trattati dell'O.S.A.
tali disposizioni non pregiudicavano l'art. 52 dello Statuto dell'O.N.U.
infatti
gli Stati americani hanno riconosciuto la prevalenza (rispetto ai trattati dell'O.S.A.)
- sia dei diritti e degli obblighi della Carta delle Nazioni Unite
- sia delle norme che disciplinano i rapporti con le organizzazioni regionali.
La materia in oggetto, quindi, restava comunque regolata dall'art. 52 dello Statuto dell'O.N.U.
Le norme sul previo esperimento delle procedure interamericane avevano, in realtà, una valenza
fondamentalmente politica.
La nascita dell' organizzazione regionale, infatti, fu accompagnata da un atteggiamento di grande
fiducia nella cooperazione continentale
gli Stati americani adottano, in materia di controversie locali, una politica di “chiusura”
ostacolare l'intervento (sia pure attraverso l'O.N.U.) di potenze extra-continentali
nelle controversie interamericane.
In diverse occasioni gli Stati membri dell'O.S.A., sfruttando l’art. 52 dello Statuto delle
Nazioni Unite, hanno cercato di evitare (o ritardare) l'intervento, nelle loro controversie,
del Consiglio di sicurezza.
o Art. 20 Carta di Bogotà
o Art. 2 Trattato di Rio
o Art. II Patto di Bogotà
hanno costituito per lungo tempo:
il principio ispiratore della "politica estera" dell'O.S.A. in materia di soluzione delle
controversie locali
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un prezioso strumento giuridico al servizio di tale politica.
Controversia locale Tutte le parti di essa siano membri di una medesima organizzazione regionale, pur trovando la sua reale ragion d'essere in un più ampio conflitto d'interessi che travalica l'ambito dell'organizzazione regionale.
presenza degli Stati Uniti tra i membri dell’O.S.A. forte impronta anti-comunista da questi impressa
hanno favorito l'insorgere di controversie che, pur rimanendo locali, hanno riproposto nell'ambito dell'O.S.A. il problema del confronto Est-Ovest, che per più di quarant'anni ha profondamente segnato le relazioni internazionali. 1975 Protocollo di San José
emendarono l'art. 2 del Trattato di Rio, aggiungendovi una disposizione che riproduce il par. 4 dell’art. 52 della Carta O.N.U. e modificando parzialmente la norma sul previo esperimento della procedura interamericana
1985 Protocollo di Cartagena
gli Stati americani emendarono la Carta di Bogotà in modo ancor più radicale. - venne eliminato l'esplicito obbligo del previo esperimento dei meccanismi regionali - venne introdotta una norma identica a quella contenuta nel par. 4 dell’ art. 52 dello Statuto
dell'O.N.U.
I suddetti emendamenti apportati ai trattati fondamentali dell'O.S.A. da un punto di vista giuridico più generale presentano un certo interesse.
1) Introduzione negli strumenti dell'O.S.A. degli articoli 34 e 35 dell'O.N.U. in qualsiasi momento della controversia interamericana
non consentirà più agli organi dell'O.S.A. di contestare l'esercizio dei diritti, delle facoltà, pelle competenze e dei poteri che discendono da tali articoli.
2) In secondo luogo, le norme emendate mostrano chiaramente che gli Stati membri dell'O.S.A., in materia di soluzione delle controversie interamericane, hanno abbandonato il principio try O.A.S. first, a favore di quello della free choice.
Tale orientamento è stato confermato nel 1993, per migliorare il coordinamento con le Nazioni Unite nel mantenimento della pace e della sicurezza internazionale
Sarà, dunque, alla luce del principio della free choice che bisognerà interpretare, secondo gli
Stati americani, l'art. 52 della Carta dell'O.N.U.
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Art.52 par. 2. Obbliga gli Stati membri di organizzazioni regionali
«a fare ogni sforzo per giungere a una soluzione pacifica delle controversie di carattere
locale mediante tali accordi od organizzazioni regionali prima di deferirle al Consiglio di
sicurezza».
Art. 52 par. 4 Fa salvi gli articoli 34 e 35.
Garantire allo Stato membro di un'organizzazione regionale, la facoltà di sottoporre una controversia
all'attenzione del Consiglio di sicurezza, indipendentemente dalla procedura regionale.
Consiglio, ha sempre iscritto all' ordine del giorno le controversie locali e non si è mai dichiarato
incompetente.
Dunque, gli Stati, in particolare nella controversia locale, possono:
sottoporre quest'ultima al Consiglio di sicurezza (art. 35),
il quale:
- potrà fare indagini (art. 34)
- raccomandare mezzi di soluzione (art. 36)
- Una volta assolto l'obbligo del par. 2 Art. 52, ritornerà nella pienezza dei
propri poteri
potrà eventualmente (art. 37) entrare nel merito della controversia
locale, suggerendo termini di regolamento.
Il Consiglio potrà ritenere adempiuto l'obbligo posto da tale norma, senza attendere il completo
esperimento della procedura regionale.
In conclusione, appare chiaro che i paragrafi 2 e 3 dell'art. 52 contengono delle disposizioni dai
contorni sfumati e dalla modesta intensità precettiva.
Esse si limitano a stabilire una preferenza di principio a favore dei mezzi regionali per la soluzione
delle controversie locali.
4. RICORSO A MISURE COERCITIVE
Nel settore della difesa comune, il sistema interamericano si avvale di principi che si discostano da quelli
della Carta ONU
Ricorso alla difesa comune in circostanze più ampie* rispetto a quelle caratterizzate da un attacco armato,
che giustifica ai sensi della carta il ricorso alla legittima difesa
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*L’idea che alla base del sistema di difesa comune dei Paesi interamericani è che l’esistenza , la sicurezza,
l’indipendenza e la sovranità di uno Stato non possono essere minacciate soltanto da un attacco armato;
- Finanziamento ad un movimento interno di insurrezione
- Finanziamento (e/o il supporto logistico) di atti terroristici contro le strutture portanti di uno Stato
- Aggressioni economiche che possono bloccare lo sviluppo di un Paese.
Es.:Di aggressione ideologica fu accusato il regime castrista quando cercò di esportare attraverso
un’azione di propaganda (ma anche con un probabile invio di truppe) la rivoluzione comunista nei
Paesi vicini
TRATTATO DI RIO
In caso di Aggressione a:
- Integrità territoriale
- Sovranità
- Indipendenza
CON attacco armato: Aggressione di ALTRA NATURA:
Obbligo degli Stati membri di intervento
Immediato anche prima che intervenga Gli Stati non hanno né il diritto né il
Con le misure che riterranno l’organo di consultazione (Art. 3, par.2) dovere di intervenire prima dell’Organo
opportune, non necessariamente (Art. 6)
forza armata (Art. 3, par.1)
misure dell’Organo sono vincolanti,
tranne quando si prevede l’uso della
forza armata:
L’Organo non può imporre l’uso della
forza armata (Art. 20)
Perché in ambito OSA è così importante il riconoscimento della minaccia che sia anche di tipo
economico od ideologico?
Ancor prima della conclusione della Carta di Bogotà, gli Stati americani avevano, come criterio
guida dei loro rapporti reciproci, il divieto di intervento negli affari interni ed internazionali di un
altro Paese (Preambolo dell’Atto di Chapultepec).
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Nella Carta delle Nazioni Unite non è previsto il divieto di intervento negli affari interni di un altro
Stato come obbligo di condotta degli Stati. È previsto, invece, un divieto generale per le Nazioni
Unite di intervenire in materie di competenza interna degli Stati ( la c.d. domestic jurisdiction)
Articoli da Ricordare:
MISURE COERCITIVE
Art. 8 Trattato di Rio
richiamo dei rappresentanti diplomatici e/o consolari;
interruzione totale o parziale delle relazioni economiche;
interruzione delle comunicazioni ferroviarie, marittime, aeree, postali, telegrafiche, telefoniche;
uso della forza.
SOSPENSIONE
Art. 9 Carta di Bogotà
Un membro dell’Organizzazione, il cui governo costituito democraticamente sia stato rovesciato con la forza
può essere sospeso dall’esercizio del diritto di partecipazione alle sessioni:
- dell’Assemblea generale, - del meeting di consultazione, - del consiglio dell’organizzazione - da commissioni, gruppi di lavoro e altri organi stabiliti
Il potere di sospensione deve essere esercitato solo quando non abbiano avuto successo le iniziative
diplomatiche intraprese dall’Organizzazione al fine di promuovere il ritorno alle forme della democrazia
rappresentativa nello Stato interessato.
o La decisione di sospensione deve essere adottata in una speciale sessione dell’Assemblea Generale da un voto favorevole dei due terzi dei membri
o La sospensione ha effetto immediato dall’approvazione dell’Assemblea Generale
o Durante il periodo della sospensione, l’Organizzazione deve favorire addizionali iniziative diplomatiche per contribuire al ristabilimento della democrazia rappresentativa nello Stato interessato
o I membri soggetti a sospensione devono continuare a rispettare i loro obblighi nei confronti dell’Organizzazione
o L’Assemblea generale può ritirare la decisione di sospensione con una decisione adottata a maggioranza dei due terzi dei membri.
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I poteri riferiti a questo articolo devono essere esercitati in accordo con la presente Carta.
LEGITTIMA DIFESA
Art. 3 Trattato di Rio
Impone agli Stati parti di dare assistenza allo Stato vittima di attacco armato che ne faccia richiesta (Lo
Stato attaccato può chiedere supporto agli altri membri)
Le azioni devono essere comunicate al Consiglio di sicurezza dell'O.N.U. (art. 5) e cessare appena
questo abbia preso una decisione (art. 3, par. 4).
CRISI DI CUBA
Non appare condivisibile la tesi sostenuta da alcuni autori, secondo la quale il blocco delle navi dirette a
Cuba, deciso dall'O.S.A. nel 1962, per impedire l'installazione di missili nucleari sovietici nell'isola, sarebbe
da considerare come legittima difesa “preventiva”.
o Previo attacco armato
o Risoluzione del Consiglio permanente non faceva riferimento né all'art. 3 del Trattato di Rio, né
all'art. 51 della Carta dell'O.N.U.
o L’O.S.A., fece espresso riferimento all'art. 54 della Carta delle Nazioni Unite, riconducendo così
implicitamente la risoluzione in esame nell'ambito del Capitolo VIII della Carta.
L’ OSA raccomanda agli stati di mettere appunto un embargo alle coste di cuba. Il Consiglio non poté pronunciarsi per il veto degli USA.
CRISI FALKLAND
Neanche l'azione militare condotta dall'Argentina nelle isole Falkland (1982) è qualificabile come legittima
difesa.
o L’O.S.A., nelle due risoluzioni adottate in quel caso, pur non facendo esplicito riferimento all'art. 3
del Trattato di Rio e all'art. 51 della Carta dell'O.N.U., si sia sforzata di descrivere l'azione condotta
dalla Gran Bretagna come un atto di aggressione.
o All'interno dell'O.S.A., invero, prevalse la tesi del governo argentino, secondo la quale, essendo le
isole "Malvinas" parte del proprio territorio illegalmente occupato nel 1833 della Gran Bretagna,
l'invasione di queste isole a opera delle forze armate argentine non costituiva illecito internazionale,
mentre l'azione militare della Gran Bretagna per rientrarne in possesso doveva essere considerata
come una “aggressione extra-continentale” ai sensi del Trattato di Rio.
Prima risoluzione, del 28 aprile 1982
riconobbe i diritti dell' Argentina sulle isole e invitò la Gran Bretagna a cessare le operazioni militari.
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Seconda risoluzione, del 29 maggio 1982
l'organizzazione americana intimò a tale Paese di por fine a tutte le azioni belliche contro l'Argentina;
accusò il governo britannico di aver fatto fallire tutti i tentativi di soluzione pacifica della crisi
invitò tutti gli Stati parti del Trattato di Rio a offrire supporto alla Repubblica argentina
Con quest'ultima risoluzione l'O.S.A. si pose, per la prima volta, in aperto contrasto con il Consiglio
di sicurezza
L’OSA prese posizione a favore dell’Argentina (Art. 6 del trattato di Rio) Si chiese agli stati membri di adottare misure di legittima difesa collettiva I due sistemi (regionale universale) entrarono in collisione.
Gli Stati Uniti si trovavano in una posizione di preminenza, ma decise di non assume una posizione netta
La Gran Bretagna non chiese sostegno NATO ma ai partner europei
La normativa dell'O.S.A. non si conforma pienamente alle disposizioni contenute nella Carta delle Nazioni
Unite.
1. Non è posto in capo all'O.S.A. l'obbligo di ottenere l'autorizzazione del Consiglio di sicurezza per
intraprendere azioni coercitive.
2. In caso di rovesciamento di un governo democraticamente eletto, non è previsto nemmeno
l'obbligo di informare il Consiglio di sicurezza.
5. MISSIONI O.S.A. NEL TERRITORIO DEGLI STATI MEMBRI
L'O.S.A. ha spesso inviato proprie missioni all'interno degli Stati membri.
Tre tipi:
1) OSSERVATORI MILITARI
Normalmente inviati, in forza del Trattato di Rio, in situazioni di tensione tra Paesi membri.
o Le forze inter-americane, “prestate” dai membri, su richiesta dell’organo societario, non hanno la possibilità di utilizzare la forza armata
o Il loro schieramento è subordinato al consenso delle parti in conflitto
Ciò permette di definire questo tipo di operazioni come esempio di peace keeping “classico”
Dicembre 1948 Costa Rica vs Nicaragua
penetrazione nel territorio Costaricano di bande annate provenienti dal
Nicaragua.
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Il Consiglio dell'O.S.A., ai sensi del Trattato di Rio, "dopo aver consultato le due parti
", decise di inviare una commissione interamericana composta dai rappresentanti di
cinque Stati membri, col compito di favorire l'applicazione delle misure provvisorie
concordate dai due governi.
Osservatori militari
Fattispecie riconducibili al Capitolo VI della Carta delle Nazioni Unite:
controversie la cui continuazione sia suscettibile di mettere in pericolo la pace e la
sicurezza internazionale.
In questo caso essi possono essere considerati un mezzo di soluzione della controversia
- il loro invio non necessita di alcuna autorizzazione,
- l'O.S.A. abbia una sorta di prelazione (rispetto all'O.N.U.) nella soluzione del caso.
Fattispecie con caratteristiche più gravi, ipotesi del Capitolo VII della Carta delle Nazioni
Unite:
invio di osservatori militari non necessiterà dell'autorizzazione del Consiglio di
sicurezza.
Questi:
- non sono armati e non hanno il compito di mantenere divisi i contendenti
- agiscono con il consenso delle parti interessate.
L'invio di osservatori militari, dunque, non realizza l'ipotesi di "azione coercitiva" per la
quale è necessaria l'autorizzazione del Consiglio di sicurezza.
Tale autorizzazione non è stata mai richiesta dall'O.S.A.
2) VERIFICA DEL RISPETTO DEI DIRITTI UMANI IN SITUAZIONI DI CONFLITTO INTERNO
(tali missioni erano integrate da forze civili e militari)
Anche queste missioni non necessitano di un’autorizzazione del Consiglio di sicurezza.
3) MISSIONI DI MONITORAGGIO ELETTORALE
Create e inviate, con il consenso (e spesso su invito) dello Stato membro interessato, a controllare il
corretto svolgimento delle elezioni.
Esse sono composte da esperti civili, che seguono tutto il processo elettorale, dallo svolgimento
della campagna elettorale, alla fase delle votazioni e dello scrutinio.
Normalmente tali missioni vengono organizzate e coordinate dall'OAS Unit for the Promotion of
Democracy, con lo scopo di garantire e promuovere la democrazia in Paesi membri che escono da
situazioni di crisi interne o da regimi autoritari instaurati a seguito di colpi di stato.
Negli ultimi dieci anni l'O.S.A. ha inviato proprie Electoral Observation Missions in circa la
metà degli Stati membri, monitorando più di cinquanta elezioni.
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Sono state integrate anche da piccoli gruppi di osservatori inviati direttamente dal Consiglio
di sicurezza, venendosi così a sviluppare una collaborazione tra le due organizzazioni
HAITI
1991 Colpo di Stato Haiti che rovesciò il Presidente democraticamente eletto Aristide.
1992 L'Organizzazione americana inviò una propria missione di osservazione sul rispetto dei diritti
dell'uomo
Febbraio 1993 costituì, congiuntamente alle Nazioni Unite, l'International Civilian Mission in Haiti
(MICIVIH). CO-DEPLOYMENT
La missione, composta esclusivamente da personale civile, aveva il compito di verificare il
rispetto dei diritti dell'uomo e di contribuire alla ricostituzione delle istituzioni
democratiche
Il compito di separare le parti in conflitto fu, invece, assegnato ad apposite missioni
dell'O.N.U.
MICIVIH
Richiesta del Presidente Aristide
Fu ammessa nel territorio haitiano dalla giunta golpista. Prima del ristabilimento dell'ordine costituzionale e
del ritorno al potere del Presidente Aristide, per ben due volte essa dovette lasciare l'isola:
1) la prima (dall' ottobre del 1993) per ragioni di sicurezza,
2) la seconda (dal luglio del 1994) perché dichiarata indesiderata dalle autorità militari.
Essa operò nel territorio haitiano solo nella misura in cui vi fu il consenso delle due parti in lotta.
Non si pongono per la MICIVIH problemi di autorizzazione da parte del Consiglio di sicurezza.
Unica difficoltà
La costituzione di tale missione, per parte delle Nazioni Unite, fu decisa dall' Assemblea Generale.
Tuttavia, se si considerano le caratteristiche (personale civile, consenso delle parti in conflitto) e gli
obiettivi (verifica del rispetto dei diritti dell'uomo, ricostituzione delle istituzioni democratiche) di
questa missione
o da una parte, non può essere contestata la competenza dell' Assemblea generale ad
autorizzarne la costituzione
o dall'altra, non potendo esser qualificata come "azione coercitiva", si comprende come una
missione di questo tipo avrebbe potuto essere realizzata dall'O.S.A., anche senza il
concorso dell'O.N.U.
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Si registrano, almeno due casi in cui la prassi dell’OSA si è allontanata nettamente dalle previsioni della
Carta delle Nazioni Unite e dall’art. 53:
1) 1965 Rivolta popolare nella Repubblica Dominicana per il ripristino della costituzione
democratica del1963, (abolita da un gruppo di militari golpisti)
unico caso in cui l'Organizzazione americana costituì una Forza interamericana di pace
Gli Stati Uniti inviarono un grosso contingente di marines.
PROBLEMI:
1. La Forza non ha agito con il consenso dello Stato interessato.
Nella situazione di caos istituzionale in cui la Repubblica dominicana si trovava, non vi era un
governo che potesse dare il proprio consenso.
E’ stato sostenuto che tale consenso fosse stato dato preventivamente dalla fazioni in lotta,
attraverso la ratifica (il 5 maggio) dell' Atto di San Domingo
prevedeva tra l'altro la creazione, nella città di San Domingo, di una "zona di
sicurezza", all' interno della quale sarebbe stata garantita adeguata protezione a
tutte le persone.
Tale consenso riguardava, da un punto di vista spaziale, la sola "zona di sicurezza",
Il mandato ricevuto dalla Forza interamericana, riguardava tutto il territorio della Repubblica, e
in effetti la Forza in questione agì su di un territorio ben più vasto di quello destinato alla "zona
di sicurezza".
L'assenza del consenso dello Stato interessato fu fatta rilevare nel corso dei dibattiti
all'interno del Consiglio di sicurezza dal rappresentante dell'Uruguay e da quello della
Francia.
2. La Forza interamericana non si limitò a interporsi tra le parti in lotta (peace-keeping)
Si impegnò negli scontri e cercò di ampliare la "zona di sicurezza" internazionale delimitata dall'
Atto di San Domingo, in modo da acquisire il controllo di territori a forte interesse strategico,
controllati dalla fazione “costituzionalista”.
Contestazioni provenienti da diversi Stati membri dell'O.N.U.
mancata richiesta da parte dell'O.S.A. dell'autorizzazione del Consiglio di sicurezza prevista dall'
art. 53
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STATI UNITI
Sostennero che la Forza interamericana di pace non costituiva enforcement action e quindi
non era sottoposta al dettato dell'art. 53, ma a quello degli articoli 52 e 54.
Rappresentante statunitense al Consiglio di sicurezza
ricordò che la Forza non era stata creata per agire contro il popolo dominicano.
Il suo solo scopo era di collaborare al:
- ristabilimento di condizioni normali nella Repubblica Dominicana,
- mantenimento della sicurezza dei suoi abitanti
- rispetto dei diritti dell'uomo e alla creazione di un clima di pace e di
conciliazione che permettesse il funzionamento delle istituzioni democratiche.
Forza interamericana: enforcement action
per la quale sarebbe stata necessaria l'autorizzazione del Consiglio di sicurezza (Art. 53 Carta).
Tale autorizzazione non fu richiesta dall'O.S.A.
la quale si limitò a tenere informato il Consiglio di sicurezza dell'evoluzione della situazione.
Il Consiglio, a causa delle divergenze tra i suoi membri, non poté prendere alcuna posizione
ufficiale sull'azione dell'O.S.A.
Ma svolse comunque, la sua opera di vigilanza.
2) 1962 Embargo navale imposto a Cuba
Raccomandazione adottata, su sollecitazione degli USA, dall’organo societario
Invitava gli Stati membri a prendere tutte le misure necessarie in reazione alla presenza di
rampe di lancio di missili nucleari sovietici sull’isola.
Alcuni Stati membri dell’OSA sottoposero ad embargo navale (la c.d. quarantena cubana) le
navi dirette verso Cuba.
Alle proteste portate da Cuba in sede ONU, gli Stati Uniti risposero che l’OSA aveva adottato
solo una raccomandazione, non una risoluzione, giustificando così il fatto che non fosse
stato interpellato il Consiglio di sicurezza dell’ONU. Come abbiamo visto, però, lo strumento
della raccomandazione, secondo l’art. 20 del Trattato di Rio, è l’unico che può essere usato
in caso di misure implicanti l’uso della forza.
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6. CONCLUSIONI
Il rapporto tra le Nazioni Unite e l'Organizzazione degli Stati Americani si configura come un coordinamento
tra due soggetti indipendenti e paritari.
Mantenimento della pace e della sicurezza internazionale,
Prevalenza del Consiglio di sicurezza sull'O.S.A.
trova fondamento nella volontà degli stessi Stati americani
avviando la cooperazione istituzionalizzata ai due livelli (regionale e universale) si sono
preoccupati di regolare, i rapporti tra le due organizzazioni
per evitare l'insorgere di conflitti di competenze.
Obblighi erga omnes di diritto internazionale generale
non dà luogo a un ampliamento di poteri del Consiglio per le misure coercitive
Soluzione delle controversie
tendenziale preferenza per le procedure regionali, progressivamente abbandonata a favore del
riconoscimento di una maggior discrezionalità agli Stati nella scelta della procedura e
dell’organizzazione alla quale sottoporre l'esame della controversia.
Si sono istaurati rapporti di cooperazione tra le due organizzazioni anche in altri ambiti di attività:
o lo sviluppo economico, sociale e culturale
o la lotta alla droga
o la tutela dei diritti dell'uomo
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Le competenze e il ruolo della Lega degli Stati Arabi nella gestione delle crisi della regione anche alla luce della cooperazione con le Nazioni Unite
1. INTRODUZIONE
I Paesi arabi ricoprono un ruolo non trascurabile nel quadro disomogeneo degli assetti geopolitici ed
economici di quella vasta area che estendendosi dall' Atlantico al Golfo Persico, attraverso il Mediterraneo e
il Mar Rosso, si riaffaccia sulle sponde orientali dello stesso Mediterraneo. Dal Mashrek al Maghreb, dal
Golfo all' Oceano.
22 Marzo 1945 Creazione LEGA DEGLI STATI ARABI
Trattato firmato al Cairo su iniziativa egiziana (integrato dall'atto del 12 aprile 1959)
i loro singoli interessi politico-diplomatici sembrano fondersi unitariamente in
questo foro regionale della Lega degli Stati Arabi, costituitasi su iniziativa egiziana.
Art. 2 della Carta della Lega Araba La Lega Araba è l'organizzazione inter-governativa di profilo
regionale che tende all'unità del mondo arabo e mira a promuovere
la mutua assistenza tra gli Stati arabi, pur sempre considerati nella
loro sovranità e indipendenza
L'Organizzazione annovera 21 Stati membri (Nel sito della Lega si menziona,fra i membri della Lega,
anche lo Stato della Palestina che, come è noto, non ha lo status di ente indipendente sul piano
internazionale).
ha sede permanente al Cairo.
2. ORIGINI STORICHE DELLA LEGA DEGLI STATI ARABI
Le ragioni politiche che hanno dato origine alla Lega degli Stati Arabi sono controverse:
Fine del secondo conflitto mondiale gli Stati Arabi pensarono che fosse loro interesse
uniformare le proprie scelte politiche ed economiche
al fine di predisporre le basi dell'unità
secondo altri, invece, fu la Gran Bretagna a promuovere originariamente l'idea della costituzione di
una Lega degli Stati Arabi
impedire l'unità del mondo arabo attraverso la consacrazione delle sovranità degli Stati
membri e dei loro confini ufficiali
incoraggiando la nascita di un'unione debole e divisa
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In ogni caso, la Lega Araba è:
la più antica organizzazione regionale esistente al mondo dal secondo dopoguerra;
unica organizzazione internazionale che comprenda popolazioni che si considerano appartenenti a
un’unica “comunità” e che utilizzano una lingua comune.
La Lega Araba come organizzazione regionale "nazionale", ma non sovranazionale?
La Carta istituita ribadisce la sovranità nazionale senza aver assunto il voto a maggioranza, se non
per le risoluzioni organizzative.
Ancor prima che la seconda guerra mondiale avesse termine, gli Stati Arabi indipendenti (Egitto, Libano,
Yemen, Giordania, Iraq, Arabia Saudita e Siria) avviarono tra loro le prime consultazioni al fine di costituire
una unione
in particolare l'Egitto, a seguito di questi contatti preliminari, sollecitò la costituzione di una
commissione preparatoria di una conferenza generale araba.
20 Settembre – 7 Ottobre 1944 Conferenza di Alessandria
7 Ottobre 1944 Protocollo di Alessandria
- contiene i principi generali e gli obiettivi su cui si basa la Lega.
- Si concordò di formare una commissione speciale
compito di elaborare il progetto della Carta della Lega degli
Stati Arabi.
22 marzo 1945 Conferenza Generale Araba [Il Cairo]
( Egitto, Siria, Libano, Iraq, Giordania e Arabia Saudita)
approvò e aprì alla firma la Carta della Lega degli Stati Arabi";
10 Maggio 1945 a seguito del deposito degli strumenti di ratifica presso il Segretariato Generale
della Lega, la Carta entrò in vigore.
3. FINALITÀ DELLA LEGA
La Carta della Lega degli Stati Arabi si compone di:
- un preambolo
- 20 articoli obiettivo complessivo
- 3 appendici
creazione di un' organizzazione internazionale fondata su:
o cooperazione volontaria,
o rispetto della sovranità degli Stati membri e la loro uguaglianza.
Preambolo della Carta
«i re e i Capi di Stato per rafforzare le strette relazioni e i diversi rapporti che legano gli Stati Arabi (sulla
base del rispetto, dell' indipendenza e sovranità) e di orientare i loro sforzi verso il bene comune di tutti i
Paesi arabi, di migliorare le loro condizioni, di garantire il loro avvenire, (...) hanno deciso di redigere una
Carta volta al raggiungimento di questi scopi»
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Fini della Lega Araba:
a) Consolidamento dei legami tra gli Stati arabi nelle questioni politiche, economiche, sociali e
culturali
b) Protezione dell'indipendenza degli Stati membri
c) Soluzione delle controversie con mezzi pacifici
d) Instaurazione di relazioni di collaborazione con Stati ed Organizzazioni Internazionali.
I principi ispiratori:
a) Sovranità ed indipendenza degli Stati membri (preambolo; Art.2);
b) Soluzione pacifica delle controversie(Art. 5);
c) Divieto di ingerenza negli affari interni degli Stati membri (Art. 8);
d) Difesa comune degli Stati membri
4. GLI ORGANI DELLA LEGA
Gli organi della Lega Araba sono:
1. il Consiglio della Lega Araba;
2. le Commissioni Tecniche Permanenti;
3. il Segretariato Generale.
1) Consiglio della Lega Araba
organo principale dell' organizzazione.
Composizione
Esso si compone degli Stati membri della Lega, ognuno del quali dispone di un voto.
Compiti
Il Consiglio ha il compito di:
Perseguire gli obiettivi della Lega
Vigilare sul rispetto e l'esecuzione degli accordi conclusi dagli Stati membri
Sostenere la cooperazione tra gli Stati arabi e le organizzazioni internazionali interessate al
mantenimento della pace e della sicurezza internazionale
Regolare le relazioni economiche e sociali tra gli Stati membri (art. 3 della Carta).
Inoltre lo stesso Consiglio:
Risolve, attraverso la mediazione e' l'arbitrato, le controversie che possano insorgere tra gli
Stati membri (art. 5)
Nomina il Segretario generale della Lega (art. 12)
Approva il bilancio dell'Organizzazione e determina la quota degli Stati membri (art. 13)
Elabora il regolamento interno della Lega, degli organismi permanenti e del Segretariato
Generale (art. 16).
Adotta i provvedimenti necessari a contrastare un’ aggressione compiuta contro uno dei
membri
Si occupa del mantenimento della pace e della sicurezza attraverso le vane forme di
cooperazione tra gli Stati membri (art. 6).
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Funzionamento
Per ciò che riguarda la votazione in seno al Consiglio, il criterio generale è quello dell'unanimità.
Art. 7 «le decisioni del Consiglio adottate all'unanimità impegnano tutti gli Stati membri della
Lega, quelle adottate a maggioranza impegnano soltanto gli Stati che le accettano»
Tuttavia, l'unanimità è richiesta soltanto al fine di adottare:
- sia le misure necessarie a contrastare l’ aggressione contro uno degli Stati membri (art. 6)
- sia l'espulsione di uno dei membri dall'Organizzazione.
E’ prevista:
la maggioranza dei due terzi
- per la nomina del Segretario generale
- per le proposte di modifica della Carta
la maggioranza semplice
- per l'approvazione del bilancio
- l' adozione dei regolamenti interni del Consiglio e delle Commissioni,
- per le risoluzioni relative alla mediazione e all' arbitrato e quelle riguardanti i
funzionari.
La maggioranza qui intesa è quella degli Stati membri presenti e votanti (art. 6 dello Statuto del
Consiglio).
2) Le Commissioni Tecniche Permanenti
Organi sussidiari del Consiglio della Lega deputate ad elaborare studi tecnici specifici su questioni
sottoposte all'esame del Consiglio stesso (art. 4 della Carta).
Esse sono: la Commissione Politica, la Commissione Culturale, la Commissione per le
Comunicazioni, la Commissione Sociale, la Commissione Legislativa, la Commissione di Esperti del
Petrolio Arabo, la Commissione Militare, la Commissione dell' Informazione Araba, la Commissione
della Sanità, la Commissione per i Diritti dell'Uomo, la Commissione per gli Affari Amministrativi e
Finanziari e la Commissione per il Controllo Aereo.
Le Commissioni Tecniche hanno contribuito a realizzare la cooperazione araba nei vari settori
attraverso conferenze ad hoc e progetti di convenzioni approvati dal Consiglio della Lega.
3) Segretariato Generale della Lega
Il Segretariato è l'organo amministrativo della Lega degli Stati Arabi ed esso comprende:
- il Segretario generale,
- i segretari aggiunti
- altri funzionari e consiglieri (art. 12 della Carta).
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Composizione
Il Segretario generale viene eletto dal Consiglio della Lega a maggioranza dei due terzi dei membri
(art. 12) e per un periodo di cinque anni rinnovabili (art. 2 del Regolamento interno del Segretariato
generale).
Funzioni
Svolge funzioni di carattere amministrativo e politico, benché la Carta della Lega non gli attribuisca
espressamente competenze specifiche.
E’ obbligato a non ricevere direttive da nessuno Stato, compreso quello di appartenenza.
Egli ha il compito di nominare i funzionari, promuoverli, dimetterli e vigilare sul loro
operato ed è dunque il più alto funzionario amministrativo dell' Organizzazione.
Inoltre, il Segretario generale:
o elabora i rapporti sull'attività della Lega e sulle procedure adottate per mettere in
atto le risoluzioni e le raccomandazioni del Consiglio e delle Commissioni;
o prepara l'ordine del giorno del Consiglio e delle Commissioni e il testo del bilancio
della Lega;
o invita il Consiglio della Lega e il Consiglio Economico a riunirsi e a coordinare i lavori
dell' organizzazione; sovrintende all'informazione araba;
o crea organi e uffici d'informazione della Lega ed è infine responsabile di fronte al
Consiglio di tutte le attività degli organi, delle amministrazioni e delle commissioni
legate alla Lega o che operano sotto la sua egida.
o rappresenta l'Organizzazione verso l'esterno.
Egli ha il compito di presenziare alle riunioni del Consiglio e di partecipare alle
relative discussioni; richiama altresì l'attenzione dello stesso Consiglio o degli Stati
membri su questioni che possano mettere in pericolo le relazioni fra gli Stati
membri o tra questi e gli altri Stati (art. 20 del Reg. interno del Consiglio della Lega).
o Il Segretario generale svolge infine un variegato ruolo diplomatico per la soluzione
pacifica delle controversie che insorgano tra gli Stati Arabi (vedi infra).
5. IL MANTENIMENTO DELLA PACE E DELLA SICUREZZA COLLETTIVA NEL QUADRO E AD OPERA
DELLA LEGA
principi corrispondenti a norme di diritto internazionale generale
(quindi universalmente vincolanti)
La Lega Araba si fonda su
un sistema che (nel caso in cui sorga una crisi a impatto regionale)
garantisce la soluzione attraverso meccanismi di soluzione pacifica
delle controversie ovvero la difesa comune degli Stati membri.
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a) La soluzione pacifica delle controversie locali
Art. 5 Carta dell'Organizzazione araba
- Sancisce il divieto dell'uso della forza come mezzo di risoluzione delle controversie regionali
- stabilisce che, nel caso in cui sorgano controversie che non riguardino
o l'indipendenza,
o la sovranità degli Stati
o l'integrità territoriale
le parti ricorrano al Consiglio della Lega per una soluzione pacifica
la decisione presa dal Consiglio sarà esecutiva e vincolante.
Consiglio
Opera come mediatore nelle controversie che potrebbero condurre a un conflitto tra due Stati membri
della Lega o tra uno Stato membro e un terzo, in vista della loro riconciliazione.
Le decisioni riguardanti l'arbitrato e la mediazione sono adottate alla maggioranza dei voti.
Svolgere un ruolo decisionale di fondamentale importanza.
Nell’ esercizio delle sue funzioni diplomatiche e arbitrali, il Consiglio della Lega può riunirsi a livello
di Comitato Politico, di Rappresentanti Permanenti, di Ministri degli Affari Esteri ovvero di Capi di
Stato e di Governo.
Nonostante l'art. 5 della Carta menzioni soltanto la mediazione quale procedimento diplomatico
di soluzione pacifica delle controversie, il Consiglio in realtà è ricorso anche ad altri mezzi, sia
alternativamente che cumulativamente.
Dall'analisi della prassi, si desume che il Consiglio della Lega ha in effetti svolto la sua funzione
di soluzione pacifica delle controversie attraverso la promozione di negoziati fra le parti in lite;
esso, inoltre, ha agito in qualità di organo permanente di conciliazione, mediazione e buoni
uffici o ha istituito organi sussidiari a ciò deputati ovvero si è avvalso delle funzioni del
Segretario generale della stessa Lega Araba.
Tra i procedimenti di soluzione pacifica delle controversie indicati nella Carta della Lega non viene
menzionata l'inchiesta.
Tuttavia, per sopperire a tale carenza, sembra che il Consiglio abbia assunto un potere implicito
istituendo specifiche commissioni d’inchiesta.
Infatti, molte delle missioni condotte da organi sussidiari istituiti dal Consiglio sono state
caratterizzate dalla duplice funzione mista d'inchiesta e di conciliazione
Art. 5 della Carta della Lega Araba
Prevede che il Consiglio svolga funzioni di arbitro
La competenza arbitrale del Consiglio subisce talune limitazioni di carattere sia sostanziale che
formale:
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o Vengono escluse dall'arbitrato tutte quelle controversie che siano connesse
all'indipendenza, alla sovranità e all'integrità territoriale degli Stati membri
o l'arbitrato non può essere espletato se non col consenso ad hoc delle parti coinvolte nella
controversia.
È proprio a causa di queste limitazioni che soltanto in un caso, nella storia della Lega, gli
Stati membri hanno fatto ricorso all' arbitrato
Maggio 1949 controversia sorta fra Libano e Siria
Segretario generale
nella soluzione pacifica delle controversie, può individuarsi un suo ruolo disciplinato talvolta da specifiche
disposizioni, talaltra attribuito sulla base di un mandato ad hoc ovvero svolto a seguito di iniziative da lui
assunte a livello personale.
1. Sotto il primo profilo, il potere principale del Segretario generale è previsto all'art. 20 (emendato)
del regolamento interno del Consiglio
egli può richiamare l'attenzione del Consiglio o degli Stati membri su ogni questione suscettibile di
compromettere i rapporti fra gli stessi Stati membri o fra questi ultimi e Stati terzi (per es. nella crisi
Marocco - Algeria del 1963); in questo caso, il Segretario generale può svolgere inchieste di sua
iniziativa e informare il Consiglio dei risultati.
2. Inoltre, a norma dell' art. 13 dello stesso regolamento egli è autorizzato a prendere parte alle
sedute del Consiglio e a sottoporgli dichiarazioni e rapporti su ogni questione che sia al suo esame
(art. 20). Per ciò che invece concerne il ruolo del Segretario generale conferito sulla base di uno
specifico mandato, l'emendato art. 1 del regolamento interno del Segretariato Generale prevede
che il Segretario generale dia esecuzione alle risoluzioni del Consiglio e svolga altresì altre funzioni
che a questo fine gli vengano attribuite da altri organi della Lega. Infatti, il Consiglio ha fatto
frequentemente ricorso al Segretario per l'esecuzione di misure adottate in occasione di alcune
controversie regionali".
Infine, il Segretario generale della Lega Araba, nell'ambito delle sue funzioni volte alla soluzione
pacifica delle controversie regionali, ha agito di sua iniziativa anche senza ricevere uno specifico
mandato, svolgendo funzioni d'inchiesta, di conciliazione e di buoni uffici
Nella storia della Lega Araba, pertanto le funzioni diplomatiche del Segretario generale
deputate alla soluzione pacifica delle controversie regionali hanno avuto di fatto un rilievo
preminente.
Assenza di norme statutarie che predisponessero un sistema operativo ed efficace di soluzione
pacifica delle controversie, dalle limitazioni imposte al Consiglio dall'art. 5 della Carta della Lega
(vedi sopra) nonché dalla istituzionale imparzialità che caratterizza la figura del Segretario
generale".
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b) Il Sistema di sicurezza collettiva
Difesa comune degli Stati membri
il sistema di sicurezza collettiva della Lega Araba è anzitutto previsto dal suo atto istitutivo (art. 6) ed è
stato successivamente perfezionato attraverso il Patto di Difesa Congiunta del 1950.
Art. 6
non viene data alcuna definizione del termine di aggressione
si lascia alla Lega il compito di stabilire in quali casi il comportamento di uno Stato possa
configurarsi come atto di aggressione.
Per l’adozione delle misure necessarie, l'unanimità degli Stati membri;
Non si specifica:
o in cosa possano consistere le misure necessarie di competenza del Consiglio
o né le sanzioni che possano essere eventualmente decise contro gli Stati aggressori.
Si desume che gli Stati Arabi non possono intervenire a sostegno dello Stato aggredito senza il suo
consenso.
Anche nella Carta della Lega Araba si segue la regola del nemo iudex in re sua
nel caso in cui si ritenga che l'aggressione provenga non da uno
Stato terzo, ma da uno membro, questo non partecipa al voto.
La Lega Araba avrebbe dovuto attivare questo sistema relativamente fragile nella prima riunione
del Consiglio (4 giugno 1945)
crisi tra FRANCIA vs SIRIA/LIBANO
Ma nonostante la Lega 'avesse adottato rispettivamente il 5 e il6 giugno le risoluzioni 111 e 2/1 con
le quali decideva di soccorrere i Paesi Arabi coinvolti in quella crisi in virtù delle disposizioni
contenute nell'art. 6 della sua Carta, essa non riuscì a organizzare una forza militare e quindi non
riuscì a intervenire. Questa prima esperienza doveva dimostrare che, senza forze armate integrate
e uno Stato Maggiore inter-arabo deputato al coordinamento di una strategia comune, la difesa
collettiva dei paesi arabi non si sarebbe mai concretamente realizzata. All'indomani, poi, della
disfatta militare della prima guerra arabo - israeliana del 1948 e dell'ingresso d'Israele alle Nazioni
Unite l'anno successivo, la Lega realizzò che la sicurezza collettiva araba avrebbe dovuto basarsi su
una struttura diplomatico-militare credibile ed efficace.
13 aprile 1950 Patto di Difesa Comune e di Cooperazione Economica
Approvato dagli Stati membri della Lega Araba
14 Aprile 1950 Annesso militare
entrati entrambi in vigore nel 1952.
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Patto di Difesa Congiunta
per certi profili riproduce le disposizioni contenute nel Patto Atlantico.
Stabilisce un meccanismo automatico di sicurezza collettiva:
artt. 3 e 4 prevedono che gli Stati membri hanno il dovere di soccorrere gli Stati o lo Stato
aggredito, operando secondo il principio della sicurezza collettiva;
in caso di aggressione gli Stati membri sono chiamati ad adottare, individualmente
o collettivamente, tutte le misure e i mezzi necessari - tra cui l'uso della forza
armata - per rispondere all' aggressione e ristabilire la sicurezza e la pace nella
regione (art. 51 della Carta delle Nazioni Unite; art. 2 del Patto di Difesa Comune).
È il Consiglio di Difesa Comune, assistito dal Comitato militare Permanente e dall'Ente Militare Consultivo,
che decide, a maggioranza dei due terzi dei voti, tali misure, peraltro vincolanti per tutti gli Stati membri.
Infine, ogni Stato membro ha l'obbligo di non concludere alcun accordo internazionale incompatibile con il
Patto stesso. Pertanto, nel settore della sicurezza la Lega ha operato su due piani: da un lato, il suo sistema
di sicurezza regionale è stato attivato in relazione a crisi o conflitti sorti esclusivamente nell'area araba,
dall'altro, il suo sistema di autodifesa collettiva è stato messo in funzione al fine di garantire una sicurezza
comune araba contro minacce esterne. In altri termini, il primo profilo riguarda il ruolo dell' Organizzazione
per le controversie che insorgano fra i Paesi arabi, il secondo si riferisce alle funzioni della Lega per
controversie che coinvolgano suoi Stati membri con Stati terzi. Per ciò che riguarda le controversie fra Stati
Arabi, il ricorso all' art. 6 della Carta della Lega è stato invocato, come si è visto, da uno Stato per richiedere
l'assistenza della Lega al fine di contrastare un' aggressione in atto o una minaccia d'aggressione. In realtà,
in molti di questi casi si è trattato di un'aggressione.
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LA COOPERAZIONE FRA OSCE E NAZIONI UNITE
1. INTRODUZIONE
Fino al 1990 la CSCE era universalmente considerata una conferenza intergovernativa che costituiva per
gli Stati partecipanti, anche nei momenti di più acuta tensione, un foro di discussione
sulle questioni concernenti
sicurezza militare
tutela dei diritti dell'uomo
tematiche economiche ed ambientali.
Questo era uno dei principali obiettivi che emerge dall' Atto Finale di Helsinki del 1975
Clausola di chiusura del Decalogo di Helsinki: nessuno dei dieci principi prevaleva
sugli altri
I primi quindici anni di esistenza della CSCE furono dunque dedicati a favorire un dibattito su
argomenti cruciali per gli Stati partecipanti
ma
ciò avveniva in assenza di un apparato istituzionale:
- Conferenze intergovernative itineranti
- Risentiva direttamente del mutevole clima politico nel quale le relazioni internazionali si
sviluppavano
Anni Ottanta/Novanta profondo mutamento del clima politico
spinse gli Stati partecipanti a riconsiderare il ruolo della CSCE nello scenario
europeo.
Si affermarono le idee:
il principio della non ingerenza negli affari interni non poteva essere utilizzato
per sottrarsi all'osservanza dei principi concernenti la tutela dei diritti umani
Soltanto attraverso un processo d'istituzionalizzazione si sarebbe dotata la CSCE
di strutture idonee a favorire una sua maggiore incisività sulla scena
internazionale.
Novembre 1990 Carta di Parigi
iniziò il processo d'istituzionalizzazione che portò a modificare fisionomia e funzioni
della OSCE.
1992 Vertice di Helsinki
o Si provvide a dotare la CSCE di istituzioni e strutture
o Riconoscimento del fatto che la CSCE costituisce un accordo regionale ai sensi del Capitolo
VIII della Carta dell'ONU
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1994 Vertice di Budapest
Mutamento di denominazione
CSCE Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE)
Collaborazione stretta e permanente con l'ONU e con le organizzazioni regionali operanti in
Europa (Consiglio d'Europa, Comunità europea e NATO)
- Diplomazia preventiva
- Gestione dei conflitti
- Mantenimento della pace
- Ricostruzione post-conflittuale.
Sempre più intenso collegamento con le Nazioni Unite
la CSCE (e poi l'OSCE) è stata particolarmente attiva
o Prevenzione e soluzione dei conflitti interstatali
o Crisi sviluppatesi all'interno dei singoli Stati partecipanti.
o Cessati i conflitti armati o successivamente all'esplodere di forti tensioni in area OSCE,
ha spesso al ristabilimento delle condizioni minime:
- Ricostruzione del tessuto democratico
- Tutela dei diritti dell'uomo.
L'OSCE ha gradualmente ampliato il proprio raggio d'intervento
Attività direttamente o indirettamente connesse al mantenimento della pace internazionale
nella sua area geografica
Ha sempre più raramente fatto ricorso ai “meccanismi” finalizzati ad interventi di carattere
straordinario.
- Collaborazione con altre organizzazioni internazionali
- Creazione di missioni OSCE competenti in materia di diritti umani
- Monitoraggio di diverse competizioni elettorali
- Attività di controllo del rispetto degli impegni OSCE in Stati partecipanti o con
partecipazione all'OSCE sospesa (Repubblica Federativa di Iugoslavia)
Recenti e ben conosciuti eventi in quei territori (Accordi di Dayton/Parigi, Crisi albanese del
1997, gravissima situazione in Kosovo e l'intervento armato della NATO) hanno ampliato
enormemente tanto i rapporti con le altre organizzazioni internazionali ed i compiti di
mantenimento della pace.
2. Il mantenimento della pace secondo i Documenti CSCE/OSCE
Anni Ottanta/ Novanta
Crollo di regimi politici autoritari
Smembramento di alcuni importanti Stati federali
Esplosione di tensioni che avevano alle loro radici il nazionalismo aggressivo, le questioni etniche,
l’intolleranza
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Disponibilità da parte degli Stati partecipanti a riconsiderare Il ruolo dell'OSCE nei loro reciproci
rapporti
Riaffermazione del Decalogo di Helsinki
Confronto sull' attribuzione alla OSCE di funzioni che non rientravano in maniera diretta fra
le sue originarie competenze ma la cui previsione risultava essenziale proprio per
riaffermare i principi di Helsinki e dare ad essi attuazione.
Gli Stati partecipanti indicarono le linee di comportamento:
Quanto dotare l'OSCE di strumenti idonei per un ruolo attivo:
- nel preallarme
- nella prevenzione del conflitti
- nella gestione delle crisi
- nella soluzione delle controversie internazionali.
1992 Vertice dei Capi di Stato e di governo di Helsinki
Gli Stati partecipanti riservano al mantenimento della pace un ruolo per così dire “strumentale”
rispetto alla gestione delle crisi e ne sottolineano la specificità in seno all'OSCE.
1. Finalità del mantenimento della pace secondo l'OSCE
«un elemento della capacità globale dell'OSCE per la prevenzione dei conflitti e per
la gestione delle crisi finalizzato ad integrare il processo politico della soluzione dei
conflitti» (par. 17).
2. Si stabilisce che le attività OSCE per il mantenimento della pace potranno essere intraprese
nell'ambito di conflitti internazionali
in caso di conflitti all'interno di uno Stato partecipante
3. Modalità delle operazioni di mantenimento della pace OSCE
Possono coinvolgere personale civile e militare e che possano avere diverse dimensioni.
Specificazione dei vari tipi di attività di mantenimento della pace che possono
essere intraprese dall'OSCE:
o missioni di osservazione e di monitoraggio
o dislocamento di forze sul terreno
o supervisione e mantenimento del cessate il fuoco
o controllo del ritiro delle truppe
o sostegno al mantenimento dell' ordine pubblico, alla fornitura di aiuti
umanitari e sanitari e all'assistenza ai rifugiati (par. 18).
La varietà delle forme che può assumere l'attività di mantenimento della pace OSCE
conferma la rilevanza che rivestono le violazioni dei diritti dell'uomo e dei principi
della democrazia in relazione al mantenimento della pace e della sicurezza
internazionale.
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4. Aspetti istituzionali
L'avvio di un' operazione di mantenimento della pace OSCE dipende dal Comitato degli Alti
Funzionari (CAF, oggi Consiglio Superiore)
una delle istituzioni nelle quali gli Stati partecipanti sono tutti nella stessa misura
rappresentati.
Avvio di un' operazione di mantenimento della pace OSCE
potrà essere richiesto da uno o più Stati al Consiglio Superiore tramite il Presidente
in esercizio.
Adottata per consensus da:
Consiglio Ministeriale
(composto dai Ministri degli Esteri di tutti gli Stati partecipanti)
Consiglio Superiore
«Le operazioni di mantenimento della pace saranno condotte sotto il controllo politico e
secondo le direttive generali del Consiglio Superiore» (paragrafi 26-29).
Per un’ operazione di mantenimento della pace OSCE sarà in particolare necessario:
o che sia stato instaurato un effettivo e durevole cessate il fuoco o che ci sia un accordo sui necessari memoranda d'intesa con le parti interessate o che sia garantita la sicurezza in ogni circostanza del personale coinvolto nella
operazione di mantenimento della pace (par. 30). Consiglio Superiore
adotta, caso per caso, un mandato "chiaro e preciso"
definire le modalità pratiche e i requisiti del personale nonché le implicazioni finanziarie.
Tutti gli Stati partecipanti
potranno contribuire alle operazioni, previe consultazioni del Presidente in esercizio.
E’ escluso che le operazioni di mantenimento della pace OSCE comportino azioni coercitive mentre
E’ indispensabile che ci sia il consenso delle parti (non degli Stati) direttamente interessate. È inoltre previsto che le operazioni siano condotte con imparzialità e che siano limitate nel tempo
(paragrafi 22-25).
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Presidente A lui è affidata la direzione delle operazioni assistito da Gruppo ad hoc presso il Centro per la Prevenzione dei Conflitti (CPC). Compiti di sostegno e di controllo informerà gli Stati partecipanti dell'andamento
dell’operazione Il Presidente in esercizio nomina il Capo missione che "deterrà il comando operativo nell'area della
missione".
I rapporti con il Consiglio di sicurezza dell'ONU sono tenuti dal Presidente in esercizio il quale ha l'obbligo:
d'informare esaurientemente Consiglio di sicurezza in merito alle attività di mantenimento della pace intraprese dall'Organizzazione
conformemente a quanto previsto dall'art. 54 della Carta dell'ONU.
Stati rientrano in gioco Consiglio Ministeriale dell'OSCE
o Consiglio Superiore concludono che la questione deve essere sottoposta da parte degli Stati partecipanti al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (Decisioni di Helsinki 1992, Capitolo III, paragrafi 19-21).
Le Decisioni di Helsinki siano estremamente dettagliate La definizione di una regolamentazione dettagliata degli aspetti più rilevanti del mantenimento della pace OSCE avrebbe dovuto
o consacrare il ruolo della OSCE come accordo regionale o Imbrigliare le operazioni di mantenimento della pace OSCE all'interno della prassi delle Nazioni
Unite Nessuna decisione dell'OSCE mediante la quale sia stata avviata un'operazione di mantenimento della pace OSCE secondo quanto previsto dalle Decisioni di Helsinki. Ma
Anni novanta molteplici attività che potrebbero essere qualificate come attività di mantenimento della pace
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cooperazione e il coordinamento con le organizzazioni internazionali, e in particolare con le Nazioni Unite13
19 Novembre 1999 Carta per la sicurezza europea [adottata ad Istanbul]
Riafferma il ruolo fondamentale dell’OSCE nel mantenimento della pace internazionale
Traccia anche un bilancio delle attività svolte in tale ambito dall'Organizzazione.
Settori nei quali siffatte attività sono state intraprese:
- operazioni sul terreno - ricostruzione post-conflittuale - democratizzazione e monitoraggio dei diritti umani e delle elezioni.
Nella stessa circostanza gli Stati partecipanti si dicono pronti a valutare ulteriori opzioni per accrescere il ruolo dell’ OSCE nel peace-keeping
- L’ OSCE potrebbe in primo luogo svolgere un ruolo guida. - L’ OSCE potrebbe altresì cercare l'appoggio degli Stati partecipanti nonché di altre
organizzazioni per fornire risorse e competenze. - Un'ulteriore opzione, dalla prassi degli ultimi anni, sarebbe quella di far sì che
l'OSCE funga da "quadro di coordinamento" per le operazioni di peace-keeping.
3. L RAPPORTI CON LE NAZIONI UNITE E CON LE ALTRE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI Le modifiche strutturali e la trasformazione della CSCE in organizzazione internazionale hanno comportato l'instaurazione e lo sviluppo di rapporti di tipo continuativo con diverse organizzazioni internazionali
Delicato rapporto con le Nazioni Unite Vengono in primo luogo salvaguardate le prerogative normative e funzionali delle Nazioni Unite.
Mantenimento della pace OSCE
- nel rispetto delle responsabilità ONU in materia - in conformità degli scopi e dei principi della Carta dell'ONU
Cooperazione con organizzazioni regionali e transatlantiche
L'OSCE viene "autorizzata" a beneficiare del contributo, nello svolgimento di operazioni di
mantenimento della pace, della Comunità europea, della NATO e dell'UEO.
13 Un'operazione CSCE per il mantenimento della pace, in conformità al suo mandato, coinvolgerà personale civile e/o militare, potrà effettuarsi su piccola o su vasta scala ed assumere forme molteplici, inclusi missioni di osservazione e controllo e più ampi dispiegamenti di forze. Le attività per il mantenimento della pace potrebbero essere impiegate, tra l’altro, per sovraintendere e per contribuire a mantenere i cessate il fuoco, per controllare Il muro delle truppe, per sostenere il mantenimento dell'ordine pubblico, per fornire aiuti umanitari e sanitari e per assistere i rifugiati
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Anche altri "meccanismi e istituzioni", quali la Comunità degli Stati Indipendenti, potrebbero
essere interpellati dall'OSCE al fine di sostenere le attività di mantenimento della pace.
Alcune condizioni da tenere presenti allorché fosse stato richiesto il sostegno delle suddette
organizzazioni.
1. Supporto delle organizzazioni internazionali debba formare oggetto di singole decisioni,
caso per caso, da parte dell'OSCE, dopo avere consultato gli Stati partecipanti
2. E’ previsto che gli Stati partecipanti tengano conto delle consultazioni poste in essere dal
Presidente in esercizio
3. I contributi delle organizzazioni internazionali alle attività di mantenimento della pace
dell'OSCE non influiscano su quanto previsto dalle Decisioni di Helsinki in materia
4. Tutti gli Stati partecipanti possono prendere parte alle operazioni di mantenimento della
pace OSCE.
5. Organizzazioni internazionali che coopereranno nelle operazioni di mantenimento della
pace assolvano a compiti concordati con l'OSCE.
Parte IV delle Decisioni di Helsinki (rapporti con le organizzazioni internazionali)
«Relazioni più chiare e contatti più stretti con le organizzazioni internazionali e in particolare con le Nazioni
Unite (…) un apporto più strutturato e sostanziale da parte di gruppi, persone, Stati e organizzazioni al di
fuori del processo CSCE»
La disposizione riguardante la natura dell'OSCE in rapporto al Capitolo VIII della Carta dell'ONU
costituisce una novità assoluta che porta con sé importanti conseguenze da un punto di vista
pratico:
o Art. 52 Carta
o Art. 53
o Art. 54
le Decisioni di Helsinki poco aggiungono alla materia del rapporto fra OSCE e organizzazioni
internazionali:
26 Maggio 1993 Accordo - quadro per la cooperazione e il coordinamento fra il Segretariato delle
Nazioni Unite e la Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione In Europa e
riconoscimento all’ OSCE dello status di osservatore all' Assemblea Generale delle
Nazioni Unite.
i rapporti con le Nazioni Unite ebbero un'importante accelerazione
Al fine di rafforzare la cooperazione e il coordinamento per il mantenimento della pace e della sicurezza e al
rispetto dei diritti umani nell'area CSCE stabilirono di:
a) porre in essere consultazioni fra il Segretario Generale dell'ONU e il Presidente in esercizio dell’
OSCE
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b) Stato che detiene la Presidenza in esercizio ha il compito di rappresentare l’ OSCE alle Nazioni Unite
e di fungere da punto di contatto all'ONU per le attività di comune interesse
c) Scambiare Informazioni
d) Intrattenere rapporti molto stretti per assicurare il coordinamento, l'eventuale sostegno reciproco
per evitare duplicazioni nella programmazione e nella realizzazione delle attività
Modalità e agli aspetti pratici della cooperazione ONU - OSCE.
o Consultazione riguardo alla preparazione e alla realizzazione di missioni
o Scambio d'informazioni fra i funzionari ONU e OSCE impegnati sul campo
o Preparazione dei rapporti delle missioni, nell'esaminare la possibilità di realizzare missioni
congiunte.
OPERAZIONI DI MANTENIMENTO DELLA PACE
o OSCE disposta a fare ricorso all'assistenza dell'ONU per la pianificazione e la realizzazione delle
attività di peace-keeping
o OSCE e l'ONU avrebbero sostenuto entrambe i costi delle attività poste in essere congiuntamente.
o Impegno a concludere accordi per ogni area di attività coordinata
1993 Documento del Consiglio di Roma
Incrementare e migliorare le consultazioni e il coordinamento delle attività con le altre
organizzazioni internazionali.
Viene introdotto il “third party peace-keeping”
Concetto caro alla Federazione Russa:
Possibilità di affidare ad organizzazioni internazionali o a Stati o gruppi di Stati l'incarico di
porre in essere attività di mantenimento della pace nell'area OSCE al di fuori di quanto
stabilito nelle Decisioni di Helsinki.
Condizioni al third party peace-keeping:
- rispetto della sovranità e dell'integrità territoriale degli Stati nei quali il third party
peace-keeping aveva luogo
- consenso delle parti in conflitto
- imparzialità
- carattere multinazionale delle forze impegnate
- mandato chiaro e preciso
- trasparenza delle attività
- collegamento integrale con un processo politico di soluzione del conflitto
- piano per il "ritiro ordinato" delle forze.
Le condizioni risultavano inaccettabili alla Federazione Russa
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il Comitato Alti Funzionari non adottò alcuna decisione sull' argomento, e rinviò tutto al
Vertice dei Capi di Stato e di governo di Budapest.
1994 Dichiarazione del Vertice di Budapest
In circostanze eccezionali, gli Stati partecipanti potranno congiuntamente decidere di deferire una
controversia al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite a nome dell'OSCE
Gli Stati partecipanti s'impegnano a:
- «Perseguire una cooperazione fra l'OSCE e le organizzazioni e istituzioni europee e le
altre organizzazioni e istituzioni regionali e transatlantiche»
- «Potenziare il ruolo e le capacità dell’OSCE per il preallarme, la prevenzione dei
conflitti, la gestione delle crisi, facendo ricorso alle operazioni di mantenimento
della pace e alle missioni OSCE»
Momento storico particolarmente difficile:
o Pochissimi anni dalla dissoluzione dell'Unione Sovietica
o Numerosi e gravi focolai di tensione sull'intero territorio ex-sovietico
o Ferma volontà di alcuni importanti Stati già legati a Mosca di aderire al più presto alla NATO
o Gravissimi conflitti all'interno degli Stati e fra gli Stati nati dalla dissoluzione della ex
Repubblica Federativa Socialista di Iugoslavia
urgenza di avviare un dibattito sulla sicurezza comune.
Complesso negoziato che avrebbe dovuto “rivitalizzare” l'OSCE
impotente rispetto alle frequenti e gravi crisi nei territori di alcuni
Stati e nei rapporti fra Stati.
Dicembre 1995 CONSIGLIO MINISTERIALE DI BUDAPEST
Sviluppare uno spazio di sicurezza comune basato sul concetto di sicurezza globale
e indivisibile.
All'interno di tale spazio gli Stati partecipanti e le organizzazioni avrebbero dovuto
contribuire alla costruzione di un'autentica partnership, nel rispetto:
- Volontà degli stessi Stati partecipanti
- Libertà di scegliere e di mutare gli accordi in materia di sicurezza, inclusi gli
accordi di alleanza.
Gli Stati partecipanti inoltre:
- Si impegnano a non rafforzare la propria sicurezza a spese degli altri Stati
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- Affermavano che all’ interno dell’ OSCE nessuno avrebbe avuto una
responsabilità "superiore" nel mantenimento della pace e della stabilità
nell' area OSCE.
Preoccupazioni della Federazione Russa
Vedeva con sospetto ma con rassegnazione il progressivo avvicinamento alla NATO degli Stati già
rientranti nella sfera d'influenza dell'Unione Sovietica
Preoccupazione degli ex Stati già sovietici
Che si ritenevano liberi di aderire in tempi rapidi ad alleanze militari diverse da quelle di Mosca.
Rapporti OSCE-ONU
OSCE come accordo regionale conformemente al Capitolo VIII della Carta ONU.
1996 Dichiarazione di Lisbona su un modello di sicurezza comune e globale per l'Europa del
ventunesimo secolo
Documento “di passaggio”
Punto sul dibattito sviluppatosi fra il 1995 e il 1996 all'interno dell’ OSCE sul modello di sicurezza.
Gli Stati partecipanti ribadiscono quanto deciso dal Consiglio Ministeriale di Budapest in materia di
trattati di alleanza.
Dicembre 1997 Consiglio Ministeriale di Copenaghen
Tentativo di varare un Documento-Carta sulla sicurezza europea
Direttive per raggiungere tale scopo
- Centralità degli impegni OSCE
- Ammissibilità di modifiche degli accordi in materia di sicurezza
- Esclusione all' interno dell' area OSCE di qualsiasi ruolo privilegiato per le singole
alleanze militari
- Riaffermazione del carattere di accordo regionale dell'OSCE (Capitolo VIII della Carta
ONU)
- Ruolo di organizzazione primaria nella soluzione pacifica delle controversie nella sua
regione
- Cooperazione di tipo paritario fra l'OSCE e le altre organizzazioni internazionali
Istituzioni che si rafforzano a vicenda" (mutually-reinforcing institutions)
Allegato alla Decisione di Copenaghen sulle direttive per un Documento-Carta OSCE
costituisce il vero embrione della Carta per la sicurezza europea
- Stati membri di altre organizzazioni internazionali aderiscano ai principi ed agli impegni
sanciti nei principali documenti OSCE
- Sottostanno ai principi di trasparenza e "predictability"
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- Appartenenza alle organizzazioni delle quali fanno parte sia basata sull' apertura e sulla
libera volontà
- Sostengano attivamente il concetto OSCE di sicurezza comune, globale e indivisibile
- Pronti a mettere a disposizione le risorse istituzionali delle organizzazioni delle quali essi
fanno parte a sostegno del lavoro dell'OSCE.
“Concetto comune” per lo sviluppo della cooperazione con le organizzazioni internazionali all'interno della
Piattaforma per la sicurezza cooperativa.
Novembre 1998 Consiglio Ministeriale di Oslo
Rinvia per la prosecuzione dei lavori al Comitato per il Modello di sicurezza.
19 Novembre 1999 Carta per la Sicurezza Europea e dell'allegata Piattaforma per la sicurezza
cooperativa
Con l’approvazione di questo ad Istanbul, il lungo negoziato OSCE sul modello di
sicurezza per il XXI secolo si conclude.
Scopo fondamentale della Carta è:
Assoluta necessità dello sviluppo della cooperazione tra organizzazioni
internazionali nel quadro delle rispettive competenze
Principi ai quali la cooperazione tra organizzazioni internazionali deve
ispirarsi.
o Accordo regionale ai sensi del Capitolo VIII della Carta dell'ONU e
per la soluzione pacifica delle controversie nell'ambito della sua
regione
o Consultazioni, processo decisionale e cooperazione nella regione di
sua competenza.
la Carta introduce il concetto di eguale diritto alla sicurezza
Particolarmente sostenuto dalla Federazione Russa.
Gli Stati partecipanti potranno:
o scegliere o modificare liberamente i propri accordi in materia di
sicurezza, inclusi i trattati di alleanza in funzione della loro
evoluzione
o Nessuno Stato, raggruppamento di Stati o organizzazione può
avere una maggiore responsabilità per il mantenimento della
pace e della stabilità nell' area OSCE
o Responsabilità primaria del Consiglio di sicurezza dell'ONU per
il mantenimento della pace e della sicurezza internazionali
Parte III della Carta, "La nostra risposta comune. Cooperazione con altre
organizzazioni internazionali: la Piattaforma per la sicurezza cooperativa"
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- richiama gli sviluppi registratisi nell'ultimo decennio nel campo della
cooperazione con le altre organizzazioni internazionali
- rinvia ai principi indicati nella Piattaforma come presupposti per la futura
cooperazione internazionale
Vengono elencati in primo luogo i dati normativi che devono governare la
vita delle suddette organizzazioni: Carta dell'ONU e principi ed impegni
dell'OSCE (Atto Finale di Helsinki, Carta di Parigi, Documento di Helsinki
1992, Documento di Budapest 1994, Codice di condotta dell'OSCE,
Dichiarazione di Lisbona su un modello di sicurezza globale e comune per
l'Europa del ventunesimo secolo).
4. LE ATTIVITÀ DELL’OSCE NEL MANTENIMENTO DELLA PACE E DELLA SICUREZZA
INTERNAZIONALI POSTE IN ESSERE IN COOPERAZIONE CON LE NAZIONI UNITE
Le disposizioni delle Decisioni di Helsinki sul mantenimento della pace OSCE sono rimaste a tutt' oggi lettera
morta.
MA
Non ha impedito all'Organizzazione di porre in essere attività volte al mantenimento della pace e
della sicurezza internazionali
Tutte le risorse istituzionali dell'Organizzazione, svolgono ruoli significativi nella gestione delle crisi
e nel mantenimento della pace internazionale.
Operazioni sul campo
Fin dal 1992
Si sono articolate in vario modo (missioni, missioni di lunga durata, uffici OSCE, gruppi di consulenza
e controllo, uffici di collegamento, gruppi di assistenza, centri OSCE)
Oggi l’ OSCE svolge operazioni sul campo in:
Albania, Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Bosnia-Erzegovina, Croazia, Estonia, Federazione Russa
(Cecenia), Georgia, Kazakistan, Kirgizistan, Lettonia, Macedonia, Moldavia, Repubblica Federativa
Iugoslava (Kosovo), Tagikistan, Turkmenistan, Ucraina e Uzbekistan.
Si è accresciuto il livello di cooperazione nel mantenimento della pace internazionale fra l’ OSCE e le
altre organizzazioni internazionali e in particolare l'ONU.
5. L'INTERVENTO IN GEORGIA
a) La presenza dell'OSCE
Missione OSCE fu originariamente creata per fronteggiare una difficile situazione nella quale gruppi
secessionisti si contrapponevano nelle regioni dell' Abkhazia e dell'Ossezia meridionale al governo di Tbilisi.
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1992 Missione con il compito di promuovere i negoziati fra le parti in conflitto al fine di raggiungere una
soluzione pacifica.
Si concentrò sull’Ossezia meridionale
le Nazioni Unite soltanto nel 1993 istituirono una missione competente soprattutto a trattare il
conflitto in Abkhazia
1994 Ampliato il mandato della missione OSCE.
Oltre a promuovere i negoziati fra le parti, essa avrebbe dovuto:
- Incoraggiare il rispetto dei diritti umani e assistere nella creazione di istituzioni
democratiche nell'intero Paese
- controllare e promuovere il rispetto dei principi riguardanti la libertà di stampa
- facilitare la cooperazione tra le parti interessate e monitorare, con il loro consenso, le forze
di mantenimento della pace congiunte
create secondo l'Accordo di Sochi del 24 giugno 1992
A questo punto, alla missione OSCE sono affidati compiti di tre tipi:
1. Peace-making
cioè i buoni uffici e la mediazione
2. Peace-keeping
“indiretto”e cioè la vigilanza sul peace-keeping "altrui"
3. Peace-building
cioè la stabilizzazione della situazione politica attraverso la protezione dei diritti dell'uomo
e il rafforzamento delle strutture democratiche.
La missione avrebbe inoltre dovuto:
o Coordinare le sue attività con l'Alto Commissario sulle Minoranze Nazionali e con l'ODIHR,
o Cooperare con il Consiglio d'Europa
o Mantenersi in contatto con le altre organizzazioni internazionali attive in Georgia nel campo
dei diritti umani.
Dicembre 1999 Ulteriore ampliamento del mandato OSCE in Georgia
controllo del confine fra la Georgia e la Cecenia, poco più di ottanta chilometri nella
parte nord orientale del Paese.
Osservatori dell'OSCE (disarmati) devono limitarsi a "osservare e riferire circa i movimenti,
sia con mezzi di trasporto che a piedi, attraverso il confine tra la Georgia e la Repubblica
Cecena della Federazione Russa
Aprile 2000 Rafforzamento della consistenza della missione
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Visto l'imminente arrivo della primavera, e quindi la riapertura di numerosi valichi sul
confine
Dicembre 2001 Missione estesa al monitoraggio della frontiera tra la Georgia e la Federazione Russa, nella
zona dell’Inguscezia.
La missione può contare oggi fino ad un massimo di settantasei persone.
L'OSCE ha anche svolto funzioni di monitoraggio delle elezioni presidenziali svoltesi in Georgia nel
mese di aprile 2000.
Il mandato della missione è stato prorogato fino al 31 dicembre 2002.
b) La presenza dell'ONU
La presenza delle Nazioni Unite in Georgia è legata alle vicende dell' Abkhazia, regione situata sul Mar Nero
le cui ambizioni secessioniste si sono manifestate a partire dai primi anni novanta.
Novembre 1992 un primo cessate il fuoco concordato dalle parti fallisce in meno di un mese, l' ONU
istituisce un proprio ufficio a Tbilisi.
Nel frattempo l'Organizzazione era attiva a livello diplomatico per la ricerca di una
soluzione pacifica del conflitto.
27 luglio 1993 le parti in conflitto si accordarono per un nuovo cessate il fuoco
il Segretario Generale propose al Consiglio di sicurezza di inviare un primo gruppo
ristretto di osservatori ONU (una decina in tutto), che raggiunsero la zona l' 8
agosto successivo.
24 agosto 1993 il Consiglio di sicurezza dava il via ufficialmente alla missione UNMIG.
Settembre I combattimenti riprendevano e il campo principale di attività dell'ONU tornava
dunque ad essere quello diplomatico, alla ricerca di un nuovo accordo tra le parti.
Maggio 1994 Nuova cessazione delle ostilità
nell' accordo le parti si impegnarono ad accettare una forza di peace-keeping composta di
truppe della CSI.
27 luglio 1994 Il Consiglio di sicurezza espandeva la missione UNOMIG
"peace-keeping congiunto" ONU-CSI
UNOMIG
Più volte prorogata: la sua attuale scadenza è al 31 luglio 2002.
Parte integrante della missione è l'Ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani, istituito a Sukhumi, in
Abkhazia nel 1996.
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Funzioni
principalmente legate alla situazione in Abkhazia, in particolare:
- Rispetto dei diritti umani in generale
- Ritorno alle loro case dei numerosissimi profughi e rifugiati di guerra.
- Attività di tipo formativo per la diffusione del rispetto dei diritti umani nell'intero territorio
georgiano (corsi di formazione, distribuzione di testi. ..).
- L'Ufficio per i diritti umani di Sukhumi; i rapporti di collaborazione tra Nazioni Unite e OSCE sono
andati al di là della semplice collaborazione informale
29 Aprile 1997 Memorandum of Understanding
Un funzionario della missione OSCE distaccato presso l'Ufficio ONU in questione, pur continuando a
dipendere dalla propria Organizzazione di appartenenza.
Obiettivo
rendere l'azione delle due istituzioni quanto più possibile complementare ed efficiente, evitando
anche sovrapposizioni.
c) La cooperazione ONU-OSCE
Ha conosciuto nel corso degli anni un' evidente evoluzione.
1) In una prima fase non vi fu alcuna forma di coordinamento organizzato
Tacita divisione dei compiti:
- Nazioni Unite impegnate prevalentemente in Abkhazia (per attività di peace-keeping)
- OSCE in Ossezia meridionale (dove il conflitto era più strisciante).
Il mandato OSCE a compiti di monitoraggio nella zona della Cecenia e della Inguscezia,
consolida una divisione più strettamente “geografica.
Con l'istituzione dell'Ufficio ONU per i diritti umani, e l'accordo per distaccarvi un
funzionario OSCE, la cooperazione diventa invece più esplicita, assumendo una dimensione
istituzionale.
6. L'INTERVENTO IN KOSOVO
La missione dell’ OSCE attualmente operativa in Kosovo è la terza che l'Organizzazione per la Sicurezza e la
Cooperazione in Europa ha posto in essere in questo tormentato settore dell'Europa balcanica.
1) 1992 La prima fu inviata nella più ampia zona Kosovo - Vojvodina –Sangiaccato
Il mandato non fu rinnovato l'anno successivo a causa del ritiro del consenso alla presenza
della missione da parte delle autorità iugoslave.
2) 1998 Una seconda missione, la Kosovo Verification Mission (KVM)
Venne dispiegata, in seguito ad un accordo con la Repubblica Federale di Iugoslavia per
verificare il rispetto da parte iugoslava delle risoluzioni 1160 e 1199 del Consiglio di
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sicurezza delle Nazioni Unite, controllare il rispetto del cessate il fuoco, promuovere i diritti
umani e la democrazia
3) 1999 La missione fu richiamata a seguito dell'inasprirsi delle tensioni che di lì a poco portarono
ai bombardamenti della NATO.
4) Missione attualmente in corso
Avviata in assenza del consenso della Repubblica Federale di Iugoslavia, presenta rispetto alle altre
due alcuni rilevanti elementi di novità:
Rapporto tra l’ OSCE e le altre organizzazioni internazionali operanti in Kosovo.
l’ OSCE si muove nel quadro della missione UNMIK, che fa capo all'ONU
a) La Missione delle Nazioni Unite in Kosovo (UNMIK)
i) Istituzione e fondamento
10 Giugno 1999 Risoluzione 1244
Istituita la missione delle Nazioni Unite in Kosovo dal Consiglio di sicurezza.
o Il Consiglio dichiara esplicitamente di agire in base al Capitolo VIII della Carta
o Riafferma:
Da un lato il diritto della Iugoslavia alla integrità territoriale
Dall'altro quello del Kosovo ad un regime di sostanziale autonomia nel
contesto della compagine statale iugoslava.
o La Risoluzione ha di fatto dato il via ad una duplice presenza ONU in Kosovo:
“Security presence” (la KFOR) ,
“Civil presence”, la UNMIK vera e propria, cui contribuisce anche l’ OSCE.
La parte civile della missione si articola in quattro "pilastri", o ambiti di
attività:
1. Assistenza umanitaria
in cui il ruolo principale è svolto dall'Alto Commissariato delle Nazioni
Unite per i Rifugiati (UNHCR)
2. Amministrazione civile della regione
Svolto dalla UNMIK medesima attraverso le sue strutture;
3. Democratizzazione e creazione di nuove istituzioni
in cui gioca un ruolo-guida l’ OSCE
4. Sviluppo economico
guidato dall'Unione Europea.
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ii) Struttura e organizzazione
Rappresentante speciale Principal Deputy Representative
del Segretario Generale +
dell’ ONU Deputy Representatives
guida la missione in Kossovo
incaricati di seguire aspetti specifici della missione:
1. l'amministrazione civile
2. la polizia e l'amministrazione della giustizia
3. l' Institution Building (campo d'azione dell'OSCE)
4. la ricostruzione economica (in cui gioca un ruolo centrale
l'Unione Europea).
Deputy Representative per l'lnstitution Building è il capo della missione OSCE: in tal modo la
collaborazione tra organizzazioni internazionali acquista una sua precisa e riconoscibile dimensione
istituzionale.
Sul territorio, la UNMIK ha scelto di realizzare una presenza di tipo capillare, suddividendo il Kosovo
in cinque aree regionali e trenta aree municipali.
Parte integrante della missione è anche un corpo di polizia, la UNMIK Police.
iii) l compiti
Risoluzione 1244 Individua i compiti della missione ONU in Kosovo
Mandato ampio e articolato, i cui contenuti sono comunque sintetizzabili
richiamando i quattro "pilastri" sopra ricordati:
1. Assistenza umanitaria
2. Governo provvisorio della regione fino al raggiungimento di una soluzione
politica sullo status del Kosovo
3. Creazione di un "tessuto democratico"
4. Ricostruzione e sviluppo economico dell' area.
iv) Il ruolo della KFOR
Un altro attore sulla complicata scena kosovara. E’ un contingente armato multinazionale che non fa parte
della UNMIK.
Risoluzione 1244 Prevede e delinea il ruolo della KFOR
Par.7 Autorizza gli Stati membri a dispiegare in Kosovo una “international security presence”
Par. 9 Prevenzione di nuovi scontri armati
Demilitarizzazione dell'UCK
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“Messa in sicurezza” del territorio
La KFOR si è schierata in Kosovo nel Giugno 1999, subito dopo la conclusione dei bombardamenti
NATO.
Ha esercitato anche funzioni di ordine pubblico, che sono poi state lasciate alla polizia
internazionale dell'UNMIK in attesa della operatività della nuova polizia multietnica del Kosovo.
Da un pulito di vista organizzativo si tratta di una forza armata multinazionale, in cui gioca un ruolo
centrale ma non esclusivo la NATO.
Risulta assai significativo che anche la Federazione Russa ne faccia parte.
b) La missione OSCE (OMIK)
i) Istituzione e organizzazione
Decisione 305 (Consiglio di Sicurezza) Decide l'attuale missione dell'OSCE in Kosovo.
Il documento prende posizione anche sulla questione della contemporanea presenza nell'area di
più organizzazioni internazionali.
La missione viene definita come una "componente distinta" all' interno del "quadro complessivo"
della UNMIK
Integrazione/coordinazione
realizzata attraverso:
Divisione dei compiti
Designando il capo della missione OSCE ad uno dei posti di vice del
Rappresentante del Segretario Generale che guida la UNMIK.
Decisione 306 l’OSCE dichiara di condividere il contenuto del Patto di stabilità per l'Europa sud-
orientale, adottato poche settimane prima su iniziativa dell'Unione Europea.
La missione in Kosovo è attualmente la più impegnativa di tutte quelle messe in campo dall’ OSCE:
(450 persone e1100 dipendenti locali)
Il budget per il 2002 si aggira intorno ai 54 milioni di Euro.
Il quartier generale della missione è a Pristina, che è anche sede di uno dei cinque Centri regionali
(gli altri sono a Peé, Prizren, Mitrovica, Gnjilane).
ii) I compiti
I compiti della missione sono in realtà già stati anticipati dalla Decisione 305 ("institution-and democracy-
building and human rights").
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Lo stesso documento provvede a specificare tali attività, suddividendole in cinque gruppi:
1) RISORSE UMANE ("human resources capacity-building")
Diverse attività:
Formazione di un nuovo corpo di polizia locale, a cui affidare i compiti di ordine pubblico
Istituita una vera e propria accademia di polizia, gestita dall'OSCE
La selezione delle reclute è effettuata dalle Nazioni Unite (anche se con l'assistenza
dell'OSCE).
Formazione di nuovo personale giudiziario
Kosovo Judicial Institute
per la cui realizzazione ha un ruolo importante di collaborazione il Consiglio d'Europa.
Ricostituzione di un apparato giurisdizionale
Kosovo Law Centre
Un centro di studio che ha già elaborato una compilazione delle norme penali applicabili in
Kosovo.
Formazione di amministratori locali
con lo scopo di creare in Kosovo una nuova classe di funzionari attenta ai valori
fondamentali promossi dall’ OSCE.
Institute for Civil Administration
un apposito centro per la formazione creato a tal fine, presso il quale si tengono dei veri e
propri corsi.
2) “DEMOCRATIZZAZIONE”
Costruzione di quello che si potrebbe definire un "tessuto democratico"
1. Supporto per lo sviluppo di un sistema di partiti politici maturi e democratici, in grado di
competere nei vari appuntamenti elettorali.
A tale fine sono stati aperti quattro Political Party Service Centers
sia attività di tipo formativo in senso stretto (“corsi di addestramento alla
politica”) che azioni di sostegno concreto (aiuti materiali e logistici).
2. Attività a favore delle organizza società civile" multietnica, cosciente e partecipe.
Anche in questo caso l'attività di sostegno è sia di tipo formativo che di sostegno materiale.
3. Regolamentazione dei mezzi di comunicazione
o Sostegno a nuovi media pluralistici
o Funzione di regolamentazione (rilascio di licenze di trasmissione, ecc.)
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o Funzione di monitoraggio e controllo sulle attività
o Incarico specifico di mettere in piedi un servizio pubblico di informazione, la Radio
Television Kosovo (RTK), che dovrà naturalmente rispettare dei parametri
d'indipendenza e imparzialità.
3) REGISTRAZIONE DELLA POPOLAZIONE ED ORGANIZZAZIONE DELLE ELEZIONI AMMINISTRATIVE
Registrazione:
Si è cominciato registrando solo le persone con almeno 16 anni di età. Incaricata delle
operazioni è propriamente la Joint Registration Task Force (JRTF)
prodotto di un accordo tra l' OSCE e le strutture deIl'UNMIK che si occupano
del governo provvisorio del Kosovo.
Operazioni elettorali vere e proprie:
l' OSCE ha svolto il ruolo principale per:
- formazione degli addetti alla macchina elettorale,
- coordinamento delle registrazioni delle candidature,
- attività informativa nei confronti di tutti i cittadini elettori.
E’ stata istituita una Commissione elettorale centrale, responsabile dell'andamento delle
operazioni di voto.
4) “DIRITTI UMANI”
La promozione e la protezione dei diritti dell'uomo sono uno dei compiti cruciali dell'OSCE, che è
infatti stata investita anche in Kosovo della responsabilità principale in materia.
Il suo compito è duplice:
o Funzioni di monitoraggio
condotte in tutto il territorio del Kosovo, per verificare eventuali casi di violazioni.
Tale attività è svolta in collaborazione con l'Alto Commissariato ONU per i rifugiati
(UNHCR);
Particolare attenzione è prestata, alle questioni connesse alle minoranze.
o Attività di tipo pedagogico
Attraverso i Centri regionali vengono svolte campagne di sensibilizzazione, in particolare in
materia di rapporto tra diritti dei singoli e diritti collettivi, non discriminazione, diritti delle
donne e dei bambini, protezione delle minoranze.
5) “ALTRI COMPITI”
Decisione n. 305
Può svolgere compiti «coerenti con la Risoluzione 1244 e approvati dal Consiglio»
Una sorta di "clausola aperta", che permette di intraprendere anche operazioni diverse rispetto a
quelle originariamente previste, purché siano rispettate determinate condizioni.
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Tale previsione appare particolarmente funzionale ad uno scenario come quello del Kosovo
attivi numerosi soggetti internazionali allo stesso tempo e negli stessi luoghi, e richiede
dunque una certa flessibilità operativa.
c) I rapporti ONU-OSCE
La missione OSCE in Kosovo avviata nel Giugno 2000:
o Maggiore tra quelle messe in piedi da questa Organizzazione
o Molteplici attività affidate all'Organizzazione nell'ambito delle competenze che le sono state
assegnate dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite
o Forte cooperazione con altre organizzazioni internazionali.
Struttura organizzativa formalizzata
diversi soggetti presenti e attivi in loco si muovono con il coordinamento del vertice della UNMIK
La divisione dei compiti non è stata fissata solo per grandi settori, ma si è specificata anche al livello
più basso.
7. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Dalle esperienze di cooperazione fra ONU e OSCE in scenari alquanto diversi emergono alcune
considerazioni in merito ai rapporti tra le due organizzazioni.
1) La cooperazione tra le due organizzazioni può assumere forme e modalità diverse a seconda delle
situazioni in cui esse operano
2) Diverse prerogative e capacità delle due organizzazioni d'incidere realmente nella gestione delle
crisi e nel mantenimento della pace.
o Nei casi in cui più acute sono le crisi dal punto di vista della sicurezza militare
le attività delle organizzazioni internazionali devono essere dirette ad operazioni
tradizionali di peace-keeping, come nel caso dell' Abkhazia.
le Nazioni Unite tendono a mantenere una posizione centrale e, dunque, a svolgere un
ruolo d'interposizione.
o Se invece, la ricostruzione del tessuto istituzionale all'interno degli Stati costituisce una
tappa preliminare per il ristabilimento delle condizioni basilari di coesistenza tra diversi
gruppi
si tende ad assegnare un ruolo primario all'OSCE.
Attraverso le proprie missioni ma anche mediante le proprie istituzioni,
l'OSCE si adopera per ripristinare il dialogo tra le parti in conflitto e per ricostruire le
strutture istituzionali di base,
- promozione di negoziati o di buoni uffici o attività di mediazione tra le parti
in conflitto;
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- peace-keeping indiretto,
il controllo delle attività di mantenimento della pace svolte da altre
organizzazioni internazionali
- monitoraggio a livello locale dell'attuazione dei diritti dell'uomo e delle
minoranze
- preparazione e l'organizzazione nonché il controllo delle elezioni;
- formazione degli apparati giurisdizionali e del personale di polizia in certi
Stati
Può dunque dirsi che le caratteristiche dell'OSCE fanno sì che essa assuma un ruolo cruciale nelle
attività di peace-building e di post-conflict rehabilitation.
In tali circostanze l'OSCE non opera ovviamente in maniera isolata.
Si tiene sempre conto dell’ esistenza di altre organizzazioni internazionali sul terreno e della
necessità di coordinare le attività.
Cooperazione fra organizzazioni internazionali
OSCE sensibile all’argomento.
Incoraggia le organizzazioni internazionali a tenersi “reciprocamente informate delle azioni
intraprese o programmate per affrontare una particolare situazione”.
Raggiungimento di una posizione comune sul delicato tema della cooperazione fra organizzazioni
internazionali in ambito OSCE.
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“co-deployment”
Scambio d'informazioni e la creazione di organismi per così dire comuni in relazione a determinate
attività
KOSOVO
Discorso del tutto diverso.
In tale contesto, il quadro all'interno del quale le missioni si trovano ad operare è determinato dalla
creazione dell'UNMIK.
- Risoluzione del Consiglio di sicurezza stabilisce quali sono le organizzazioni
internazionali che rivestono un “ruolo-guida”
- Orientamento ad investire le organizzazioni e gli accordi regionali di ruoli di
particolare responsabilità nella gestione delle crisi.
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La cooperazione con le Nazioni Unite ha “consacrato” l’ OSCE come accordo regionale ai sensi del
Capitolo VIII della Carta.
Si è più di recente passati ad un rapporto di integrazione strutturale dell’ OSCE nelle attività
dell'ONU, con una precisa ma non subordinata ripartizione di competenze e con la conseguente
assunzione di responsabilità.
L’ OSCE costituisce un esempio particolarmente indicativo del nuovo modo d'intendere in ambito
universale ruolo e funzioni delle organizzazioni regionali nella gestione delle crisi e nel
mantenimento della pace.
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PREVENZIONE E GESTIONE DEI CONFLITTI NELLA CSI E SISTEMA NAZIONI UNITE
1. Introduzione Dicembre 1991 Viene costituita, contestualmente alla dissoluzione dell'Unione Sovietica, la Comunita degli
Stati Indipendenti Unione di Stati deputata ad assicurare la pace e la sicurezza internazionale nell’ambito geografico corrispondente al territorio dei suoi Stati membri.
Statuto del 22 Gennaio 1993 Finalità: Cooperazione tra gli Stati della Comunità per:
- Garantire la pace e la sicurezza intemazionale - Soluzione pacifica delle controversie e dei conflitti
8 Dicembre 1991 Accordo di Minsk sulla formazione della CSI
Cooperazione tra gli Stati della Comunità al fine di assicurare Ia pace e la sicurezza internazionale ma
esclusivo riferimento al tema del disarmo e alla gestione delle forze armate dell’URSS in seguito alla sua dissoluzione.
L'immagine della CSI che emerge dall'accordo di Minsk, è Un'unione di Stati che favorisce la convivenza pacifica tra i suoi componenti per effetto della lora collaborazione in numerosi settori
ma
non di un'unione dedicata al mantenimento della pace tra gli Stati che ne facciano parte tramite attivita specificamente finalizzate allo scopo.
Febbraio 1992 Accordo di Kiev on Groups of Military Observers and Collective Peacekeeping Forces
Utilizzazione di: Gruppi di osservatori militari Forze di peace-keeping suI territorio degli Stati della Comunità
per il fine specifico di prevenire e risolvere i conflitti armati.
Lo Statuto si occupa anche di: o Soluzione pacifica della controversie tra gli Stati o Non meglio precisate “misure necessarie per prevenire i conflitti di natura
non militare” 1996 Dottrina per la prevenzione e Ia soluzione dei conflitti nel territorio degli Stati membri della CSI
Un altro importante atto in relazione al mantenimento della pace nel territorio degli Stati della Comunita Garanzia della pace e della sicurezza internazionale tra gli scopi della CSI
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«il mantenimento della pace e della stabilità è una condizione essenziale per per garantire lo sviluppo economico e socio-politico, sia di ogni singolo membro sia della Comunità nel suo insieme»
La Dottrina prevede che la CSI operi in vista di:
o prevenzione dei conflitti (conflict prevention), o soluzione degli stessi (settlement of conflicts), o alla loro cessazione (post-conflict peace-building),
facendo uso di misure di natura politica, giuridica, economica, militare ecc.
Peace-keeping della CSI Alle Forze utilizzabili per I'attuazione di siffatte misure è dedicato lo: Statuto sulle Collective Peace-keeping Forces della CSI, adottato contestualmente alla Dottrina.
Nella Dottrina, infine, la CSI è definita come organizzazione regionaIe ai sensi del Capitolo VIII della Carta delle Nazioni Unite.
La prassi che si è sviluppata riguarda fondamentalmente Ie operazioni militari c.d. di peace-
keeping: Due Collective Peace-keeping Forces (Abkatsia e Tagikistan.)
Non altrettanto significativa è invece la prassi relativa alla soluzione pacifica delle
controversie e all'utilizzazione di mezzi politici, diplomatici o di altra natura.
2. LA NATURA DELLA CSI COME PRESUPPOSTO PER LA COMPRENSIONE DELLA SUA ATTIVITA Art. 1, par. 3, Statuto della CSI «La Comunità non è uno Stato e non ha poteri sovranazionali» Scopi della Comunita e Ie sue competenze Art. 2 Statuto coordinamento delle attività degli Stati membri, e non lo sviluppo di politiche e attività
proprie della Comunità come tale. Art. 4 Statuto
o Elenca le "sfere dell' attivita congiunta degli Stati membri” Deve avvenire attraverso istituti di coordinamento comuni:
questa è in effetti la natura che sembrano avere gli organi della CSI disciplinati nella Sezione VI
dello Statuto.
questione dell'efficacia degli atti che essi (in particolar modo quelli di carattere più squisitamente politico) sono abilitati a emanare
Le disposizioni della Sezione VI si limitano a indicare Ie materie in cui i singoli "organi" debbano realizzare il coordinamento delle politiche degli Stati
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Non sembra, dunque, che sulla base di simili disposizioni, gli "organi" possano emanare atti aventi effetti vincolanti per gli Stati membri.
In secondo luogo, sembra che nessuno degli "organi" della CSI sia abilitato a adottare deliberazioni con la maggioranza dei suoi componenti.
Sistemi di votazione Lo Statuto fa menzione dei sistemi di votazione esclusivamente con riguardo al Consiglio dei Capi di Stato e al Consiglio dei Capi di Governo
etrambi operano sulla base del consensus e del c.d. "meccanismo della parte interessata”
Regola di votazione che permette agli Stati disinteressati a una data questione di farne dichiarazione, senza che ciò ostacoli I’adozione di una delibera.
Ha effetti ben diversi dall'astensione, la quale impedisce la formazione del
consensus. Al contrario, esso fa salva la regola del consensus anche se uno o più Stati assumano di fatto un atteggiamento astensionista.
Assenza di specifiche previsioni riguardo all' efficacia di tali atti Si applicano, in simili situazioni Ie norme del diritto internazionale generale Si può ritenere che dette deliberazioni non producano per gli Stati disinteressati alcun effetto
Un sistema di votazione così congegnato impedisce che Ia Comunità operi suI piano internazionale come soggetto a se stante, distinto dai suoi Stati membri. Rappresenta lo strumento con il quale gli Stati operano congiuntamente, per coordinare al meglio Ie proprie attività in vista del perseguimento e realizzazione di fini comuni.
Il meccanismo della parte interessata permette agli Stati membri di:
- Rifiutare - Prendere iniziative congiunte con gli altri - Coordinare con essi la propria attività
senza che ciò impedisca agli Stati "interessati" di attuare il coordinamento delle proprie attività
Art. 23 Statuto non indica, ai fini delI'adozione di una certa decisione un numero massimo di Stati che possano dichiararsi disinteressati.
Ciò rende possibile che alcune questioni siano affrontate, anche solo con la partecipazione di due Stati
CSI come una mera cornice di principi e obbiettivi entro cui gli Stati possono operare congiuntamente attraverso il coordinamento delle proprie iniziative: non quindi un'organizzazione internazionale in senso stretto.
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Composizione “organi” della CSI compresi nella Sezione VI dello Statuto. Tutti composti da rappresentanti di Stati
L’individuazione degli organi statali che in essi siedono, è strettamente connessa con la competenza
ratione materiae degli organi stessi:
o Consiglio dei Capi di Stato si occupa delle questioni di principio legate all'attività degli Stati membri nelle sfere dei loro interessi comuni
o Consiglio dei Capi di Governo
attua il coordinamento degli organi del potere esecutivo nelle medesime attivita
o Consiglio dei Ministri degli Affari Esteri si occupa del coordinamento della politica estera degli Stati membri
o Consiglio dei Ministri della Difesa
tratta delle questioni di politica militare e della sviluppo militare degli Stati
o Consiglio dei Comandanti delle Truppe di Confine cura Ie questioni relative alla difesa dei confini esterni degli stessi Stati
(Medesimo principio vale anche, a livello inferiore, per gli organi della collaborazione settoriale)
Gli "organi" passati in rassegna hanno Ie caratteristiche di conferenze internazionali
- obbiettivi - principi sono fissati ex ante e una tantum nello Statuto della CSI - compiti e negli altri accordi multilaterali stipulati nella Comunità. - regole di funzionamento
La CSI rappresenterebbe dunque null' altro che la cornice e lo strumento con il quale gli Stati membri realizzano il coordinamento delle lora attivita in alcuni settori.
3. LA SOLUZIONE PACIFICA DELLE CONTROVERSIE E LE ALTRE MISURE NON COERCITIVE PER LA PREVENZIONE E LA SOLUZIONE DEI CONFLITTI Art. 16 Statuto «gli Stati membri adottano tutte Ie misure necessarie per prevenire i conflitti»
Nonostante ciò, lo Statuto:
Non disciplina siffatte misure e non si sofferma sulla lora identificazione. Si occupa solo della soIuzione delle controversie in vista della prevenzione dei
conflitti. Nell'ambito della CSI non esistono meccanismi di valenza generale (relativi, cioe, a ogni possibile
controversia) per la soluzione delle controversie fra due o piu Stati membri. Soluzione delle controversie attuata dal Consiglio dei Capi di Stato (articoli 17, par. 3, e 18)
L'unico meccanismo a valenza generale previsto nello Statuto
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Artt. 17, par. 3, e 18 dello Statuto Due diverse ipotesi in cui il Consiglio dei Capi di Stato possa occuparsi della soluzione di controversie insorte tra gli Stati membri:
1) Art. 17, par. 3 Eventualità in cui gli Stati membri esercitino il potere di deferire Ie lora controversie
al Consiglio.
Presupposto Gli Stati parti non siano riusciti a risolvere Ie lora controversie “pacificamente” attraverso: consultazioni eventuali altri mezzi di soluzione (secondo l'art. 17, par. 2)
In tale eventualità
Consiglio può indicare termini di soluzione delle controversie sulla base del compromesso stipulato dalle Parti.
Non e invece chiaro (dall’art. 17, par. 3) se gli Stati membri possano deferire Ie proprie controversie
al Consiglio con istanza unilaterale.
Probabilmente la disposizione lascia spazio a qualsiasi modalità di deferimento delle controversie MA
o Solo in presenza del consenso di tutte Ie parti o Soluzione vincolanti per Ie parti solo se esse vi abbiano acconsentito
il Consiglio può effettivamente occuparsi di una controversia e decidere i termini di soluzione
2) Art. 18 Possibilità che il Consiglio dei Capi di Stato si occupi della soluzione di una controversia ex
officio. In qualsiasi fase della controversia
a condizione che quest'ultima "minacci la pace o la sicurezza nella Comunità"
Consiglio può indicare
- Mezzi di soluzione - procedimenti
La lettera della disposizione non consente di comprendere se il Consiglio possa indicare
mezzi o procedimenti con effetti vincolanti per Ie parti della controversia MA
dovrebbe essere esclusa (secondo l’autore) in mancanza di previsioni esplicite Solo per Ie controversie relative a una materia specifica
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in ordine all'esecuzione degli obblighi assunti in campo economico nell’ ambito della Comunità,
Lo Statuto istituisce un meccanismo di soluzione delle controversie di natura giudiziale Tribunale economico
o Sede a Minsk o previsto nell' Art. 32 dello Statuto
Può comunque risolvere anche controversie di altro tipo, sulla base di eventuali specifici accordi stipulati dagli Stati membri. Le previsioni normative sono estremamente laconiche
Non prevedono nulla sulle procedure con Ie quali il Tribunale puo essere adito e sulle sue sentenze Art. 32, par. 4 Disciplina dell’attività del Tribunale
L’articolo rinvia all'Accordo sullo status del Tribunale e al regolamento approvato dal Consiglio dei Capi di Stato.
Parte 1 e Parte 2 della Dottrina del 1996 Misure non coercitive per prevenzione e soluzione dei conflitti (diverse dalla soluzione pacifica delle controversie e dal c.d. peace-keeping) Misure provvisorie per la creazione delle condizioni favorevoli per il dialogo e la soluzione pacifica delle controversie:
- Stipulazione di accordi tra Ie parti in conflitto relativi alla cessazione delle ostilita - Scambio di informazioni - Uso di meccanismi di early warning - Creazione di zone smilitarizzate.
4. IL PEACE-KEEPING DELLA CSI a) nelle previsioni normative
- Accordo di Kiev del 1992 - Dottrina per Ia prevenzione e la soluzione dei conflitti neI territorio degli Stati membri della CSI - Statuto sulle Forze di pace collettive del 1996
Stabiliscono
finalità perseguite tramite I'impiego delle Collective Peace-keeping Forces presupposti cui subordinato il loro invio Regole cui deve conformarsi la loro attivita.
Nell' ambito della CSI, il c.d. peace-keeping può essere utilizzato:
o Prevenzione dei conflitti o Soluzione dei conflitti o Post-conflict peace-building
Condizioni per l'avvio di operazioni di peace-keeping della CSI sono:
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o Esistenza del consenso di tutte le parti in conflitto (In determinate occasioni deve anzi essere espresso sotto forma di richiesta)
o Preventiva stipulazione di un accordo di cessate-il-fuoco
Attività in loco delle Collective Peace-keeping Forces Accordo di Kiev Atti relativi al peace-keeping della CSI del 1996 Sanciscono in modo inderogabile che Ie Forze debbano tenere un atteggiamento assolutamente neutrale nei confronti delle parti in conflitto Mandato che e possibile affidare alle Forze in discorso:
1) Accordo di Kiev Indica quasi esclusivamente compiti tipici delle peace-keeping operations dell'ONU
o Prima generazione (monitoraggio dell' attuazione di accordi di cessate il fuoco e di disarmo, etc.)
o Seconda generazione (assistenza umanitaria e protezione dei diritti delI'uomo e delle liberta fondamentali)
2) Statuto
Contiene anche disposizioni più innovative: Da una parte
comprende compiti del tutto inusuali rispetto alla prassi anche recente delle Nazioni Unite in tema di peace-keeping
Esempio - promozione di contatti "normali" tra Ie popolazioni delle parti in conflitto - creazione delle condizioni necessarie alIa conduzione dei negoziati
travalicano la tradizionale funzione di "congelamento" del conflitto, ma rispondono pur sempre ad una logica di terzietà tipica delle Forze di pace.
Dall'altra parte comprende anche altri compiti
Esempio - Garanzia della sicurezza di infrastrutture essenziali - blocco delle importazioni e delle esportazioni illegali di armi - garanzia della sicurezza dei trasporti e delle importazioni
fanno delle Collective Peace-keeping Forces della CSI vere e proprie forze di sicurezza.
infatti
La disciplina dell'uso della forza armata, permette un ricorso alle armi abbastanza ampio
giustifica l’accostamento delle Collective Peace-keeping Forces alle forze multinazionali spesso autorizzate dal Consiglio di sicurezza ad operare nell' ambito di alcune gravi situazioni di crisi (con il consenso del sovrano territoriale)
3) Accordo di Kiev del 1992
Contiene una disciplina dell'uso della forza armata più permissiva rispetto alla disciplina tipica del peace- keeping tradizionale.
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Ammette che le Forze di pace della CSI possano opporre resistenza ai tentativi armati di impedire lo svolgimento del suo mandate
4) Statuto del 1996
Regole ancora più ampie
Esclude la partecipazione delle Forze di pace della CSI ad attività di combattimento
Limita l'uso delle armi a casi eccezionali e previsti tassativamente Ie Collective Peacekeeping Forces della CSI sono abilitate a fare ricorso alle armi anche per:
- respingere i tentativi altrui di impedire lo svolgimento del proprio mandato - fronteggiare attacchi di gruppi armati ovvero di bande di terroristi e sabotatori - proteggere Ia popolazione civile.
Si tratta di un impiego della forza armata che somiglia a quello cui sono abilitate Ie forze multinazionali sopra ricordate dunque
Ai sensi della Statuto del 1996, le Collective Peace-keeping Forces della CSI più propriamente svolgano funzioni di peace-enforcement con il consenso dei sovrani territoriali.
b) nella prassi Le due Collective Peace-keeping Forces inviate, rispettivamente, in Tagikistan nell'autunno del 1993 e in Abkatsia (Georgia) nel giugno 1994.
- Hanno caratteristiche completamente diverse tra loro - Entrambe sono accomunate da un certo scollamento rispetto aIle previsioni normative
TAGIKISTAN La forza attiva si caratterizza per le vistose deviazioni rispetto aIle suddette previsioni normative Essa è stata inviata: Solo con il consenso del govemo "legittimo" del Tagikistan
e non anche con quello dei partiti di opposizione con iI quale iI govemo "legittimo" era in conflitto
Senza che alcun accordo di cessate-iI-fuoco o di tregua fosse stato sottoscritto supporto al governo tagiko contro Ie forze dell' opposizione, e ha anche condotto ostilità contro queste ultime, in particolare suI confine tagiko-afgano
Priva di un mandato
1997 Protocollo relativo alIe questioni militari sottoscritto dalle parti in conflitto
queste ultime si sono accordate sulla reintegrazione delle truppe dell’UTO (Unione dei Partiti dell' opposizione Tagika) nei ranghi dell'esercito regolare, alIa Collective Peace-keeping Force è stato affidato il compito di curare illoro disarmo.
Emerge, insomma, che:
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La Forza inviata in Tagikistan ha operato in maniera del tutto diversa rispetto al peace-keeping tradizionale
Soltanto per alcuni compiti svolti nel periodo di tempo più recente, l’attività di questa Forza sembra comparabile con quella delle forze multinazionali di peace-enforcement costituite con I’autorizzazione del Consiglio di sicurezza dell'ONU.
ABKATSIA Inviata con:
- consenso del governo legittimo georgiano - consenso del gruppo secessionista degli Abkatsi
(il quale deteneva il govemo di fatto della regione)
- in presenza di un accordo di cessate-il-fuoco" Compiti Rispetto del cessate-iI-fuoco ad opera delle parti (tipico del peace-keeping tradizionale)
o Interposizione tra Ie parti in conflitto o monitoraggio del rispetto dell' accordo menzionato o pattugliamento del territorio o creazione e sorveglianza di zone smilitarizzate
Accordo sul cessate-iI-fuoco prevede espressamente che la Forza possa fare ricorso alIa forza armata esclusivamente per legittima difesa.
La prassi dimostra che la Collective Peace-keeping Force inviata in Abkatsia non sempre ha svolto i propri compiti con imparzialita ed equidistanza rispetto alle parti in conflitto:
- Disattende il mandato affidatole nell'accordo di cessate-il-fuoco - Contraddice Ie disposizioni dell’accordo di Kiev.
1) Nei primi tempi è stata accusata di complicita e connivenza con il gruppo separatista degli
Abkatsi, aI fianco del quale avrebbe anche condotto ostilità contro I'esercito georgiano.
L’attivita della Forza si puo probabilmente spiegare con iI fatto che essa è composta esclusivamente di truppe russe: I’atteggiamento ha dunque risentito degli attriti tra il governo georgiano e i vertici politici russi.
2) Per alcuni periodi Ia Forza è rimasta in territorio georgiana senza avere un mandato preciso.
Per molti versi la Forza operante in Abkatsia sembra in effetti potersi accostare, alle Forze multinazionali inviate con il consenso dei sovrani territoriali e con l'autorizzazione del Consiglio di sicurezza dell'ONU.
o Equipaggiata con armi pesanti o Uso delle armi in modo più ampio che nei soli casi di legittima difesa
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In modo prossimo aIle previsioni del protocollo collegato all'accordo di Kiev del 1992.
In altre parole, la sua funzione in Abkatsia sembra potersi ricondurre al peace-enforcement attuato in presenza del consenso delle parti in conflitto, piuttosto che al peace-keeping in senso stretto.
5. LE MISURE COERCITIVE SoIuzione dei conflitti già in corso, la dottrina del 1996 prevede la possibilita di fare ricorso a “enforcement measures”.
Nulla si dice riguardo a eventuali procedure e limiti relativi alla lora concreta attuazione.
Secondo l’autore la disposizione riguarda misure coercitive di carattere militare, e non anche a sanzioni di altra natura.
Anche misure di coercizione economica, comunque, sono ammesse nell' ambito della CSI
Cosa si intende per coercizione militare nell'ambito della CSI? Una significativa indicazione può essere tratta, per differenza, dalle disposizioni relative al peace-keeping.
Quest'ultimo presuppone:
- Consenso delle parti in conflitto - Non potendo in alcun modo risolversi nell'impiego delle Forze in combattimenti,
Secondo l’autore il peace- enforcement della CSI consiste nell'uso della violenza bellica contro una o più parti in conflitto.
CSI come accordo o organizzazione regionale ex Capitolo VIII della Carta ONU
Rapporti con l'ONU previsti nella Dottrina in discorso, nonche nello Statuto sulle Forze di pace collettive della CSI adottato contestualmente.
Spesso, nell'ambito delle Nazioni Unite, la CSI è stata espressamente compresa tra Ie organizzazioni regionali
cooperare con Ie Nazioni Unite per iI mantenimento della pace e della sicurezza internazionale in conformita con iI Capitolo VIII della Carta.
Agosto 1994 Riunione dei vertici di numerose unioni regionali con il Segretario Generale dell'ONU
La CSI ha partecipato convocata per rafforzare Ie sinergie tra l'ONU e le organizzazioni regionali in vista della salvaguardia della pace e della sicurezza internazionale
Approccio pragmatico e flessibile dell’ ONU del dopo della guerra fredda, su impulso del
Segretariato nei riguardi di accordi e organizzazioni regionali.
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Tale approccio trova fondamento:
o Capitolo VIII Artt. 52 e 53 sembra tale da voler far rientrare nell'ambito di applicazione di queste disposizioni
una tipologia alquanto ampia di accordi e organizzazioni
o Lavori preparatori della Conferenza di San Francisco. Non sembra rivestire particolare interesse, la questione di sapere se la CSI abbia natura di accordo piuttosto che di organizzazione regionale. La CSI sembra costituire un mero accordo regionaIe, e non un'organizzazione.
con riferimento a: Natura di strumento e cornice per il coordinamento delle attività degli Stati membri in alcuni
settori propria della CSI. Detiene I'unico requisito considerato necessario al riguardo: stabilità
Parte della dottrina, soprattutto quella tradizionale, mostra invece una certa rigidità nell’indicazione di elementi e qualità a che un accordo regionaIe possano ritenersi conformi alIa normativa.
Principali requisiti al fine di annoverare organizzazioni o accordi regionali tra Ie organizzazioni e gli accordi previsti neI Capitolo VIII:
1) Vicinanza geografica degli Stati membri dell' organizzazione o parti dell' accordo regionale
2) il fatto che l'accordo o l'organizzazione regionale istituiscano un sistema di sicurezza collettivo volto a garantire il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale tra gli Stati parti dell’accordo
3) il fatto, infine, che Ie attività appartenenti alla competenza dell’organizzazione attengano alla
funzione del rnmantenimento della pace La CSI potrebbe senz’altro ricevere la qualificazione di accordo/organizzazione regionale alla luce della normativa in discorso:
1) Vicinanza o contiguità geografica degli Stati membri dell' organizzazione o parti dell' accordo - La CSI soddisfa questo requisito. - I suoi Stati membri sono infatti tutti confinanti tra loro.
Inoltre, essendosi formati tutti dalla dissoluzione dell'URSS, gli Stati membri della CSI possiedono un retaggio storico comune
I' area geografica in cui si trovano definisce, dunque, anche una regione geo-politica
Preambolo dello Statuto del 1993 essi hanno costituito la CSI fondandosi sulla comunanza
storica dei loro popoli e delle relazioni createsi tra essi.
2) Per quanto conceme il secondo dei requisiti menzionati
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o La CSI si è dotata di strumenti per l' attuazione di operazioni militari c.d. di peace-keeping
nel territorio dei propri Stati membri. o La CSI comprende tra Ie sue finalità anche la soluzione pacifica delle controversie tra gli Stati
della Comunità Oltre ai mezzi per la soluzione "equanime e pacifica" delle controversie lo Statuto prevede la possibilita di deferire Ie controversie insorte tra gli Stati membri al Consiglio dei Capi di Stato. Seppur non sofisticato, rappresenta pur sempre un meccanismo "regionale".
Sistema di sicurezza collettiva richiesto debba essere limitato alIa sicurezza dei soli Stati membri E’ questo il caso della CSI.
- Mezzi per la soluzione delle controversie - Operazioni militari per la prevenzione e la soluzione dei conflitti (il c.d. peacekeeping della
CSI) riguardano esclusivarnente gli Stati membri e in particolare, per quanto conceme il peace-keeping, iI lora territorio.
3) La CSI detiene anche l'ultimo dei requisiti ricordati. Conformita dell'organizzazione o accordo regionale e delle sue attivita ai fini e ai principi delle Nazioni Unite C’è pero, nella Carta ONU, la condizione di conformità con i fini e i principi delle Nazioni Unite delle stesse organizzazioni e accordi regionali Art. 52.1 sancisce il favore del sistema della Carta per I'esistenza di accordi e organizzazioni
regionali in materia di mantenimento della pace e sicurezza internazionali
Unica condizione: «purché tali accordi od organizzazioni e le loro attività siano conformi ai fini ed ai principi delle Nazioni Unite»
Solo Ie istanze regionali che soddisfino detto requisito possono definirsi come organizzazioni o accordi ai sensi del Capitolo VIII della Carta.
Accordi stipulati agli albori della CSI: Si puo notare I'impegno degli Stati partecipanti a conformare la CSI agli scopi e ai principi della Carta ONU.
1) 30 Dicembre 1991 Accordo temporaneo sui Consiglio dei Capi di Stato e suI Consiglio dei Capi [Minsk]
I principi sui quali quest'ultimo fonda l’attivita del Consiglio dei Capi di Stato (organo
supremo all' interno del quale sono rappresentati tutti gli Stati membri della Comunità) sono quelli alla base della Carta ONU.
2) 14 Febbraio 1992 Dichiarazione suI rispetto dei principi di collaborazione all' interno della CSI
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Tra i principi che, regolano la collaborazione tra gli Stati aderenti alla Comunità, comprende alcuni tra i principi posti alIa base della Carta ONU:
Rispetto dell’integrità territoriale
Inviolabilità dei confini nazionali
Rispetto dei diritti dell'uomo e delle liberta fondamentali, compresi i diritti delle minoranze nazionali
3) Dichiarazione dei Capi di Stato suI divieto del ricorso alla forza o alla minaccia delI'uso della forza
per la composizione delle controversie la cui soluzione deve avvenire attraverso negoziati. Mira a improntare i rapporti tra gli Stati della Comunità, in relazione a uno dei momenti piu delicati della lora nuova indipendenza, su uno dei principi fondamentali della Carta.
4) 22 gennaio 1993 Statuto della CSI Gli scopi della CSI, determinati nello Statuto stesso, siano conformi agli scopi e ai principi della Carta delle Nazioni Unite: Realizzazione della collaborazione in campo politico, economico, ecologico, umanitario e
culturale Aiuto giuridico reciproco e la cooperazione nelle altre sfere dei rapporti giuridici previsti
all’Art.1, par. 3 della Carta ONU: «cooperazione internazionale nella soluzione dei problemi internazionali di carattere economico, sociale, culturale od umanitario, e nel promuovere ed incoraggiare il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali per tutti senza distinzione di razza, di sesso, di lingua o di religione»
Sviluppo economico e sociale completo ed equilibrato tra gli Stati membri (coerente con
l’Art.55.1 della Carta) Garanzia dei diritti dell'uomo e delle liberta fondamentali Soluzione pacifica delle controversie e dei conflitti
Collaborazione tra gli Stati membri della Comunità in vista della realizzazione degli
scopi ricordati, sono per lo più analoghi ai principi fondamentali si cui si fonda il sistema delle Nazioni Unite.
5) Tra gli altri, e soprattutto in vista della peculiarita storica e geo-politica della CSI rispetto ad altre
entita regionali: Rispetto della sovranita degli Stati membri Diritto imprescindibile dei popoli all'autodeterminazione Inviolabilita delle frontiere di stato Rifiuto delle acquisizioni territoriali illecite Astensione dall' impiego della forza o della minaccia dell' uso della forza contro
I’indipendenza politica di ogni Stato membro Soluzione pacifica delle controversie, onde evitare minacce alla pace, alla sicurezza ed alla
giustizia internazionale Supremazia del diritto internazionale nelle relazioni interstatali Garanzia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali per tutti senza distinzione di
razza, di appartenenza etnica, di lingua, di religione, di idee politiche.
6) Statuto e Accordo di Kiev del 1992 Contengono le norme con cui, più concretamente, sono regolate la soluzione delle controversie e la collaborazione tra gli Stati membri della CSI nel mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. Soluzione delle controversie Ispirate ai fini e principi della Carta
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Volte ad assicurare la soluzione pacifica delle controversie in parola e a prevenire eventuali conflitti, none he possibili violazioni dei diritti dell uomo
Peace-keeping (Accordo di Kiev) sembra conforme ai principi e aIle finalità sanciti nella Carta. Essa è:
- Rispettosa della sovranità territoriale della Stato ospite - Postula il consenso delle parti in conflitto - Improntata ad una effettiva equidistanza delle missioni di peace-keeping rispetto
alle parti stesse - Prevede che dette missioni svolgano compiti finalizzati alla prevenzione e alIa
soluzione pacifica dei conflitti - Limita l'uso della forza armata.
L'accordo di Kiev nulla prevede, invece, sui rapporti tra la CSI e Ie Nazioni Unite in
relazione all'attuazione di operazioni di peace- keeping ad opera della Comunità. ma
Non c’è di per se contrasto con: Principi e i fini delle Nazioni Unite Responsabilità principale del Consiglio di sicurezza nel mantenimento della
pace e della sicurezza internazionale Disposizioni del Capitolo VIII della Carta
7) 1996 Dottrina sulla prevenzione e la soluzione dei conflitti nel territorio degli Stati membri della
CSI Disciplina i rapporti tra la CSI e l'ONU in relazione all'attivita della CSI per:
Prevenzione e la soluzione dei conflitti Operazioni di peace- keeping
7. LA DISCIPLINA DEI RAPPORTI CSI-ONU AI FINI DELLA SOLUZIONE PACIFICA DELLE CONTROVERSIE E DELLA GESTIONE DEL CONFLITTI MEDIANTE MISURE NON COERCITIVE DIVERSE DAL PEACE-KEEPING, ATTUATE NELLA CORNICE DELLA CSI Rapporti tra ONU e la CSI riguardo alla soluzione pacifica delle controversie è assai scarna. Dottrina del 1996 non contiene al riguardo alcuna previsione ad hoc. Bisogna dunque rifarsi alle previsioni di carattere generale
Si applicano cioè a qualunque misura sia utilizzata nel quadro della CSI per la soluzione dei conflitti.
CINQUE PRINCIPI FONDAMENTALI: 1) Attuazione di consultazioni a tutti i livelli tra rappresentanti della CSI e delle Nazioni Unite 2) Assistenza della CSI agli sforzi di pacificazione portati avanti da missioni delle Nazioni Unite di
varia natura e, in generate, dai rappresentanti dell'ONU
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3) Cooperazionein vista della soluzione politica dei conflitti 4) Informazione del Segretario Generale 5) Discussione in sene aI Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
Volontà di puntare sullo sforzo congiunto dell’ONU e dell'istanza regionale, ciascuno secondo il proprio ruolo, per il fine della soIuzione dei conflittie
Il successo di una simile strategia si basa dunque sulla specificità e sulla complementarità dei due attori coinvolti. o Da una parte, Nazioni Unite sono pienamente investite tanto della crisi in corso quanto delle
misure utiIizzate dalla CSI per risolverla - sia a Iivello operativo (primi tre principi elencati) - sia a livello istituzionale (informazione del Segretario Generale e discussioni in seno al
Consiglio di sicurezza)
o Dall'altra parte, Ia CSI costituisce la cornice necessaria del processo di soluzione pacifica delle controversie e dei conflitti in cui si innestano anche gli sforzi dell'ONU.
SOIUZIONE PACIFICA DELLE CONTROVERSIE Art. 52 si occupa di porre l’accento sulla necessità e sull'opportunità di utilizzare i meccanismi regionali,
prevedendo altresi i modi in cui il Consiglio di sicurezza etenuto a favorire la soluzione delle controversie ad opera di accordi e organizzazioni regionali (art. 52.3).
Esso però salva la responsabilità e Ie prerogative del Consiglio
pone in ultima analisi sotto il suo controllo la valutazione dell'utilità del ruolo di siffatti accordi e organizzazioni nelle situazioni concrete
Dunque
Art. 52 è ispirato al principio generale di preferenza per la soluzione pacifica delle controversie a Iivello locale, attuata pero sotto gli auspici e la vigilanza del Consiglio di sicurezza dell' ONU. [Par. 3] «Il Consiglio di Sicurezza incoraggia lo sviluppo della soluzione pacifica delle controversie di carattere locale mediante gli accordi o le organizzazioni regionali, sia su iniziativa degli Stati interessati, sia per deferimento da parte del Consiglio di Sicurezza»
I cinque principi della Dottrina applicabili alla soluzione dei conflitti sottendono che: o CSI si occupi attivamente e in via primaria del perseguimento della soluzione pacifica
delle controversie e dei conflitti
o Nazioni Unite forniscano ad essa supporto e collaborazione e mantengano altresi il controllo delle sue iniziative a livello politico.
La Dottrina non contiene una disposizione, analoga all'art. 54 della Carta, riferibile alIa soluzione
pacifica delle controversie ma
o Informazione del Segretario Generale o Discussione in seno al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite
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misure idonee a realizzare la piena informazione del Consiglio richiesta dall’Art.54.
8. LA DISCIPLINA DEI RAPPORTI CSI-ONU AI FINI DELL'ATTUAZIONE DI OPERAZIONI DI PEACE-KEEPING NEL QUADRO DELLA CSI a) Le previsioni normative relative all'avvio delle operazioni La discipIina dei rapporti tra Ia CSI e I'ONU contenuta nella Dottrina del 1996 è invece incentrata sul peace-keeping della CSI A quest'ultimo, del resto, è in gran parte dedicato I'atto.
Non è agevole determinare se la disciplina sia conforme aI Capitolo VIII della Carta ONU. CAPITOLO VIII:
non contiene riferimenti a operazioni militari di natura diversa dalla coercizione armata
prevede che il Consiglio di sicurezza autorizzi, o utilizzi, Ie organizzazioni o gli accordi regionali che intendano farsene carico (art. 53.1).
In alcun modo si riferisce alle: o Operazioni di peace-keeping, o Operazioni che (secondo la classificazione affermatasi dopo la fine della guerra
fredda) siano riconducibili al preventive deployment e al post-conflict peace-building.
Però, nel quadro del Capitolo VIII, attraverso organizzazioni e accordi regionali, si possono condurrre operazioni militari diverse dal peace- enforcement.
Art. 52.1 Favorevole per I'esistenza di organizzazioni e accordi regionali e per Ie attività intraprese ad opera o in base ad essi. Art. 53.1 Esclude che qualunque tipo di operazione militare destinata alla prevenzione e alla soIuzione dei conflitti debba necessariamente essere effettuato sotto la direzione ovvero con l’autorizzazione del Consiglio Dagli articoli 52.1 e 53.1, deriva che, I'unico effetto giuridico derivante dalla classificazione tra Ie diverse attività (preventive deployment, peace-keeping, peace-enforcement e post-conflict peace-building) riguardi probabilmente proprio la distinzione tra:
- Enforcement action, da una parte, - Tutte Ie altre attività, dall’altra.
Solo nel primo caso la Carta delle Nazioni Unite richiederebbe l'autorizzazione consiliare ovvero l'esercizio di un ruolo direttivo dell'azione militare da parte del Consiglio di sicurezza.
Ruolo del Consiglio di sicurezza dell'ONU La Dottrina sembra tracciare una distinzione tra:
1) Peace-enforcement
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attuato in vista della soluzione dei conflitti gia in corso
2) Azione militare che non abbia natura di peace-enforcement (compreso il mero invio di osservatori militari), finalizzata alIa prevenzione e alla soluzione dei conflitti e al c.d. post-conflict peace- building: in una parola, al c.d. peace-keeping della CSI.
1) Peace-enforcement da attuare quando sia in corso un conflitto armata con la
finalita di porvi termine necessaria presenza di un mandato del Consiglio di sicurezza dell'ONU.
2) Negli altri casi il mandato consiliare non sembra essere una condizione necessaria per I'espletamento di operazioni militari.
1996 Statuto sulle Forze di pace collettive del 1996 In questo si trova un criterio che definisce il principio in base al quale la Dottrina richiede la presenza del mandato consiliare. Art. I, par. 3 (5° capoverso) Il Consiglio dei Capi di Stato della CSI può richiedere l'autorizzazione ovvero iI mandato del Consiglio di sicurezza dell'ONU per I’avvio di operazioni di peace-keeping nel rispetto della Carta ONU. Un diverso ruolo del Consiglio di sicurezza, in relazione ad operazioni militari che si vogliano attuare nel quadro di accordi o organizzazioni regionali per la prevenzione e la soluzione dei conflitti, sembrerebbe conforme alle previsioni del Capitolo VIII della Carta ONU. Art. 53.1 AZIONI DI NATURA COERCITIVA
L’articolo prevede che Ie operazioni militari effettuate ad opera o neI quadro di organizzazioni o di accordi regionali necessariamente si giovino di apposita autorizzazione consiliare ovvero si svolgano sotto la direzione del Consiglio. Forti analogie tra il Peace-keeping della CSI ed il peace-enforcement attuato da forze multinazionali con il consenso del sovrano territoriale e I’autorizzazione del Consiglio di sicurezza dell'ONU E dunque con riferimento a questo tipo di operazioni militari che, la Dottrina richiede di regola il mandato del Consiglio di sicurezza.
Lasciando da parte la questione della coercizione economica e concentrando l'attenzione
esclusivamente suI tema della forza militare
problema
per escludere la natura coercitiva dell’azione:
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basta il consenso del sovrano territoriale o (ed eventualmente entro quali limiti) anche l'impiego della forza armata contro individui debba essere compreso nel concetto di enforcement?
Nel caso, infatti, fosse fondata questa seconda interpretazione, anche l'impiego di forze militari inviate con il consenso del sovrano territoriale, ma dotate di robuste regole di ingaggio, potrebbe essere fattispecie regolata dall'art, 53.1.
Prassi recente
Casi di Forze multinazionali inviate con il consenso del sovrano territoriale e investite di un uso più o meno ampio della forza armata.
Nessuna di queste Forze, che pure hanno beneficiato dell' autorizzazione del Consiglio di sicurezza, però, hanno ricevuto siffatta autorizzazione sulla base del Capitolo vm della Carta.
Forze multinazionali costituite nel quadro di organizzazioni e accordi regionali Diversamente, hanno beneficiato dell' autorizzazione consiliare sulla base del Capitolo VIII
in modo del tutto analogo aIle forze che, in vista della svolgimento di attivita di peace-enforcement, sono state costituite al di fuori di organizzazioni o accordi regionali.
Non sembra dunque giustificato limitarsi a utilizzare questa prassi per concludere senz’altro nel senso della necessità dell'autorizzazione consiliare anche per simili azioni militari, sulla base dell'art. 53.1. Conclusione Nell’accezione corrente del sistema delle Nazioni Unite, per PEACE-ENFORCEMENT si suole intendere anche l'impiego della forza armata nei rapporti interindividuali ad opera di Forze inviate con il consenso dei sovrani territoriali o, comunque, delleparti in conflitto. Nell'ambito della CSI vengono definite di peace-keeping.
La disciplina dei rapporti con iI Consiglio di sicurezza prevista nella Dottrina del 1996 risulterebbe in contrasto con l'art. 53.1 della Carta.
La presenza del consenso del sovrano territoriale e degli eventuali partiti insurrezionali, opererebbe
da causa di esclusione dell'illecito: - in relazione al divieto di ricorso alla forza armata nei rapporti internazionaIi, - in relazione alIa violazione di altre norme di diritto internazionale, inclusa la Carta ONU.
Si può però rilevare come, spesso, Ie situazioni di crisi in cui si richiede l'intervento di forze multinazionali dotate di ampia possibilita di ricorrere aIla forza armata, sono estremarnente instabili. Simili situazioni di crisi sono tali che, durante il periodo della lora presenza in loco, spesso, anche solo per brevi periodi, iI consenso viene a mancare.
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Quando sia in corso un conflitto armata e le parti abbiano interesse a prevaIere l'una sull'altra, il rispetto della presenza e del mandato di una Forza di peace-keeping sembra per forza di cose piuttosto aleatorio. L’esistenza dell’autorizzazione del Consiglio di sicurezza fa salva la liceità della presenza in loco delle Forze e delle attivita che queste svoIgono.
Opportunità della presenza del mandato o dell' autorizzazione del Consiglio di sicurezza valutazione della situazione concreta e dello stadio in cui si trovi il conflitto. Se detta valutazione non dipende da fattori squisitamente politici, ma si fonda proprio sulle preoccupazioni circa il consenso del sovrano territoriaIe e, piu in generale, delle parti in conflitto, è possibile concludere che la disciplina in esame è fedele ai principi e ai fini delle Nazioni Unite e rispettosa dell'art. 53.1 della Carta
b) La interaction tra L'ONU e La CSI nel corso dell'attuazione di operazioni di peace-keeping nel quadro della CSI Capitolo VIII Art. 54 Unica disposizione relativa all’obbligo di tenere il Consiglio pienamente informato delle attivita intraprese o progettate. Sulla sua applicabilità a ogni attivita regionale per il mantenimento della pace, e dunque anche al peace-keeping, non sembra possibile esprimere obiezioni decisive. Consiglio di Sicurezza Grazie alla piena informazione che essa richiede, può esercitare la propria responsabilita principale nel mantenimento della pace e della sicurezza intemazionale, come prescritto dall’Art. 24.1 della Carta, anche riguardo alle iniziative regionali. Art. 54
1) Costituisce un essenziale trait d'union tra universalismo e regionalismo
Responsabilità del Consiglio, e dell’ONU, I'attività per il mantenimento della pace decentrata a livello regionale.
2) Rappresenta l'unico trait d'union tra I’organizzazione/accordo regionale e I'ONU che il
Capitolo VIII espressamente prevede: Alcuni principi per la gestione di operazioni di peace-keeping
Consiglio e Ie organizzazioni/accordi regionali dovrebbe conformarsi: Responsabilità principale del Consiglio nel mantenimento della pace e della sicurezza
internazionale
Il peace-keeping regionale dovrebbe essere attuato rispettando siffatta responsabilità consiliare, e in ogni caso tale da renderne possibile I’esercizio.
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Art. 52 spiccata preferenza del sistema della Carta per Ie iniziative regionali, alle quali viene
riconosciuta priorità rispetto al diretto coinvolgimento del Consiglio di sicurezza
Assenza di un rapporto gerarchico tra meccanismi regionali e ONU
Assenza, di una divisione del lavoro rigida e predeterminata tra gli uni e I'altra.
Art. 52 prospetta un rapporto di concorrenza e collaborazione tra i meccanismi regionali e I'ONU per il fine del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale
1999 Agenda per la Pace Espone la flessibilità nella definizione del ruolo delle organizzazioni/accordi regionali e dell'ONU nel quadro del Capitolo VIII, in una generale prospettiva di favore per il meccanismo regionale e di reciproca collaborazione. L’Agenda per la pace prospetta un contributo di organizzazioni e accordi regionali in questo settore:
- consultazioni relative alla natura di un problema - misure richieste per affrontarlo - assunzione della guida nella gestione di una crisi nell' ambito della lore regione
9 Dicembre 1994 Dichiarazione sul rafforzamento della cooperazione tra Ie Nazioni Unite e gli accordi
o organizzazioni regionali nel mantenimento della pace e della sicurezza internazionale
La tendenza è stata confermata dall' Assemblea Generale.
PARTE 4 DELLA DOTTRINA Rapporti tra CSI e ONU nelle situazioni in cui Ia CSI si sia attivata in vista della soluzione di un conflitto
Gran parte delle disposizioni della Parte 4 afferiscono specificamente al peace-keeping.
Al Consiglio devono essere comunicate Ie «decisioni relative alla conduzione delle operazioni di peace-keeping»
Altre due previsioni afferenti in generale all’attivita di prevenzione e gestione dei conflitti attuata nella cornice della CSI:
- Informazione al Segretario Generale - Discussione in seno al Consiglio di sicurezza.
Il Consiglio risulta pienamente investito delle iniziative della CSI e posto in condizione di esercitare Ie proprie competenze in conformita con I'art. 24.1 della Carta. Osservazioni: La Dottrina si preoccupa di regolare i rapporti tra organizzazione universale e istanza regionale
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contemporaneo coinvoIgimento nelle crisi locali e della lora cooperazione in vista della soluzione di queste ultime.
La disciplina si colloca certamente sulla medesima lunghezza d'onda dell’Agenda per la pace.
Cinque principi (pag.14) applicabili per la prevenzione e soluzione dei conflitti adottate nell’ambito della CSI
I primi due ripropongono due delle forme di collaborazione tra ONU e organizzazioni regionali riguardo al peace-keeping:
o Consultazioni o Supporto diplomatico (par. 26 del Supplemento all’Agenda per la Pace)
Tesi a realizzare:
- coordinamento delle di peace-keeping - migliore sfruttamento delle rispettive potenzialita dell'ONU, e della CSI
Sono due, in particolare, Ie disposizioni rilevanti:
1) Co-dispiegamento (co-deployment) menzionato nel Supplemento all'Agenda per la pace Dislocamento di:
o Una piccola missione di peace-keeping dell'ONU (in particolare, di una missione di osservatori)
o Una Forza di pace dell' organizzazione regionale.
2) La seconda delle due disposizioni menzionate prevede invece la «complementarietà degli sforzi e un ragionevole equilibrio tra la responsabilità politica, morale e finanziaria di tutti i soggetti coinvolti nella risoluzione del conflitto»
Sforzo congiunto della CSI e dell’ONU in vista della soluzione dei conflitti Modello delle operazioni congiunte (joint operations) dell'ONU e dell'organizzazione/accordo regionale previsto nel Supplernento.
Dalle due disposizioni emergono elementi che meritano una riflessione
1) In primo luogo, nella Dottrina è del tutto assente la previsione di un supporto operativo (operational support) della CSI a operazioni di peace-keeping delI'ONU, che invece emenzionato neI Supplemento.
Il Supplemento menziona il ruolo della forza aerea della NATO nei confronti della UNPROFOR, in Bosnia-Erzegovina.
In quell'occasione si è probabilmente realizzata la piu stretta forma di controllo, ad opera delle Nazioni Unite, dell' attivita militare condotta a Iivello regionale.
2) La Dottrina:
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o non fa menzione del fatto che, secondo il Supplemento, Ie due diverse missioni opererebbero "in conjunction"
o non fa menzione che, in particolare, gli osservatori delle Nazioni Unite dovrebbero verificare che I' organizzazione regionale operi in conformità con Ie risoluzioni consiliari.
Si può notare che esso corrisponde solo sotto alcuni aspetti al modello delle joint
operations Dalle osservazioni sembra emergere, che:
Ia Dottrina adottata dalla CSI nel 1996 è sostanzialmente rispettosa della responsabilità principale del Consiglio di sicurezza nel mantenimento della pace e della sicurezza internazionale
si sforza di collocare il c.d. peace-keeping della CSI nella cornice istituzionale delle Nazioni Unite, con un occhio all' Agenda per la pace
Da una parte Ia CSI auspica il coinvolgimento dell'ONU,
Dall'altra parte essa preferisce giocare un ruolo privilegiato e lasciare aIle Nazioni Unite un ruolo di supporto.
9. MISURE COERCITIVE NEL QUADRO DELLA CSI Parte 2, ultimo paragrafo, della Dottrina,
Si riferisce esclusivamente alla coercizione militare. Nessuna menzione relativa a eventuali autorizzazioni del Consiglio di sicurezza riguardo alle
sanzioni economiche. Ciò non sembra essere in contrasto con Ia Carta L'espressione "enforcement action" adoperata nell'art. 53.1 non si riferisce all'imposizione di sanzioni economiche a Iivello regionale
10. LE COLLECTIVE PEACE-KEEPING FORCES DELLA CSI NELLE RISOLUZIONI DEL CONSIGLIO DI SICUREZZA, ALIA LUCE DEL CAPITOLO VIII DELLA CARTA ONU a) La Forza inviata in Tagikistan, dal momenta del suo dislocamento alla firma del Protocollo sulle questioni militari dell'8 marzo 1997 Forza inviata in Tagikistan Differenza tra:
Attività che la Forza ha svolto: dal 1993 (anno in cui estata dislocata nel Paese) all' 8 marzo 1997 (quando estate firmato il Protocollo sulle questioni militari)
Attività svolte dal 1997 in poi. PRIMO PERIODO la Forza ha fatto ampio uso della forza armata
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Consenso del solo sovrano territoriale (il govemo "legittimo" del Tagikistan), e non anche con quello dei partiti di opposizione in conflitto con esso, contro i quali ha anzi condotto anche ostilita.
L’accordo multilaterale sulla base del quaIe la Forza in parola estata costituita e inviata non basta a rendere lecita Ia sua attivita
Esso prevede infatti espressamente che la Forza multinazionale combatta contro Ie forze di opposizione fuoruscite in Afganistan e intenzionate a rientrare nel Paese per rovesciare iI governo al potere.
Per poter inquadrare nel Capitolo VIII l’attività da essa effettuata in questo primo periodo, sembra necessaria l' autorizzazione del Consiglio di sicurezza. Le risoluzioni adottate dal Consiglio di sicurezza sulla situazione in Tagikistan fino al 1997 non
autorizzano espressamente il dislocamento e il mandato della Forza. In esse non è neppure possibile ravvisare un' autorizzazione implicita al riguardo.
Il Consiglio di sicurezza ha cominciato a interessarsi della situazione di crisi di quella regione ben dopo che Ia guerra civile scoppiasse
16 dicembre 1994 Risoluzione 968 (1994)
Prima risoluzione adottata dal Consiglio sulla crisi in Tagikistan
mentre Ia Forza della CSI e entrata in territorio tagiko nell'autunno del 1993.
Dunque il Consiglio non ha implicitamente autorizzato ex ante la costituzione della Forza.
Con questa risoluzione, il Consiglio di sicurezza ha deciso la costituzione della UNMOT
missione di osservatori militari incaricata di fornire assistenza alIa Commissione congiunta delle parti nel monitoraggio dell' attuazione dell' accordo suI cessate-il-fuoco appena stipulato
La tesi dell’assenza di un' autorizzazione si fonda su diversi argomenti.
1) Nella parte dispositiva della risoluzione, il Consiglio: né si rivolge alla Forza, agli Stati che l’hanno costituita o alla CSI né esprime in alcun modo apprezzamento per l'attività dalla Forza svolta fino a quel
momento. L'unica disposizione riferibile, probabilmente, anche agli Stati partecipanti o alla Forza stessa è quella in cui il Consiglio invita a: Facilitare il processo di riconciliazione nazionale in Tagikistan Astenersi da ogni azione suscettibile di ostacolare il processo di pace.
Il Consiglio si riferisce invece espressamente all'UNMOT di mantenere con essa
stretti contatti.
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2) Distanza mantenuta dal Consiglio rispetto alIa Forza della CSI: Strategia di soluzione del conflitto del tutto diversa e parallela rispetto a quella perseguita dalla Forza.
Il Consiglio espressamente chiede alle parti in conflitto di collaborare con la UNMOT. Il Consiglio chiede aIle parti di rispettare gli obblighi assunti nell' accordo menzionato e di
moltiplicare gli sforzi per addivenire a una soluzione politica globale del conflitto. Il silenzio del Consiglio non è una tacita approvazione dell'attivita della Forza.
3) Risoluzioni successive Atteggiamento del Consiglio rimane sostanzialmente immutato
Mai esso manifesta approvazione per il ruolo giocato dalla Forza nel conflitto
16 Giugno 1995 Risoluzione 999(1995)
Neanche in questa circostanza, il Consiglio sembra propriamente offrire una copertura all’ attività della Forza della CSI.
Tiene in conto Ie assicurazioni russe sulla condotta della Forza
- Senza prendere posizione - Senza esprimere apprezzamento per Ie attività della Forza
Talvolta menziona l'importanza dell’UNMOT Fa anche riferimento al fatto che, per alcuni periodi, la Forza della
CSI si è fatta carico di provvedere alia sicurezza degli osservatori dell' UNMOT.
4) il Consiglio di sicurezza non è mai stato ufficialmente informato delle sue attività
Art. 54 della Carta ONU non ha trovato applicazione
5) Dal momento della sua costituzione fino alla conclusione del Protocollo sulle questioni militari, la CIS Collective Peace-keeping Force ha operato completamente al di fuori della cornice istituzionale delle Nazioni Unite.
b) La Forza inviata in Tagikistan, dall'8 marzo 1997 in poi La Forza ha svolto funzioni di enforcement simili a quelle delle forze multinazionali per
o Compiti affidati dal Protocollo alIa Forza della CSI (disarmo delle truppe dell’opposizione e la lora integrazione nei ranghi dell' esercito regolare)
o Ampio uso delle armi fatto da quest'ultima o Presenza del consenso di tutte le parti in conflitto
Il Protocollo, è stato sottoscritto:
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- sia dal governo “legittimo” del Tagikistan - sia dall'UTO (la United Tajik Opposition)
Proprio la presenza di siffatto consenso in linea teorica riva il mandato affidato alla Forza di natura coercitiva nei confronti delle parti. Potrebbe ritenersi non necessaria l’autorizzazione del Consiglio ex art. 53.1 per poter inquadrare nel Capitolo VIllI' attivita svolta dalla Forza in attuazione del Protocollo. Il consenso delle parti è stato nel tempo effettivo:
- Smilitarizzazione delle truppe dell'UTO - Integrazione di molti leaders dell'UTO nel govemo e nell' amministrazione del Paese - Legalizzazione di tutti i partiti politici dell'opposizione cacciati in Afganistan
ma
Gravissimi problemi di sicurezza che hanno caratterizzato la situazione in Tagikistan dal 1997 in poi [Autorizzazione del Consiglio di sicurezza sarebbe stata comunque opportuna] 1997 in poi il Consiglio ha mantenuto un atteggiamento diverso rispetto a quello precedente. il Consiglio esprime apprezzamento per il contributo delle forze della CSI
Tale apprezzamento è sufficiente a ravvisare la copertura del Consiglio all'attivita svolta dalla Forza, in attuazione del Capitolo vm della Carta? Copertura fomita ex post: Nessun cenno ai compiti assunti dalla Forza nel Protocollo e infatti ravvisabile nella risoluzione 1099(1997) del 14 maggio 1997
Atteggiamento piuttosto tiepido del Consiglio in relazione al ruolo attribuito alIa Forza della CSI nel Protocollo.
Risoluzione 1099 (1997) Consiglio di Sicurezza:
Invita le parti ad operare in conformità con il Protocollo Affida all'UNMOT alcuni compiti relativi all'assistenza delle parti nella
sua attuazione.
Apprezzamento espresso dal Consiglio autorizzazione implicita.
Sancisce l’inclusione della Forza nella strategia di soluzione della crisi perseguita dal Consiglio di sicurezza.
Neanche dopo la firma del Protocollo sulle questioni militari, pero, I' art. 54 ha trovato applicazione:
o Forza o Stati partecipanti non hanno provveduto a fomire rapporti al Consiglio o o o Organi della CSI
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tenendo costantemente informato il Segretario Generale, o il suo Rappresentante Speciale
C) La forza inviata in Abkatsia Le forze di peace-keeping Force della CSI in Abkatsia
Espressa autorizzazione del Consiglio di Sicurezza ai sensi dell’Art. 53, par 1
Risoluzione 934 (1994) il Consiglio esprime soddisfazione:
Per l’inizio dell’attività della Forza
Per l’assistenza sul cessate il fuoco
E per la separazione delle forze (firmato il 14 maggio 1994)
Accoglie con favore la Costituzione della Forza ad opera della Federazione Russa
Puntualizza che essa si coordina con la UNOMIG
E che essa si conforma ai principi e alla prassi delle Nazioni Unite
Il Consiglio:
o Apprezza il ruolo della Peace-Keeping Force della CSI per la stabilizzazione della situazione nella regione
o Valuta questo intervento come uno strumento che rientra nella strategia consiliare di soluzione della crisi in Abkatsia
RAPPORTI TRA CSI E ONU
1. Risoluzione 937 Consiglio di Sicurezza, nel Preambolo, esprime apprezzamento per: Volontà della Federazione Russa di informare i membri del Consiglio sulle attività della forza in accordo con l’art 54 della Carta 14
Nonostante questo richiamo il Consiglio non sembra essere stato avvisto regolarmente
A supplire all’assenza di un’informativa completa del consiglio sulle attività della Forza, potrebbe valere il rapporto tra quest’ultima e la UNOMIG
2. La CSI ha talvolta anche favorito nettamente i separatisti abkatsi contro il governo legittimo e ha talvolta favorito il clima di violenza.
14 ART 54: Il Consiglio di Sicurezza deve essere tenuto, in ogni momento, pienamente informato dell’azione intrapresa o progettata in base ad accordi regionali o da
parte di organizzazioni regionali per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale.
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Ad ogni modo il Consiglio non ha mai manifestato biasimo nei loro riguardo Rinunciando al controllo completo dell’iniziative intraprese nella cornice della CSI per la soluzione della crisi nella regione.
11. I RAPPORTI TRA LE DUE COLLECTIVE PEACE-KEEPING FORCES CSI E LE MISSIONI DI PEACE-KEEPING DELLE NAZIONI UNITE OPERANTI IN LOCO a) La Collettive Peace-keeping Force dislocata in Abkatsia e la UNOMIG La forma di collaborazione tra ONU e CSI nella crisi dell’ Abkatsia
Impegno contemporaneo della collective peace-keeping Force della CSI definita co-deployment Missione UNOMIG
Due aspetti:
1. Collegamento della missione delle NU con la presenza in loco delle Collective Peace-Keeping Force 2. Alla missione ONU si siano affidati compiti strettamente connessi all’attività della Forza della CSI
1) Primo Aspetto: o Il dislocamento dell’UNOMIG si trovava già in loco quando la Forza della CSI è stata formata
Consiglio di Sicurezza aveva deciso la sua costituzione con la Risoluzione 858 (1993)
o Dopo la creazione e il dislocamento della Collective Peace-Keeping Force della CSI con la Risoluzione 937 (1994)
il Consiglio di Sicurezza ha affidato alla UNOMIG un nuovo mandato, collegato con quello della suddetta Forza della CSI
2) Secondo Aspetto: o Risoluzione 937 (1994) affida all’UNOMIG il compito di “osservazione” delle attività svolte
della forza delle CSI .
Svolgimento dei compiti previsti nell’accordo di cessate il fuoco e del suo mandato.
L’organizzazione regionale è vincolata al rispetto dei parametri concordati con l’OSCE
o Il co-deployment si realizza nel meccanismo di rispetto del Third Party peace-keeping
Una forma minimale di controllo delle c.d Forze di pace della CSI, ma pur sempre una forma di controllo che certo ha soritio effetti positivi nella crisi dell’Abkatsia.
CONCLUSIONI DEL RAPPORTO CSI E ONU Secondo la valutazione del segretario Generale dell’ONU
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La forma di collaborazione e di controllo del peace-keeping regionale attuata dalle Nazioni Unite nei modi del co-deployment vale a collocare lo stesso peace-keeping regionale nella cornice istituzionale dell’ONU.
b) la Collective Peace-Keeping Force dislocata in Tagikistan e L’UNIMOT La relazione tra la Forza della CSI e l’UNMOT è flebile, e fino al 1997, inesistente Fino al 1997 tra la Collective Peace-Keeping e l’UNMOT sono intercorse solo “close liasisons” instaurate in loco.
Queste “close liasisons” sembrano essere state dovute allo scopo di evitare scontri e tensioni tra le due missioni
ES: di “close laisons” fu relativamente alla garanzia di sicurezza di peace-keeping che la CSI dovette assicurare alle Nazioni Unite
Non sembra si sia sviluppata una forma di collaborazione e controllo definita come co-deployment
Le due missioni hanno operato secondo strategie assolutamente parallele
1997 Protocollo sulle questioni militari
si prevedeva che la Collective Peace-Keeping Force svolgesse i propri compiti afferenti al disarmo delle unità armate dell’UTO sotto la supervisione dell’UNMOT15.
Diversamente il “co-deployment” consiste nel rapporto di “conjuction”
Nel caso del Tagikistan, il co-deployment (supervisione dell’UNMOT sulla Forza CSI) si è realizzato in modo molto timido e circoscritto rispetto al caso dell’Abkatsia.
12. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE a) La prassi anteriore al 1996 alla luce della “ Dottrina per la prevenzione e la soluzione dei conflitti nel territorio degli stati membri della CSI”: progressi e cautele Riflessione sui rapporti tra l’ONU e la CSI
15 Parte II articolo 5 punto b) del protocollo. Nella risoluzione 1138 (1997) il consiglio ridefinisce il mandato dell’UNMOT in vista delle nuove esigenze connesse con
l’attuazione degli accordi di pace, non si fa esplico riferimento alla supervisione della CSI. Si stabilisce solo genericamente che l’UNMOT si occupi di monitorare le attività
riguardo alle Collective Peace-Keeping Force.
Ciò dimostra che la contemporanea presenza in una situazione di crisi di una missione di
peace-keeping dell’ONU e di una Forza di Pace costituita nella cornice di
un’organizzazione regionale non vale di per sé a realizzare la forma di collaborazione
definita come co-deployment*, né basta allo scopo che le due diverse missioni collaborino
tra di loro e si prestino supporto.
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Come si sono sviluppati nella prassi relativa all’attuazione di operazioni di peace-keeping alla luce della Dottrina per la prevenzione e la soluzione dei conflitti nel territorio degli stati membri della CSI del 1996? L’invio delle due forze in Tagikistan e in Abkatsia è precedente all’adozione della Dottrina e nel momento in cui ha avuto luogo, gli stati della comunità non si erano ancora dotati di regole precise circa la collaborazione con l’ONU sotto questo aspetto
Dal momento in cui CSI e ONU hanno avuto modo di interagire, come si è evoluta la loro cooperazione rispettto alla fase precedente?
a) Forza inviata in Tagikistan secondo la dottrina il consiglio di sicurezza dell’ONU avrebbe necessariamente dovuto conferire il proprio mandato.
o Essa svolgeva funzioni ascrivibili alla peace enforcement della CSI è abilitata ad operare solo in presenza di un apposito mandato consiliare la dottrina esclude espressamente che le forze di peace keeping della CSI possano essere impegnate in combattimenti
b) La collective Peace-Keeping Force attiva in Abkatsia, la forza in parola si presenta come una tipica Collective Peace Keeping Force della CSI.
o La Dottrina non stabilisce che necessariamente simili forze debbano essere impegnate dietro mandato consiliare ma auspica richiedendolo come “as a rule”
La forza in Abkatsia avrebbe dovuto ricevere il mandato del consiglio di Sicurezza
La dottrina prevede la possibilità che Forze di Pace della CSI e missioni di osservatori dell’ONU operino contemporaneamente in loco.
Tralascia, ogni riferimento alla co-deployment, ovvero a quella forma di collaborazione individuata per la prima volta sulla base della prassi relativa alla UNOMIG e alla Collective Peace Keeping Force della CSI inviata in Abkatsia.
Al contrario la forma di collaborazione tra le missioni ONU e le Collective Peace Keeping Force ricordano le “ close liasisons” auspicate dal consiglio riguarda all’UNMOT e Alla forza della CSI inviata in Tagikistan.
o Ad ogni modo si è instaurato un rapporto di co-deployment anche se strettamente operativa (a differenza che in Abkatsia)
Per quanto concerne la collaborazione tra ONU e CSI nel peace-keeping se
confrontata con la prassi precedente, ma anche successiva, la dottrina del
1996 è deludente.
Si può augurare che nella prassi riesca comunque a realizzarsi una
collaborazione incisiva tra le Forze della CSI e le missioni ONU
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b) Il peace-keeping della CSI e l’atteggiamento del Consiglio di sicurezza
in Abkatsia il consiglio solo implicitamente ha autorizzato la costituzione e il mando della CSI
eppure il consiglio di sicurezza era incline alla costituzione di una forza di peace-keeping da inviare in Abkatsia
o il contributo della Forza della CSI nella gestione della Crisi in Abkatsia è stato delineato sotto il controllo delle NU
o CSI e UNOMIG hanno collaborato in modo molto stretto
In Tagikistan la cautela del consiglio è visibile
Nei primi anni della presenza della Forza in territorio Tagiko, il consiglio ha ignorato l’attività della Forza e mai ha avallato lo statement
Più condiscendente l’atteggiamento del Consiglio dopo la firma del Protocollo Apprezzamento dell’attività già compiuta della forza
Spesso le Collective Peace-Keeping forces della CSI hanno operato in modo non del tutto conforme ai principi e fini delle Nazioni Unite Talvolta hanno operato in aperto contrasto con quei fini e principi Atteggiamento del Consiglio di Sicurezza verso la CSI (in relazione all’Art. 52, par.1 della Carta)
Rapporti tra il Consiglio e la CSI conformi al Capitolo VIII della Carta ONU
quando Collective Peace-Keeping Force ha operato conformemente ai fini e principi della Carta
Solo nel caso dell’Abkatsia ma
In seguito alla sua costituzione, è parso chiaro che la forza avrebbe operato in favore dei separatisti Abkatsi
Il Consiglio non si è più sbilanciato in simili valutazioni
Caso in cui il Consiglio di Sicurezza è stato maggiormente cauto
quando Contrasto delle attività delle Collective Peace-Keeping Forces con i principi delle Nazioni Unite: Forza inviata in Tagikistan
o Pressoché totale disinformazione del Consiglio sull’attività della Forza o Distacco verso la Forza o Carattere limitato del Co-deployment
Riguardo alla Forza in Abkatsia, il Capitolo VIII ha trovato attuazione
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Riguardo alla Forza in Tagikistan, il Capitolo VIII è rimasto non attuato nei primi anni e anche dal 1997 in poi
EPPURE
Consiglio di Sicurezza Sia per la crisi in Abkatsia che in Tagikistan:
MAI ha valutato le due diverse situazioni alla luce dei Capitoli VI e VII della Carta o Pur con le loro deviazioni, le due forze hanno svolto funzioni di enforcement o Possono essere accostate a Forze multinazionali
Abilitate a fare ampio uso della forza armata Operanti con il consenso delle parti
Consiglio Autorizza queste forze:
- Sulla base del Capitolo VII - Situazione di minaccia della pace (Art. 39)
E’ solito indicare: o Mandato NON FA NULLA o Durata della permanenza DI CIO’
Non ha mai cercato di indirizzare le Collective Forces.
o Non ha mai rivolto raccomandazioni agli Stati che si sono fatti carico della loro costituzione
o Non ha mai adottato risoluzioni con effetti vincolanti o Ha lasciato mano libera alla Russia disattendendo le proprie
responsabilità Ha perseguito forme di collaborazione almeno a livello operativo
o Ha cercato di rendere il più possibile conforme l’attività delle due forze ai fini delle Nazioni Unite
- UNOMIG funzione deterrente - UNMOT
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IL RUOLO DELL’UNIONE AFRICANA NELLA CRISI SOMALA: LA MISSIONE AMISOM E I RAPPORTI CON IL CONSIGLIO DI SICUREZZA DELLE NAZIONI UNITE.
SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. La situazione politico-militare della Somalia e le reazioni della comunità internazionale. – 3. L’intervento dell’Unione africana in Somalia. - 4. La risoluzione n. 1744 e l’autorizzazione al dispiegamento della missione AMISOM. - 5. I rapporti tra l’Unione africana e le Nazioni Unite alla luce della risoluzione 1744 e del Protocollo istitutivo del Consiglio africano per la pace e la sicurezza. – 6. Conclusioni.
PREMESSA 20 febbraio 2007 Risoluzione n°1744/2007
Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (con una risoluzione adottata all’unanimità nel quadro del capitolo VII della Carta) + Decisione del Consiglio africano per la pace e la sicurezza16 ha autorizzato gli Stati membri dell’Unione africana a stabilire, per un periodo iniziale di sei mesi, una missione in Somalia (AMISOM) obiettivo ripristinare e mantenere la sicurezza nella regione, a seguito della grave crisi politica e militare attraversata dal Paese.
Gli Stati membri dell’Unione africana sono stati autorizzati a prendere tutte le misure necessarie
per portare a compimento il mandato o sostenere il dialogo tra le fazioni in lotta, o creare le condizioni di sicurezza necessarie a consentire l’assistenza umanitaria alla
popolazione o garantire la protezione dei membri del governo federale di transizione affinché possano
esercitare le proprie funzioni. Preambolo della risoluzione Consiglio di sicurezza:
- Autorizza gli Stati membri dell’Unione africana al dispiegamento della missione - Approva l’intenzione dell’Unione africana di voler stabilire una missione
colmare il vuoto di sicurezza causato dal ritiro dal Paese delle truppe etiopi, intervenute in precedenza a sostegno del governo di transizione.
16 PSC/PR/Comm(LXIX), adottato il 19 gennaio 2007.
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20 Agosto 2007 Risoluzione n. 1772 (Dopo un comunicato del Consiglio africano del 18 luglio, con il quale veniva decisa
l’estensione del mandato della missione AMISOM per un periodo di ulteriori sei mesi17) Autorizza gli Stati membri dell’Unione africana a mantenere la missione
di pace per lo stesso periodo, con un mandato sostanzialmente identico a quello previsto dalla risoluzione n. 1744
Richiede al Segretario generale di continuare a studiare la realizzazione di un possibile spiegamento di una missione di peace-keeping delle Nazioni Unite che si dovrebbe sostituire all’AMISOM18.
18 gennaio 2008 Nuovo comunicato19 del Consiglio Africano Esteso il mandato dell’AMISOM di ulteriori sei mesi
o mantenendone invariati i caratteri o necessità che venga istituita una missione di peace-keeping delle
Nazioni Unite o Il Consiglio africano fa di nuovo appello al Consiglio di sicurezza
urgenza di un’azione nel quadro del capitolo VIII della Carta
Maggiore chiarezza sui rapporti intercorrenti tra le Nazioni Unite e la “nuova” organizzazione africana, succeduta nel 2001 all’Organizzazione per l’Unità africana20
SOMALIA 1991 L’instabilità politica, economica e militare, che ha caratterizzato la Somalia dai tempi della sua
indipendenza, ha raggiunto il culmine a partire dalla caduta del Presidente Siad Barre
un generale salito al potere con un colpo di stato nel 1969
lotta per il potere contrapposizione di diversi gruppi tribali, guidati dai c.d. signori della guerra, i quali in una prima fase si erano alleati per porre fine alla dittatura del generale
17 PSC/PR/Comm(LXXX), paragrafo 15.
18 Il Consiglio di sicurezza ha chiesto al Segretario generale di identificare le possibili azioni che le Nazioni Unite potrebbero
intraprendere al fine di creare le condizioni necessarie allo spiegamento di una missione delle Nazioni Unite in Somalia. Il Segretario generale è stato inoltre invitato a redigere un rapporto sulla situazione in Somalia; tale rapporto è stato trasmesso al Consiglio di sicurezza il 7 novembre 2007 (v. S/2007/658).
19 PSC/PR/Comm(CV).
20Il Trattato di Lomè, istitutivo dell’Unione africana e adottato nel luglio 2000, è entrato in vigore il 26 maggio del 2001, 30 giorni dopo il deposito del trentaseiesimo strumento di ratifica. L’articolo 33 del Trattato regola la successione all’OUA, stabilendo i tempi e le modalità del trasferimento dei beni e degli oneri dalla vecchi alla nuova organizzazione; peraltro, nel lasso di tempo necessario alla creazione degli organi dell’Unione, il Segretariato dell’OUA ha svolto le funzioni di Segretariato dell’Unione
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1991 la situazione è progressivamente peggiorata o Mancanza di un’autorità in grado di esercitare il potere effettivo sull’intero territorio
ripartito tra i diversi clan
o Grave crisi economica
o La parte settentrionale del Paese aveva dichiarato la sua indipendenza rompendo definitivamente l’unità politica e territoriale già da tempo compromessa
Repubblica del Somaliland21
o La struttura sociale e politica del Paese, piuttosto articolata e complessa, è stata da sempre caratterizzata dalla presenza di numerosi clan in lotta tra loro, nei confronti dei quali il governo centrale non era mai riuscito ad imporre effettivamente la propria autorità.
2000 Conferenza di Pace [Gibuti]
Dopo nove anni di guerra civile, è stato avviato un processo di pacificazione che sembrava dovesse concludersi nel 2004 grazie all’intervento dell’Autorità intergovernativa sullo sviluppo22
2004 Conferenza di pace e di riconciliazione di Nairobi
Si erano costituiti: o Parlamento provvisorio o Governo federale di transizione o Carta costituzionale
Queste istituzioni, non hanno tuttavia mai acquistato un controllo effettivo del territorio, ad eccezione di una esigua parte
2006 Drastico mutamento
Unione delle Corti islamiche23, in conflitto con i signori della guerra consolida il proprio potere
21 La Repubblica del Somaliland è stata una colonia britannica fino al 1960, quando si è unita all'ex Somalia italiana dando
vita alla Repubblica di Somalia. Tuttavia l'unione ha avuto vita breve: nel 1980 si è aperta una guerra civile che ha portato al completo collasso della Repubblica Somala. Subito dopo la caduta di Barre, il Somaliland ha deciso di secedere e costituire una repubblica indipendente. Nonostante un decennio di instabilità politica, il Somaliland è rimasto estraneo alle vicende della guerra civile in Somalia e all’intervento militare etiope. Attualmente il Somaliland intrattiene contatti politici con alcuni Paesi africani ed europei, tra cui il Regno Unito e la stessa Unione europea, che, nel gennaio 2007, ha inviato una delegazione presso la repubblica africana per discutere la possibilità di una futura cooperazione. Anche L'Unione africana ha avviato trattative in vista di un futuro riconoscimento dello Stato. 22
L’Autorità intergovernativa sullo sviluppo (IGAD) è un’organizzazione sub regionale costituita da sette Stati appartenenti all’area dell’Africa orientale. L’IGAD è stata costituita nel 1996 in sostituzione dell’Autorità intergovernativa sulla siccità e lo sviluppo, fondata nel 1986: nel marzo del 1996, infatti, gli Stati membri dell’Autorità decisero di “ristrutturare” l’organizzazione, con lo scopo di rafforzare la cooperazione tra gli Stati partecipanti non soltanto in campo economico e sociale, ma anche nel settore del mantenimento della pace e della sicurezza. 23
L'Unione delle Corti islamiche raggruppa le varie corti esistenti a Mogadiscio, costituite con l’obiettivo di dirimere le contese locali e mantenere l'ordine pubblico attraverso le proprie milizie, proprio a causa della mancanza di un forte governo centrale. Dopo l'attacco subito da parte dei Signori della guerra, le singole corti locali si sono unite nell'Unione delle Corti islamiche, riuscendo con l’appoggio dalla popolazione locale a conquistare Mogadiscio. Le Corti hanno anche tentato di introdurre la Sharia, ma la connotazione del Paese, tipicamente tribale, ha ostacolato tale tentativo.
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Il governo etiope decide di intervenire a sostegno del governo di transizione: - Offensiva su larga scala per contrastare l’avanzata delle Corti
Consente al governo di transizione di ottenere il controllo della capitale24
Gennaio 2007 Intervento degli Stati Uniti
Attaccato le postazioni dei fondamentalisti islamici nel sud del Paese con l’obiettivo di catturare presunti terroristi, collegati alla rete di Al Qaeda
NAZIONI UNITE
hanno cercano di favorire una soluzione pacifica della crisi con una molteplicità di risoluzioni
1) Aprile 1992 invio di una missione di peace-keeping [UNOSOM I]
Risoluzione n. 751 del 24 aprile 1992 in conformità con le disposizioni dell’Accordo sull’applicazione del cessate il fuoco25, raggiunto il 3 marzo tra le due principali fazioni in lotta
o Ruolo delle Nazioni Unite nel meccanismo di sorveglianza sul cessate
il fuoco e nella gestione degli aiuti umanitari. o Consenso dell'allora governo territoriale o Caschi blu avrebbero potuto ricorrere alla forza armata soltanto in
caso di legittima difesa26. La situazione subì un peggioramento e apparve subito chiaro l’inadeguatezza del mandato in base
2) Seconda missione [UNOSOM II27 ]
24 L’intervento militare etiope, condotto attraverso l’ingresso nel Paese di oltre 300000 soldati, si è realizzato senza che lo
Stato fosse a ciò autorizzato dalle Nazioni Unite, ma piuttosto sulla base di una presunta autorizzazione del Governo federale di transizione al fine di combattere l’avanzata delle Corti islamiche. A sostegno dell’azione etiope sono poi intervenuti nel gennaio 2007 gli Stati Uniti, concentrando la loro azione nella parte meridionale del Paese, dove si riteneva trovassero rifugio alcune cellule di Al Qaeda. 25
V. UN doc. S/23693.
26 La risoluzione 751, adottata il 24 aprile del 1992, incaricava il Segretario di disporre l’immediato invio di 50 osservatori
per controllare il rispetto del cessate il fuoco a Mogadiscio. Con riferimento, invece, all’invio di una forza di sicurezza incaricata di proteggere lo svolgimento delle operazioni di soccorso umanitario, il Consiglio si disse invece d’accordo solo in linea di principio sul suo dispiegamento. Il mandato della UNOSOM I comprendeva la protezione degli aiuti umanitari, il monitoraggio del cessate il fuoco, il finanziamento degli aiuti umanitari e la promozione della riconciliazione nazionale. Se una parte della dottrina qualificò la UNOSOM I, come un’operazione di tipo classico, su lla base del fatto che presentava tutte le caratteristiche del peace keeping tradizionale, altri autori hanno, invece, sottolineato il carattere innovativo della missione, ponendo l’accento sul fatto che attraverso la risoluzione n. 751 veniva intrapresa per la prima volta un’operazione di mantenimento della pace diretta a proteggere l’invio dell’assistenza umanitaria prestata dalle agenzie delle Nazioni Unite e dalle organizzazioni non governative, definendo così tale missione come peace keeping di seconda generazione.
27 Prima dello spiegamento della UNOSOM II, il Consiglio di sicurezza, con la risoluzione n. 794 del 9 dicembre 1992, aveva
autorizzato il Segretario generale e gli Stati membri a dare attuazione all’offerta degli Stati Uniti di usare tutti i mezzi necessari per stabilire un ambiente sicuro per lo svolgimento delle operazioni umanitarie. L’intervento, denominato
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Risoluzione n. 814, adottata all’unanimità il 26 marzo 1993 o Uso della forza armata in situazioni che non si limitassero all’esercizio della
legittima difesa Da peace keeping in senso classico ad una vera e propria operazione di peace enforcement con mandato di usare la forza armata per:
- difendere la popolazione locale - realizzare il disarmo delle fazioni in lotta - raggiungere l'obiettivo di riportare la pace all’interno del Paese 28.
3) Risoluzione n. 1676 del 2006 o Ribaditi gli obblighi di embargo del 199229 o Gruppo di monitoraggio per la verifica di eventuali violazioni
dell’embargo
4) Risoluzione n. 1724 del 29 novembre 2006 o Rispetto dell’integrità territoriale della Somalia o Obbligo, in capo agli Stati membri delle Nazioni Unite, di non fornire armi o
assistenza alle parti in lotta.
5) Risoluzione n. 1725 o Recepita la proposta del Kenia, per la realizzazione di una missione di peace-
keeping, gestita dall’IGAD. Il Consiglio autorizza l’organizzazione sub regionale (e gli Stati membri dell’Unione africana) ad istituire una missione (IGASOM)
- monitorare i progressi nel dialogo di pace tra il governo somalo di transizione e le Corti islamiche,
- mantenere la sicurezza in alcune zone del Paese, - proteggere i membri del governo e le infrastrutture e favorire il
ripristino di forze di sicurezza nazionali. - Un iniziale periodo di sei mesi
UNITAF, ha avuto inizio nel dicembre 1992 con lo sbarco dei marines nella capitale somala e ha visto coinvolti non solo contingenti statunitensi, ma anche quelli di altri Paesi (tra i quali l’Italia), sotto il comando degli Stati Uniti. L’operazione ha poi avuto termine, per l’appunto, con l’avvio della Missione UNOSOM II. Per un’accurata analisi della missione v. GARGIULO, Le peace keeping operations delle Nazioni Unite, Napoli, 2000, p. 313 ss.
28 Questi nuovi elementi hanno spinto alcuni autori a parlare di peace keeping di terza generazione, ponendo l’accento sul
carattere distintivo dell’operazione da ravvisare nei poteri coercitivi di cui essa disponeva. Per questo ed ulteriori aspetti sull’intervento delle Nazioni Unite in Somalia, cfr. SOREL, La Somalie et les Nations Unies, in AFDI, 1992, p. 69 ss.; PONTECORVO, Somalia e Nazioni Unite, in PICONE, Interventi delle Nazioni Unite e diritto internazionale, Padova, 1995, p. 201 ss.
29 S/RES/733 (1992); con questa risoluzione adottata sulla base del capitolo VII della Carta il 23 gennaio 1992, il Consiglio di
sicurezza decise di imporre un embargo generale sulle armi e sugli equipaggiamenti militari, prevedendo altresì di concerto con le organizzazioni regionali interessate – OUA e Lega degli Stati arabi – un’azione di assistenza umanitaria nei confronti della popolazione locale. Tuttavia i contrasti tra le parti in lotta ostacolarono l’attuazione della risoluzione impedendo, in particolar modo, la definizione delle modalità concrete dell’operazione umanitaria. Fu così che l’allora Segretario generale Boutros Ghali propose l’invio di una missione tecnica con il compito di elaborare un piano per garantire l’invio degli aiuti e avviare trattative con le fazioni sul futuro monitoraggio degli aiuti da parte delle Nazioni Unite. Tale missione, istituita con la risoluzione n. 746 del 17 marzo 1992, pur realizzando un piano di aiuti senza precedenti, sotto la supervisione del Segretario generale e con il sostegno, tra gli altri, della FAO, dell’OMS, dell’UNICEF e dell’Alto Commissariato per i rifugiati, non riuscì tuttavia ad ottenere nessuna garanzia per la distribuzione degli aiuti umanitari.
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Tale risoluzione era stata tuttavia respinta dalle Corti islamiche che avevano considerato l’intervento di truppe straniere una sorta di invasione del Paese, alla stregua dell’intervento effettuato dei primi anni Novanta.
Maggio 2004 Comunicato del Consiglio africano per la pace e la sicurezza30
Si chiede alla Commissione africana31 di accelerare i preparativi per la realizzazione di una missione di osservatori militari dell’Unione africana, che: sostenesse il processo di pace monitorasse l’effettivo rispetto della cessazione delle ostilità
cooperando con l’IGAD Facilitation Committee (Comitato ad hoc creato in seno all’organizzazione sub regionale) Accelerare il processo di pace e la convocazione di una Conferenza di riconciliazione nazionale32.
Gennaio 2007 Unione africana aveva deciso di intervenire
Consiglio per la pace e la sicurezza dell’Unione africana aveva adottato un comunicato con cui decideva il dispiegamento di una missione di pace dell’Unione africana in Somalia (AMISOM)33. Commissione africana e il Comitato di stato maggiore34 avevano raccomandato lo spiegamento di una tale missione in Somalia.
30 Il Consiglio africano per la pace e la sicurezza, istituito con il Protocollo di Durban del 2002 ed entrato in vigore l’anno
seguente, è composto da 15 Stati membri dell’Unione africana ed è l’organo garante del mantenimento della sicurezza collettiva in Africa. Esso è un organo le cui decisioni, vincolanti per gli Stati membri, sono finalizzate alla prevenzione, alla gestione e alla soluzione dei conflitti all’interno del continente. Il Consiglio ha il compito di promuovere la pace, la sicurezza e la stabilità in Africa attraverso mezzi diplomatici, operazioni di peace keeping e di peace-building, ma anche attraverso la possibilità di attuare, sulla base di una decisione dell’Assemblea dell’Unione africana, un vero e proprio intervento coercitivo all’interno di uno Stato membro, ai sensi di quanto previsto dall’art. 4 lett. h) dall’Atto costitutivo dell’Unione, in caso di gravi circostanze, quali crimini di guerra, genocidio e crimini contro l’umanità. Per l’esercizio delle funzioni prev iste nel Protocollo, ed in particolare per le operazioni di mantenimento della pace e per gli interventi coercitivi, l’articolo 13 prevede l’istituzione di una African Stand-by Force composta da contingenti degli Stati membri, che integrano una componente militare e una civile, pronti ad un rapido spiegamento in caso di necessità immediata.
31 La Commissione è uno degli organi principali dell’Unione africana e svolge un ruolo centrale nella gestione ordinaria delle
politiche dell’Organizzazione. Le sue attività, definite in un apposito regolamento procedurale del 2002, vanno dalla rappresentanza esterna dell’Unione all’elaborazione di posizioni comuni, alla preparazione di studi e piani strategici per i lavori del Consiglio esecutivo. La Commissione, inoltre, svolge l’importante compito di elaborare, promuovere e coordinare i programmi e le politiche dell’Unione africana con quelli delle comunità economiche sub regionali presenti nel continente.
32 La missione sarebbe stata finalizzata altresì a sostenere e garantire la sicurezza del governo transitorio. La proposta, che
aveva ottenuto il consenso della Commissione Europea e che prevedeva il dispiegamento di una forza internazionale di 7.000 uomini provenienti dai Paesi dell’Unione africana e della Lega Araba, ad esclusione dei Paesi confinanti, Kenya, Etiopia e Gibuti, aveva ottenuto l’approvazione del Parlamento somalo, ma non quella delle Corti Islamiche, contrarie a qualsiasi ipotesi di intervento esterno.
33 Gia nei primi giorni del 2007 il Gruppo di contatto sulla Somalia (che comprende rappresentanti dell’Unione europea,
dell’Italia, del Kenia, della Norvegia, della Svizzera, della Tanzania, del Regno Unito, degli Stati Uniti, dell’Unione africana, dell’IGAD, della Lega degli Stati arabi e delle Nazioni Unite) si era riunito al fine di coordinare al meglio gli sforzi internazionali finalizzati al ripristino della stabilità e della sicurezza all’interno del Paese sottolineando in un comunica to il ruolo principale che le Nazioni Unite avrebbero dovuto assumere nella fase di ricostruzione e stabilizzazione a lungo termine della Somalia (il testo del comunicato è reperibile su http://www.igad.org/somaliapeace/isg_comm_050107.htm, 2 April 2007).
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MISSIONE AMISOM Finalizzata a promuovere la riconciliazione nazionale e a stabilire nel Paese strutture governative stabili, Istituita per un periodo di sei mesi, con il compito di:
- Sostenere il governo federale - Proteggerne i membri - Promuovere il dialogo interno - Facilitare gli aiuti umanitari - Porre le basi per una ricostruzione e uno sviluppo a lungo termine del Paese.
o Difficoltà che, da un punto di vista logistico e finanziario35
Missione autorizzata ad usare la forza armata solo come legittima difesa, integrando uno dei
requisiti che, assieme all’imparzialità e al consenso dello Stato territoriale, caratterizzano tradizionalmente le operazioni di peace-keeping36. Ai sensi del capitolo VIII della Carta, indipendentemente dalla preventiva autorizzazione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
Tuttavia, va rilevato come nel settore del peace-keeping si sia sviluppata, soprattutto negli ultimi anni, una capacità d’intervento autonomo da parte delle organizzazioni regionali, generalmente collegata a specifiche disposizioni contenute negli statuti37
34 Comitato degli Stati maggiori africani uniti, ai sensi dell’art. 13 del Protocollo di Durban, è un organo incaricato di
assistere il Consiglio africano in tutte le questioni di carattere militare. Esso è costituito dai Capi di Stato maggiore dei Paesi membri del Consiglio.
35 Le difficoltà di carattere logistico e finanziario che gli Stati africani incontrano nell’intraprendere una missione di pace
sono una costante sin dai tempi dell’OUA. Uno dei primi interventi della vecchia organizzazione, realizzato in Ciad nei primi anni ’80 per far fronte a un conflitto interno, non aveva conseguito i risultati sperati – la missione (IAF) si ritirò senza poter portare a compimento il proprio mandato – proprio a causa della scarsità di risorse, messe effettivamente a disposizione
della missione soltanto da tre Stati membri, e per il fatto che il costo da sostenere si era rilevato elevato, superiore addirittura al budget annuale dell’Organizzazione
36 Sul peace-keeping, v, tra gli altri, PICONE, Il Peace-keeping nel mondo attuale tra militarizzazione e amministrazione
fiduciaria, in Rivista di diritto internazionale, 1996, p. 5 ss.; CELLAMARE, Le operazioni di peake-keeping multifunzionali, Torino, 1999; FRULLI, Le operazioni di peace-keeping e l’uso della forza, in Rivista di diritto internazionale, 2001, p. 347 ss.
37 Si pensi, per esempio, all’Organizzazione degli Stati americani che, ai sensi dell’art. 8 del Trattato di Rio, può
intraprendere misure coercitive aventi efficacia vincolante per gli Stati membri, quali l’interruzione delle relazioni economiche, il richiamo dei rappresentanti diplomatici e l’uso della forza. L’articolo 3 del Trattato di Rio prevede che in caso di aggressione, consistente in un attacco armato, gli Stati hanno l’obbligo di intervenire nell’esercizio delle legittima difesa collettiva nei confronti dello Stato aggredito nel caso in cui ne faccia richiesta, ancor prima che venga adottata a riguardo una delibera dell’organo societario. La legittima difesa non è, tuttavia, la sola ipotesi: l’art. 6 del Trattato prevede, infatti, che nelle ipotesi in cui uno Stato membro subisca un’aggressione, non consistente in un attacco armato, gli Stati dovranno astenersi dall’intraprendere qualsiasi misura prima che l’Organo di consultazione permanente dell’OSA non abbia deciso quali misure adottare, pur sussistendo per l’organizzazione l’obbligo di informare il Consiglio di sicurezza. Tali misure saranno vincolanti per gli Stati membri, ad eccezione di quelle implicanti l’uso della forza armata, che possono essere soltanto raccomandate, non riconoscendo, infatti, il Trattato di Rio all’Organizzazione la possibilità di imporre ai propri membri il ricorso alla forza armata. C’è tuttavia da dire che in realtà la prassi offre esempi di misure non implicanti l’uso della forza, adottate dall’OSA senza che venisse richiesta una previa autorizzazione al Consiglio di sicurezza, come, per esempio, il blocco delle navi dirette a Cuba, deciso dall’Organizzazione nel 1962; cfr. PIRRONE, I rapporti tra OSA e ONU, in (a cura di) LATTANZI, SPINEDI, Le organizzazioni regionali e il mantenimento della pace nella prassi di fine XX secolo, Napoli, 2004, p. 63 ss. Le stesse considerazioni possono essere fatte valere per la Comunità di Stati indipendenti: l’Accordo di Kiev del 1992 prevede il ricorso ad osservatori militari e a forze di peace-keeping sul territorio degli Stati membri della CSI con l’obiettivo di prevenire o risolvere i conflitti armati, mentre e la Dottrina per la prevenzione en la soluzione dei conflitt i del
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La missione, in ogni caso, è destinata a trasformarsi in una operazione guidata dalle Nazioni Unite, volta alla stabilizzazione a lungo termine e alla ricostruzione post conflittuale del Paese. 1 gennaio 2007 Comunicati del Consiglio Africano
Ribadiscono un elemento che caratterizza le operazioni dell’Unione africana:
Partecipazione volontaria degli Stati membri, i quali vengono in effetti “esortati” a mettere a disposizione il proprio personale militare per lo spiegamento della missione.
o Altre organizzazioni internazionali: Unione europea38 Lega degli Stati arabi Nazioni Unite
affinché forniscano alla missione il proprio apporto finanziario, tecnico e logistico, in considerazione del fatto che l’Unione africana sta agendo nell’interesse dell’intera comunità internazionale.
o Specifica richiesta al Consiglio di sicurezza affinché autorizzi lo spiegamento di una missione delle Nazioni Unite con il compito di contribuire alla stabilizzazione e alla ricostruzione del Paese.
Febbraio 2007 Risoluzione del Consiglio di sicurezza n. 1744
Adottata un mese dopo come un’approvazione di qualcosa che era già stato deciso e che attendeva soltanto di essere attuato.
o Si accoglieva favorevolmente l'intenzione dell'Unione africana di stabilire una
missione in Somalia o Il Consiglio ha dichiarato espressamente di agire nel quadro del capitolo VII della
Carta autorizzando gli Stati membri dell'Unione - e non, quindi, l’organizzazione
1996, prevede che la CSI dovrà operare in vista della prevenzione, soluzione dei conflitti attraverso il ricorso a misure politiche, economiche e militari (peraltro lo Statuto sulle forze di peace-keeping, adottato contestualmente alla Dottrina, definisce le regole alla quali tali forze devono sottostare); cfr. PISTOIA, Il peace-keeping della Comunità degli Stati indipendenti, in La Comunità internazionale, 1999, p. 644 ss. Con riferimento, invece, all’Unione europea, va ricordato come il Trattato di Amsterdam riconosce all’art. 17 la competenza dell’Unione a svolgere una serie di attività, comprese que lle volte al mantenimento della pace: si tratta delle c.d. missioni di Petersberg, individuate già nel 1992 dal Consiglio dei Ministri dell’Unione europea occidentale; tali missioni possono consistere, tra l’altro, in missioni umanitarie e di soccorso, in attività per il mantenimento della pace e in missioni di unità di combattimento nella gestione di una crisi, comprese le missioni tese al ristabilimento della pace. V., tra gli altri, GRASSI, L’introduzione alle operazioni di peace-keeping nel Trattato di Amsterdam: profili giuridici ed implicazioni politiche, in La Comunità internazionale, 1998, p. 295 ss.
38 In particolare, può ricordarsi che il 7 marzo 2007, l’Unione africana ha presentato all’Unione europea una richiesta di
competenze specialistiche per assistere, su base temporanea, la cellula civile-militare della missione AMISOM, schierata presso la sede di Addis Abeba. Pochi giorni dopo, il Comitato politico e di sicurezza dell’Unione europea ha accettato di sostenere la missione nell’ambito dell’azione di sostegno dell’Unione europea alla missione dell’Unione africana nella regione sudanese del Darfur (AMIS), dichiarandosi disposta a fornire, su base temporanea, esperti in materia di pianificazione. Sulla base di tali considerazioni il Consiglio ha approvato, il 23 aprile 2007, l’azione comune n. 245/PESC, che modifica l’azione comune 2005/557/PESC concernente l’azione di sostegno civile-militare dell’Unione europea alla missione dell’Unione africana in Darfur.
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regionale in quanto tale39 – ad istituire per un periodo iniziale di sei mesi una missione, autorizzata a prendere tutte le misure necessarie, quando opportuno, per portare avanti il mandato consistente nel garantire la protezione alle istituzioni del governo di transizione, le necessarie condizioni di sicurezza per l’assistenza umanitaria alla popolazione civile e nel sostenere il dialogo e la riconciliazione nel Paese 40.
Preambolo missione AMISOM, con l’iniziale compito di contribuire alla fase di stabilizzazione interna del Paese, dovrebbe poi essere fatta confluire all’interno di una missione delle Nazioni Unite, con l’obiettivo più ampio di contribuire alla stabilizzazione a lungo termine della Somalia e alla fase di ricostruzione post conflittuale. È sempre agli Stati membri dell’Unione che il Consiglio si è rivolto affinché mettessero a disposizione il personale e il materiale necessario allo spiegamento della missione, incoraggiandoli altresì a fornire i necessari mezzi finanziari. Il Consiglio, tuttavia, ha manifestato l’intenzione di esercitare un sostanziale controllo sulla missione nella misura in cui ha richiesto al Segretario generale di inviare una missione tecnica presso il quartier generale dell’Unione africana in Somalia al fine di riferire sulla situazione politica e militare e sulla possibilità di dare vita in futuro ad una missione di peace keeping delle Nazioni Unite, che, come si è detto, dovrebbe intervenire al termine del mandato della missione africana. La risoluzione del Consiglio di sicurezza avrebbe, forse, potuto inquadrarsi nel quadro del capitolo VIII della Carta e, più precisamente, dell’articolo 53, 1° comma, dal momento che a fronte dell'intenzione, espressa con un atto vincolante dell’organizzazione regionale, di dare vita ad una missione, la stessa organizzazione aveva di fatto chiesto un’esplicita autorizzazione al Consiglio di sicurezza, dopo che tale organo era stato informato al riguardo, rispettando, dunque, quanto prescritto dall’articolo 54 della Carta41. La richiesta di un controllo per il tramite del Segretario generale farebbe in effetti supporre che tale intervento possa inquadrarsi all’interno dell’articolo 53 della Carta, che espressamente prevede la possibilità per il Consiglio di sicurezza di utilizzare le organizzazioni regionali per azioni coercitive sotto la sua direzione. Il Consiglio, invece, pur prendendo chiaramente atto della situazione e pronunciandosi
39 Tuttavia, se si vanno ad esaminare i dibattiti in senso al Consiglio di sicurezza che hanno preceduto l’adozione della
risoluzione n. 1744 si può osservare come i rappresentanti di alcuni Stati, tra cui l’Italia, avessero mostrato il loro pieno sostegno allo spiegamento di una missione di pace dell’Unione africana (v. S/PV.5633).
40 Pochi giorni dopo l’adozione della risoluzione n. 1744, sono giunti a Mogadiscio i contingenti messi a disposizione
dall’Uuganda, nonostante fosse atteso nei mesi successivi l'arrivo del resto dei "caschi verdi" provenienti da Nigeria, Ghana, Malati, e Burundi; il contingente ugandese è tuttavia rimasto l’unico a prendere parete alla msisone ed èp stato integrato, soltanto nel gennaio 2008, da soldati provenienti dal Burundi. Tuttavia, nonostante l'arrivo delle truppe ugandesi, gli scontri sono aumentati di intensità, anche contro gli stessi caschi verdi e si sono registrate violenze che hanno causato numerosi morti e feriti e quasi 500.000 sfollati dalla capitale, una parte dei quali ha potuto fare rientro in città alla fine del mese di luglio grazie a seguito di un parziale miglioramento della situazione. Nell'autunno del 2007 la situazione è di nuovo precipitata, il numero degli sfollati è aumentato e il contingente militare ugandese non è stato in grado di opporre un’efficace resistenza.
41 L’articolo 54 prevede che il Consiglio di sicurezza sia pienamente informato in ogni momento dell’azione intrapresa
dall’organizzazione regionale per il mantenimento della pace e della sicurezza. Tale informazione consente al Consiglio di tenere sotto controllo la situazione e di seguire l’evoluzione della missione in maniera tale che, ove lo ritenga necessario, potrà fornire quell’autorizzazione, ai sensi dell’art. 53, nel momento in cui l’operazione dovesse acquistare carattere di peace-enforcement. Pur non prevedendo in maniera chiara le modalità con cui gli enti interessati debbano informare l’organo, nella prassi il Consiglio è stato informato sulle attività intraprese dall’organizzazione regionale attraverso comunicazioni inviate al Segretario generale dagli organi delle organizzazioni o da Stati parte di una controversia. È stato rilevato come l’onere di tale comunicazione incomba, in via principale, agli Stati membri delle Nazioni Unite, che siano al contempo membri dell’organizzazione regionale. V. MARCHISIO, L’ONU. Il diritto delle Nazioni Unite, Bologna, 2000, p. 295.
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poco prima che i contingenti africani giungessero in Somalia, non ha autorizzato l'Unione africana in quanto tale, ma gli Stati membri dell'Unione, dichiarando di agire nel quadro del capitolo VII della Carta.
Tutto ciò pare confermare l’usuale prassi in materia. L’ipotesi della direzione di un’azione coercitiva regionale da parte del Consiglio di sicurezza non si è in effetti mai verificata nella prassi; tuttavia in alcuni casi l’autorizzazione di tale organo è stata prestata, seppur in maniera implicita42, per la realizzazione di un’azione coercitiva da parte di un’organizzazione regionale, senza che poi l’operazione fosse diretta dall’organo. Si pensi, per esempio, a quanto è accaduto nella ex-Iugoslavia, dove il Consiglio di sicurezza ha autorizzato lo svolgimento di operazioni marittime, nel mare Adriatico, per garantire il rispetto dell’embargo nei confronti della Serbia43 e di operazioni aeree a sostegno della UNPROFOR per garantire il rispetto delle zone di sicurezza in Bosnia e in Croazia44, non soltanto da parte di Stati membri singolarmente presi, ma anche di Stati membri agenti nell’ambito di organizzazioni regionali, senza far, tuttavia, un esplicito riferimento ad un’organizzazione in particolare e dichiarando, comunque, di agire ai sensi del cap. VII della Carta. Anche in tali ipotesi non è mai stata fatta menzione dell’articolo 53 e solo alcune di queste risoluzioni, adottate tutte nell’ambito del capitolo VII della Carta, contenevano un generico riferimento al capitolo VIII45.
5. La missione intrapresa dall’Unione africana in Somalia e le relative risoluzioni adottate dal
Consiglio di sicurezza consentono di sviluppare alcune riflessioni sui rapporti intercorrenti tra le due organizzazioni e, più precisamente, tra i due organi operativi, il Consiglio di sicurezza da una parte e il Consiglio africano dall’altra. A tal proposito, è opportuno far riferimento, da un punto di vista normativo, al Protocollo di Durban che istituisce il Consiglio africano. L’articolo 17 di questo Protocollo contiene, infatti, una serie di disposizioni relative al rapporto tra il Consiglio africano e le Nazioni Unite ed altre organizzazioni internazionali nel settore del mantenimento della pace e della sicurezza in Africa di competenza del Consiglio.
Tale disposizione prevede che il Consiglio africano, nell’adempiere il proprio mandato, cooperi con il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (ma anche con altre agenzie delle Nazioni Unite che operano nel settore della pace e della sicurezza), a cui è riconosciuta la responsabilità principale nel settore del mantenimento della pace e della sicurezza anche in Africa. Il Protocollo di Durban annovera espressamente nell’art. 4, tra i principi che dovranno guidare l’azione del Consiglio africano, quelli derivanti dalla Carta delle Nazioni Unite e dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. È altresì previsto che, qualora sia necessario promuovere attività relative al mantenimento della pace e della sicurezza all’interno del continente, il Consiglio africano possa, ove necessario, ricorrere alle Nazioni Unite, chiedendo ad esse un adeguato sostegno finanziario, logistico, e anche militare per lo sviluppo di tali operazioni. È opportuno rilevare come anche in questo caso sia espressamente previsto che il Consiglio rispetti le disposizioni del capitolo VIII della Carta delle Nazioni Unite, ribadendo un collegamento di natura anche formale con l’organizzazione universale, in conformità con la Carta delle Nazioni Unite. Ciò è tanto più interessante in quanto l’Unione africana, a differenza, per esempio, dell’Organizzazione degli Stati americani, non si qualifica
42 V. GAJA, Use of Force Made or Authorized by the United Nations, in TOMUSCHAT (a cura di), The United Nations at Age Fifty.
A Legal Perspective, The Hague, 1995, p. 39 ss. 43
V. ris. n. 787 del 16 novembre 1992. L’embargo era stato precedentemente decretato dallo stesso Consiglio con le risoluzioni n. 713 del 1991 e n. 757 del 1992. Per un’analisi di questa operazione, realizzata congiuntamente dalla NATO e dalla UEO, v. PAGANI, Le misure di interdizione navale in relazione alle sanzioni adottate dall’ONU, in Rivista di Diritto internazionale, 1993, p. 726 ss. 44
V. ris. n. 836 del 1993.
45 Cfr., per esempio, il paragrafo 12 della risoluzione n. 787 del 16 novembre 1992 (“Acting under Chapters VII and VIII…”) e
il Preambolo della risoluzione n. 816 del 13 marzo 1993 (“….recalling the provision of Charter VIII of the Charter of the United Nations….acting under Charter VII…”). Tuttavia, secondo una parte della dottrina, la formula usata dal Consiglio non consentirebbe di inquadrare queste risoluzioni nel cap. VIII, dal momento che tale organo non si riferirebbe alle organizzazioni regionali come enti ai quali poter conferire una delega, ai sensi dell’art. 53, quanto piuttosto come enti di coordinamento dell’azione degli Stati. V., in tal senso, CANNIZZARO, Sull’attuazione di risoluzioni del Consiglio di sicurezza da parte delle organizzazioni regionali, in Rivista di Diritto internazionale, 1993, p. 410.
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esplicitamente nel suo Trattato istituivo come un’organizzazione regionale ai sensi del capitolo VIII della Carta46.
La necessità di mantenere un saldo legame con il Consiglio di sicurezza, ma anche con il Segretario generale delle Nazioni Unite, è sottolineata altresì nella previsione di riunioni periodiche e di regolari consultazioni tra gli organi sulle questioni concernenti la pace e la sicurezza in Africa. Questi concetti sono stati ribaditi dallo stesso Consiglio di sicurezza in occasione del Meeting di Nairobi, il 19 novembre 2004. Con riferimento ai rapporti istituzionali con l’Unione africana, il Presidente del Consiglio ha nuovamente ribadito la responsabilità principale di tale organo nel campo del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, così come risulta dall’articolo 24 della Carta, sottolineando come la collaborazione con le organizzazioni regionali rappresenti un importante pilastro del sistema di sicurezza collettiva delineato dalla Carta47. Allo stesso tempo è anche sottolineata – probabilmente recependo le richieste provenienti in tal senso dall’Unione africana, soprattutto per quello che riguarda la necessità di un sostegno finanziario e logistico - l’opportunità di un ulteriore rafforzamento dei rapporti con tali organizzazioni, al fine di sostenerle nell’affrontare le sfide alla sicurezza collettiva e nello sviluppo di strategie per la prevenzione dei conflitti e il mantenimento della pace. Anche qui sono comunque richiamati gli articoli 52 e 53 della Carta. Il Consiglio ha mostrato di apprezzare il ruolo che l’Unione ha svolto negli ultimi anni nella gestione delle crisi nel continente, esprimendo pieno sostegno alle iniziative di pace condotte dall’Unione, anche attraverso meccanismi e/o organizzazioni regionali, sottolineando comunque la necessità che venga rispettato l’articolo 54 della Carta48.
Tuttavia, in considerazione delle ulteriori disposizioni del Protocollo di Durban e degli sviluppi recenti della prassi, il tipo di relazione che emerge tra i due organi “operativi” regionale e universale sembra essere non di subordinazione, ma di coordinamento. Il coordinamento interviene tra organi competenti entrambi nel mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, ma che tuttavia divergono quanto agli strumenti cui possono ricorrere. In taluni casi ciò ha consentito al Consiglio africano di intraprendere azioni in totale autonomia49.
La struttura del Consiglio africano è tale, infatti, da consentirgli di essere concretamente operativo. Il Consiglio è costituito da un Comitato per gli affari militari, un gruppo di saggi50 (art. 11),
46 V., al riguardo, l’articolo 1 del Trattato di Bogotà, istitutivo dell’Organizzazione degli Stati americani, ai sensi del quale
l’Organizzazione si definisce “Within the United Nations…a regional agency”.
47 Analoghe considerazioni sono state sviluppate dal Presidente del Consiglio di sicurezza in uno Statement del 7 novembre
2007 in cui, oltre ad accogliere favorevolmente i recenti sviluppi in materia di cooperazione tra le Nazioni Unite e, in particolare,l’Unione africana e l’Unione europea, auspica un rafforzamento delle forme di cooperazione e di interazione con le organizzazioni regionali in conformità con il capitolo VIII della Carta (v. S/PRST/2007/42).
48 Cfr. lo Statement del Presidente del Consiglio di sicurezza, S/PRST/2004/44.
49 Si pensi, per esempio, al caso del Burundi nel quale il Consiglio africano ha chiesto ed ottenuto l’invio di una missione di
peace-keeping delle Nazioni Unite (ONUB), istituita con la risoluzione n. 1545 adottata dal Consiglio di sicurezza il 21 maggio 2004. In un secondo momento, lo stesso Consiglio africano, oltre ad inviare una propria missione di osservatori che sostenesse la realizzazione del processo di pace e favorisse la cooperazione con le Nazioni Unite, ha ritenuto che nel mandato della missione ONU non fosse adeguatamente prevista la protezione dei leaders politici africani presenti in Burundi ed ha pertanto deciso che una forza di protezione posta sotto il comando africano (AMIB) dovesse provvedere a tale specifico scopo. Il Consiglio africano ha adottato queste decisioni senza chiedere l’autorizzazione del Consiglio di sicurezza, affermando che sia la missione di osservatori sia la forza di protezione erano sotto il comando dell’Unione africana. Ancora più emblematico è il caso del Sudan, dove il Consiglio africano ha inizialmente istituito una Missione di osservazione (AMIS) il cui mandato è stato poi esteso senza la richiesta di una autorizzazione al Consiglio di sicurezza. Quest’ultimo ha poi istituito, con la risoluzione n. 1590 del marzo 2005, un’operazione di peace-keeping nel cui Preambolo ha ricordato l’impegno della Missione africana, alla quale sono stati invitati a contribuire tutti gli Stati membri.
50 Il Panel of the Wise è un organo composto da cinque individui che devono aver contribuito attivamente alla causa della
pace, della sicurezza e dello sviluppo del continente. Tali personalità sono nominate dall’Assemblea generale e rimangono in carica per tre anni. Il compito di tale organo è di carattere consultivo: esso dovrà supportare il Consiglio e il Presidente della Commissione nei loro sforzi per la prevenzione dei conflitti.
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un sistema di early warning (art. 12), che consente di operare un monitoraggio della situazione delle varie zone del continente al fine di prevenire i conflitti locali51, oltre ad un Fondo speciale (art. 21) per il finanziamento delle varie operazioni.
Il Consiglio dispone inoltre, ai sensi dell’articolo 13, dell’African Stand by Force52, una forza permanente africana messa a disposizione del Consiglio da parte degli Stati membri per sviluppare i tipi di intervento, nella stessa misura in cui la Carta di San Francisco prevedeva, agli articoli 43 ss., la costituzione di un esercito delle Nazioni Unite attraverso la stipulazione di accordi speciali tra gli Stati membri e il Consiglio di sicurezza per la messa a disposizione di contingenti militari da collocare sotto il comando di un Comitato di Stato maggiore e a sua volta posto sotto l’autorità dello stesso Consiglio di sicurezza.
Tale disposizione rende l’Unione africana la prima organizzazione regionale dotata di proprie forze permanenti da utilizzare eventualmente in operazioni non solo di peace-keeping ma anche per interventi coercitivi dell’Unione nel territorio di uno Stato membro senza che questo abbia dato il proprio consenso53. Secondo quanto stabilito dal Protocollo di Durban, il Consiglio africano può, tuttavia, chiedere alle Nazioni Unite di integrare l'attività di queste forze regionali con forze armate degli Stati membri oppure con risorse di altro tipo, logistiche o finanziarie. Anche con riferimento a questo aspetto, il Consiglio di sicurezza, in occasione del suindicato Meeting di Nairobi, ha mostrato di approvare l’istituzione del Consiglio esortando ad una rapida costituzione dell’African Stand by Force.
Questa sostanziale autonomia dell’organizzazione regionale andrebbe in parte a contraddire quanto era stato raccomandato nel rapporto dell’High Level Panel, il Comitato composto dai 16 Saggi, nominati dal Segretario generale nel 2004, allo scopo di studiare gli aspetti più problematici legati ad una possibile riforma delle sistema di sicurezza collettiva delle Nazioni Unite. In tale rapporto, presentato alla fine del 200454, viene sostenuta l’idea che tutte le operazioni regionali di peace-keeping, anche quelle non implicanti l’uso della forza armata, esattamente come quelle condotte su delega delle Nazioni Unite, siano preventivamente autorizzate dal Consiglio di sicurezza con un idoneo mandato55. Tale idea è scaturita probabilmente da una considerazione dello sviluppo che le missioni di peace keeping stanno conoscendo nell’ambito delle organizzazioni regionali e della
51 Il meccanismo di early warning, composto da un centro di monitoraggio che ha sede presso gli uffici della Commissione
dell’Unione africana e da altri centri regionali, è stato creato per consentire la raccolta delle informazioni relative alle zone di crisi. Sulla base delle informazioni ricevute, il Presidente della Commissione ha la possibilità di fornire pareri al Consiglio sui potenziali conflitti e sulle minacce alla pace e raccomandare le misure da prendere, che potranno essere militari oppure di altro tipo.
52 L’African Standby Force, la cui creazione dovrà essere completata entro il 2010, deve essere composta da contingenti
civili e militari, stanziati nei vari Paesi membri e pronti per un rapido spiegamento. Le funzioni fondamentali di questa forza sono l’osservazione e il monitoraggio delle missioni; l’intervento armato all’interno di uno Stato membro, in conformità con l’art. 4 lett. h) del Trattato di Lomè, o un intervento realizzato su richiesta dello Stato per ristabilire la pace e la sicurezza al proprio interno; il preventive deployment, cioè lo spiegamento preventivo al fine di prevenire una controversia o un conflitto; l’impegno in operazioni di peace-building, di assistenza umanitaria in zone di guerra o colpite da calamità naturali e altre funzioni che possono essere attribuite dal Consiglio o dall’Assemblea.
53 V. art. 4 lett. h) del Protocollo di Durban.
54 Cfr. UN doc. A/59/565 su http://www.un.org/secureworld
55 Tale raccomandazione non è stata tuttavia recepita dall’Assemblea generale, nella risoluzione n. 60/1, adottata
nell’ottobre 2005 in occasione del sessantesimo anniversario delle Nazioni Unite. In tale risoluzione, oltre a sottolineare ancora una volta l’importante contributo che le organizzazioni regionali possono fornire nel campo del mantenimento della pace e della sicurezza, l’Assemblea si è limitata a sollecitare, in termini generali, un rafforzamento della cooperazione e dei meccanismi di consultazione tra le Nazioni Unite e le organizzazioni regionali, auspicando il coinvolgimento delle stesse nei
lavori del Consiglio di sicurezza e incoraggiando la conclusione di accordi di cooperazione e di consultazione tra le Nazioni Unite e le organizzazioni regionali. Cfr. SCISO, L’uso della forza nella (mancata) riforma delle Nazioni Unite, in La Comunità internazionale, 2006, p. 17 ss.
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possibilità, per le stesse organizzazioni regionali di intraprendere in alcuni casi anche operazioni coercitive, nonché dalla valutazione delle difficoltà di precisare in maniera netta la linea di confine tra il peace-keeping e il peace-enforcement, con riferimento al livello di forza armata impiegata - come dimostra il caso della missione UNOSOM II in Somalia – considerando che tali missioni possono modificarsi in itinere per adeguarsi ai particolari mutamenti delle circostanze56.
Conclusioni Difficoltà di tracciare una netta linea di demarcazione tra operazione di peace-keeping e
intervento che possa contemplare l’uso della forza (al di là dell’ipotesi della legittima difesa) una eventuale risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite adottata nell’ambito del capitolo VIII della Carta sarebbe stata probabilmente opportuna L’operazione avrebbe potuto anche prevedere l’uso della forza armata e diretta dallo stesso Consiglio di sicurezza Le Nazioni Unite, invece, non hanno agito in tal senso
Risulterebbe altresì auspicabile la conclusione di un accordo tra le due organizzazioni, sul
modello di quello concluso nel 1995 tra le Nazioni Unite e l’Organizzazione degli Stati americani57:
o Realizzare un efficace coordinamento tra i due organi preposti al medesimo obiettivo o Sfruttare la capacità di dispiegamento rapido dell’organo regionale o Ottenere un più probabile consenso da parte di uno Stato africano ad accogliere al suo
interno forze continentali58 o Continuo rapporto con il Consiglio di sicurezza, non solo alla luce di quanto prescritto dal
capitolo VIII della Carta, ma anche al fine di garantire in maniera più certa il flusso di risorse necessarie alle forze africane in campo per la buona riuscita della missione59.
56 L’evoluzione di un’operazione di peace-keeping può, dunque, essere determinata da mutamenti delle circostanze, ma
può anche essere formalizzata attraverso l’attribuzione di funzioni coercitive da parte dell’organo competente. Si pensi, per esempio, ancora prima del caso somalo, alla situazione del Congo, dove per la prima volta si è posto il problema del passaggio dal peace-keeping al peace-enforcement. A seguito del verificarsi di alcuni eventi, quali secessione del Katanga e l’intervento nella regione di truppe di mercenari, la risoluzione n. 169, adottata dal Consiglio di sicurezza nel 1961, attribuiva alla missione delle Nazioni Unite in Congo (ONUC) compiti di natura coercitiva. Con tale risoluzione il Consiglio autorizzava, infatti, il Segretario generale ad intraprendere tutte quelle azioni, compreso l’uso della forza nei confronti dei mercenari stranieri e del personale paramilitare che non fosse sotto il comando delle Nazioni Unite: tale risoluzione oltrepassava chiaramente i limiti legati all’uso della forza, tipici di un’operazione di peace-keeping. Sulla crisi del Congo e sull’intervento delle Nazioni Unite v., tra gli altri, BOWET, United Nations Forces. A legal study of United Nations Practice, London, 1964, p. 153 ss.
57 Il Cooperation Agreement between the Secretariat of the United Nations and the General Secretariat of the Organization
of American States è stato stipulato dai Segretari generali delle due organizzazioni il 17 aprile del 1995; l’Accordo prevede un obbligo generale di cooperazione nelle materie di interesse comune. Cfr. PIRRONE, I rapporti tra OSA e ONU, in LATTANZI, SPINEDI (a cura di), Le organizzazioni regionali e il mantenimento della pace nella prassi di fine XX secolo, Napoli, 2004, p. 63 ss.
58 Si pensi, per esempio, al rifiuto del Sudan di autorizzare lo spiegamento di una missione di peace-keeping delle Nazioni
Unite in Darfur, laddove, invece, era stata accettata una forza dell’Unione africana, nonostante il Consiglio africano, in un comunicato del 12 gennaio 2006, rendendosi conto della scarsità delle risorse a disposizione della missione rispetto all’entità e alla gravità del conflitto avesse auspicato il futuro dispiegamento, in sostituzione di quella dell’Unione africana, di una missione delle Nazioni Unite.
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31 luglio 2007 Risoluzione del Consiglio di sicurezza n. 1769 Autorizza un’operazione “ibrida” delle Nazioni Unite e dell’Unione africana in Darfur (UNAMID) Un successo, quantomeno in considerazione dell’iniziale opposizione che il governo del Sudan aveva manifestato60
Collaborazione sembra, dunque, andare ben oltre il co-deployment61, teorizzato nel Supplemento all’Agenda per la pace del 199562:
L’organizzazione regionale a realizzare la più gran parte dell’operazione, mentre le Nazioni Unite offrono, seppur in maniera marginale, il loro contributo verificandone il funzionamento e la conformità con quanto deciso dal Consiglio di sicurezza63.
La missione sembra così rappresentare un primo passo verso una cooperazione sempre più solida tra le due organizzazioni in vista di interventi congiunti
59 Già ai tempi dell’OUA erano, in effetti, stati avviati tentativi per migliorare la collaborazione tra le due organizzazioni. Nel
1998 era stato aperto ad Addis Abeba un ufficio delle Nazioni Unite presso l’OUA, per facilitare lo scambio di informazioni e il coordinamento nelle attività per la prevenzione dei conflitti, mentre nel rapporto del Segretario generale delle Nazioni Unite sulla cooperazione tra ONU e OUA, del 2000 (UN Doc. A/55/498), si prevedeva che si tenessero riunioni tra i due Segretari generali, nonché una serie di incontri di natura tecnica.
60 La risoluzione afferma, in ogni caso, che l’operazione dovrà avere un carattere prevalentemente africano e le truppe
dovrebbero, per quanto possibile, essere messe a disposizione da Paesi africani
61 Sul co-deployment i suoi possibili vantaggi v., tra gli altri, VILLANI, Il ruolo delle organizzazioni regionali per il mantenimento
della pace nel sistema dell’ONU, in cit, p. 453 ss.
62 Il Supplemento all’Agenda tratta la questione del rapporto tra organizzazioni regionali e Nazioni Unite in maniera
piuttosto approfondita. Il documento individua, al par. 86, una serie di ipotesi di collaborazione tra le organizzazioni: dalla mera consultazione al co-depolyoment fino alle c.d. joint operations, in cui l’organizzazione regionale e quella universale dovrebbero agire su un piano paritario, per quanto riguarda l’organizzazione, il finanziamento e la direzione della missione (UN Doc. A/50/60 del 3/1/1995).
63 Un tipico esempio di co-deployment è quello realizzatosi in Liberia, dove il Consiglio di sicurezza, con la risoluzione n. 866
del 22 settembre 1993, ha deciso di istituire una missione di osservatori (UNOMIL). Tale missione aveva il compito di collaborare con l’ECOMOG, la missione di peace-keeping istituita dall’ECOWAS nel 1990 dietro richiesta del governo liberiano, senza che a ciò fosse stata autorizzata dal Consiglio di sicurezza. Sull’argomento v., tra gli altri, RAMCHARAN, Cooperation between the UN and regional/sub-regional organization in international conflicts: the case of Liberia, in African Yearbook of International Law, 1996, p. 3 ss.; WELLER (a cura di), Regional Peace-Keeping and International Enforcement: the Liberian Crisis, Cambridge, 1994; NOLTE, Restoring Peace by Regional Action: International Legal Aspects of the Liberian Conflict, in ZaöRV, 1993, p. 603 ss.