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ANNO 6-4 Pagina 1
ANNO VI N.4 DICEMBRE 2017
Presidente Maurizio Cianfarini Vice-Presidente Raffaella Restuccia Direttivo Palma Aliberti Elena Buttinelli Simona D’Amico Alessia Gentile
Recapiti: 06-85358905 moby-dick@tiscali.it
Redazione
Vjola Abdiu Maurizio Cianfarini Sara Maugeri Raffaella Restuccia
SOMMARIO Editoriale pg.1 Cianfarini Maurizio Benvenuti nella rete M.D. Compassione e benevolenza. Anna Pizzo pg.2 Gruppi Balint pg.5 Concorso Fotografico Nazionale “Carpe Diem” pg.5 L’ elemento della spiritualità nella pratica infermieristica e non solo Maurizio Cianfarini pg.7 Bugie, false verità, omissioni e silenzi Sara Romano pg. 11 Congresso Nazionale 2018 La Comunicazione e tutte le sue coniugazioni pg.15
Rubriche Non è vero ma ci credo pg. 16 Epifania, come manifestarsi Moby Dick A domanda risponde pg.17 a cura di Maurizio Cianfarini Eventi Formativi pg. 19 Master Professionalizzante Emozioni in Punta di Penna Corso per Operatore Letterario Open Day in Psiconcologia Gruppi Balint Chi, come, cosa “Siamo”
IL GAZZETTINO DELLA
BALENA BIANCA
5 per mille a Moby Dick C.F. 96131010587
“Ogni giorno per scelta, al fianco di chi vive l’esperienza del cancro”
Se ti fidi di Noi… Ti fidi di Moby Dick ONLUS
AUGURI
di BUONE
FESTE e di
Un SERENO
ANNO NUOVO
Siamo su youtube (moby dick onlus) http://www.youtube.com/watch?v=DC6XNSGM_-U
https://www.youtube.com/watch?v=_3ThauXaVJ0
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chiedi la nostra amicizia
EDITORIALE
Qualunque cosa accade,
accade.
Qualunque cosa che,
accadendo…
… ne fa accadere un‟altra,
ne fa accadere un‟altra.
Qualunque cosa che,
accadendo, induce se stessa
a riaccadere, riaccade.
Però non è detto che lo
faccia in ordine cronologico.
Le cronache marziane
Ray Bradbury
Pensare che tutto sia affidato
al destino, anzi al
predestinato, ci ha sempre
fatto sorridere e nello stesso
tempo angosciare; questa
sensazione di non avere una
via di uscita abbiamo
sempre cercato di
contrastarla con scelte
personali, prese di posizione
e atteggiamenti vissuti come
“controcorrente”.
Ecco che, il vivere gli eventi
come semplici accadimenti
di un destino ci porta a non
assumerci le nostre
responsabilità nelle scelte
che facciamo e, di fronte
alle cose ineluttabili che non
dipendono da noi, a non
prendere una posizione
determinante nel nostro
atteggiamento del “far
fronte” alle avversità.
Per tutti noi, dato che tutti
cadiamo in questo
atteggiamento, possiamo
dire “Anno Nuovo
Vita Nuova”, il 2018
deve essere pieno di buoni
propositi e farci
ripromettere, nella nostra
limitatezza, di avere una
presa di coscienza diversa di
fronte a questa inclinazione
legata alla comodità di
lasciarsi andare, pensando
che non scegliere non sia per
di sé già una scelta. continua pg. 14
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AA bbuuoonn iinntteennddiittoorree ppoocchhee ppaarroollee
La vita può essere trainata dagli obiettivi
tanto quanto può essere spinta dagli
impulsi.
(Viktor Emil Frankl)
Non permetterò a nessuno di passeggiare
nella mia mente con i piedi sporchi.
(Mahatma Gandhi)
La mente è tutto.
Ciò che tu pensi, tu diventi.
(Buddha)
Rare sono le persone che usano la mente,
poche coloro che usano il cuore e uniche
coloro che usano entrambi.
(Rita Levi-Montalcini)
La realtà esiste nella mente umana e non
altrove.
(George Orwell)
Conosco una sola libertà ed è la libertà
della mente.
(Antoine de Saint-Exupery)
Ami la vita? Allora non sciupare il tempo,
perché è la sostanza di cui la vita è fatta.
(Benjamin Franklin)
Il coraggio più sicuro è quello che nasce da una reale
conoscenza del rischio da
affrontare, mentre quello che
proviene dall'incoscienza è
tanto pericoloso quanto la
vigliaccheria.
Herman Melville dal libro "Moby Dick
Compassione e Benevolenza
Fragilità e Supporto Concreto. –
Approcciare alla fragilità: lasciarsi
sostenere e sostenere.
“Coraggio collega! Dobbiamo combattere!” lo
congedò quello alla fine del colloquio. Quella
freddezza travestita di cordialità, gli arrivò
bruciante come uno schiaffo in pieno viso. (…)
Annaspava in un groviglio di emozione dolorosa
intrappolato in un grido infinito e, al mattino,
quando si guardava allo specchio impietoso del
bagno di casa, fissando le sue pupille in quelle di
un’immagine ostile, si diceva -non sono niente! -”
(2017, Un ponte sul Fiume Guai, Moby Dick a
cura di R. Restuccia, pag. 13). Percepirsi fragile: l‟auto percezione è un aspetto
importante di coloro che sono affetti da patologie
croniche gravi, un aspetto che non deve essere
sottovalutato da chi intraprende una relazione di
aiuto sia essa inserita nella rete amicale e/o
parentale sia essa
inerente ad un ambito
sanitario. La malattia
indebolisce l‟individuo
dal punto di vista fisico
che mentalmente e ne
mette a repentaglio la
struttura salda delle
modalità con si
percepisce il mondo
esterno e se stessi in
relazione ad esso.
Inoltre la componente sociale suggerisce e stimola
i singoli a proporsi all‟esterno come forti e
sorridenti, non lasciando spazio a situazioni di
disagio e fragilità. Proprio perché sentirsi fragili
sembra apparire come un lusso, ed in certe
situazioni non è possibile sfuggire a questo tipo di
sensazione, è importante che vi siano degli spazi
protetti in cui, laddove l‟individuo se la se la senta
e lo richieda, gli sia permesso di esprimersi in
serenità. È questo il caso della sopracitata
relazione di aiuto, che si basa sul rispetto
dell‟altro percepito, non solo, come individuo
dotato di risorse ma, soprattutto, alla pari con
l‟interlocutore che ricopre il ruolo di sostenitore.
Sembra così quasi che venga da sé l‟integrazione
di due concetti complessi quanto scontati: la
compassione e la benevolenza. Tali costrutti si
differenziano ulteriormente qualora siano auto
diretti, ovvero il soggetto affetto da una patologia
li rivolga a se stesso, o etero diretti, nel caso in cui
un operatore sanitario approcci ad un paziente in
una situazione di patologia oncologica. A questo
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proposito suddette nozioni sono la colonna
portante di una “nuova psicologia”, che promuove
il benessere personale attraverso il contatto con il
“qui ed ora”, una ridefinizione delle modalità di
percezione di sé, e di sé in un contesto specifico
attraverso le lenti di questi due grandi costrutti di
compassione e benevolenza. Questo nuovo modo
di approcciare ad alcuni ambiti si dipana
attraverso tecniche meditative, come la
mindfulness che si vede realizzare un soggetto
capace di guardare il proprio dolore senza tuttavia
guardare il mondo attraverso esso, tentando di non
essere “il dolore” ma una persona dolorante. La
mindfulness centra il concetto di benevolenza
verso se stessi. Si invita perciò il paziente ad
essere benevolenti nei propri confronti, accettare
la propria sofferenza e dare a se stessi la
possibilità di sentirsi in difficoltà senza essere
giudicanti, né verso sé né verso coloro che offrono
aiuto e sostegno. Questa tecnica meditativa, che
nulla centra con inviti religiosi si serve di risorse
spirituali che appartengono al mondo della laicità
dell‟uomo, la quale in alcuni si esprime anche
attraverso la religiosità (in fondo la meditazione, il
mantra, recitare il rosario appartengono all‟uomo
alla ricerca del proprio mondo interno), supporta
tali concezioni, attraverso il contatto consapevole,
guidando praticamente l‟individuo attraverso
l‟accettazione della propria emotività, della
propria situazione e della propria sofferenza fisica
e mentale. Utilizzata spesso in contesti oncologici
sottostà ad una necessità costante all‟interno di
tale ambiente: contrastare e gestire il senso di
impotenza causato dalla terminalità e dalla
patologia oncologica dei vari operatori che
gravitano attorno a questo tema. È importante
perciò soffermarsi su due concetti fondamentali:
in primis riflettere con onestà in merito al bisogno
che spinge un professionista a relazionarsi con
certi ambienti affinché si distingua il bisogno
personale dalla motivazione, evitando così di
danneggiare sia se stessi intraprendendo un
percorso per cui non si è pronti sia gli altri
proponendo un aiuto che non risulti scevro da
contaminazioni personali; secondo poi valutare
l‟effettiva funzionalità di tali tecniche in relazione
alla situazione che il professionista si trova a
fronteggiare. Se da una parte tali metodologie
possono, infatti, risultare utili come strumenti
aggiuntivi a cui poter attingere per trarre un
benessere auto centrato, dall‟altra in casi di
emergenza tali metodologie non devono essere
scambiate per panacee o terapie strutturate.
Laddove vi siano situazioni difficili, come lutti
irrisolti o non superati e patologie oncologiche
che recano con sé una importante difficoltà
psicologica è necessario strutturare e seguire una
terapia psicologica e non sostituire quest‟ultima
con metodi che possono risultare funzionali solo
al supporto. Questo nuovo metodo di amare se
stessi, si centra perciò su nuovi strumenti, che si
concentrano sulla consapevolezza di sé, la
presenza nei propri stati mentali ed emotivi e la
benevolenza nei confronti degli stessi. Questi
sono infatti i punti di partenza, una volta che si è
trattato in modo adeguato la sofferenza
psicologica della persona, per procedere ad
un‟autodistanziamento dell‟Io in primo piano che
si muove alla ricerca di un senso da poter apporre
alla guarigione. Si giunge così alla nascita del
“nonostante tutto” che suggella concludendo o
stimola iniziando un percorso di ripresa e di
miglioramento di se stessi in relazione alla realtà
quotidiana. Un altro aspetto parimenti importante:
la figura degli operatori di aiuto e della rete
amicale e parentale che offre sostegno. Prendersi
cura di una persona affetta da una patologia
cronica richiede alcuni aspetti e caratteristiche:
sensibilità alla sofferenza, partecipazione attiva ed
empatia, atteggiamento non giudicante.
L‟operatore compassionevole si caratterizza per la
compassione che definisce alcuni aspetti come
attenzione, comportamento, sensazione ed
emozione. La compassione quindi diventa uno
strumento utile con cui affrontare una relazione di
aiuto volta al sostegno durante eventi di patologie
croniche. A tale concezione della compassione si
può associare quello della “compassion fatigue”,
ovvero la sensazione di fatica, provata dagli
operatori che lavorano in contesti complessi come
quello oncologico, nel provare compassione e
dispiacere per altri che si trovano in una
situazione di estremo dolore o difficoltà. Inoltre
sarebbe interessante valutare quali sono i
comportamenti agiti, come risultante, per alleviare
questo terribile senso di fatica nel gestire la
compassione che si prova nei confronti di persone
con cui ci si relaziona tutti i giorni, in modo
continuo e quotidiano.
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Una compassione, la cui etimologia rimanda qui
al concetto del “soffrire con/per te” distanziandosi
dal concetto cristiano del “cum pietas”, il quale
prevede uno sbilanciamento di posizione tra colui
che offre compassione e colui che ne riceve.
A tale nuovo modo in cui ci si guarda e dal modo
in cui si percepisce e approccia all‟altro in
difficoltà si aggiunge ancora un tassello: il
supporto concreto.
“Ricorda sempre donna, un giorno un colpo ti ha
ferito al petto e ti ha buttato per terra, sulla
schiena a braccia aperte con gli occhi sbarrati a
guardare il soffitto, ma per la prima volta non ti
sei chiesta “perché”, per la prima volta ti sei
chiesta “come”; come potevi fare per rialzarti,
per proteggere la tua ferita, per far si che la tua
vita non sia colta impreparata(..) ricorda donna ,
hai difeso questa vita , bella o brutta che fosse era
la tua vita e l’hai difesa” (2017, ibidem, pag. 27).
Il supporto concreto si declina attraverso le figure
che si prestano a dare sostegno al paziente affetto
da una malattia oncologica. Queste figure
richiamano tre grandi macro categorie: la rete
amicale-parentale, la rete degli psicologi e quella
degli operatori sanitari. Tutte e tre queste
categorie presentano delle risorse psicologiche e
spirituale; gli operatori e i familiari operano
“sostegno psicologico” mentre invece gli
psicologi sono in grado di offrire una terapia
psicologica.
“Non vorrei farti soffrire amore mio. Ieri ho visto
il tuo viso rigarsi di lacrime, che scendevano
copiose (..) la mia malattia ti ha fatto invecchiare,
di colpo. (..) non vorrei essere il motivo della tua
sofferenza e non avrei voluto dirti ciò che ti ho
detto(..) non vuoi sentire le mie parole, mi
interrompi sempre, ma sono cose delle quali
dobbiamo parlare, negare la possibilità realistica
della morte non vuol dire che io voglia smettere di
lottare.” (2017, ibidem pag. 18). La prima
categoria riporta molte implicazioni emotive a
frapporsi tra l‟offerta di sostegno e la ricezione
dello stesso, nonché la sua accettazione, da parte
di chi è oggetto di tali attenzioni. Non sempre
risulta semplice “stare” inteso come presenza
consapevole durante episodi di malattia cronica.
Altrettanto complesso, come sopra riportato è
concepirsi come persona affetta da una patologia
cronica, bisognosa di cure e attenzioni particolari.
Il passo da percepirsi “affetto” da una patologia a
percepirsi “malato” è breve. Il supporto concreto
può quindi essere difficile da offrire e da ricevere
in un momento così particolare. Tuttavia non
bisogna farsi spaventare dalle difficoltà e dai
timori incontrati condividendoli apertamente tra i
diretti interessati. Il confronto, anche su temi
concreti, facilita lo scambio emotivo in una
situazione complessa per tutte le parti in causa,
aiuta a sconfiggere, affrontare e palesare i timori e
le convinzioni dell‟altro. Condividere le difficoltà
di sentirsi fragili e di percepire chi amiamo come
fragile mette entrambe le persone nella posizione
di ritrovare una comunione in situazioni che
prevedono posizioni assai differenti e distanti
(persona sana vs persona affetta da una patologia
invalidante). Inoltre tacere su argomenti inerenti
la malattia potrebbe aumentarne il timore che
questi stessi temi portano con sé.
“Definire cosa vuol dire aiutare un paziente
affetto da una patologia oncologica o un familiare
degli stessi è difficile. Sicuramente si offre la
possibilità di riadattarsi e riorganizzarsi rispetto
ad un evento. Aiutare ad esprimere ed accogliere
le emozioni. Aiutare la riorganizzazione del
sistema familiare, l’elaborazione e il
riadattamento ad un’altra realtà.”
La seconda categoria è quella degli operatori
psicologici che gravitano attorno alle patologie
oncologiche. La possibilità di utilizzare le parole
come strumento terapeutico si lega alle relazioni
simboliche dei termini. Sarà così possibile creare
delle nuove associazioni linguistiche e mentali di
conseguenza, che potranno supportare
l‟elaborazione del vissuto portato dal paziente.
Inoltre l‟operatore sarà garante di uno spazio
neutro ed accogliente in grado di offrire
protezione, contenimento e la possibilità di “dar
voce” al dolore interno senza aver timore che
questo venga individuato come debolezza e
fragilità sia dei pazienti sia dei familiari che si
trovano a vivere patologie gravi. Di sostegno a ciò
è centrarsi sul rispetto del paziente, che si esplicita
nella consapevolezza delle abilità e risorse
dell‟altro da parte del terapeuta, il quale si pone
come pari rispetto a colui che sta richiedendo
sostegno psicologico. Tutto ciò sarà funzionale
all‟evitamento dei comportamenti di sovraiuto
dettati dalla percezione di estrema fragilità
dell‟altro. Passiamo così dal sottotesto “non
voglio essere compatito” a “ho bisogno di potermi
sentire bisognoso di sostegno in un momento di
difficoltà”.
“Alla giovane dottoressa che gli infilava un ago
nella carne del braccio aveva detto astioso: -veda
di non massacrarmi le vene! - così tanto per
metterla a proprio agio e con poche parole
arroganti si era presentato a tutto il personale del
day hospital oncologico. (…) cosi una mattina,
quella stessa giovane dottoressa, vedendolo senza
il solito ghigno impresso sulla faccia, gli aveva
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chiesto: -Cosa sta pensando, dottore? -, -prati
verdi! - le aveva risposto quieto. –Allora la
terapia sta facendo effetto! -. Lei gli strizzo
l’occhio. Lui le sorrise. Da quel giorno si erano
chiamati per nome.”. (2017, ibidem pag. 12- 13)
L‟operatore sanitario è colui che offre le cure
mediche. È importante che questo si presti ad
essere chiaro e disponibile riguardo i dubbi, le
paure e le curiosità di pazienti e familiari. Il
medico e gli
infermieri spesso
vengono travolti
dalle prime
emozioni legate
alla
comunicazione
della diagnosi che si concretizzano in rabbia ed
incredulità. Potrebbe perciò risultare complesso
non farsi travolgere da queste emotività. Agli
operatori sanitari è consigliato prendersi cura
degli aspetti emozionali che li riguardano, non
sottovalutando le ovvie difficoltà in cui si incappa
relazionandosi quotidianamente con patologie
croniche e degenerative che talvolta conducono ad
episodi di burn - out evidenti. Proprio per questo è
importante prendersi cura di chi cura attraverso
risorse strutturali e d‟equipe come potrebbero
essere i gruppi Balint.
È perciò importante che anche questa parte di
equipe sia coinvolta nel supporto di se stessi che a
loro volta devono prestare cure in contesti difficili
e importanti da un punto di vista emotivo. Il
sostegno concreto si concretizza quindi in un
supporto a cascata che vede coinvolti tutti coloro
che gravitano attorno a questo tema. Inoltre per
offrire un sostegno efficace ci si dovrebbe
avvalere di una collaborazione tra tutti i ruoli che
sono coinvolti nella presa in carico di una
persona.
Anna Pizzo
Bibliografia
- Ass. ne Moby Dick, a cura di R. Restuccia,
(2017), Un Ponte Sul Fiume Guai,
“Color Game”, pg. 12-13.
“Mi chiamano così”, pg. 27.
“La nostra Itaca”, pg. 18.
Un ponte sul fiume guai 5 A cura di Raffaella Restuccia
(del 1°ed il 3° sono
rimaste poche copie in
sede il 2°ed il 4° sono
andati ESAURITI!!!)
(Training Emotional Area)®
Presenta
“Help Profession" il lavoro in equipe e la Mission Sanitaria. in oncologia, patologie organiche gravi e
cure palliative
XII edizione inizio 25 gennaio ‘18 Incontri, nell‟ottica dell‟approccio globale alla
persona portatrice di una patologia e di condivisione
con gli operatori ispirandosi al modello dei gruppi
Balint, si propongono di fornire ai partecipanti
strumenti teorici, tecnici e pratici. Il Corso è rivolto a
tutti coloro che sono impegnati in una relazione
d‟aiuto e desiderano una condivisione delle
esperienze professionali.
Gli incontri saranno quindicinali, il giovedì
pomeriggio, per un totale di 15 incontri
Agevolazioni per chi ha partecipato alle edizioni
precedenti ed ai Soci Sostenitori
35 Crediti ECM per tutte le professioni sanitarie
(infermieri, medici, fisioterapisti, logopedisti,
biologi, farmacisti, ecc.)
Gruppo Balint per Psicologi e Psicoterapeuti
"Psicologia Oncologica, delle malattie organiche
gravi e Palliazione"
10 marzo 2018
Incontri su casi clinici e dinamiche lavorative
ispirandosi al modello dei gruppi Balint, si
propongono di fornire ai partecipanti strumenti
teorici, tecnici e pratici. Il Per-Corso è aperto a chi ha
in suo attivo un corso di 1 e 2 livello in Psiconcologia
e chi ha maturato un‟esperienza pluriennale in ambito
sanitario impegnati in una relazione d‟aiuto e
desiderano una condivisione delle esperienze
professionali.
Percorso strutturato in 11 incontri di sabato dalle 10
alle 17,30, richiedi informazioni e calendario
Agevolazioni per chi ha partecipato alle edizioni
precedenti ed ai Soci Sostenitori
50 Crediti ECM per psicologi e
psicoterapeuti
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"Emozioni in punta di penna" Corso di scrittura espressiva
La scrittura fa da ponte tra interno ed esterno, tra
l’esperienza intima di chi
scrive e chi legge;
presuppone l’attivazione
di un processo
referenziale che connette
in una relazione di
traducibilità reciproca le
esperienze non verbali – tra queste le emozioni – con il
linguaggio: chi scrive traduce le esperienze interiori in
forma verbale, chi legge rapporta le parole al proprio
mondo emozionale.
Raffaella Restuccia da Un Ponte sul fiume Guai 2012
Scrivere è un atto terapeutico.
Leggere, ascoltare e “sentire” è una restituzione di
dignità alla persona con disagio.
Maurizio Cianfarini intervista ad Omero
Corso per Operatore Letterario 2018 in ambito
sanitario e di sofferenza psicosociale; Definizione e
strumenti della Medicina Narrativa e della Scrittura
Espressiva; Applicazioni pratiche nei diversi contesti
di cura; imparare narrando con elementi di autoanalisi
ed introspezione letteraria, mettersi dal punto di vista
dell‟altro ascoltando se stessi; dall‟ascolto empatico
alla comunicazione non verbale come elementi di
produzione letteraria; esercizi e lavori di gruppo;
produzione di materiale letterario;
Discussione e lavoro di gruppo.
ROMA 10 febbraio 2018
Percorso strutturato in 10 incontri di sabato
dalle 10 alle 17,30, richiedi informazioni e
programma
Sono previste agevolazioni
Advance booking:
del 10% per iscrizioni entro il 31 dicembre 2017,
Distanza chilometrica:
10% sull'importo totale (residenza oltre i 300 Km dalla
sede del corso)
Porta un amico: 5% sull'importo totale
le agevolazioni sono cumulabili
50 Crediti ECM per infermieri, medici, terapisti
occupazionali, psicologi e psicoterapeuti ecc. ecc.
E’ in corso la Campagna Associativa
per l’anno 2017, diventa anche tu
Moby Dicker
IV Ed. Premio Fotografico Nazionale “Carpe Diem – Cogli l’attimo”
Sono salito sulla cattedra per ricordare a me
stesso che dobbiamo sempre guardare le cose da
angolazioni diverse. E il mondo appare diverso da
quassù. Foto di M. Cianfarini
Non vi ho convinti?
Venite a vedere voi
stessi. Coraggio! È
proprio quando
credete di sapere
qualcosa che dovete
guardarla da un'altra
prospettiva”.
Questa suggestiva citazione tratta da “L’Attimo
fuggente” di Peter Weir (1989) descrive a pieno la
prossima iniziativa promossa a livello nazionale
da Moby Dick.
Anche quest‟anno, infatti, abbiamo scelto di
affiancare alle attività ordinarie un‟iniziativa
culturale che dia l‟opportunità ai partecipanti di
raccontare la propria esperienza attraverso un
canale diverso e creativo. Il 1° luglio si è aperta
ufficialmente la Quarta edizione del Premio
Fotografico Nazionale “Carpe Diem – Cogli
l’attimo” il cui titolo racchiude in un‟unica, breve
espressione oraziana ciò che vogliamo
comunicare: cogliere l‟attimo, non lasciarlo
sfuggire. Fermarlo e guardarlo proprio da
“quell’altra prospettiva” descritta dal Professor
Keating nel celebre film.
In quest‟ottica, la fotografia assume il significato
di apertura, di passaggio da mondo interno a
mondo esterno. Osservarla, dunque, sarà
un‟opportunità, quella di permettersi non solo di
ripensare ma anche di rivalutare il singolo
momento legato all‟incontro - diretto o indiretto -
con la malattia.
ULTIMI GIORNI Il concorso si concluderà il
10 gennaio 2018 e la premiazione in Primavera!!
Ulteriori informazioni e il Bando consultabile sul
sito su cui potrete vedere modalità di
partecipazione e i Premi messi a disposizione.
Prendete in mano le vostre macchine fotografiche,
Moby Dick vi aspetta!
Bando su www.moby-dick.info
Alessia Gentile
“Le foto non si fanno con la macchina…
si fanno con gli occhi, col cuore e con la testa..” Henri Cartier-Bresson
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L’elemento spirituale nella pratica
infermieristica e non solo.
Il seguente articolo vuole essere il primo di
una serie di contributi all’utilizzo della
spiritualità in ambito sanitario. La
spiritualità è qui vista quale forza unificante
che si manifesta nel sé, forza che si manifesta
ed è sperimentata nel contesto delle relazioni
di cura verso sé, gli altri, la natura. Una
spiritualità laica, appartenente a tutto il
genere umano, non avendo prove certe della
sua esistenza in altri ambiti, e che in alcuni si
manifesta attraverso la religiosità ma da non
confondere con essa. Una forza vitale che ci
permette, specie nelle nostre prestazioni
massime, di fare una scelta, prendere una
posizione, avere un atteggiamento
significativo, nonostante tutto. “La presenza
intenzionale dell’infermiere, dell’operatore
sanitario in generale (medico, psicologo,
fisioterapista ecc. ecc.), rende possibile
l’ascolto delle preoccupazioni spirituali dei
pazienti. Tali preoccupazioni si rivelano
anche attraverso il racconto della propria
vita. Nutrire lo spirito dell’infermiere è una
condizione essenziale perché possa avvenire
questo scambio tra paziente e infermiere.”
La spiritualità sta ricevendo sempre maggiore
attenzione da parte degli operatori sanitari,
ricerche recenti hanno tentato di esplorare e di
chiarire la relazione tra spiritualità e salute.
Per l‟infermiere, la sfida consiste
nell‟integrare queste nuove consapevolezze
nella pratica quotidiana.
Incorporare la spiritualità nella sua piena
laicità nella professione richiede una
sensibilità particolare ai diversi modi nelle
quali si esprime questa spiritualità. Talvolta
gli infermieri si possono trovare ad affrontate
tematiche che hanno a che vedere con le
dimensioni spirituali senza riconoscerle come
tali. Le ricerche svolte indicano che la
spiritualità è un aspetto integrante della vita,
della salute e del benessere (Anderson &
Hopkins, 1991; Barker, 1989; Burkhardt,
1989, 1991, 1993; Hewden, 1992). Qualcuno
ha addirittura suggerito che la spiritualità
costituisca la pietra miliare della cura
infermieristica globale (Nagai-Jacobson &
Burkhardt, 1989).
Le ricerche recenti sulla spiritualità nelle
donne hanno mostrato come la spiritualità sia
una forza unificatrice, che si manifesta nel sé,
e si riflette nell‟essere, nel sapere, e nell‟agire
di ognuno (Burkhardt, 1991, 1993). La
spiritualità viene espressa e sperimentata nel
contesto delle relazioni di cura con se stessi
(soliloquio e rispetto dei propri bisogni), con
gli altri, con la natura, con Dio e con la forza
vitale. Gli elementi chiave di questa visione
della spiritualità sono il sé e le relazioni. Il sé
riflette un percorso di vita che include la
propria identità, le conoscenze, le azioni, le
fonti di forza e di significato. Le relazioni
sono quei collegamenti che uniscono il sé agli
altri, alla natura, a Dio, alla forza vitale.
Prestare attenzione al sé e a questi legami è
essenziale per la cura totale della persona.
Nutrire lo spirito dell’infermiere
Nutrire e curare la propria spiritualità è
fondamentale per poter integrare la spiritualità
nella pratica professionale. In questo tipo di
cure, l‟attenzione verso il sé e verso i diversi
legami è di importanza vitale. Nel percorso
spirituale la persona può partire solo dal punto
in cui si trova; nessuno è escluso e chiunque
si può risvegliare (Fields, Taylor, Weyler &
Ingrasci, 1984). La guarigione comincia a
casa, e la cura del sé è il prerequisito
essenziale per qualunque guaritore (Brennan,
1987). Vi sono dei temi comuni alle diverse
religioni, culture e discipline, che riguardano
la cura dello spirito e dell‟anima. (V. E.
Frankl, Homo Patients 1998)
L‟associazione per le Unità di Cura
Continuativa “Moby Dick” nel suo percorso
formativo accreditato porta avanti con
successo la formazione centrata sia su aspetti
emozionali che spirituali che aiutano
l‟operatore a prendersi cura di se.
(www.moby-dick.info area ECM)
Moore (1992) suggerisce uno stile di vita che
si prenda cura dell‟anima; gli elementi che
quest‟autore indica come necessari per questa
cura -fermarsi, prendersi del tempo, riflettere,
prestare attenzione- sono comuni alle diverse
tradizioni sopracitate. Il fermarsi è una
modalità antitetica rispetto al nostro modo di
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vivere impegnato, ci offre il tempo di
fermarci, riflettere, e assimilare ciò che sta
succedendo attorno e dentro di noi.
Assaporare, apprezzare, stare fermi,
meravigliarsi, sono tutte cose che il fermarsi
ci permette di fare.
Prendersi del tempo per sé e con le persone,
prendersi del tempo per le relazioni e per le
cose (animate e inanimate) ci permette di
conoscerle e di essere conosciuti da esse. Così
facendo le nostre relazioni diventano più forti,
più profonde, più intime. I nostri spiriti si
nutrono, si allargano, si formano, anche se
queste relazioni sono segnate dallo sforzo.
Prendersi del tempo e prestare attenzione alle
relazioni nelle quali siamo coinvolti ci
permette di approfondire la nostra
comprensione e il nostro apprezzamento di
esse. (Cianfarini M. 2010 La malattia
oncologica nella famiglia, dinamismi
psicologici ed aree d‟intervento)
Riflettere e prestare attenzione sono due
aspetti del fermarsi e del prendere tempo.
Questo riflettere e prestare attenzione ci
permette di sapere quando fermarsi e quando
prendersi del tempo, sapere dunque quando è
occorre nutrire un po‟ lo spirito. Una
domanda importante da porsi è “Come vivo e
sperimento il sacro?” poiché i modi di nutrire
la spiritualità sono tanti quanti le persone che
cercano questo nutrimento.
Tenendo conto che il fattore tempo in ambito
sanitario richiama l‟urgenza (meccanismo di
difesa) e fa contattare le angosce di morte,
possiamo immaginare come per un
infermiere, un medico e operatore sanitario
sia necessario un percorso formativo che esula
dalle semplici nozioni didattiche ma un lavoro
su Se e sul proprio mondo emozionale
(Cianfarini M … e tutti giù per terra 2007)
Fields e colleghi (1984) affermano che lo
scopo dell‟attenzione è di produrre
consapevolezza e quindi raggiungere o
scoprire lo stato risvegliato della mente.
Questi autori affermano che prestare
attenzione è l‟essenza della vera spiritualità,
rilevando che le diverse pratiche spirituali
sono in realtà modalità per apprendere a
prestare attenzione. Segue una sintetica
descrizione di alcune di queste pratiche.
Il Centering è un passo importante nel
processo di mettersi in contatto con il proprio
spirito, questo processo infatti concentra
l‟attenzione e apre la consapevolezza dei
soggetti. I modi in cui realizzare questo
Centering sono descritti da diversi autori.
Vi è un gran numero di modi per realizzare il
Centering. Quasi tutte le tradizioni spirituali
orientali e occidentali ne propongono alcuni,
quali ad esempio contare i respiri,
concentrarsi sulla respirazione, ripetere un
movimento rituale, ripetere parole sacre,
ballare, creare una scena immaginaria e così
via. (Savary & Berne, 1988, 25)
Nella letteratura di carattere infermieristico il
Centering, o trovare un punto di riferimento
personale, è stato definito un momento
necessario per la preparazione al contatto
terapeutico (Borelli & Heidt, 1981;
Chiappone, 1989; Krieger, 1979). Questi
processi di Centering spesso implicano
l‟attenzione verso la respirazione, la
consapevolezza del collegamento con
l‟energia universale, e la scelta intenzionale di
svolgere la funzione di presenza guaritrice.
Harris (1989) utilizza il Centering come modo
per ottenere uno stato di quiete con se stessi e
dentro se stessi, in preparazione del momento
di „danzare‟ i sette passi della spiritualità
femminile. Questi passi includono risveglio,
scoperta, creazione, soffermarsi, nutrire,
creare una tradizione, e trasformare. Il
processo suggerito da questa autrice implica
lo stare fermi e riposarsi nel proprio spirito
attraverso il lasciarsi andare del proprio
corpo. Questa autrice offre delle domande
significative da porsi ad ogni passo,
incoraggiando così la persona a prendersi del
tempo e a non affrettarsi, lasciando emergere
le domande dal proprio sé profondo. Nel
contesto di un‟altra tradizione, Brooke
Medicine Eagle (1991) offre delle domande
che possono guidare la persona nel processo
di collegarsi con il grande spirito presente in
ogni persona. Quest‟autrice fa notare
l‟importanza di creare uno spazio sacro per
questo tipo di lavoro e la significatività del
processo spirituale.
Savary e Berne (1988) descrivono la pratica
della presenza spirituale come Kything, che ha
l‟obiettivo di “creare un legame, unione,
ANNO 6-4 Pagina 9
comunione, spirituale amorevole tra due o più
persone o esseri viventi”. Il processo di
Kything richiede che i pazienti siano
contenuti in uno stato di quiete, di Centering,
contenendo il paziente in una consapevolezza
amorevole, attraverso l‟unione spirito–spirito.
Questi autori suggeriscono che questo
momento di comunione deve essere solo un
momento durante il quale l‟operatore sceglie
di essere una funzione guaritrice per la vita
del paziente, guidato “non solo dalle
conoscenze ottenute attraverso lo studio
formale e attraverso anni di esperienza, ma
anche dai movimenti interiori e dalla saggezza
profonda del proprio spirito”.
Qualunque esperienza nella quale una persona
presta attenzione può essere un‟esperienza di
Centering perché permette di essere
pienamente presente e consapevole in un dato
momento. Tali esperienze possono assumere
forme diverse e una persona può trovare
diversi percorsi per raggiungere questo
Centering. La scelta importante è quella di
impegnarsi ad aumentare l‟attenzione e la
consapevolezza attraverso la pratica di
discipline spirituali quali la preghiera e la
meditazione e attraverso il riconoscimento
delle opportunità di aprire lo spirito nelle
attività quotidiane quali cucinare, giocare,
camminare.
Le esperienze profonde dello spirito passano
attraverso le relazioni in una comunità o nella
solitudine. Riconoscere lo spirito implica la
consapevolezza che ovunque uno si trovi, lì è
terreno sacro (Smith, 1992). Esperienze del sé
e della solitudine non sono separate o
scollegate dalle esperienze della comunità o di
relazione, sono tutte parte dell‟integrità di una
persona. Le esperienze del sé che possono
richiedere solitudine sono preghiera,
meditazione, esercizi corporei, movimento,
riposo, attesa, espressioni rituali o creative.
Meditazione. Le pratiche di meditazione
facilitano il legame, o il „divenire amici‟ di se
stessi. Tali pratiche di consapevolezza e di
sintonizzazione con la propria natura possono
concentrarsi su un singolo oggetto o simbolo,
o misurate ad espandere la consapevolezza
dell‟ambiente esterno (Borelli & Heidt, 1981).
Brennan suggerisce che la meditazione può
essere semplice come contare fino a dieci,
contando 1 ispirazione, 2 espirazione, 3
inspirazione, e così via. “La parte difficile sta
nel ricominciare da capo ogni volta che ci si
distrae” (Brennan, 1987, 198).
Preghiera. Molte tradizioni affermano che la
vita stessa è una preghiera: Può essere
descritta come parte profonda del sé che anela
ad un legame con la forza vitale dell‟universo
e con gli altri. Il Centering attraverso la
preghiera può integrare parole e silenzi,
movimenti e immobilità, solitudine e
comunità. Come e quando ti fermi a pregare e
meditare?
Movimenti corporei, sensazioni. Lo spirito si
può incontrare anche prestando attenzione al
vissuto corporeo e alle sensazioni fisiche. Gli
esercizi non solo contribuiscono alla propria
salute e benessere, ma possono fornire anche
un mezzo per il Centering attraverso il
movimento. Danza, yoga, T‟hai Chi, sono
vissute dal alcune persone come forme di
meditazione. Farsi un bagno caldo, ricevere
un massaggio, sentire una leggera brezza sul
corpo, sono tutti momenti nei quali lo spirito
può farsi sentire attraverso il corpo.
L‟attenzione al suono, alle vibrazioni, al
ritmo, può essere un altro mezzo per
contattare lo spirito. Concentrarsi con gli
occhi su un mandala, un oggetto sacro,
osservare un tramonto, un bambino che gioca,
se fatto con attenzione, può aprire lo spirito.
Per alcuni, certi odori quali quello
dell‟incenso o dei fiori, possono facilitare la
concentrazione sul vissuto interiore. Come ti
prendi cura del tuo sé fisico? Quali suoni,
immagini e odori facilitano il tuo Centering?
Come integri l‟attenzione al movimento nella
tua vita quotidiana?
Riposo, attesa, tempo libero. La vita
quotidiana e i tanti impegni rendono facile
scordarsi di “fermarsi, aspettare, e essere
aperti al potere rinnovatore della presenza
riposante” (Canham, 1993, 27). Sulla vostra
agenda scrivete „riposo‟? Proteggete con cura
quel tempo? Accettate le opportunità per
riposarvi, anche un periodo di malattia, o un
appuntamento annullato all‟ultimo minuto?
ANNO 6-4 Pagina 10
Imparare a riposarsi veramente,
quotidianamente, è una sfida che richiede
un‟attenzione particolare. Imparare a donare
agli altri il riposo, un momento silenzioso,
uno spazio guaritore, senza avere attese o
richieste, è un apprendimento essenziale.
Smith (1992) ci ricorda che se non ci
fermiamo a vedere la nostra vulnerabilità
cresceranno progressivamente il senso di
alienazione e di stanchezza, e ci
allontaneremo sempre più dalla nostra voce.
Le nostre anime hanno bisogno di riposo e di
guarigione e a volte dobbiamo soffermarci
sulla bellezza interiore per lasciarla uscire
(Smith, 1992, 35).
Kidd (1990), trattando l‟importanza
dell‟attesa, parla dell‟arte spirituale di „stare
nel bozzolo‟ mentre si attraversano momenti
critici della propria vita. Quest‟autrice
descrive l‟attesa così:
“… passiva e passionale… un opera
vibrante, contemplativa… discendere
nel sé, in Dio, in labirinti più profondi
di preghiera… ascoltare le voci
diseredate dentro di sé, affrontando
ferite dell’anima … lottare con
l’immagine di chi siamo realmente in
Dio … e trovare il coraggio per vivere
quell’immagine… (Kidd, 1990, 14).
Prendersi il tempo per riposare e per viverre i
momenti di attesa è un aspetto integrante del
viaggio verso la guarigione. Vi state
coccolando in parti di voi? Potete rispettare i
tempi di attesa della vostra vita e in quella
degli altri?
Pieper (1993) descrive il tempo libero come
forma di silenzio e condizione dell‟anima, un
atteggiamento mentale e spirituale. Il tempo
libero, secondo Pieper, è una forma di silenzio
che permette alla persona di sentire, un
atteggiamento ricettivo della mente, un
atteggiamento riflessivo, che da sia
l‟occasione sia la capacità di mettersi in
contatto con la creazione. Pieper afferma
inoltre che il tempo libero sia legato alla
felicità, all‟affermazione di sé, alla fiducia, al
riconoscimento del mistero, alla celebrazione,
e all‟apertura verso il tutto. Voi trovate il
tempo per riposarvi, per mettervi in contatto
con la creazione, per ascoltare? Siete
consapevoli del silenzio dentro di voi?
Rituali. I rituali sono importanti componenti
di molte tradizioni e vengono discussi in molti
scritti. I rituali possono essere descritti quali
modalità “sacre, non di routine” di mettersi in
contatto con la forza vitale. I rituali implicano
un‟intenzione, un luogo, un momento, e delle
persone (Achterberg, Dossey, & Kolkmeier,
1994). Quali rituali sostengono il vostro
viaggio spirituale? Pianificate uno spazio per i
rituali nella vostra vita? Ci sono dei rituali ai
quali vi piacerebbe partecipare?
Le esperienze di contatto che sono
significative per la cura dello spirito
includono il contatto con le persone, con le
comunità e con l‟ambiente fisico. I contatti
ricchi all‟interno della vita di comunità
offrono una grande risorsa per nutrire lo
spirito. Per questo è importante pianificare del
tempo insieme a altre persone che in modi
diversi nutrono e affermano il nostro essere.
Nel posto di lavoro, nelle case, comunità, e
nel mondo più ampio, le persone che sono in
grado di esserci, di ascoltare racconti di
grandi sofferenze o gioie, che riescono a
condividere gli sforzi e i trionfi dei nostri
viaggi, formano profondamente la nostra vita.
Voi pianificate un momento e uno spazio per i
vostri compagni di spirito? Siete disponibili
ad ascoltare le storie dei membri della vostra
famiglia? Riconoscete le opportunità che vi
vengono date, di condividere la vostra storia?
Vi sono persone nel vostro luogo di lavoro
che possono condividere le vostre ferite e le
vostre gioie?
Il gioco può essere sperimentato in comunità
o da soli. Incoraggiare se stessi e gli altri a
giocare dona vitalità e nutre lo spirito. Al
gioco si associano il ridere, l‟abbandono,
l‟energia e la vitalità. Quand‟è stata l‟ultima
volta che avete detto ad un amico “andiamo a
giocare”? In questo senso, il gioco non è
competizione, ma riguarda la condivisione e il
divertimento. A due donne che stavano
giocando a ping pong è stato chiesto “chi ha
vinto?” ed esse risposero all‟unisono
“Abbiamo vinto tutte e due”. Loro avevano
giocato nel vero senso della parola. Giocate
anche voi, per il benessere del vostro spirito.
Utilizzare i doni della creatività (V. E. Frankl
Psicoterapia nella pratica medica 1974)
permette all‟anima di esprimersi. Ricamare,
ANNO 6-4 Pagina 11
disegnare, scolpire, scrivere, fotografare, e
ascoltare o suonare musica; tutti questi sono
modi per prendersi cura della propria anima.
Anche godersi un film, una commedia, un
concerto, sono modalità per conoscere meglio
e quindi nutrire lo spirito. Qual è l‟arte che ti
comunica di più? Quand‟è stata l‟ultima volta
che hai nutrito questo aspetto di te? Il mondo
che ci circonda offre molte occasioni per
mettersi in contatto con il proprio spirito.
L‟interdipendenza di tutto il creato ci diventa
sempre più chiaro, come ci ricordano
costantemente la saggezza delle tradizioni
antiche e le recenti scoperte scientifiche. La
natura si offre a noi attraverso i sensi, il
profumo dei fiori, il sapore delle spezie, la
sensazione della terra nuda sotto i piedi, il
rumore delle onde che si infrangono sulla
spiaggia, la vista di stormi di uccelli che ci
sorvolano. Per molti l‟aria aperta costituisce
uno spazio sacro che chiama e nutre lo spirito.
Appoggiarsi ad un albero, osservare un
animaletto, piantare un seme, sono alcune
delle tante strade che conducono alla
spiritualità. Quali sono i doni della natura che
nutrono il tuo spirito? Vi organizzate in modo
da poter ricevere quei doni tutti i giorni?
(Lukas E., Prevenire la crisi 1991)
Margaret A. Burkhardt, Maurizio Cianfarini
Mary Gail Nagai-Jacobson
Bugie, false verità,
omissioni e silenzi.
Le bugie fanno parte
della nostra vita:
distinguere le bugie dalla
verità è difficilissimo,
fare a meno delle bugie è
impossibile, anche perché spesso sono necessarie,
sono una difesa (la maggior parte delle volte per
tutelare il proprio narcisismo), spesso una terapia.
Partendo da queste considerazioni, Gianna
Schelotto ha studiato il meccanismo della bugia e
nel suo libro “Perché diciamo bugie” lo racconta
attraverso una decina di storie che "mettono in
scena" i diversi tipi di bugie. La prima storia che
ci viene narrata è quella di Alice che assiste al
suicidio della giovane zia Lucilla. Un suicidio
che, però, verrà fatto passare per un banale
incidente, creando in lei, ancora bambina, non
poca confusione, a causa dell‟incongruenza tra ciò
che le veniva detto e ciò che invece aveva visto.
Per anni, Alice cercherà la verità scontrandosi con
il silenzio in cui tutti i membri della famiglia si
erano chiusi, impedendole di elaborare il lutto. Cioè di mettere in atto quel processo che la
Kübler-Ross nel 1970 descrive come un alternarsi
di cinque fasi. Terremo comunque conto che la
morte è solo la massima esperienza di perdita e
che spesso la persona si avvicina a tale perdita con
lo stesso atteggiamento con cui ha affrontato le
perdite precedenti, a volte non considerandole
così gravi e quindi aderendo ad una sua modalità
appresa di affrontare un lutto.
Le cinque fasi, non necessariamente sequenziali e
non presenti sempre, ma in questo caso ci
troviamo di fronte ad un lutto non elaborato, sono:
-Negazione: In questa prima fase, che in genere
segue immediatamente la scomparsa o
l'abbandono del proprio caro o, nella maggior
parte dei casi compare già con la negazione della
gravità della malattia non permettendo un lutto
anticipatorio, la persona non è in grado di
elaborarne la perdita. Parla di chi se n'è andato
quasi come se fosse ancora con lei e può cercarne
la presenza aspettandosi di vederlo comparire,
come se si fosse allontanato solo
momentaneamente. In un certo senso, è come se la
realtà fosse così intollerabile da dover essere
rifiutata. È comune osservare shock e stordimento.
In questo primo stadio, quindi, è negata la perdita,
e può esserlo a diversi gradi di intensità.
L'esclamazione che accomuna chi si trova in fase
di negazione è: "Non può essere successo"; tutto
questo per un semplice motivo, ha bisogno di
tempo per accettarla, ovviamente più tempo passa
per ogni fase e più va a discapito della prognosi.
-Rabbia: Questa fase insorge, normalmente,
quando la persona che vive il lutto non ha più
modo di evitare di guardare in faccia la realtà
della perdita ed è arrabbiata perché tutti i suoi
sforzi di ricongiunzione non hanno prodotto
risultati, inizia a rendersi conto che questa cosa è
ANNO 6-4 Pagina 12
accaduta proprio a lei e alla persona che ama e
viene subita come un‟ingiustizia, spesso a causa di
“sospesi”, cosa che non può più fare con
“l‟affetto” perduto; rabbia vissuta come una
sensazione di non aver, spesso per un senso di
colpa, non dedicato il giusto tempo o che si
pensava di avere ancora “tutto il tempo del
mondo”. La rabbia può essere espressa contro sé e
contro gli altri, contro la persona scomparsa
(colpevole di essersene andata) o contro un'entità
superiore, per esempio Dio o il destino. In questa
fase la rabbia, al contrario di quanto si potrebbe
pensare, è una reazione funzionale, in quanto cela
il dolore, la paura e la profonda tristezza che in
questo momento non sarebbe possibile affrontare.
-Patteggiamento: Chi è in stadio di
patteggiamento inizia a contattare in maniera
diversa la perdita, come in un dialogo con l‟altro,
e sarebbe disposto a “lasciar andare”
definitivamente a patto che possa ottenere
qualcosa in cambio: “se allora farò… allora potrò
ancora una volta, almeno”. È tipico che la persona
faccia promesse a se stessa e a chi se n'è andato.
Spesso ci si ripromette di essere migliori, di non
perdere più tempo, di non trascurare le persone
che si amano, oppure facciamo e concludiamo
processi già attivati (riparazioni) con la persona
morta.
-Depressione: E‟ il momento di potersi vivere a
fondo tutto il dolore e lo sconforto. Questa è la
fase precedente alla risoluzione del lutto. Le
persone in fase di depressione non negano più la
perdita. Sono solo tristi per la scomparsa della
persona amata, per la loro solitudine, per
l'ineluttabilità della perdita. Questo stadio, che
potrebbe sembrare il peggiore, è in realtà la via
d'uscita dal lutto. A questo proposito, viene in
mente il detto: "Il momento più buio è quello che
precede l'alba". In questo caso, è proprio così. Se
la persona compie i passi giusti, dopo un periodo
di tristezza, di sconforto e di apatia, potrà
terminare il percorso di elaborazione della perdita,
accettandola.
-Accettazione: In questo stadio la persona
comincia poco alla volta a riorganizzare la propria
vita, a riprenderla in mano. Lo fa considerando il
dolore della perdita per quello che è, senza cercare
di negarlo o di evitarlo, ma senza perdere mai
troppo di vista il fatto che è viva e che può ancora
gioire di tante cose. Ciò non significa cancellare i
ricordi della persona scomparsa e della vita fatta
insieme. Questo sarebbe un ulteriore meccanismo
di negazione e rimozione, che tenderebbe a
generare un lutto complicato. Al contrario, chi
accetta davvero la perdita conserva i ricordi della
persona amata, ritaglia per essi uno "spazio nel
proprio cuore", tenendo però gli altri spazi liberi
per tutto ciò che da lì in poi verrà.
Un lutto ben elaborato è un lutto in cui vengono
percorse tutte le precedenti fasi, un percorso che,
però, Alice non ha potuto fare.
Leggendo il libro della Schelotto, possono venire
in mente le numerose storie di nonni scomparsi,
nel proprio senso della parola, attraverso il
silenzio dei genitori o le verità abbozzate e dei
conseguenti lutti non elaborati. Spesso il nostro
silenzio, le nostre omissioni sono legate alla
tenera età dei figli ed al timore di ferirli
inutilmente. Sottovalutiamo i bambini, i nostri
ragazzi e forse mettiamo al sicuro la nostra
incapacità di dialogare intorno alla morte.
Invece si ricorderanno tutto di quella
“scomparsa”, della malattia, costruendosi una
“loro” verità a volte anche più angosciosa della
realtà. Sappiamo che nell‟ignoto, non noto,
abbiamo l‟abitudine di collocarci non solo le
nostre paure ma quelle che percepiamo in maniera
angosciante dal contesto in cui vengono generate.
Ricordo che anni fa, un‟amica mi raccontò di
quando da piccola, uno zio le disse:
“Nonno sta male, dovete andare dalla zia”
In realtà era morto. Ma a volte è difficile chiamare
le cose con il loro nome.
Il punto è che la persona prima di morire si
ammala, se riuscissimo a iniziare a dare questa
informazione non ci troveremmo a dover, non
dover, dire una notizia enorme.
Due giorni dopo la mia amica e i suo fratelli
tornarono a casa. Lei mi disse di ricordare gli
occhi tristi di suo padre, i sorrisi forzati e un
silenzio pieno e soffocante. Ricorda di essere
andata dalla madre:
“Nonno è morto, vero?”
“Si, però non piangere, fai finta di nulla…i tuoi
fratelli ancora non lo sanno”
ANNO 6-4 Pagina 13
E lei ha finto. Ha finto così tanto bene da essersi
probabilmente convinta che suo nonno fosse
ancora vivo in ospedale. Fino a quando, molto
tempo dopo, mentre era alle prese con delle
faccende che di solito faceva insieme a lui, ha
realizzato che non sarebbe più tornato, che quelle
cose non le avrebbero mai più fatte insieme. Mai
più perché quella brutta malattia, di cui lei non ne
sapeva nulla, aveva avuto la meglio su di lui. E
finalmente ha pianto.
Ma ancora oggi, lei mi dice, di essere incapace di
metabolizzare la morte di una persona a lei cara
fin da subito. In un primo momento si comporta
come se non fosse successo nulla, poi dopo mesi
si ritrova a piangere disperatamente, come se
quella persona fosse deceduta in quel momento.
Pensavano che lei non capisse, pensavano di
proteggerla con il silenzio ma così facendo non le
hanno dato la possibilità di elaborare il lutto, di
esprimere il suo dolore o le domande che le
frullavano in testa.
La convinzione che i bambini possano essere
troppo piccoli per poter comprendere cosa
succede intorno a loro o che non siano in grado di
percepire che qualcosa non va, anche se è una
credenza comune, non è esatta. Basti pensare che
uno studio americano, pubblicato sulla rivista
dell‟associazione Psychological Science, ha
dimostrato che i neonati tra i 6 e i 12 mesi sono in
grado di percepire e reagire a una discussione tra i
genitori anche mentre dormono. I dati di questo
studio indicano, infatti, che il cervello dei neonati,
reagisce prontamente alle voci che ascolta durante
il sonno, in termini di maggiore o minore stress
correlato alla tipologia di emozione comunicata
dal suono. Se un neonato è perfettamente in grado
di cogliere gli stimoli esterni, pensate quante
informazioni può captare un bambino, anche se
molto piccolo, e quanto questo possa turbarlo, se
non correttamente aiutato a dare un senso a ciò
che percepisce. I messaggi non verbali,
comportamentali e gestuali incidono molto nella
formazione del bambino che, quotidianamente,
“legge” e “registra” le azioni dei genitori e,
soprattutto nei casi di incongruenza tra parole e
fatti, di fronte ai silenzi o ai vuoti del non detto,
tenta di darsi delle risposte da solo (spesso poi, nel
non detto, ci possiamo inserire delle fantasie ancor
peggiori della verità). Se non sono stati informati,
se non gli è stata data una spiegazione per loro
comprensibile, o se addirittura gli è stato detto
qualcosa a cui non riescono a credere o che cozza
con quello che loro stanno percependo, useranno
quelle poche informazioni a disposizione per dare
un senso a quello che stanno vivendo e per
spiegarsi perché le persone che stanno loro
intorno sono così strane, addolorate, tristi,
sconvolte. In pratica i bambini hanno bisogno di
sapere, di conoscere perché voi siete tristi, perché
gli altri sono tristi, perché anche loro sono tristi.
Bisogna ricordare che “non si può non
comunicare”, quindi, per quanto ci si possa
sforzare di far finta di niente, loro percepiranno il
dolore e tutti gli altri sentimenti legati ad una
perdita. E‟ necessario, quindi, stringere un “patto
di comunicazione” con il bambino, cioè affermare
che starete vicino a lui per aiutarlo ad affrontare
quello che sta succedendo, che è libero di
comunicare come si sente, che può fare qualsiasi
domanda e che voi farete quanto vi è possibile per
rispondere. Quanto detto vale sia per quanto
riguarda la morte, sia per quanto riguarda una
malattia come il cancro. Quando un familiare si
ammala di cancro, infatti, cambia la vita di tutti i
membri della famiglia. Il tumulto di sentimenti, le
preoccupazioni e l‟intensità della terapia spesso
lasciano ai genitori troppo poco tempo e forze da
dedicare ai figli. I genitori desiderano
naturalmente proteggere i loro figli e spesso non
osano parlare con loro della malattia. Questo è del
tutto comprensibile. Tuttavia, i bambini e gli
adolescenti si accorgono, anche senza ricevere
informazioni dirette, che c‟è qualcosa che non va
ed elaborano di nascosto le proprie spiegazioni,
spesso spaventose, della «strana atmosfera». I
bambini sono capaci di gestire la verità molto
meglio di quanto solitamente ritengano i genitori,
perciò, per il buon rapporto tra genitori e figli, è
fondamentale che in famiglia si trasmettano
informazioni su cambiamenti rilevanti come la
comparsa di una malattia. Mentire oppure
omettere, anche se può sembrare la cosa più giusta
da fare, non è un bene. La bugia non è mai a fin di
bene, non è protettiva (se non per chi la dice), anzi
sconvolge la capacità di giudizio del bambino -
che ogni bambino ha sicuramente, in una misura o
in un'altra - del senso di ciò che è bene e di ciò
che è male e dire le bugie non rientra nel primo
caso. E poi, si lederebbe il diritto del bambino di
poter soffrire alla sua maniera per la verità e
potersene fare una 'sua' ragione, magari differente
da quella degli adulti, ma comunque 'sua'
assolutamente da rispettare e da non negare.
Quindi, quando ci troviamo nella situazione di
dover comunicare ai bambini la malattia di un
familiare, esiste una sola regola fondamentale:
dire la verità (stabilendo il grado di verità da
ANNO 6-4 Pagina 14
comunicare e non trovarsi a decide tra la verità e
la bugia). Ma come? In realtà non esiste un
modello fisso da seguire perché ogni famiglia è
unica e ogni situazione diversa ma è importante
fornire informazioni precise ed adatte all‟età del
bambino, attraverso un linguaggio che sia
comprensibile per lui. Nell‟informare i bambini è
importante chiamare le cose con il loro nome e
usare frasi brevi e semplici: non è necessario dare
il “nome” scientifico alla malattia ma è importante
che emerga lo stato di malattia, cura, guarigione o
peggioramento (loro hanno già incontrato “lo stare
male”, la febbre, la spossatezza, il dolore) e che
significa che alcune cellule del corpo sono malate.
Non siate reticenti o ridondanti, fate in modo che
il vostro contributo dia l'informazione necessaria,
né più né meno. Cercate di essere pertinenti
all'argomento della conversazione ed evitate di
essere ambigui, adottate parole che vi permettano
di non risultare oscuro. Evitate di parlare di
sviluppi lontani e non ancora prevedibili, ma
rassicurandoli che li si terranno informati su gli
sviluppi importanti, tenendo a mente che non
bisogna dire tutto ciò che si sa, ma che tutto ciò
che si dice deve essere vero e che non bisogna mai
fare promesse che non siano sicure. Altrettanto
importante è dare sostegno, rassicurandoli che non
hanno nessuna colpa della malattia e
incoraggiandoli a porre domande. Questa è la
parte predominante della comunicazione,
“esserci”, essere disponibili a rispondere alle loro
domande; dal momento che le faranno, pur
difficili che possano essere, vuol dire che sono in
grado di accogliere la risposta. In fondo sono
come noi, se non vogliamo sapere una cosa non la
chiediamo.
Un errore che spesso i genitori o comunque gli
adulti in generale tendono a commettere in queste
situazioni è sopprimere il proprio dolore, invece
permettersi di essere furiosi o tristi è utile per far
capire ai bambini che è normale che anche loro si
sentano abbattuti o arrabbiati. Lasciate che i vostri
figli vi possano vedere piangere e soffrire, così si
sentiranno autorizzati a farlo anche loro.
Lasciategli esprimere dolore, rabbia, angoscia,
anche attraverso il gioco e il disegno.
Come dicevamo prima, i bambini riescono a
percepire, anche se non chiaramente, ciò che
accade intorno a loro. La mia amica, per esempio,
mi diceva che del periodo in cui il nonno era
malato, ricordava chiaramente il suo umore
irritabile in quelle giornate “buie” che spesso
accadono, quando si combatte contro un tumore e
ricordava la distrazione e l‟umore altalenante di
suo padre, che non capendo adibiva ad un suo
comportamento errato. Per questo è importante
spiegare che a causa della malattia, si possono
avere reazioni connotate da maggiore irritazione o
irruenza del solito.
Nonostante questi piccoli accorgimenti,
comunicare da soli ad un bambino la malattia di
una persona cara può essere difficile, in questi
casi il ricorso a un‟assistenza professionale può
dare sollievo a tutte le persone coinvolte.
Oppure potete decidere di dire bugie se volete, ma
ricordate che Babbo Natale vi vede, e se non
sarete bravi, non ci saranno regali sotto l‟albero
per voi.
Sara Romano Bibliografia consigliata
L. Malagotti, Nonno!?!... quale nonno!!?? Alcune
considerazioni su come comunicare ed aiutare i
bambini ad affrontare la morte di una persona a loro
cara. In “La forma che emerge dal confronto” n 19,
2006, 123-136
Kubler-Ross E. On death and dying. Chicago, 1965.
Tr. It., La morte e il morire. Cittadella, Assisi, 1976
https://shop.legacancro.ch/files/kls/webshop/PDFs/itali
ano/malati-di-cancro-come-dirlo-ai-figli-per-genitori-
con-consigli-per-i-docenti-033039102111.pdf
http://www.ansa.it/saluteebenessere/notizie/rubriche/sti
lidivita/2013/03/27/Liti-mamma-papa-fanno-male-
cervello-bebe-_8468225.html
Continua dalla prima pagina
Lo sappiamo, a volte fare delle scelte implica
impegno, determinazione e fatica e a volte una
correlata sofferenza. Il punto è che lo scegliere di
lasciarsi andare al “destino” avverso ci fa vivere
comunque una situazione di sofferenza ma in
questo caso inutile, non correlata ad una crescita
personale.
Spesso ci appelliamo al voler fare la cosa giusta,
dove il giusto è eguale al non soffrire, quando
quello che ci dobbiamo chiedere è se questo che
sto provando ha senso. La scelta che faccio ha un
significato per me o per le persone che amo? Il
dolore può avere un significato o essere privo di
senso, ecco non rimaniamo nell‟insensatezza del
dolore,nel far parte di un destino che è vero
accade comunque ma “non è detto che lo faccia in
modo cronologico.”
M.C.
ANNO 6-4 Pagina 15
23 febbraio 2018
XVIII CONVEGNO
NAZIONALE
Jakov Deljana
“L’INTERVENTO PSICOLOGICO
IN ONCOLOGIA” Roma
La comunicazione in oncologia, in ambito
sanitario e tutte le sue declinazioni
Il 23 febbraio 2018 si terrà a Roma il 18º
Convegno Nazionale sull‟intervento
psicologico in oncologia, organizzato
dall‟Associazione Moby Dick.
Il tema di questo incontro sarà centrato sulla
“Comunicazione” come elemento
fondamentale del prendersi cura della
persona, della famiglia colpita da una malattia
oncologica.
È questo un argomento che per la sua
complessità e ricchezza cercherà di essere
trattato in maniera adeguata durante la
giornata ma vorrà senz‟altro essere un punto
d‟incontro e riflessione tra i vari operatori del
settore con l‟unione d‟intenti di dare il via a
percorsi costruttivi e continuativi di
collaborazione e di rete, in questo caso “che
la tua mano sinistra sappia cosa fa quella
destra”.
Il Convegno vorrà privilegiare concretamente
l’interattività tra relatori e pubblico, rendendo
gli argomenti più ricchi perché osservati da
più angolazioni: frutto sia di esperienze
realmente vissute e sia per la molteplicità
delle discipline presenti.
Se avete il desiderio di essere presenti come
relatori inviate titolo ed abstract a:
moby-dick@tiscali.it entro il 30 dicembre
Leggi le modalità di partecipazione ed invia il
tuo abstract. www.moby-dick.info
Io comunico
presente Dalla semplice
informazione alla
Relazione
Io comunicavo
imperfetto L’operatore al
cospetto della
perdita; quando la
relazione cessa;
cessa?
Io comunicherò
futuro semplice Informarsi o
formarsi?
Training Emotional
Area
Io comunicai
passato remoto L’operatore a
contatto con le
proprie perdite; il
controtransfert
Noi comunichiamo
presente Il lavoro d’equipe,
difficoltà ed
innovazione
Avrò comunicato
futuro anteriore L’operatore ed i suoi
sensi di colpa
Che tu comunicassi
cong. imperfetto Deresponsabilizzarsi
ed il rischio
burn-out
Noi comunicheremmo
Cond. presente Un giorno, chissà,
vedremo, se ho
tempo
L‟evento sarà accreditato per l‟Educazione
Continua in Medicina 8 E.C.M.
Ingresso libero previa prenotazione
obbligatoria tranne piccolo contributo per chi
richiede gli E.C.M, ancora più piccolo per i
Soci Sostenitori e Volontari di Moby Dick
Le nostre PUBBLICAZIONI
La malattia oncologica nella famiglia Dinamismi psicologici ed aree d’intervento
Maurizio Cianfarini
Carocci ed. (nelle migliori librerie ed in Sede)
ANNO 6-4 Pagina 16
Le nostre RUBRICHE
Non è vero… ma ci credo
Epifania come manifestarsi: riscoprirsi
nuovi. - La capacità di “credere” ancora.
“La befana vien di notte,
con le scarpe tutte rotte,
col cappello alla romana,
viva, viva la befana!!”
Sembrava ieri quando noi tutti eravamo pronti a
fare le nostre cacce al tesoro e scartare i dolci
della calza appesa ai pensili della cucina o del
salotto. La befana, ha tanti nomi (Befanì, Veggia
Bacucca, Vecchia Vegeta, Pifanie, Strieta,
Marantega, Barbasa, Buffaneigghie) ma qualsiasi
nome le si dia, nell‟immaginario collettivo, è
simboleggiata sempre dalla signora misteriosa che
all‟interno delle calza lascia carbone oppure doni.
Durante la notte tra il 5 e il 6 gennaio si dice che
gli animali parlino tra loro il linguaggio degli
uomini, che i prati si riempano di fiori e che l‟olio
ed il vino prendano il posto dell‟acqua nei
ruscelli. Questa vecchia signora dall‟aria scocciata
ed arcigna riserva il suo
caratteraccio solo agli
adulti e dietro al suo
aspetto trasandato e da
nonnina non è celata
una strega come,
erroneamente, talvolta è rappresentata ma una
dolce vecchina che riempirebbe i bimbi di baci,
doni e dolci. La befana che lavora
instancabilemnte tutta la notte, intrufolandosi nei
camini fuligginosi e angusti, dopo aver fatto lo
slalom tra i giocattoli di camerette in disordine e
calzini vecchi e puzzolenti raccoglie i desideri dei
bimbi nella scatola raccoglisogni. Questa usanza
si colloca in tempi remoti e svariate tradizioni
culturali come ad esempio la Strenia, lo spitrito
delle feste dell‟antica Roma, la personificazione
della salute pubblica, quella da cui è cominciato
l‟ambaradam dei „portaregali‟: San Nicola, Santa
Lucia, i Morti, i Magi, San Simone, San Martino,
Santa Caterina, Sant‟Antonio Abate, Babbo
Natale e perfino il Bambinio Gesù. È così che la
caccia al tesoro del sei gennaio è il momento più
esilarante dell‟anno quando finalmente arriva il
momento di cercare il tesoro nascosto e scoprire
quale sia il dono che tanto abbiamo faticato a
trovare. Ad ogni indovinello risolto si conquista
un pezzettino di stupore il quale mette in moto la
motivazione a sfidarsi e ad andare oltre il
prossimo rompicapo. Non importa il tempo, lo
sforzo mentale o l‟attesa poiché di lì a poco si
scoverà ciò che stiamo faticosamente
conquistando. Ma quale dono si “manifesterà”
sotto i nostri occhi, nascosto nell‟angolo di casa
più impensato? Non sarà importante, ciò che
importa è la “manifestazione” in sé, ovvero la
tangibile possibilità di essere sfidati e sorpresi
dalle nostre capacità di intuito, dalla astuzia degli
adulti di renderci complessa la ricerca, dalla
ricompensa emotiva di aver guadagnato quei
regali che terremo nel tempo. Così anche
nell‟immaginario dei bambini il termine Epifania
ed il contesto a cui esso s‟associa si lega
all‟etimologia della parola stessa ovvero:
manifestazione. Il vocabolo Epifania deriva infatti
dal greco “epi” e “fainetai” che vuol dire
“manifestarsi”, “apparire dall‟alto”. Così
nell‟antichità questo concetto era associato alla
apparizione di un Dio, ed uno soltanto, all‟interno
del tempio, in un giorno dedicato. Questa
apparizione era il dono, del Dio, che si faceva
avanti dopo tempi di preghiere e presagi nefasti,
delle volte. Proprio come il dono per i bambini,
dopo un anno di pensieri ed aspettative sul regalo
di natale e della befana, sui dolci che si sarebbero
potuti mangiare in via del tutto eccezionale. Così
il tema centrale è la “scoperta” e la sorpresa che
ovviamente ne deriva. A questo particolare
approccio al termine epifania si accosta anche lo
scrittore James Joyce che fa del concetto di
“epiphany” una delle colonne portanti della sua
letteratura. Epifania quindi come “rivelazione”, di
ogni sorta, positiva e negativa. La rivelazione che
scopre i personaggi nudi di fronte ad una nuova
realtà, ad una notizia o ad una malattia
sconvolgente e alla consapevolezza che ne deriva.
È così che questa nuova apparizione dà vita a due
comportamenti assai discordanti fra loro: la
paralisi e-o la fuga. Una nuova scoperta che
comporta sgomento. Un nuovo angolo di
prospettiva su se stessi e sul nostro mondo
interiore che si scopre vasto e fragile o fallato e
forte. Riflettendoci ancora un po‟ ci si chiede: Il
“dono” piacerà? Sarà accecante avere una luce
puntati su un angolo di se stessi inesplorato, sul
desiderio di qualcosa che poi si rende concreto?
Sarà così dolce e piacevole avere tra le mani nella
sua forma concreta di regalo l‟oggetto tanto
desiderato durante l‟anno? Sarà poi così piacevole
ANNO 6-4 Pagina 17
mangiare tutta la cioccolata che si desidera o si
scoprirà che la pancia duole dopo le abbuffate? La
rivelazione sta proprio qui. Nel disvelare e
raggiungere, attraverso le proprie fatiche, in
quell‟unico momento dell‟anno, ciò che abbiamo
a lungo immaginato e personalizzato nella nostra
mente durante un lungo periodo. Ecco che ci
compare davanti il volto del bambino
insoddisfatto o scontento del regalo che non è
piaciuto inspiegabilmente. “Eppure era ciò che
aveva sempre chiesto e desiderato!!”.
L‟aspettativa diventa così la trappola in cui si
inciampa quando ci si dipinge un dato contesto in
un certo modo. L‟aspettativa che si nutre dei
margini che gli abbiamo dipinto e rimpicciolisce
l‟immagine a suo piacimento per farla quadrare
entro se stessa. L‟aspettativa genera pretesa e dal
momento che viene disillusa genera rabbia, ed
ecco che il dono, la rivelazione, invece che
produrre gioia genera dolore. La sfida è tutta qui:
porci nell‟essere richiedenti con un atteggiamento
diverso dalla pretesa.
Non sempre si è pronti ad accogliere le
“rivelazioni”, non sempre si è soddisfatti di ciò
che si scopre o ciò che si manifesta è un dono
mandato dal cielo o apparso dall‟alto. Lasciamo ai
bimbi lo stupore di meravigliarsi e anche la
capacità di scoprirsi in grado di accettare anche il
mal di pancia dopo aver svuotato la calza.
Lasciamo agli adulti il tempo di rivelarsi forti
durante esperienze difficili, il divertimento e la
sorpresa che ne deriva nel sistemare sottili
indovinelli per la casa durante il sei gennaio.
Lasciamo che l‟epifania sia una scoperta su nuove
e inaspettate risorse personali. Lasciamo che la
strega passi a mezzanotte con le scarpe rotte. Non
è vero ma ci credo …. e preparo la tavola con latte
e biscotti per lei.
Non è vera ma ci credo
M.D.
Leonardo da Vinci-
L’Adorazione dei Re Magi. 1481
LEGGI I NOSTRI NUMERI
ARRETRATI SUL SITO, PAGINA PUBBLICAZIONI ALLA
VOCE “IL GAZZETTINO”
I want you
Fai il volontariato a Moby Dick
A domanda risponde
a cura di Maurizio Cianfarini Presidente dell‟Associazione Moby Dick, Esperto in psiconcologia, Logotherapy ed Analisi Esistenziale, Analisi individuali, di gruppo e
di Organizzazioni Direttore del Corso biennale in Psicologia
Oncologica. Collabora con numerosi enti per la formazione e la supervisione degli operatori sanitari e dei volontari nelle città di
Roma, Milano, Campobasso, Padova, Cosenza, Potenza, Larino,
Catania, Trapani e Firenze
Buonasera Dottore,
sono una mamma di due bimbi, uno di 16 anni e
l'altro di 6. Il secondogenito è affetto da leucemia.
Lo abbiamo scoperto tre mesi fa. Parlando con il
dottore è ovviamente uscita fuori la necessità di
affrontare svariate terapie che modificheranno la
quotidianità del nostro piccolo e la nostra. Siamo
preoccupati in merito alle modalità con cui
affrontare l'argomento insieme a lui e al più grande.
Io e mio marito temiamo che i nostri figli vengano
sconvolti da questa notizia terrificante. Inoltre non
vogliamo confondere i nostri sentimenti di paura
con i loro, mischiando così i legittimi proprietari
dell'emozioni che si scateneranno una volta appresa
e "resa ufficiale", perché comunicata alla famiglia,
la notizia.
Grazie per il suo parere.
A. R.
Gentile signora, per la Vostra famiglia è
sicuramente un momento molto difficile e dall‟età
dei suoi figli vedo che il più grande frequenta già
le superiori e quindi è “un ometto”; ecco questo è
uno degli errori che si possono fare, considerarli
già grandi, non è così.
Dobbiamo però tenere in considerazione che
spesso i nostri timori ci portano a sottovalutare le
capacità di stare nelle difficoltà dei nostri ragazzi.
La strategia migliore è mettersi a disposizione ed
essere vicini a loro in modo che possano poter
porre delle domande riguardanti la situazione,
inizialmente farei questa operazione in maniera
separata magari facendomi anche supportare dal
papà, ricordiamoci sempre che il ragazzo ed il
bambino porranno sempre domande in merito a
quello che riescono a sostenere, quello che non
ANNO 6-4 Pagina 18
vogliono sapere o non riescono a gestire non lo
chiederanno, specie se ci vedono intimoriti.
Quello che ci frena a volte e di sentirci non
adeguati e spaventati noi stessi, quindi dire
sempre la verità, il grado di verità che il ragazzo
può sostenere e non scegliere mai se dire la verità
o una bugia, l‟effetto che potremmo provocare è
un‟informazione parziale e falsa è che poi il
ragazzo, quello più grande, può andare a verificare
o colmare attraverso i media trovando di tutto e di
più.
L‟altro pericolo che il ragazzo può sentirsi
svalutato e non all‟altezza della situazione e
questo non lo aiuta, tanto più che l‟informazione
che lui avrà sarà diversa da quella che arriverà al
bambino dato che lui saprà e sentirà di essere
malato, specie quando dovrà affrontare la cura ma
nell‟essere malato, almeno all‟inizio non necessità
di specificare in termini tecnici la malattia.
I nostri figli sono più liberi e spontanei riguardo
alla malattia di quanto lo possiamo essere noi
condizionati da stereotipi sociali e culturali; avere
un dialogo diretto con loro, con i dovuti distinguo,
li metterà, e ci metterà, anche al riparo da
interventi non sempre lineari con i vari
componenti della famiglia o con gli insegnanti e
amichetti dei nostri figli.
Non è necessario conservare sempre un
atteggiamento di “forza” laddove in alcuni
momenti ci sembra più adeguato un momento di
sconforto o tristezza, ma facilitare un movimento
emozionale con i figli e nella coppia sicuramente
eviterà che ognuno se lo possa permettere solo al
chiuso della sua stanza. I ragazzi e la famiglia
hanno risorse per affrontare anche momenti
difficili, l‟importante non scambiare il dolore con
la debolezza; ricordiamoci anche che un segnale
di forza della famiglia è anche chiedere aiuto,
reciprocamente o anche attraverso dei
professionisti che possano condividere con voi
questi momenti e dare il supporto necessario per
affrontare l‟evento.
Un cordiale saluto
Scrivi alla Balena Bianca anche per altri quesiti
medici e/o psicologici, cercheremo di risponderti
al più presto direttamente e a pubblicare alcuni
quesiti in maniera anonima
Buonasera Dottor Cianfarini
Sono un’infermiera di 40 anni, da 11 lavoro nel
reparto di ematologia e come può immaginare sono
tutti i giorni a contatto con la morte. All’inizio era
veramente difficile, poi con il tempo è come se mi
fossi spenta. La settimana scorsa ho accompagnato
mia madre al funerale di un’amica di famiglia e mi
sentivo anestetizzata, come se ormai la morte mi
scivolasse addosso. Le scrivo perché ho il timore di
non riuscire più a sentire nulla, vorrei sapere se la
mia è una reazione normale o il segnale di qualcosa
che non va.
Grazie. S. R.
Gentile collega, parlare di normalità nel nostro
lavoro è una cosa azzardata, si rischia di vivere
alcuni episodi in estrema solitudine e sofferenza;
forse la sua situazione può trovare una
spiegazione già nelle frasi che usa in questa lettera
che mi ha indirizzato: “sono tutti i giorni a
contatto con la morte” dimenticando che il nostro
lavoro giornaliero è rivolto a persone, ai vivi.
Avendo questo atteggiamento si cade in quella
che troppo spesso le persone che aiutiamo
traducono con “spersonalizzazione”, cioè, aver a
che fare con la malattia, con la sofferenza e
null‟altro, dimenticandoci che dietro a quel dolore
c‟è una persona.
Avere l‟idea di aiutare “il paziente” non facciamo
altro che incontrare l‟altro solo nel dolore; infatti
paziente viene da “pathos”, soffrente e non come
alcuni credono che sono pazienti quindi disposti
ad aspettare tutto il tempo che “noi” crediamo sia
giusto prima di aiutarli.
Questo, come porta lei a testimonianza, non
induce altro che un‟anestetizzazione dei nostri
sentimenti, i nostri ideali e valori. Avere a che
fare solo con il dolore e rapportarci unicamente ad
esso non fa altro che impoverire il nostro “essere”
in relazione. Il rapporto con una persona è
arricchente e non pericoloso, uno scambio
reciproco che continuerà ad alimentare il nostro
entusiasmo e il nostro desidero di aiutare che si
trova in una situazione di sofferenza; ecco, non il
dolore, la malattia, davanti alla persona ma una
persona portatrice di una sofferenza.
Un‟altra cosa, se vogliamo parlare di contatto con
la morte ed il morire, forse chi si trova ad
affrontare questo in quel momento è la persona
che aiutiamo, forse dovremmo essere un pochino
più realistici ed umili sul nostro ruolo.
Comunque, la situazione in cui si trova ora le
permette sicuramente di rivisitare il suo modo di
“stare” nella relazione e farsi anche aiutare
individualmente o in una situazione di gruppo, a
tal proposito esistono diverse situazioni strutturate
sul modello del gruppo Balint che la potrebbero
aiutare, si guardi intorno oppure scriva alla nostra
associazione, la Balena Bianca le potrà tornare
utile. Buone cose e buon lavoro
Dr. Maurizio Cianfarini
ANNO 6-4 Pagina 19
Il Sostegno Psicologico in Oncologia:
quando e perché chiedere aiuto
Percepire un bisogno significa permettersi
d’incontrarlo; questa semplice regola (una regola
semplice ma che implica l’incontro con la sofferenza)
vale per tutte le persone coinvolte in una patologia
oncologica: paziente, familiari, amici e personale
curante. Un aiuto concreto si rivela
questo opuscolo scritto dal dr.
Maurizio Cianfarini e dalla dr.ssa
Raffaella Restuccia e distribuito
gratuitamente dall’Associazione
Moby Dick a tutti i reparti e servizi
ospedalieri e non che ne facciano richiesta. Una
richiesta di un numero di copie per il Vostro reparto,
day-hospital, servizio, può essere accompagnato da
parte dell’Associazione, se lo desiderate, da un breve
incontro con il personale sanitario per aiutarli ad
individuare le caratteristiche per poter individuare le
persone che possono aver maggior bisogno di una
terapia di sostegno psicologico ed effettuare un invio.
Per averci tra di voi contattaci ai nostri recapiti
Gratuitamente disponibile in Sede e scaricabile dal sito
(Training
Emotional
Area)®
Il Piano Oncologico
Nazionale 2010-2012, oltre a riconoscere un
ruolo centrale al volontariato, sottolinea
espressamente l'importanza del supporto
psicologico. Tale piano oncologico nazionale assume, per
decisione della Conferenza Stato-Regioni, il più
pregnante titolo di "documento tecnico di indirizzo per
ridurre il carico di malattia del cancro" per il triennio
2011-2013, che verrà accolto dalle Regioni, che
prevede, nell‟ambito degli interventi da attuare nel
Piano Oncologico Nazionale, anche una serie di input
per offrire adeguato supporto psicologico ai pazienti.
Art. 3.2.5 Sviluppo della psico-oncologia La patologia neoplastica può avere profonde
ripercussioni sulla sfera psicologica, affettiva,
familiare, sociale e sessuale sia del paziente che dei
suoi familiari. Viene riportato dalla letteratura psico-
oncologica che il 25-30% delle persone colpite da
cancro presenta un quadro di sofferenza psicologica,
caratterizzata in particolare dalla presenza di ansia,
depressione e da difficoltà di adattamento, che
influenza negativamente la qualità di vita, l‟aderenza ai
trattamenti medici e la percezione degli effetti
collaterali, la relazione medico paziente, i tempi di
degenza, di recupero e di riabilitazione. Tale sofferenza
può cronicizzare se non identificata e quindi trattata.
L’Associazione Moby Dick è stata confermata provider
standard con il numero identificativo 2012. Il
riconoscimento da parte della Commissione Nazionale per
la formazione continua, che un soggetto è attivo e
qualificato nel campo della Formazione Continua in
Sanità e pertanto è abilitato a realizzare attività formative
idonee per l’ECM individuando ed attribuendo
direttamente i crediti agli enti formativi e rilasciando
relativi attestati
Master Professionalizzante
PSICOLOGIA ONCOLOGICA, DELLE
PATOLOGIE ORGANICHE GRAVI e
PALLIAZIONE Direttore prof Maurizio Cianfarini
“Eccellente”, “un’esperienza formativa importante”
“ho trovato quello che cercavo, una formazione che
non è solo didattica”. Questi sono solo alcuni dei feed-
back ricevuti quest'anno alla chiusura del corso di
Psicologia Oncologica; un per-corso che si avvale di
numerosi docenti che mettono al primo posto nel loro
lavoro “la relazione” con la persona portatrice di una
patologia grave ed i bisogni formativi dei discenti.
Inizio 24-25 febbraio 2018
Frequentare un Corso è una scelta importante, è un
investimento non solo economico ma anche di tempo e
risorse fisiche e mentali, ma scegliere bene ripaga di
tutti gli sforzi.
In qualsiasi ambito lavoriamo è sempre possibile
incontrare una persona malata. Se non abbiamo
nessuna preparazione questo incontro ci può mandare
in crisi dal punto di vista sia personale che
professionale.
ANNO 6-4 Pagina 20
Una formazione in questo ambito è una risorsa
imprescindibile e che ci può aiutare ad affrontare sia
nella professione che nella nostra vita personale una
perdita, un lutto relazionale ed affettivo.
La formazione è una jungla in cui è difficile muoversi,
ma se usiamo una bussola essa indicherà sempre il
nord. Il nord in questo caso è scegliere innanzitutto un
corso organizzato non da chi si improvvisa ma da un
ente che da decenni lavora nell‟ambito; poi un gruppo
docente che sia formato da psicologi, psicoterapeuti e
medici.
OBIETTIVI e CONTENUTI
Conoscere e gestire gli aspetti psico-emotivi che
accompagnano l‟iter clinico delle malattie organiche
gravi.
Aiutare il paziente a recuperare il senso di sé e
della propria malattia nel contesto della sua storia.
Aiutare i familiari a contenere le angosce e a
gestire la sofferenza del paziente.
Offrire agli operatori un punto di riferimento per la
conoscenza e la gestione degli aspetti “emozionali".
Elementi clinici relativi alle maggiori malattie
organiche gravi
Gruppi di discussione a tema (comunicazione della
diagnosi e della prognosi, relazioni con la famiglia del
malato, burn out degli operatori).
Presentazione e discussione di casi clinici.
Accreditato per 50 ECM visita il sito per avere
informazioni sui docenti www.moby-dick.info.
Il Corso, a numero chiuso, è aperto a psicologi,
psicoterapeuti, medico chirurghi (palliativista,
chirurgia generale, anestesia e rianimazione)
infermieri, fisioterapisti.
Durante il secondo anno il Corso sarà strutturato come
Supervisione Clinica dando la possibilità ai discenti di
portare propri casi clinici, esaminare casi clinici
dell‟associazione e avere la possibilità di effettuare
osservazione e conduzione di primi colloqui su
discrezione dei docenti.
Sono previste agevolazioni del 15% per iscrizioni
entro il 31 dicembre, del 25% per laureandi e
neolaureati (max 4 posti), del 20% per i Soci
PRENOTATI
INVIANDO IL TUO
CURRICULUM
...e lasciati accompagnare
sulla rotta
Le Borse di Studio
L'Associazione mette a disposizione due borse di
studio come Premio per la migliori tesi in Psicologia
Oncologica, inedita. I lavori presentati verranno
sottoposti all'insindacabile giudizio del direttivo. Le
tesi dovranno pervenire in duplice copia: " una copia
cartacea (non si accettano manoscritti) una copia su
dischetto o CD in formato word Per partecipare alla
selezione inviare curriculum e tesi tramite
raccomandata con ricevuta di ritorno, o recapitato di
persona, in busta chiusa indirizzata a: Associazione
Moby Dick / Selezione Corso 2017, Via dei Caudini, 4
– 00185 Roma. (Scadenza 30 dicembre 2017)
Le agevolazioni non sono cumulabili.
OPEN DAY in
Psicologia oncologica, delle patologie
organiche gravi e palliazione Roma
18 gennaio h 15-18
INGRESSO LIBERO
"Emozioni in punta di penna" La scrittura in ambito psico-socio-
sanitario
Corso per Operatore Letterario 2018 in ambito
sanitario e di disagio sociale; Definizione e strumenti
della Medicina Narrativa e della scrittura espressiva;
Applicazioni pratiche nei diversi contesti di cura;
imparare narrando con elementi di autoanalisi ed
introspezione letteraria, mettersi dal punto di vista
dell‟altro ascoltando se stessi; dall‟ascolto empatico
alla comunicazione non verbale come elementi di
produzione letteraria; esercizi e lavori di gruppo;
produzione di materiale letterario;
Discussione e lavoro di gruppo.
ROMA 10 febbraio 2018
Percorso strutturato in 10 incontri di sabato
dalle 10 alle 17,30, richiedi informazioni e
programma
ANNO 6-4 Pagina 21
50 Crediti ECM per infermieri, medici, terapisti
occupazionali, psicologi e psicoterapeuti.
Sono previste agevolazioni
Advance booking:
del 10% per iscrizioni entro il 31 dicembre
Distanza chilometrica:
10% sull'importo totale (residenza oltre i 300 Km dalla
sede del corso)
Porta un amico: 5% sull'importo totale
Le agevolazioni sono cumulabili
“Help Profession" il lavoro in equipe e la Mission Sanitaria
25 gennaio 2018 Roma
3/C. group Conflitto/Comunicazione/Confronto
Incontri, nell‟ottica dell‟approccio globale al
paziente e di condivisione con gli operatori
ispirandosi al modello dei gruppi Balint, si
propongono di fornire ai partecipanti strumenti
teorici, tecnici e pratici. Il Corso è rivolto a tutti
coloro che sono impegnati in una relazione d‟aiuto e
desiderano una condivisione delle esperienze
professionali.
Gli incontri saranno quindicinali, il giovedì
pomeriggio, per un totale di 15 incontri
35 Crediti ECM per tutte le professioni sanitarie
(infermieri, medici, fisioterapisti, logopedisti,
biologi, farmacisti, ecc.)
Come aiutarci Comunicando la propria disponibilità a prestare tempo
(anche minimo) all‟associazione
Versando periodicamente (a piacere) una quota come
sostenitore utilizzando UNICREDIT codice IBAN
IT74Z0200805335000400263864 oppure sul c/c
postale n. 37246543 intestati a Moby Dick, Via dei
Caudini 4, 00185 Roma; CAUSALE: contributo
liberale
Proponendo iniziative per raccolta fondi o
manifestazioni
Contatti: e-mail: moby-dick@tiscali.it
Tel/Fax 06-85358905
Le richieste di sostegno psicologico alla
Nostra Associazione in questi ultimi anni sono in
continuo aumento, questo grazie sia ad un passa
parola, da parte di pazienti che hanno avuto
giovamento dal percorso terapeutico effettuato, e sia
grazie ad una maggiore visibilità che l'Associazione
sta avendo nel territorio comunale e provinciale.
Ogni anno partecipano ai nostri incontri di
formazione molti operatori sanitari provenienti da
tutte le Regioni d‟Italia (infermieri, medici e
psicologi); questa opportunità ci permette di far
comprendere agli operatori che le difficoltà ed il
disagio che il malato incontra non è solo fisico.
Attraverso la formazione riusciamo a far conoscere i
Servizi che Moby Dick offre in maniera totalmente
gratuita. Qualche volta, nel primo colloquio,
sentiamo la persona dire: "l'avessi saputo prima...",
esprimendo non solo il suo ma probabilmente il
rammarico di molte persone che ancora non sanno
della possibilità di avere un sostegno psicologico in
momenti così difficili del loro percorso di vita.
Gli obiettivi dell’associazione
Moby Dick cerca di rispondere al bisogno dei
pazienti oncologici (e organici gravi) di condividere
emozioni, sentimenti e vissuti legati all‟esperienza di
malattia e ai suoi effetti sulla quotidianità, effetti che
danno la sensazione di non riuscire più a capirsi, a
relazionarsi come prima con gli altri e con la vita, in
breve di non riconoscersi più. Malati e familiari
sperimentano affetti nuovi e complessi, talvolta difficili
da comprendere e gestire. Il nostro obiettivo è di non
lasciarli da soli a confrontarsi con queste
problematiche, nella consapevolezza che la vita di ogni
persona è la vita che potrebbe essere di tutti.
Quali sono le modalità: I colloqui per i pazienti
sono completamente gratuiti, sia che si tratti di brevi
consulenze sia per lunghi percorsi di
accompagnamento. Il paziente (malato o familiare) è
seguito nel momento in cui ne fa richiesta. Questo può
avvenire nel momento in cui riceve la diagnosi, dopo
un‟operazione chirurgica, nel periodo delle cure,
quando fa i controlli periodici, quando deve riprendere
la normale quotidianità, quando la malattia si aggrava,
quando avviene il passaggio ad una terapia domiciliare
o nel caso di un familiare quando non sa come
comportarsi, quando necessita di un contenimento delle
intense emozioni.
Chi effettua il sostegno: Il personale che
effettua i colloqui è specializzato, trattandosi di
psicologi e/o psicoterapeuti iscritti all‟albo e che, prima
di cominciare a seguire pazienti in associazione
ricevono una formazione specifica.