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Rivista elettronica del Centro di Documentazione Europea
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INTEGRAZIONE EUROPEA E DIRITTI SOCIALI DI
FRONTE ALLE NUOVE CONDIZIONI DELLO
SVILUPPO DEL MERCATO GLOBALE
Pierangelo Grimaudo Prof. Associato di Istituzioni di Diritto Pubblico nell’Università di Messina
ABSTRACT: Mentre a livello europeo non manca una rete di salvaguardia dei diritti sociali in via
giurisdizionale, è pressocchè assente uno strumentario di realizzazione positiva dei diritti sociali, in
virtù della stessa natura sussidiaria dell’azione comunitaria e del principio delle materie attribuite.
La realizzazione dei diritti sociali resta di esclusiva competenza degli Stati, per i quali i principi ed i
valori in senso sociale e solidale sono un vincolo costituzionale prioritario all’azione di governo. Il
Trattato sull’Unione pone invece sullo stesso piano i vari aspetti dell’Europa unita: libero mercato e
finalità sociali e solidali. Ciò ha consentito all’Europa, soprattutto negli ultimi anni di forte crisi
economica, di scegliere tra i suoi obiettivi “costituzionali” uno in particolare che ha valorizzato a
danno degli altri: il libero mercato, la stabilità economica e monetaria a discapito della coesione
economica sociale e della solidarietà territoriale, mettendo in serio dubbio la natura personalista
della “costituzione europea”. L’Euro sembra avere assunto a livello comunitario quella posizione
centrale che nelle Costituzioni degli Stati è assegnata alla persona. La vocazione rigorista è
testimoniata d’altronde, dall’adozione del Fiscal compact. Tutto ciò ha finito per condizionare la
capacità di manovra degli Stati in ordine alle politiche di spesa, sia in termini di messa in campo di
ammortizzatori sociali, come anche in termini di politiche pubbliche di spinta verso la crescita
economica. Se è vero che nel breve termine il peso degli oneri economici implicati dalla garanzia di
un quadro di diritti sociali si risolve in gap di competitività, è anche vero che tale sistema di coesione
sociale, se adeguatamente valorizzato nell’Unione, potrebbe assicurare una più solida tenuta della
società europea rispetto a quelle realtà, pure produttive, ma prive di un quadro ordinamentale di
tutela dei diritti sociali. Dal punto di vista costituzionale, ciò implica che si passi a livello europeo da
una “Costituzione materiale” Eurocentrica ad un indirizzo politico costituzionale dell’Unione di
piena valorizzazione della vocazione sociale propria del Trattato di Lisbona
PAROLE CHIAVE: Integrazione europea, Trattato di Lisbona, Diritti sociali, Carta di Nizza,
Costituzione per l’Europa
1. Dalla Costituzione europea al Trattato di Lisbona
Il tema della tutela dei diritti fondamentali, e tra questi dei cosiddetti diritti sociali
nell’ambito dell’ordinamento comunitario dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona1,
non può essere disgiunto da quello relativo ad alcuni profili istituzionali del processo di
integrazione europea.
1 GAMBINO, Diritti fondamentali e Unione europea, Milano, 2009.
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Il superamento del gap democratico e l’instaurazione di un’architettura istituzionale
comunitaria più vicina ai modelli democratici statuali propri dei Paesi membri dell’Europa
non può non avere risvolti positivi circa il livello di assunzione di una vocazione sociale da
parte dell’Unione, con evidenti risvolti positivi in ordine alla tutela dei diritti sociali.
A tal fine, è opportuna una breve ricostruzione delle più recenti vicende istituzionali che
hanno interessato l’Unione europea negli ultimi anni e che hanno condotto infine al Trattato
di Lisbona che, pur non avendo natura costituzionale, riveste comunque un’importanza
fondamentale per il rilancio del processo di integrazione dell’Unione Europea2.
Come è noto, la mancata ratifica del Trattato che istituiva una Costituzione per l’Europa
firmato a Roma nel 2004 da parte della Francia e dell’Olanda aveva indirizzato il processo di
approvazione della Costituzione Europea verso un binario morto. L’allargamento dell’Unione
prima a 25 e nel 2007 a 27 Stati aveva ulteriormente complicato la questione, anche per la
riluttanza di alcuni dei Paesi nuovi entrati ad accettare pienamente il carattere costituzionale
del Trattato firmato nel 20043. La scelta operata dalla Conferenza intergovernativa (CIG) del
2007 a Lisbona è stata quella, strategicamente efficace, di disinnescare i punti di maggior
conflitto, e di sostituire il Trattato costituzionale con un altro che presentasse un profilo
preminentemente tecnico e non politico.
Sul piano metodologico si rinuncia al metodo alternativo previsto per il Trattato
costituzionale fondato sulla preparazione del testo da parte di un organo sovranazionale (la
Convenzione) e sull’unificazione del quadro normativo primario comunitario in un solo
Trattato sostitutivo per intero dei Trattati preesistenti, per ripristinare il tradizionale strumento
della revisione dei singoli Trattati (Trattato sull’Unione Europea – TUE – e Trattato sul
funzionamento dell’Unione Europea – TFUE –). Viene eliminato dal testo ogni riferimento alla
nozione di Costituzione, per le implicazioni giuridiche e politiche che questa comportava sul
piano della sovranità ed identità dei singoli Stati. In tale quadro viene soppresso anche il
Preambolo contenuto nel Trattato costituzionale, ad eccezione del primo capoverso nel quale
2 BASSANINI – TIBERI (a cura di), Le Nuove istituzioni europee. Commento al Trattato di Lisbona, Bologna,
2008. 3 CLEMENTI, Il Trattato di Lisbona: dalla Convenzione europea del 2003 alla Conferenza Intergovernativa del
2007, in BASSANINI – TIBERI (a cura di), Le Nuove istituzioni europee. Commento al Trattato di Lisbona,
Bologna, 2008, p. 31 e ss..
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si afferma che l’Unione si ispira alle eredità culturali, religiose e umanistiche dell’Europa da
cui si sono sviluppati i valori universali dei diritti inviolabili e inalienabili della persona, della
libertà, della democrazia, dell’uguaglianza e dello Stato di diritto. Ancora, viene eliminata dal
testo la Carta di Nizza4, originariamente inglobata nel Trattato costituzionale, che tuttavia
assume adesso, ai sensi dell’art. 6 del TUE, piena valenza giuridica nel quadro
dell’ordinamento comunitario.
Va detto, tuttavia, che le modifiche apportate dalla CIG di Lisbona al Trattato
costituzionale risultano, ad un’analisi più approfondita, abbastanza limitate, tanto da far
affermare a magna pars della dottrina che il “nucleo essenziale” della Costituzione europea
sia stata preservata dal Trattato di Lisbona. Tale tesi è confermata dal mantenimento delle
innovazioni istituzionali: il superamento dei tre pilastri e il riconoscimento della personalità
giuridica unica dell’Europa, l’affermazione ora richiamata – di grande rilievo ai fini di una
tutela omogenea dei diritti fondamentali – del carattere giuridico vincolante della Carta dei
diritti di Nizza, ora equiparata ai Trattati, una più chiara definizione delle competenze tra
Unione e Stati membri, il rafforzamento delle istituzioni comunitarie. In tale quadro, vengono
ampliati il potere del Parlamento in materia di bilancio, i settori in cui è richiesta la
maggioranza qualificata e le materie in cui è contemplata la procedura di codecisione con il
Consiglio (Giustizia e Affari Interni); la Commissione accresce da un lato, la sua
legittimazione democratica in virtù dell’elezione parlamentare del suo Presidente e dall’altro,
la sua efficienza organizzativa, attraverso la riduzione del numero dei Commissari e
l’istituzione dell’Alto rappresentante dell’Unione per affari esteri e la politica di sicurezza.
Infine, il Presidente dell’Unione non sarà più a rotazione semestrale, ma verrà eletto per 2
anni e mezzo e sarà rieleggibile.
4 AZZARITI, Uguaglianza e solidarietà nella Carta dei diritti di Nizza, in SICLARI (a cura di), Contributi allo
studio della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, Torino, 2003; BARBERA, La Carta europea dei
diritti e la Costituzione italiana, in Le libertà e i diritti nella prospettiva europea, Atti della Giornata di studio in
memoria di Paolo Barile, Padova, 2002; SALAZAR, I diritti sociali nella Carta dei diritti fondamentali dell’U.E.:
un “viaggio al termine della notte”?, in FERRARI (a cura di), I diritti fondamentali dopo la Carta di Nizza. Il
costituzionalismo dei diritti, Milano 2001; LUCIANI, Diritti sociali e integrazione europea, in Politica del diritto,
n. 3, 2000; CARICI – PIZZOLATO, Costituzione europea e diritti sociali fondamentali, in Lavoro e diritto, n. 2,
2000.
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Certo, non tutti i problemi sono stati risolti e, rispetto al Trattato sulla Costituzione, si
registrano alcune regressioni, dovute alla necessità di fare qualche concessione a favore di
quei Paesi che sono stati più riluttanti rispetto alla definizione di un più avanzato processo di
integrazione politico–costituzionale. Per tutti si menziona qui l’introduzione della clausola di
recesso in applicazione della quale uno Stato membro potrà recedere dall’Unione e sciogliersi
dall’obbligo dei Trattati (art. 50 TUE) e la concessione a Regno Unito e Polonia ed alla
Repubblica Ceca di un opting out, in relazione alla natura giuridica della Carta dei diritti, che
per certi versi esime questi Stati dalla completa applicazione dei “principi costituzionali
comuni”. Per i primi due Stati, infatti, il protocollo prevede che “la Carta non estende la
competenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea o di qualunque altro organo
giurisdizionale della Polonia e del Regno Unito a ritenere che le leggi, i regolamenti o le
disposizioni, le pratiche o l’azione amministrativa della Polonia e del Regno Unito non siano
conformi ai diritti, alle libertà ed a principi fondamentali che essa riafferma”.
2. I diritti sociali nel nuovo quadro comunitario: la Carta di Nizza
Ciononostante, ci sembra di poter sostenere che il quadro costituzionale comunitario
tenda complessivamente a consolidarsi. E questo sembra valere soprattutto in relazione al
problema della protezione dei diritti fondamentali.
Se negli anni scorsi la preoccupazione maggiore, soprattutto da parte dei
costituzionalisti, era quella di una minore attenzione da parte di un ordinamento, quale quello
comunitario, sorto prevalentemente per finalità di natura economica (libero mercato e
circolazione di beni e persone, capitali e servizi) rispetto alla tutela dei diritti fondamentali,
non può non evidenziarsi come nell'ultimo periodo, soprattutto con l'emanazione della Carta
di Nizza5, le istituzioni comunitarie abbiano rappresentato, accanto alle Corti costituzionali,
un efficace baluardo nei confronti di politiche legislative attuate dai singoli Stati, che mettono
in discussione valori e diritti fondamentali riconducibili a quello che è ormai considerato un
5 AZZARITI, Uguaglianza e solidarietà nella Carta dei diritti di Nizza, cit..
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patrimonio costituzionale comune europeo6. La definizione dei valori sui quali si fonda
l’Europa indicati nell’art.1 bis del TUE, il rispetto della dignità umana, la libertà, la
democrazia, l’uguaglianza, lo Stato di diritto, il rispetto dei diritti umani costituisce non solo
un risultato dal punto di vista storico, ma assume una valenza anche concreta: il rispetto di
questi valori e l’impegno a promuoverli è per uno Stato europeo una condizione di accesso
all’Unione (art. 49 TUE), mentre la violazione grave e persistente degli stessi valori può
condurre alla sospensione dello Stato membro trasgressore.
Qualche ulteriore osservazione merita il problema dell’inquadramento della Carta dei
diritti fondamentali nel sistema normativo dell’Unione contestualmente all’adesione dell’UE
alla CEDU. Va precisato, infatti, che l’obbligo del rispetto della Carta, e quindi la possibilità
del cittadino di rivolgersi al giudice lamentando la violazione di un proprio diritto, riguarda
solo gli atti dell’Unione e gli atti adottati dagli Stati membri in esecuzione del diritto
dell’Unione, mentre rimangono esclusi gli atti nazionali estranei al diritto comunitario.
Qualora i diritti della Carta siano già disciplinati dai trattati o risultino dalle tradizioni
costituzionali comuni, tali diritti sono esercitati alle condizioni e nei limiti delle norme dei
trattati o in armonia con le tradizioni costituzionali comuni. Nel caso di diritti corrispondenti a
quelli della CEDU è possibile una protezione più estesa rispetto a quella dei Trattati.
Può sostenersi così, che con la positivizzazione della Carta europea dei diritti
fondamentali, alla previgente funzione di mero limite all’adozione di atti dell’Unione in loro
eventuale violazione, si aggiunge adesso una funzione di tipo positivo, quella di costituire uno
spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia, capace di guidare ma anche di limitare lo
stesso esercizio da parte delle istituzioni europee delle competenze loro riconosciute. Così, se
i diritti fondamentali hanno svolto fin qui una funzione per così dire strumentale, in ragione
delle esigenze connesse ai progressi della costruzione del mercato comune europeo, le nuove
forme del loro riconoscimento e della protezione giuridica ne disvelano una nuova vocazione
capace di assicurare maggiore linfa a concetti ugualmente centrali nel processo di costruzione
6 RUGGERI, Rapporti tra corti costituzionali e corti europee, bilanci interordinamentali e controlimiti mobili a
garanzia dei diritti fondamentali, in Rivista AIC, n. 1, 2011; BIANCHI, I diritti sociali dopo Lisbona: prime
risposte dalla Corte di giustizia, in CAMPEDELLI – CARROZZA – PEPINO (a cura di), Diritto di Welfare. Manuale
di cittadinanza e istituzioni sociali, Bologna, 2010.
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europea, come la cittadinanza dell’Unione o il significato della reciproca fiducia tra gli Stati
in uno spazio comune di libertà, di sicurezza e di giustizia. Al previgente obbligo di non
violare i diritti fondamentali imposto alle istituzioni e agli organi comunitari e agli Stati
membri (in attuazione del diritto comunitario) ne segue adesso un altro di tipo promozionale,
previsto dall’art. 51. 1 della Carta, che stabilisce che “essi rispettano i diritti, osservano i
principi e ne promuovono l’applicazione secondo le rispettive competenze”. Il Trattato di
Lisbona, anche per il richiamo ai valori di cui all’art. 1 bis, comuni agli stati membri in una
società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla
giustizia e dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini, tende almeno formalmente a
rafforzare la tutela dei diritti sociali. Nei nuovi artt. 2 e 3 del TUE, accanto alla previsione
secondo cui l’Europa “instaura un mercato interno” si prevede anche che la stessa si adoperi
“per lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su un’ economia sociale di mercato
fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale. Essa combatte
l’esclusione sociale e le discriminazioni e promuove la giustizia e la protezione sociale, la
parità tra le donne e uomini, la solidarietà tra le generazioni e la tutela dei diritti del minore.
Essa promuove la coesione economica, sociale e territoriale e la solidarietà tra gli stati
membri7.
Il problema diventa più complesso allorché la riflessione si sposta da campo dei diritti
fondamentali, c.d. di “prima generazione”, tradizionalmente legati alla formazione dello Stato
di diritto, a quello dei diritti sociali, riconducibili invece alla forma di Stato democratico-
sociale ed all’affermazione dell’effettività del principio di uguaglianza8.
7 DICKMANN, L’art. 3 del Trattato sull’Unione e la politica economica europea, in www.federalismi.it, n. 11,
2012. 8 CIANCIO, A margine dell’evoluzione della tutela dei diritti fondamentali in ambito europeo, tra luci ed ombre,
in www.federalismi.it, n. 21, 2012; CARUSO B., I diritti sociali fondamentali dopo il Trattato di Lisbona (tanto
tuonò che piovve), in WPC.S.D.L.E INT, n. 81, 2010; COSTANZO, Il sistema di protezione dei diritti sociali
nell’ambito dell’Unione europea, in FACURY SCAFF – ROMBOLI – REVENGA (a cura di), Problemi e prospettive in
tema di tutela costituzionale dei diritti sociali, Milano, 2009. Circa l’efficacia della Carta sociale europea e della
sua versione riveduta nel 1999 (CSER) nell’ordinamento italiano la giurisprudenza della Corte costituzionale (V.
tra le altre sentt. n. 163/1983, 84/1994, 46/2000), sebbene con qualche vistosa oscillazione, sembra non volere
rinunciare ad essa, quantomeno in funzione integrativa rispetto al parametro delle norme costituzionali interne
(GUIGLIA, La rilevanza della Carta sociale europea nell’ordinamento italiano: la prospettiva giurisprudenziale,
in www.federalismi.it, n. 18, 2013, p. 29).
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Come è stato osservato, il quadro normativo comunitario in materia di diritti sociali,
anche dopo l’incorporazione della Carta dei diritti fondamentali nei trattati dell’UE, oltre a
suscitare non poche perplessità in ordine alla loro formulazione ed alla natura di diritti
inviolabili degli stessi ed alla loro giustiziabilità, solleva una questione ben più rilevante
riguardo alla esistenza o meno a livello dei trattati di un principio di uguaglianza sostanziale
assimilabile a quello previsto in alcune costituzioni nazionali di stampo sociale, con
conseguenze particolarmente delicate in ordine alle competenze proprie dell’UE in tema di
Welfare che non risultino lesive delle competenze degli Stati membri e non ultimo, in ordine
alla copertura della spesa sociale9. Fra l’altro, la stessa collocazione al medesimo livello di
tutti i diritti fondamentali (compresi quindi i diritti sociali) operata dalla Carta europea dei
diritti fondamentali, che ad una prima lettura sembrerebbe un progresso rispetto alle
previsioni dei precedenti trattati, pone altrettanti problemi in quanto, “non sarà più possibile
trarre dal testo costituzionale ovvero a valenza costituzionale (quale ambisce ad essere la
Carta) una gradazione fra diritti; non sarà più possibile individuare dei principi prevalenti e
caratterizzanti l’ordinamento costituzionale”, con la conseguenza che la ricerca dell’equilibrio
tra i diversi diritti e libertà di cui alla Carta, tutti posti sullo stesso piano, e l’assenza di una
legge superiore nell’ambito del diritto comunitario, finirà per consentire un equilibrio libero
ad opera delle corti”10.
Con i nuovi trattati si registra una positivizzazione dei diritti fondamentali, ma i
cataloghi di tali diritti non corrispondono ai cataloghi previsti nelle costituzioni nazionali. Da
questo punto di vista va quindi condivisa l’osservazione della dottrina che “non è possibile un
confronto fra le garanzie previste dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE e quelle
assicurate dalle carte costituzionali nazionali”11. Da una analisi comparatistica delle
costituzioni dei Paesi dell’UE emerge come “non vi è un concetto europeo condiviso in
materia di qualificazione e di protezione dei diritti sociali, differenziandosene le diverse
previsioni costituzionali secondo soluzioni variegate quanto alla loro qualificazione giuridica
9 Ibidem, p. 12. 10 AZZARITI, Le garanzie del lavoro tra costituzioni nazionali, Carta dei diritti e Corte di giustizia dell’Unione
europea, in www.europeanrights.eu, 2011, p. 5 e ss.. 11 Ibidem, p.10.
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e alla stessa portata giuridica di tali diritti”12. In materia di diritti sociali non esiste pertanto
una tradizione costituzionale comune agli Stati membri (v. art. 6, comma 3 Trattato UE).
In ragione della natura prevalentemente economica (istituzione di un libero mercato)
all’origine dell’organizzazione comunitaria, la tutela dei diritti sociali ha sofferto sempre una
sorta di deminutio sia nei confronti dei diritti fondamentali sia soprattutto nei confronti dei
diritti e delle libertà economiche.
Al contrario dei diritti fondamentali di prima generazione, la protezione dei diritti
sociali nell’ordinamento comunitario, appare anche dopo il Trattato di Lisbona, indiretta e
puramente eventuale, in quanto i vincoli previsti non sono connessi direttamente alla loro
tutela, ma risultano strumentali ad interessi collegati all’attuazione di determinate politiche
dell’Unione ed al diritto della concorrenza e del mercato13. Inoltre, non sembra estendersi ai
diritti sociali la natura di diritti inviolabili e pertanto di principi supremi costitutivi
dell’ordinamento democratico e soprattutto, sussiste un problema di effettività di tali diritti sia
in relazione alla loro giustiziabilità14, vale a dire in relazione all’efficacia degli strumenti
giurisdizionali esperibili dai soggetti per garantirne la tutela, sia per quanto riguarda la
copertura della spesa e l’esistenza in capo alla UE di una competenza in materia, pur non
lesiva della competenza dei singoli Stati membri.
La disciplina dei diritti sociali nel quadro dell’ordinamento comunitario non
corrisponde ancora alla più avanzata concezione degli ordinamenti costituzionali
contemporanei a base sociale (Uguaglianza formale e sostanziale), in quanto ciò che rileva di
tali diritti nell’azione e per la realizzazione delle finalità dell’ordinamento europeo è – come
rilevato – la loro strumentalità (melius funzionalizzazione) alle esigenze dello sviluppo
economico e di competitività proprie del mercato comune, configurandoli come diritti
residuali.
12 GAMBINO, Diritti sociali tra Costituzioni nazionali e costituzionalismo europeo, in www.federalismi.it, n. 24,
2012, p. 5. 13 PIZZOFERRATO, Libertà di concorrenza e diritti sociali nell’ordinamento UE, in Rivista italiana di diritto del
lavoro, n. 3, 2010; GIUBBONI, Dopo Viking, Laval e Ruffert: in cerca di un nuovo equilibrio fra diritti sociali e
mercato, in ANDREONI – VENEZIANI (a cura di), Libertà economiche e diritti sociali nell’Unione europea, Roma,
2009; BRONZINI, Lavoro e tutela dei diritti fondamentali nelle politiche europee del dopo Lisbona, in Politica
del diritto, n. 1, 2008; GIUBBONI, Libertà di mercato e cittadinanza sociale europea, in Le prospettive del
Welfare in Europa, in AA.VV., Roma, 2007. 14 CIANCIO, A margine dell’evoluzione della tutela dei diritti fondamentali in ambito europeo, cit.
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Come è stato osservato, la disciplina comunitaria dei diritti sociali – anche se
considerata nella prospettiva della Carta dei diritti fondamentali dell’UE e de jure condendo
del Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa – contrasta nel fondo con la
concezione, ma anche con il livello di garanzia, che si rinviene negli ordinamenti
costituzionali nazionali. Infatti, tali diritti – nel contesto dell’azione e delle finalità
dell’ordinamento comunitario – rilevano nella misura in cui si armonizzano con le esigenze
proprie dello sviluppo economico e del mercato unico, configurandosi, nell’ambito più
generale della politica sociale comunitaria, come diritti complementari alle libertà
economiche e meri parametri di legittimità normativa, riservandosene il relativo
riconoscimento e la tutela più ampia all’interno degli Stati membri. L’intervento normativo e
giurisprudenziale europeo rimane subordinato alle tutele assicurate dalle legislazioni e dalle
giurisdizioni nazionali e agli stessi artt. 51, 52 e 53 della Carta dei diritti fondamentali
dell’UE, ora inglobata nel Trattato costituzionale, non sembrano poter innovare in modo
significativo rispetto a tale stato di deminutio dei diritti sociali rispetto a quello delle libertà
economiche. D’altra parte, non va sottaciuto che lo stesso sistema di protezione multilivello
dei diritti sociali introdotto dal Trattato di Lisbona prevede principi in qualche modo in grado
di superare le eventuali antinomie tra ordinamento europeo e ordinamenti nazionali. La
ricerca della tutela più intensa in concreto, come criterio di composizione dei vari livelli
normativi, è indotta, in particolare, dall’art. 53 CEDU e dagli att. 52, 3° comma e 53 della
Carta dei diritti fondamentali dell’UE. Tali disposizioni, infatti, prevedono che dal confronto
tra diritto interno, diritto dell’Unione e diritto di fonte convenzionale e internazionale (ivi
comprese, quindi, la CSE e la CSER) debba prevalere la norma più protettiva, come interpretata
dalle rispettive Corti15. La prevalenza della norma internazionale non è quindi assoluta, ma
15 GUIGLIA, La rilevanza della Carta sociale europea nell’ordinamento italiano: la prospettiva
giurisprudenziale, in www.federalismi.it, n. 18, 2013, p. 17. Sul punto v. anche RUGGERI, Rapporti tra CEDU e
diritto interno: Bundesverfassüngsgericht e Corte costituzionale allo specchio, in
http://www.diritticomparati.it/2011/06; Id., Costituzione e CEDU, alla sofferta ricerca dei modi con cui
comporsi in “sistema”, in http://www.giurcost.org; GUAZZAROTTI, I diritti sociali nella giurisprudenza CEDU, in
Rivista trimestrale di diritto pubblico, n. 1, 2013, p. 9 e ss.; CASSETTI, (a cura di), Diritti, principi e garanzie
sotto la lente dei giudici di Strasburgo, Napoli, 2012; CARDONE, La tutela multilivello dei diritti fondamentali,
Milano, 2012. NICOLINI, Il livello integrale di tutela come contenuto indefettibile dello statuto sovrannazionale
dei diritti fondamentali, in PEDRAZZA GORLERO (a cura di), Corti costituzionali e Corti europee dopo il Trattato
di Lisbona, Albisola Superiore, 2010, p. 389.
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trova un limite nel bilanciamento tra il principio che consente l’apertura dell’ordinamento
italiano alle norme esterne e gli altri principi supremi dell’ordinamento costituzionale. Il
principio sociale desumibile dagli art. 2 e 3, 2° comma della Costituzione italiana costituisce
quindi un vero e proprio controlimite rispetto al diritto europeo16.
In ogni caso, sembra di poter dire che nel quadro costituzionale comunitario i diritti
sociali, assumono la natura di diritti residuali, funzionalizzati agli obiettivi economici del
mercato unico europeo, con la normativa comunitaria in materia sociale limitata a dettare
mere disposizioni programmatiche, poco più che ‘obiettivi’, senza contenuti di prescrittività
per le istituzioni comunitarie, se non nell’ottica della funzionalità sociale del mercato
economico. L’incerta natura giuridica di tali disposizioni (e l’ancora più incerta prospettiva
del Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa), pare allontanare l’obiettivo,
strettamente correlato al processo di unificazione politica, di un consolidamento del sistema di
garanzia/effettività dei diritti sociali nell’ambito dell’intero territorio comunitario. Nella
consapevolezza che il futuro dei diritti sociali nel processo di costruzione comunitaria non
possa essere esclusivamente affidato alla sola giurisprudenza pretoria della Corte di Giustizia,
alla discutibilità delle sue tecniche argomentative ed ai relativi, sempre possibili, conflitti con
le giurisdizioni costituzionali nazionali, è auspicabile prevedere una loro positivizzazione
normativa in grado di farsi carico, in modo certo, non solo delle più avanzate “tradizioni
costituzionali comuni”, ma anche, per quanto più ci riguarda, dei diritti prestazionali. Ciò in
quanto alla “cittadinanza europea” dovrà corrispondere una necessaria uniformità e
omologazione dei diritti sociali di tali cittadini17.
Fino a quando i diritti sociali si porranno nel diritto comunitario come enunciazione
astrattta di obiettivi da perseguire e non godranno, alla stregua degli altri diritti fondamentali e
dei diritti economici, di una loro effettività di tutela, in altri termini fino a quando essi non si
configureranno come diritti fondamentali anche sul piano sostanziale, il processo di
integrazione dell’Unione europea non potrà dirsi compiuto.
16 SALVI, Diritto civile e principi costituzionali europei e italiani: il problema, in SALVI (a cura di), Diritto civile
e principi costituzionali europei e italiani, Torino, 2012, p. 16 e ss.. 17 Per un’analisi comparativistica della tutela costituzionale dei diritti sociali v. FACURY SCAFF – ROMBOLI –
REVENGA (a cura di), Problemi e prospettive in tema di tutela costituzionale dei diritti sociali, Milano, 2009.
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3. Conclusioni
Come abbiamo visto, l’art. 3 del Trattato di Lisbona sull’Unione europea enuncia un
principio politico, ed in particolare di politica economica, solidale: economia sociale di
mercato anche se fortemente competitiva, piena occupazione, progresso sociale, crescita
equilibrata sono le basi per lo sviluppo sostenibile dell’Europa, alla pari di altri aspetti tipici
di una concezione spiccatamente ispirata ai principi del libero mercato. Per il raggiungimento
di questo obiettivo (sviluppo sostenibile), secondo quanto stabilisce la disposizione letterale di
cui all’art. 3, comma 3 “l’Unione si adopera”. L’espressione sembra da una parte riferirsi
soggettivamente all’insieme delle istituzioni comunitarie, mentre per altro verso, la locuzione
adopera sembra evocare un impegno per così dire a tutto tondo, cioè non meramente formale,
bensì esteso anche alla prassi ed agli istituti di tutela dei diritti sociali compresi quelli di
natura giurisdizionale. Circa l’esclusione sociale da una parte, la giustizia e la protezione
sociale, la solidarietà tra generazioni, la coesione economica sociale e territoriale, la
solidarietà tra gli Stati membri dall’altra, la stessa norma utilizza espressioni alquanto
impegnative per l’Unione quali “promuove” e “combatte”che sembrerebbero autorizzare un
giudizio quanto meno fondato circa un sicuro ancoraggio delle politiche comunitarie ad un
quadro di fini e valori tipici dello Stato sociale. Sennonché, la rinuncia da parte degli Stati
membri, almeno di alcuni tra di essi, all’affermazione chiara ed univoca del valore
formalmente costituzionale del Trattato, che avrebbe costituito la pietra di fondazione di
un’entità istituzionale europea dotata almeno di alcuni caratteri propri degli Stati, costituendo
una prima ed indispensabile tappa verso un’eventuale costruzione degli Stati Uniti d’Europa,
sembra non consentire un accostamento credibile sotto il profilo giuridico tra l’ordinamento
europeo e gli ordinamenti Costituzionali degli Stati democratico sociali.
Per altro verso, mentre a livello europeo non manca una rete di salvaguardia dei diritti
sociali in via giurisdizionale, è pressoché assente uno strumentario di realizzazione positiva
dei diritti sociali, in virtù della stessa natura sussidiaria dell’azione comunitaria e del principio
delle materie attribuite. La realizzazione dei diritti sociali resta così di esclusiva competenza
degli Stati per i quali i principi ed i valori costituzionali in senso sociale, solidale e di
realizzazione di un’alta protezione della persona umana assolvono la funzione di vincolo
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all’azione di governo e di indirizzo politico costituzionale. La chiara natura di fonte
Superprimaria delle Costituzioni negli ordinamenti di Stato sociale consente alle clausole
sociali in esse contenute di imporsi anche al mercato, proprio per evitarne un’evoluzione in
senso antipersonalista. Infatti, come è stato osservato in dottrina “Società, economia e
mercato sono variabili non indipendenti, perché la reciproca interrelazione secondo un
determinato modello costituzionale produce un risultato originale dal punto di vista degli
effetti combinati sui diritti e le libertà della persona, fulcro delle costituzioni democratiche
contemporanee”18. D’altra parte poiché il processo di integrazione/“unificazione” europea si è
realizzato, e si realizza tuttora, nell’alveo e secondo le “linnee direttrici” dei Trattati che
hanno valore giuridico vincolante, per il legislatore comunitario e per quello degli Stati
membri, i principi e gli obiettivi definiti nel Trattato di Lisbona di libertà della persona e del
mercato da una parte, e di solidarietà e socialità dall’altra, costituiscono un vincolo
sostanzialmente costituzionale. Va notato però che a livello europeo il Trattato sull’Unione
pone sullo stesso piano i vari aspetti dell’Europa unita: libero mercato, finalità sociali e
solidali. Ciò ad avviso di non pochi osservatori ha consentito all’Europa, soprattutto negli
ultimi anni di forte crisi economica, di scegliere tra i suoi obiettivi “costituzionali” uno in
particolare che ha valorizzato a danno degli altri: il libero mercato, la stabilità economica e
monetaria a discapito della coesione economica sociale e della solidarietà territoriale,
mettendo in serio dubbio la natura personalista della “costituzione europea”19. L’Euro in altri
termini, sembra avere assunto a livello comunitario quella posizione centrale che nelle
Costituzioni degli Stati, patrimonio costituzionale comune evocato dalla Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione a fondamento della tutela dei cittadini europei rispetto all’azione
delle istituzioni dell’Unione, è assegnata alla persona. La vocazione rigorista giustificata dalla
salvaguardia degli obiettivi di stabilità economica non inflazionistica, è testimoniata
d’altronde, dall’adozione del Fiscal compact. Il Trattato sulla stabilità, coordinamento e
governance dell’unione economica e monetaria (Fiscal compact), come è noto, è un accordo
approvato il 2 marzo 2012 da 25 dei 27 Paesi membri dell’Unione europea, entrato in vigore
18 Così DICKMANN, L’art 3 del Trattato sull’Unione e la politica economica europea, cit., p. 2. 19 Ibidem, p. 3 e 4.
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dal 1° gennaio 2013. Tutti gli Stati membri hanno firmato il trattato ad eccezione del Regno
Unito e della Repubblica Ceca. Il patto contiene una serie di regole, chiamate “regole d’oro”,
che devono sono vincolanti nell’UE per il principio di equilibrio del bilancio, anche se,
l’accordo, formalmente, non fa parte del corpus normativo dell’Unione europea. L’accordo
prevede per i Paesi contraenti, secondo i parametri di Maastricht fissati dal Trattato CE,
l’inserimento, in ciascun ordinamento, dell’obbligo di perseguire il pareggio di bilancio che
verrà verificato dalla Corte europea di giustizia (art. 3, comma 1), l’obbligo per tutti i Paesi di
non superare la soglia di deficit strutturale superiore allo 0,5% ( e superiore all’1% per i Paesi
con debito pubblico inferiore al 60% del PIL), oltre a imporre una ragguardevole riduzione del
debito per un importo pari al 5% annuo, fino al rapporto del 60% sul PIL nell’arco di un
ventennio (art. 3 e 4). Gli Stati si impegnano a coordinare i piani di emissione del debito con
il Consiglio dell’Unione e con la Commissione europea (art. 6). Il trattato inoltre, prevede
l’obbligo per ogni Stato di garantire correzioni automatiche con scadenze determinate quando
non sia in grado di raggiungere altrimenti gli obiettivi di bilancio concordati, l’obbligo di
mantenere il deficit pubblico sempre al di sotto del 3% del PIL, che se violato, produrrà
l’irrogazione di sanzioni semi–automatiche da parte dell’UE20. Tutto ciò ha finito per
condizionare in maniera piuttosto stringente la capacità di manovra degli Stati in ordine alle
politiche di spesa sia in termini di messa in campo di ammortizzatori sociali, come anche in
termini di politiche pubbliche di spinta verso la crescita economica21. Vero è che, anche nel
rispetto dei vincoli di pareggio di bilancio di derivazione europea, non pochi Stati, soprattutto
dell’Europa meridionale e tra questi l’Italia, potrebbero alimentare politiche di crescita, di
incentivazione dell’occupazione e non ultimo di sostegno sociale, redistribuendo una spesa
pubblica fortemente assorbita da alcuni settori privilegiati smaccatamente improduttivi (nella
Pubblica amministrazione). In ogni caso, va preso atto che le nuove condizioni del mercato
20 Su punto v. tra gli altri, Perché il Fiscal Compact sprofonderà l’Europa nel baratro, in
http:/Keynesblog.com/2013/02/22 perche-ilfiscal-compact-sprofonderàleuropa-nel-baratro. 21 In dottrina è stato notato cheun forte ruolo nel controbilanciare questa deriva è stato esercitato da Parlamento
europeo nell’esame del cosiddetto Two Pack, che ha approvato a metà del mese di marzo 2013 con forti novità
rispetto al testo presentato, in particolare per quanto concerne l’attenuazione della politica europea di austerità e
di sorveglianza multilaterale, in maggiore coerenza con l’art. 3 del TUE” (Così DICKMANN, L’art 3 del Trattato
sull’Unione e la politica economica europea, cit., p. 6). Per i più recenti orientamenti dell’U.E. in senso di
maggiore impegno per le politiche sociali v. le conclusioni del Consiglio del 27 e 28 giugno 2013, in
www.european-council.europa.eu/council-meetings?.
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globale hanno dato luogo ad una competizione diseguale tra aree geografiche ad ordinamenti
sociali solidaristici e rispettosi del valore supremo della persona umana, e realtà altamente
produttive anche in virtù dell’assenza di un sistema di garanzie dei diritti sociali costosi,
tipico della civiltà europea22. In questo contesto, se è vero che nel breve termine il peso degli
oneri economici implicati dalla garanzia di un quadro di diritti sociali per tutti i cittadini, ed in
particolare per il lavoro, si risolve in gap di competitività, è anche vero che in una proiezione
temporale medio–lunga, tale sistema di coesione sociale è destinato ad assicurare una più
solida tenuta della società europea. Ciò implica che l’Europa non può lasciare gli Stati da soli
di fronte a questo compito così arduo. Né può continuare ad alimentare, implicitamente,
competizioni al ribasso tra gli Stati, in termini di politiche sociali, limitandosi ad imporre in
realtà economicamente e socialmente disomogenee anche all’interno di “Eurolandia”,
un’uniformità rigorista non accompagnata da un impegno altrettanto forte e solidale sul
campo delle politiche sociali.
Dal punto di vista costituzionale, ciò implica che ad una “Costituzione materiale” eurocentrica
si passi ad un indirizzo politico costituzionale di valorizzazione della vocazione sociale fatta
propria dal Trattato di Lisbona.
22 TEGA, I diritti sociali nella dimensione multilivello fra tutele giuridiche e crisi economica, in
www.gruppodipisa.it, 2012; SPADARO, I diritti sociali di fronte alla crisi (necessità di un “nuovo modello
sociale europeo”: più sobrio, solidale e sostenibile), in Rivista AIC, n. 4, 2011.