Post on 15-Feb-2019
transcript
UNIVERSITA’ CARLO CATTANEO – LIUC
FACOLTA’ DI GIURISPRUDENZA Corso di laurea in Giurisprudenza
IL CODICE DI AUTODISCIPLINA COME STRUMENTO DI CORPORATE GOVERNANCE: IL
CASO ITALIANO ALLA LUCE DELL’ESPERIENZA ANGLOSASSONE
Relatore: Prof.ssa Alessandra Stabilini Correlatore: Prof. Alberto Toffoletto
Tesi di Laurea di: Filippo Galluccio matricola 3473
Anno accademico 2001 - 2002
2
Autorizzazione alla consultazione della tesi di laurea
Il sottoscritto Filippo Galluccio n° matricola 3473
nato a Legnano il 24/10/1979
autore della tesi di laurea dal titolo “Il Codice di autodisciplina come strumento di
corporate governance: il caso italiano alla luce dell’esperienza anglosassone”
Autorizza
Non autorizza
la consultazione della tesi stessa, fatto divieto di riprodurre, in tutto o in parte, quanto in essa
contenuto.
Data Firma
3
INDICE PARTE PRIMA: IL CODICE DI AUTODISCIPLINA
INTRODUZIONE LA NOZIONE DI CORPORATE GOVERNANCE
CAPITOLO 1: LA REDAZIONE DEL CODICE LE RAGIONI ALLA BASE DEL CODICE GLI OBBIETTIVI DEL CODICE
CAPITOLO 2: IL CONTENUTO DEL CODICE COMPOSIZIONE E RUOLO DEL CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE LA DISCIPLINA DEI FLUSSI INFORMATIVI GLI AMMINISTRATORI INDIPENDENTI I COMITATI SPECIALIZZATI IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE I RAPPORTI CON GLI INVESTITORI ISTITUZIONALI E ALTRI SOCI ASSEMBLEE E SINDACI
CAPITOLO 3: EFFICACIA DEL CODICE PARTE SECONDA: L’APPLICAZIONE DEL CODICE DI AUTODISCIPLINA
CAPITOLO 1: PREMESSE METODOLOGICHE CAPITOLO 2: ANALISI DEI RISULTATI CONCLUSIONI
BIBILIOGRAFIA APPENDICE
TABELLA LEGENDA DATI SOCIETA’ QUOATE GRAFICI
TESTO DEL CODICE DI AUTODISCIPLINA
4
PARTE PRIMA: IL CODICE DI AUTODISCIPLINA INTRODUZIONE
Di recente, sulla scia degli influssi provenienti dagli ambienti accademici statunitensi, la
disciplina delle società per azioni è stata complessivamente ripensata in un'ottica di corporate
governance.
Il decreto legislativo n. 58 del 1998 (cd. Testo Unico della Finanza) ha riformato solo una
parte di questa realtà normativa, che si presenta assai complessa, e si è limitato a dettare nuove
regole solamente per le società quotate. Oggetto di revisione infatti sono state la disciplina delle
offerte pubbliche, del collegio sindacale e della tutela delle minoranze, dato che le esigenze di
intervento in questi ambiti risultavano maggiori e più urgenti.
La disciplina degli amministratori (e dei relativi consigli e comitati) è rimasta invece
inalterata, dato che la delega che autorizzava il Governo ad attuare la riforma non comprendeva
tale materia.
L'autoregolamentazione ha quindi trovato spazio per completare il quadro delle pratiche di
governo societario. Come vedremo, questo strumento normativo presenta caratteri di duttilità e
elasticità, che lo rendono idoneo, molto più dello strumento legislativo, a dettare regole in grado
di adattarsi alle esigenze della prassi in maniera semplice e rapida.
La presente tesi si pone l’obiettivo di valutare l'impatto che il Codice di autodisciplina ha
avuto sul sistema di corporate governance delle società quotate italiane.
Il Codice si presenta infatti come un modello di riferimento per la best practice verso cui
tendere, pensato per le società che intendono migliorare la propria competitività, adeguando
volontariamente i propri sistemi di governo alle soluzioni proposte. Tali soluzioni vengono
mutuate dalla prassi statutaria e amministrativa delle imprese che si sono mostrate
maggiormente sensibili e attente a perseguire modelli evoluti di governo societario, e si
pongono come standard a livello internazionale.
5
Pur tenendo conto, infatti, delle specificità dei vari sistemi giuridici e delle peculiarità dei
singoli ordinamenti societari, i redattori del Codice si sono ispirati a itinerari già percorsi in
alcuni ordinamenti stranieri, tenendo anche in considerazione soluzioni richiamate dalla dottrina
nazionale e anticipate, almeno per alcuni profili, dalla Consob.1
Dopo aver analizzato da vicino le regole contenute nel Codice, il presente lavoro proseguirà
a confrontare il differente grado di successo che regole simili hanno avuto in diversi
ordinamenti giuridici, cercando di comprendere le ragioni del diverso impatto, al fine di trarne
riflessioni utili in un’ottica di interventi normativi futuri.
LA NOZIONE DI CORPORATE GOVERNANCE
Prima di proseguire nella trattazione, occorre esaminare la nozione di corporate governance
e i significati che la locuzione assume in campo economico e in campo giuridico, per
puntualizzare l'accezione in cui questa terminologia è usata nel Codice.
Il termine governance deriva dal latino gubernator ed è usato dagli economisti per indicare il
sistema con cui le imprese vengono guidate. Si pone in particolare l'attenzione su come vengono
regolati i rapporti tra i vari soggetti coinvolti nell'impresa e il modo in cui viene perseguito il
fine ultimo dell'azienda. Non si può prescindere, pertanto, dai principi fondamentali che stanno
alla base dell'azienda e dalle relazioni contrattuali che essa attua.
Non si vuole qui entrare nello specifico, ma è opportuno tuttavia ricordare che, al riguardo,
sono ravvisabili due posizioni estreme. Secondo la prima tutto deve essere finalizzato alla
massimizzazione dell'interesse degli azionisti, in quanto l'azienda appartiene ad essi: da va
dunque perseguita la massimizzazione del profitto, o del cd. shareholder value.
La seconda mette in luce come nell'azienda confluiscono interessi di molteplici soggetti (cd.
stakeholder) e come questi interessi debbano in qualche modo essere tenuti in considerazione; la
massimizzazione del profitto, dunque, non esaurisce la funzione-obiettivo dell'impresa. 1 Comunicazione 20 febbraio 1997, n. DAC/RM/97001574 ; cfr. PG Marchetti, Le raccomandazioni Consob in materia di controlli societari: un contributo alla Riforma, in Riv Soc, 1997, p. 193 sa; P Montalenti, Persona giuridica, gruppi di società, “corporate governance”, Padova, 1999, p. 197 ss.
6
Questa contrapposizione può essere ricondotta a due diverse concezioni di azienda, di cui
sono esemplificazioni concrete il modello tedesco e quello statunitense. Negli U.S.A. la
struttura giuridica è costituita in modo tale da porre gli azionisti in posizione superiore rispetto
agli altri portatori di interessi. I manager, infatti, sono legati da un rapporto fiduciario agli
azionisti che li hanno eletti e subiscono quindi un forte obbligo ad agire nel loro interesse.
In Germania il quadro si presenta molto più articolato, perché tutti gli interessi che gravitano
attorno all'impresa sono tenuti in ugual considerazione. Il modello applicato è quello della
codeterminazione (Mithestimmung), sancita da una legge del 1967 e applicata alle imprese con
più di duemila dipendenti.
Entrambe le impostazioni vedono come punto centrale dell'impresa quello in cui vengono
prese le decisioni fondamentali. Grande importanza riveste, quindi, la struttura degli organi
sociali: diverse concezioni dell'impresa portano ad organi diversi, con peculiari articolazioni e
poteri e a diversi meccanismi per la loro elezione. In particolare, l'ordinamento statunitense
prevede un unico organo di amministrazione (il consiglio di amministrazione o board of
directors), mentre l'ordinamento tedesco è caratterizzato dalla presenza di un sistema duale,
basato su un organo di gestione (Vorstand) e uno di controllo (Aufsichsrat). A testimonianza del
fatto che gli interessi diversi da quelli dei soli azionisti vengono tenuti in grande considerazione,
si può ricordare che l'organo di controllo è composto per metà da rappresentanti dei lavoratori.
Da un punto di vista strettamente finanziario la corporate governance, è vista come “il
complesso degli strumenti attraverso cui i finanziatori si assicurano di ottenere un rendimento
dal loro investimento”2.
Una definizione classificabile come “istituzionale” intende la corporate governance come il
sistema mediante il quale le imprese vengono gestite, e focalizza quindi l'attenzione sui modi in
2 M. Onado, Mercati e intermediari finanziari, Il Mulino, Bologna, 2000, p. 385.
7
cui vengono rappresentati e composti gli interessi dei molteplici soggetti che hanno o possono
avere rapporti economici con l'impresa.3
Vi è poi una definizione ristretta, classificabile come “manageriale”, che vede la corporate
governance come il sistema tramite cui le imprese vengono dirette e controllate. In questo caso
l'attenzione viene posta sugli organi sociali, in particolare sul consiglio di amministrazione, in
quanto organo che decide di interessi strategici. Specifico risalto assumono inoltre il
meccanismo con cui vengono nominati i dirigenti, i sistemi che permettono una supervisione
sull'operato dell'azienda e sui rischi interni, i meccanismi che regolano il flusso di informazioni
da dare agli azionisti.4
L'espressione corporate governance, mutuata come abbiamo visto dagli economisti e dai
teorici della politica, trova ulteriore applicazione nel lessico giuridico, dove è usata per indicare
non solo le regole alla base dell'organizzazione della società intesa come persona giuridica, ma
anche l'insieme delle regole che, data l'importanza che assumono all'interno dell'ordinamento
giuridico, sono capaci di condizionare istituzionalmente l'assetto societario.5 Il riferimento è, ad
esempio, alla disciplina bancaria e tributaria, alla disciplina dei mercati e del fallimento.
Nello specifico, il Codice, con il termine corporate governance, intende “il sistema delle
regole secondo le quali le imprese sono gestite e controllate"6: privilegia dunque l'accezione più
ristretta dell'espressione; in questo modo viene ripresa quasi alla lettera la nozione formulata nel
Cadbury Report.7 Viene dunque tralasciato il significato più ampio, che normalmente la
3 Si veda, ad esempio, S. Sheikh, W. Rees, Corporate governance and corporate control, Cavendish, London, 1995, p VI e ss. I due autori insistono sul fatto che la nozione di corporate governance non deve comprendere unicamente i rapporti ed i doveri che legano amministratori e azionisti, ma deve considerare anche lavoratori, creditori, clienti e la comunità intera. In questo senso indirizzano anche i principi dell’OCSE, che danno un significato molto ampio all'espressione corporate governance. 4 Sulle diverse concezioni dell’impresa: P Montalenti, Persona giuridica, gruppi di società, corporate governance, CEDAM, Padova, 1999. Per un approfondimento dell’impresa da un punto di vista economico: F. H. Easterbrook, D.R. Fischel, L’economia delle società per azioni, Giuffrè, Milano, 1999. 5 Si veda, per tutti, G. Visentini, Argomenti di diritto commerciale, Giuffrè, Milano, 1997, p. 449. 6 Rapporto Preda, p. 18 7 Nel documento citato si specifica che l’espressione è da intendere come “the system by which companies are directed and controlled”.
8
locuzione assume, di reticolato di rapporti tra tutti i soggetti portatori, a diverso titolo, di un
interesse nei confronti della società, e che ne sono condizionati dai risultati di gestione.8
8 Si veda, sul significato ampio attribuibile all’espressione, Associazione Desiano Preite, Rapporto sulla società aperta, Bologna, 1997, p. 23 ss.
9
CAPITOLO 1: LA REDAZIONE DEL CODICE
La redazione del Codice è stata promossa da Borsa Italiana S.p.A., società che gestisce il
principale mercato regolamentato italiano. A fine 1998 l’allora presidente, Stefano Preda, ha
coordinato un Comitato appositamente formato per la stesura del testo normativo, completato
nell'aprile 1999.1 Il Comitato per la Corporate Governance delle società quotate era (ed è, in
quanto rimane in vita per svolgere i compiti che verranno esaminati in seguito) costituito dai
massimi esponenti della stessa Borsa Italiana S.p.A. e delle società in grado di rappresentare
tutti i soggetti interessati, ovvero emittenti, investitori istituzionali e revisori, e dalle
associazioni di categoria di tali soggetti.
Il Codice è destinato ai consigli d'amministrazione di tutte le società quotate italiane; auspica
tuttavia che la generalità delle società italiane trovi utile conformarsi ai principi in esso
contenuti.
Secondo alcuni2, nonostante ciò non sia espressamente previsto nel Codice, la cerchia dei
soggetti destinatari va allargata a tutti quei soggetti che fanno appello al risparmio diffuso, in
particolare alle società emittenti strumenti finanziari che, sebbene non quotati, siano diffusi tra il
pubblico in maniera rilevante. Ci si riferisce agli emittenti italiani che sono dotati di un
patrimonio netto non inferiore a dieci miliardi di lire o di un numero di azionisti o di
obbligazionisti non inferiore a duecento, così come previsto dal combinato disposto dell'articolo
116, n. 1 del T.U.F. e dell'articolo 2, lettera e del regolamento Consob n. 11971 del 1999 in
materia di emittenti.
Questi soggetti infatti condividono con le società quotate l'esigenza di finanziarsi sul mercato
e di diversificare il proprio portafoglio e, in ultima analisi, di avere una gestione efficiente.
Pertanto, risultano calzanti i suggerimenti del codice riguardo ai meccanismi di corporate
1 La scelta, per la redazione del Codice, di predisporre un Comitato ad hoc, costituito dai massimi esponenti delle società rappresentati i diversi soggetti interessati (emittenti, investitori istituzionali, revisori), ricalca la strada seguita dai Paesi anglosassoni. 2 cfr. M. de Mari, Il Codice di autodisciplina delle società quotate in materia di corporate governance; in Rivista di Diritto Privato, n. 1, 2000, p. 142.
10
governance da adottare al fine di accrescere l'apprezzamento dei propri strumenti finanziari
presso il pubblico degli investitori.3
L'ambito soggettivo di applicazione del Codice è da ritenere ristretto alle società emittenti di
strumenti finanziari italiani. A questa conclusione si può giungere seguendo l’'opinione
interpretativa secondo cui solo le norme di mercato possono trovare applicazione anche nei
confronti delle imprese estere; invece, le norme di diritto societario che disciplinano i soggetti
emittenti possono essere applicate solamente alle imprese italiane.4 Le disposizione del Codice,
sebbene non giuridicamente vincolanti, sono dirette ad integrare la disciplina
dell'organizzazione societaria e pertanto non possono interessare soggetti stranieri che ottengano
la quotazione in Italia o che abbiano strumenti finanziari diffusi tra il pubblico in misura
rilevante secondo i criteri descritti in precedenza.
È stabilito che il Comitato che ha redatto il Codice rimanga in vita per i primi due anni
dall'inizio della sua operatività, con il compito di formulare e ricevere proposte in ordine a
un'eventuale rivisitazione delle raccomandazioni, affinché rimangano allineate alla normativa
italiana e internazionale e tengano conto delle nuove esigenze.
LE RAGIONI ALLA BASE DEL CODICE
Numerosi Paesi stranieri hanno adottato rapporti e principi in materia di governo societario;
ricordiamo ad esempio Francia, Spagna, Belgio e Olanda. Menzione particolare meritano le
esperienze di autodisciplina che si sono avute negli ordinamenti anglosassoni, in quanto hanno
assunto il ruolo di modello circolato in molti altri ordinamenti. Nel Regno Unito troviamo il
Cadbury Report (Report of the Committee on the Financial Aspects of Corporate Governance,
London, 1992) sulle regole di corporate governance, il Greenbury Report (directors
Remuneration. Report of a Study Group, London, 1995) sulla determinazione dei compensi
3 M. de Mari, Il Codice di autodisciplina delle società quotate in materia di corporate governance, in Riv. Dir. Priv., n. 1, 2000, p. 142, nt. 7. 4 Si veda R. Costi, Il governo delle società quotate tra ordinamento dei mercati e diritto di società, in Dir. Comm. Int., 1998, p. 66 ss.
11
degli amministratori, e da ultimo il Final Report (Committee on corporate governance, Final
Report, London, January, 1998), il quale ha continuato il lavoro intrapreso dai Cadbury e
Greenbury Reports. Negli Stati Uniti troviamo invece i Principles of Corporate Governance del
1994 (American Law Institute, Principles of Corporate Governance: Analysis and
Reccomendations, 2 voll., St. Paul, 1994).
Le ragioni che hanno spinto alla redazione di un codice di autoregolamentazione anche in
Italia non sono diverse da quelle che hanno ispirato analoghe iniziative all'estero.
La ragione principale dell'intervento sta nel fatto che si ritiene che l'esistenza di un Codice di
autodisciplina produca un effetto positivo sulla crescita della domanda di capitale di rischio e,
più in generale, sull'interesse dei risparmiatori ad investire in Borsa. La vita delle società per
azioni, infatti, dipende dal mercato, che le sottopone al suo giudizio economico. Il giudizio,
indubbiamente, si fonda anche sulla valutazione dell'assetto organizzativo e delle norme di
funzionamento che la società spontaneamente si è data.5
In un'ottica internazionale, la globalizzazione delle imprese e dei mercati induce a adottare
regole di best practice alla luce delle quali la comunità finanziaria internazionale può valutare i
comportamenti delle imprese. Le regole di governo societario alle quali le imprese si
conformano, quindi, devono essere in sintonia con quelle in uso in altri Paesi. Ciò permette sia
di effettuare comparazioni tra gli ordinamenti, sia di evitare di essere penalizzati nel confronto
internazionale sul piano della concorrenza tra sistemi.
Questi obiettivi erano già stati individuati dal presidente della Commissione che ha
predisposto il T.U.F. Il prof. Draghi, analizzando la realtà italiana, aveva sottolineato inoltre che
la via da percorrere per completare quegli aspetti della riforma che ragioni di opportunità
sconsigliavano di affidare alla normativa primaria o secondaria, era rappresentata
dall'autodisciplina.
5 Assonime, Principi di comportamento in materia di governo societario e di informazione al mercato, Roma, 1997, p. 2.
12
A fine 1998 si sono determinate alcune condizioni favorevoli all'elaborazione di un codice
destinato alle società che si affacciano sul mercato. Il mercato dei capitali, infatti, ha
riacquistato uno ruolo centrale e la Borsa si è internazionalizzata e ha aumentato la sua
capitalizzazione. Infine le norme introdotte dal T.U.F. hanno creato un terreno ideale per
garantire l'allineamento dell'Italia ai mercati finanziari esteri più evoluti.6
GLI OBBIETTIVI DEL CODICE
Per meglio comprendere la filosofia ispiratrice del Codice, si procede ad un’analisi degli
obbiettivi che esso si propone di raggiungere.
In primo luogo bisogna precisare che il Codice si pone nei confronti delle società come uno
strumento in grado di rendere ancor più conveniente l'accesso al mercato dei capitali, in quanto
capace di garantire un alto livello di tutela dei risparmiatori e degli investitori istituzionali e si
presenta come garanzia della serietà delle imprese che lo adottano.
Sembra qui opportuno puntualizzare l'importante ruolo assunto dagli investitori istituzionali.
Essi, fino a pochi anni fa, manifestavano la loro insoddisfazione nei confronti di performance
negative di strumenti finanziari in cui avevano investito vendendo quanto in loro possesso (cd.
Wall Street Rule). Oggi questo non è più possibile senza che venga influenzato negativamente il
corso dei titoli, data la gran quantità di strumenti finanziari posseduta da tali soggetti. Essi
tendono quindi a difendere il valore dei propri investimenti monitorando e controllando l'attività
dei manager.7
In secondo luogo il Codice propone un modello di organizzazione societaria adeguato a
gestire il corretto controllo dei rischi d'impresa e i potenziali conflitti d'interesse, che sempre
possono interferire nei rapporti tra amministratori e azionisti e tra maggioranza e minoranze.
6 Si veda l’introduzione al Codice di autodisciplina scritta da S. Preda anche relativamente a quanto si dirà in seguito. 7 Cfr. F. Denozza, Analisi economica e diritto delle società per azioni, in AA.VV., Analisi economica del diritto privato, Milano, 1998, p. 317 ss; R. Costi, Risparmio gestito e governo societario, in Giur. Comm., 1998, I, p. 322 ss. In tale senso si esprime anche il Final Report, cit. Il potere di monitoraggio e controllo si estrinseca ad esempio attraverso l'esercizio del diritto di voto da parte delle società di gestione del risparmio relativamente agli strumenti finanziari di pertinenza dei fondi gestiti.
13
Questo modello organizzativo, si badi bene, non è da intendere come un insieme rigido di regole
e procedure da applicare senza impegno, ma come un'occasione di sviluppo per mercati e
imprese.
Ulteriore finalità individuata dal Codice è poi la massimizzazione del valore per gli azionisti,
il cui perseguimento è affidato in generale ad un buon sistema di corporate governance. Questo
dovrebbe innescare, nel lungo periodo, “un circolo virtuoso, in termini di efficienza e integrità
aziendale”, in grado di ripercuotersi positivamente anche sugli interessi dei cd. stakeholder.
Nonostante il formale riferimento agli interessi ulteriori rispetto a quello degli azionisti, in
concreto il Codice fa propria una nozione di efficienza intesa a massimizzare gli interessi degli
shareholder.8
I principi su cui si basa il Codice sono riconducibili alla flessibilità, alla libertà di
organizzazione delle imprese, alla trasparenza, e si pongono in maniera strumentale al
raggiungimento degli scopi sopra descritti. Flessibilità e libertà di organizzazione sono
necessarie per consentire al Codice di adeguarsi alle scelte strutturali delle diverse società che lo
adotteranno; la trasparenza è indispensabile per il buon andamento del mercato e per la tutela
dei risparmiatori e degli investitori istituzionali.
8 Sulle nozioni di efficienza, C. Angelici, Le “minoranze” nel decreto 58/98 “tutela”e” poteri”, in Riv Dir. Comm., 1998, I, p. 210, nt. 10.
14
CAPITOLO 2: IL CONTENUTO DEL CODICE
Proseguiamo ora a esaminare in modo dettagliato il testo normativo, così da evidenziarne gli
aspetti più significativi e puntualizzare le tematiche che hanno maggiormente suscitato
l'attenzione dei compilatori durante il lavoro di redazione.
I principali problemi che hanno dovuto essere affrontati sono stati due. Da un lato, le norme
di diritto positivo, spesso a carattere inderogabile, hanno pesantemente condizionato e limitato i
possibili spazi di autoregolamentazione. Dall'altro, la struttura proprietaria delle imprese
quotate, che in Italia vede presenti molte società a proprietà concentrata accanto ad un numero
relativamente piccolo di società ad azionariato diffuso, ha contribuito a rendere eterogenea la
realtà da regolamentare. È stato necessario dunque, per non pregiudicare la significatività delle
previsioni del Codice, inserire al suo interno adeguati elementi di flessibilità.
Bisogna inoltre tener conto della funzione di supporto e di integrazione della normativa in
vigore che è stata assegnata al Codice: i redattori hanno dovuto determinare regole di best
practice, prima lasciate alla sensibilità delle singole imprese, e influenzare la prassi esistente
per renderla più coerente rispetto alle funzioni e alle esigenze delle società quotate.
Il testo normativo si compone di tredici articoli, dei quali i primi dieci trattano il consiglio
d'amministrazione e i comitati; l'undicesimo disciplina i rapporti tra società, investitori
istituzionali e soci; gli ultimi due riguardano il funzionamento dell'assemblea e del collegio
sindacale.
COMPOSIZIONE E RUOLO DEL CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE
Il tema delle regole in materia di consiglio d'amministrazione negli ultimi anni, in Italia, è
stato oggetto di particolare attenzione da parte della letteratura giuridica, che da tempo ormai
15
manifesta l'esigenza di un intervento volto a riformare, alla luce delle nuove esigenze, l'intera
disciplina del diritto societario.1
Il riferimento centrale nell'impianto del codice è costituito dal consiglio di amministrazione,
in quanto si ritiene che una buona corporate governance non può che avere come punto di
riferimento il ruolo, le competenze e i poteri dell'organo di gestione. Tale centralità è
riscontrabile anche in tutti gli altri codici europei. Il consiglio di amministrazione, infatti,
rappresenta lo snodo fondamentale per perseguire una politica di trasparenza dell'attività
d'impresa, di diffusione di un corretto flusso di informazioni all'interno della società e nei
confronti dei terzi e per raggiungere quella che gli anglosassoni chiamano accountability della
società.2
In via preliminare occorre tenere in considerazione i rapporti che intercorrono tra il disegno
dell'organo delineata dal Codice in esame e quello tracciato dalla normativa civilistica. Notiamo
un allineamento laddove viene tracciata una linea netta tra le competenze gestionali e le funzioni
di controllo e di sorveglianza sulla gestione. Occorre anticipare infatti che i redattori del Codice
si sono preoccupati di far sì che il governo delle società venga affidato contestualmente ad
amministratori esecutivi e ad amministratori non esecutivi. Questi ultimi devono avere
un'autorevolezza e essere in numero tale da garantire che il loro giudizio possa essere
determinante nelle decisioni del consiglio attraverso funzioni di vigilanza sulla gestione.3
Per rendere effettiva la funzione di vigilanza viene inoltre raccomandato che un congruo
numero di amministratori non esecutivi presenti anche la caratteristica dell'indipendenza. Questa
nozione viene ripresa dall’art. 3, che ne individua i tratti. Perché un amministratore possa essere
considerato indipendente non deve intrattenere relazioni economiche con la società di rilevanza
tale da condizionare il suo giudizio e non deve partecipare a patti parasociali per il controllo
della società stessa.4
1 G. Visentini, Argomenti di diritto commerciale, Giuffrè, Milano, 1997. 2 Il termine è di difficile traduzione, letteralmente “responsabilità” . 3 Codice di autodisciplina, art. 2, c. 1. 4 Codice di autodisciplina, art. 3, lett. a e b.
16
Viene specificato però che tutti gli amministratori dovrebbero presentare queste
caratteristiche, non esclusivamente quelli che, in particolare, vengono definiti indipendenti.5
Al consiglio di amministrazione fanno capo le funzioni e le responsabilità degli indirizzi
strategici e organizzativi, la verifica dell'esistenza dei controlli necessari per monitorare
l'andamento delle società. Proprio su questo punto il Codice sembra tracciare uno dei tratti di
maggiore novità e originalità rispetto al T.U.F. Fino alla sua adozione infatti l’efficienza della
corporate governance era affidata esclusivamente al T.U.F. Questo fatto trova giustificazione
nei limiti contenuti nella legge di delega6, che circoscriveva il capo d'intervento del legislatore
delegato alle materie del collegio sindacale, dei poteri delle minoranze, dei sindacati di voto, dei
rapporti di gruppo, con criteri che avevano come obiettivo quello di rafforzare la tutela del
risparmio e degli azionisti di minoranza. Nulla prevedeva riguardo al consiglio di
amministrazione. Il T.U.F. è solamente intervenuto indirettamente in materia di amministratori
per disciplinare l'azione sociale di responsabilità nei confronti degli amministratori e i flussi
informativi tra questi ultimi e il collegio sindacale.7
Erano previsti solamente strumenti esterni di controllo (quali la vigilanza e di controlli della
Consob, le offerte pubbliche di acquisto o di scambio8 e, più in generale, il mercato in tutte le
5 Si legga, a proposito, la Relazione al Codice di autodisciplina, p. 37: “il Comitato rileva che nella società ad azionariato diffuso l'aspetto più delicato consiste nell'allineamento degli interessi degli amministratori delegati con quelli degli azionisti. In tali società, quindi, prevale la caratteristica della loro indipendenza dagli amministratori delegati. Invece, nella società con proprietà concentrata, o dove si è comunque identificabile un gruppo di controllo, pur continuando sussistere la problematica nell'allineamento degli interessi degli amministratori delegati con quelli degli azionisti, emerge la necessità che alcuni amministratori siano indipendenti anche dagli azionisti di controllo, per permettere al consiglio di verificare che siano valutate con sufficiente indipendenza di giudizio i casi di potenziale conflitto tra gli interessi della società e quelli degli azionisti di controllo (…) la qualificazione dell'amministratore indipendente, non assume alcuna valenza, né positiva, né negativa, ma è semplicemente il risultato di una situazione di fatto: assenza, come recita la regola di relazioni economiche con gli amministratori delegati della società (specialmente per le società ad azionariato diffuso) e con i soci di controllo (specialmente per le società a proprietà concentrata) tali da condizionare per la loro importanza da valutare caso per caso, l'autonomia di giudizio ed il libero apprezzamento dell'operato del management. 6 Art 21, c. 4, l. 6 febbraio 1996, n. 52. 7 D. Lgs. n. 58/1998, rispettivamente art. 129 e 150. 8 E’ opinione diffusa in letteratura, e non solamente quella statunitense, che le offerte pubbliche di acquisto o scambio, dato che costituiscono eventi in grado di mettere a rischio la posizione del management, siano strumenti capaci di attenuare o risolvere il cd. agency problem. Il problema si verifica nel caso gli amministratori approfittino della loro posizione a svantaggio degli interessi degli azionisti e, più in generale, dei titolari di interessi istituzionali nei confronti della società, mostrando disinteresse e trascuratezza per i principi di gestione efficiente delle imprese. Cfr. D.R. Fischel, op. cit., p. 196. C Angelici, Le minoranze nel decreto 58/1998: tutela e poteri; in Riv Dir Comm, I, 1998, p. 209 e ss.
17
sue componenti9) e rimedi cd. di autotutela diretta (cioè i poteri attribuiti direttamente alle
minoranze qualificate10) o delegata11.
Il Codice prende atto che i meccanismi di mercato e l'attribuzione di poteri alle minoranze
non sembrano, da soli, né sufficienti né adeguati per allineare gli interessi dei manager a quelli
degli azionisti. Di conseguenza cerca di favorire le gestioni più efficienti, operando nella
convinzione che una struttura interna e funzionale dell'organo amministrativo, rispettosa delle
norme vigenti, possa giocare un ruolo essenziale nel controllo dell'efficienza della gestione.
Il modello organizzativo e di gestione proposto tende, pertanto, ad individuare e a far luce su
alcune zone d'ombra del dettato normativo primario e su quanto normalmente viene dedotto dai
principi generali o risulta implicito.
All'articolo 1 è introdotto il principio di effettività, uno dei principi ispiratori del codice, che
impone che il consiglio, nella sua collegialità deve essere organo guida e di indirizzo strategico
tramite il quale gli azionisti sono in grado di monitorare l'operato del management. Da tale
principio si possono logicamente far discendere alcuni collari. Dato che proprio la collegialità e
le regole sulla composizione del consiglio12 hanno lo scopo di affievolire un rapporto di
derivazione e di dipendenza che potrebbe altrimenti sussistere tra proprietà e gestione, le società
quotate non possono avere un amministratore unico.13 Inoltre, il consiglio deve riunirsi con
cadenza regolare e con modalità tali da garantire che le sue funzioni vengano svolte
effettivamente e efficacemente. Possiamo notare che il tema della regolarità delle riunioni è
comune alla maggior parte dei codici europei; tra tutti facciamo riferimento al Cadbury Code,
che proprio all’art. 1.1 prevede che “the board should meet regulary, retain full and effective
control over the company and monitor the executive management”.
9 Secondo la visione che i mercati sono i migliori “cani da guardia” per sorvegliare l'opportunismo dei gruppi manageriali. 10 Art. 125, convocazione dell'assemblea; art. 128, denuncia al collegio sindacale e al tribunale; art. 129, azione sociale di responsabilità. 11 Art. 138, sollecitazione delle deleghe di voto; art. 148, sindaco di minoranza. 12 La soluzione proposta dal Codice garantisce una maggiore rappresentatività del consiglio, che si fa così portatore degli interessi di tutti gli azionisti. 13 Codice di autodisciplina, art 1.1
18
Il consiglio di amministrazione ha come funzione primaria quella di determinare gli obiettivi
strategici della società e di assicurare che questi vengano raggiunti, in un'ottica di creazione di
valore per gli azionisti.
Per questo scopo il Codice, all’art 1.2, precisa i poteri che spettano al consiglio di
amministrazione nella realizzazione di tali obiettivi. Le competenze del consiglio rappresentano
funzioni che non possono essere delegate e che vanno recepite nei singoli statuti come tali.
I compilatori hanno scelto di tipizzare potere, funzioni e responsabilità del consiglio come
organo collegiale. La scelta deriva dalla considerazione, già sperimentata in sede di redazione di
altri codici europei, che, prima di affermare la centralità del consiglio, è necessario formalizzare
competenze sue proprie; così si supera una tendenza legislativa secondo la quale destinatari di
doveri e vincolati rispetto ai cd. fiduciary duties sono gli amministratori come singoli, non il
consiglio in quanto tale.14
Emerge il quadro di un consiglio di amministrazione con funzioni di propulsione e controllo:
funzioni complesse che si estrinsecano sia nel potere-dovere di monitorare che non vi sia
un'eccessiva concentrazione di poteri di gestione in capo agli organi delegati15 e che non si
verifichino ipotesi di conflitto di interessi.16
La lettera a dell'articolo 1.2 attribuisce al consiglio il compito di esaminare e approvare piani
strategici, industriali e finanziari della società e la struttura societaria del gruppo di cui essa sia
capo. Rimane invece delegabile il potere di organizzare la struttura della società capogruppo. In
questa logica la norma si rivela come un'ulteriore specificazione di una novità strategica e di
controllo sulla struttura generale: appare naturale, del resto, che, se una società è holding di un
gruppo, il consiglio di amministrazione è chiamato a definire una strategia di gruppo.
Come previsto dalla lettera b dell'articolo 1.2 è il consiglio ad attribuire e revocare le deleghe
agli altri amministratori delegati e al comitato esecutivo. La norma definisce anche i limiti, le
14 A riguardo si veda F. Ghezzi, I “doveri fiduciari degli amministratori nei “Principles of Corporate Governance”, in Riv. Soc., 1996, p. 465 ss. 15 Codice di autodisciplina, art. 1.2 lett. b e d. 16Codice di autodisciplina, art. 1.2 lett. d.
19
modalità di esercizio e la periodicità con la quale i delegati devono riferire al consiglio in merito
all'attività svolta; il precetto viene poi ribadito all'articolo 5.
Questa norma ribadisce quindi il principio secondo il quale solo il consiglio è fonte di
attribuzione di deleghe, principio già affermato dalla dottrina che interpreta l'art. 2381 c.c.
Viene in tal modo impedito il ricorso alle cd. deleghe a cascata.
Troviamo inoltre cristallizzato il principio dell'informativa frequente tra consiglio e organi
delegati. Tale regola era già stata proposta in più occasioni da dottrina autorevole17, ed è stata
caldeggiata dalla stessa Consob con la Raccomandazione del 20 febbraio 1997.18
L’informativa sull'attività svolta dagli organi delegati, come emerge dal commento alla
norma in questione, deve essere commisurata alla frequenza dell'esercizio delle deleghe, al
variare del settore di attività e dalle dimensioni aziendali della società, al fine di evitare sedute
consiliari eccessivamente oberate, in quanto ciò che rileva è la qualità dell'informazione.
Il compito di vigilare sul generale andamento della gestione si concretizza nell'esame e
nell’approvazione delle operazioni che hanno un rilievo economico, patrimoniale e finanziario
significativo. Particolare attenzione va prestata alle operazioni con parti correlate, di cui all’art.
1.2, lett. d e e. La norma mutua, sebbene faccia uso di una terminologia che non sempre appare
sovrapponibile, quanto già disposto dalla citata Raccomandazione Consob e poi accolto
all'articolo 150 del T.U.F. La Consob, infatti, raccomandava gli amministratori che si trovassero
17 P. G. Marchetti, Corporate governance e disciplina societaria vigente, in Riv. Dir. Civ., 1996, p. 422, osservava che “si può pensare di utilizzare la delega ad un comitato esecutivo (...) per concentrare (nei limiti dell’art. 2381) in capo a quest'ultimo la gestione, con un'attenta disciplina dei rapporti tra esecutivo e plenum del consiglio tale da assicurare a quest'ultimo (...) con un'informativa interna regolamentata, tempestive puntuale, l'espletamento della vigilanza sul generale andamento. 18 Si veda P. Montalenti, Corporate Governance, Raccomandazioni Consob e prospettive di riforma, in Riv. Soc., 1997, p. 712 ss. Il problema dei flussi informativi, in quanto indissolubilmente legato ai profili di responsabilità, costituisce materia delicata. L'autore sottolinea come individuare tassativamente le informazioni che gli amministratori con deleghe di voto devono dare al consiglio, non appare una strada soddisfacente per garantire una corretta funzione di controllo da parte dei consiglieri non esecutivi e del consiglio in generale. Infatti, “se è vero che gli amministratori devono esercitare una funzione di vigilanza sul generale andamento della gestione, e quindi non già sui singoli atti gestori, e anche vero però che su di essi grava un dovere di attivazione con finalità interdittive o riparatorie in relazione a tali atti - quindi singoli atti - pregiudizievoli di cui siano conoscenza. Sotto questo profilo, se è vero che la carenza di informazioni rischia di svilire il ruolo degli amministratori non delegati, per contro l'eccesso di informazioni rischia di restringere sensibilmente l'area di responsabilità esclusiva dei delegati - gestori diretti dell'impresa sociale - espandendo in misura difficilmente prevedibile l'area della responsabilità solidale di tutti gli amministratori. Ma vi è di più: ove il consiglio venisse investito non solo ex post ma preventivamente di informazioni dettagliate di previsione o di indirizzo relativi a specifiche operazioni, potrebbe sorgere il dubbio che tutti gli amministratori siano e questo punto gravati da una responsabilità gestoria e diretta e non già da una responsabilità per omessa vigilanza.
20
a compiere operazioni infragruppo o con parti correlate, di valutare attentamente l'interesse della
società al compimento dell'operazione e di fornire una pubblicità adeguata e articolata.
Quest'ultima doveva consistere in un'esauriente informativa, fornita con cadenza periodica, in
merito all'attività svolta nell'esercizio delle deleghe; in un'informativa specifica e
particolareggiata per le operazioni in grado di incidere in maniera rilevante sulla situazione
economico-patrimoniale della società; in un'ulteriore informativa in caso di operazioni
infragruppo o con parti correlate o in caso di operazioni inusuali rispetto alla normale gestione
di impresa.19
Occorre qui precisare il principio che si desume dall’art. 1.2, lett. d e e. Dato che le regole in
esame individuano competenze del consiglio indelegabili, tali competenze devono essere
maggiormente specificate al fine di trovare un equilibrio tra due esigenze che derivano dal
principio di effettività. Una prima è che il consiglio sia centro strategico-politico; l'altra è che
l'attività del consiglio sia mantenuta snella.20 Gli statuti o la prassi delle singole società
dovrebbero dunque individuare le operazioni che si ritiene possano avere significativo rilievo
economico, patrimoniale o finanziario. Tali operazioni vanno esplicitate con il ricorso a criteri
qualitativi (si pensi, ad esempio, alle operazioni infragruppo per le quali non vi c'è ragione di
ritenere che siano indistintamente di competenza del consiglio) e non solamente quantitativi
(dimensione dell'operazione).
Una volta attribuita centralità al ruolo collegiale del consiglio, preoccupazione del Codice è
quella che, a prescindere dalle deleghe che possono essere attribuite, tutti coloro che lo
compongono siano in grado di dedicare il tempo necessario allo svolgimento di diligente dei
loro compiti. In caso contrario, come previsto all'articolo 13, gli amministratori non dovrebbero
accettare la carica.
19 A riguardo si veda P. Montalenti, Corporate governance, Raccomandazioni Consob e prospettive di riforma, cit., p. 713 ss. 20 Per una chiara esposizione dei rischi che derivano da un appesantimento delle competenze del consiglio (cd. alluvione informativa), si faccia riferimento a P. Montalenti, cit, p 727, che richiama anche le Reccomendations dell’American Law Institute.
21
La soluzione proposta non prevede un numero massimo di incarichi che la stessa persona
può assumere, dato che il limite sarebbe a priori difficilmente identificabile. Il criterio seguito,
più elastico, è tuttavia stringente in quanto gli amministratori devono rimanere occupati per un
congruo numero di ore in relazione alle attività che vengono loro affidate.
Come emerge dalla descrizione delle attribuzioni del consiglio di amministrazione, il Codice
intende tracciare una distinzione netta tra la gestione della società e il controllo e la sorveglianza
sulla gestione.21
Questa tendenza è molto diffusa nella prassi societaria italiana e si mostra in linea con la
struttura dell'organo amministrativo disegnata dal nostro ordinamento (art. 2392, c. 2, c.c.).
A conferma di quanto detto, il Codice distingue tra amministratori esecutivi22, con compiti
gestori, e amministratori non esecutivi, ai quali spettano funzioni di vigilanza sulla gestione. La
componente non esecutiva dà un contributo importante nei casi in cui si verifica un
disallineamento tra gli interessi gli amministratori esecutivi e quelli degli azionisti, come ad
esempio nel caso di lancio di un’opa ostile: il management della società target può attuare
tecniche di difesa semplicemente per conservare la propria leadership, mentre gli amministratori
esecutivi, in quanto estranei alla gestione, sono in grado di valutare da un’ottica disinteressata e
obiettiva le operazioni proposte dai manager, e indirizzare l'azione del consiglio alla sola
massimizzazione del profitto degli azionisti.
La differenza tra non executive directors e executive directors è conosciuta sia nel sistema
americano sia in quello francese, oltre ad essere raccomandata anche nel Cadbury Report e nei
Principles of Corporate Governance.
21 D. Casadei, La riforma della disciplina delle società con azionariato diffuso, in Riv. Soc, p. 982 ss, osserva che “il fondamento che, nei Paesi democratici, sembra sostituire quello della proprietà privata viene ad essere individuato nella responsabilità verso il mercato: a fronte di una posizione di controllo senza rischio di impresa, i poteri vengono equilibrati e rendono responsabili che effettivamente agisce. Allo stato attuale i fatti dimostrano che questo principio non risulta adeguatamente attuato e, stando ai risultati dell'analisi sin qui condotta, la prima causa è nell'insufficienza degli strumenti predisposti dalla legge al fine di garantire l'effettiva separazione fra gestione della società e poteri di controllo sulla stessa. 22 Per tali devono intendersi gli amministratori delegati, tra cui il presidente, quando gli vengano attribuite deleghe, e gli amministratori che ricoprono funzioni direttive della società.
22
Il Codice, tuttavia, non considera la contrapposizione tra il momento gestionale e quello di
controllo, se presa a sé stante, sufficiente a rendere effettiva la funzione di vigilanza e di
monitoraggio sul management. Per questo auspica l'adozione di alcuni meccanismi e strumenti
che vengono ritenuti adeguati a rafforzare tale funzione: una corretta disciplina dei flussi
informativi, un numero congruo di amministratori indipendenti e la presenza di comitati
deputati a specifici compiti.
LA DISCIPLINA DEI FLUSSI INFORMATIVI
Il Codice prevede che vengano attivati flussi informativi interni al consiglio
d'amministrazione, da coloro che sono preposti alla direzione verso coloro che ricoprono
funzioni di controllo23. Infatti, il comitato esecutivo e gli amministratori delegati, con cadenza
almeno trimestrale, devono rendere conto al consiglio delle attività che hanno svolto
nell’esercizio delle deleghe loro attribuite. In particolare, devono fornire adeguate informazioni
riguardo le operazioni atipiche, inusuali o con parti correlate il cui esame e la cui approvazione
non siano riservate al consiglio d'amministrazione24.
Questa previsione è volta a consentire un maggiormente consapevole esercizio della
funzione di sorveglianza, in quanto coloro che sono deputati al controllo si trovano a vigilare su
ciò di cui sono stati informati in precedenza. Gli amministratori, inoltre, grazie alla circolazione
continua delle informazioni, sono in grado di adempiere più puntualmente all'obbligo di
informare il collegio sindacale in merito all'attività svolta e alle operazioni effettuate dalla
società o da sue controllate che assumono maggiore rilievo economico, finanziario e
patrimoniale, in particolare le operazioni in potenziale conflitto di interessi.25
Tuttavia, l'esigenza di distribuire in modo completo le informazioni va temperata sempre
dall'esigenza di riservatezza: per questo il Codice, all’art. 6, prevede l'adozione di una procedura
23 Anche il legislatore tende ad individuare nell'informazione societaria in mezzo più adeguato per tutelare gli investitori e la trasparenza e l'efficienza del mercato. 24 Codice di autodisciplina, art 1.2, lett. b e art. 5. 25 Cfr T.U.F., art 150. Le modalità con cui gli amministratori devono provvedervi sono stabilite nell'atto costitutivo.
23
interna per la comunicazione di notizie relative alla società. La regola focalizza l’attenzione
sulla rilevanza e sulla delicatezza del trattamento della informazioni cd. price sensitive, ovvero
capaci, se divulgate, di influenzare il maniera rilevante l’andamento degli strumenti finanziari
emessi dalla società. Gli amministratori delegati sono considerati i soggetti più adatti a gestire
queste informazioni, e devono quindi valutare e proporre meccanismi adeguati per divulgare
all'esterno documenti riguardanti la società, con particolare riferimento, dunque, a quelle
informazioni la cui diffusione può incidere sul prezzo dei titoli.
Concludendo, è compito degli amministratori valutare le modalità con cui raggiungere un
buon sistema di circolazione delle informazioni; spetta invece al consiglio, nella sua collegialità
e sotto la propria responsabilità, adottare i provvedimenti necessari perché questo risultato sia
raggiunto.
GLI AMMINISTRATORI INDIPENDENTI
L’esigenza che l'interesse sociale sia in ogni momento perseguito e valutato da parte del
management nell'esercizio dell'attività, spinge il Codice a raccomandare la presenza, tra gli
amministratori non esecutivi, di un numero adeguato di amministratori cd. indipendenti.
La figura dell'amministratore indipendente è conosciuta da tutti i codici di
autoregolamentazione europei, i quali considerano tale presenza come significativa e
qualificante dell'autoregolamentazione stessa. In merito va di sottolineato come, dalla lettura dei
rapporti allegati ai vari codici, emerge non di rado la consapevolezza che per raggiungere buoni
livelli di governance non si può prescindere dal consolidamento, nei vari ordinamenti giuridici,
di una tradizione che affermi l’importanza per un'impresa del suo livello di credibilità sul
mercato. Non servono dunque solo regole, ma è necessario lo sviluppo della cultura della cd.
accountability.
24
Inoltre, stando a quanto emerge da alcune statistiche26, l'introduzione della figura
dell'amministratore indipendente nell'organico di una società risponde ad un'aspettativa di
mercato.
Nel commento all’art. 3 si legge che la qualificazione dell'amministratore non esecutivo
come indipendente non assume alcuna valenza positiva o negativa, ma è semplicemente il
risultato di una situazione di fatto. La norma prevede che vengano considerati indipendenti
coloro che non stringono con la società e le sue controllate, con gli amministratori della società
e con i soci di controllo, relazioni economiche di entità tale da condizionare l'autonomia di
giudizio e il libero apprezzamento dell'operato del management. Ulteriore requisito è dato
dall’assenza di titolarità, diretta o indiretta, di partecipazioni che permettano di esercitare il
controllo o di partecipare a patti parasociali per il controllo della società.
Come sottolineato da De Mari27, il criterio dell'indipendenza è stato preferito a quello
dell'amministratore “di minoranza”, talvolta considerato come strumento adeguato per
fronteggiare il potere dei gruppi di controllo in sede di gestione, in quanto ritenuto criterio
idoneo a rappresentare gli interessi dell'azionariato diffuso. Sembra dunque che il Codice abbia
tenuto conto di quelle istanze che additavano come populista la battaglia per l'amministratore di
minoranza, che non assicurava di per sé la competenza, la funzionalità e l'autonomia del
consiglio.28
L’introduzione della figura dell'amministratore indipendente assolve almeno a due
importanti funzioni.
26 Cfr ABI, serie legale n. 43, 15 novembre 1999, p. 11, nt. 23. Nel 1997 una società specializzata nell'assistenza agli investitori istituzionali di minoranza, la De Minor, ha riscontrato che, su un campione di 110 investitori istituzionali europei, l'85% richiedeva la presenza dei consiglieri indipendenti e il 79% l'adozione di un codice di comportamento. A risultati simili perviene Astra nel settembre 1998, con un sondaggio commissionato da Assogestioni. 27 M. de Mari, op. cit, p. 151. 28 In questo senso si esprime P.G. Marchetti, Corporate Governance, cit., p. 421. C'è tuttavia chi ha sostenuto che la nomina da parte delle minoranze rafforza l'indipendenza dell'organo, che diventa espressione di tutti i soci e non soltanto del gruppo di controllo: cfr. R. Weigmann, Il buon governo delle società bancarie, in Banca, impresa, società, 1998, p. 24, nt, 4.
25
In primo luogo consente di adeguare la governance italiana ai Codici e alle listing rules delle
principali Borse valori, che considerano una regola di best practice tale presenza nel consiglio
di amministrazione29.
In secondo luogo si bilancia il rischio di autoreferenzialità dei consigli di amministrazione.
Questi infatti, come mostra la prassi, sono spesso espressione esclusiva del gruppo di controllo
o, comunque, sono nella maggior parte composti da soggetti interni al gruppo stesso.
I COMITATI SPECIALIZZATI
L'esperienza di quelli che vengono definiti committees nasce e si sviluppa in connessione con
il funzionamento delle cd. public companies statunitensi e anglosassoni, ovvero in quelle realtà
societarie in cui l'azionariato è diffuso. In tali contesti si crea una netta separazione tra
l'azionariato e i manager, e prendono vita quei problemi di agenzia che la presenza di un
azionariato ristretto di controllo rendono di minor rilevanza.
In Italia si può osservare che il principale problema di agenzia sussiste tra il capitale di
controllo e le minoranze; solo in casi limitati è possibile ipotizzare conflitti tra mercato e
manager, data l'assenza di situazioni societarie paragonabili a quelle delle public companies
americane. Occorre poi considerare che nel nostro sistema societario la dialettica
gestione/controllo è attribuita al rapporto tra consiglio di amministrazione e collegio sindacale.
Il T.U.F. ha affidato a quest'ultimo organo, la cui composizione risulta arricchita dalla presenza
di soggetti espressione della minoranza azionaria, compiti di verifica sostanziale sull'operato di
amministratori. Tutto ciò mette in luce come nel nostro Paese, sia per l'assenza di società di
dimensioni tali da richiedere la presenza di organi satelliti del consiglio di amministrazione, sia
per il radicato convincimento che il sistema duale consiglio/collegio sindacale sia sufficiente a
29 Non va trascurata l'esigenza di colmare i divari di disciplina che esistono tra i vari ordinamenti qualora ci si trovi a decidere se aderire o meno ad una determinata regola di best practice. L'omologazione dei comportamenti delle società italiane con quelli riscontrabili nei mercati dotati di maggiore vastità consentono di affievolire una supposta “maggior opacità” con la quale le nostre imprese si presentano sul mercato, nonostante tali scelte possono apparire eccentriche rispetto alla nostra tradizione giuridica. A riguardo si veda M. Cattaneo, L’attività dei “Committees”, in Il governo delle banche in Italia, a cura di Riolo e Masciandaro, Roma, 1999., p 312.
26
garantire un'adeguata dialettica interna alla società, non è mai stato posto il problema dei
comitati esterni al consiglio in termini generali.
I Codici europei, tuttavia, anche nei Paesi che presentano una situazione societaria simile a
quella italiana (come la Francia e la Spagna), conoscono, disciplinano o raccomandano
l'istituzione di comitati composti da amministratori non esecutivi, e in maggioranza
indipendenti, con la funzione di monitorare specifiche questioni di interesse delle minoranze e
del mercato, tra i quali troviamo i sistemi di controllo interno, la remunerazione degli
amministratori e la completezza dell'informazione.
La presenza dei comitati può dunque interessare non solo le grandi società o le società con
azionariato estremamente frammentato, ma tutte le società quotate che intendano dotarsi di un
sistema adeguato di governance.
Per sostenere questa tesi si deve tener presente che i processi di privatizzazione, tuttora in
corso, e l'aumento della contendibilità del controllo societario garantito da una recente
normativa sull’opa, rendono possibile una reazione del capitalismo italiano, che deve muoversi
sui mercati in modo adeguato per non essere soppiantato dal generale controllo straniero sulle
grandi imprese.30 Ciò può avvenire mediante l'adozione di modelli organizzativi adeguati e
conformi a quelli internazionalmente riconosciuti, ossia realizzando nelle imprese italiane
schemi integrati di controlli interni capaci di accompagnare la creazione di nuovo valore nelle
diverse aree d'affari in cui si articola l'impresa. Tali schemi implicano un'attività complessa, che
risulta difficilmente esercitabile qualora ci si limiti a mantenere la struttura tradizionale del
consiglio di amministrazione.
La soluzione proposta dal Codice era stata caldeggiata dalla dottrina, che già aveva
riconosciuto la legittimità di quelle previsioni statutarie che consentivano di costituire comitati
specializzati tramite il rilascio di deleghe da parte del consiglio di amministrazione31.
30 In tale senso M. Cattaneo, L’attività dei “Committees”, cit., p. 334. 31 Si veda P.G. Marchetti, Corporate Governance, cit., p. 422.
27
IL COMITATO PER LE PROPOSTE DI NOMINA
L'articolo 7 del Codice invita le società ad operare secondo una procedura trasparente e
flessibile con riguardo alle proposte di nomina dei componenti del consiglio d'amministrazione.
Dal commento alla norma emerge come venga preso atto della circostanza per cui le proposte di
nomina sono responsabilità degli azionisti, in particolare quelli di maggioranze di controllo. Si
raccomanda che siano dichiarate con adeguato anticipo le caratteristiche personali e
professionali dei candidati che, a giudizio di chi li propone, li rendono idonei alla nomina.
Questa previsione, oltre a contribuire ad una politica di trasparenza delle nomine, svolge
l'importante funzione di assicurare che, a nomine fatte, vi siano soggetti dotati dei requisiti
necessari a ricoprire la carica di amministratore indipendente. È opportuno che già al momento
della proposta un soggetto sia indicato come idoneo a ricoprire tale carica, permettendo così agli
azionisti e agli investitori istituzionali di esercitare il proprio voto in maniera consapevole.
La regola in questione implicitamente raccomanda al consiglio di valutare la possibilità di
costituire un apposito comitato per le nomine32, la cui utilità è evidente soprattutto nelle società i
cui azionisti, essendo il capitale polverizzato, possono incontrare difficoltà nel predisporre le
proposte di nomina; infatti, più l'azionariato e disperso, maggiori sono le difficoltà nel
raccogliere consensi in merito a possibili candidati comuni.
L'adozione di tale comitato non è obbligatoria, nel senso che, anche qualora non venga
costituito, non comporta l'onere per le singole società di giustificare l'avvenuto disallineamento
dal dettato del Codice.
32 La raccomandazione di adottare un Nomination Committee è piuttosto diffusa nei Codici (o Rapporti) europei; si veda, ad esempio, il Cadbury Report, art. 4.21, e l’Hempel Report, par. 3.19., che prevedono che tale comitato sia costituito da amministratori non esecutivi.
28
IL COMITATO PER LA REMUNERAZIONE
L’importanza della questione relativa alla determinazione del compenso dei manager della
sua rilevanza in termini di corporate governance non è sfuggita ai redattori del Codice.33
L'articolo 8, infatti, raccomanda espressamente l’istituzione di un comitato per le proposte sulla
remunerazione degli amministratori delegati e di quelli che ricoprono particolari cariche,
nonché, su indicazione di amministratori delegati, dell'alta dirigenza.
La remunerazione degli amministratori è una tematica centrale nella logica
dell’accountabilty delle società quotate: prova ne sia la grande importanza che essa assume
nelle regole di best practice.
Dai vari codici europei emergono in materia diversi principi comuni, che si fondano in primo
luogo sulla necessità che i compensi siano tali da attrarre e mantenere i consiglieri di cui la
società ha bisogno per essere guidata con successo34.
In secondo luogo viene sottolineata l'opportunità che gli emolumenti siano proporzionati alla
qualità e alla quantità del lavoro prestato e che siano anche strutturati in modo da collegare la
parte variabile del compenso all'andamento della società.
Per gli amministratori indipendenti viene raccomandata l'adozione di un meccanismo che
proporzioni la retribuzione al tempo dedicato alla società, dato che la funzione da svolgere
all'interno della società non è tanto quella di far aumentare i profitti, quanto quella di fornire un
contributo alla elaborazione di strategie e al controllo del buon funzionamento della gestione.
Per gli amministratori esecutivi invece la parte non fissa di retribuzione deve essere collegata
all'andamento della società e alle performance personali35.
33 Nel Regno Unito il Code of Best Practice predisposto dal Greenbury Commitee affronta in maniera specifica l'argomento ed è servito come chiaro punto di riferimento ai redattori del nostro Codice. Inoltre, la questione della remunerazione dei dirigenti costituiva problema centrale dell'analisi della scissione tra proprietà e controllo nelle grandi società: cfr. A.A. Berle, G.C. Means, The modern Corporation and Property, New York, 1932, trad. it. Società per azioni e proprietà privata, Torino, 1996, p. 112 ss. 34 In tal senso si esprimono, all'art. 1, l’Hempel Report ed il recente Combined Code anglosassone, formulato proprio per esplicitare, alla luce delle esperienze maturate in seguito all'entrata in vigore dei codici Cadbury ed Hempel, nuovi criteri di best practice in materia di remunerazione. 35 Cfr. Cadbury Code, art. 3.2; Hempel Report, art. B-1; Combined Code, Preamble.
29
Viene inoltre esplicitata la necessità che la parte di retribuzione variabile non sia sterilizzata
a tal punto da determinare il rischio che possa essere perseguita una strategia di breve periodo
volta a creare profitto nell'immediato, ma poco proficua e lungimirante ai fini della
massimizzazione, nel medio-lungo periodo, del valore degli strumenti finanziari e quindi delle
partecipazioni dei soci. L’incentivo che spinge il management, data la partecipazione agli utili,
ad attuare una strategia diretta all'ottimizzazione nel breve termine, viene annullato o temperato
attraverso l'adozione i meccanismi di maggiorazione retributiva legata ai corsi azionari. Infatti,
la tecnica di attivare stock options o premi parametrati alle performance dei titoli azionari
risente necessariamente anche delle eventuali valutazioni negative del mercato sulle aspettative
di lungo periodo della società36. A proposito di stock options occorre segnalare che nell’Hempel
Report, all’art 4.8, le società sono invitate ad utilizzare lo strumento con cautela, pur
considerando l’indubbia utilità che mostra per la finalizzazione e incentivazione alla
massimizzazione del valore delle partecipazioni37.
Da ultimo i codici europei invitano a far sì che le modalità e le procedure per la
determinazione della remunerazione siano trasparenti, e quindi adeguatamente pubblicizzate38.
Questi principi comuni sono trasfusi nel Codice, che propone un sistema secondo il quale in
materia di remunerazione le decisioni vengano prese con un sistema tale per cui nessun
amministratore può, individualmente, influire sulla determinazione del proprio compenso, dato
che esiste una procedura trasparente che impone la diffusione di un'informativa adeguata sia sul
quantum dei compensi, sia sui metodi per la sua determinazione. Al riguardo è possibile notare
che in questa materia la normativa in vigore risulta già orientata verso una logica di trasparenza
anche. Lo dimostrato, da ultimo, le disposizioni regolamentari della Consob di attuazione del
T.U.F., che obbligano gli emittenti a divulgare articolatamente l'entità e le caratteristiche dei
compensi degli amministratori nell'ambito della nota integrativa al bilancio d'esercizio.
36 Si veda a riguardo, Milgrom, Roberts, Economia, organizzazione e management, Bologna, 1994, p. 618 e ss. 37 “We do not recommend what proportion of remuneration should be paid in this way, nor do we think that this need be universal practice”. 38 Cfr. Cadbury Code, art. 2.2; Combined Code, art. 1.
30
Viene inoltre esplicitato il principio, esaminato in precedenza, in forza del quale i compensi
degli amministratori delegati sono , per la parte variabile, parametrati ai risultati economici della
società o al raggiungimento di obiettivi specifici preventivamente indicati dal consiglio di
amministrazione.
E’ da escludersi, data la funzione solo propositiva del comitato in esame, un contrasto con
l'articolo 2389, c. 2, cc., che attribuisce al consiglio di amministrazione, sentito il parere del
collegio sindacale, il potere di stabilire i compensi di amministratori incaricati di particolari
cariche in conformità all'atto costitutivo.
L'articolo 8 attribuisce inoltre al Comitato in esame il compito di proporre al consiglio, in
conseguenza delle indicazioni fornite da lì amministratori delegati, l'adozione di criteri di
remunerazione dell'alta direzione utili, come si legge nel commento alla norma, ad attrarre e
motivare persone di livello e esperienza adeguati. Per perseguire questo scopo esso può
avvalersi di consulenti esterni, che vengono spesati dalla società. Quest'ultima previsione risulta
in sintonia con quanto già sperimentato in altri Paesi, sancendo ciò che altrove è ormai prassi
acquisita, ma che in Italia può essere considerato come una novità. Infatti, il T.U.F. attribuisce
ai membri del collegio sindacale la facoltà di fare ricorso soggetti esterni alla società, ma a
proprie spese39.
La regola del Codice fa dunque proprio il principio del cd. outside advice da parte del
comitato, a patto che la possibilità non si trasformi in un onere eccessivo a carico della società e
che il ricorso a consulenti esterni venga fatto solo in caso di reale necessità.
IL COMITATO PER IL CONTROLLO INTERNO
Nell'ambito dei comitati specializzati assume particolare rilievo il Comitato per il controllo
interno, previsto all'articolo 10 del Codice, a cui è affidato il compito di valutare l'adeguatezza
del sistema di controllo interno. Tale funzione va assumendo un ruolo centrale e una valenza
39 T.U.F., art. 151, c. 3. In materia si veda la trattazione di D. Caterino, Collaboratori del sindaco e organizzazione del controllo contabile nelle società di capitali, in Giur. Comm., 1, p. 183 ss.
31
strategica all'interno dell'organizzazione aziendale delle grandi imprese; l'istituzione di questo
organismo sembra, inoltre, avere una ricaduta significativa sulle competenze e sulle
responsabilità del collegio sindacale, e sembra riservare all’organo un ruolo di seconda istanza
nella sorveglianza dei sistemi di controllo.
L'ordinamento bancario aveva già da tempo riservato attenzione al sistema dei controlli
interni, ma in Italia, fino all'entrata in vigore del T.U.F., mancava una disciplina in materia
applicabile alle società quotate.
Tale assenza ha rappresentato un disallineamento significativo tra l'ordinamento italiano e
quelli europei.
La funzione di controllo interno, infatti, può essere intesa come quel processo che ha lo
scopo di fornire ragionevole sicurezza sull'efficienza e l'efficacia delle procedure e delle
strutture organizzative finalizzate a realizzare gli obiettivi e le strategie aziendali. In tal senso
essa garantisce la diffusione della cultura dell’accountability40, a tutti i livelli della struttura
organizzativa della società.
Recependo quella che era stata una diffusa prassi aziendalistica, il T.U.F. ha conferito
rilevanza giuridica al sistema di controllo interno, senza però definire cosa si dovesse intendere
con questa locuzione41. La funzione di controllo interno è, invece, espressamente definita con
riguardo agli intermediari autorizzati all'esercizio di servizi di investimento e con riguardo alle
banche e ai gruppi bancari.42
40 L’ISVAP, con circolare n. 336 del 3 marzo 1999, in materia di revisione, collegio sindacale e sistema di controllo interno, sottolinea l'esigenza che le imprese di assicurazione diffondano la “cultura del controllo”. 41 Gli standard di revisione contabile nazionale e internazionali definiscono il sistema di controllo interno come insieme delle direttive, delle procedure, delle tecniche che vengono adottate dall'azienda al fine di garantire la conformità dell'attività aziendale all'oggetto sociale ed alle direttive ricevute, la salvaguardia del patrimonio aziendale e l'attendibilità dei dati prodotti dal sistema informativo. Ne fanno parte sia il sistema di controllo gestionale, ovvero la contabilità analitica ed il controllo di gestione in generale, sia il sistema amministrativo-contabile, che ha come oggetto la contabilità generale, la formazione dei bilanci e la predisposizione delle altre informazioni finanziarie esterne, ad esempio la relazione semestrale. Rientrano inoltre nel sistema di controllo interno alle direttive e le procedure per il corretto funzionamento delle diverse unità organizzative come i servizi e gli uffici. In merito cfr. M. Carattozzolo, I nuovi principi di comportamento per i sindaci delle società quotate: un primo commento (prima parte), in Le Società, 1999, p. 1296 e ss. 42 Cfr. artt. 56 e 57 del Regolamento Consob n. 11522 del 1 luglio 1998, che concerne la disciplina degli intermediari.
32
Il dettato normativo stabilisce solamente che il collegio sindacale vigila sull'adeguatezza del
sistema di controllo interno43 e sottrae alla normale struttura gerarchica coloro che sono preposti
al controllo interno, dal momento che essi devono riferire direttamente collegio sindacale44.
Implicitamente emerge la necessaria esistenza del sistema di controllo interno e il dovere per i
sindaci di segnalare agli altri organi sociali e alla Consob non solo l'eventuale sua
inadeguatezza, ma, a maggior ragione, la sua assenza.
Il Codice si inserisce in questo contesto prevedendo due regole: la prima, generale, descrive
l'oggetto e la funzione del controllo interno; la seconda prescrive l'adozione di un apposito
Comitato di audit.
Da quanto si legge nell'articolo 9.2, compito del sistema di controllo interno è quello di
“verificare che vengano effettivamente rispettate le procedure interne, sia cooperative, sia
amministrative, adottate al fine di garantire una sana e efficiente gestione, nonché al fine di
identificare, prevenire e gestire nei limiti del possibile rischi di natura finanziaria e operativa e
frodi a danno della società”.
Allo scopo vengono nominati uno o più preposti che sono privi di vincoli gerarchici nei
confronti dei soggetti sottoposti al loro controllo. Questo avviene già in alcune società quotate
ed è previsto dalle disposizioni di vigilanza applicabili ad alcune categorie di intermediari
finanziari, per evitare qualunque forma di interferenza con l'autonomia di giudizio di tali
soggetti.
Gli amministratori delegati devono assicurare che il sistema di controllo interno sia
funzionale e persegua i propri obiettivi in modo adeguato. Nei codici anglosassoni l'attribuzione
agli amministratori del dovere di rendere conto dell'efficacia dei sistemi di controllo interno –
locuzione utilizzata dal Cadbury Code, art. 4.5 – ha suscitato vivaci polemiche, tali da indurre
43 T.U.F., art. 149, c. 1, lett. c. 44 T.U.F., art. 150, c. 3.
33
la successiva commissione Hempel ad eliminare il riferimento alla “efficacia”, perché
eccessivamente oneroso per gli amministratori stessi.45
Il Comitato per il controllo interno è obbligatorio e deve essere costituito da un numero
adeguato di amministratori non esecutivi e organizzato in modo tale servire come struttura
capace di condurre una dialettica adeguata sia con gli amministratori delegati sulle tematiche di
salvaguardia dell'integrità aziendale, sia con le società di revisione, sia con il collegio sindacale
– il cui presidente, così come gli amministratori delegati, può partecipare alle riunioni del
comitato stesso.
Nel commento alle regole in esame viene specificato che le materie elencate costituiscono
un'indicazione non esaustiva, ed è pertanto nei poteri del consiglio integrare ulteriori compiti da
affidare al comitato in funzione delle caratteristiche aziendali.
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE
E’ opportuno a questo punto precisare brevemente il ruolo ricoperto dal Presidente del
consiglio di amministrazione.
Le soluzioni accolte dai vari codici europei risultano anche in questo caso sostanzialmente
trasfuse nell'articolo 4 del Codice. Il Presidente è responsabile del funzionamento del consiglio
e del coordinamento delle sue attività, nonché del flusso di informazioni che il consiglio deve
ricevere dagli amministratori esecutivi per poter decidere con consapevolezza.
La figura svolge un ruolo attivo, come emerge dal combinato disposto dell'articolo 4 e
dell'articolo 11, nel curare i rapporti con gli azionisti, e in particolare con gli investitori
istituzionali. Questi soggetti, infatti, data la rilevanza che assumono nella vita della società, sono
destinatari di un dialogo privilegiato con gli organi della società in cui investono.
Anche i codici di autoregolamentazione europei prestano particolare attenzione alla figura
degli investitori istituzionali e contengono regole volte a rendere più efficace l’informativa in 45 Cfr. Hempel Code, art 6.12 : “the word effectiveness should be dropped from point 4.5 in the Cadbury Code”. Si prescrive che la regola in questione deve essere letta nel senso che gli amministratori dovrebbero rendere conto del sistema di controllo interno della società escludendo qualunque valutazione sulla sua efficienza.
34
merito all'attività della società. Gran parte delle regole concernono il flusso informativo tra
consiglio di amministrazione e azionisti, tra cui, in particolare, gli investitori professionali, e si
pongono lo scopo di formalizzare il necessario dialogo che la società deve intrattenere,
attraverso incontri periodici, con questi azionisti, senza sottovalutare il rischio che ciò possa
comportare l'accesso ad informazioni sensibili.46
Quindi, ferma restando la possibilità per ciascun socio di intrattenere rapporti individuali con
gli amministratori e con il Presidente, si può anche immaginare che quest'ultimo, ovvero gli
amministratori esecutivi, decidano di organizzare strutture adatte a mantenere in via stabile i
rapporti con gli investitori istituzionali, le associazioni dei piccoli azionisti e gli altri soci.
Questa sembra essere, inoltre, la ratio sottesa al disposto dell’art. 11.
L'articolo 4. 3 si occupa del caso in cui il Presidente sia dotato di deleghe operative.
Un'indagine conoscitiva effettuata dalla Borsa Italiana S.p.A. nel corso dei lavori di redazione
del Codice dimostra che nella realtà italiana accade di frequente che il Presidente ricopra anche
la funzione di amministratore delegato o che riceva deleghe operative, a volte anche in presenza
di altri amministratori delegati.
I Codici europei si mostrano sfavorevoli al fatto che le cariche di Presidente e di
amministratore delegato coincidano nella stessa persona. Come regola di best practice viene
infatti individuata la separazione dei ruoli, perché la sovrapposizione delle due funzioni chiave,
ossia quella di chairman e di chief executive, all'interno delle società quotate, rischia di portare
ad un'eccessiva concentrazione di poteri decisionali nelle mani di un'unica persona, a scapito
dell'equilibrio delle decisioni assunte.47
Su questo punto il Codice afferma solamente che, qualora si verifichi tale concentrazione di
funzioni, devono essere compiutamente indicate quali ragioni hanno portato ad intraprendere
questa scelta organizzativa e quali conseguenze si hanno in termini di attribuzione delle varie
competenze tra il Presidente-amministratore delegato e gli altri consiglieri con delega.
46 In tal senso si esprime l’Hempel Report, par. 33 ss. 47 A proposito si veda Cadbury Code, art. 1.2; Cadbury Report, art. 4.9: Hempel Report, art 3.8.
35
I RAPPORTI CON GLI INVESTITORI ISTITUZIONALI E GLI ALTRI SOCI
Come già anticipato, l'articolo 11 prende in considerazione i rapporti tra società e soci, con
particolare riferimento all'interazione con gli investitori istituzionali.
Il Presidente e gli amministratori delegati devono curare con questi soggetti un dialogo che
rispetti la procedura sulla comunicazione di documenti di informazioni che riguardano la
società, ovvero senza anticipare agli investitori stessi alcuna notizia che possa influenzare il
mercato. Tale dialogo, nell'intenzione dei redattori, dovrebbe costituire un elemento apprezzato
dai soci, sia attuali sia potenziali48.
Il Codice prevede la presenza della figura di un responsabile delle relazioni con gli
investitori professionali – che nelle società di dimensioni medio-piccole può anche essere
rappresentata dai vertici aziendali – senza tuttavia esplicitarne i compiti e i doveri.
Del resto in Italia già nello stesso T.U.F. si può rinvenire l'inizio di un processo che ha
portato alla presa d'atto dell'importanza di coinvolgere quegli investitori che, data la loro
capacità di comprensione di analisi, costituiscono uno stimolo costruttivo alla buona
governance delle imprese. Tale testo normativo, in particolare con riferimento alla disciplina
delle deleghe di voto, sembra attribuire poteri e strumenti di più intensa partecipazione alla
gestione non tanto a minoranze disorganizzate, quanto a soggetti in grado di raccogliere e
rappresentare porzioni rilevanti di capitale. Alcuni hanno rilevato che l'istituto in questione,
postulando l'intervento di un intermediario e il possesso di un investimento pari almeno al 1%
del capitale sociale rappresentato da azioni con diritto di voto, risulta oneroso; la legge tuttavia
attribuisce alla Consob il potere di stabilire, per le società dall'elevata capitalizzazione e ad
48 A riguardo si veda S. Erede, R. Cera, Il ruolo di investitori istituzionali, in Il governo delle banche in Italia, cit., p. 381. L'autore sottolinea che, perché si possa parlare di un mercato dei capitali d'impresa evoluto e moderno, occorre la presenza ed il coinvolgimento degli investitori istituzionali. Un mercato che non sia in grado di consentire a questa categoria di investitori di influenzare la corporate governance delle imprese nelle quali hanno investito, è destinato a non attrarre i capitali che tali operatori potrebbero mettere a disposizione.
36
azionariato diffuso, percentuali di capitale inferiori con riguardo al limite del possesso
azionario.49
Risulta pertanto convincente l'opinione di chi, invece, considera questo strumento un'arma
efficace per indurre gli investitori istituzionali ad aprire quel dialogo continuativo con il
management delle società, dialogo che “oggi è appannaggio soltanto delle cosiddette prestazioni
agli analisti, normalmente deputate ad assolvere ad altre finalità, senza necessariamente tradursi
in un effetto per il mercato e per l'interesse degli investitori medesimi”.50
Il comitato ha funzioni consultive, propositive e istruttorie in ordine alla funzione di
controllo interno, svolge pertanto un compito strumentale rispetto a quello del consiglio di
amministrazione, affinché quest'ultimo sia in grado di esercitare una vigilanza effettiva sulle
procedure interne. Il comitato valuta e non semplicemente vigila sull'adeguatezza del sistema di
controllo interno, come è invece imposto al collegio sindacale dall'articolo 149, c. 1, lett. c,
T.U.F. Da alcuni è stato sottolineato, pertanto, che l'istituzione generalizzata di una funzione di
controllo interno nella previsione di un comitato specializzato per il controllo di tutte le
procedure finalizzate ad assicurare la funzionalità e l’adeguatezza del sistema di controllo
interno è in grado di determinare aree di possibile sovrapposizione tra competenze, poteri e
responsabilità degli amministratori non delegati e dei sindaci51. Conseguentemente, il ruolo del
collegio sindacale è ridimensionato allo svolgimento di compiti di mera supervisione sulla
vigilanza già svolta dal consiglio di amministrazione.52
49 Alcuni criticano il fatto che la disciplina sulle deleghe di voto possa rappresentare uno strumento, seppur indiretto, idoneo ad incentivare la partecipazione di investitori alla vita della società. Essi sottolineano come gli investitori istituzionali che intendessero aggregarsi per conseguire le finalità sottese dallo strumento a disposizione, andrebbero incontro ad alcune problematiche per gli effetti previsti dall'articolo 122 del T.U.F., con particolare riferimento a quanto disposto dalla lett. d sub c. 4. “Non si può escludere infatti che una forma di associazionismo fra investitori istituzionali volta l'utilizzo dello strumento della richiesta di convocazione dell'assemblea, seguita da un comportamento coerente in sede assembleare, sia idonea a far ritenere tra essi l'esistenza di uno di quei patti, in qualunque forma stipulati, da cui possa risultare l'esercizio di un'influenza dominante sulla società a diffusa capitalizzazione con ogni conseguenza in ordine all'applicabilità di effetti di cui all'articolo 109 del T.U.F”, S. Erede, R. Cera, Il ruolo di investitori istituzionali, in Il governo delle banche in Italia, cit., p. 392 50 S. Erede, R. Cera, Il ruolo di investitori istituzionali, in Il governo delle banche in Italia, cit., p. 393 – 4. 51 M. de Mari, op. cit., p. 155. 52 Non è opportuno affrontare in questa sede il tema del nuovo sistema dei controlli sindacali nelle società per azioni quotate, occorre tuttavia dire che, dopo che è stata sottratta al collegio sindacale la competenza contabile e gli è stato attribuito un ruolo di supervisione di seconda istanza sui sistemi di controllo, la dottrina si interroga sull'opportunità di mantenere il collegio sindacale nel sistema normativo vigente ed insiste sulla necessità di rivedere questa figura. P.G. Marchetti, Corporate governance, cit., p 422; R. Costi, Il governo delle società quotate, cit., p. 86.
37
ASSEMBLEE E SINDACI
Le previsioni del codice Codice in materia di assemblee – art. 12 – e di sindaci – art. 13 –
non sembrano assumere una portata particolarmente innovativa.
L'articolo 12 detta regole che hanno il compito di recuperare la centralità del ruolo
dell'assemblea come momento principe del dibattito sociale, in un sistema in cui si affermano
sempre più principi che autorizzano e incentivano una gestione extra assembleare. Del resto,
tutti i Codici di best practice dedicano particolare attenzione a quella che viene definita come
crisi dell'assemblea e all'analisi dei possibili rimedi capaci di contenere l'assenteismo dei soci e
di conferire all'organo in questione maggiore efficacia.
Generalmente, le soluzioni proposte si sostanziano nel raccomandare alle società di inviare
preventivamente a tutti gli azionisti un documento che illustri le proposte in discussione, di
organizzare seminari informativi, di articolare le riunioni sul modello “domanda e risposta” , di
inviare resoconti delle discussioni che si sono tenute in assemblea.
Il Codice prevede che gli amministratori facilitino la partecipazione più ampia possibile
degli azionisti, avendo in considerazione tale obiettivo nello scegliere il luogo, la data e l'ora di
convocazione dell'assemblea; auspica che alle assemblee partecipino tutti gli amministratori e
che siano presenti, comunque, gli amministratori che, per gli incarichi che ricoprono nei
consiglio e/o nei comitati specializzati, possano apportare un utile contributo alla discussione
assembleare.
A norma dell'articolo 12.4 il consiglio di amministrazione è tenuto a proporre
all'approvazione dell'assemblea un regolamento che abbia il compito di disciplinare lo
svolgimento ordinato dell'assemblea ordinaria e straordinaria della società. Il testo normativo
deve porsi come obiettivo quello di garantire il diritto del socio di prendere la parola sugli
argomenti posti in discussione. La prescrizione appare senza dubbio di grande interesse,
sebbene l'esperienza operativa abbia messo in risalto come sia difficile, a meno di ricorrere ad
espressioni generiche, pervenire alla redazione di un simile regolamento.
38
Una certa rilevanza assume il riferimento alle informazioni price sensitive: notizie capaci di
influenzare il mercato non possono essere diffuse agli azionisti se contestualmente non sono
state diffuse anche al pubblico. Come è stato sottolineato da qualcuno53, sembra trovare
conferma anche in questo caso la tendenza manifestata dal legislatore primario di far prevalere
nelle società quotate l'interesse degli investitori attuali e potenziali e del mercato rispetto a
quello sociale. L’articolo 114, c. 4, T.U.F., infatti, lascia trasparire piuttosto chiaramente che
l'interesse del pubblico ad essere informato tende a prevalere sull'interesse sociale: la Consob
può escludere anche parzialmente o temporaneamente la comunicazione al pubblico delle
informazioni che possono cagionare grave danno agli emittenti quotati e ai soggetti che
controllano, a meno che ciò possa indurre in errore il pubblico su fatti e circostanze essenziali.
Così come previsto per la nomina degli amministratori, il Codice raccomanda all'articolo 13
che anche di sindaci siano eletti mediante una procedura trasparente; i soci devono ricevere le
informazioni necessarie per esercitare in maniera consapevole in diritto di voto.
A specificare ulteriormente principi che trovano la loro fonte primaria nella legge, viene
stabilito che i sindaci devono agire con autonomia e indipendenza anche nei confronti degli
azionisti che li hanno eletti (cd. divieto di mandato imperativo) e devono operare nell'interesse
sociale e per la creazione di valore per la generalità degli azionisti, sia nell'ipotesi in cui
vengano nominati dalla maggioranza, sia nel caso di una loro nomina da parte della minoranza.
Cade sui sindaci l'obbligo di mantenere riservati le informazioni e i documenti di cui entrano
in possesso nello svolgimento delle loro funzioni e di rispettare la procedura adottata per
comunicare all'esterno tali informazioni e documenti.
53 M de Mari, Il Codice di autodisciplina delle società quotate in materia di corporate governance, cit., p. 156.
39
CAPITOLO 3: EFFICACIA DEL CODICE
Senza dubbio uno dei problemi di maggiore rilevanza legati al Codice di autodisciplina è
quello della sua efficacia, ovvero del suo effettivo rispetto da parte delle società quotate in
Borsa.
I redattori del Codice hanno dovuto affrontare infatti la questione di fondo relativa al grado
di enforcement, ossia relativa alle modalità di applicazione del codice e alle eventuali sanzioni
conseguenti al suo inadempimento. Questi profili costituiscono uno degli aspetti più delicati e
caratterizzanti delle esperienze di autoregolamentazione.
In effetti, in questi ambiti, l'autodisciplina dà origine a situazioni molto diverse. Si va dai
casi di self regulation prevista da norme legislative o regolamentari, e quindi avente carattere di
piena vincolatività per i destinatari1, a norme vincolanti solo su un piano etico o deontologico,
per cui è escluso qualunque tipo di sanzione a parte la perdita della cd. market credibility.
Le maggiori esperienze in argomento hanno evidenziato soluzioni di due tipi. In alcuni casi
le regole di autodisciplina sono state adottate in un regolamento di borsa, come condizione per il
listing, ovvero come regole di comportamento che gli emittenti che intendono affacciarsi su un
mercato di Borsa sono obbligati a adottare. In altri casi le norme vengono incluse in Codes of
best practice: gli operatori non hanno l'obbligo di rispettarle, ma hanno tuttavia l'obbligo di
informare il pubblico in merito all'eventuale disapplicazione e alle ragioni che hanno portato a
tale scelta.
In Italia il dibattito sull’enforcement del codice Preda ha messo in luce tre possibili
alternative. In primo luogo, si era proposto di inserire le disposizioni esaminate nel regolamento
dei mercati gestiti dalla Borsa Italiana S.p.A. In questo modo, tuttavia, ci si esponeva al rischio
di una possibile rigidità sia nell'approvazione sia nei successivi aggiornamenti delle regole del
Codice, poiché occorre tener presente che il regolamento del mercato e le sue modifiche sono
sottoposte al vaglio della Consob, secondo quanto previsto dall'articolo 63 del T.U.F. 1 Un esempio può essere rinvenuto nel codice di comportamento previsto dall'articolo 58 del regolamento Consob n. 115 22/1998.
40
Questa soluzione, inoltre, avrebbe conferito al codice un'impronta di formalità che mal si
adatta alle caratteristiche dei codici di autoregolamentazione in uso in altri ordinamenti.
La seconda alternativa suggeriva di includere le regole in un Code of best practice che la
Borsa avrebbe richiamato nei suoi provvedimenti regolamentari, obbligando le società emittenti
a chiarire la loro posizione rispetto ai principi e alle regole contenute in tale codice.
L'ultima soluzione, possibile ma tuttavia di difficile attuazione, prevedeva per il Codice di
autodisciplina una valenza sul piano meramente deontologico, con nessun tipo di effetti
vincolanti.2
La scelta italiana prevede sostanzialmente la seconda modalità di enforcement esaminata nel
presupposto, richiamato nel Rapporto al Codice, che esso è “un modello di riferimento di natura
organizzativa e funzionale e in quanto tale non è fonte di alcun obbligo giuridico”.
In particolare, nei regolamenti di Borsa Italiana S.p.A. verrà preso atto dell'esistenza del
Codice. Le società con azioni quotate nei mercati gestiti da tale società dovranno dunque fornire
una completa informativa in merito all'adeguamento del proprio sistema di corporate
governance alle raccomandazioni in esso contenute ovvero in merito alle ragioni che hanno
spinto ad un disallineamento rispetto a quanto prescritto.
È il consiglio di amministrazione a decidere se adottare, e in che misura, le regole di best
practice, e ad assumersi le relative responsabilità, che ricadono nella responsabilità generale
sulla gestione. Il principio guida nell'applicazione del Codice è pertanto quello della freeom with
accountability.
Data la natura non vincolante delle regole in questione, non sono previste sanzioni per la loro
mancata adozione ovvero per l'immotivato scostamento da quanto esse suggeriscono: nell'ottica
dei redattori la sanzione dovrebbe derivare dal mercato.
Sotto il profilo comparatistico, la soluzione italiana prevede sostanziali elementi di
somiglianza con le scelte effettuate nei principali ordinamenti stranieri. In tal senso occorre
2 Tale strada è stata percorsa in Francia: il rapporto Vienot non contiene alcuna previsione di vincolatività delle proprie norme e non include alcun collegamento con le listing rules, ovvero non impone di motivare le scelte di corporate governance adottate.
41
ricordare che i codici inglesi non hanno efficacia vincolante ma solamente valore
programmatico; la vincolatività delle norme in essi contenute viene recuperata attraverso la
previsione operata nelle listing rules dello Stock Exchange (dette anche Yellow Book) in base a
cui le società quotate devono dichiarare se hanno recepito le disposizioni dei codici nell'ambito
della loro gestione e amministrazione e devono specificare quali raccomandazioni hanno seguito
e quali no, indicando i motivi di tale scelta. A riguardo è interessante notare che nella prefazione
al Cadbury Code si legge che la dichiarazione di conformità dovrebbe essere rivista dagli
auditor.
Il Codice spagnolo, quello olandese e quello belga prevedono un sistema di enforcement
analogo: alle società quotate viene chiesto di includere nella relazione annuale informazioni
sulle pratiche di governo societario e su eventuali disallineamenti dalle regole di best practice
proposte.
Stando a quanto detto, non sembra si possa considerare il Codice di autodisciplina come
fonte del diritto, neppure come fonte secondaria, in quanto non rientra in nessuno degli atti o
fatti idonei a produrre diritto conosciuti dall'ordinamento in vigore nel nostro Paese. In merito è
opportuno tuttavia precisare che i Codes of best practice diffusi nei paesi di common law
nemmeno in questi sistemi, che presentano una maggiore elasticità nella gerarchia delle fonti del
diritto rispetto ai sistemi di civil law , assumono il rango di fonti del diritto.3
D'altro canto non sembra che il Codice possa essere ricondotto nell'alveo del cd. diritto
convenzionale, ossia di quel complesso di regole che le parti si possono dare al fine di
disciplinare i propri interessi o alle quali possono aderire volontariamente in un momento
successivo alla loro stipulazione. Si fa risalire il valore vincolante di tali regole all'autonomia
negoziale che il legislatore riconosce ai privati. Alcune esperienze di autodisciplina conosciute
nel nostro ambiente normativo sono caratterizzate dal diritto convenzionale: si pensi ad esempio
al Codice di autodisciplina pubblicitaria che, secondo la dottrina prevalente, si pone come un
3 Cfr. U. Mattei, Common Law (il diritto angloamericano) , nel Trattato di Diritto Comparato diretto da R. Sacco, Torino, 1992, p. 212 ss.
42
ordinamento autonomo non statuale e tuttavia in rapporto di stretta complementarietà e
coesistenza con l'ordinamento giuridico statuale, che ad esso è sovraordinato.
Come è stato evidenziato 4, infatti, “il Codice di autodisciplina non è un patto concluso tra le
società quotate e aperto all'adesione di ogni entità che faccia appello al pubblico risparmio, ma è
un atto che (…) promana dalla Borsa Italiana S.p.A., la quale, al di là del suo potere di
regolamentazione del mercato, riconosciutole dall'articolo 62 del T.U.F., non ha potere
dispositivo nei confronti delle società che negozio nei propri strumenti finanziari sul mercato da
essa gestito”.
Il Codice allora non opera su un piano strettamente giuridico, ma utilizza lo strumento della
cd. moral suasion, ossia del potere persuasivo che la società di gestione del mercato esercita
sugli operatori.
Il modello a cui le società quotate sono chiamate a conformarsi viene proposto come una
“guida capace di accrescere i propri standard di corporate governance”, e non come
un’ulteriore imposizione a cui adattarsi passivamente.
Se dunque appare condivisibile l'idea che alle regole di best practice non possa essere
riconosciuta efficacia vincolante e che la loro mancata adozione o la loro violazione non possa
di conseguenza comportare l'applicazione di sanzioni giuridiche, è possibile tuttavia pensare ad
una loro efficacia, per così dire, metagiuridica.
In particolare, l'adesione al codice rappresenta una sorta di marchio di qualità e si auspica
che gli investitori che conferiscono capitale di rischio e i finanziatori che forniscono capitale di
debito incrementino la loro disponibilità solamente nei confronti di quelle società che si
adegueranno al modello raccomandato. Tali imprese potranno vantare una gestione efficiente, e
cioè, volendo seguire l'idea che sta alla base del Codice, finalizzata ad assicurare il cd.
shareholder value. Sarà sostanzialmente il mercato a premiare le società che, manifestando la
scelta di volersi sottoporre ad un'intensa e efficiente rete di controlli, rivelano l'intenzione di
realizzare una gestione migliore nell'interesse degli investitori. 4 M. de Mari, Il Codice di autodisciplina delle società quotate in materia di corporate governance, cit., p. 146.
43
Le società che invece non si adegueranno alle regole di best practice o violeranno gli
impegni presi, subiranno una ricaduta negativa in termini di perdita di reputazione di mercato,
ossia in termini di minor favore che quest'ultimo rivolgerà agli strumenti finanziari da loro
emessi.
Questa visione, secondo cui il mercato premierebbe le gestioni più efficienti, è assai diffusa
dalla scuola di pensiero dell'analisi economica del diritto; tuttavia vi è chi dimostra come le
scelte degli investitori istituzionali solo in casi eccezionali sono influenzate dalle prospettive di
reddito e dalla valutazione dell'efficienza della gestione delle società quotate, mentre le risorse
vengono in realtà allocate essenzialmente sulla base di meccanismi speculativi, ovvero, per
usare le parole di Gliozzi, sulla base di “una previsione di quelle che saranno le previsioni del
grande pubblico degli investitori sul futuro andamento delle quotazioni dei titoli”5.
Che la sola sanzione alla non adozione del Codice sia la perdita della reputazione di mercato
emerge anche dal Rapporto stesso, ove si prevede le società quotate diano ampia informativa
alla Borsa Italiana S.p.A. in merito al proprio sistema di corporate governance. In particolare,
tale società di gestione del mercato ha previsto che consigli di amministrazione delle società che
emettono azioni devono comunicare, con cadenza annuale, se e in quale misura si siano
uniformati alle indicazioni contenute nel Codice, segnalando le ragioni di un eventuale mancato
rispetto delle regole.6
Le società che, invece, intendono presentare domanda di ammissione alla quotazione di
Borsa devono dare comunicazione nella stessa domanda degli “esiti del confronto tra proprio
modello di governo societario e quello proposto dalla Borsa Italiana S.p.A.”. Una previsione
analoga è rinvenibile nelle raccomandazioni Consob7, che richiedevano “ai consigli di
amministrazione e ai collegi sindacali che riterranno di non uniformarsi ai comportamenti
5 E. Gliozzi, Società per azioni e mercati finanziari, in Riv. Trim. Proc. Civ., 1999, p. 759 ss. 6 Cfr. serie IA, 2, 11, delle istruzioni al Regolamento dei mercati organizzati e gestiti dalla Borsa Italiana S.p.A. del 29 febbraio 2000. 7 Comunicazione 20 febbraio 1997, n. DAC/RM/97001574, in Riv. Soc. 1997, p. 200 ss.
44
raccomandati di dichiararlo esplicitamente nelle rispettive relazione di bilancio, fornendo i
motivi per i quali si è ritenuto di non adeguarsi a quanto raccomandato”.
L’onere di informare il mercato in ordine alla struttura organizzativa prescelta da un lato
ribadisce la non vincolatività delle norme contenute nel Codice, dall'altro ha la funzione di
rendere palese ai terzi interessati il sistema di gestione e di controllo prescelto dalla società, al
fine di rendere più consapevole la loro scelta di investimento o di finanziamento. La
valutazione, tuttavia, è appannaggio quasi esclusivo degli investitori professionali, che si
servono del supporto di analisti finanziari specializzati, e non è certo alla portata del singolo
investitore isolato, il quale non dispone delle competenze tecniche per operare tali scelte.
Quanto è stato osservato fino ad ora non esclude che le prescrizioni del codice vengano
recepite negli statuti societari, opportunamente adattate alle specifiche esigenze delle società. In
questo modo verrebbero ad assumere un valore vincolante dal punto di vista giuridico, in quanto
frutto dell'autonomia statutaria.
Si può pure ipotizzare che in un futuro poco lontano l'adesione al Codice di autodisciplina
costituisca una delle condizioni per ottenere o mantenere nella quotazione gli strumenti
finanziari sui mercati regolamentati, sulla scia di quanto avvenuto negli ordinamenti
anglosassoni. L'efficacia giuridicamente vincolante del modello sarebbe dunque ottenuta con il
tramite del Regolamento delle società di gestione del mercato, ai sensi dell'articolo 62 del
T.U.F.
Il dibattito in merito all'efficacia nel Codice continua a dividere i sostenitori di due differenti
teorie.
In primo luogo troviamo coloro che ritengono che la specificità del settore del governo
societario nonché della tutela dei risparmiatori-investitori non può essere affidata alla semplice
autoregolamentazione, e propugnano quindi la regolamentazione pubblica della materia.
Ci sono poi coloro che evidenziano i fallimenti della regolamentazione legislativa e
amministrativa e sostengono che il mercato sia in grado di eliminare autonomamente gli
operatori che tengono condotte in efficienti. Essi mettono in luce anche come l'imposizione
45
normativa di obblighi e doveri possa comportare costi superiori rispetto ai vantaggi
conseguibili.
Per verificare se il Codice può essere veramente considerato uno strumento di tutela dei
risparmiatori e dell’efficienza del mercato pare opportuno riflettere sulla sua reale effettività,
cercando di capire se la sanzione fondata sulla perdita di reputazione per il singolo operatore
economico può costituire una sanzione più efficace di quella amministrativa. L'analisi
economica sì è espressa in tal senso più volte, affermando che in alcuni contesti la perdita della
credibilità rappresenta l'unica sanzione dotata del grado d’effettività necessario per assicurare un
livello di deterrenza adeguato.8 Per le società quotate, il desiderio di mantenere un'elevata
credibilità sul mercato garantisce una compliance sostanziale, e non esclusivamente formale ai
principi, condivisi dagli operatori economici, della correttezza e della trasparenza che devono
permeare le relazioni tra questi ultimi.
Al contrario, una regolamentazione pubblica eccessivamente pervasiva spingerebbe gli
operatori a distorcere i loro comportamenti in base agli incentivi nascosti nei meandri del
sistema normativo pubblico; inoltre le difficoltà di monitorare e sanzionare e comportamenti
illeciti potrebbero contribuire ad affievolire nelle società quotate la percezione di tali precetti
giuridici come imperativi. Il Codice di autodisciplina non va ad appesantire, dato che non
assume la veste di un onere aggiuntivo, un ambito che coinvolge interessi pubblici rilevanti ed è
quindi pesantemente normato.
Questa tesi, peraltro, sembrerebbe trovare una conferma nella prassi di alcune esperienze
autodisciplinari straniere che hanno mostrato un elevato grado di effettività e efficacia .9
Sarebbe tuttavia un errore cercare di estendere in blocco questa conclusione anche al caso
italiano, data la scarsa maturità dei mercati finanziari nazionali rispetto a quelli più evoluti.
8 D. Corrado, Società quotate ed autoregolamentazione: commenti al Codice di autodisciplina, in Politeia, 2000, n. 57, p. 120. 9 E’ il caso del City Code on Takeovers and Mergers, adottato e rispettato da tutte le società quotate inglesi. A riguardo si veda L. de Angelis, Il City Code dieci anni dopo, in Riv Soc, 1978, p. 1313.
46
La seconda parte del presente lavoro intende tracciare un bilancio del grado di
implementazione del Codice e del suo apprezzamento da parte delle società quotate italiane.
47
PARTE SECONDA: L’APPLICAZIONE DEL CODICE DI AUTODISCIPLINA CAPITOLO 1: PREMESSE METODOLOGICHE
Per tracciare un bilancio del grado di applicazione che il Codice di autodisciplina ha avuto
nelle società quotate italiane, si è scelto di esaminare la comunicazione che ciascuna di esse ha
inviato a Borsa Italiana S.p.A. per descrivere il proprio sistema di governo societario.
Ricordiamo, infatti, che, ai sensi delle istruzioni al regolamento dei mercati gestiti da Borsa
Italiana S.p.A., Sez. IA. 2.12, "al fine di garantire il buon funzionamento del mercato e una
corretta informativa societaria, i consigli di amministrazione delle società emittenti azioni,
danno informativa, con cadenza annuale, sul proprio sistema di corporate governance e
sull'adesione al Codice. I consigli di amministrazione delle società che non hanno applicato le
raccomandazioni del Codice, o le abbiano applicate solo in parte, danno inoltre informazione
delle motivazioni che le hanno indotte a tale decisione"1.
Per chi ha intenzione di approfondire la propria conoscenza concernente il sistema di
governo societario in atto nelle varie emittenti, è dunque legittima l'aspettativa di trovare in tali
resoconti esauriente informativa in merito all'impatto che il Codice ha avuto sulle scelte
organizzative. Utile, infatti, per un potenziale investitore, risulterebbe un confronto tra le scelte
di governance operate dalle emittenti al fine di orientare conseguentemente le proprie scelte di
investimento.
Proprio questo si aspettavano i redattori del Codice, convinti che gli investitori saranno in
grado di premiare con il proprio capitale quelle emittenti la cui corporate governance risulti in
linea con le regole di best practice, elaborate per garantire in ultima analisi maggiore
trasparenza, maggiore protezione per gli investitori e un più efficiente equilibrio di poteri tra gli
organi di governo. Condizione necessaria per il funzionamento del meccanismo sanzionatorio
1 Le relazioni redatte in ottemperanza alla citata previsione regolamentare sono reperibili sul sito internet di Borsa Italiana S.p.A, all’indirizzo <<http://www.borsaitalia.it/ita/subsite/ssocietaquoatateeipos/corporategovernance/>.
48
basato sulla market credibility è, infatti, che la mancata adesione ai suggerimenti del Codice di
autodisciplina possa facilmente essere individuata anche dal pubblico degli investitori.
Purtroppo, parecchie emittenti non sono entrate in quest’ottica nel redigere le relazioni e le
aspettative rimangono in parte deluse. Come sottolineato nel Rapporto al Codice di
autodisciplina, le regole proposte costituiscono un modello, un'occasione offerta alle emittenti
per migliorare la propria competitività sul mercato dei capitali e non un ulteriore onere
nell’ambito di una disciplina già dettagliatamente normata. In molti casi, invece, le imprese
hanno vissuto l'onere della relazione come un inutile gravame, e hanno preferito adempiere in
poche righe all’obbligo imposto piuttosto che cogliere l’occasione per riflettere sul proprio
sistema di governo societario.
Un esame del grado di applicazione di ogni punto del Codice di autodisciplina trova quindi
un primo ostacolo nell’incompletezza delle relazioni.
Borsa Italiana S.p.A., indubbiamente, ha commesso l'errore di non predisporre un modello
uniforme di relazione, delle linee guida che le emittenti sarebbero state tenute a seguire.
L’esposizione, quindi, ha seguito strade eterogenee, e un confronto tra i contenuti si rivela poco
immediato.
In molti casi, infatti, non tutti i punti del Codice sono stati tenuti in considerazione e il
quadro della governance di molte emittenti emerge monco.
La società di gestione del mercato di Borsa si è tuttavia resa conto di questo problema, e ha
deciso di rimediare predisponendo una bozza di resoconto per guidare le emittenti nell’analisi
delle proprie scelte relative all’applicazione o meno dei suggerimenti del Code, come è spiegato
più avanti. Con le relazioni del prossimo anno sarà quindi possibile trarre un quadro più
completo e organico del grado di implementazione del Codice nella realtà italiana.
Il materiale raccolto quest’anno ha tuttavia consentito a chi scrive di strutturare una tabella
capace di fornire un primo bilancio riguardante l’iniziativa del Codice di autodisciplina.
Vengono ora spiegate le scelte metodologiche compiute nell’organizzare i dati; seguirà nel
capitolo successivo l’analisi dei dati ottenuti.
49
Sono utili alcuni cenni sulle relazioni. Nel redigerle, le emittenti hanno seguito
essenzialmente tre modelli.
Generalmente, l’esposizione è aperta da una premessa in cui si elogia l’iniziativa promossa
da Borsa Italiana S.p.A. e si dichiara una formale adesione alle regole del Codice. L’adesione
non significa che, in concreto, a livello di statuto e di regolamenti interni, siano già stati posti in
atto tutti i cambiamenti necessari per rendere operativi i suggerimenti del Codice.
Seguendo un primo modello, dunque, alcune emittenti hanno stilato un elenco dei punti di
governance trattati dal Codice per confrontare così le scelte intraprese dal consiglio di
amministrazione, sottolineando se e quali cambiamenti risultavano già implementati.
Poche imprese hanno riportato le parti dello statuto relative a ciascun argomento, nella loro
vecchia e nuova formulazione. Questa modalità espositiva è senza dubbio da elogiare, poiché
permette, a chi intende approfondire la propria conoscenza del sistema di governance, di capire
puntualmente come i suggerimenti del Codice sono stati adattati alle necessità della società in
esame; rende inoltre certi che il cambiamento introdotto ha acquisito il carattere della
definitività.
Nella tabella vengono indicate con il simbolo CA (confronto con il Codice di autodisciplina)
le relazioni che hanno seguito tale schema.
Seguendo un secondo modello, altre società hanno elaborato un proprio Codice di
autodisciplina, riprendendo, spesso integralmente, il testo del Codice Preda.
In questi casi è difficile avere la certezza che le disposizioni elencate trovino effettiva
applicazione nella governance dell’emittente. Si può solamente presumere che, se non già
implementati al momento in cui la relazione veniva elaborata, i necessari cambiamenti siano al
vaglio dell’assemblea o comunque in fase di attuazione. Solo poche società hanno fatto
chiarezza elencando i provvedimenti adottati (con relativa data) per dare effettività al Codice di
autodisciplina aziendale.
50
Nella tabella vengono indicate con il simbolo C (Codice di autodisciplina aziendale) le
relazioni che hanno seguito tale schema.
Seguendo un altro modello ancora, alcune imprese si sono limitate a considerare quei punti
del Codice che trovavano concreta attuazione nel proprio sistema di governance, senza nulla
dire in merito ai restanti argomenti. In questi casi non è dato sapere quali siano state le scelte
attuate con riferimento ai punti del Codice non trattati. Per questi punti chi scrive ha scelto di
lasciare bianche le corrispondenti caselle della tabella, in quanto se le scelte di attuate fossero
allineate ai precetti del Codice sarebbe stato nell’interesse dell’emittente farlo notare.
Per le relazioni che hanno seguito questo schema, nella tabella è indicato soltanto il numero
di pagine e alcune caselle sono rimaste bianche.
Non occorre sottolineare come il terzo modello sia stato preferito da quelle società che hanno
inteso la relazione come un obbligo informativo cui adempiere in maniera sbrigativa.
I consigli di amministrazione che hanno colto l’occasione per riflettere sul proprio sistema di
governance e per spiegare agli azionisti e ai potenziali investitori gli sforzi fatti per allinearsi
alle regole di best practice, hanno invece preferito il primo o il secondo modello.
Questa differenza di approccio spiega perché in molti casi la relazione non si sia soffermata,
contrariamente a quanto espressamente previsto nella norma regolamentare citata, a motivare le
difformità rispetto a quanto previsto dal Codice.
Ciò detto, appare ancor più criticabile la scelta di Borsa Italiana di non esplicitare in maniera
puntuale l’obbligo informativo a carico delle emittenti circa le scelte di governance attuate. Tale
impostazione è perfettamente in linea con la filosofia sottesa al Codice, che conta su sforzi fatti
volontariamente e non imposti, ma ha dato modo ad alcune società di sottrarsi ad un serio
confronto con le regole di best practice, eludendo sostanzialmente l’iniziativa.
Esaminiamo ora nello specifico le caratteristiche della tabella.
Nella prima colonna sono riportati i nomi delle società quotate sul mercato di Borsa.
Seguono varie colonne, ognuna dedicata ad un articolo del Codice.
51
Per quanto riguarda l'articolo 1, abbiamo cercato di individuare se il consiglio di
amministrazione ricopre un ruolo centrale nella governance, se si riunisce con cadenza regolare,
se opera in maniera effettiva e efficace secondo quanto previsto dal Codice.
Nella tabella, l’emittente che è dotata un consiglio di amministrazione con queste
caratteristiche, viene indicata con il simbolo A (allineato con il Codice di autodisciplina), in
caso contrario il simbolo riportato è NA (non allineato con il Codice di autodisciplina).
Per quanto riguarda l’articolo 2, abbiamo cercato di individuare se in seno al consiglio di
amministrazione fosse presente un congruo numero di amministratori non esecutivi, in grado di
contribuire all’assunzione di decisioni nell’interesse della società.
Anche in questo caso nella tabella viene usata la simbologia A (allineato con il Codice di
autodisciplina) e NA (non allineato con il Codice di autodisciplina).
Per quanto riguarda l’articolo 3, se alcuni amministratori non esecutivi sono qualificabili
come indipendenti nella tabella viene riportato il simbolo Sì; in caso contrario compare il
simbolo No.
Relativamente a quanto previsto nell’articolo 4, abbiamo cercato di individuare se il ruolo
del Presidente in seno al consiglio di amministrazione fosse in linea con quanto suggerito dal
Codice. In caso affermativo, nella tabella viene riportato il simbolo A (allineato con il Codice di
autodisciplina).
In aggiunta, abbiamo considerato se il Presidente fosse dotato o meno di deleghe operative.
Nella tabella, rispettivamente, vengono usati i simbolo D (Presidente dotato di deleghe
operative) e ND (Presidente non dotato di deleghe operative).
Con riferimento all’articolo 5, se gli organi delegati hanno l’obbligo di fornire adeguata e
periodica informazione al consiglio di amministrazione in merito allo svolgimento delle attività
delegate, nella tabella compare il simbolo A (allineato con il Codice di autodisciplina); in caso
contrario viene riportato il simbolo NA (non allineato con il Codice di autodisciplina).
Per quanto riguarda l’articolo 6, abbiamo cercato di evincere se il trattamento delle
informazioni sensibili sia regolato da un’apposita procedura o faccia capo a soggetti specifici
52
(come per esempio il Presidente del consiglio di amministrazione, gli amministratori delegati o
un responsabile nominato ad hoc). Nella tabella i simboli usati sono rispettivamente P
(procedura per il trattamento di informazioni sensibili) e S (soggetti responsabili del trattamento
di informazioni sensibili). In alcune società la procedura per il trattamento delle informazioni
sensibili era in corso di definizione o di approvazione; in questo caso nella tabella compare il
simbolo PA (procedura in corso di approvazione).
Con riferimento a questo previsto dall’articolo 7, abbiamo esaminato se sussiste l’obbligo di
depositare, corredate da un’adeguata informativa circa le caratteristiche personali e professionali
dei candidati, le candidature almeno dieci giorni prima della data fissata per l’assemblea. Se ciò
avviene, nella tabella compare il simbolo A (allineato con il Codice di autodisciplina); in caso
contrario compare il simbolo NA (non allineato con il Codice di autodisciplina).
Con il simbolo C (presenza del comitato per le proposte di nomina) si segnala, inoltre, se
l’emittente ha deciso di costituire un Nomination Committee. Nel caso il Comitato sia ancora in
corso di costituzione, compare il simbolo CA (comitato in fase di attuazione).
Per quanto riguarda la remunerazione amministratori, disciplinata all’articolo 8, si è cercato
di verificare se il consiglio di amministrazione delle società in esame abbia nominato o meno un
Comitato per la remunerazione. In caso affermativo, nella tabella compare il simbolo C
(presenza del comitato per le remunerazioni).
Segnaliamo, inoltre, con la simbologia RP (retribuzione parametrata) se un'impresa ha deciso
di legare parti del compenso degli amministratori delegati ai risultati economici raggiungimento
di obiettivi predeterminati.
Con riferimento all’articolo 9, abbiamo verificato se l’emittente in esame fosse dotata di un
sistema di controllo interno in grado di svolgere le funzione previste dal Codice e di ridurre
quindi i rischi operativi. Se questo avviene, nella tabella compare il simbolo A (allineato con il
Codice di autodisciplina). Nel caso in cui le procedure non siano ancora definite o il preposto al
controllo interno sia sottoposto a vincolo di dipendenza gerarchica da un responsabile di aree
operative, la simbologia usata è NA (non allineato con il Codice di autodisciplina).
53
Qualora l’emittente abbia scelto di costituire un Comitato per il controllo interno, nella
tabella viene riportato il simbolo C (presenza del comitato per il controllo interno). Se il
Comitato è in via di costituzione, compare il simbolo CA (comitato in fase di attuazione).
Per quanto riguarda il dettato dell’articolo 11, abbiamo cercato di capire se il dialogo con la
generalità degli azionisti e in particolare con gli investitori istituzionali sia curato da apposita
struttura aziendale deputata a questo scopo, nel qual caso nella tabella compare il simbolo F
(funzione aziendale), oppure faccia capo ad un responsabile, nel qual caso nella tabella compare
il simbolo R (responsabile).
In materia di assemblee, abbiamo evidenziato se le emittenti dichiarano espressamente di
favorire la partecipazione più ampia possibile riportando nella tabella il simbolo P (incoraggiata
la partecipazione).
Nel caso in cui sia stato approvato un regolamento assembleare per garantire il disciplinato
svolgimento delle riunioni, nella tabella compare il simbolo R (regolamento assembleare).
Qualora il regolamento sia stato predisposto ma non ancora approvato, il simbolo usato è RA.
Infine, con riferimento al dettato dell’articolo 13, abbiamo esaminato se sussiste l’obbligo di
depositare le candidature almeno dieci giorni prima della data fissata per l’assemblea, corredate
da un’adeguata informativa circa le caratteristiche personali e professionali dei candidati. Se ciò
avviene, nella tabella compare il simbolo A (allineato con il Codice di autodisciplina). Se la
relazione fa espressamente riferimento all’adozione del meccanismo del volto di lista, nella
tabella compare il simbolo L (voto di lista).
La colonna finale contiene i dati inerenti alla relazione.
Le relazioni che, a nostro giudizio, sono state considerate del tutto insufficienti a chiarire il
sistema di governance adottato dall’emittente, vengono indicate nella tabella con il simbolo N
(non adeguata).
Tali problemi di inadeguatezza verranno sicuramente risolti se le emittenti decideranno, per
l’anno prossimo, di seguire puntualmente lo schema tipo elaborato e caldeggiato da Borsa
Italiana S.p.A.
54
Questo schema espositivo, infatti, non è vincolante, ma costituisce un riferimento
fondamentale per far convergere le emittenti verso il medesimo standard espositivo, in modo da
rendere ai lettori più facile e immediato l’esame delle scelte attuate.
Per quanto riguarda il consiglio di amministrazione, il documento elaborato da Borsa Italiana
S.p.A. prevede che siano indicati in maniera chiara e precisa la composizione, il funzionamento,
il ruolo concretamente svolto da quest’organo in seno alla società.
In merito alla composizione del consiglio di amministrazione, la società dovrebbe indicare
analiticamente i nomi dei consiglieri e la scadenza del loro mandato, con la precisazione se essi
sono esecutivi, non esecutivi e indipendenti. In particolar modo, dovrebbe essere suffragato da
motivazioni il giudizio di indipendenza.
Relativamente alle funzioni svolte dal consiglio di amministrazione, è opportuno che
vengano indicate le materie che siano riservate alla competenza esclusiva del consiglio, con
l'ulteriore precisazione se questa riserva deriva dalla clausola statutaria, da prassi societaria,
ovvero sia deducibile in via residuale dall'ampiezza delle deleghe conferite.
Nel caso sia stato riservato al consiglio l'esame delle operazioni più significative e di quelle
con parti correlate, le società sono invitate a chiarire i criteri qualitativi e quantitativi che
permettono di individuare le operazioni da sottoporre alla preventiva approvazione del
consiglio.
Per quanto riguarda le principali deleghe conferite, la relazione dovrebbe fornire
informazioni sintetiche e precisarne i limiti. Se il Presidente del consiglio di amministrazione ha
ricevuto deleghe gestionali, il fatto deve essere segnalato. Auspicabile è che venga anche
indicata la periodicità con cui gli organi delegati riferiscono al consiglio in merito all'attività
svolta.
Le emittenti sono invitate a indicare il numero delle riunioni consiliari che si sono tenute nel
corso dell'esercizio precedente e di quelle previste per l'esercizio in corso, precisando se lo
statuto sociale prevede una cadenza minima delle riunioni del consiglio. È opportuno che la
relazione evidenzi se gli amministratori, in occasione delle riunioni consiliari, ricevono con
55
anticipo ragionevole le informazioni necessarie per consentire al consiglio di esprimersi con
consapevolezza sulle materie che vengono sottoposte al suo esame.
In merito alle modalità di nomina degli amministratori, occorre precisare se il curriculum
vitae dei candidati viene depositato presso la sede sociale prima dell'assemblea e se tale
comportamento sia obbligatorio per una precisa disposizione statutaria o del regolamento
assembleare, o sia oggetto di una raccomandazione agli azionisti.
Auspicabile è inoltre che venga indicato se si sia scelto di adottare il meccanismo di voto di
lista per la nomina degli amministratori.
Relativamente alla remunerazione dei consiglieri, gli emittenti sono invitati a chiarire
sistematicamente il sistema di remunerazione, specificando se la parte variabile dei compensi è
legata in misura significativa a risultati economici conseguiti o al raggiungimento di obbiettivi
specifici. Simile informativa dovrebbe essere fornita in merito ai piani di stock options
eventualmente adottati.
Se gli emittenti hanno scelto di nominare in seno al consiglio un Comitato per le proposte di
nomina e un Comitato per la remunerazione (lo stesso vale, poi, per il Comitato per il controllo
interno), la relazione dovrebbe contenere l'indicazione nominativa della composizione, una
descrizione dei compiti assegnati, delle modalità di funzionamento e dell'attività svolta.
Un argomento senza dubbio importante è quello del controllo interno. Secondo la nozione
elaborata dal Committee of Sponsoring Organizations of the Treadway Commission (CoSO
Report)2 e accolta dai vari Codici di autodisciplina diretti alle società quotate il controllo interno
va inteso come un processo che, coinvolgendo tutte le funzioni aziendali, deve fornire adeguata
garanzia circa l'efficacia e l'efficienza con cui vengono condotte le operazioni aziendali,
2 La Treadway Commission del Committee of Sponsoring Organisations (CoSO) americana ha commissionato alla PricewaterhouseCoopers USA uno studio sulla corporate governance, in quanto ritenuta meglio capace di mobilitare tutte le competenze finanziare, economiche, informatiche, organizzative, manageriali e strategiche richieste, uno studio sulla corporate governance, che si è concluso con un Rapporto, il cosiddetto “CoSO Report”. Tale Rapporto è diventato oggi negli Stati Uniti d'America uno strumento indispensabile di supporto metodologico e attuativo per moltissimi tra gli operatori più rappresentativi del mondo economico, istituzionale e accademico.
56
l'affidabilità dell'informazione finanziaria, il rispetto della normativa applicabile e la
salvaguardia dei beni aziendali.
I consigli di amministrazione sono invitati a dare informativa esaustiva sul punto, indicando
se ritengono il sistema di controllo interno idoneo a presidiare in maniera efficace i rischi tipici
delle principali attività esercitata dalla società e dalle sue controllate e a monitorare la situazione
economica e finanziaria della società del gruppo. Devono essere indicati i nomi dei preposti al
controllo interno, con specificazione delle funzioni, precisando se essi sono gerarchicamente
indipendenti dai responsabili di aree operative e la frequenza con la quale essi danno
informativa del loro operato al di amministratori delegati, ad un eventuale comitato per il
controllo interno e ai sindaci.
In materia di informazioni riservate, le emittenti dovrebbero segnalare le modalità con cui le
informazioni vengono gestite e comunicate all'esterno. Sé è stata adottata un'apposita procedura,
la relazione dovrebbe contenere una descrizione sintetica, con la precisazione se essa è stata
formalizzata in un regolamento interno, e indicare le responsabilità che vengono attribuite agli
organi e alle funzioni aziendali coinvolte.
Dato che uno degli obiettivi del Codice è quello di facilitare agli azionisti una conoscenza
più approfondita delle società, è opportuno che gli emittenti esplicitino se esiste all'interno della
società una struttura dedicata ai rapporti con gli investitori oppure se sono i vertici aziendali a
svolgere direttamente questa funzione.
Relativamente al funzionamento dei lavori assembleari, auspicabile è inoltre, che venga
precisato se sia stato adottato uno specifico regolamento assembleare, e se questo sia stato
recepito all'interno dello statuto o tramite altra forma.
Non va trascurata, inoltre, l’informativa in merito alla raccomandazione del Codice che
invita gli amministratori a valutare l'opportunità di proporre modifiche all'atto costitutivo per
facilitare l'esercizio delle azioni e delle prerogative poste a tutela delle minoranze.
Infine, relativamente alla nomina dei sindaci, le società sono invitate a dichiarare se le
proposte di nomina vengono o meno depositate presso la sede sociale prima dell'assemblea. In
57
caso affermativo, sarebbe auspicabile specificare se questo comportamento viene reso
obbligatorio dalla disciplina statutaria del voto di lista o se è il frutto di una prassi
volontariamente seguita dagli azionisti.
Se le relazioni conterranno effettivamente tutti i dati richiesti, potrà essere tracciato un esame
più approfondito di come in concreto il Codice abbia inciso sulle modalità di governo delle
emittenti.
Per concludere, lungi dal perseguire il predetto scopo, la tabella allegata si pone l’obbiettivo
quello di fornire prime indicazioni sul gradimento dell’iniziativa, presentando le tendenze in
atto relativamente alla sua implementazione.
58
CAPITOLO 2: ANALISI DEI RISULTATI
Esaminiamo ora i dati strutturati raccolti nella tabella.
Sul sito di Borsa Italiana S.p.A. l’elenco delle emittenti era comprensivo di
duecentosettantanove voci.
Relativamente a dieci società, purtroppo, nel momento in cui abbiamo visitato il sito internet,
la comunicazione non era disponibile o una dicitura ammoniva che non erano ancora scaduti i
termini per la presentazione della relazione. Pertanto, le società effettivamente esaminate sono
state duecentosessantanove.
Occorre innanzitutto sottolinearne che l’iniziativa del Codice è stata gradita dalla quasi
totalità delle emittenti. Duecentosessantuno società, infatti, dichiarano di voler procedere ad un
adeguamento della propria corporate governance convinte che le regole di best practice
suggerite sono in grado di aiutare a migliorare l’efficienza e la competitività sul mercato dei
capitali.
Solo cinque relazioni manifestano l’intenzione di non aderire formalmente al Codice, ma
tuttavia precisano che, in alcuni punti, il proprio sistema di governance segue sostanzialmente la
filosofia del Codice. La relazione del Banco di Napoli nemmeno tratta l'argomento; Caltagirone
sostiene di dover effettuare ulteriori approfondimenti in materia.
La Banca Popolare dell'Adriatico ritiene, come le viene suggerito dalla capogruppo Cardine
Banca S.p.A., non necessario recepire i contenuti del Codice, in considerazione del fatto che
gran parte degli assetti di governance ivi previsti sono già sussistenti nella società. Dichiara
inoltre che un adeguato livello di affidabilità della gestione esiste già nell’organizzazione della
banca e che il sistema normativo interno risulta essere molto stringente, grazie all'ottemperanza
alla normativa in vigore per l'ordinamento del credito e per l'effetto di autonome scelte adottate
59
a livello di gruppo di banca. In che cosa queste scelte si concretizzino, ovviamente, al lettore
non è dato sapere.
La Banca Popolare di Sondrio sottolinea che i precetti del Codice sono sostanzialmente
rispettati per quanto riguarda la composizione del consiglio di amministrazione, il ruolo del
presidente, l'informativa al consiglio di amministrazione, il trattamento delle informazioni
riservate, la funzione di controllo interno e i rapporti con gli investitori, ma tuttavia ritiene di
non aderire formalmente in quanto l'amministrazione reputa necessario valutare meglio
l'opportunità e la convenienza per una società di caratteristiche e dimensioni come quella in
esame, di “aderire a forme organizzative pensate con riferimento particolare al modello della
società per azioni”. La Banca sottolinea che il corpo sociale continua a riflettere i caratteri tipici
delle cooperative e specifica che le regole di governo societario sono improntate a criteri di
chiarezza e funzionalità e finalizzate ad una gestione sana e prudente della società.
L'Immobiliare Lombarda decide di non adottare il Codice in quanto evidenzia che, per il
numero e la tipologia delle operazioni svolte, la società mantiene una struttura organizzativa
gestionale semplice, che non si ritiene debba essere modificata. La relazione indica che se in
futuro l'attività della società si dovesse articolare in fattispecie più complesse, verrà redatto e
adottato un regolamento di corporate governance adeguato e allineato alle raccomandazioni
emanate dalla Borsa Italiana S.p.A.
Roncadin ritiene di non adeguarsi ai precetti del Codice in virtù della dimensione aziendale
ridotta. Anche in questo caso si precisa che, qualora le dimensioni aziendali dovessero mutare,
si considera opportuno rivedere la propria scelta di non adesione.
Simili motivazioni sono riscontrabili anche nella relazione della SO.PA.F.
Due società, il Banco Santander e il Banco Bilbao, dichiarano che il proprio sistema di
governance è allineato con i precetti contenuti nel Codice di autodisciplina spagnolo.
Ricapitolando, in due casi la mancata adozione del Codice è stata motivata con la particolare
forma dell'emittente, ossia quello di società cooperativa; in altri tre casi sono le ridotte
dimensioni aziendali a suggerire al consiglio di amministrazione di non procedere ad una
60
revisione delle modalità di gestione della società; in due casi il sistema di governance segue i
suggerimenti di un Codice di autodisciplina straniero.
Tra le società che hanno dichiarato di aderire al Codice, tuttavia, ben diciassette non
specificano quali cambiamenti organizzativi si siano rivelati necessari in vista
dell’adeguamento, indicando con formula generica che l’implementazione dei suggerimenti era
in corso nel momento in cui veniva presentata la relazione.
Ciò detto, procediamo ad esaminare quante società hanno adottato i suggerimenti del Codice,
punto per punto.
Articolo 1.
L'80 % delle emittenti risulta allineato con le disposizioni di questo articolo.
Articolo 2.
Nell’80 % delle emittenti il consiglio di amministrazione rispetta la composizione proposta,
presentando una numero di amministratori non esecutivi tale da poter contribuire
significativamente al momento dell’assunzione delle decisioni consiliari, apportando specifiche
competenze e guidando le scelte verso il perseguimento dell'interesse sociale. Solo due società
dichiarano di non avere amministratori esecutivi in seno al proprio consiglio di
amministrazione.
Articolo 3.
Il 72 % delle società individua tra gli amministratori non esecutivi un congruo numero di
amministratori indipendenti. Il 3 % delle emittenti dichiara di non avere consiglieri
indipendenti in seno al proprio consiglio.
Dal restante 25 % delle relazioni non si può ricavare se qualche amministratore non
esecutivo presenti anche i requisiti richiesti per l’indipendenza.
Articolo 4.
Per quanto riguarda ruolo del Presidente, il 66 % delle società risulta allineato con quanto
prescrive il Codice.
Il 34% delle relazioni non fa cenno al ruolo del presidente all'interno della società.
61
Dal 40% delle relazioni si ricava che il Presidente è dotato di deleghe operative. Solo nel
20% dei casi il Presidente non è dotato di deleghe operative.
Articolo 5.
Nel 63% delle emittenti gli amministratori delegati riferiscono puntualmente del loro operato
al consiglio di amministrazione. Il restante 37% delle relazioni non contiene riferimenti al flusso
informativo in questione.
Articolo 6.
Il 36% delle società ha adottato una procedura per il trattamento e la comunicazione
all'esterno di informazioni price sensitive, il 12% sta adottando la procedura. Un altro 12% delle
società ha invece individuato soggetti deputati a comunicare all'esterno questo tipo di
informazioni.
Solo l'1% delle società dichiara espressamente di non ritenere opportuno adottare una
procedura. La scelta di non cristallizzare i compiti e le responsabilità inerenti al trattamento
delle informazioni sensibili viene in qualche caso motivato con il ricorso alla ridotta dimensione
aziendale, sostenendo che una procedura rigida non permetterebbe di adattarsi con flessibilità e
rapidità a tutti i casi potenziali.
Altre società si giustificano asserendo che le informazioni sensibili passano in ogni caso dal
consiglio di amministrazione e è il consiglio nella sua totalità a trattare con la dovuta cautela le
informazioni price sensitive.
In altri casi invece si sottolinea che l'obbligo di non divulgare informazioni sensibili sia
ampiamente disciplinato dalla legge e che i vertici aziendali sono in grado di controllare che
coloro che entrano in possesso di tali informazioni ne facciano uso attento e conforme a quanto
previsto dalla disciplina in vigore.
Articolo 7.
Il 27% delle società, in ottemperanza quanto suggerito dal Codice, impone di presentare le
candidature, corredate da un’adeguata informativa personale e professionale dei candidati nella
62
sede societaria almeno dieci giorni prima della data fissata per l'assemblea, in modo tale che gli
azionisti possono esercitare consapevolmente il voto.
Solo il 5% delle emittenti dichiara che non vi è un’apposita norma, o statutaria o suggerita
nella prassi, che garantisce il deposito preventivo delle informazioni. Le relazioni motivano
questo disallineamento asserendo che il meccanismo che prevede che i candidati presentino le
proprie credenziale oralmente, poco prima della votazione, si è sempre rivelato efficace.
Il 7% delle società ha deciso di dotarsi di un comitato per le nomine alla carica di
amministratore.
Una percentuale così esigua trova giustificazione nel fatto che per moltissime emittenti esiste
un gruppo di controllo, e è quindi facile trovare un accordo per la presentazione delle
candidature. Su questa scelta incide la concentrazione della proprietà, caratteristica delle
imprese italiane: vi è la presenza di un azionista di riferimento in grado di guidare la nomina del
consiglio di amministrazione. La creazione di un comitato per le nomine si adatta
indubbiamente meglio al contesto anglosassone, dove la base azionaria frammentata rende
necessaria la presenza di un apposito comitato prepari liste di candidati alla carica di
consigliere.
Articolo 8.
Maggior successo ha ottenuto invece il comitato per la remunerazione degli amministratori,
adottato nel 52% dei casi. L’ulteriore 1% delle relazioni asserisce che il comitato sta per essere
costituito.
Il 19% delle emittenti prevede inoltre che parte del compenso degli amministratori esecutivi
o dell'alta dirigenza sia legato al raggiungimento risultati economici o al conseguimento di
specifici obbiettivi.
Articolo 9.
Il 62% delle relazioni garantisce la presenza di un sistema di controllo interno in grado di
aiutare a prevenire i rischi. Occorre sottolineare che la totalità delle banche ne è dotata, dal
63
momento che la normativa bancaria pone particolare attenzione al problema del controllo
interno e ne disciplina dettagliatamente le modalità di svolgimento.
Solo l’l% delle società dichiara che non è previsto un sistema di controllo interno.
Articolo 10.
Una percentuale leggermente inferiore, il 58%, ha scelto di costituire al proprio interno un
comitato di controllo interno. In un restante 3% dei casi il comitato sta per essere costituito.
La mancata adozione del comitato viene spesso motivata sostenendo che, date le ridotte
dimensioni aziendali, non è necessario procedere alla sua costituzione. In altri casi si asserisce
che il comitato esecutivo o il consiglio di amministrazione nella sua interezza sono in grado di
svolgere efficacemente le funzioni che il Codice affida al comitato di controllo interno. In
particolar modo nelle relazioni delle banche si fa notare come la normativa di settore imponga
stringenti controlli come e la costituzione del comitato comporterebbe una poco efficiente
duplicazione di funzioni.
Articolo 11.
Molte imprese sono risultate sensibili alla necessità di mantenere un dialogo proficuo e
continuativo con la generalità di azionisti e in particolare con gli investitori istituzionali. Ha
nominato un responsabile a tale fine, infatti, il 42% delle società e il 23% delle società ha
predisposto una apposita funzione aziendale.
Articolo 12.
Il 29% delle emittenti dichiara di incentivare la più ampia partecipazione alle assemblee.
Per rendere più ordinato lo svolgimento delle riunioni, è stato predisposto e approvato nel
22% dei casi un regolamento assembleare, mentre è in corso di approvazione nel 24% delle
società. Il rifiuto di dotarsi di un regolamento viene spesso motivato con il riferimento alla
ristretta base azionaria e sostenendo che le assemblee si sono fino ad oggi svolte in maniera
efficiente. Alcune società fanno notare che la predisposizione di un regolamento può rivelarsi
uno strumento scarsamente flessibile e incapace di adattarsi alle esigenze delle realtà. Altre
64
relazioni asseriscono invece che lo statuto e la prassi garantiscono già l’ordinato e regolare
svolgimento dei lavori.
Articolo 13.
Solo nel 10 % dei casi sussiste l'obbligo di depositare nella sede societaria almeno dieci
giorni prima della data fissata per l'assemblea le candidature corredate da una adeguata
informativa in merito alle caratteristiche personali e professionali dei candidati. Nel 36 % dei
casi si asserisce che il meccanismo di lista impone quest’obbligo.
Relazione.
Il 18% delle relazioni, a giudizio di chi scrive, non presentano neppure gli elementi minimi
per chiarire al lettore le scelte di governance.
Al contrario, nel 25% dei casi la relazione è stata strutturata a guisa di confronto tra i singoli
precetti del Codice e le implementazioni già in atto o le scelte organizzative divergenti.
Il 12% delle società ha preferito invece scrivere un proprio codice di autodisciplina,
adattando il testo del Codice Preda alle esigenze interne.
Osservando la tabella, si nota subito il fatto che siano numerose le caselle ad essere lasciate
in bianco, per i problemi esposti sopra.
E’ lecito dedurre che, qualora la relazione abbia omesso di trattare determinati argomenti, i
cambiamenti necessari all’adeguamento non siano stati posto in atto. Nello spirito del Codice
infatti, sarebbe stato di primario interesse per le emittenti spiegare agli investitori che i massimi
sforzi sono stati fatti per dotare il sistema di governance delle soluzioni più efficienti.
E’ tuttavia possibile ritenere che alcune relazioni si siano soffermate a spiegare i punti
ritenuti più significativi, dando per scontato che i punti non trattati seguissero già i precetti del
Codice.
A nostro avviso, la prospettiva più corretta è fare riferimento soltanto a quanto viene
espressamente dichiarato nelle relazioni.
65
Nel complesso l'iniziativa sembra aver avuto un discreto successo: almeno il 40 % delle quotate
ha implementato cambiamenti nella direzione auspicata dal Codice. Evidentemente le
emittenti italiane colgono la necessità di aumentare la propria competitività sul mercato dei
capitali e hanno accolto di buon grado suggerimenti in grado di aiutare a perseguire questo
obbiettivo.
La percentuale di adesione sale in maniera significativa con riferimento al consiglio di
amministrazione.
Questo significa che, a fronte di una normativa primaria lacunosa in materia, le imprese si
trovano concordi nel riconoscere al consiglio il ruolo centrale nella propria governance e nella
convinzione che sia indispensabile un processo decisionale rapido e efficiente, in cui siano presi
in considerazione tutti gli interessi che gravitano attorno all’impresa.
La realtà italiana si scosta invece dai dettami del Codice nei poteri attribuiti al Presidente del
consiglio di amministrazione: nel 40 % dei casi il Presidente è dotato di deleghe operative.
Questo fenomeno è spiegabile considerando che le nelle nostre imprese la proprietà spesso è
concentrata, e il consiglio di amministrazione è espressione diretta della maggioranza azionaria.
Nelle mani del Presidente, quindi, la maggioranza di controllo vuole che sia ben salda la guida
non solo del processo decisionale in ambito strategico, ma anche operativo.
Con riferimento alle informazioni sensibili, sarebbe auspicabile che aumentasse la
percentuale di imprese dotate di una procedura, in quanto la cristallizzazione dei procedimenti
da adottare e delle responsabilità conseguenti al trattamento di tali informazioni contribuisce in
maniera determinante ad evitare il rischio di abusi.
Molte società hanno visto nei comitati la vera innovazione proposta dal Codice.
Con la costituzione dei comitati la realtà organizzativa delle imprese italiane si avvicina
sempre più al modello anglosassone; non bisogna tuttavia dimenticare che questo modello,
riconosciuto in ambito internazionale come il più equilibrato e efficiente, è pensato per una
realtà in cui la base azionaria è polverizzata e quindi la sua applicazione potrebbe rivelarsi
66
controproducente laddove un azionista o un patto di sindacato domini da solo le scelte di
gestione.
Indubbiamente, l’adozione dei comitati contribuisce ad aumentare significativamente i poteri
di controllo attribuiti alla componente non esecutiva del consiglio di amministrazione, che così
è posta a diretto contatto con i processi e la realtà aziendali.
Dei tre, scarso successo ha ricevuto il comitato per le nomine alla carica di amministratore. Il
dato non stupisce, sia perché il Codice poneva la costituzione di questo comitato come
eventuale, sia per quanto detto in merito alla struttura proprietaria: è l’azionista di riferimento a
pilotare la nomina del consiglio e pertanto i candidati proposti saranno solamente quelli di suo
gradimento.
Questo può spiegare, inoltre, perché spesso non vi sia l’obbligo di deposito preventivo delle
candidature: colui che detiene la maggioranza dei voti in assemblea è sicuramente a conoscenza
delle caratteristiche personali e professionali di chi è scelto per rappresentare i suoi interessi. Gli
altri soci non sono in grado di compiere una vera scelta, non tanto perché non adeguatamente
informati, quanto perché il loro voto non è in grado di incidere sul risultato della votazione.
Più consenso è stato raccolto dal comitato per le proposte di nomina, probabilmente perché è
unanimemente riconosciuto che il fatto che a determinare i compensi siano soggetti diversi dai
destinatari dei compensi stessi, mette al riparo da eclatanti abusi.
Poche sono le imprese che legano parte della retribuzione degli amministratori esecutivi e
degli alti dirigenti ai risultati della società, evidentemente perché il problema dell’agenzia, per la
cui riduzione i piani di retribuzione parametrata vengono progettati, è meno sentito in una realtà
in cui i manager sono diretta espressione della proprietà.
Ha goduto ancora maggior apprezzamento il comitato per il controllo interno. Trova quindi
crescente diffusione il convincimento che con l’aumentare della complessità dei processi
aziendali, per l’impresa è vitale dotarsi di un sistema capace di monitorare e prevenire i rischi
che si accompagnano all’esercizio dell’attività.
67
Le imprese, consce che la propria crescita sul mercato dei capitali dipende in maniera
determinante dal dialogo con gli investitori istituzionali, dedicano un’attenzione particolare al
dialogo con questa specifica categoria di azionisti.
Per concludere, si rivela opinione diffusa che l’assemblea costituisca il momento principe
nella vita di una società. Pertanto, per incoraggiare la più ampia partecipazione alle riunioni e
fare sì che i lavori si svolgano in modo ordinato e regolare, quasi la metà delle emittenti ha
accolto volentieri il suggerimento di predisporre un apposito regolamento.
68
CONCLUSIONI
Esaminati i dati della tabella, emergono due importanti interrogativi a cui cerchiamo di dare
risposta.
In primo luogo viene da chiedersi in quale modo, a fronte di un’adesione entusiasta e
generalizzata da parte delle emittenti, le regole del Codice siano in grado di incidere sulle
procedure concrete che determinano il loro sistema di governance. Il rischio, infatti, è che la
best practice non trovi applicazione sostanziale ma solamente “programmatica”.
Per sciogliere questo dubbio, meritano particolare attenzione le modalità di funzionamento
del consiglio di amministrazione, che nella prassi risentono più significativamente di anomalie e
storture.
In secondo luogo ci si interroga sulla possibilità di applicare con successo alla realtà
italiana, caratterizzata dalla presenza di imprese a proprietà concentrata, una testo normativo
dichiaratamente ispirato alle public companies anglosassoni.
Si intende così chiarire quale sia il ruolo positivo che il Codice è in grado di svolgere
nell’indurre le emittenti e il mercato dei capitali verso una significativa crescita e una maggior
efficienza.
Prima di cercare di rispondere a tali interrogativi, appare tuttavia opportuno affrontare la
questione relativa all’efficacia, dal punto di vista economico, che caratterizza il sistema di
governance proposto dal Codice, in rapporto al contesto economico, sociale e normativo in cui
viene applicato.
Abbiamo visto che il Codice segue l'idea, dominante nel panorama attuale, secondo la quale
un sistema efficiente di corporate governance è quello che assicura pieni poteri agli azionisti e
promuove la massimizzazione del valore del capitale azionario.
Quest'idea può essere interpretata come una risposta al problema di agenzia che esiste tra i
manager e agli investitori esterni, cioè quelli che forniscono il proprio capitale sul mercato.
69
L'unica interpretazione possibile non è tuttavia questa, poiché altrimenti non si terrebbero in
giusta considerazione gli interessi dei creditori, altra categoria di investitori esterni che hanno
una netta preferenza per una gestione più improntata alla cautela rispetto a quanto desiderato
dagli azionisti.
Ci si chiede come sia possibile quindi giustificare una simile preferenza assoluta per una sola
classe di stakeholder. Partendo dal presupposto che un'azienda viene definita come un insieme
di contratti tra i vari stakeholder, ci si interroga cioè su quali siano le ragioni che dovrebbero
rendere efficiente l'assegnazione del potere in modo da favorire la massimizzazione della quota
di surplus sociale goduto da una sola categoria di soggetti in gioco.
Un incremento del valore per gli azionisti, in fin dei conti, potrebbe andare di pari passo con
una diminuzione del surplus totale di valore prodotto dall’esercizio dell’impresa qualora un
ammontare sufficiente di ricchezza fosse trasferito dagli altri portatori di interessi agli azionisti.
Il paradigma della massimizzazione del valore dell'azionista presenta inoltre un'ambiguità di
fondo, in quanto è stato sviluppato nel contesto statunitense che, come sappiamo, è
caratterizzato da un elevato numero di società quotate ad azionariato diffuso.
In un simile contesto il paradigma in esame deve intendersi come massimizzazione del
valore per l'azionista esterno. Nel contesto dell'Europa continentale invece, dove la proprietà
delle azioni è di solito modo più concentrata e vi è un confronto tra azionisti di maggioranza e
azionisti di minoranza, non è chiaro quale valore debba essere massimizzato, se il capitale totale
di entrambi i gruppi di azionisti o di uno di essi.
Oltre al codice Preda, solo il codice Olivencia spagnolo cade in questa ambiguità. Né il
rapporto Vienot né il codice di condotta tedesco finalizzano un buon sistema di governance alla
massimizzazione del valore dell'azionista.
A sostegno della scelta di progettare un sistema di corporate governance finalizzato a
proteggere e a massimizzare il valore per l'azionista si possono trovare due fondamenti logici.
Entrambi i fondamenti sono in realtà però riferiti al concetto originario di valore per
l'azionista esterno o di minoranza.
70
Primo fondamento sta nel presupposto che gli altri stakeholder godano comunque di una
protezione contrattuale completa, e che siano quindi indifferenti nei confronti di una struttura di
governance favorevole alla tutela dell'interesse dei soli azionisti.
La pretesa di questi ultimi nei confronti del valore prodotto dall'azienda viene infatti
soddisfatta in via residuale, e quindi tra i diversi stakeholder essi sono quelli più esposti alle
potenzialità di guadagno di perdita determinate dalle decisioni di gestione. Ponendo un valore
prefissato e tutelato in modo certo dei diritti degli altri stakeholder, massimizzare il valore dei
diritti degli azionisti equivale dunque a massimizzare valore totale dell'impresa.
Nella realtà, purtroppo, queste condizioni non si verificano.
Come fa notare Lazzari1 "dal momento che la contrattazione è incompleta, e, in larga misura
di natura strategica, i diritti residuali di controllo possono essere utilizzati per modificare ex post
il valore di tutte le legittime pretese economiche, persino quelle all'apparenza con un valore
fissato da leggi e condizioni contrattuali esplicite. Un'impresa che assuma nuovo debito può
ridurre il valore di mercato di quello esistente se così facendo aumenta il rischio di fallimento.
La maggiore difficoltà che dipendenti possono incontrare nell'ottenere una promozione dopo
che la propria società è stata acquisita da un'altra comporta il deprezzamento di una componente
non monetaria della loro remunerazione: la speranza di fare carriera. Le opzioni di uscita, poi,
sono spesso più disponibili in teoria che in pratica: i dipendenti con capitale umano specifico
per un particolare tipo di azienda potrebbero incontrare difficoltà a vendere il proprio lavoro
altrove. Lo stesso vale per fornitori clienti che abbiano predisposto la propria produzione nel
proprio ciclo di consumo in base alle esigenze dell'azienda. Anche le banche potrebbero non
trovare facile prescindere i rapporti con i propri mutuatari ".
Dunque, un sistema di corporate governance finalizzato ad esaltare il solo interesse degli
azionisti potrebbe rivelarsi troppo pericoloso e iniquo rispetto agli altri stakeholder, le cui
pretese economiche potrebbero non trovare adeguata protezione contro il rischio che vengano
1 Traduzione dall’articolo di V. Lazzari, Corporate governance: first principles, current debates, future prospects, in European Business Forum, Spring 2001, pp. 6 -13.
71
espropriate da parte chi dispone dei diritti residuali di controllo. Questo potrebbe avvenire in un
contesto sociale come quello dell'Europa continentale, in cui la mobilità geografica degli
individui è ancora ridotta, il mercato del lavoro presenta rigidità e è necessario ricorrere anche
alla contrattazione strategica a causa dei limiti della contrattazione esplicita che derivano dalle
inefficienze del sistema legislativo e giudiziario.
Nei paesi anglosassoni invece i sistemi legislativi e esecutivi sono più efficienti, il mercato
del lavoro è deregolamentato e flessibile e c'è una lunga tradizione che porta alla redazione di
contratti espliciti assai sofisticati e dettagliati. Questi fattori assicurano una migliore protezione
alle diverse classi di stakeholder e riducono lo scostamento dalle condizioni teoriche in presenza
delle quali il principio di massimizzazione del valore per le azionisti ha maggiore efficacia nel
promuovere il benessere sociale.
Il modello anglosassone può essere pertanto considerato come il modello migliore e
dominante solamente se si è convinti che l'ambiente sociale e legale a livello internazionale stia
convergendo verso lo standard anglosassone.
Il secondo fondamento logico a giustificazione di una corporate governance incentrata sulla
massimizzazione del valore per l'azionista si fonda sulla volontà di creare un sistema di
incentivi in grado di promuovere la crescita economica capaci di assicurare che sia portata a
realizzazione un'alta percentuale dei potenziali progetti di investimento validi.
Per capire questo concetto occorre una piccola premessa: quando non c'è separazione tra
imprenditori e finanziatori è ottimale che le decisioni di investimento da parte delle aziende
siano prese in conformità alla cd. “regola del valore attuale netto”, che porta ad accettare quei
progetti che presentano valore attuale netto positivo dei flussi di cassa generati
dall'investimento. Se così non è, l’investimento deve essere rifiutato.
Qualora sia necessario reperire capitali con emissione di strumenti finanziari sul mercato,
mutano i criteri in base ai quali valutare l'opportunità di finanziare un progetto. A causa dei
problemi di agenzia, infatti, né gli imprenditori né i manager possono garantire agli azionisti
esterni che l'utile conseguibile venga di fatto realizzato e distribuito ai finanziatori. C'è la
72
concreta possibilità che parte dell'utile conseguibile scompaia trasformandosi in benefici privati
del management.
Quando dunque si trovano a decidere se finanziare o meno un progetto di investimento, gli
investitori esterni non tengono conto del futuro flusso di cassa totale, ma solo della parte di
questo flusso di cassa che i soggetti insider possono impegnarsi a produrre e distribuire.
Un sistema di corporate governance concepito per proteggere gli azionisti esterni,
incrementando il flusso di cassa cosiddetto "garantibile" per dato flusso di cassa complessivo,
può facilitare il finanziamento di un numero maggiore di progetti di investimento, con un
aumento di benessere generale della società.
E’ opportuno, pertanto, che la massimizzazione del valore per gli azionisti non venga
considerata come l'obiettivo finale da perseguire, ma piuttosto come un vincolo da soddisfare
affinché siano intrapresi tutti quei progetti di investimento potenzialmente capace di produrre
ricchezza ma che necessitano di finanziamenti esterni.
Per concludere, appare discutile la scelta dei redattori del Codice di aver finalizzato
l’implementazione delle regole di best practice alla massimizzazione del valore per l’azionista.
Tale principio infatti, come appena dimostrato, in un contento socio-economico come quello
italiano rischia di nuocere al vasto numero degli interessi che gravitano attorno all’impresa. Per
scongiurare questo pericolo, il Comitato avrebbe dovuto porre in maggior risalto la necessità
che gli interessi di tutti gli stakeholder trovino adeguata tutela e soddisfazione, in vista di un
maggiore sviluppo del mercato dei capitali.
Infatti, volendo capire le ragioni per cui i mercati azionari sono meno sviluppati nell’Europa
continentale rispetto ai Paesi anglosassoni, non si può prescindere dall'esame della struttura del
sistema legale e giudiziario che caratterizza i due sistemi.2
Questo perché, se da un lato le leggi pongono limiti all'autonomia contrattuale delle parti,
preassegnando determinati diritti e doveri, dall'altro, il valore dei diritti degli obblighi legali e
2 Porta R., Lopez de Silanes F., Schleifer A., Vishny R. , Legal determinance of external finance, in Journal of Finance, 52, 1997, pp. 1131 – 1150.
73
contrattuali che vincola i contraenti dipendono dalla qualità dei meccanismi che garantiscono il
rispetto delle norme di legge e dei contratti.
Facendo riferimento all'entità e all'efficacia della protezione concessa per legge e garantita
dal sistema giudiziario agli investitori esterni si può spiegare il livello di concentrazione
proprietaria delle aziende e il grado di sviluppo dei mercati azionari e obbligazionari . I Paesi
anglosassoni si giovano di mercati azionari e obbligazionari più sviluppati: la protezione
accordata agli azionisti di minoranza è maggiore e l’applicazione delle leggi più forte rispetto ai
paesi di civil law, nei quali per gli imprenditori è più difficile ottenere finanziamenti da terzi
sotto forma di capitale azionario, dal momento che gli azionisti di minoranza sono la classe di
stakeholder maggiormente soggetta alla rischio di espropriazione da parte di chi gestisce
l’impresa.
Possiamo aggiungere che quei Paesi di diritto comune la cui tradizione giuridica è stata
influenzata dal Codice napoleonico, nella protezione degli investitori esterni hanno dato risultati
peggiori rispetto a quelli di tradizione tedesca o scandinava3.
I Paesi di common law garantiscono agli investitori esterni, e in particolare agli azionisti di
minoranza, una maggiore e migliore protezione rispetto ai Paesi di civil law, facilitando
l’instaurarsi di relazioni tra questi e gli imprenditori.
Per garantire agli azionisti esterni adeguata protezione è necessario innanzitutto che ci sia un
vincolo stretto tra diritti ai dividendi e diritti di voto, poiché in questo caso diventa meno grave
il problema di agenzia tra insider e outsider.
In secondo luogo rivestono importanza le procedure relative all'assemblea degli azionisti .
Più semplice è per gli azionisti di minoranza indire un'assemblea e votare, grazie ad un facile
ricorso alla delega o al voto per posta, più difficile è per i manager affermare la propria
posizione indipendentemente dai risultati aziendali conseguiti. In questo senso si è mosso il
T.U.F. e lo stesso Codice di autodisciplina, che raccomanda di abbassare nelle clausole
3 V. Lazzari, Corporate governance: first principles, current debates, future prospects, in European Business Forum, Spring 2001.
74
statutarie le percentuali di capitale necessarie per la convocazione dell’assemblea ad opera della
minoranza.
In terzo luogo è necessario lo scambio periodico di un flusso di informazioni completo tra i
vari organi sociali: dai dati emersi dalla presente ricerca si può evincere che molte emittenti
hanno già adottato modalità di circolazione delle informazioni volte a soddisfare quest’esigenza.
Determinante è, inoltre, la composizione del consiglio di amministrazione. In questo ambito,
come abbiamo visto, il Codice ha riscosso cospicue adesioni.
Tuttavia una mancanza può essere osservata: per facilitare il controllo sulle azioni che
vengono intraprese dai soggetti insider, alle minoranze azionarie dovrebbe essere garantita una
rappresentanza in seno al consiglio di amministrazione, ma i redattori del Codice hanno omesso
di pronunciarsi al riguardo.
Nel complesso, quindi, il fatto che le società che intendono quotarsi in Borsa debbano
dimostrare di avere un sistema di corporate governance in linea con quanto previsto dal Codice,
può contribuire ad un più elevato sviluppo del mercato dei capitali anche in Italia. Occorre
tuttavia sollecitare un intervento del legislatore, in quanto nel nostro Paese è necessario
intervenire in modo rapido deciso nell'approntare strumenti incisivi sia organizzativi che
legislativi in grado di garantire una vigilanza attenta sui comportamenti delle imprese.4
Passiamo ora a chiarire il primo interrogativo, se, cioè, a fronte di una dichiarata adesione ai
precetti del Codice, operi contestualmente il concreto funzionamento dei meccanismi che il
Codice delinea. Abbiamo scelto di affrontare la tematica con riferimento al consiglio di
amministrazione, poiché consideriamo le modalità di funzionamento dell’organo
rappresentative di possibili storture e anomalie.
E’ indispensabile dichiarare le procedure da mettere in atto per perseguire determinati
obiettivi. Bisogna, tuttavia, essere consci allo stesso tempo che la visione deontica delineata
4 Cfr più avanti, dove si fa riferimento ai tre pilastri su cui si basa il modello anglosassone.
75
rischia di scontrarsi con una realtà in cui gli organi di governance hanno caratteristiche e
modalità di funzionamento completamente diversi.
E’ largamente sostenuto, infatti, che, in moltissimi casi, ad un funzionamento dal punto di
vista formale dei consigli di amministrazione, si accompagna il loro sostanziale essere
nient'altro che organi di ratifica di decisioni prese altrove. Tale modello di consiglio di
amministrazione sembrava molto diffuso nelle grandi imprese fino a una decina di anni fa. Oggi
invece sembra che stia crescendo il numero di consigli di amministrazione nei quali
effettivamente si decide.
L'interrogativo potrebbe essere posto sul punto se sia effettivamente necessario un consiglio
di amministrazione con un forte ruolo decisionale reale, come il Codice presumibilmente
auspica.
Volendo andare oltre gli aspetti squisitamente legali in linea di principio a questa domanda è
possibile dare una risposta negativa.
Perché le imprese siano ben governate, è necessario che le decisioni fondamentali siano
prese da più persone che, a livello di gruppo, rappresentino adeguatamente tutti gli stakeholder
più importanti e che abbiano competenze sufficientemente articolate e differenziate così da
garantire l'alta qualità delle scelte. Non è detto che questo insieme di soggetti debba operare
secondo le strutture e le modalità tipiche di un consiglio di amministrazione, anche se è
necessario riconoscere che nelle situazioni più complesse difficili anche la forma di
organizzazione può fornire un contributo positivo.
Nella prassi si rileva come siano pochi i consigli di amministrazione che lavorano su
un'attenta riflessione concernente le diverse alternative possibili di azione per poi sceglierne
una. Molto spesso è il management a scegliere un'alternativa tra quelle possibili e a chiedere su
di essa il parere del consiglio di amministrazione. Dal punto di vista dell'intero consiglio, in
questo caso è difficile parlare di scelta, dato che non si conoscono le alternative.
Se ai consiglieri si mostrassero le varie alternative, essi avrebbero una più ampia visione
della questione da affrontare. Questa è senza dubbio l'intenzione del Codice nel suggerire che
76
consigli di amministrazione siano composti da un numero congruo di amministratori non
esecutivi e indipendenti, in grado di apportare, con il loro contributo e le loro competenze,
valore aggiunto nel discernere, tra le alternative possibili, quale in concreto persegue in misura
maggiore l'aumento di valore per gli azionisti.
A fronte di ciò, si riscontrerebbe tuttavia un sensibile aumento del tempo necessario per
prendere la decisione. È chiaro quindi che la gestione è affidata all'amministratore delegato o a
un comitato esecutivo ristretto e anche al management, e che le discussioni più complesse
avvengono in prima battuta in un ambiente ristretto. Ma è poi l’intero consiglio, mediante
riunioni successive e organizzate in tempi brevi, a lavorare su quanto presentato e a contribuire
alla soluzione di un importante problema o all'assunzione di scelte strategiche determinanti.
Questo è il metodo di funzionamento che comunemente è ritenuto più efficiente, in quanto il
consiglio di amministrazione non deve essere messo in condizioni di interferire pesantemente
nella gestione ordinaria.
Il modello americano prevede infatti che l'amministratore delegato sia garante non solo della
corretta gestione aziendale, ma anche della corretta preparazione delle decisioni del consiglio di
amministrazione.
L'agenda del consiglio di amministrazione è saldamente nelle mani del Presidente, il cui
ruolo fondamentale di guida è, come abbiamo visto, sottolineato nel Codice.
Tuttavia, varie circostanze possono influenzare significativamente il funzionamento del
consiglio.
Il riferimento è, ad esempio, alla presenza o meno di un amministratore delegato dotato di
personalità carismatica, che potrebbe lasciare più o meno spazio alla discussione collegiale: di
fronte ad un amministratore delegato carismatico si riscontra una tendenza dei consiglieri a non
intervenire.
Come sembra essere nello spirito del Codice, il consiglio non deve assumere il ruolo attivo
di gestione della società, ma ricoprire il fondamentale incarico di tracciare gli indirizzi, le linee
generali di sviluppo, le politiche e controllare che essere le decisioni seguano tali binari.
77
La presenza o meno di determinate regole formali non garantisce quindi che, in concreto, sia
applicato il modello di consiglio di amministrazione che matura la propria decisione lasciando
spazio a discussioni molto articolate o il modello di consiglio di amministrazione con un ruolo
di mera ratifica. Il manifestarsi dell'una o dell'altra forma può dipendere da vari fattori, quali
l'autorevolezza e la posizione di forza dei vari componenti del consiglio, il numero dei membri
del consiglio e la fiducia di cui il vertice manageriale e l'amministratore delegato godono nei
confronti del consiglio. Anche la composizione degli assetti proprietari potrebbe indurre il
consiglio a limitarsi a ratificare quanto stabilito dal comitato esecutivo o dalla proprietà. In
questi casi ci potrebbe essere anche una discussione ampia, ma i suoi esiti appaiono fin
dall'inizio scontati.
Anche in queste ultime situazioni c'è, in fondo, un organo collegiale che decide, benché non
è il consiglio di amministrazione ma l'assemblea del patto di sindacato. Nelle riunioni di tale
organo, i maggiori azionisti vagliano i progetti e può capitare che un progetto portato per
l'approvazione non venga condiviso da tutti i partecipanti al patto e sia quindi accantonato.
In queste circostanze il meccanismo è tale per cui una pluralità di soggetti pensa e decide,
anche se non si tratta dell'organo amministrativo della società.
Una situazione del genere si rivela come la meno peggiore, dato che il vero rischio e il vero
problema si sostanziano nella mala gestione, cioè nei consigli nei quali il potere decisionale è
concentrato in un solo soggetto, in assenza di un sistema di controllo, di qualsiasi natura, che lo
vagli.
Ad un livello superiore si può sostenere che le decisioni, se prese collegialmente, sono
migliori. Senza dubbio un momento di collegialità, di vaglio della decisione, di controllo
reciproco è essenziale. Da questo punto di vista l'ideale è avere, in seno ai consigli comitati
rappresentativi di persone che hanno un collegamento con l'azionariato e competenze, tempo, e
voglia di decidere, come insegna il Codice di autodisciplina.
Tornando al discorso sull'opportunità che consiglio scelga tra varie alternative, il fatto che i
consigli debbano prendere una decisione tra un ventaglio di ipotesi può essere interpretato da
78
qualcuno come assenza di una strategia. Il consigliere indipendente, nella prassi, sembra non
gradire di dover scegliere tra innumerevoli alternative, e preferisce esprimere un'opinione,
positiva o negativa, sul singolo progetto proposto o su una gamma ristretta di proposte.
Dunque è importante il modo in cui il consiglio viene preparato, poiché se sono esposte varie
alternative, queste non dovrebbero essere poste tutte sullo stesso piano, ma occorre che ci sia
qualcuno che le ordini per i consiglieri. Un consiglio che funzioni bene e che si avvicini ad
essere un organo decisionale, pur essendo di ratifica, in sé e per sé dovrebbe avere qualcuno che
illustri le varie alternative e che spieghi per quali ragioni alla fine ne viene proposta una come la
migliore.
In questo caso il consigliere capisce che potevano esserci varie alternative e se all'interno del
consiglio qualcuno ha validi motivi per mettere in discussione la scelta, può farlo presente a
tutti.
Secondo quanto previsto dal Codice all'articolo 5, la presenza di un'adeguata informativa
della gestione permette al consiglio di amministrazione nel suo complesso un maggior controllo
sulle decisioni operative che vengono assunte, ed è così possibile che la discussione consiliare
emerga soltanto in presenza di fatti importanti. Se quindi, come abbiamo detto, l'ipotesi di un
consiglio che gestisca in maniera operativa la società ha scarsa aderenza con quanto avviene
nella realtà, è importante che il consiglio sia nelle condizioni di verificare puntualmente e
approfonditamente le scelte compiute dall'organo di gestione, per verificare se quest'ultimo si è
mantenuto entro i binari precedentemente tracciati dal consiglio.
Nella prassi la situazione non potrebbe essere diversa non perché in assoluto sia impossibile,
ma perché ciascun amministratore dovrebbe dedicare molto più tempo al suo incarico, in pratica
rimanendo presente in azienda per l'intera giornata, approfondire le proprie competenze poiché
solo in questo modo potrebbe partecipare alla gestione con perfetta cognizione di causa. Questo,
evidentemente, è improponibile.
Dove invece il singolo amministratore può fare molto è nel verificare se le proposte
sottoposte all'esame del consiglio seguono l'indirizzo collegialmente deliberato. Attenti alle
79
carte che vengono prodotte e alle proposte che vengono illustrate, i consiglieri possono capire la
bontà di un progetto ed esprimere osservazioni pertinenti e domande opportune, de
eventualmente richiedere il supplemento d'informazione necessario per esprimere un giudizio
consapevole.
Ulteriore problema che si pone alle società quotate è quello della riservatezza, dato che su
alcune questioni il consiglio non può che essere informato all'ultimo minuto, e la decisione deve
essere presa in seduta senza che i consiglieri abbiano la possibilità di uscire. Pertanto, per
quanto concerne la decisione su questioni riservate, il consiglio si presenta come un punto
terminale, un luogo ove si assumono decisioni formali.
Il Codice di autodisciplina auspica che, in vista di una riunione del consiglio di
amministrazione, la documentazione sia trasmessa dal Presidente e ai consiglieri con adeguato
anticipo, per consentire loro di discutere con cognizione di causa al momento opportuno.
C'è da chiedersi tuttavia come questa esigenza si possa conciliare con la normativa
sull'insider trading. La cosa può destare perplessità in alcuni Presidenti, poiché, se un
amministratore, destinatario dell'informazione preventiva, ne fa uso non appropriato per trarne
vantaggi economici, non si può escludere che qualche magistrato possa individuare nell'azione
del Presidente un concorso nell'illecito.
Il problema della riservatezza nasconde un profilo anche sostanziale. Se si presume infatti
che in consiglio possano verificarsi fughe di notizie, significa che per qualche verso il
meccanismo non funziona. Potrebbe essere quindi più opportuno prevedere consigli più ristretti,
più dedicati, così da creare un adeguato coinvolgimento nei consiglieri, un senso di
responsabilità diretta che rischia di andare disperso in un consiglio di grandi dimensioni.
Il fatto che il Codice Preda abbia avuto bisogno di definire quali siano i compiti di un
consiglio di amministrazione fa supporre che determinati comportamenti, effettivamente, non
fossero così normali o così diffusi. Evidentemente si voleva porre l'attenzione su particolari
aspetti, come quello che il consiglio sia un organo di indirizzo e di controllo. La realtà mostra
che esistono casi in cui al consiglio di amministrazione partecipa il commercialista di famiglia,
80
rispetto al presidente, all'amministratore delegato o comunque alla famiglia proprietaria non può
esistere vero contraddittorio. In questo caso il consiglio non può dare nessun valore aggiunto, e
forse è proprio questo ciò che il Codice di autodisciplina vuole evitare. Probabilmente le piccole
aziende che decidevano di affacciarsi sul mercato di Borsa non credevano di doversi presentare
con un consiglio di amministrazione diverso da quello che avevano in precedenza: oggi invece
sono obbligate ad adottare il Codice se vogliono accedere alla Borsa e il sistema di governance
delineato porta automaticamente il consiglio di amministrazione a dover decidere sui problemi
più importanti e sugli investimenti.
Generalmente le aziende sono organizzate in maniera tale che il management possa decidere
fino ad investimenti al di sotto di un certo livello, mentre oltre tale soglia la decisione deve
essere portata in consiglio. Il consiglio viene quindi informato dal management preventivamente
e, successivamente, nel caso in cui vi sia qualche novità rilevante. Come previsto dal Codice, se
circolano più informazioni, il consigliere è aiutato a capire meglio i processi dell'azienda, i
processi decisionali migliorano e il consiglio di amministrazione comincia a funzionare,
costituendo un punto fermo in cui si formalizza la decisione. L’informazione agisce un po' come
un dovere: quando la si riceve, non si ha più la possibilità di dichiarare di non sapere, cade
l'alibi. I consiglieri devono fare domande e sono più invogliati a farle, allargando la materia
della discussione.
Il Codice ha l’indubbio merito di contribuire a far avanzare culturalmente un sistema che era
un po' arretrato, avanzamento culturale che nasce dalla massa delle informazioni che il consiglio
riceve. Con l’iniziativa si è mosso un sistema che continuerà a progredire presenterà novità:
basta lasciare spazio a interventi di autodisciplina, senza contare solo su imposizioni legislative,
altrimenti si rischia il rigetto.
Nonostante alcune sue manchevolezze, dunque, il Codice si rivela come strumento di
stimolo utile a diffondere la cultura della governance nell'ambiente italiano, dove la natura
prevalentemente familiare delle aziende ha appiattito la loro conduzione nella figura
81
dell'imprenditore e della sua famiglia, evitando quei contrappesi dialettici che permettono di
ridurre i rischi che l'attività di impresa necessariamente comporta.
Per quanto riguarda i compiti affidati al consiglio, il legislatore non dovrebbe cedere alla
tentazione di fissare per legge le materie ad esso non delegabili, dato che in materia di
governance è difficile fornire ricette generali. Tale pratica potrebbe provocare gravi danni in
tema di flessibilità e non riservare al consiglio materie che nel caso concreto si possono rivelare
strategiche. La realtà delle imprese è infatti talmente varia che una materia può essere strategica
per l’una e non per l'altra e, d'altra parte, l’imposizione per legge potrebbe continuare a
perpetuare o addirittura esaltare la discrasia tra il formale e il reale.
Il problema dei compiti da riservare al consiglio deve essere affrontato tenendo conto anche
dei connessi rischi di deresponsabilizzazione del consiglio stesso o del management aziendale.
Si presentano, infatti, casi in cui all’interno dell’impresa una sola figura ritiene di dover
ricoprire il ruolo di supremo decisore e concede pochissimo spazio al consiglio di
amministrazione. Se questo avviene, i consiglieri si accorgono di essere poco informati e ancor
meno ascoltati; è facile, quindi, che si adattino ad un ruolo solo formale, lasciando al decisore
facile gioco nel trovare conferma alla sua ipotesi iniziale, secondo la quale il consiglio di
amministrazione serve a poco o nulla, nella logica delle profezie autoverificantesi.
All'opposto, se si assegnano al consiglio di amministrazione spazi decisionali
eccessivamente ampi, sarà il management aziendale a sentirsi deresponsabilizzato, ritirandosi
dalle decisioni. A questo punto il consiglio di amministrazione si sentirà in dovere di rafforzare
ulteriormente il suo ruolo, entrando anche nelle decisioni operative. È un gioco di equilibri
delicato, dove, oltre alle regole, contano le percezioni individuali.
Se da un lato è opportuno che i processi decisionali delle imprese si adattino alle situazioni,
senza lasciarsi ingabbiare in strutture formali, dall’altro è pericoloso rinunciare completamente
alla ritualità, perché per certi versi la ritualità ha una funzione intrinseca.
82
Infatti, il fatto stesso di sapere che una determinata decisione deve essere “ratificata” in una
certa data, da un determinato insieme di persone riunite, condiziona evidentemente colui che
formula le proposte e ne limita la discrezionalità e le tentazioni di opportunismo.
E’ quindi importantissimo che il consiglio di amministrazione si riunisca con regolarità.
E’opportuno che venga applicato questo insegnamento del Codice anche nelle imprese non
quotate, soprattutto in quelle con forti componenti familiari: il solo fatto che il consiglio si
riunisca, che ci sia un po' di rito, produce una forma di confronto che può essere efficace. Se il
consiglio non si riunisce, cresce la possibilità che si acuiscano molti problemi, che possono
essere molto gravi in questo tipo di imprese, come ad esempio quello dei rapporti tra parenti.
Un consiglio di amministrazione che operi attivamente è senza dubbio condizione di buon
funzionamento di tutte le imprese, anche quelle non particolarmente complesse e che sino ad
oggi hanno attuato processi di governo molto destrutturati. Quindi, se è opportuno che i consigli
di amministrazione abbiano un ruolo più ampio, occorre creare maggiore rappresentatività.
Da questo punto di vista il Codice può costituire un importante strumento di cambiamento,
in quanto oggi il consigliere può lamentare il fatto che l'impresa abbia dichiarato la propria
adesione codice e poi non sia stato modificato il funzionamento del consiglio.
Per cercare di dare risposta al secondo interrogativo, occorre in primo luogo evidenziare che
la corporate governance di matrice anglosassone ha rappresentato il principale modello di
riferimento per le riforme proprietarie e del diritto societario e mobiliare avviate in Italia nel
1992. Il modello, ancora giovane, si basa su tre pilastri: il mercato del controllo e il meccanismo
delle scalate ostili; l'influenza di pochi grandi investitori istituzionali; il giudizio di soggetti terzi
che possono essere istituzioni pubbliche, associazioni di autoregolamentazione, tribunali.
Per il funzionamento del modello, è necessaria la coesistenza di tutti e tre questi elementi.
Il sistema anglosassone va quindi imitato sotto tutti i profili, se non si vuole ottenere un
sistema monco e instabile. In Italia è necessario quindi implementare il terzo meccanismo,
quello relativo all'arbitraggio dei soggetti terzi. In America opera una mano invisibile, fatta di
83
istituzioni pubbliche, statali e non, fortemente legittimate e competenti, fondate su principi etici
condivisi. In particolare il ruolo di arbitro principale è assegnato ai tribunali, il cui potere è
grande ma assoggettato a due forme potenti di controllo: quello delle assemblee legislative,
statali e federali, e quello della concorrenza tra i tribunali di diversi Stati. Se il tribunale di uno
Stato persiste nell'utilizzare in maniera sbilanciata il potere discrezionale, il gruppo di interessi
colpito di ogni singola società è spinto ad agire per ottenere che la società sposti la propria sede
giuridica fuori dallo Stato in questione. Nel modello statunitense si viene perciò a creare una
forte e indispensabile interazione tra mercato e potere giudiziario.
Una prima grande differenza tra il sistema italiano e quello anglosassone è dunque
rappresentata proprio dalla carenza di queste istituzioni di controllo.
La seconda grande differenza, che è emersa più volte nel corso della trattazione, è relativa
alla struttura proprietaria delle imprese: nel sistema anglosassone il modello dominante è quello
della public company, con azionariato diffuso.
Come negli altri Paesi europei, in Italia spesso la proprietà è concentrata nelle mani degli
stessi soggetti: i manager-proprietari o gli azionisti-imprenditori. Questi soggetti, attraverso un
sistema di partecipazioni incrociate, società a catena e accordi parasociali, siedono nei consigli
di amministrazione della maggior parte delle società quotate e sono pronti a soccorrersi
vicendevolmente, fungendo da cavaliere bianco l'uno per l'altro in caso di scalata ostile.
Autorevole dottrina5 sostiene che in ogni caso in cui la proprietà è concentrata o il controllo è
esercitato direttamente o indirettamente attraverso coalizioni di azionisti, non sono in grado di
modificare gli assetti esistenti né il diritto societario, né la disciplina dei mercati finanziari.
Tali argomentazioni sono supportate dalla teoria della cd. Path dependence6, che ammonisce
riguardo a una certa “vischiosità” che i modelli giuridici presentano qualora vengano esportati e
applicati fuori del contesto socio-economico e culturale che ne ha determinato la nascita.
5 G. Rossi, Le c.d. regole di corporate governance sono in grado di incidere sul comportamento degli amministratori?, in Riv. Soc., I, 2001, pp. 6-20.
84
Applicare alla realtà italiana regole di best practice ispirate al modello anglosassone lascia
quindi parecchie perplessità, in quanto il nostro Paese risulta essere “prigioniero del proprio
passato”.
La dottrina citata7 dubita inoltre che le regole di best practice siano capaci di determinare in
concreto il comportamento degli amministratori. Si dice, “il linguaggio spesso incerto e elusivo
di tali regole rende facile, per le società che volessero, sottoscriverle “in pubblico” e
disattenderle "”in privato””, pertanto il rispetto delle regole di autodisciplina da parte di una
società non può costituire una seria ragione, ancorché indiretta, per indurre gli investitori ad
acquistarne le azioni. Volendo sfatare il “mito” della corporate governance britannica, viene
sottolineato che “ogni sistema di corporate governance deve tenere conto delle condizioni
sociali, economiche, legali politiche nelle quali andrà ad operare”, in quanto “le abitudini e di
comportamenti passati sono estremamente resistenti a qualunque raccomandazione di buon
governo societario”.
Tali obiezioni appaiono senza dubbio rilevanti, ma occorre non dimenticare che il punto
forte dell’autoregolamentazione sta proprio nella sua flessibilità. Dal momento che il Comitato
che ha redatto il Codice rimane in vita, le emittenti potranno, con i loro feeback, provocare un
adeguamento del testo normativo, che lo renda maggiormente calzante alle esigenze della realtà
italiana.
Il presidente della Consob, Spaventa, ammonisce che non c'è teoria o evidenza empirica che
indichi quale sia la struttura proprietaria preferibile per una società.8Il modello anglosassone,
infatti, testimonia che una adeguata protezione degli investitori esterni crea le condizioni per
alimentare la proprietà diffusa, ma non dimostra che altri tipi di assetti proprietari non possono
risultare altrettanto soddisfacenti.
6 Cfr. V.L.A. Bebchuk, M.J. Roe, A theory of path dependence in corporate ownership and governance, in 52 Stanford L. Rew., 1999. 7 Idem, p 16. 8 L. Spaventa, Consob, Relazione annuale , 1999.
85
Quattro in definitiva sono i perni attorno ai quali far ruotare un buon impianto di regole:
l’informazione, il consiglio di amministrazione, i rapporti con gli azionisti, il conflitto
d'interessi.
Senza dubbio, su primi due punti l'applicazione del Codice di autodisciplina costituisce un
notevole passo avanti. Dove invece nel Codice si ravvisa carenza di regolamentazione è in
materia di conflitto di interessi, oltre che riguardo alle operazioni con parti correlate, alle
strutture piramidali, amministratori indipendenti9.
Infatti, il modo in cui i consigli d’amministrazione trattano i conflitti di interesse rimane uno
dei principali problemi di governance che affliggono le società quotate italiane. Sul punto, la
legislazione primaria è debole10. Il testo unico sulla finanza dispone semplicemente, all'articolo
150, che gli amministratori devono informare costantemente collegio sindacale sull'operazione
in conflitto di interesse. Il Codice interviene ai punti 1.2 d-e, dove si dice che il consiglio di
amministrazione vigila sull'andamento della gestione, con particolare attenzione alle situazioni
di conflitto di interesse, e esamina le operazioni di rilievo significativo “con particolare
riferimento alle operazioni con parti correlate”.
Se da un lato queste enunciazioni appaiono del tutto condivisibili, dall’altro si rivelano poco
incisive. Nel Regno Unito vi è una buona ragione a giustificare il fatto che i Codici di
autodisciplina non sono nella materia specifici. Infatti, nelle listing rules per le società che si
vogliono quotare sul London Stock Exchange, le operazioni con parti correlate sono sottoposte
ad una severa regolamentazione.
Da noi manca questo supporto di regolamentazione, e fino a quando non sarà introdotto
sarebbe auspicabile che le indicazioni del Codice si presentassero come più precise e cogenti.
In materia di separazione tra diritti di controllo e diritti patrimoniali, che di frequente nella
prassi viene realizzata attraverso strutture piramidali di gruppo (cd. scatole cinesi), il Codice
non dà suggerimenti. Esiste una norma regolamentare della Borsa Italiana che impedisce la
9 L. Spaventa, L’autoregolamentazione come espressione di self-interest illuminato e i problemi di governance delle società quotate, in Politeia, n. 57, 2000, pp. 123 e ss. 10 Il riferimento è all’articolo 2373 del codice civile.
86
quotazione di holding finanziarie le cui principali attività siano costituite da partecipazioni di
società già quotate. Questa norma può tuttavia essere facilmente elusa mediante operazioni di
scorporo o scissione o con l'acquisizione di una società già quotata. È auspicabile che il
Comitato che ha presieduto la redazione del Codice voglia considerare la questione e proporre
soluzioni adeguate.
Il Codice traccia i requisiti che devono presentare gli amministratori indipendenti. A ben
vedere, le condizioni indicate sono certamente necessarie, ma non sufficienti per caratterizzare
l'indipendenza. Infatti, amministratori assai autorevoli ma provenienti da campi diversi dalle
materie societarie, rischiano di essere semplici fiori all'occhiello, senza avere la capacità di
valutare le proposte del management o degli amministratori che rappresentano l'azionista di
controllo in funzione degli interessi della società e degli azionisti di minoranza.
Non si tratta dunque solo di iniziativa e di esperienza dell'amministratore indipendente:
costui deve trovare uno stimolo a manifestare la sua indipendenza nell'ambiente che lo circonda,
deve trovare conforto dalla diffusione di una vera e propria cultura di mercato e di una vera
cultura di impresa.
Occorre un breve cenno in merito alla sanzionabilità del Codice. Esso è giustamente un
modello di riferimento senza carattere di obbligatorietà. Ma, una volta adottato, il Codice deve
anche essere rispettato: esiste un problema di compliance. L'osservanza è affidata alla
responsabilità dei manager e degli organi sociali. Questo avviene anche in altre esperienze. Il
Cadbury Code dice che "Individuals and companies are responsible for ensuring that their
action meet the spirit of the Code" 11. Perché questo avvenga è necessario in primo luogo la
trasparenza, ossia che significativi episodi di inosservanza delle regole liberamente accettate
divengano noti a tutti. In secondo luogo occorre un ambiente e una cultura che rendano pesanti e
efficaci le sanzioni basate sulla reputazione, erogate dal mercato a chi rompe una promessa e
non osserva gli impegni presi.
11 Cadbury Code, 3.10.
87
Come osservato12, nella fisiologia di un mercato sviluppato la perdita di reputazione
costituisce una sanzione più importante di quella amministrativa, perché viene inflitta dalla
società e non dà un'autorità.
Si può quindi sperare che anche nella nostra realtà si manifesti la necessaria sensibilità per
assicurare il rispetto dell'autoregolamentazione.
Sarebbe tuttavia possibile adottare alcuni accorgimenti per incentivare la compliance.
Interessanti al riguardo appaiono le proposte di M. Draghi13, che suggerisce in primo luogo
di istituire un organismo privato indipendente che pubblichi periodicamente il rating di
emittenti quotate sotto il profilo dell'affidabilità e dell'accountability delle regole di governo
societario. In secondo luogo potrebbe essere attuata un'azione di vigilanza che tenda a
concentrarsi sulle gestioni più restie ad adeguarsi a corretti modelli comportamentali, fino al
punto di tenere conto nella commisurazione dei contributi dei diritti dovuti alle autorità di
vigilanza dell'applicazione o meno del codice. Da ultimo, Borsa Italiana S.p.A. potrebbe
adottare tariffe scontate per l'accesso ai servizi da parte delle società più virtuose in tema di
governance, poiché “il favor in oggetto si giustificherebbe con il presumibile maggior livello di
scambi che dovrebbe caratterizzare i titoli emessi dalle stesse”14.
Prima di concludere, è opportuno un breve cenno a due questioni che interessano il futuro
del Codice Preda.
In primo luogo, occorre ricordare che nel 1999 la Commissione Europea ha promosso uno
studio15 sui Codici di corporate governance esistenti negli Stati Membri, con lo scopo di
identificare le barriere legali o amministrative che potrebbero ostacolare lo sviluppo di un
mercato finanziario comune.
12 Cfr, sopra, parte I, cap. 4 13 M. Draghi, Regolazione pubblica, autodisciplina e reputazione delle società quotate, in Politeia, n. 57, 2000, pp. 127 e ss. 14 M. Draghi, idem, p. 132. 15 Lo studio è reperibile sul sito internet della Commissione Europea, all’indirizzo <http://europa.eu.int/comm/internal_market/en/company/company/news/corp-gov-codes-rpt_en.htm>.
88
Lo studio è stato intrapreso da Weil, Gotshal & Manges LLP, in collaborazione con
l’European Association of Security Dealers l’European Corporate Governance Network,
nell’intenzione di approfondire la conoscenza di elementi comuni e delle differenze che si
riscontrano negli Stati Membri relativamente alle pratiche di corporate governance.
Ne emerge che le pratiche in esame sembrano differire non tanto a causa dei precetti
contenuti nei Codici, quanto per le diversità riscontrabili a livello di disciplina del diritto
societario e dei mercati mobiliari.
In questa materia, infatti, negli anni recenti è stato raggiunto nell'Unione Europea un
significativo grado di standardizzazione, ma continuano ad esistere significative differenze. Le
differenze che resistono sono quelle più radicati nelle tradizioni nazionali, e sono quindi le più
difficili da appianare.
Al contrario, i Codici tendono ad esprimere una visione relativamente uniforme di quello in
cui si sostanzia una buona governance, e di come fare per raggiungere l’obbiettivo.
Ovviamente, le specifiche raccomandazioni in essi contenute presentano sì differenze, ma
necessarie per rendere i Codici compatibili con le diverse norme di diritto societario esistenti.
Ciò detto, la tendenza a convergere verso pratiche uniformi sembra essere più forte e incisiva
di quanto non sia quella verso la differenziazione.
I Codici, insieme alle pressioni che vengono dal mercato, costituiscono una forza aggregante,
perché concentrano l'attenzione e stimolano la discussione sui problemi della governance, oltre
ad incoraggiare le emittenti ad adottare regole di best practice.
I Codici producono uno sviluppo positivo sia per le imprese sia per gli investitori, poiché
spingono ad illustrare agli investitori le scelte di governance. Inoltre, possono essere presi
come parametro di riferimento per monitorare l'operato delle imprese e contribuiscono a
preparare il terreno per futuri cambiamenti nella regolamentazione del mercato dei capitali e del
diritto societario.
89
Lo studio in esame sottolinea che né le minime differenze riscontrabili nei Codici, né il
numero dei Codici in potenziale competizione tra loro sembra porre ostacoli alla creazione di un
mercato europeo dei capitali.
La Commissione Europea pertanto, tenuto conto di questi rilievi e considerando che alle
società emittenti occorrono regole di governance flessibili, che permettano loro di adattarsi
continuamente alle variabili ambientali, non ritiene necessario sviluppare un codice applicabile
a tutte le società operanti nell’Unione Europea. Sottolinea che l’'idea di best practice che
emerge dai Codici deve essere lasciata sviluppare ulteriormente dalla comunità degli operatori e
degli investitori, sotto l'influsso delle forze di mercato.
Lo sforzo per raggiungere una vasta base di consenso tra gli Stati Membri su regole di best
practice dettagliate e compatibili con i diversi ordinamenti nazionali, infatti, avrebbe l’esito di
individuare un “minimo comune denominatore”, piuttosto di una vera best practice.
In alternativa, un Codice comune per l'Unione Europea potrebbe concentrarsi
sull’individuazione dei principi base di una buona governance. Tuttavia, già l’OCSE ha
provveduto in questo senso.
L’Unione Europea dovrebbe quindi focalizzare i suoi sforzi più che altro sulla rimozione
delle barriere che impediscono agli azionisti di votare oltre frontiera (cd. Partecipation
barriers), e di quelle che minano la capacità degli azionisti e dei potenziali investitori di
valutare il sistema di governance di una società (cd. Information barriers).
Una seconda questione attiene l’entrata in vigore del D. Lgs. 8 giugno 2001, n. 231 che
disciplina nel nostro ordinamento la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche per i
reati commessi a suo vantaggio dai dipendenti, in attuazione dell'articolo 11 della legge 29
settembre 200, n. 300, di ratifica delle convenzioni OCSE e UE in materia di lotta alla
corruzione.
Il decreto regolamenta in maniera dettagliata i casi in cui sorge la responsabilità
amministrativa dell'ente, le sanzioni applicabili e le eventuali esimenti; sono inoltre previste
norme procedurali. Tuttavia, quello che rileva maggiormente ai fini del presente lavoro, sono le
90
disposizioni contenute nell'articolo 6 del decreto legislativo, secondo le quali non viene ritenuto
responsabile l'ente che abbia adottato modelli organizzativi e gestionali idonei a prevenire i reati
considerati, affidando ad un organismo interno dotato di autonomi poteri di iniziativa e di
controllo il compito di vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli e di curare il loro
aggiornamento. La responsabilità non sorge, pertanto, quando, adottati i modelli di
organizzazione e di gestione e rispettati i controlli, il reato sia stato commesso attraverso
un’elusione fraudolenta degli stessi.
Per quanto riguarda tali modelli, il decreto specifica che l'ente dovrà individuare le attività
nel cui ambito possono essere commessi reati; prevedere specifici protocolli diretti a
programmare la formazione e l'attuazione delle decisioni dell'ente in relazione ai reati da
prevenire; indicare le modalità di individuazione di gestione delle risorse finanziarie destinate
all'attività nel cui ambito possono essere commessi reati; stabilire obblighi di informazione nei
confronti dell'organismo deputato a vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli;
apprestare un sistema disciplinare per sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel
modello.
La difficile attività di predisposizione dei modelli di organizzazione e di gestione da parte
degli enti viene facilitata dall'attività delle associazioni di categoria, che hanno il compito di
predisporre Codici di comportamento, da comunicare al Ministero della Giustizia, con funzione
di guida per la successiva elaborazione dei singoli statuti.
La legge prevede l'adozione del modello di organizzazione, gestione e controllo in termini di
facoltatività, e non di obbligatorietà, tuttavia la mancata adozione del modello espone l'ente alla
responsabilità per gli illeciti realizzati da amministratori e dipendenti. L'adozione del modello
diviene, pertanto, di fatto obbligatoria se si vuole beneficiare dell'esimente. Apparentemente
quindi, per quanto riguarda la vincolatività, i Codici di condotta si pongono sulla stessa linea del
Codice di autodisciplina. Dati gli interessi in gioco, è tuttavia corretto ritenere che le imprese
vorranno attivarsi per implementare i cambiamenti suggeriti dalle Linee Guida elaborate dalle
associazioni di categoria più sollecitamente di quanto non sia avvenuto per il Codice.
91
Infatti, l'applicazione delle sanzioni alle imprese incide direttamente su gli interessi
economici dei soci, e, nel caso in cui si è commesso un reato per il quale è prevista la
responsabilità dell'impresa, i soci potrebbero legittimamente esperire l'azione di responsabilità
nei confronti degli amministratori inerti che, non avendo adottato il modello, abbiano impedito
alla società di beneficiare del meccanismo di esonero dalla responsabilità.
Anche in questo caso ribadiamo che l'adozione di un sistema di regole volte a ribadire la
compliance dell'impresa non solo rispetto a norme giuridiche, ma anche a valori di tipo etico,
può costituire un'opportunità. L'adozione di un modello organizzativo che renda più trasparenti
le procedure interne e aumenti l'accountability, come si è già detto a proposito del Codice,
costituisce occasione di crescita e di sviluppo per le imprese.
Ciò detto, sembra ora opportuno chiedersi se il modello organizzativo che emerge dalle linee
guida possa conciliarsi con quello suggerito dal Codice. Quest'ultimo, come sappiamo, è
finalizzato alla ricerca dell'efficienza e della massimizzazione del valore per l'azionista.
Ai fini del decreto legislativo in parola, occorre invece creare un modello organizzativo atto
a superare positivamente il giudizio di idoneità che il giudice penale è chiamato a formulare in
occasione del procedimento penale a carico dell'autore materiale del fatto illecito, affinché l'ente
possa essere esonerato dalla responsabilità. La particolare prospettiva finalistica impone a gli
enti di valutare l'adeguatezza delle proprie procedure in base all'esigenza di cui si è detto, anche
a scapito dell’efficienza, tenendo presente che la disciplina in esame è già entrata in vigore.
Le disposizioni del Codice di autodisciplina che vengono in rilievo sono quelle dettate in
materia di controllo interno, e sembrano potersi integrare con quanto previsto dalle Linee
Guida fino ad ora diffuse16, in quanto sia le raccomandazioni contenute in tali documenti , sia
quelle contenute nel Codice presentano il carattere della generalità ed è compito delle singole
16 Il riferimento è alle “Linee Guida per la costruzione dei modelli di organizzazione, gestione e controllo ex D. Lgs. n. 231/2001”, elaborate da Confindustria e disponibili all’indirizzo internet <http://www.confindustria.it/DBlmg2002.nsf/HTMLPages/Documenti>, e alle “Linee Guida dell’Associazione Bancaria Italiana per l’adozione di modelli organizzativi sulla responsabilità amministrativa delle banche”, elaborate dall’ABI e disponibili all’indirizzo <http://www.abi.it>.
92
imprese individuare in concreto le procedure indispensabili per la realizzazione di un sistema di
gestione del rischio.
Confindustria, ad esempio, suggerisce che un sistema di controllo preventivo da attuare a
livello aziendale per garantire l'efficacia del modello organizzativo ai fini del decreto in esame,
sia composto dai seguenti protocolli:
a) un Codice etico con riferimento ai reati considerati. Infatti, l'adozione di principi
etici in relazione ai comportamenti che possono integrare le fattispecie di reato
previste costituisce la base su cui impiantare il sistema di controllo preventivo. Tali
principi possono essere inseriti in codici etici di carattere più generale, laddove siano
previsti, come quello adottato da molte emittenti con l’intenzione di allinearsi alle
disposizioni del Codice Preda;
b) un sistema organizzativo sufficientemente formalizzato e chiaro. Particolare
attenzione va prestata ai sistemi premianti dei dipendenti, che, se basati su target di
performance palesemente inarrivabili, potrebbero costituire un velato incentivo al
compimento di alcune fattispecie di reato;
c) procedure manuali e informatiche tali da regolamentare lo svolgimento dell'attività ,
prevedendo gli opportuni punti di controllo;
d) poteri autorizzativi di firma assegnati in coerenza con le responsabilità organizzative
e gestionali definite;
e) un sistema di controllo di gestione in grado di fornire tempestiva segnalazione
dell'esistenza e dell'insorgere di situazioni di criticità generale e/o particolare
f) continue comunicazioni ai dipendenti riguardanti il Codice etico e in generale tutto
quanto contribuisca a dare trasparenza nell'operare quotidiano, e un adeguato
programma di formazione rivolto al personale delle aree a rischio.
Una volta adottato un modello idoneo a prevenire i reati considerati dal D. Lgs. n. 231/2001,
le società sono tenute a costituire un organismo dotato di autonomi poteri di iniziativa e di
controllo, che vigili sul effettività del modello (verificando se c'è coerenza tra i comportamenti
93
concreti e il modello istituito) e sulla sua adeguatezza, ovvero sulla sua reale capacità di
prevenire i comportamenti non voluti, che si occupi del mantenimento nel tempo dei requisiti di
solidità e funzionalità del modello e curi il suo necessario aggiornamento in senso dinamico.
E’ lecito ritenere che tale organismo possa coincidere con il comitato per il controllo interno
previsto dal Codice di autodisciplina. Quelle che l'organismo deve svolgere sono tuttavia attività
specialistiche, che presuppongono la conoscenza di tecniche e strumenti ad hoc, nonché una
continuità di azione elevata. Inoltre, la Relazione di accompagnamento al D. Lgs n. 231/2001,
con riferimento all'organismo parla di "una struttura che deve essere costituita al suo (dell'ente)
interno". Il riferimento al comitato per il controllo interno va quindi escluso, anche perché il
Codice di autodisciplina gli attribuisce poteri soltanto consultivi e propositivi.
Da scartare è anche il collegio sindacale, in quanto appare arduo riscontrarvi i caratteri di
struttura interna e di continuità di azione che il legislatore ha inteso attribuire all'organismo,
benché sotto il profilo della professionalità risulti ben attrezzato per adempie efficacemente al
ruolo di vigilanza sul modello.
Dove il comitato per il controllo interno assume rilievo, se esistente17, è come referente
istituzionale privilegiato per l'organismo interno di controllo, in quanto tale organismo deve
essere inserito in una posizione gerarchica la più elevata possibile.
Le procedure che le imprese introdurranno in ottemperanza al D. Lgs. n. 231/2001 sono
pertanto da accogliersi come positive integrazioni delle disposizioni del Codice Preda, la cui
intenzione è, tra l’altro, quella di porre l’accento sul fatto che la costituzione di un sistema di
controllo interno è elemento qualificante di una buona gestione. Nel Rapporto Preda, infatti, si
sottolinea come i rischi che tale sistema deve aiutare a prevenire non sono solamente quelli
finanziari, ma anche quelli operativi, inclusi, quindi, i rischi relativi al rispetto delle leggi e dei
regolamenti.
17 Occorre sottolineare che la legge 366/2001, che conferisce al Governo una delega per la riforma del diritto societario consente a tutte aziende, nell'ambito delle diverse opzioni previste, di dotarsi di un consiglio di amministrazione "all'interno del quale sia istituito un comitato preposto controllo interno sulla gestione, di cui facciano parte in maggioranza amministratori non esecutivi in possesso di requisiti di indipendenza, al quale devono essere assicurati adeguati poteri di informazione e di ispezione".
94
In conclusione è opportuno ribadire l'importanza che Codice di autodisciplina riveste, dato
che “rappresenta un'espressione di self-interest illuminato, una manifestazione di comprensione
di esigenze generali, il cui rispetto genera esternalità positive e il cui mancato rispetto genera
per contro esternalità negative”18.
L’iniziativa promossa da Borsa Italiana S.p.A. segna una tappa importante nel progresso
verso un ambiente in cui la presenza di regole serie e la conformità ad esse da parte dei
comportamenti consente al mercato di funzionare meglio e di essere strumento più efficiente di
allocazione delle risorse e di creazione di valore. Infatti, come è stato autorevolmente osservato,
“una collaborazione efficace tra regolamentazione pubblica e privata è essenziale per la buona
riuscita di qualsiasi sistema di governo societario”19.
I meriti del Codice non stanno quindi nell’aver fornito una “ricetta” per risolvere tutti
problemi di corporate governance che affliggono le società italiane, ma nell’aver iniziato un
mutamento di ambiente e di cultura.
18 L. Spaventa, op. cit. 19 A. Cadbury, Il codice di condotta delle società quotate, in Notizie di Politeia, n. 56, 1999.
95
BIBLIOGRAFIA
ABI, serie Legale n. 43, 15 novembre 1999.
Airoldi G., Forestieri G., (a cura di), Corporate governance: analisi e prospettive del caso
italiano, Etaslibri, Milano, 1998.
Allegri V., Gli amministratori delle società per azioni in una prospettiva di riforma; in
Rivista delle Società, A. Giuffrè Editore S.p.A., 1999, n. 2, p. 387.
American Law Institute, Principles of Corporate Governance: Analysis and
Reccomendations, vol. I, St. Paul-Minnesota, 1994.
Angelici C., Le “minoranze” nel decreto 58/98: “tutela” e “poteri”; in Rivista di Diritto
Commerciale., 1998, I, p. 210.
Associazione Desiano Preite, Rapporto sulla società aperta, Bologna, 1997.
Assonime, Principi di comportamento in materia di governo societario e di informazione al
mercato, Roma, 1997.
Bainbridge S.M., Why a board? Group decisionmaking in corporate governance, UCLA
School of Law, Research Paper n. 01-03, 2001,
<http://papers.ssrn.com/paper/abstract=266683>.
Barca, F., Imprese in cerca di padrone, Laterza, Roma, 1994.
96
Bebchuk V.L.A., Roe M.J., A theory of path dependence in corporate ownership and
governance; in Stanford Law Review, 52, 1999, p. 127.
Benvenuto M., La struttura dei poteri del governo delle società; in Rivista delle Società, A.
Giuffrè Editore S.p.A., 1997, p. 1162.
Berle A.A., Means G. C., The modern Corporation and Property, New York, 1932, trad. it.
Società per azioni e proprietà privata, Einaudi, Torino, 1996.
Berndt M., Global differences in corporate governance systems – Theory and implications
for reform, Harvard, Discussion Paper n. 303, November 2001,
<http://www.law.harvard.eu/programs/olin_centre/>.
Bertolini S.; Castaldi R.; Lago U., I codici etici nella gestione aziendale, Il Sole 24 Ore libri,
Milano, 1996.
Bianca M., Brevi riflessioni sulle clausole statutarie in tema di nomina dei sindaci di
minoranza nelle società quotate; in Rivista di Diritto Commerciale, 1998, n. 11-12., p 645.
Bianchi M., Enriques L., Corporate governance in Italy after the 1998 reform: what role for
istitutional investors?, Consob, Quaderni di Finanza, 2001, n.. 43.
Bianco M., Casavola P., Corporate governance in Italia: alcuni fatti e problemi aperti;
in Rivista delle Società, A. Giuffrè Editore S.p.A., 1996 , p. 426.
97
Black S.B., Shareholder activism and corporate governance in the Usa, November 1997,
bozza destinata alla pubblicazione in Peter Newman, e. The New Palgrave Dictionary of
Economics and the Law, Macmillan, London, 1998.
Black S.B., Does corporate governance matters? A crude test using Russian data, University
of Pennsylvania Law Review, vol. 149, 2001, p. 2131.
Bradley M., Schipani C.A., Sundaram A.K., Walsh J.P., The purposes and accountability of
the corporation in contemporary society: corporate governance at a crossroad,
<http://www.law.duke.eu/journals/62LCPBradley>.
Cadbury, Il codice di condotta delle società quotate; in Notizie di Politeia, n. 56, 1999.
Caprio L., Le strutture proprietarie delle società quotate, l'efficienza della gestione
societaria e del diritto; in Rivista delle Società, A. Giuffrè Editore S.p.A, 1998, p. 555.
Carbone S. M., Strumenti finanziari, corporate govemance e diritto internazionale privato
tra disciplina dei mercati finanziari e ordinamenti nazionali; in Rivista delle Società, A.
Giuffrè Editore S.p.A., 2000, n. 3, p. 457.
Carattozzolo M., I nuovi principi di comportamento per i sindaci delle società quotate: un
primo commento (prima parte); in Le Società, Ipsoa Editore, 1999, n. 11, p. 1290.
Casadei D., La riforma della disciplina delle società con azionariato diffuso; in Rivista delle
Società, A. Giuffrè Editore S.p.A, 1998, p. 918.
98
Caterino D., Collaboratori del sindaco e organizzazione del controllo contabile nelle società
di capitali; in Giurisprudenza Commerciale, A. Giuffrè Editore S.p.A., 1999, n. 2, p. 183.
Cattaneo M., L’attività dei “Committees”; in Il governo delle banche in Italia, a cura di
Riolo e Masciandaro, Fondazione Rosselli, Roma, 1999.
Centro studi di Confindustria, I codici di autoregolamentazione etica delle imprese, SIPI,
Roma, 1994.
Charreaux G., Desbrieres F., Corporate governance: stakeholder value versus shareholder
value, Università di Borgogna, marzo 2001, <http://papers.ssrn.com/paper/>.
Cheffins B.R., Tendenze attuali di corporate governance; da Londra a Milano, via Toronto;
in Giurisprudenza Commerciale, A. Giuffrè Editore S.p.A., 2000, n. 2, p. 162.
Cheffins B.R., Corporate governance reform: Britain as an exporter, University of
Cambridge, December 1999, <http://papers.ssrn.com/paper>.
Consob, Relazione annuale, 1999.
Corrado D., Società quotate e autoregolamentazione: commenti al Codice di autodisciplina;
in Politeia, 2000, n. 57, p. 119.
Costi R., Risparmio gestito e governo societario; in Giurisprudenza Commerciale, A.
Giuffrè Editore S.p.A., 1998, I, p. 313.
99
Costi R., Il governo delle società quotate: tra ordinamento dei mercati e diritto delle società;
in Diritto del Commercio Internazionale, A. Giuffrè Editore S.p.A, 1998, p. 65.
Colombera M., Le regole di corporate governance nel Regno Unito: Il Cadbury Committee e
il Greenbury Committee; in Rivista delle Società, A. Giuffrè Editore S.p.A., 1996, p. 440.
Comitato per la Governance delle Società Quotate, Rapporto e Codice di autodisciplina,
1999; <http://www.borsaitalia.it/ita/subsite/ssocietaquoatateeipos/corporategovernance/>
Committee on the Financial Aspects of Corporate Governance, Report and Code of Best
Practice, Gee Publishing Ltd., London, 1992 (cd. Cadbury Report).
Committee on Corporate Governance, Final Report, Gee Publishing Ltd., London, 1998 (cd.
Hempel Report).
de Angelis L, Il City Code dieci anni dopo; in Rivista delle Società, A. Giuffrè Editore
S.p.A, 1978.
de Jong A., DeJong D.U., Mertens C., and Wesley C., The role of self regulation in
corporate governance: evidence from the Netherlands, Bradley Policy Research Centre,
Working Paper n. fr0020, gennaio 2001,
<http://papers.ssrn.com/paper/taf?abstract_id=246952>.
de Mari M., Il Codice di autodisciplina delle società quotate in materia di corporate
governance; in Rivista di Diritto Privato., n. 1, 2000, p. 142.
100
Denozza F., Analisi economica e diritto delle società per azioni; in AA.VV., Analisi
economica del diritto privato, Giuffrè, Milano, 1998.
Di Toro P., Governance, etica e controllo, CEAM, Padova, 2000.
Draghi M., Regolazione pubblica, autodisciplina e reputazione delle società quotate; in
Politeia, n. 57, 2000, p. 127.
Easterbrook F. H., Fischel D. R., L’economia delle società per azioni, Giuffrè, Milano, 1999.
Erede S., Cera R., Il ruolo degli investitori istituzionali; in Il governo delle banche in Italia,
a cura di Riolo e Masciandaro, Fondazione Rosselli, Roma, 1999.
Fortunato S., Il diritto societario in prospettiva europea: principi generali e ricadute
comunitarie; in Rivista delle Società, A. Giuffrè Editore S.p.A., 1994, p. 426.
Forum sulla Corporate Governance; in Economia e management, 2000, n 6., p. 23.
Gambino A., Governo societario e mercati mobiliari; in Giurisprudenza Commerciale, A.
Giuffrè Editore S.p.A., 1997, I, p. 778.
Ghezzi F., I “doveri fiduciari degli amministratori nei “Principles of Corporate
Governance”; in Rivista delle Società, A. Giuffrè Editore S.p.A., 1996, p. 465.
Gliozzi E., Società per azioni e mercati finanziari; in Rivista Trimestrale di Diritto e
Procedura Civile, A. Giuffrè Editore S.p.A., 1999, p. 759.
101
Gomez A., Novaes M., Sharing of control as a corporate governance mechanism, University
of Pennsylvania Law School, PIER Working Paper n. 01-029, 2001,
<http://papers.ssrn.com/paper/abstract=277111>.
Heinrich R.P., Ownership concentration, capital structure, monitoring and pecuniary
incentives, Kiel Working Paper n. 968, febbraio 2000, <http://papers.ssrn.com/paper/>.
Irujo J.M., Configurazione statutaria nel diritto delle società di capitali; in Giurisprudenza
Commerciale, 1999.
Jaeger P. G., Marchetti P.G, Corporate Governance; in Giurisprudenza Commerciale, 1997.
Jaeger P.G., L'interesse sociale rivisitato (quarant'anni dopo); in Giurisprudenza
Commerciale, A. Giuffrè Editore S.p.A., 2000, n. 6, p 795.
KPMG, Legge Draghi e Codice di autodisciplina: concreta applicazione e tendenze in atto,
atti del convegno tenutosi a Roma il 25 giugno 2001.
Lazzari V, Corporate governance: first principles, current debates, future prospects; in
European Business Forum, Spring 2001, pp. 6 -13; trad. it. Corporate governance: fondamenti,
aspetti controversi e prospettive future; in Economia e Management, Etas, 2001, n. 3, p 71.
La Porta R., Lopez de Silanes F, Shleifer A., Vishny R., Investor protection and corporate
governance, <http://papers.ssrn.com/paper/>.
Licht A.N., The mother of all path dependencies: towards a cross cultural theory of
corporate governance systems, marzo 2000, <http://papers.ssrn.com/paper/>.
102
Marchetti P., Corporate governance e disciplina societaria vigente; in Rivista delle
Società, A. Giuffrè Editore S.p.A., 1996, p. 418.
Marchetti P., Le raccomandazioni Consob in materia di controlli societari: un contributo
alla riforma; in Rivista delle Società, A. Giuffrè Editore S.p.A., 1997, p. 193.
Marchetti P., La riforma della società per azioni - L'autonomia statutaria nella società per
azioni; in Rivista delle Società, A. Giuffrè Editore S.p.A., 2000, n. 3, p. 562.
Mattei U., Common Law (il diritto angloamericano); nel Trattato di Diritto Comparato
diretto da R. Sacco, Torino, UTET, 1992.
Milgrom P., Roberts, J., Economia, organizzazione e management, Il Mulino, Bologna,
1994.
Montalenti P., Corporate Governance, Raccomandazioni Consob e prospettive di riforma; in
Rivista delle Società, A. Giuffrè Editore S.p.A, 1997, p. 712.
Montalenti P., Persona giuridica, gruppi di società, corporate governance, CEAM, Padova,
1999.
OCSE, Principles of Corporate Governance, 1999 <http://www.oecd.org>
Onado M., Mercati e intermediari finanziari, Il Mulino, Bologna, 2000.
103
Pagano M., Volpin P., The political economy of corporate governance, Università degli
Studi di Salerno, CSEF Working Paper n. 29, marzo 2000, <http://papers.ssrn.com/paper/>.
Pagano U., Public Markets, private orderings and corporate governance, Università di
Siena, <http://papers.ssrn.com/paper/>
Porta R., Lopez de Silanes F., Schleifer A., Vishny R., Legal determinance of external
finance; in Journal of Finance, 1997, n. 52, p. 1131.
Preite D, Investitori istituzionali e riforma del diritto delle società per azioni; in Rivista delle
Società, A. Giuffrè Editore S.p.A, 1993, p. 427.
Riscossa M.M., Azione sociale di responsabilità e mezzi a disposizione del singolo azionista
per agire contro gli amministratori (shareholder remedies) nel diritto inglese; in Diritto del
Commercio Internazionale, A. Giuffrè Editore S.p.A, 1997, n. 11.2.
Rossi G., Le c.d. regole di corporate governance sono in grado di incidere sul
comportamento degli amministratori?; in Rivista delle Società, A. Giuffrè Editore S.p.A., 2001,
I, p. 6.
Sacconi L., Economia, etica, organizzazione, Laterza, Bari, 1997.
Sacconi L., Codes of ethics as a contractarian constraint on the abuse of authority within
hierarchies: a perspective from the Theory of the Firm; in Journal of Business Ethics, 1999, n.
21 p. 189.
104
Sheikh. S., Rees W., Corporate governance and corporate control, Cavendish, London,
1995.
Spaventa L., L’autoregolamentazione come espressione di self-interest illuminato e i
problemi di governance delle società quotate; in Politeia, n. 57, 2000, p. 123.
Tettamanzi P., Controllo interno, revisione interna e corporate governance in Italia e nel
Regno Unito, Università Carlo Cattaneo, Castellanza, 2000.
Toffoletto A., Affidato all’”autodisciplina” il futuro governo societario delle imprese; in
Diritto e pratica delle Società, Il Sole 24 Ore S.p.A, 2000, n. 16, p. 40.
Turnbull S., Corporate governance reform: improving competitiveness and self regulation,
Macquarie University, Sydney , 1997 <http:papers.ssrn.com/paper/>
Visentini G., Argomenti di diritto commerciale, Giuffrè, Milano, 1997.
Weigmann R., Il buon governo delle società bancarie; in Banca, impresa, società, Il Mulino,
1998, p. 24.
Zingales L., Corporate Governance; in Peter Newman, e. The New Palgrave Dictionary of
Economics and the Law, Macmillan, London, 1998.
105
APPENDICE TABELLA LEGENDA Articolo Previsione Simbologia
1 Ruolo del Consiglio di Amministrazione A: allineato con i dettami del Codice
NA: non allineato con i dettami del Codice
2 Composizione del Consiglio di Amministrazione A: allineato con i dettami del Codice
NA: non allineato con i dettami del Codice 3 Amministratori indipendenti Sì: sono presenti amministratori indipendenti
No: non sono presenti amministratori indipendenti
4 Presidente del Consiglio di AmmInistrazione
A: il Presidente svolge le funzioni indicate dal Codice D: il Presidente è dotato di deleghe operative
ND: il Presidente non è dotato di deleghe operative
5 Informazioni al Consiglio di Amministrazione
A: il flusso informativo risponde ai dettami del Codice
NA: il flusso informativo non risponde ai dettami del Codice
6 Trattamento informazioni riservate P: procedura per il trattamento di informazioni price sensitive PA: procedura in corso di approvazione
S: soggetti responsabili del trattamento delle informazioni prive sensitive
7 Nomina degli amministratori A: allineato con i dettami del Codice NA: non allineato con i dettami del Codice 8 Remunerazione degli amministratori C: comitato per la remunerazione RP: piani di retribuzione parametrata 9 Controllo interno A: allineato con i dettami del Codice NA: non allineato con i dettami del Codice
10 Comitato per il controllo interno C: è presente il comitato per il controllo interno
CA: il comitato sta per essere costituito
106
11 Rapporti con gli investitori istituzionali e altri soci F: funzione aziendale di investor relations
R: responsabile del rapporto con i soci 12 Assemblee P: viene incoraggiata la partecipazione
R: è stato approvato un regolamento assembleare
RA: il regolamento assembleare è in corso di approvazione
13 Sindaci A: allineato con i dettami del Codice
L: si fa espressamente riferimento al meccanismo di voto di lista
Relazione Numero di pagine
N: relazione inadeguata a spiegare le scelte di governance C: Codice di autodisciplina interno
CA: confronto della governance interna con i dettami del Codice
107
DATI SOCIETA’ QUOTATE Nome società 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 RelazioneAC ROMA A A C R 1, N ACEA C C R 2, N
ACEAGAS A A Sì ND, A A S A
C, RP A C R R L 7, C
ACOTEL A A Sì D, A A NA C C R P L 2, CA ACQUA PIA A D, A A C RA 2, N ACQUE POTABILI A A
ND, A A F
P, RA 6, N
ACQUEOTTO DE FERRARI A A Sì D, A A P
C, RP A C R
P, RA A 8, CA
ACQUEOTTO NICOLAI A A Sì
ND, A A NA A R
P, RA L 3, CA
ACSM A A Sì D, A A P C A C R P,R 10, C AEES 1, N AEM A A Sì D, A A P C A C 4 AEM TORINO C 1, N AEROPORTO DI FIRENZE A A Sì D, A S C A C R 4 AIRDOLOMITI 1 AIRSOFTW@RE A A Sì D, A P C A C F L 2 ALITALIA A A Sì A C C R L 2 ALLEANZA ASSICURAZIONI A A Sì D, A A P C A C F R 10 AMGA A A Sì D, A A S A A C F P L 9, CA ARNOLDO MONDADORI EITORE A A Sì
ND, A A P RP A C F
P, RA L 6, CA
ARQUATI 1
ART'E' A A Sì D, A A P A RP A C R P, RA A 5, CA
ASSICURAZIONI GENERALI A A Sì
ND, A A P C A C R R 8
AUTOGRILL A A Sì ND, A A P RP A F 4
AUTOSTRADA TORINO MILANO A A Sì A A P
C, RP A C R R A 8, C
AUTOSTRADE A A Sì D, A A PA C A C R P, RA 17, C
AUTOSTRADE MERIDIONALI
ND, A A A CA 3, N
108
Nome società 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 RelazioneBANCA AGRICOLA MANTOVANA A A Sì
ND, A A P C A C F R L 6, CA
BANCA CARIGE A A Sì A C C R L 1, N BANCA DI CREITO POPOLARE SIRACUSA A A Sì D, A A PA NA A F P L 4
BANCA DI ROMA A A Sì ND, A A PA A C A C F RA L 14, C
BANCA FIDEURAM A Sì C C 1, N BANCA IFIS A A Sì A A S NA A F R L 3 BANCA INTERMOBILIARE A A Sì D, A A S A R P A 11, CA BANCA INTESA BCI A A Sì
ND, A A P
C, RP A P L 2
BANCA LOMBARDA C A C F 1, N
BANCA MPS A A Sì ND, A A P A C A C F RA L 5, CA
BANCA NAZIONALE DEL LAVORO A A Sì
ND, A A P C A C F R 2
BANCA PROFILO A A Sì D, A A A RP A R P L 4 BANCA TOSCANA A A Sì
ND, A A P A C A C R RA L 10 CA
BANCO BILBAO 10 BANCO DI CHIAVARI A A Sì NA A P L 3, N BANCO DI DESIO E DELLA BRIANZA A A Sì
ND, A A PA C A C F R L 8, CA
BANCO DI NAPOLI 1, NA BANCO DI SARDEGNA A A Sì D, A A P A C F P 4 BANCO SANTANDER
BASIC NET A A Sì A A S A C, RP A C R
P, RA L 17, CA
BASTOGI A A Sì ND, A A P R RA L 3
BAYERISCHE VITA A A Sì D, A A PA A RP A C F
P, RA L 10, C
BEGHELLI A A S R R 1, N BENETTON GROUP A A Sì D, A A S A C A C F 3 BENI STABILI A P C C A C F R 2 BIOSEARCH ITALIA A A Sì P A C RA 1, N
BIPOP CARIRE A A Sì D, A A PA C, RP A C R P L 6, C
BOERO BARTOLOMEO R 1, N
BONAPARTE A A Sì ND, A A PA A A C R
P, RA L 8, C
109
BONIFICHE FERRARESI A A Sì D, A A 1 BORGOSESIA A A Sì D, A A S A R P L 4 BP ADRIATICO 1
BP BERGAMO A A Sì ND, A A P C A F
P, RA L 8, C
BP COMMERCIO E INDUSTRIA A A Sì D, A A S C A R 3
BP CREMA A A No ND, A A P A RP A C F R A 3, CA
BP CREMONA A A Sì ND, A A P A C RA L 5
BP EMILIA ROMAGNA A A Sì
ND, A A P RP A F P, R 2
BP ETRURIA E LAZIO A A Sì C C R RA 4
BP INTRA A A Sì ND, A A P A RP A C R
P, RA L 9, C
BP LODI A A Sì D, A A P A A C F R L 4, CA BP LUINO E VARESE A A Sì
ND, A A S A F 3
BP MILANO A A Sì D, A A L 3, N
BP NOVARA A A Sì ND, A A P A RP A C F R A 12, CA
BP SONDRIO A A Sì D, A A P A F 4 BP SPOLETO 1
BP VERONA A A Sì A A PA C C, RP A F
P, RA A 4, C
BREMBO R 1 BRIOSCHI FINANZIARIA A A Sì
ND, A A P R RA L 3, CA
BULGARI A A Sì D, A A RP A F 3 BUZZI UNICEM A A Sì D, A A PA R RA L 8
110
Nome società 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 Relazione
C.A.L.P. A NA No ND, A A P RP R P A 2
C.I.R. A A Sì A A A C A C F P, RA L 7
CAD IT A A Sì D, A A P A C A C R P, R L 16, CA CAIRO COMMUNICATION C C A C 2, N CALTAGIRONE 1 CALTAGIRONE EITORE Sì C 2, N CAMFIN A A Sì D A P A C A C P L 9 CARDNET GROUP A A D, A A S A C C R L 4, CA CARRARO A A Sì D, A A PA A C A C R P A 10, C CASSA DI RISPARMIO DI FIRENZE A A Sì
ND, A A P C A F RA L 2
CATTOLICA ASSICURAZIONI A A Sì A A NP NA C A C F
P, RA L 25, CA
CDB WEB TECH C A C 2, N CDC A A Sì P C A C R RA 2 CEMBRE A A Sì A P A A F RA L 4 CEMENTIR A A Sì PA C A C R 2 CENTENARI E ZINELLI A A L 1, N CENTRALE DEL LATTE DI TORINO A A Sì D, A A P RP A C R P A 4 CHL A A Sì D A C A C R R A 5 CIRIO FINANZIARIA A A Sì D P C C 2 CLASS EITORI A A Sì P P 2 CMI A A Sì A A P A A R P A 8, C COATS CUCIRINI A A Sì D, A PA A P A 5, CA
COFIDE A A Sì D, A A PA A C A C R P, RA L 7, CA
CREITO ARTIGIANO A A Sì D, A A P C C A C F
P, RA L 8, CA
CREITO BERGAMASCO A A Sì
ND, A A P NA C A F P A 16, CA
CREITO EMILIANO 1 CREITO VALTELLINESE A A Sì D, A A P C C A C F R A 5, CA CREMONINI A A C C A C R 1, N CRESPI A A Sì D, A A P NA A R P L 20, CA CSP INTERNATIONAL A A Sì D, A A PA A A R RA A 4, CA CTO A A Sì D, A A NP A A C R R A 7, CA
111
Nome società 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 RelazioneDADA A A Sì C C A C 1, N DALMINE A A Sì P C C R 1, N DANIELI & C. A A Sì D, A A P A R P L 4 DATA SERVICE C A C 2, N DATAMAT A A Sì D, A A P A C A C R R L 10, CA DAVIDE CAMPARI 1 DE LONGHI 1 DIGITAL BROS A A Sì D, A PA
C, RP C F R 2
DMAIL A A Sì D, A A PA NA C A C R P 4 DUCATI MOTOR HOLDING A A Sì D, A A P RP A C F R 3
112
Nome società 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 RelazioneE.BISCOM A A Sì A S C C A C P L 3E.PLANET A A Sì A C R 2, N
EISON A A Sì A P C, RP A C F P A 3, CA
EL.EN. A A Sì A C C A C 2, N EMAK D, A A A C A C R A 2, N ENEL A A Sì A P A C A C F P, R 10, CA ENGINEERING A A Sì P C R R 2ENI A A Sì D, A A C C F R 3
ERG A A Sì ND, A A S C A C F RA A 9, CA
ERICSSON A A Sì D, A A C A C R R L 8, C
ESAOTE A A Sì D, A A PA A RP A R P, RA A 3, CA
ESPRINET EUPHON A A Sì D, A A P A C A C R R L 8, CA
113
Nome società 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 RelazioneGABETTI HOLDING A A A PA A CA RA 2 GANDALF A A Sì P C C CA RA 2 GARBOLI CONICONS R 1
GEFRAN A A Sì ND, A A PA R R A 2
GEMINA A A Sì ND, A P A R 2, CA
GEWISS A A Sì D, A A P A C AS R P,R A 3, CA GIACOMELLI SPORT GROUP
GILDERMEISTER A A Sì ND, A A S A
C, RP A C R P A 9, CA
GIM A A ND, A A C, RP C R P 4
GRANDI NAVI VELOCI A A Sì D, A A C R L 2 GRANITI FIANDRE GRUPPO CERAMICHE RICCHETTI GRUPPO COIN A A D, A A A C R 10, C GRUPPO EITORIALE L'ESPRESSO A A Sì D, A A PA C A C R RA L 7, CA HdP A A Sì D, A P A C A C F P A 4, CA
114
Nome società 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 RelazioneI GRANDI VIAGGI 1 I VIAGGI DEL VENTAGLIO A A Sì A A PA A C A C R RA L 11, C I.NET A A Sì D, A A P A C A C R R 3 IDRA PRESSE 1 IFI A A D, A A RP A R 3 IFIL A A Sì D, A A C A C R L 2
IFIS A A Sì ND, A S A F R L 3, CA
IMA A A Sì D, A A PA A C A CA RA A 6, CA IMMOBILIARE LOMBARDA 1 IMMOBILIARE METANOPOLI 2
IMMSI A A Sì ND, A A R L 2
IMPREGLIO P C A C R RA 1 INDUSTRIE ZIGNAGO A A Sì D, A A P A C A C R
P, RA A 11, C
INFERENTIA C C R 1, N INTEK A A Sì D, A A P RP C RA 6 INTERBANCA A A Sì D, A A PA NA C A C R P L 7, C INTERPUMP GROUP A A Sì C A C RA 2INVESTIMENTI IMMOBILIARI LOMBARDI A A Sì RA 1 IPI A A Sì D, A P A RP A R P L 4 IRCE A A Sì F 1, N IT HOLDING A A Sì D, A A C A C F RA 4, CA IT WAY
ITALCEMENTI A A Sì ND, A A P C A C P 7
ITALDESIGN GIUGIARO A A Sì
ND, A A P CA RA 2
ITALGAS A A Sì D, A A C C F 7 ITALMOBILIARE A A Sì D, A A P NA C A C P A 7, C JOLLY HOTELS A A Sì D, A S C A C R L 4
LA DORIA A A Sì ND, A A PA A NA C R RA A 8, CA
LA FONDIARIA A A Sì ND, A A P A F P 5
LA GAIANA A A Sì D, A PA A C A C R R A 4, C LA RINASCENTE A A A C C 1, N LAVORWASH A A Sì D, A A P C C A C R P, R L 7, CA LINIFICIO E CANAPIFICIO NAZIONALE A A Sì D, A A P C A C R RA A 11, C LOCAT A A Sì C C 1, N LUXOTTICA C 2, N
115
Nome società 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 RelazioneMAFFEI 1 MANULI RUBBER INDUSTRIES A A Sì D, A A A C A C F P L 5, CA MARANGONI A A D, A A A 2, N MARCOLIN
MARIELLA BURANI A A Sì D, A A P C, RP A C R P L 15, CA
MARZOTTO A A Sì A A P A C, RP A C R R L 10, CA
MEIASET A A Sì A A P A C, RP A C F P L 9, C
MEIOBANCA A A Sì D, A A P C C A P L 6, CA
MEIOLANUM A A Sì ND, A A P RP A C F RA L 7
MELIORBANCA A A Sì ND, A A S A C A F RA L 13, CA
MERLONI ELETTRODOMESTICI A A Sì D, A A P A C R RA L 3 MILANO ASSICURAZIONI A A Sì D, A A P RP A F P 5MIRATO A A Sì D, A A P A A R R L 6, CA
MITTEL A A Sì A A S C, RP A R P L 5, CA
MONDO TV A Sì C 1, N MONRIF C C 1, N
MONTEISON A A Sì ND, A A
C, RP A C F L 10
MONTEFIBRE A A Sì ND, A A P A A R R L 6
116
Nome società 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 RelazioneNAVIGAZIONE MONTANARI A A Sì D, A A S RP C R
P, RA L 4, CA
NECCHI A A Sì D, A A S A C R RA L 13
NOVUSPHARMA A A Sì ND, A A P A C A C R P,R L 7, CA
OLCESE A A Sì D, A A C 3, N
OLIDATA A NA No D, A A P A RP A R P, RA L 3, C
OLIVETTI & C A A ND, A A C A C F 2
ONBANCA C C 1, N OPENGATE GROUP A A Sì D, A A P NA
C, RP A C F P L 23, CA
117
Nome società 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 RelazionePAGNOSSIN A Sì PA C C R RA 1 PARMALAT FINANZIARIA A A Sì A A P NA C A C F RA 9, CA
PERLIER A A Sì ND, A P A C R R A 2
PERMASTEELISA A A Sì P A A R L 2 PININFARINA A P C C C L 1, N PIRELLI A A Sì D, A A S A RP A C F P L 14 PIRELLI & C A A No D, A A S A C A C F P L 8 POLIGRAFICA S. FAUSTINO A A Sì D, A A S A C A C R P L 7, CA POLIGRAFICI EITORIALI C C 2, N PREMAFIN FINANZIARIA A A Sì D, A A NA R RA L 10, CA
PREMUDA A A No A A A C, RP NA R P L 2, CA
PRIMA INDUSTRIE A A Sì
ND, A A P A, C
C, RP A C R
P, RA L 9, C
118
Nome società 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 Relazione
RAS A A Sì ND, A A S C C A C R P 12, C
RATTI A A Sì D, A A PA A C, RP A C R P A 10, C
RECORDATI A A Sì D, A A P A C, RP A C R P A 8, C
RENO DE MEICI A A Sì D, A A A RP A C 2 REPLY A A Sì A C C 2, N
RICHARD GINORI Sì P C, RP A C R 2
RISANAMENTO NAPOLI A A Sì A A S A R
P, RA L 7, C
ROLAND EUROPE A A Sì A A R 2 ROLO BANCA A A Sì A C C R 3 RONCADIN A 3 ROTONDI EVOLUTION A A Sì PA
C, RP R 2, N
119
Nome società 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 RelazioneSABAF Sì PA C C RA 1, N SADI A A Sì D, A A A R P L 4 SAECO INTERNATIONAL GROUP A A Sì D, A A C C C R 2 SAES GETTERS A A Sì D, A A PA A C A C F P L 7, C SAIAG 1, N
SAIPEM A A Sì ND, A A C A C F R 2
SANPAOLO IMI A A Sì ND, A A P A C R L 2
SAVINO DEL BENE A A No D, A A A R 3 SCHIAPPARELLI 1824 A A Sì D, A A P C R R 2 SEAT PAGINE GIALLE A A A P A CA CA R R L 2 SICC A A Sì A A S A A R P L 6, CA
SIRTI A A Sì ND, A A RA L 3
SMI A A ND, A A
C, RP A C R 4
SMURFIT SISA A A Sì D, A A S A A R A 6, CA SNAI 1 SNAM RETE GAS 1 SNIA A A Sì D, A A C R 1 SO.PA.F A 1 SOGEFI A A Sì D, A A PA C A C R RA L 7, CA SOL A A No D, A A P A CA A R RA A 6, CA SS LAZIO A A D, A A 3, N STAYER A A D, A A S A A CA R P L 4, CA STEFANEL A A Sì D, A A S C C A C R L
120
Nome società 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 Relazione
TARGETTI A A Sì P C C, RP F R L 2
TAS A A Sì D, A A P A A C R R 3
TC SISTEMA A A Sì ND, A A P
C, RP A C R P L 10, C
TECNODIFFUSIONE ITALIA A A Sì D, A A P RP R 4
TELECOM ITALIA A A Sì D, A A PA C, RP A C F RA L 9, C
TELECOM ITALIA MOBILE A A Sì
ND, A A PA
C, RP A C P, RA 8, C
TERME DEMANIALI DI ACQUI A A Sì D, A A P C C R 3 TISCALI A A Sì D, A A P A C A CA R RA L 15, CA
TOD'S A A Sì D, A A S C, RP A C R 4
TREVI GROUP A A Sì C C R 2, N TXT A A Sì P C A C 4
121
Nome società 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 RelazioneUNICREITO ITALIANO A A Sì
ND, A A P C C A C F R A 30, CA
UNIME A A Sì A A S NA A R RA L 7, CA UNIPOL A A Sì S C C C F R 4 VEMER SIBER GROUP A RA L 1 VIANINI INDUSTRIA 1 VIANINI LAVORI A A Sì 2, N
VITAMINIC A A Sì ND, A A P A
C, RP C R RA L 7, CA
ZUCCHI A A Sì D, A C A C R RA 2
122
RISULTATI Società in elenco 279 100% Aderiscono al Codice 261 93%Non aderiscono al Codice 8 3%La relazione non è disponibile 10 4%
Non ad.AderisceN.d.
Articolo Dati Percentuale 1 Caselle bianche: 56 20% A: 223 80%
BiancheA
2 Caselle bianche: 57 19 %A: 220 80%
NA: 2 1%
BiancheANA
123
3 Caselle bianche: 71 25%Sì: 200 72%
No: 8 3%
BiancheSìNo
4 Caselle bianche: 93 34%A: 184 66%D: 112 40%
ND: 55 20%
BiancheA
5 Caselle bianche: 103 37% A: 176 63%
BiancheA
124
6 Caselle bianche: 111 40%P: 100 36%PA: 33 12%S: 33 12%
NP: 2 1%
BiancheP S
7 Caselle bianche: 169 61%A: 76 27%NA: 14 5%
C: 20 7%
Bianhce ANAC
8 Caselle bianche: 108 39%C: 145 52%CA: 2 1%
RP: 54 19%
BiancheCCa
125
9 Caselle bianche: 102 37%A: 174 62%
NA: 3 1%
BiancheANA
10 Caselle bianche: 106 38%C: 164 59%
CA: 9 3%
BiancheCCA
11 Caselle bianche: 97 35%R: 117 42%
F: 65 23%
BiancheRF
126
12 Caselle bianche: 99 36%P: 81 29%R: 61 22%
RA: 68 24%
BianchePRRA
13 Caselle bianche: 139 50%A: 40 14%
L: 101 36%
BiancheAL
Relazione N: 50 18%C: 32 12%
CA: 70 25%
NCCAAccettabili
TESTO DEL CODICE DI AUTODISCIPLINA
1. Ruolo del consiglio di amministrazione
1.1. Le società quotate sono guidate da un consiglio di amministrazione che si riunisce con
regolare cadenza e che si organizza e opera in modo da garantire un effettivo e efficace
svolgimento delle proprie funzioni.
1.2 . Il consiglio di amministrazione:
a) esamina e approva i piani strategici, industriali e finanziari della società e la struttura
societaria del gruppo di cui essa sia a capo;
b) attribuisce e revoca le deleghe agli amministratori delegati e al comitato esecutivo
definendo i limiti, le modalità di esercizio e la periodicità, di norma non inferiore al
trimestre, con la quale gli organi delegati devono riferire al consiglio circa l'attività
svolta nell'esercizio delle deleghe loro conferite;
c) determina, esaminate le proposte dell'apposito comitato e sentito il collegio
sindacale, la remunerazione degli amministratori delegati e di quelli che ricoprono
particolari cariche, nonché, qualora non vi abbia già provveduto l'assemblea, la
suddivisione dei compenso globale spettante ai singoli membri del consiglio e del
comitato esecutivo;
d) vigila sul generale andamento della gestione, con particolare attenzione alle
situazioni di conflitto di interessi, tenendo in considerazione, in particolare, le
informazioni ricevute dal comitato esecutivo (ove costituito), degli amministratori
delegati e dal comitato per il controllo interno, nonché confrontando,
periodicamente, i risultati conseguiti con quelli programmati;
e) esamina e approva le operazioni aventi un significativo rilievo economico,
patrimoniale e finanziario, con particolare riferimento alle operazioni con parti
correlate;
128
f) verifica l'adeguatezza dell'assetto organizzativo e amministrativo generale della
società e del gruppo predisposto dagli amministratori delegati;
g) riferisce agli azionisti in assemblea.
1.3. Gli amministratori agiscono e deliberano con cognizione di causa e in autonomia,
perseguendo l'obiettivo della creazione di valore per gli azionisti. Gli amministratori accettano
la carica quando ritengono di poter dedicare allo svolgimento diligente dei loro compiti il tempo
necessario.
1.4. Gli amministratori sono tenuti a conoscere i compiti e le responsabilità inerenti alla loro
carica. Gli amministratori delegati si adoperano affinché il consiglio venga informato sulle
principali novità legislative e regolamentari che riguardano la società e gli organi sociali.
2. Composizione del consiglio di amministrazione
2.1. Il consiglio di amministrazione è composto di amministratori esecutivi (per tali
intendendosi gli amministratori delegati, ivi compreso il presidente quando allo stesso vengano
attribuite deleghe, nonché gli amministratori che ricoprono funzioni direttive nella società) e
non esecutivi. Gli amministratori non esecutivi sono per numero e autorevolezza tali da
garantire che il loro giudizio possa avere un peso significativo nell'assunzione delle decisioni
consiliari.
2.2. Gli amministratori non esecutivi apportano le loro specifiche competenze nelle
discussioni consiliari, contribuendo all'assunzione di decisioni conformi all'interesse sociale.
3. Amministratori indipendenti
Un numero adeguato di amministratori non esecutivi sono indipendenti, nel senso che:
non intrattengono relazioni economiche di rilevanza tale da condizionarne l'autonomia di
giudizio con la società, con le sue controllate, con gli amministratori esecutivi, con l'azionista o
gruppo di azionisti che controllano la società;
129
non sono titolari, direttamente o indirettamente, di partecipazioni azionarie di entità tali da
permettere loro di esercitare il controllo sulla società, né partecipano a patti parasociali per il
controllo della società stessa.
4. Presidente del consiglio di amministrazione
4.1. Il presidente convoca le riunioni del consiglio e si adopera affinché ai membri del
consiglio siano fornite con ragionevole anticipo rispetto alla data della riunione (fatti salvi i casi
di necessità e urgenza), la documentazione e le informazioni necessarie per permettere al
consiglio stesso di esprimersi con consapevolezza sulle materie sottoposte al suo esame e
approvazione.
4.2. Il presidente coordina le attività del consiglio di amministrazione e guida lo svolgimento
delle relative riunioni.
4.3. Allorché il consiglio, ai fini di una gestione efficace e efficiente della società, abbia
conferito deleghe al presidente, il consiglio stesso, nella relazione sulla gestione, fornisce
adeguata informativa sulle competenze attribuite in conseguenza tale scelta organizzativa.
5. Informazioni al consiglio di amministrazione
Il comitato esecutivo - tramite il suo presidente - e gli amministratori delegati rendono
periodicamente contro al consiglio delle attività svolte nell'esercizio delle deleghe loro
attribuite.
Gli organi delegati, inoltre, forniscono adeguate informativa sulle operazioni atipiche,
inusuali o con parti correlate, il cui esame della cui approvazione non siano riservati al consiglio
di amministrazione.
Essi forniscono al consiglio di amministrazione e ai sindaci le medesime informazioni.
130
6. Trattamento delle informazioni riservate
6.1. Gli amministratori delegati curano la gestione delle informazioni riservate; a tal fine essi
propongono al consiglio di amministrazione l’adozione di una procedura interna per la
comunicazione all'esterno di documenti informazioni riguardanti la società, con particolare
riferimento alle informazioni "price sensitive".
6.2. Tutti gli amministratori sono tenuti a mantenere riservati i documenti e le informazioni
acquisite nello svolgimento dei loro compiti e a rispettare la procedura adottata per la
comunicazione all'esterno di tali documenti e informazioni.
7. Nomina gli amministratori
7.1. Le proposte di nomina alla carica di amministratore, accompagnate da un esauriente
informativa riguardante le caratteristiche personali e professionali dei candidati, sono depositate
presso la sede sociale almeno dieci giorni prima della data prevista per l'assemblea, ovvero al
momento del deposito delle liste, ove previste.
7.2. Laddove il consiglio di amministrazione costituisca al proprio interno un comitato per le
proposte di nomina alla carica di amministratore, esso è composto, in maggioranza, di
amministratori non esecutivi.
8. Remunerazione degli amministratori
8.1. Il consiglio di amministrazione costituisce al proprio interno un comitato per la
remunerazione. Tale comitato, composto prevalentemente di amministratori non esecutivi,
formula una proposta al consiglio per la remunerazione degli amministratori delegati e di quelli
che ricoprono particolari cariche, nonché, su indicazione di amministratori delegati, per la
determinazione dei criteri per la remunerazione dell'altra direzione della società. A tal fine, esso
può avvalersi di consulenti esterni, a spese della società.
8.2. Di norma, il consiglio di amministrazione, nel determinare i compensi complessivi degli
amministratori delegati, prevede che una parte di questi sia legata ai risultati economici
131
conseguiti dalla società e, eventualmente, al raggiungimento di obiettivi specifici
preventivamente indicati dal consiglio stesso.
9. Controllo interno
9.1. Gli amministratori delegati assicurano la funzionalità e l'adeguatezza del sistema di
controllo interno, di cui definiscono le procedure e nominano uno o più preposti, dotandoli di
mezzi idonei.
9.2. Il sistema di controllo interno ha il compito di verificare che vengano effettivamente
rispettate le procedure interne, sia amministrative, adottate al fine di garantire una sana e
efficiente gestione, nonché al fine di identificare, prevenire e gestire nei limiti del possibile
rischi di natura finanziaria e operativa e frodi a danno della società.
9.3. I preposti al controllo interno non dipendono gerarchicamente da alcun responsabile di
aree operative e riferiscono del loro operato agli amministratori all'uopo delegati, nonché al
comitato per il controllo interno, di cui al successivo art. 10, e ai sindaci.
10. Comitato per il controllo interno
10.1. Il consiglio di amministrazione costituisce un comitato per il controllo interno, con
funzioni consultive e propositive, composto da un numero adeguato di amministratore non
esecutivi. Ai lavori del comitato possono partecipare il presidente del collegio sindacale e gli
amministratori delegati.
10.2. In particolare il comitato per il controllo interno:
a) valuta l'adeguatezza del sistema di controllo interno;
b) valuta il piano di lavoro preparato dai preposti al controllo interno e riceve le
relazioni periodiche degli stessi;
c) valuta le proposte formulate dalle società di revisione per ottenere l'affidamento del
relativo incarico, nonché il piano di lavoro predisposto per la revisione e i risultati
esposti nella relazione e nella lettera di suggerimenti;
132
d) riferisce al consiglio, almeno semestralmente, in occasione dell'approvazione del
bilancio e della relazione semestrale, sull'attività svolta e sull'adeguatezza del
sistema di controllo interno;
e) svolge gli ulteriori compiti che gli vengono attribuiti dal consiglio di
amministrazione, particolarmente in relazione ai rapporti con la società di revisione.
11. Rapporti con gli investitori istituzionali e con gli altri soci
Il presidente e gli amministratori delegati, nel rispetto della procedura sulla comunicazione
di documenti e informazioni riguardanti la società, si adoperano attivamente per instaurare un
dialogo con gli azionisti, nonché con gli investitori istituzionali, fondato sulla comprensione dei
reciproci ruoli. Essi provvedono alla identificazione di un responsabile e, se del caso, alla
costituzione di una struttura aziendale incaricata di questa funzione.
12. Assemblee
12.1. Gli amministratori incoraggiano e facilitano la partecipazione più ampia possibile degli
azionisti alle assemblee.
12.2. Alle assemblee, di norma, partecipano tutti gli amministratori.
13.3. Le assemblee sono occasione anche per la comunicazione agli azionisti di informazioni
sulla società, nel rispetto della disciplina sulle informazioni "price sensitive".
12.4. Il consiglio di amministrazione propone all'approvazione dell'assemblea un
regolamento che disciplina l'ordinato e funzionale svolgimento dell'assemblea ordinaria e
straordinaria della società, garantendo il diritto di ciascun socio di prendere la parola su di
argomenti posti in discussione.
12.5. Gli amministratori, in caso di variazioni significative del valore complessivo della
capitalizzazione, della composizione della compagine sociale e il numero degli azionisti della
società, vantano l'opportunità di propone all'assemblea modifiche dell'atto costitutivo,
133
relativamente alle percentuali stabilite per dar corso alle azioni e per l'esercizio delle prerogative
poste a tutela delle minoranze.
13. Sindaci
13.1. Le proposte all'assemblea dei soci per la nomina alla carica di sindaco, accompagnate
da un’esauriente informativa riguardante le caratteristiche personali e professionali dei
candidati, sono depositate presso la sede sociale della società almeno dieci giorni prima della
data prevista per l'assemblea, ovvero al momento del deposito delle liste.
13.2. I sindaci agiscono con autonomia e indipendenza anche nei confronti degli azionisti
che li hanno eletti.
13.3. I sindaci sono tenuti a mantenere riservati i documenti e le informazioni acquisite nello
svolgimento dei loro compiti e a rispettare la procedura adottata per la comunicazione
all'esterno della società di tali documenti e informazioni.
FINE