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Marco Bagliani,*Giangiacomo Bravo**
IL COMMERCIO OCCULTO DELLA SOSTENIBILITÀIMPRONTA ECOLOGICA, CARICO ECOLOGICO
E LE LORO CONSEGUENZE SULLA SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE DEI
COMPORTAMENTI SOCIALI ED ECONOMICI
DSS PAPERS SOC 1-03
Marco Bagliani, IRES Piemonte, email bagliani@ires.piemonte.itGiangiacomo Bravo, Dipartimento di Studi Sociali, Università di Brescia,
email gbravo@eco.unibs.it
INDICE
1 Introduzione ......................................................................... Pag. 5
2 Una nuova rappresentazione degli ecosistemi .......................... 8
3 Impronta ecologica, carico ecologico e biocapacità ................ 12
4 Impronta ecologica e carico ecologico: incentivi
all'azione individuale e collettiva ............................................. 17
5 Dal micro al macro: il commercio della sostenibilità ............. 22
6 Conclusioni ................................................................................. 33
Riferimenti bibliografici ........................................................... 37
L'articolo è frutto del lavoro congiunto dei due autori che hanno così tentato di integrarecompetenze ed esperienze scientifiche diverse, anche grazie all'aiuto e agli utilisuggerimenti dei colleghi dell'IRIS - Istituto di Ricerche Interdisciplinari sullaSostenibilità - cui vengono per ciò rivolti sentiti ringraziamenti. Marco Bagliani ha curatola stesura dei paragrafi 2. e 3., Giangiacomo Bravo i paragrafi 1., 4. e 5. Le conclusionisono opera comune dei due autori.
Il commercio occulto della sostenibilità 5
1. Introduzione
Viviamo al di sopra delle nostre possibilità. In qualche momento
intorno al 1980 il totale dei consumi umani ha superato le capacità di
rigenerazione offerte dagli ecosistemi terrestri (Loh 2002) non più - come
già avvenuto frequentemente nel passato1 - solo su scala locale, ma a livello
planetario. Superata tale soglia, ogni incremento ulteriore non può che
essere considerato globalmente insostenibile: basato sul consumo degli stock
esistenti, non durevole e, in definitiva, impossibile da mantenere nel lungo
periodo.
La recente consapevolezza dell'insostenibilità del modello di sviluppo
adottato costituisce un incentivo alla creazione di strumenti in grado di
"leggere" l'impatto delle attività antropiche su scala globale, cioè sulla
risorsa comune2 (a tutti gli esseri viventi del pianeta) denominata "biosfera".
In tale direzione si muove il rapporto 2002 del WWF Living Planet Report,
recentemente pubblicato, che presenta due diversi indici che meglio possono
aiutare a comprendere l'incongruenza tra l'idea di uno sviluppo economico
indefinito e i limiti delle basi ambientali sulle quali esso (anche se non
sempre in modo visibile) poggia: l'impronta ecologica e il living planet
index (Loh 2002). L'impronta ecologica è uno strumento utile a valutare il
peso dei consumi umani rispetto alla capacità produttiva dei sistemi naturali3
(Chambers, Simmons, Wackernagel 2000; Wackernagel e Rees 2000). Su 1 Vedi, al proposito, McNeill (1992) e Ponting (1992).2 Con l'espressione risorsa comune - traduzione dell'inglese common-pool resource - ci
si riferisce a ogni risorsa, naturale o artificiale, sfruttata in comune da più utilizzatori,dove i processi di esclusione dall'uso dei potenziali beneficiari sono difficili e/ocostosi, anche se non necessariamente impossibili (Ostrom 1990, 30). Perun'introduzione al concetto vedi Bravo (2001).
6 Il commercio occulto della sostenibilità
scala globale, nel 1999 il rapporto tra i primi e la seconda era pari a 1,21. In
altri termini, gli esseri umani consumano ogni anno il 20% in più di quanto
la Terra sia in grado di offrire loro (Loh 2002, 2). Per comprendere come ciò
sia possibile occorre pensare che oltre alle risorse rinnovabili - che si
rigenerano spontaneamente sulla base di cicli naturali utilizzando l'energia
proveniente dal Sole - ne esistono di non rinnovabili, il cui stock è, per
quanto ampio, limitato e non ricostituibile. Inoltre, anche l'eccessivo
consumo delle prime non porta tanto a una loro distruzione immediata
quanto a un declino nel tempo, non lineare e il più delle volte caratterizzato
da una brusca accelerazione una volta superata una data soglia critica. Che
tale processo sia effettivamente in atto è mostrato dal secondo indice
proposto dal WWF - definito living planet index - che prende in
considerazione lo stato degli ecosistemi mondiali utilizzando indicatori
relativi all'abbondanza di fauna negli ambienti forestali, marini e di acqua
dolce. A testimonianza dell'impatto delle attività antropiche, esso fa
registrare un declino del 37% tra il 1970 e il 2000: in altri termini, nei limiti
dei dati disponibili, in trent'anni gli animali selvatici viventi in tali
ecosistemi si sono ridotti di un terzo (Loh 2002, 3).
Eppure, la qualità ambientale - per lo meno nei paesi più sviluppati -
non sembra peggiorata negli ultimi decenni quanto mostrato dai dati
riportati. Diversi studi hanno, al contrario, ipotizzato la presenza di curve di
Kuznets - cioè di funzioni dalla forma a U rovesciata - nel rapporto tra
indicatori di salute dell'ambiente e ricchezza pro capite (Borghesi, 1999;
Cavlovic et al. (2000), Grossman, 1995; World Bank, 2002a, 130-134;
Selden e Song, 1994). Essi lasciano così intendere l'esistenza di un
3 La definizione e l'uso dell'indicatore impronta ecologica sono discussi in dettaglio nel
terzo paragrafo.
Il commercio occulto della sostenibilità 7
meccanismo tale che, successivamente al soddisfacimento dei bisogni
primari conseguente all'incremento dei redditi, aumenterebbe
progressivamente l'interesse dell'uomo per l'ambiente in cui vive con il
conseguente sviluppo di politiche e di comportamenti environmental
friendly. Al di là del fatto che non esiste né accordo scientifico né tantomeno
evidenza empirica ben definita sull'effettiva presenza di tali curve
(Harbaugh, Levinson e Wilson 2000, Hettige, Mani e Wheeler, 2000; Holz-
Eakin e Selden, 1995; Tisdell, 2001), per capire l'apparente paradosso tra
ambienti apparentemente ben mantenuti e insostenibilità dei consumi è utile
utilizzare un ulteriore indicatore, denominato carico ecologico, che stima
invece il peso dei processi produttivi sul sistema locale4. Impronta e carico
sono quindi strumenti paralleli e complementari nel mettere in relazione
ambiente e comportamenti economici umani: il primo è centrato sul
consumo di beni, servizi e energia e sul luogo di consumo a prescindere da
quello di produzione; il secondo è invece legato al territorio utilizzato per
produrre i medesimi beni servizi e energia, indifferentemente da dove
avverrà il loro consumo.
L'ipotesi che intendiamo proporre è che fenomeni quali l'incremento del
commercio mondiale, la delocalizzazione dei sistemi produttivi, il
trasferimento di lavoro e capitale fisico e altri fenomeni rientranti nel
processo comunemente denominato "globalizzazione" nascondono - a fianco
del loro significato economico e sociale - un significato ecologico
"nascosto": l'importazione (insieme a beni, servizi ed energia) di
sostenibilità ambientale da parte dei paesi più sviluppati, sostenibilità
comprata o sottratta ai paesi meno sviluppati e, in particolar modo, a quelli
4 La definizione e l'uso dell'indicatore di carico ecologico, nonché le sue
complementarietà con l'impronta, sono discussi in dettaglio nel paragrafo 6.3.
8 Il commercio occulto della sostenibilità
di nuova industrializzazione. Ne consegue che un elevato livello di consumi,
e quindi di impronta, di per sé insostenibile può essere realizzato anche
mantenendo o, al limite, incrementando la qualità dell'ambiente locale a
condizione di esportare carico (produzioni inquinanti o pericolose,
tecnologie arretrate, ma meno costose, mezzi di trasporto meno efficienti,
agricoltura "industriale", etc.). Ciò che è possibile localmente non lo è
invece a livello globale dove tale modello si scontra con un limite non
superabile: l'incongruenza tra una crescita indefinita in un ambiente che, per
quanto esteso, costituisce un sistema chiuso e di dimensioni finite.
2. Una nuova rappresentazione degli ecosistemi
Prima di introdurre l'impronta ed il carico ecologico è necessario
descrivere brevemente alcune delle proprietà che caratterizzano gli
ecosistemi e che vengono prese in considerazione ed utilizzate nella
formulazione di questi due indicatori. In questo paragrafo si propone una
riflessione mirata ad approfondire due questioni che riguardano il ruolo
degli ecosistemi (passivo-attivo) e la scala spaziale che li contraddistingue
(locale-globale).
Molte rappresentazioni del territorio relegano la natura ad un ruolo
sostanzialmente passivo. Queste descrizioni tendono a vedere la natura come
un contenitore passivo delle risorse naturali che vengono estratte dall'azione
dell'uomo e un ricettacolo passivo dei prodotti di scarto delle attività umane.
In realtà gli studi nel campo della biologia e dell'ecologia di questi ultimi
decenni hanno mostrato che il ruolo dei sistemi naturali è tutt'altro che
passivo: l'insieme degli ecosistemi fornisce un grandissimo numero di
servizi naturali che sono vitali per la sopravvivenza della specie umana (e
Il commercio occulto della sostenibilità 9
non solo). Tra questi citiamo, a titolo di esempio e senza alcuna pretesa di
esaustività (Costanza et al. 1998; Daily 1997; Simpson et al. 1997):
- la cattura dell'energia solare e la sua successiva messa a disposizione
sotto forma di biomassa (servizio che rende possibile la vita di tutti gli
organismi eterotrofi, tra cui l'uomo);
- la regolazione della composizione dell'atmosfera (regolazione
dell'ossigeno, della CO2, ecc.);
- la regolazione del clima (comprendente, tra l'altro, la redistribuzione
dell'umidità)
- la formazione del suolo;
- la fissazione dei terreni ed il controllo dell'erosione;
- la fissazione dell'azoto nei suoli;
- la decomposizione ed il riciclo dei rifiuti organici;
- il controllo dell'inquinamento, tra cui la depurazione delle acque e
dell'atmosfera;
- il controllo biologico di malattie ed infestazioni;
- la regolazione dei flussi idrici e, più in generale, del ciclo dell'acqua;
- l'impollinazione.
Tutti i servizi qui elencati contribuiscono direttamente o indirettamente
a rendere vivibile, per l'uomo e per molte altre specie viventi, il nostro
pianeta.
Se estendiamo le considerazioni sul ruolo attivo degli ecosistemi alla
riflessione sulla sostenibilità ambientale, emerge che il raggiungimento della
sostenibilità ambientale non è più solo riconducibile ad un problema di
impatto ambientale e della sua riduzione (ruolo passivo degli ecosistemi),
quanto di corretto uso dei servizi della natura. Una definizione coerente ed
appropriata di sostenibilità ambientale potrebbe quindi partire dalla
10 Il commercio occulto della sostenibilità
considerazione dei servizi offerti dalla natura e confrontare i tassi con cui
tali servizi sono richiesti dall'uomo con i ritmi naturali di erogazione. Si
potrà quindi definire ambientalmente sostenibile quella azione che comporta
un utilizzo, diretto e/o indiretto dei servizi naturali, con un tasso inferiore o
uguale a quello proprio di erogazione da parte della natura.
Si considerino, a titolo di chiarimento, due esempi. Il primo caso è
immediato5: l'utilizzo di servizi di produzione di biomassa, quali ad esempio
il pascolo di animali che si nutrono di erba, sarà sostenibile solo se l'erba
viene brucata ad un tasso inferiore o uguale a quello naturale di ricrescita; in
caso contrario il pascolo è condannato, in tempi più o meno lunghi (che
dipendono, in prima approssimazione, dalla differenza tra i tassi di prelievo
e di rigenerazione dell'erba), alla desertificazione.
Il secondo esempio riguarda l'emissione atmosferica di CO2 da parte di
una nazione. In questo caso l'emissione di CO2 in atmosfera equivale
all'utilizzo, implicito ma reale, di un servizio di un riassorbimento del
biossido di carbonio in eccesso. Tale servizio è dovuto all'azione di
incorporamento, ossia di fissazione in biomassa della CO2 atmosferica che
è svolta dai fotosintetizzatori (soprattutto foreste e fitoplancton).
Riprendendo la definizione precedente, sarà quindi ambientalmente
sostenibile l'emissione di biossido di carbonio di una nazione se avviene con
tassi inferiori o uguali a quelli di incorporamento della CO2 da parte delle
foreste presenti sulla superficie nazionale. In caso contrario l'emissione di
biossido di carbonio non potrà essere totalmente riassorbita dagli ecosistemi
nazionali e andrà a gravare sulle capacità di assorbimento di altre nazioni o,
5 Il caso si ispira direttamente all’esempio proposto da Hardin (1968) nel suo modello
della "tragedia dei commons".
Il commercio occulto della sostenibilità 11
addirittura, andrà ad accumularsi nell'atmosfera, contribuendo così ad
aumentare l'effetto serra.
Ai fini della nostra analisi è interessante analizzare anche la scala
spaziale che caratterizza gli ecosistemi. È facile riconoscere che essi
presentano caratteri e comportamenti descrivibili a scala locale, ma,
parimenti, sono dotati di caratteristiche che afferiscono al livello globale,
che non possono essere descritte utilizzando solo la rappresentazione in
termini di ecosistemi locali. Più in dettaglio si possono distinguere due
diversi piani che caratterizzano gli ecosistemi.
1. Il livello locale. Esiste anzitutto la presenza degli ecosistemi locali.
In realtà si tratta di sistemi che, pur essendo territorialmente localizzati,
presentano un confine spaziale labile e sfumato. Solo alcune delle proprietà
che caratterizzano tali sistemi possono essere quindi ricondotte ad una
descrizione locale. Le azioni di origine antropica che portano ad esternalità
ambientali locali (inquinamento di suoli o di specchi d'acqua locali, incendi
localizzati, ecc.) ricadono all'interno di questo livello di rappresentazione.
2. Il livello globale. I diversi ecosistemi, proprio per il fatto di avere
confini labili e permeabili, scambiano tra loro energia e materia attraverso
una rete di rapporti che abbraccia l'intero pianeta. Una descrizione completa
della dinamica di ogni singolo ecosistema non può quindi essere ricondotta
alla sola dimensione locale. È a questo livello che possono essere ricondotte
e descritte tutte quelle esternalità ambientali che, proprio a causa delle
relazioni a scala globale tra gli ecosistemi, oltrepassano la scala locale.
Tipico il caso delle emissioni di inquinanti in atmosfera: anche se sono
localizzate in una piccola area, le correnti atmosferiche provocano uno
scambio di materia tale da generare ricadute a livello globale quali le piogge
acide, il buco dell'ozono e l'effetto serra. È proprio a questo livello che
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emergono effetti che non sono spiegabili solo dall'accostamento di più
ecosistemi locali, ma rappresentano il risultato di vere e proprie sinergie. Gli
esempi sono molti, qui citiamo il caso della regolazione del biossido di
carbonio atmosferico, in cui la CO2 emessa (localmente) non viene assorbita
dagli ecosistemi locali (se non in piccola parte) ma entra nel bilancio globale
dell'atmosfera che è controllato dall'equilibrio, presente solo a scala globale,
tra l'attività dei fotosintetizzatori e dei respiratori (Volk 2001).
In definitiva, è solamente a scala globale che ha senso descrivere molti
dei servizi svolti dagli ecosistemi, che non potrebbero essere colti attraverso
una descrizione limitata al locale.
La distinzione tra la scala locale degli ecosistemi e quella globale, da
cui si originano molti dei servizi naturali utilizzati dalla specie umana,
consente di formulare un bilancio ambientale territoriale del sistema locale
(una città, una regione o una nazione) rispetto al sistema esterno che
quantifica quanta parte dei servizi naturali usati localmente deriva dagli
ecosistemi locali e quanto invece ha origine da ecosistemi dislocati altrove.
3. Impronta ecologica, carico ecologico e biocapacità
Nel corso degli ultimi decenni sono stati proposti diversi indicatori
ambientali con la finalità di contabilizzare i servizi naturali. In generale,
dovendo valutare contemporaneamente e addizionare gli usi di differenti tipi
di servizi, tali indicatori individuano un "denominatore comune" per riuscire
a riportare, in modo coerente ed esaustivo, ad un'unica misura, la stima
quantitativa dei diversi servizi naturali. In questo articolo vengono utilizzate
l'impronta ecologica ed il carico ecologico, che adottano, come
Il commercio occulto della sostenibilità 13
denominatore comune per conteggiare i servizi naturali, l'area di superficie
ecologicamente produttiva.
L'impronta ecologica (ecological footprint) è stata introdotta da
Wackernagel e Rees (1996) dell'Università della British Columbia, Canada,
a partire dagli anni '90. Si tratta di un indicatore sintetico di sostenibilità
ambientale in grado di stimare la quantità totale di servizi naturali che una
popolazione utilizza calcolando l'area totale di ecosistemi terrestri e
acquatici necessaria per fornire, in modo sostenibile, tutte le risorse
utilizzate e per assorbire, sempre in modo sostenibile, tutte le emissioni
prodotte. La formulazione teorica dell'Impronta Ecologica considera tutti i
servizi naturali che concorrono al mantenimento di una popolazione: sia
quelli "a monte" che permettono l'estrazione di risorse dall'ambiente, sia
quelli "a valle" che consentono la depurazione delle emissioni: si tratta
quindi di una contabilizzazione di tutti i servizi naturali connessi con i
consumi della popolazione locale. Con questo tipo di contabilità i servizi
naturali utilizzati per la produzione, all'interno della regione considerata, di
beni che vengono esportati e quindi consumati in altre regioni, sono imputati
a carico delle popolazioni che effettivamente li consumano. Per contro
vengono addebitati alla popolazione locale tutti quei servizi naturali che
sono stati utilizzati altrove per produrre merci importate e consumate
all'interno della regione analizzata. In questo modo è possibile individuare e
stimare l'entità delle importazioni ed esportazioni di servizi naturali.
L'Impronta Ecologica è stata adottata in numerosi studi per stimare la
sostenibilità di singole attività, di regioni o anche di intere nazioni (Simpson
et al. 1995; Proops et al. 1999; Wackernagel et al. 1999)ed è stata inoltre
calcolata per tutte le nazioni del mondo con una popolazione superiore al
milione di abitanti (Loh 2002). All'approfondimento delle valenze e delle
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potenzialità di questo indicatore è stato, inoltre, dedicato un numero
monografico della rivista Ecological Economics6.
Una parte integrante dell'analisi della sostenibilità di un territorio
attraverso l'Impronta Ecologica è rappresentata dal calcolo della
biocapacità. Con questo termine si indica l'estensione totale di territorio
ecologicamente produttivo presente nella regione, ossia la capacità di
erogazione di servizi naturali a partire dagli ecosistemi locali.
È possibile definire un vero e proprio bilancio ambientale sottraendo
all'offerta locale di servizi naturali (la biocapacità) la richiesta di tali servizi
per soddisfare i consumi della popolazione locale (l'Impronta Ecologica).
Ad un valore negativo (positivo) del bilancio corrisponde una situazione di
deficit (surplus) ecologico: questo sta ad indicare una situazione di
insostenibilità (sostenibilità) in cui i consumi di risorse naturali sono
superiori (inferiori) ai livelli di rigenerazione che si hanno partendo dagli
ecosistemi locali. L'entità del deficit o del surplus ecologico rappresenta
pertanto una stima del livello di sostenibilità/insostenibilità del territorio
locale. Esso valuta quindi la responsabilità che una certa popolazione ha
nell'eventuale sovrautilizzo e nella conseguente erosione del capitale
naturale globale.
Se indichiamo con F l'impronta ecologica, con P la biocapacità e con δ
il risultato del bilancio ecologico locale, si ha che δ = P – F. Con questo
formalismo, la condizione per un bilancio ecologico locale in attivo è
semplicemente data da δ > 0, ossia da P > F.
Accanto alla componente puramente ecologica di mantenimento del
capitale naturale globale esiste però un altro aspetto, che fa parte di un
6 Vedi Ecological Economics, vol. 32, n.2, 2000.
Il commercio occulto della sostenibilità 15
quadro allargato della sostenibilità: bisogna infatti considerare anche la
"salute" ambientale locale, ossia la qualità dell'ambiente a livello di
territorio considerato. Se da un lato è importante, addirittura vitale, utilizzare
sostenibilmente i terreni ecologicamente produttivi, ossia non sfruttare
troppo gli ecosistemi globali, dall'altro è ugualmente importante risiedere in
un territorio che risulti poco inquinato, in cui sia piacevole vivere. Si tratta
di due dimensioni complementari della sostenibilità ambientale: la prima
guarda alla responsabilità che ha la singola regione nell'utilizzare l'ambiente
globale, la seconda concerne la situazione ambientale locale e riguarda
quindi aspetti più direttamente legati al ben-essere e al ben-vivere, e tocca le
dimensioni psicologica, sociale, culturale della sostenibilità.
Questo secondo tipo di sostenibilità dipende da un bilancio ambientale
che non è centrato sui consumi, ossia sui servizi naturali fruiti da una
popolazione indipendentemente dal luogo in cui sono erogati, bensì sulle
produzioni, ossia sui servizi naturali erogati in un certo territorio
indipendentemente dal luogo in cui essi sono fruiti. I due indicatori
considerano gli stessi dati, traducono tutte le fruizioni di servizi naturali in
ettari di superficie ecologicamente produttiva ma ne conteggiano il bilancio
in modo diverso. Il bilancio centrato sui consumi è la misura dell'Impronta
Ecologica del territorio in esame, mentre quello centrato sulle produzioni
porta al calcolo del Carico Ecologico (Ecological Burden) proposto da
Bagliani (2002, 2003).
Le misure dell'Impronta e del Carico Ecologico sono tra loro alquanto
diverse e risultano complementari nel tratteggiare il profilo e le condizioni
di una regione. Si consideri, ad esempio, il caso ipotetico della Svizzera,
nazione famosa per l'alta qualità dell'ambiente (basso inquinamento,
presenza di aree verdi e territori naturali ben tenuti, ecc.), ma che
16 Il commercio occulto della sostenibilità
sovrautilizza le risorse naturali, avendo tassi elevati di fruizione dei servizi
naturali. Come riassumere, in modo coerente, questi due aspetti,
apparentemente in contraddizione? L'utilizzo contemporaneo dell'Impronta e
del Carico Ecologico consente di cogliere entrambe le dimensioni:
- l'ottimo stato della salute ambientale locale è rispecchiata da un basso
valore del Carico Ecologico;
- i consumi eccessivi di risorse globali sono invece radiografati
dall'Impronta Ecologica pro capite che, non a caso, è tra le più alte
d'Europa e dal corrispettivo deficit ecologico pro capite che è tra i 10 più
alti al mondo (Loh 2002).
Alla scala globale dell'intero pianeta l'Impronta Ecologica totale è
uguale al Carico Ecologico totale se e solo se i consumi totali di merci, da
parte della popolazione planetaria, sono uguali alle produzioni totali. Se
invece queste ultime superano (sono inferiori) i consumi totali, si avrà
l'accumulo (la diminuzione) e la conseguente creazione (riduzione) di scorte
di beni non consumati e il Carico Ecologico risulterà superiore (inferiore)
all'Impronta Ecologica.
Attraverso l'utilizzo congiunto del Carico Ecologico e dell'Impronta
Ecologica è possibile analizzare non solo il bilancio ecologico locale, ma
anche stimare l'eventuale erosione del capitale naturale locale. Questi
sviluppi partono dal lavoro di Andersson e Lindroth (2001) che coniuga
l'analisi dell'Impronta Ecologica con lo studio degli scambi commerciali.
Essi formulano una vera e propria tipologia degli scambi commerciali
ecologicamente ineguali (ecologically unequal exchange) e la utilizzano per
classificare le diverse nazioni (e, più in generale, ogni regione o territorio
locale considerato) in funzione della loro capacità di accumulare/erodere il
capitale naturale locale. Partendo dalla considerazione che il capitale
Il commercio occulto della sostenibilità 17
naturale locale viene eroso (accumulato) quando gli utilizzi di servizi
naturali locali sono superiori (inferiori) alla capacità biologica locale essi
ottengono sei differenti casi catalogati in funzione del bilancio ecologico
della regione in esame. Utilizzando la nozione di Carico Ecologico è
possibile quantificare anche l'entità dell'erosione/accumulo di capitale
naturale locale. Si dimostra infatti (Bagliani 2003) che l'erosione/accumulo ε
di capitale naturale locale è data da ε = P – B dove B rappresenta il carico
ecologico. La condizione per avere accumulo di capitale naturale è quindi ε
> 0 ossia P > B.
4. Impronta ecologica e carico ecologico: incentivi all'azioneindividuale e collettiva
Le società agricolo-pastorali, in particolar modo quelle
geograficamente più isolate e confinate in ecosistemi fragili e limitati,
riuscivano (anche se ciò non può essere considerato sempre valido) a
stabilire un rapporto relativamente stabile e sostenibile tra beni ed energia
consumati e biocapacità dell'ambiente locale. Ne sono esempio le comunità
alpine tradizionali che - limitate dal territorio utilizzabile, dalla sua ridotta
capacità produttiva e, anche se non sempre, dal modesto volume degli
scambi con l'esterno - sono spesso state in grado di mantenere un equilibrio
tra popolazione, consumi e risorse ambientali disponibili7. L'ambiente stesso
e le limitate tecnologie disponibili costituivano per esse vincoli rispetto a
una necessaria sostenibilità. A differenza delle comunità tradizionali, la
società contemporanea non si trova - almeno localmente - a dipendere da un
18 Il commercio occulto della sostenibilità
dato ecosistema poiché per riequilibrare il bilancio tra carico e capacità
biologiche di rigenerazione può contare su di un elevatissimo livello di
scambi commerciali che la pongono in relazione, oltre che con individui e
con economie diverse, anche con ecosistemi differenti. Non sono quindi
presenti quelle pressioni da parte dell'ambiente locale che tradizionalmente
agivano quali fattori limitanti della crescita in termini di popolazione e di
consumi.
La "liberazione" dalle costrizioni immediate dell'ambiente ha portato a
un crescente benessere legato, per la maggior parte degli individui,
all'acquisizione di beni materiali e alla fruizione di servizi acquistati
perlopiù tramite strumenti di mercato. Anche senza considerare effetti di
consumo vistoso alla Veblen (pur non trascurabili), è innegabile che la
presente struttura degli incentivi non ponga altri vincoli se non il reddito
rispetto a tale acquisizione, con il conseguente rapporto diretto tra
quest'ultimo e la crescita dell'impronta ecologica individuale. Inoltre, le basi
ambientali dei consumi nonché tutti i servizi offerti gratuitamente dalla
natura non sono di norma incorporati nei prezzi di mercato e i costi relativi
rappresentano quindi altrettante esternalità socializzate o, come sarebbe più
appropriato dire considerando la dimensione spaziale di molte produzioni,
globalizzate. Potendo internalizzare i benefici ed esternalizzare i costi non
strettamente di mercato (ambientali e, in qualche caso, sociali) delle proprie
acquisizioni in beni e servizi, il singolo individuo razionalmente non ha
alcun incentivo a limitarle - e quindi a contenere la propria impronta
ecologica - al di sotto di un livello di equilibrio puramente economico. Ciò
porta a un problema di azione collettiva, dove ogni attore tende ad
7 Si vedano le opere di Netting (1981), Viazzo (1990) e la seconda parte del presente
volume.
Il commercio occulto della sostenibilità 19
aumentare i propri consumi che - data la distribuzione spaziale della
produzione - pesano ormai in un ambito ecologico globale, in presenza di un
meccanismo di limitazione, il mercato, che non tiene conto dei costi
esternalizzati e che fallisce quindi l'obiettivo della sostenibilità. Si tratta di
una struttura della situazione non troppo diversa da quella proposta da
Hardin (1968) nel modello della "tragedia dei commons" le cui conclusioni
portano a ipotizzare la distruzione della risorsa comune. Tale predizione, pur
eccessivamente schematica ed empiricamente smentita su scala locale
(Ostrom 1990), sembra purtroppo trovare ora conferma a livello globale.
La struttura degli incentivi presenti rispetto al carico ecologico è
differente. Si rammenta che esso costituisce una stima del peso che le
attività produttive, di consumo e legate allo smaltimento dei rifiuti hanno
sull'ambiente locale. Al suo aumento corrisponde quindi - specie in presenza
di una densità elevata di popolazione e/o di strutture produttive - un
percepibile peggioramento della qualità della vita: inquinamento,
congestione, difficoltà nello smaltimento di rifiuti, etc. Di conseguenza,
l'interesse individuale, che spinge a incrementare l'impronta, è invece rivolto
in direzione contraria per il carico: ogni individuo non ricava alcun
beneficio diretto dall'aumento del carico che, gravando sull'ecosistema
locale, ha conseguenze che possono essere anche pesantemente negative in
termini di qualità della vita. Vi sono tuttavia alcune differenze rilevanti
rispetto al caso dell'impronta. La relazione non è infatti né diretta né
immediata in quanto condizionata da almeno due ordini di fattori. Il primo
riguarda il lato cognitivo e le informazioni possedute rispetto ai costi
connessi con il deterioramento dell'ambiente, soprattutto in termini di salute
e di qualità della vita. La stessa indagine scientifica trova spesso difficoltà
nell'analisi di sistemi complessi quali quelli risultanti dall'interazione uomo-
20 Il commercio occulto della sostenibilità
ambiente e in molti casi non è in grado di offrire che risposte incerte, se non
contraddittorie (Funtowicz e Ravetz 1992; Wilson 2002). Rilevanti sono
anche i limiti percettivi individuali che non sempre permettono di mettere in
relazione i costi sopportati con il degrado ambientale, soprattutto quando
essi - come nel caso dell'inquinamento atmosferico, sono il prodotto di
un'esposizione costante per un periodo prolungato di tempo ad agenti nocivi
poco rilevabili sensorialmente.
Il secondo ordine di fattori che indebolisce gli incentivi in direzione di
una riduzione del carico ecologico è costituito dai costi da sopportare per
ottenere risultati significativi e alla dimensione temporale, che in molti casi
vede ogni miglioramento dell'ambiente emergere con ritardo rispetto agli
investimenti compiuti. I costi sono legati al cambio di comportamenti
economici e sociali, nonché alla ricerca e all'introduzione di tecnologie
nuove dal ridotto impatto sull'ambiente. Inoltre, esistendo una solida (anche
se non perfetta) relazione diretta tra impronta e carico, è piuttosto difficile
realizzare contemporaneamente l'obiettivo di aumentare la prima
diminuendo il secondo. Appare quindi plausibile ipotizzare che gli individui
e le collettività si impegnino tanto più a ridurre il proprio carico ecologico
pro capite quanto più le loro basi ambientali sono in pericolo e quanto più i
feedback che esso trasmette loro sono chiari e negativi. Difficile è indagare
rispetto a tale ipotesi a livello individuale, ma - per lo meno a livello di
nazione - i dati disponibili mostrano effettivamente l'esistenza di una
relazione tra capacità biologica pro capite e carico ecologico8. Per capacità
biologica, o biocapacità, si intende la capacità produttiva totale annuale
dell'ambiente biologico di una data area, essa può essere espressa come
numero di ettari di media produttività (global hectares: gha) che divisi per
Il commercio occulto della sostenibilità 21
la popolazione esistente nella medesima area costituiscono la biocapacità
pro capite (Loh 2002, 33). Il valore mondiale della biocapacità pro capite
era - ad esempio - di 1,90 ettari globali per persona nel 1999, quello italiano
di 1,18 gha/pc (Loh 2002, 23 e 29). A parità di impronta, i paesi con
biocapacità pro capite modesta mostrano un livello di carico ecologico
mediamente minore rispetto a quelli con disponibilità ambientali più elevate
a testimonianza del fatto che la ricerca di una sua effettiva limitazione
avviene più facilmente solo quando le possibilità di un'ulteriore sfruttamento
dell'ambiente appaiono ormai compromesse o eccessivamente rischiose.
In sintesi, mentre gli incentivi a incrementare l'impronta ecologica sono
direttamente legati alla ricerca di benessere attraverso il consumo, quelli in
direzione di una diminuzione del carico sono mediati sia da limiti cognitivi
sia dal loro costo. Resta il fatto che l'analisi precedente è stata condotta
essenzialmente in termini di razionalità e non tiene in considerazione quegli
elementi normativi che possono, a volte, modificarne i risultati. Il
riferimento è qui a scelte individuali - dall'acquisto di alimenti biologici
all'uso volontario di mezzi di comunicazione non inquinanti - che portano a
preferire, nonostante il loro costo superiore, comportamenti environmental
friendly a quelli più comunemente adottati sulla base di valori ideali9. Pur
essendo al presente patrimonio di ambiti ristretti della parte più ricca della
popolazione mondiale, in qualche caso essi riescono anche a trasformarsi in
provvedimenti istituzionali, come testimoniato, ad esempio, dalla diversa
normativa esistente in Europa e negli Stati Uniti in tema di organismi 8 L'argomento sarà trattato più in dettaglio nel paragrafo 6.5.9 Appare comunque opportuno notare come tali comportamenti tendano a diffondersi al
crescere del "disagio" ambientale (ne rappresentano una conferma le recenti vicendedella "mucca pazza" e del conseguente sviluppo degli acquisti di alimenti biologici) e
22 Il commercio occulto della sostenibilità
geneticamente modificati. Benché la struttura dei problemi di azione
collettiva presentati sopra non muti - a nostro avviso - sostanzialmente con
l'introduzione di tali variabili normative, resta indubbio che esse potrebbero
rivelarsi significative o, comunque, permettere il raggiungimento
"insperato" di più elevati livelli di sostenibilità.
5. Dal micro al macro: il commercio della sostenibilità.
Nonostante l'analisi precedente sia stata condotta essenzialmente sul
piano degli incentivi individuali all'azione, la logica delineata non muta
all'aumentare la scala. Al pari dei singoli, è interesse delle diverse comunità
(concetto che va qui inteso in senso lato ed esteso oltre all'ambito locale
anche a quello nazionale) incrementare la propria impronta poiché, data la
struttura sociale ed economica contemporanea, ciò corrisponde
generalmente a livelli più elevati di benessere. Al contrario, non vi è alcun
incentivo diretto nell'aumento del carico anche se, essendo il suo
contenimento costoso, provvedimenti in tale direzione vengono presi di
norma solo in presenza di almeno due ordini di fattori: (1) un ambiente già
sfruttato oltre i propri limiti e, spesso, degradato o in rapido degrado; (2)
disponibilità finanziarie sufficienti per "permettersi" la spesa.
Data la sostanziale stabilità degli incentivi al crescere della scala,
diventa particolarmente rilevante l'analisi a livello nazionale, facilitata dalla
relativa abbondanza di dati e che offre possibilità di ampie indagini
comparative. Occorre tuttavia effettuare una precisazione: mentre gli
che quindi possano essere più frequentemente presenti laddove più elevate sono lepressioni sull'ambiente locale, cioè in condizioni di biocapacità pro capite limitata.
Il commercio occulto della sostenibilità 23
strumenti di calcolo per l'impronta hanno ormai un certo grado di affidabilità
e i dati riferiti al 1999 appaiono attendibili per quasi tutte le nazioni
mondiali (Loh 2002), il carico ecologico costituisce un indicatore innovativo
che ancora necessita di affinamento rispetto alle sue modalità
computazionali. Di conseguenza, i dati di carico - relativi al 1996 - sono
stati calcolati per soli 52 paesi e vengono presentati in questa sede più con
l'idea di proporre ed esemplificare un nuovo strumento di indagine - che
riteniamo essere utile e complementare rispetto all'impronta - che per la loro
validità intrinseca minata da margini di errore ancora troppo ampi. Rimane
la consapevolezza che il lavoro da effettuare prima di ottenere una maggiore
affidabilità dell'indicatore è tutt'altro che indifferente e che i risultati ottenuti
andranno quindi confermati da nuove ricerche. Di seguito, verrà prima
condotta un'analisi dei soli dati relativi all' impronta ecologica,
successivamente saranno introdotte le elaborazioni rispetto al carico e verrà
mostrato come, pur nella loro relativa imprecisione, esse possano offrire un
valido aiuto per lo studio delle dinamiche dello sviluppo (in)sostenibile
mondiale.
I dati utilizzati in questa sezione sono relativi al 1999 e coprono 146
paesi10. In base alle ipotesi del paragrafo precedente, è lecito aspettarsi una
relazione diretta tra prodotto interno lordo pro capite e impronta ecologica.
La correlazione tra le due variabili è in effetti positiva ed elevata
(coefficiente 0,89) e mostra come all'aumentare del reddito le pressioni in
direzione del contenimento del proprio peso sull'ambiente globale siano
limitate. Anche una forte concentrazione di popolazione e di attività in
10 I dati analizzati in questa sezione sono tratti dal Living Planet Report 2002 del WWF
(Loh 2002) e dai World Development Indicators della Banca Mondiale (World Bank2002b).
24 Il commercio occulto della sostenibilità
presenza di un ambiente fragile e/o pesantemente sfruttato (cioè dalla ridotta
biocapacità pro capite) non costituisce quindi che un debole incentivo ad
arginare l'impronta. In effetti, anche suddividendo i paesi rispetto alla loro
biocapacità pro capite11, non si nota che una lieve differenza nei
comportamenti osservati, riportati graficamente nella figura 1 dove le due
rette di regressione appaiono vicine tra loro e poco differenti anche da quella
riferita al totale dei casi considerati.
Da notare come l'impronta pro capite di quasi tutti i paesi con oltre
10.000 dollari di PIL pro capite sia oltre la soglia di 1,90 ettari per persona,
valore che rappresenta il limite della capacità di rigenerazione della biosfera.
Ciò avviene seguendo due strade che, in parte, si sovrappongono. La prima,
più facilmente intuibile, riguarda l'utilizzazione di risorse non rinnovabili,
tre le quali spiccano quelle energetiche legate ai combustibili fossili che
rappresentano per essi oltre la metà dell'impronta complessiva (Loh 2002,
22). In altri termini, una parte della crescita dei paesi più sviluppati è basata
sull'utilizzo di stock di risorse naturali per le quali non esiste, per lo meno
alla scala temporale umana, alcun processo spontaneo di rigenerazione.
11 Rispetto alla biocapacità pro capite i paesi sono stati suddivisi in due gruppi,
rispettivamente sopra e sotto la media generale della variabile.
Il commercio occulto della sostenibilità 25
Figura 1: impronta ecologica pro capite e prodotto interno lordo pro capite
1999
Esiste anche una seconda via per realizzare e per mantenere nel tempo
livelli di consumo che sarebbero insostenibili se basati solo sulle risorse
locali: importarne di nuove dall'esterno. Poiché ogni nazione può essere
considerata un sistema aperto, un nodo di una fitta rete di scambi di materia
ed energia che copre l'intero pianeta, è perfettamente possibile pensare a un
disequilibrio locale compensato o, per lo meno, lenito dal comportamento di
altri nodi. In particolare, Andersson e Lindroth (2001, 116) considerano due
forme attraverso cui una data area geografica può utilizzare biocapacità
esterna ai suoi confini: l'importazione di biomassa (biomass import) e
GDP per capita (current USD) 1999
400003000020000100000
Eco-
foot
prin
t 199
9 (g
ha/p
p)10
8
6
4
2
0
Hi biocapacity
Yes
Rsq = 0.8259
No
Rsq = 0.7549
Total Population
Rsq = 0.7956
26 Il commercio occulto della sostenibilità
l'importazione di capacità di rigenerazione (sink-capacity import). La prima
fa riferimento al caso in cui beni ad elevato valore, ma i cui input biologici
sono relativamente ridotti, vengono scambiati con beni ad elevata intensità
di biocapacità. La seconda considera beni il cui consumo necessita di elevata
biocapacità senza che essa sia concentrata in un luogo particolare, come - ad
esempio - nell'assorbimento del biossido di carbonio prodotto dalla
combustione di idrocarburi.
Le disparità esistenti e il loro legame con il reddito sono
immediatamente evidenti nella tavola 1 che mostra come i paesi a reddito
più elevato abbiano complessivamente un'impronta pro capite (6,48 gha/pc)
quasi tre volte superiore a quella media mondiale (2,28 gha/pc) e tre volte e
mezza più elevata del limite di sostenibilità (1,90 gha/pc). Ciò è però
compensato dal comportamento degli altri paesi, che limitati nei loro
consumi da redditi inferiori, controbilanciano in parte il comportamento dei
primi.
Il commercio occulto della sostenibilità 27
Tavola 1: impronta ecologica e biocapacità per livello di reddito.
Redditonazionale12
Impronta ecologica(global ha pro
capite)
Biocapacità(global ha pro
capite)
Deficit ecologico(global ha pro
capite)Elevato 6,48 3,55 2,93Intermedio 1,99 1,89 0,10Ridotto 0,83 0,95 -0,11Mondo 2,28 1,90 0,38Fonte: Loh 2002.
Si può quindi osservare come, parallelamente al consueto e
riconosciuto commercio di beni, servizi e materie prime, sul mercato
mondiale vi sia uno scambio "occulto" di sostenibilità. L'importazione di
beni servizi ed energia include, di fatto, l'importazione dell'impronta
necessaria alla loro produzione il cui costo non viene che debolmente
incorporato nei prezzi di mercato in quanto esso non è frutto tanto dei fattori 12 Paesi a reddito elevato: Australia; Austria; Belgio; Canada; Corea del Sud;
Danimarca; Emirati Arabi Uniti; Finlandia; Francia; Germania; Giappone; Grecia;Irlanda; Israele; Italia; Kuwait; Norvegia; Nuova Zelanda; Paesi Bassi; Portogallo;Regno Unito; Slovenia; Spagna; Stati Uniti d'America; Svezia; Svizzera.
Paesi a reddito intermedio: Algeria; Argentina; Bielorussia; Bolivia; Botswana;Brasile; Bulgaria; Cile; Cina; Colombia; Costa Rica; Croazia; Cuba; RepubblicaCeca.; Repubblica Dominicana.; Ecuador; Egitto; El Salvador; Estonia; Gabon;Georgia; Guatemala; Hungary; Indonesia; Iran; Iraq; Jamaica; Jordan; Kazakhstan;Korea,Dem.Rep.; Lettonia; Libano; Libia; Lituania; Macedonia; Malesia; Mauritius;Messico; Marocco; Namibia; Panama; Papua Nuova Guinea; Paraguay; Perù;Filippine; Polonia; Romania; Russia; Arabia Saudita; Slovacchia; Sud Africa; SriLanka; Siria; Tailandia; Trinidad eTobago; Tunisia; Turchia; Ucraina; Uruguay;Uzbekistan; Venezuela; Yugoslavia.
Paesi a reddito ridotto: Afghanistan; Albania; Angola; Armenia; Azerbaijan;Bangladesh; Benin; Bosnia Herzegovina; Burkina Faso; Burundi; Cambogia;Cameroon; Repubblica Centrafricana; Chad; Congo; Repubblica democratica delCongo; Costa d'Avorio; Eritrea; Etiopia; Gambia; Ghana; Guinea; Guinea-Bissau;Haiti; Honduras; India; Kenya; Kyrgyzstan; Laos; Lesotho; Liberia; Madagascar;Malawi; Mali; Mauritania; Moldavia; Mongolia; Mozambico; Myanmar; Nepal;Nicaragua; Niger; Nigeria; Pakistan; Rwanda; Senegal; Sierra Leone; Somalia; Sudan;Tajikistan; Tanzania; Togo; Turkmenistan; Uganda; Viet Nam; Yemen; Zambia;Zimbabwe
28 Il commercio occulto della sostenibilità
di produzione utilizzati, quanto dei "servizi ambientali" fruiti. Per fare un
esempio, il prezzo di un chip comprato in Europa, ma costruito in Cina tiene
conto essenzialmente dei costi (cinesi, in assenza di investimenti stranieri
diretti) relativi al capitale, alle materie prime e al lavoro necessari alla sua
produzione, oltre che al trasporto e alla distribuzione. Esso non include
invece né il costo di quei servizi naturali legati alla produzione -
disponibilità e depurazione delle acque, immissione di CO2 ed,
eventualmente, di inquinanti in atmosfera, etc. - fruiti in Cina né di quelli
utilizzati durante il trasporto (e quindi meno localizzati, ma comunque
rilevanti su scala globale).
Per mostrare la direzione dei "flussi" globali di sostenibilità è possibile
analizzare i dati per area geografica. La tavola 2 mostra come vi siano due
aree mondiali - l'America settentrionale e l'Europa occidentale - dall'elevata
impronta rispetto alla biocapacità disponibile e, quindi, largamente
responsabili del deficit ecologico13 mondiale. Altre due - Africa e America
latina - mostrano un surplus di biocapacità che mitiga almeno in parte le
conseguenze negative delle prime. Posto diversamente, se l'impronta media
di un nord-americano costituisse lo standard per la popolazione mondiale
sarebbe necessaria la biocapacità di cinque pianeti come la Terra per
consentire uno sviluppo economico ambientalmente sostenibile. Al
contrario, se l'impronta scendesse al livello medio di un abitante dell'Africa
basterebbero i due terzi della capacità mondiale. I valori assoluti mostrano
inoltre come 311 milioni di abitanti dell'America settentrionale pesino
complessivamente sull'ambiente per circa 2.988.000 "ettari globali", quasi
Fonte: Loh (2002, 28-29).13 Il valore del deficit ecologico è ottenuto tramite la sottrazione dell'impronta alla
biocapacità.
Il commercio occulto della sostenibilità 29
tre volte rispetto a quanto incidono i 774 milioni di africani, che
raggiungono insieme il totale di 1.053.000 gha.
Tavola 2: impronta ecologica e biocapacità per area geografica.
ContinenteImpronta ecologica
(global ha procapite)
Biocapacità(global ha pro
capite)
Deficit ecologico(global ha pro
capite)Africa 1,36 1,55 -0,18America latina e caraibica 2,17 4,02 -1,84Americasettentrionale 9,61 6,15 3,46Estremo oriente,Asia meridionalee Oceania 1,37 1,04 0,32Europa centrale e orientale 3,68 3,00 0,67Europaoccidentale 4,97 2,13 2,84Medio oriente e Asia centrale 2,07 0,97 1,10Mondo 2,28 1,90 0,38Fonte: Loh 2002.
Le ipotesi presentate nel paragrafo precedente vedono una relazione
diretta tra prodotto interno lordo e impronta, mentre il rapporto esistente con
il carico ecologico appare più difficile da valutare e largamente condizionato
da fattori di ordine informativo e cognitivo. In sintesi, è plausibile affermare
che, benché non vi siano incentivi diretti all'accrescimento del carico, dato il
suo legame con l'impronta esso tende a crescere all'aumentare del PIL
almeno fintanto che le raggiunte possibilità economiche e la pressione di un
ambiente sempre più compromesso non rendono accettabili i costi relativi al
suo contenimento.
30 Il commercio occulto della sostenibilità
Rispetto ai dati utilizzati - che rammentiamo essere un primo tentativo
di calcolo per 52 nazioni la cui metodologia necessita di ulteriore lavoro per
una messa a punto definitiva - è lecito aspettarsi una crescita non più lineare,
ma curvilinea, soprattutto per quei paesi dalla biocapacità pro capite ridotta
dove è più probabile che, a parità di carico, le pressioni ambientali siano più
facilmente avvertibili e allarmanti per i cittadini. La figura 2 mostra
graficamente tale rapporto. Confrontandola con la precedente, è possibile
notare in primo luogo come la crescita del carico rispetto al PIL sia meno
rapida e soprattutto non lineare. L'approssimazione migliore per i punti
proiettati sul piano è stata ottenuta con una curva di regressione quadratica e
rivolta verso il basso, curva che approssima la funzione a U rovesciata di
Kuznets basata sull'idea che al crescere del reddito cresca anche l'interesse
per la qualità dell'ambiente, con conseguente sviluppo di iniziative di policy
in direzione di una sua maggiore protezione. Inoltre, è possibile notare come
l'approssimazione data dalla curva quadratica relativa ai paesi con
biocapacità inferiore sia migliore rispetto a quella per i paesi a biocapacità
elevata (R2 = 0,74 contro 0,55) e come la prima abbia un vertice più basso
della seconda. Ciò può essere interpretato come un interesse a limitare il
proprio peso sull'ambiente locale almeno per quei paesi in cui esso è
sfruttato ben oltre il limite della sostenibilità.
Appaiono quindi confermate (almeno rispetto ai dati utilizzati) le
ipotesi presentate sopra: l'arresto dell'incremento del carico raggiunta una
certa soglia di ricchezza e l'influenza - per lo meno oltre certi limiti - delle
condizioni dell'ambiente locali sulle scelte politiche e di consumo. Tuttavia,
ciò si traduce solo in parte in un aumento di sostenibilità su scala globale.
Come è possibile "importare" impronta acquistando beni, servizi ed energia
prodotti in paesi diversi è anche possibile, almeno entro certi limiti,
Il commercio occulto della sostenibilità 31
"esportare" carico: produzioni a basso valore aggiunto, attività inquinanti,
rifiuti e altri prodotti di scarto. In molti casi, tra l'altro, gli interessi
economici si sovrappongono a quelli ecologici. Ad esempio la
delocalizzazione di impianti produttivi in paesi di nuova industrializzazione
ha sì motivi legati alla ricerca di più bassi costi del lavoro, ma anche
connessi con legislazioni più permissive in campo ambientale (emissioni,
smaltimento dei residui di produzione, ...) oppure l'agricoltura biologica è
particolarmente sovvenzionata nei paesi più sviluppati, mentre nel resto del
mondo le politiche di finanziamento e aiuto spingono spesso in direzione di
produzioni agro-industriali basate sul largo impiego di pesticidi e
fertilizzanti chimici.
Alla luce di tali considerazioni, le stesse curve di Kuznets visibili nella
figura 2 appaiono più il frutto del "commercio" internazionale di
sostenibilità che di comportamenti realmente virtuosi sul piano ambientale.
In altri termini, il mercato mondiale può essere utilizzato per creare
situazioni localmente sostenibili grazie agli scambi di beni, servizi ed
energia che in esso avvengono. Trattandosi di un puro movimento all'interno
di un sistema chiuso essi non diminuiscono però in alcun modo il problema
dell'insostenibilità globale dello sviluppo, della conseguente erosione dello
stock di risorse non rinnovabili, e dell'uso dei servizi naturali al di sopra
delle loro capacità.
32 Il commercio occulto della sostenibilità
Figura 2: carico ecologico pro capite e prodotto interno lordo pro capite
1995
GDP per capita (current USD) 1995
3000020000100000
Eco-
burd
en (g
ha/p
c)14
12
10
8
6
4
2
0
Hi biocapacity
Yes
Rsq = 0.5466
No
Rsq = 0.7380
Total Population
Rsq = 0.4536
Il commercio occulto della sostenibilità 33
6. Conclusioni
L'analisi precedente ha mostrato come, legato ai processi economici di
produzione, di scambio e di consumo, vi sia un usufrutto di servizi naturali
non conteggiato dal mercato e, di conseguenza, non incorporato nei prezzi
che in esso si formano. Ciò rende il mercato uno strumento inefficiente
rispetto all'obiettivo della sostenibilità dello sviluppo. A meno di specifici
correttivi istituzionali, esso non è infatti in grado né di internalizzare il
valore dei servizi naturali e dei i costi ambientali generati dalla loro sovra-
utilizzazione né, di conseguenza, di creare incentivi in direzione di una
riduzione dei consumi a favore di un ambiente globalmente più sano. Gli
equilibri che si creano sono puramente economici e situati di fatto al di
sopra della soglia ecologica di sostenibilità. La quantificazione dei servizi
naturali utilizzati dall'uomo tramite l'impiego dell'indicatore impronta
ecologica permette di delineare le dimensioni del fenomeno. A livello
planetario, la continua crescita dei consumi umani ha - già negli anni '80 del
Novecento - superato la biocapacità terrestre, attestandosi nel 1999 a un
valore pari al 120% delle possibilità di rigenerazione della biosfera (Loh,
2002, 2). Sul piano locale, livelli elevati di consumo possono invece essere
mantenuti a patto di "importare" sostenibilità dall'esterno come, ad esempio,
nel caso eclatante degli Emirati Arabi Uniti dove, a fronte di una biocapacità
pro capite di soli 1,26 gha, l'impronta ecologica raggiunge i 10,13 gha/pc14.
Una prima conclusione riguarda quindi l'esistenza di un vero e proprio
"commercio" di sostenibilità che si svolge in parallelo (ed in modo
essenzialmente non percepibile) agli scambi economici. L'analisi delle
14 Uno dei valori più alti al mondo. superiore anche a quello riferito ai paesi dell'America
settentrionale.
34 Il commercio occulto della sostenibilità
impronte ecologiche nazionali mostra, infatti, una diretta relazione tra tale
indicatore e il prodotto interno lordo, con un conseguente drenaggio di
risorse naturali da parte dei paesi più sviluppati e un loro peso sulle risorse
globali del tutto sproporzionato all'entità della popolazione15. Date le
possibilità di importare impronta, anche un ambiente locale ben conservato
non può essere automaticamente equiparato a un modello di sviluppo
sostenibile. Nazioni quali la Svizzera, l'Austria o la Danimarca16, note per
l'attenzione con cui curano il proprio territorio, mostrano tutte un valore di
eco-deficienza (ottenuto sottraendo l'impronta ecologica alla biocapacità
locale) maggiore di zero. In altri termini, i risultati ottenuti in termini di
qualità dell'ambiente (e della vita) sono basati sull'utilizzazione di risorse e
di servizi naturali prodotti altrove, con livelli di consumo globalmente
insostenibili17.
Se il mercato non è in grado di creare incentivi alla riduzione
dell'impronta ecologica, un discorso parzialmente diverso può essere fatto
per il carico ecologico. Poiché il carico costituisce una misura del peso delle
attività antropiche sull'ambiente locale, al suo incremento è legato un
peggioramento della qualità della vita e, di conseguenza, esistono incentivi
in direzione di un suo contenimento. Tuttavia, la percezione della qualità
dell'ambiente, già imperfetta sul piano locale, ha poco a vedere con la
sostenibilità globale. L'analisi mostra come, di fatto, il miglioramento
dell'ambiente locale una volta soddisfatti i bisogni essenziali (e anche quelli 15 Le venti nazioni più ricche (escluse quelle con meno di un milione di abitanti), con una
popolazione pari al 14% della popolazione mondiale avevano, nel 1999, un'improntapari al 42% dell'impronta globale.
16 Nazioni scelte a titolo esemplificativo. Di fatto la maggior parte dei paesi occidentalimostra situazioni comparabili.
Il commercio occulto della sostenibilità 35
meno essenziali) - testimoniato dalla tendenziale
stabilizzazione/diminuzione del carico visibile al crescere del prodotto
interno lordo soprattutto per i paesi con ridotta biocapacità pro capite dove
più immediatamente percepibili sono le conseguenze ambientali di un sovra-
sfruttamento delle risorse naturali - sia raggiunto essenzialmente
"esportando" carico. I dati testimoniano come la diminuzione del carico
locale nei paesi sviluppati con biocapacità limitata si realizzi a scapito di
quelli a reddito ridotto e/o a elevata biocapacità. Purtroppo, data
l'equivalenza di impronta e carico a livello globale, ogni diminuzione del
secondo in un dato ambito territoriale non può che portare a un suo aumento
da qualche altra parte. Osservando il pianeta nel suo insieme, il
miglioramento dell'ambiente realizzato tramite esportazione di carico non
avvicina in alcun modo alla realizzazione di una sostenibilità generale. In
termini differenti, poiché la Terra è un sistema approssimativamente chiuso
l'export non può essere realizzato al di fuori dei suoi confini: la sovra-
utilizzazione complessiva dei servizi della natura rimane invariata per quanti
sforzi l'uomo compia per allontanarla da sé.
In sintesi, la tesi illustrata mostra come sia possibile creare condizioni
ambientali locali accettabili pur in presenza di livelli di consumo elevati
tramite veri e propri scambi di sostenibilità. Regolata dal mercato, la
direzione che essi assumono segue la distribuzione mondiale del reddito,
tuttavia ogni realizzazione locale a scapito di aree diverse del pianeta non
cambia la situazione complessiva del sistema: per quanto i paesi più
sviluppati si sforzino di migliorare il proprio territorio, essi sono i primi
17 Se, al 1999, tutti i cittadini del mondo avessere realizzato livelli di consumo pari a
quelli della Svizzera, l'impronta globale sarebbe stata di 24,63 milioni di gha, contro i13,65 milioni di gha effettivi e una biocapacità globale di 11,36 milioni di gha.
36 Il commercio occulto della sostenibilità
responsabili del superamento dei limiti ecologici globali. La razionalità
suggerirebbe che essi fossero anche i primi a prendere provvedimenti al
riguardo.
Il commercio occulto della sostenibilità 37
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