Post on 17-Feb-2019
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Il ritorno di Marte
Peccato che la libertà desiderata da Vicino Orsini durerà poco e il suo sogno di vivere in una
Bomarzo bonificata da Marte è stato interrotto, qualche
decennio dopo la sua morte, da Ippolito Lante Montefeltro
della Rovere, che entrò in possesso del Palazzo Orsini e del
territorio di Bomarzo nel 1645, ottenendo poi anche il
titolo di Duca. L’affresco che il nuovo Duca di Bomarzo
fece realizzare nel Palazzo Orsini, già citato più volte,
sembra rivelare una vendetta contro Vicino, del quale a
Bomarzo non è rimasta né una statua né un dipinto, e ci
dobbiamo accontentare di un volto su una medaglia, che
non si trova neanche a Bomarzo1.
Il Parco cadde nell’oblio e rimase a lungo abbandonato, con molti vasi abbattuti e statue sfregiate o
gettate nel fosso sottostante; le testimonianze di Roberto Bettini sono importanti e fanno capire che
non si può trattare di semplice vandalismo, anzi il Parco sembra avere subito una vera e propria
aggressione, come una ritorsione nei confronti del nostro Vicino. Dopo questo abbandono, i nostri
pastori, che in quel periodo frequentavano il Parco, erano diventati i nuovi custodi dei nostri mostri.
Ora una cosa fa pensare: questo odio per Marte che l’Orsini mostra, forse nascondendo la verità, è
un odio per la guerra e la conseguenza della prigionia che ha subito? O l’Orsini nutre un odio contro
qualcuno che gli ha fatto del male, durante la sua vita da militare? Oppure si tratta di gelosia per la
sua Giulia, visto che i dipinti che lui utilizza del Veronese, del Tintoretto ed altri, riguardanti
Venere, Marte e Vulcano, ci riportano in situazioni di gelosia in cui Vulcano arriva infuriato dopo
essersi accorto del tradimento.
Ippolito Lante della Rovere, comprando il palazzo e il parco diversi decenni dopo la morte di
Vicino Orsini, potrebbe aver messo in atto una vendetta nei suoi confronti, distruggendo i suoi
documenti, razziando i beni nascosti nel Parco e facendo cadere nell’oblio, oltre al Parco, anche lo
stesso Vicino Orsini! Forse il Duca Ippolito ha voluto vendicare un suo parente o un oltraggio alla
sua famiglia? Oppure apparteneva a un gruppo avverso a quello dell’Orsini, o, semplicemente,
aveva idee diverse e non approvava il suo sogno di pace.
1 La medaglia col ritratto di Vicino Orsini (attualmente conservata al British Museum) è stata realizzata in piombo dallo
scultore senese Pastorino Pastorini (1508-1592)
Il grande affresco che decora la volta del salone del primo piano del Palazzo, fu fatto realizzare dal
Duca Ippolito verso il 1660: questo affresco, comunemente ritenuto una raffigurazione della Guerra
contrapposta alla Pace e da alcuni intitolato il Trionfo della Pace sulla Guerra, è in realtà, come ha
dimostrato Sigfrido Höbel, una raffigurazione delle Quattro Età dell’Umanità, ispirata agli affreschi
sullo stesso tema realizzati da Pietro da Cortona in Palazzo Pitti2. Resta comunque evidente, nella
composizione, una contrapposizione fra la Pace e la Guerra: la scena dell’Età dell’Oro, di cui
abbiamo già vista una versione nel dipinto di Cranach, esprime l’ideale di un’assoluta serenità e
spensieratezza, così come all’Età dell’Argento si possono riferire le scene idilliache della vita
pastorale, simili a quella dell’affresco del Bon Marzo; al contrario, con l’Età del Bronzo hanno
inizio le guerre, che toccano il loro culmine nell’Età del Ferro, la più feroce e crudele di tutte.
La scena che maggiormente mi ha fatto pensare a una ritorsione di Ippolito Lante della Rovere
contro Vicino Orsini, è quella dell’Età del Bronzo, in cui si vede un Imperatore romano, seduto su
un alto podio, che sembra premiare i suoi condottieri e i suoi soldati porgendo loro delle corone; si
può notare che il guerriero alla destra dell’Imperatore si appoggia ad uno scudo rettangolare che
reca lo stemma di Ippolito Lante della Rovere, per cui sembra che il Duca abbia voluto glorificare
se stesso. Se però si osserva con maggiore attenzione il dipinto, il suo significato appare
completamente diverso: in realtà, il gesto che fa l’Imperatore non è quello di porgere la corona al
guerriero alla sua destra, ma di togliergliela, dandola invece al guerriero di sinistra, un signifero
ricoperto da una pelle ferina; l’Imperatore è infatti seduto su un seggio rivolto a sinistra, verso il
signifero, e dà le spalle all’altro guerriero, girandosi verso di lui solo per togliergli la corona.
2 Sigfrido E. F. Höbel: L’affresco delle Quattro Età dell’Uomo nel Palazzo Orsini di Bomarzo (testo ancora inedito).
Il guerriero alla destra, rivestito di un’armatura bianco argento e con un mantello rosso, scambia
con l’Imperatore uno strano sguardo, come se fosse stupito di
quanto sta accadendo; mostra inoltre una ferita sul petto e si può
vedere che anche il braccio destro e le gambe sono insanguinati.
In realtà, questo guerriero non rappresenta affatto Ippolito Lante
della Rovere, ma raffigura piuttosto lo stesso Vicino Orsini,
piuttosto malconcio, al quale il Della Rovere ha sottratto il
dominio delle sue terre; e questa situazione trova conferma nel
fatto che l’Imperatore è seduto sull’alto di un podio che
riproduce molto fedelmente la
forma del “Sasso del
Predicatore”, un antico
monumento che si trova nella campagna di Soriano nel cimino
vicino Montecasoli, in modo da sottolineare la sua presa di
possesso del territorio. Con l’indice della sinistra il guerriero
mostra la sua ferita, ma indica anche lo scudo con lo stemma del
Duca Ippolito, quasi come se fosse costretto ad ammettere che
ormai il potere è passato nelle sue mani. Ho pensato di poter
identificare questo infelice guerriero con Vicino, non solo in base a
questa mia interpretazione della scena, ma anche per la sua
somiglianza col ritratto della medaglia e perché sul cimiero del suo elmo si trovano dei fiocchi rossi
che ricordano le rose araldiche degli Orsini.
Ma la cosa non finisce qui! Alle spalle
del guerriero dalla bianca armatura si
vede una coppia di “barbari”
prigionieri, che siede con aria
sconsolata su un cumulo di armi e
armature. L’uomo, incatenato e
coperto da una tunica bianca e sporca,
fissa tristemente lo sguardo sullo
scudo con le insegne di Ippolito,
mentre la donna, che non è incatenata,
ha evidentemente scelto di seguire la sorte del suo compagno. Ho subito pensato che in questa
immagine il Della Rovere abbia voluto rappresentare la sconfitta di Vicino Orsini e la sua
umiliazione, anche se ha mostrato un maggiore rispetto
per la sua compagna, non facendola rappresentare
incatenata: L’identificazione dell’uomo in catene trova
conferma nella presenza, accanto a lui, di un ricco elmo
ornato con gli stessi fiocchi rossi del guerriero
dall’armatura bianca e simile, anche nella decorazione,
all’elmo che si trova dietro al Gigante; inoltre, dietro
l’elmo, si trova uno scudo su cui si intravede una fascia
con le rose araldiche degli Orsini, simile a quella
dell’Elefante. Come se non bastasse, dietro questo scudo
si vede una sagoma che ripropone proprio l’immagine
dell’Elefante, e che sembra formare con la proboscide un
fiocco simile a quello che abbiamo visto sulla corazza del guerriero stritolato dall’Elefante del
Parco, mentre gli elementi pendenti dalla corazza su
cui siede il prigioniero potrebbero alludere ai
genitali dell’Elefante-Vulcano, strappati da Ippolito;
infine, ai piedi dei prigionieri è poggiata la testa di
un cane, che altro non è se non la testa mozza del
segugio che veglia sulla Dormiente del Parco.
Allora se il guerriero in armatura bianca e il
prigioniero rappresentano entrambi Vicino Orsini, che è il guerriero a cui l’Imperatore porge la
corona? Questo portatore dell’insegna della Legione, rivestito da una cotta di maglia e coperto da
una pelle ferina (di lupo o di orso?) mi sembra che possa essere proprio il rappresentante del Marte
romano, dio della guerra e protettore delle Legioni.
Ecco dunque che Marte trionfa di nuovo e torna con tutti gli
onori nel territorio bomarzese, e con lui vi torna anche la guerra,
i cui orrori sono descritti nella scena successiva, che raffigura
l’Età del Ferro: vi si vedono scene di violenza e di saccheggio,
davanti ad un tempio, la cui forma ricorda quella del Tempietto
del Parco e sul cui architrave leggiamo la scritta HIPOLITUS
LANTES DE. R(OVERE) DUX POLIMARTI. Bomarzo non è dunque
più Bon Marzo, ma è ridiventata la Città di Marte.
Al centro della scena vediamo un soldato che si
allontana dal tempio dopo averlo saccheggiato e
questa immagine mi ha riportato alla mente un
dipinto del Veronese, l’Allegoria della Saggezza e
della Forza3, in cui possiamo di nuovo
riconoscere la coppia di Marte e Venere: si nota
che la figura femminile poggia il piede su una
sfera scura con un cerchio centrale, accanto alla
quale si trova un’altra sfera, che sembra una
specie di testa con la bocca aperta e accanto a
questi due elementi ci sono dei gioielli sparsi in
terra, come se quella seconda sfera fosse un
portagioie. Quella specie di bocca aperta mi ha
ricordato il Mascherone del Parco, che mostra,
sopra la testa, una sfera attraversata da un cerchio
e sormontata da un castello (forse in riferimento al Palazzo Orsini). Forse l’Orsini ha ricostruito
questa sequenza di immagini prendendo spunto dal dipinto e il bello è che quando ho chiesto a
Roberto Bettini, proprietario del Parco, se quella sfera di pietra fosse vuota al suo interno, lui mi ha
3 Veronese: Allegoria della Saggezza e della Forza (ca. 1580, New York, Coll. Frick): le due figure del dipinto possono
essere anche Urania ed Ercole o essere riferite a Venere e Marte, in considerazione della presenza del piccolo Cupido
detto di si, sorpreso che io lo
sapessi; mi ha anche detto che
quando il Parco venne di nuovo
sistemato, era stato trovato un
foro nella parte posteriore della
sfera e che quindi, se
all’interno della sfera fosse stato nascosto un tesoro, questo era stato
saccheggiato in tempi più antichi: nel dipinto del Palazzo Orsini
potrebbe essere stato rappresentato proprio questo saccheggio, il che
conferma l’idea che Ippolito Lante della Rovere derubò e distrusse
buona parte del Parco.
Alla sinistra della scena delle violenze e del saccheggio si vede un boschetto con un uomo che
allunga un braccio in cerca di aiuto, ma non riesce a fuggire, gli sta accadendo qualcosa di strano
che ripropone la stessa situazione descritta da Vicino Orsini nel gruppo del Gigante, in cui abbiamo
visto Marte pietrificato da Vulcano; ora Ippolito ha capovolto la situazione, mostrando il
personaggio che non riesce a fuggire perché si sta pietrificando: se si osservano i suoi pantaloni, si
capisce che in realtà la stoffa si è trasformata in roccia e in quel personaggio, rimasto solo,
riconosciamo Vulcano, destinato all’oblio. Ippolito ha maturato la sua vendetta, facendo cadere
nell’oblio il boschetto e i suoi personaggi di pietra.
I racconti di mio padre
Mio padre era ancora piccolo quando i Borghese avevano ancora la proprietà del Parco, e con il suo
cane Argante sorvegliava le greggi e, insieme, le statue del Parco. Poco dopo, nel 1954, Giovanni
Bettini divenne il nuovo proprietario; mio padre in quel periodo pascolava anche in altre zone del
bomarzese e anche altri pastori frequentavano il parco: in tal modo Bettini ebbe un grosso aiuto,
infatti le pecore contribuivano a togliere la vegetazione che aveva invaso il Parco. Nel cosiddetto
Anno del Nevone, Bettini fece un gesto ammirevole, tanto che mio padre è ancora emozionato
quando lo racconta: in quei momenti difficili per i pastori della zona, Bettini vendette il fieno che
custodiva nei pressi del Parco a un prezzo onesto, sapendo che quei pastori meritavano rispetto,
erano i custodi di quel Parco. Dopo di che Bettini ha fatto un lavoro davvero notevole per poter dare
di nuovo vita al Parco.
Un altro particolare che ci tenevo a dire è che i massi di peperino creati dal vulcano erano già
presenti nel Bosco, come già tutti sanno, per cui, scolpire un grosso blocco, come ad esempio
l’elefante, non avrebbe richiesto molto tempo: una volta che l’artista aveva fatto sbozzare il blocco
a suo piacimento dai cavatori di pietra, l’artista stesso avrebbe poi rifinito con i vari particolari il
resto dell’elefante o di qualsiasi altra scultura. Dico questo, e ritorno a citare mio padre, perché,
oltre che pastore, era un cavatore di pietre e spesso ha cavato pietre di dimensioni notevoli sia per
costruzioni, sia per dei sarcofaghi in peperino per il cimitero di Bomarzo, e sia per conto di diversi
artisti che gli ordinavano blocchi da scolpire; una volta cavato il blocco, buona parte del lavoro di
sbozzatura commissionata dall’artista l’aveva fatta lui, e l’artista poi aveva rifinito la statua da
realizzare. Quindi credo che anche nel parco le sbozzature erano fatte da gente che avrebbero
risparmiato la fatica maggiore agli artisti, e ho sempre detto a mio padre che, come nel ciclismo
esistono i gregari per spingere il campione al traguardo, lui, nei sui tempi, era un “gregario della
pietra”.