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Indice Atti Penali:
1) 5) ATTO DI COSTITUZIONE DI PARTE CIVILE;
2) 4) ISTANZA EX ART. 671 C.P.P;
3) 1) RICHIESTA DI RIESAME EX ARTT. 324, 354 C.P.P;
4) 2) ISTANZA MODIFICA MISURE CAUTELARI;
5) 7) OPPOSIZIONE RICHIESTA DI ARCHIVIAZIONE ART. 408 C.P.P;
6) RICHIESTA AI SENSI DELL’ART. 572 C.P.P;
7) ATTO DI APPELLO;
8) RICHIESTA DI RIESAME EX ART. 309 C.P.P;
9) 3) DICHIARAZIONE DI APPELLO AI SENSI DELL’ART. 310 C.P.P;
10) ATTO DI QUERELA;
11) MEMORIA DIFENSIVA AI SENSI DELL’ART. 415 BIS C.P.P;
12) RICORSO PER CASSAZIONE;
13) ISTANZA DI AFFIDAMENTO IN PROVA AL SERVIZIO SOCIALE
14) 6) DICHIARAZIONE DI APPELLO DELLA PARTE CIVILE.
TRIBUNALE ORDINARIO DI…………….
SEZIONE DEI GIUDICI PER LE INDAGINI PRELIMINARI E
DELL’UDIENZA PRELIMINARE
ATTO DI COSTITUZIONE DI PARTE CIVILE
Il sottoscritto Avv. ……., in nome e per conto di Tizio, nato a ……., il giorno …..,
e di Caia, nata a ……, il giorno…., coniugi, in proprio e nella loro qualità di
esercenti la potestà genitoriale sul figlio minore Sempronio, nato a ……, il
giorno….., tutti residenti in ……, nella Via ….., rappresentati e difesi giusta
procura speciale in calce del presente atto dal sottoscritto Avv. ….., presso il cui
studio sito in …., Via ...., sono domiciliati ex lege, ai sensi dell’Art. 100, comma
quinto, C.P.P., nella loro qualità di persone danneggiate dal reato,
Dichiara
di costituirsi parte civile, nell’interesse dei sopra nominati Tizio, Caia e Sempronio,
nei confronti di Mevio, nato a …., il giorno….., residente in ….., nella Via ….,
imputato del reato di cui all’Art. 643 C.P. per avere, al fine di procurare a sé un
profitto, abusato della minore età di Sempronio, oltre che della sua limitata capacità
di intendere e di volere, inducendo lo stesso, in diverse occasioni, a consegnargli le
somme di denaro regalategli dai genitori, per complessivi euro 500,00.
Mevio, imputato nel procedimento penale n. ….. R.N.R. e n. …. G.I.P., veniva
citato a giudizio per l’udienza in data 27 settembre 2008 nanti il Giudice
dell’Udienza Preliminare presso il Tribunale Ordinario di …..
Tizio e Caia, quali soggetti danneggiati dal reato, e Sempronio, quale persona
offesa dal reato ed al contempo soggetto danneggiato dallo stesso, intendono
chiedere, come fin da ora chiedono, il risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e
non patrimoniali, derivanti dalla condotta criminosa posta in essere dall’imputato
Mevio.
Al riguardo, è incontestabile che la condotta criminosa ascrivibile all’imputato
Mevio abbia cagionato notevoli danni morali e patrimoniali alla persona offesa dal
reato, il minore Sempronio, ed ai di lui genitori, Tizio e Caia, in quanto tali
senz’altro persone danneggiate dal reato.
Il comportamento illecito reiteratamente posto in essere da Mevio appare tanto più
grave e lesivo quanto più si consideri che lo stesso è stato realizzato nei confronti
di una persona, Sempronio, fragile ed indifesa in ragione della sua minore età e,
soprattutto, delle sue limitate capacità intellettive e volitive.
L’imputato ha, con la propria condotta, inciso negativamente sulla già complessa e
delicata vita di relazione del minore Sempronio.
Si aggiunga, peraltro, il profondo stato d’animo di angoscia e sconforto patito dai
genitori, Tizio e Caia, derivante dalla triste vicenda di cui il figlio è stato vittima
inconsapevole.
Gli stessi genitori, comprensibilmente scossi e provati per l’accaduto, vivono nel
timore che episodi analoghi al fatto criminoso realizzato dall’imputato a danno del
minore, e per il quale oggi si procede, possano nuovamente verificarsi.
Tizio e Caia temono, pertanto, che altri possano abusare delle ridotte capacità del
figlio Sempronio e possano in qualche modo approfittarne.
A tutt’oggi nei genitori di Sempronio e nello stesso minore permangono un
giustificato senso di paura ed una sensibile diffidenza nei confronti dei terzi
estranei, sentimenti che mal si conciliano con l’instaurazione di ordinari rapporti
sociali.
Da ultimo, non può non essere sottolineata la circostanza per la quale il minore
Sempronio era, all’epoca dei fatti, sottoposto ad un procedimento civile di
interdizione, instaurato dai genitori proprio nel tentativo, rivelatosi poi vano, di
tutelare nel migliore dei modi gli interessi e le esigenze del figlio, ponendolo al
riparo dai rischi derivanti dalla sua limitata capacità di intendere e di volere.
Per tutti questi motivi, si intende chiedere, come fin da ora si chiede, il giusto
risarcimento di tutti i danni patiti dalla persona offesa, il minore Sempronio, e dalle
persone danneggiate del reato, Tizio e Caia, in proprio ed in qualità di esercenti la
potestà genitoriale sul figlio minore, il cui ammontare verrà determinato in corso di
causa.
Luogo, Data,Avv. ……
Procura speciale
Il sottoscritto Tizio, nato a ….., il giorno….., e la sottoscritta Caia, nata a …., il
giorno….., coniugi, entrambi residenti in ……, nella Via ….., in proprio e nella
loro qualità di esercenti la potestà genitoriale sul figlio minore Sempronio, nato a
….., il giorno….., in qualità di persone danneggiate dal reato nel procedimento
penale n. ….. R.N.R. e n. ….. G.I.P., nei confronti di Mevio, dichiarano di
nominare quale difensore e procuratore speciale l’Avv. ……, con studio legale sito
in ….., nella Via ….., al quale conferiscono procura speciale al fine di sottoscrivere
il presente atto, delegandolo a rappresentarli e difenderli nel summenzionato
procedimento, in ogni stato e grado fino a completa esecuzione, a far valere il
risarcimento di tutti i danni subiti in conseguenza del fatto criminoso, così come in
generale la tutela dei diritti, delle ragioni ed interessi legittimi con esso connessi,
conferendogli le più ampie facoltà di legge, compresa quella di transigere e
conciliare la lite, oltre che di nominare sostituti, conferendo fin da ora procura
speciale al fine della costituzione di parte civile per ottenere, previa affermazione
della penale responsabilità dell’imputato, la condanna al risarcimento dei danni
subiti.
Eleggono domicilio presso il di lui studio legale sito in …., nella Via …..
Luogo, Data,
Tizio Caia
sono autentiche
Avv.
TRIBUNALE ORDINARIO GAMMA
IN FUNZIONE DI GIUDICE DELL’ESECUZIONE
Istanza ex Art. 671 C.P.P.
Ill.mo Sig. Giudice,
Il sottoscritto difensore di Tizio, giusta nomina in calce alla presente istanza,
premesso che
Con sentenza n. __ del giorno 15 gennaio 2008, irrevocabile in data ___,
pronunciata, ad esito di giudizio direttissimo, dal Tribunale Alfa in Composizione
Monocratica, il prevenuto veniva condannato alla pena di anni uno di reclusione ed
euro 150,00 di multa, perché riconosciuto penalmente responsabile in ordine ai
delitti di cui agli Artt. 624, 625 n. 7 C.P.
Con sentenza n. __ del giorno 20 febbraio 2008, irrevocabile in data ____,
pronunciata, ad esito di giudizio direttissimo, dal Tribunale Beta in Composizione
Monocratica, Tizio veniva condannato alla pena di mesi nove di reclusione ed euro
200,00 di multa perché riconosciuto penalmente responsabile in ordine ai delitti di
cui agli Artt. 624, 625 n. 5 C.P.
Da ultimo, con sentenza n. __ del giorno 15 giugno 2008, irrevocabile in data ____,
pronunciata, ad esito di dibattimento, dal Tribunale Gamma in Composizione
Monocratica, l’odierno istante veniva condannato alla pena di anni uno e mesi sei
di reclusione ed euro 400,00 di multa perché riconosciuto penalmente responsabile
in ordine ai reati di cui all’Art. 624bis C.P.
Tutto ciò premesso, nell’interesse di Tizio, il sottoscritto difensore
espone
Il competente organo giudicante ha erroneamente omesso di riconoscere la
sussistenza del vincolo della continuazione ex Art. 81, comma secondo, C.P., tra i
reati in ordine ai quali è stata affermata, dalle sopra menzionate sentenze, la penale
responsabilità dell’odierno istante.
Al riguardo, infatti, l’esistenza di un unico disegno criminoso, sotteso ad ogni
singola condotta delittuosa realizzata da Tizio, può senz’altro desumersi
dall’omogeneità delle condotte contestategli e dalla sistematicità delle stesse.
In primo luogo, le sentenze di condanna, pronunciate nei confronti del prevenuto
concernono esclusivamente la commissione di delitti contro il patrimonio, ovvero il
delitto di furto aggravato.
In secondo luogo, il breve arco temporale, appena due mesi, nel quale i reati sono
stati commessi, è elemento sintomatico del carattere continuativo della attività
delinquenziale ascrivibile al prevenuto, a sua volta idoneo a rivelare la sostanziale
riconducibilità di ciascuna condotta illecita ad un unitaria ideazione criminosa.
Peraltro, ulteriore circostanza di cui si sarebbe dovuto debitamente tenere conto al
fine di riconoscere il vincolo di continuazione tra i reati commessi da Tizio, è
rappresentata dall’acclarato stato di tossicodipendenza di quest’ultimo.
L’Art. 671 C.P.P., primo comma, dispone, tra l’altro, che “Fra gli elementi che
incidono sull’applicazione della disciplina del reato continuato vi è la
consumazione di più reati in relazione allo stato di tossicodipendenza”.
Orbene, per quanto sia pacifico che lo stato di tossicodipendenza non sia di per sé
stesso elemento decisivo ai fini della valutazione della unitarietà del disegno
criminoso, esso è comunque idoneo, se considerato unitamente agli elementi sopra
indicati, a rivelare come ciascuna condotta delittuosa realizzata dal prevenuto,
costituisca realizzazione del proprio programma criminoso e, come tale, sia
finalizzata al conseguimento del fine ultimo ab origine perseguito da Tizio, ovvero
il reperimento delle risorse economiche necessarie al soddisfacimento delle
esigenze connesse alla propria tossicodipendenza.
Tutto quanto sopra esposto, nell’interesse di Tizio, il sottoscritto difensore fa
istanza
Affinché l’Ill.mo Tribunale Gamma, in funzione di Giudice dell’Esecuzione,
valutata la legittimità della richiesta e la sussistenza dei presupposti di Legge,
Voglia, ai sensi dell’Art. 671 C.P.P., con riferimento alle summenzionate sentenze
irrevocabili, applicare la disciplina della continuazione di cui all’Art. 81, comma
secondo, C.P. e per l’effetto provvedere alla rideterminazione ed alla congrua
riduzione della pena risultante dalla somma delle pene inflitte con ciascuna
sentenza, in misura tale da consentire la concessione della sospensione
condizionale della pena medesima ed ogni altro beneficio di Legge.
In subordine, rideterminare la pena nei limiti stabiliti all’art. 671 c. 2 c.p.p..
Si allega copia delle tre sentenza citate
Luogo, Data,
Avv.
Nomina e procura speciale
Il sottoscritto Tizio, nato a ____, il giorno ____, residente in ____, nella Via ___, n.
_____, con riferimento alle sentenze n.___ del 15 gennaio 2008, irrevocabile in
data ____, sentenza n. _____ del 20 febbraio 2008, irrevocabile in data ____,
sentenza n. ____ del 15 giugno 2008, irrevocabile in data ____,
nomina
Quale proprio difensore l’Avv. ______ con studio in ____, nella Via ____, allo
stesso conferendo ogni facoltà e potere previsto dalla Legge ed espressa procura
speciale al fine di redigere, sottoscrivere e depositare la presente istanza ed a
rappresentarlo e difenderlo in ogni fase e grado del relativo procedimento.
Luogo, Data
Tizio
È autentica
Avv.
Tribunale di
Richiesta di riesame ex Artt. 324, 354 C.p.p.
Il sottoscritto difensore di fiducia, giusta nomina depositata in data , di Tizio, nato
a _______, il _______, residente in _________, propone richiesta di riesame del
decreto con il quale Pubblico Ministero presso il Tribunale di ………… ha
disposto la convalida della perquisizione e del sequestro probatorio, eseguiti in
data………. dalla polizia giudiziaria nei confronti di Tizio, per i seguenti
Motivi
L’impugnato decreto è nullo.
La perquisizione ed il sequestro, con il medesimo convalidati, sono illegittimi in
quanto eseguiti dalla polizia giudiziaria a seguito di una mera segnalazione
anonima.
Giova al riguardo ricordare che, ai sensi dell’Art. 333, terzo comma, C.p.p., “Delle
denunce anonime non può essere fatto alcun uso, salvo quanto disposto dall’Art.
240 C.p.p.” ovvero salva l’ipotesi di documenti anonimi costituenti corpo del reato
o provenienti dall’imputato.
La denuncia anonima non può valere come notitia criminis, in quanto essa è per
definizione priva delle caratteristiche che deve possedere una notizia di reato per
poter essere considerata tale, dunque suscettibile di utilizzazione processuale.
La notizia di reato deve, infatti, pervenire all’autorità competente in un atto di cui
un soggetto si assuma la paternità e deve, altresì, essere sufficientemente dettagliata
al fine di delineare un fatto che abbia le connotazioni essenziali di una fattispecie
criminosa, idonee a legittimare l’iscrizione nel registro delle notizie di reato ed il
conseguente avvio delle indagini preliminari.
La denuncia anonima può tuttavia stimolare una attività di accertamento della
autorità giudiziaria o della polizia giudiziaria, purché suddetta attività non si risolva
nel compimento di atti pregiudizievoli dei diritti fondamentali della persona.
Orbene, è evidente che una perquisizione ed un sequestro siano per natura atti
lesivi dei diritti del cittadino.
In ragione dell’oggettivo ed intrinseco carattere pregiudizievole, i citati mezzi di
ricerca della prova sono ammessi solo se preordinati alla ricerca ed alla
conseguente acquisizione del corpo del reato o di cose pertinenti al reato necessarie
per l’accertamento dei fatti, nell’ambito di una attività investigativa relativa ad una
determinata notitia criminis che, per i motivi sopra esposti, non può essere
costituita da una segnalazione anonima.
Al contrario, la perquisizione ed il sequestro, erroneamente convalidati dal
Pubblico Ministero, venivano eseguiti nei confronti di Tizio esclusivamente in
forza di una segnalazione anonima ricevuta dalla polizia, oltre la quale non vi era
nessun altro elemento che potesse far ritenere concretamente sussistente un fumus
commissi delicti e così legittimare l’iniziativa della stessa polizia giudiziaria.
Peraltro, la illegittimità della perquisizione e del sequestro de quibus rileva anche
sotto un altro profilo.
L’Art. 103 C.p.p. prevede delle speciali garanzie di libertà con riferimento alle
ispezioni, alle perquisizioni o ai sequestri che debbano svolgersi nell’ufficio di un
avvocato difensore, intendendosi per difensore tanto il difensore della persona
imputata od indagata nel procedimento in cui sorge la necessità di svolgere le
attività di ispezione, perquisizione o sequestro, quanto un qualsiasi professionista,
iscritto all’albo forense, che abbia assunto, nel procedimento in questione od in
altro procedimento estraneo alle attività suddette, la difesa di un assistito.
Le garanzie di cui all’Art. 103 C.p.p. costituiscono, infatti, secondo il più recente
orientamento giurisprudenziale, espressione, non già di un privilegio di categoria,
bensì del diritto di difesa, la cui inviolabilità è sancita dall’Art. 24 della
Costituzione.
Le disposizioni di cui all’Art. 103 C.p.p. sarebbero dovute essere rispettate con
riferimento alla perquisizione ed al sequestro operati nei confronti di Tizio, posto
che tali atti venivano compiuti all’interno di uno studio professionale di cui era
titolare un altro avvocato, Caio.
Inoltre, la norma richiamata dispone, ai commi terzo e quarto, che “Nell’accingersi
ad eseguire una ispezione, una perquisizione o un sequestro nell’ufficio di un
difensore, l’autorità giudiziaria a pena di nullità avvisa il consiglio dell’ordine
forense del luogo perché il presidente o un consigliere da questo delegato possa
assistere alle operazioni. Allo stesso, se interviene e ne fa richiesta, è consegnata
copia del provvedimento. Alle ispezioni, alle perquisizioni ed ai sequestri negli
uffici dei difensori procede personalmente il giudice ovvero, nel corso delle
indagini preliminari, il pubblico ministero in forza di motivato decreto di
autorizzazione del giudice”.
E’ palese l’inosservanza di tali disposizioni con riferimento alla perquisizione ed al
sequestro eseguiti nei confronti di Tizio all’interno dello studio professionale.
In primo luogo, l’attività di perquisizione e di sequestro è stata posta in essere non
dal giudice o dal pubblico ministero da questi autorizzato, bensì direttamente dalla
polizia giudiziaria con evidente violazione del comma quarto dell’Art. 103 C.p.p.
Inoltre, la medesima polizia procedente ha omesso di inviare al consiglio
dell’ordine forense l’avviso prescritto a pena di nullità dal terzo comma dell’Art.
103 C.p.p.
Suddetto avviso è obbligatorio nel caso in cui l’attività di ispezione, perquisizione
o sequestro venga svolta nell’ufficio di un difensore, con la sola eccezione
dell’ipotesi in cui il difensore sia lo stesso indagato nei confronti del quale si deve
procedere.
Eccezione che non si configura nel caso di Tizio.
La polizia giudiziaria era, infatti, tenuta a dare l’avviso de quo poiché la
perquisizione ed il sequestro dovevano essere eseguiti, come detto, in uno studio di
cui titolare era un avvocato del tutto estraneo all’attività investigativa e nei
confronti di un difensore, Tizio, che non era ancora formalmente indagato: nessuna
notizia di reato era stata ancora iscritta nel relativo registro.
Da ultimo, si eccepisce la violazione degli Artt. 253, 354 C.p.p., con conseguente
illegittimità del sequestro operato nei confronti di Tizio.
Ciò in quanto la misura disposta dalla polizia giudiziaria ha riguardato beni, quali
la scrivania ed il computer personale di Tizio, che non costituiscono né corpo del
reato né tanto meno cose pertinenti al reato.
Per tutti questi motivi, Vorrà l’adito Tribunale di……………… disporre
l’annullamento dell’impugnato decreto e per l’effetto disporre la restituzione dei
beni sequestrati a Tizio.
In subordine, disporre altra misura meno gravosa e nominare custode dei beni
sequestrati Tizio
Luogo, Data , Avv.
Tribunale Ordinario di
Sezione dei Giudici per le Indagini Preliminari e dell’Udienza Preliminare
Ill.mo Sig. Giudice per le Indagini Preliminari,
il sottoscritto difensore giusta nomina depositata in data, del Sig., nato a , il,
residente in, nella Via , , indagato nel procedimento penale n. R.N.R., G.I.P.
PREMESSO CHE
In data 06 maggio 2009, il Sig. veniva tratto in arresto in esecuzione dell’ordinanza
di custodia cautelare in carcere, nella medesima data emessa dal Giudice per le
Indagini Preliminari presso il Tribunale di
In data 08 maggio 2009, il Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale
di procedeva all’interrogatorio dell’indagato, il quale acconsentiva a rispondere alle
domande formulategli.
Tutto ciò premesso, nell’interesse del Sig.,
ESPONE
Gli elementi forniti dal, nel corso dell’interrogatorio nanti il Giudice per le Indagini
Preliminari, consentono di escludere la sussistenza, a carico dello stesso, dei gravi
indizi di colpevolezza in ordine ai reati contestati, che hanno determinato
l’adozione della misura cautelare della custodia in carcere.
La assoluta estraneità del prevenuto ai fatti ascrittigli ben potrà essere confermata
dai soggetti che il ha indicato in sede di interrogatorio, delle quali appare pertanto
necessaria ed improcrastinabile l’audizione a sommarie informazioni.
Parimenti insussistente in capo al Sig. è l’asserito pericolo di commissione di delitti
della stessa specie, ritenuto dal Giudice per le Indagini Preliminari concreto ed
attuale, non solo per le modalità del fatto ma anche in ragione dell’esistenza di un
precedente penale specifico a carico dello stesso.
Al riguardo, non può non rilevarsi che l’asserito precedente penale specifico,
risalente a nove anni fa, sia costituito da una sentenza ex Art. 444 c.p.p. ad appena
tre mesi di reclusione per i reati di cui agli Artt. 337, 582 C.p.
L’esiguità della pena inflitta è certamente sintomatica della marginale gravità della
condotta criminosa all’epoca posta in essere dal Sig.
E’ evidente che un simile precedente penale, datato e di lieve gravità, non sia di per
se stesso idoneo a giustificare il giudizio di pericolosità sociale, formulato nei
confronti del prevenuto, così grave da far ritenere adeguata l’applicazione allo
stesso di una misura cautelare estremamente afflittiva quale la custodia in carcere.
Peraltro, deve essere adeguatamente valutata anche un’ ulteriore circostanza.
Il giorno 21 aprile 2009, la Polizia Giudiziaria sottoponeva il Sig. ad
identificazione in qualità di persona sottoposta alle indagini.
Due giorni dopo, il 23 aprile 2009, il quotidiano , nella sezione dedicata alla
cronaca della, riportava la notizia del coinvolgimento nelle indagini relative ai fatti
di cui al presente procedimento, del Sig. e del Sig. A tale notizia, il quotidiano dava
notevole risalto con un articolo a tre colonne e con la pubblicazione delle fotografie
degli indagati.
Orbene, la irreprensibile condotta tenuta dal nei quindici giorni trascorsi dalla
identificazione ad opera della Polizia Giudiziaria, atto con il quale egli veniva di
fatto a conoscenza delle indagini svolte nei suoi confronti, fino al giorno in cui
veniva data esecuzione all’ordinanza di applicazione della custodia in carcere, il 6
maggio 2009, è elemento senz’altro decisivo per la formulazione di un giudizio
prognostico favorevole circa la personalità del prevenuto.
Laddove,infatti, sussistesse realmente il concreto ed attuale pericolo di
commissione di delitti della stessa specie, come asserito nell’ordinanza applicativa
della custodia in carcere, ovvero laddove sussistesse altra esigenza cautelare, il Sig.
avrebbe tenuto un comportamento differente da quello effettivamente posto in
essere.
Oltretutto, nonostante fin dal 21 aprile 2009 il sia stato identificato, sottoposto a
rilievi dattiloscopici e invitato a nominare un difensore di fiducia, risulta che il
procedimento penale a suo carico sia stato iscritto nel registro solamente poco
prima che venisse richiesta, nei suoi confronti, la adozione della più grave misura
cautelare.
Ciò ha purtroppo impedito al in assenza di un procedimento penale formalmente
iscritto a suo carico, di depositare tempestivamente la nomina dei propri difensori
di fiducia e, soprattutto, gli ha impedito di richiedere di essere sottoposto ad
interrogatorio prima della adozione della custodia cautelare in carcere.
Da ultimo, è opportuno ricordare che il Sig. svolge una stabile e regolare attività
lavorativa, con la quale contribuisce al proprio sostentamento ed alle esigenze della
propria famiglia.
La perdita del posto di lavoro, conseguente alla prolungata impossibilità di
svolgere la attività lavorativa in ragione della applicazione della misura cautelare
della custodia in carcere, costituirebbe per il prevenuto un gravissimo pregiudizio.
Proprio lo svolgimento da parte dell’indagato di una regolare attività lavorativa ben
dovrebbe indurre il Sig. Giudice delle Indagini Preliminari presso il Tribunale di a
disporre la revoca della misura della custodia in carcere, o quanto meno la sua
sostituzione con altra meno afflittiva.
Tutto ciò sopra esposto, nell’interesse del Sig, il sottoscritto difensore fa
ISTANZA
affinché l’Ill.mo Sig. Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di,
considerati insussistenti i gravi indizi di colpevolezza, ovvero ritenute insussistenti
o attenuate le esigenze cautelari, rilevata la necessità per il Sig. di svolgere la
propria attività lavorativa, la sussistenza delle condizioni previste per Legge e la
legittimità della richiesta, a modifica della propria ordinanza in data 06 maggio
2009, Voglia, nei confronti dell’indagato,
in via principale, revocare la disposta misura cautelare della custodia in carcere;
in subordine, sostituirla con altra misura meno afflittiva o, al più, sostituirla con la
misura cautelare degli arresti domiciliari ai sensi dell’Art. 284 C.p.p..
Luogo data Avv.
TRIBUNALE DI
SEZIONE DEI GIUDICI PER LE INDAGINI PRELIMINARI E
DELL’UDIENZA PRELIMINARE
Il sottoscritto difensore, come da nomina depositata in data, della Sig.ra, nata a, il
giorno, residente, nella, propone
OPPOSIZIONE
alla richiesta di archiviazione del procedimento penale n° r.g.n.r., presentata in data
8 settembre 2008 dal Pubblico Ministero della Procura della Repubblica presso il
Tribunale di Cagliari, notificata in data 1 ottobre 2008, per i seguenti
MOTIVI
Il Pubblico Ministero, nel motivare la richiesta di archiviazione, ha ritenuto che
“non sono emersi elementi utili per l’identificazione dei responsabili del reato per
cui si procede e comunque per l’ulteriore prosecuzione delle indagini preliminari”
.Posto che il Pubblico Ministero procedente ha implicitamente ritenuto ravvisabili
nei fatti esposti in querela elementi riconducibili al delitto di truffa di cui all’art.
640 c. p., le richiamate considerazioni non sono in alcun modo condivisibili.
Invero, è pacifico che il giorno 11 giugno 2008 sia stata prelevata dal conto della
persona offesa, a sua insaputa ed in maniera fraudolenta, la somma di € 80,00.
In particolare, terze persone non autorizzate hanno utilizzato la carta Postepay n.
intestata alla Sig.ra per effettuare una ricarica telefonica tim on line di € 80,00,
come ampiamente provato dalla lista movimenti della citata carta Postepay allegata
alla denuncia-querela. Al riguardo, non è stata però svolta alcuna attività
d’indagine volta, in primo luogo, ad individuare ed acquisire il numero dell’utenza
telefonica a favore della quale è avvenuta la sopra descritta ricarica e, in secondo
luogo, ad accertare l’identità dell’intestatario della relativa scheda telefonica.
Certo non poteva attribuirsi alla Sig.ra l’identificazione dell’autore dell’operazione
in oggetto, dal momento che Poste Italiane S.p.a. non può fornire in merito alcuna
informazione ai privati per evidenti ragioni di privacy. Ad ogni modo, la persona
offesa ha allegato all’atto di querela anche la comunicazione ricevuta da Poste
Italiane S.p.a., Business Unit BancoPosta, Operazioni Monetica e Nuovi Canali,
Ufficio Issuing, comunicazione ricevuta in risposta alla sua richiesta di bloccare la
carta Postepay a lei intestata e di rimborso della somma illecitamente sottrattale.
Si evince chiaramente dall’indicata comunicazione che la società Poste Italiane sia
a conoscenza del numero dell’utenza telefonica a favore della quale è avvenuta la
ricarica con l’illecito utilizzo della carta Postepay della persona offesa.Se è vero
che Poste Italiane S.p.a. non è autorizzata a fornire detta informazione ad un
soggetto privato quale la Sig.ra, altrettanto vero è che la medesima informazione
può invece essere comunicata all’Autorità procedente nello svolgimento delle
indagini preliminari.
NUOVE PROVE
Durante le attività di indagine poste in essere con riferimento al suddetto
procedimento si è proceduto esclusivamente a prendere visione del verbale di
denuncia orale sporta dalla persona offesa in data 13 giugno 2008 presso gli Uffici
della Stazione Carabinieri di E’ indubbia pertanto l’incompletezza delle indagini
svolte in quanto è stato sottovalutato un aspetto di fondamentale rilevanza, ovvero
il fatto che Poste Italiane S.p.a. conosce il numero dell’utenza telefonica che ha
tratto profitto dall’illecita condotta oggetto dei fatti esposti in querela.Il
compimento dell’attività di acquisizione di tale numero telefonico, tramite richiesta
inoltrata a Poste Italiane S.p.a., avrebbe successivamente consentito al Pubblico
Ministero procedente di accertare anche l’identità dell’intestatario della relativa
scheda telefonica, tramite interrogazione al gestore telefonico Tim.Lo svolgimento
delle indicate attività d’indagine porterà indubbiamente all’accertamento di
elementi idonei ad identificare i responsabili del reato per cui si procede e, in
particolare, all’individuazione del soggetto che, con artifizi e raggiri, avendo
illegalmente sottratto informazioni riservate inerenti la carta Postepay intestata alla
persona offesa, si è procurato un ingiusto profitto in danno della Sig.ra, prelevando
dal conto di quest’ultima, a sua insaputa ed in maniera fraudolenta, la somma di €
80,00. In ragione delle considerazioni sopra esposte, si rende necessario procedere
quanto meno agli indicati adempimenti istruttori che, in ogni caso, andrebbero ad
integrare le indagini svolte, altrimenti carenti.
Per i motivi suddetti, si insiste nell’opposizione alla richiesta di archiviazione e si
chiede che l’Ill.mo Sig. Giudice voglia indicare le ulteriori indagini da compiersi,
disponendo l’acquisizione del numero dell’utenza telefonica a favore della quale è
avvenuta la summenzionata ricarica telefonica tim on line e l’accertamento
dell’identità dell’intestatario della relativa scheda telefonica, tramite richiesta a
Poste Italiane S.p.a. ed al gestore telefonico Tim.
Luogo data
Avv
PROCURA DELLA REPUBBLICA
PRESSO IL TRIBUNALE DI
Richiesta ai sensi dell’Art. 572 C.p.p.
Ill.mo Sig. Pubblico Ministero,
il sottoscritto difensore, giusta nomina presente agli atti, del Sig., nato a Cagliari, il
giorno, residente in, persona offesa, non costituita parte civile, nel procedimento
penale n. R.G.P.M., n. R.G.G.I.P. nei confronti di, imputato in ordine al delitto di cui
agli Art. 595 C.p., Art. 13 L. 8 febbraio 1948, n. 47, , imputato in ordine al delitto di
cui all’Art. 13 L. 8 febbraio 1948, n. 47 in relazione all’Art. 595 C.p., , imputati in
ordine al delitto di cui agli Art. 595 C.p., Art. 13 L. 8 febbraio 1948, n. 47,
CHIEDE
che la S.V. Ill.ma Voglia proporre impugnazione avverso la sentenza n. del 4
novembre 2008, depositata il giorno 5 gennaio 2009, con la quale il Giudice
dell’Udienza Preliminare presso il Tribunale di ha dichiarato di non doversi
procedere nei confronti di in ordine ai reati ascritti, perché riconosciuti non punibili
per aver agito nell’esercizio del diritto di critica, per i seguenti
MOTIVI
La sentenza è nulla ai sensi dell’Art. 178, lett. c), C.p.p. L’udienza preliminare in
data 04 novembre 2008, ad esito della quale il Giudice dell’Udienza Preliminare
presso il Tribunale di ha pronunciato la impugnata sentenza, si è tenuta nonostante
l’assenza, determinata da legittimo impedimento, esclusivamente imputabile a forza
maggiore, del sottoscritto difensore della persona offesa, il Sig.
Al riguardo, il giorno 04 novembre 2008, tra le ore cinque e le sette del mattino, un
violentissimo nubifragio colpiva diverse zone della Sardegna, determinando la
chiusura totale al traffico della strada statale 131 ad opera della Protezione Civile
(come attestato dall’edizione della Unione Sarda del giorno 05 novembre 2008).Il
sottoscritto, mentre percorreva la strada statale 131 diretto a, in prossimità del paese
di Villagreca, si vedeva costretto, su ordine della Protezione Civile, ad effettuare
l’inversione di marcia e tornare verso Cagliari.
Peraltro, mediante comunicazione trasmessa a mezzo telefax, veniva
immediatamente informato il Giudice dell’Udienza Preliminare presso il Tribunale di
dell’imprevisto impedimento, chiedendo altresì che l’udienza venisse cortesemente
rinviata al fine di consentire la partecipazione della persona offesa e la sua
costituzione quale parte civile. Il sottoscritto, inoltre, provvedeva ad informare
telefonicamente dell’impedimento il difensore degli imputati.L’istanza di rinvio,
sebbene giustificata, veniva disattesa e l’udienza si teneva regolarmente.La decisione
adottata dal Giudice dell’Udienza Preliminare presso il Tribunale di ha cagionato un
gravissimo pregiudizio al diritto di difesa della persona offesa.E’ infatti evidente che,
indipendentemente dal fatto che la presenza della persona offesa in udienza
preliminare possa ritenersi non necessaria, la mancata concessione del richiesto
rinvio abbia precluso alla stessa l’esercizio dei diritti e delle facoltà che la legge
espressamente le attribuisce, quale ad esempio il diritto di costituirsi parte civile.
La sentenza è altresì manifestamente inesatta.
Il Giudice dell’Udienza Preliminare presso il Tribunale di ha erroneamente ritenuto la
condotta contestata agli imputati, come sopra indicati, non punibile per la sussistenza
della scriminante del diritto di critica politica, risultante dal combinato disposto degli
Art. 21 della Costituzione ed Art. 51 Codice Penale.
Giova al riguardo ricordare che la configurabilità dell’esimente del diritto di critica
politica, con conseguente non punibilità dell’offesa eventualmente arrecata all’altrui
reputazione, postula il rispetto del cosiddetto principio di continenza.
Secondo il principio de quo, perché possa ritenersi sussistente la scriminante
disciplinata dall’Art. 51 C.p., nella species del diritto di critica, la narrazione dei fatti,
oltre ad essere rilevante per il pubblico interesse e veritiera, deve caratterizzarsi per la
sostanziale correttezza delle espressioni adoperate.
Esulano, infatti, dall’esimente del diritto di critica, sia essa politica o giornalistica, le
espressioni, le valutazioni e le opinioni che, manifestamente sovrabbondanti e
denigratorie, trasformino la critica in una offesa gratuita e personale della altrui
reputazione.
Il principio di continenza costituisce il limite oltrepassato il quale la condotta lesiva
della altrui reputazione non può considerarsi in alcun modo scriminata ai sensi
dell’Art. 51 C.p.
Al riguardo, si legge invece in sentenza: “Ciò posto, deve tuttavia anzitutto
sottolinearsi come il linguaggio utilizzato, pur risultando assai critico verso le
condotte dell’Amministrazione Comunale, non travalichi mai il limite della
continenza, non contenendo frasi in sé offensive per i termini utilizzati” ed aggiunge
“Occorre sul punto ricordare come il diritto di critica, sancito dall’Art. 21 della
Costituzione, consente nelle dispute politiche e sindacali toni di disapprovazione
anche aspri, a condizione che non si trasmodi in attacchi personali e non si sconfini
nella contumelia e nella lesione della reputazione dell’avversario. Non si ritiene
pertanto che negli atti indicati si sia ecceduto dal limite della continenza, il quale
peraltro in tema di critica politica si pone come estremamente lato, proprio per non
intaccare il libero esercizio di tale attività”. Il Giudicante pone a fondamento del
proprio assunto due recenti pronunce della Suprema Corte di Cassazione, in virtù
delle quali sarebbero state valutate idonee ad integrare la causa di giustificazione
dell’esercizio del diritto di critica politica, espressioni dal Giudice a quo ritenute ben
più offensive di quelle per le quali veniva chiesto il rinvio a giudizio degli odierni
imputati
Peraltro, con la prima delle citate sentenze, la sentenza n. 13880 del 18 dicembre
2007, i Giudici di Legittimità hanno ritenuto non punibile l’uso dell’espressione
“protettori di illegalità”, perché scriminato dall’esercizio del diritto di critica
politica, precisando al contempo che tale esimente sussistesse con riferimento allo
specifico contesto nel quale la frase era stata pronunciata.Sul punto, la Suprema
Corte afferma infatti “In tema di tutela penale dell'onore, al fine di apprezzare
l'eventuale rilevanza penale delle espressioni obiettivamente lesive dell'altrui
onore o decoro, occorre "contestualizzarle", ossia valutarle in rapporto al contesto
spazio-temporale nel quale sono state proferite. Ne consegue che è possibile
applicare la scriminante del diritto di critica, allorché si tratti di espressioni
costituenti la manifestazione di una critica politica (come nella specie, in cui
queste erano risultate proferite nel corso di un dibattito nell'aula di un consiglio
comunale, nell'ambito di un'accesa polemica riguardante l'approvazione del piano
di lottizzazione), di guisa che il loro significato finisce con il trascendere l'ambito
individuale o la sfera personale delle persone offese, esprimendo piuttosto una
valutazione prettamente politica” (Cass. Pen., Sez. V, n. 13880/2007).
Al fine di verificare la sussistenza della scriminante dell’esercizio del diritto di
critica politica è pertanto indispensabile, secondo quanto affermato dalla Corte di
Legittimità, valutare il contesto nel quale vengono proferite espressioni di per sé
stesse lesive dell’altrui reputazione. La necessità di “contestualizzare” le
espressioni che potrebbero astrattamente configurare il delitto di diffamazione, è
desumibile anche dalla seconda sentenza, richiamata dal Giudice di primo grado,
con la quale la Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto i termini “furfante” e
“furfanteria”, per quanto offensivi, integranti la esimente di cui all’Art. 51 C.p.
essendo stati adoperati rispettivamente in occasione di un comizio politico ed in
occasione di una dibattito assembleare in Consiglio Comunale: “Il termine
“furfante”, rivolto o riferito ad una persona, e “furfanteria”, riferito ad un suo
comportamento, è sicuramente offensivo, cosicché integra estremo di reato. Ma, se
la sua adozione non si giustifica quale sintesi espressiva dell’esercizio del diritto di
critica in un contesto ordinario, può essere scriminata in un contesto di polemica
politica significando il disvalore delle scelte per l’interesse collettivo. E nella
specie è incontroverso che l’agente abbia censurato proposte della
“maggioranza”, sia nel comizio che nella discussione assembleare, qualificandole
furfanterie e furfanti gli avversari” (Cass. Pen., Sez. V, n. 13565/2008).Dall’attenta
lettura delle sentenze de quibus si evince che l’uso di espressioni obiettivamente
lesive della reputazione del destinatario non è punibile ai sensi dell’Art. 51 C.p.
esclusivamente qualora le stesse siano proferite in un preciso contesto spazio-
temporale, come ad esempio un dibattito nel corso di una seduta del Consiglio
Comunale, tale da legittimare una critica aggressiva, purché conforme al principio
di continenza.Il richiamo delle suddette massime giurisprudenziali, operato dal
Giudicante nell’impugnata sentenza, è dunque quanto meno inconferente se
rapportato al procedimento in oggetto.
Ciò in quanto, il contesto nel quale sono state adoperate le espressioni per le quali
venivano citati a giudizio gli odierni imputati, ritenute lecite dal Giudice di merito
ai sensi dell’Art. 51 C.p., è palesemente differente da quello nel quale sono state
proferite le espressioni sulla cui non punibilità si è pronunciata la Suprema Corte.
In primo luogo, infatti, la critica formulata dagli imputati nei confronti
dell’Amministrazione del Comune di e dell’allora Sindaco, , consistita
nell’affermare “(…) se l’Amministrazione riuscirà, con prepotenza e per una
infantile ripicca politica o personale, ad ottenere lo sfratto, si fregerà di essere
riuscita, dopo lunghi anni di vera persecuzione, a portare via ai cittadini di una vera
e propria istituzione (…)” ed ancora “Ci spiace constatare, per l’ennesima volta,
che quando il sindaco e la sua giunta non riescono a controllare una associazione,
un club o una cooperativa, pur avendo i mezzi per farlo, iniziano un vero e proprio
atto di oppressione nei confronti degli stessi, così come sta appunto succedendo per
la Pro Loco di e così come già successo per altre associazioni (…)” veniva affidata
ad un articolo giornalistico, pubblicato in un quotidiano di diffusione regionale, , ed
ad un manifesto affisso presso la sede della Associazione Turistica Pro Loco di , di
cui facevano parte alcuni degli imputati.
Le dichiarazioni sopra riportate venivano, dunque, rilasciate fuori da qualsiasi sede
istituzionale o ad essa affine.
Peraltro, le stesse concernevano una vicenda che, relativa alle sorti dell’immobile
nel quale la Associazione Turistica Pro Loco aveva la propria sede, da anni
contrapponeva quest’ultima alla Amministrazione Comunale.
Tale vicenda esulava dall’attività prettamente politica del Sindaco e della sua
Giunta; ciò nonostante, diventava occasione per una consapevole diffamazione che,
proprio dietro l’apparenza della critica politica, costituiva in realtà un veemente e
illecito attacco alla persona del Sindaco .Una critica squisitamente personale, che,
anche nella denegata ipotesi in cui venisse considerata afferente l’operato politico
del Sindaco e della sua Amministrazione, trascenderebbe per modalità, contesto e
contenuti i limiti imposti dal rispetto del principio di continenza, necessario al fine
della configurabilità dell’esimente del diritto di critica politica.
Al riguardo, i termini adoperati non possono non ritenersi gravemente offensivi.
E’ indubbio, infatti, che definire persecutori gli atti posti in essere da una persona,
ancor più se titolare di una carica pubblica, con l’implicita accusa di perseguire
ingiustamente, attraverso il loro compimento, interessi personali e vessatori, è
condotta certamente lesiva della reputazione del destinatario di tali affermazioni.
Ciò risulta ancor più evidente tanto più si consideri che suddette affermazioni sono
state proferite, come sopra ricordato, al di fuori di una vera e propria contestazione
politica, da riservare alle opportune sedi istituzionali, al solo fine di screditare il
Sig. come persona, più che come Sindaco pro tempore del Comune di.
Per questi motivi, Voglia l’Ill.mo Sig. Pubblico Ministero proporre impugnazione
ai sensi dell’Art. 572 C.p.p. avverso la sentenza n. pronunciata dal Giudice
dell’Udienza Preliminare presso il Tribunale di in data 04 novembre 2008 e
depositata il giorno 05 gennaio 2008.
Luogo,data,Avv.
CORTE D’APPELLO DI ___________
DICHIARAZIONE D’APPELLO
Il sottoscritto difensore di Tizio, giusta nomina presente agli atti, propone appello
avverso la sentenza n.__ del___ depositata il____, con cui il Tribunale di _______
in Composizione Monocratica ha disposto, ad esito di dibattimento, la condanna
dell’odierno appellante alla pena di anni tre e mesi sei di reclusione ed euro 300,00
di multa, oltre al risarcimento dei danni ed al pagamento di euro 10.000,00 a titolo
di provvisionale in favore della Banca Alfa, costituitasi parte civile, perché
riconosciuto penalmente responsabile in ordine ai delitti di cui agli Artt. 61, n. 2,
476, 482, 640 C.P., per i seguenti
MOTIVI
La sentenza è manifestamente inesatta.
Si è, infatti, pervenuti al riconoscimento della penale responsabilità di Tizio pur in
assenza di qualsivoglia riscontro circa la sussistenza degli elementi costitutivi dei
delitti contestati.
In primo luogo, giova ricordare che, ai fini della configurabilità del delitto di cui
agli Artt. 476, 482 C.P., è necessario, sotto il profilo oggettivo, che il soggetto
agente, ovvero il privato, formi in tutto o in parte un atto falso o alteri un atto vero.
La summenzionata condotta non è stata in alcun modo realizzata dal prevenuto, il
quale, come è emerso in dibattimento, si era limitato ad esibire a Caio, impiegato
sportellista della Banca Alfa, la fotocopia di un documento che sembrava attestare
il rinvio a giudizio per il reato di truffa della persona, tale M.R., da cui Tizio stesso
sosteneva essere stato truffato.
La fotocopia de qua, adoperata dall’odierno appellante, era una fotocopia semplice,
priva dei requisiti di forma e di sostanza idonei a farla apparire, se non come
l’originale provvedimento giudiziario, quanto meno come una copia conforme di
esso.
Orbene, alla stregua del più recente orientamento giurisprudenziale, la Suprema
Corte di Cassazione esclude la integrazione di alcuna fattispecie di falso
documentale nel caso in cui il privato si limiti alla formazione di una falsa
fotocopia di un documento originale inesistente e la presenti come tale, priva cioè
di qualsiasi attestazione di originalità, ovvero di una qualche attestazione che ne
confermi l’eventuale estrapolazione dal documento originale esistente.
E’ difatti necessario che la copia di un documento, affinché possa assumere penale
rilevanza la condotta di colui che la formi o la alteri, sia dotata di tutte le
caratteristiche necessarie a farla apparire come l’originale, ovvero tali da
dimostrare la concreta esistenza di un corrispondente documento originale.
Il Giudice di primo grado, confermando l’ipotesi accusatoria, ha erroneamente
ritenuto Tizio penalmente responsabile in ordine al delitto di cui agli Artt. 476, 482
C.P. nonostante sia stato pacificamente accertato che la fotocopia da lui esibita
difettasse di qualsiasi autenticazione del suo contenuto e come tale fosse priva di
alcun valore documentale.
Alla luce di quanto esposto, stante la mancanza dell’elemento oggettivo del reato
ascrittogli, Tizio deve essere mandato assolto perché il fatto non sussiste.
La appellata sentenza è, altresì, inesatta nella parte in cui afferma la penale
responsabilità del prevenuto in ordine al delitto di cui all’Art. 640 C.P.
Preliminarmente, proprio con riferimento al citato delitto, si rileva che la Ill.ma
Corte di Appello di ____ deve dichiarare di non doversi procedere per difetto di
querela.
La truffa semplice è difatti reato perseguibile a querela della persona offesa, ovvero
del soggetto titolare dell’interesse giuridico tutelato dalla norma incriminatrice.
Persona offesa è, nel delitto di truffa, il soggetto titolare dell’interesse economico
leso dalla condotta del soggetto agente, ovvero colui che subisce il danno, inteso
quale deminutio patrimonii, previsto dalla norma.
Caio, in quanto semplice impiegato sportellista, non può di certo identificarsi nella
persona offesa dalla condotta realizzata da Tizio.
Pertanto, egli, come tale ed in mancanza del conferimento da parte della Banca
Alfa di una espressa procura speciale rilasciata anche al fine della proposizione
della querela, non era in alcun modo legittimato ad una sua valida proposizione.
Peraltro, nel merito, non è superfluo ricordare che il delitto di truffa richiede, sotto
il profilo oggettivo, che il soggetto agente, mediante artifici o raggiri, induca taluno
in errore, procurando così a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno.
Al riguardo, anche laddove dovesse dirsi sussistente anche laddove dovesse
ritenersi sussistente, il conseguimento da parte del prevenuto di un profitto,
consistito nella concessione della richiesta dilazione di pagamento è nondimeno
pacifico l’errore nel quale è incorso lo sportellista Caio, difettano, invero, perché
possa ritenersi sussistente il contestato delitto, gli elementi costitutivi degli artifici
o raggiri.
Questi ultimi, per poter essere considerati tali ed al fine di rilevare ai sensi del
disposto dell’Art. 640 C.P., devono essere astrattamente idonei a trarre in inganno
il terzo.
La fotocopia esibita da Tizio era priva di quelle caratteristiche e di quei requisiti
che, garantendone la verosimiglianza ad un ipotetico documento originale, la
avrebbero resa in astratto ed in concreto idonea ad indurre in errore Caio,
costituendo un artificio od un raggiro ai sensi dell’Art. 640 C.P.
Accertata la mancanza dell’elemento oggettivo, anche con riferimento al delitto di
truffa, Tizio deve essere mandato assolto perché il fatto non sussiste.
Per tutti questi motivi, l’Ill.ma Corte d’Appello di________, in riforma della
appellata sentenza, Voglia:
In ordine al delitto di cui agli Artt. 476,482 C.P., in via principale, mandare assolto
Tizio perché il fatto non sussiste.
In ordine al delitto di cui all’Art. 640 C.P.,
in via preliminare dichiarare di non doversi procedere per difetto di querela;
in via principale mandare assolto Tizio perché il fatto non sussiste.
In ordine a tutti i delitti contestati, in via subordinata, concesse le attenuanti
generiche di cui all’Art. 62bis C.P. e preso atto del buon comportamento
processuale dell’odierno appellante, irrogare il minimo della pena con tutti i
benefici di legge.
In ogni caso, dichiarare non dovuto il risarcimento del danno e per l’effetto
revocare la disposta provvisionale o ridurne il suo importo al minimo, sospendendo
in ogni caso la sua esecuzione per gravi motivi.
Luogo, Data, Avv.
TRIBUNALE DI
Richiesta di Riesame ex Art. 309 C.p.p.
Il sottoscritto difensore del Sig., nato, il, ivi residente nella Via, indagato nel
procedimento penale n. R.N.R, G.I.P., per i reati di cui agli Artt. 582, 583,
comma primo, n. 1, 99, 61 n. 2 e 5 C.p. e Artt. 628, commi uno e tre, n. 2, 99, 61 n.
5 C.p., attualmente detenuto presso la casa circondariale di in quanto sottoposto
alla misura cautelare della custodia in carcere, propone richiesta di riesame ai sensi
dell’Art. 309 C.p.p. avverso l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal
Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di in data 24 novembre
2008, eseguita nei confronti dell’indagato in data 25 novembre 2008 e comunicata
al difensore in data 26 novembre 2008, per i seguenti
MOTIVI
Non sussistono le gravi e concrete esigenze cautelari di cui all’Art. 274, lettera C),
C.p.p., che il Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di ha, invece,
ritenuto esistenti e tali da giustificare l’applicazione, nei confronti del Sig., della
misura cautelare della custodia in carcere.Al riguardo, il concreto pericolo di cui
all’Art. 274, lettera C), C.p.p., relativo alla possibile commissione dal parte
dell’indagato di gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o
diretti contro l’ordinamento costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata
o della stessa specie di quello per cui si procede, non può considerarsi sussistente
né con riferimento alle modalità e circostanze del fatto, né con riferimento alla
personalità del Sig..Sul punto, è opportuno sottolineare non solo l’eccezionalità ed
irripetibilità del grave fatto contestato all’odierno indagato, anche laddove
realmente commesso, ma anche l’inidoneità dei datati precedenti penali, dallo
stesso riportati, a giustificare il giudizio di pericolosità sociale formulato nei
confronti del Sig. dal Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di.
Infatti, non si può non considerare che i precedenti penali più gravi, risultanti a
carico dell’odierno indagato, risalgano agli anni 70 ed agli anni 80.Invero, dal 1984
ad oggi, l’unico precedente penale, emerso a carico del, è rappresentato da un
decreto penale di condanna, emesso per il delitto di furto tentato e divenuto
esecutivo nel mese di ottobre del 2002.
Con il citato decreto penale, il Giudice per le Indagini Preliminari presso il
Tribunale di disponeva la condanna del Sig. alla sola pena pecuniaria, senz’altro
indicativa della marginale gravità del fatto contestato all’odierno indagato.
Peraltro, l’avviso orale ex Art. 4 L. 1423/1956, come modificato dall’Art. 5 L.
327/1988, emesso nel marzo del 2005 nei confronti dell’odierno indagato ed
adottato con riferimento agli stessi datati precedenti penali, non può essere valutato
ai fini del giudizio di pericolosità sociale, in ragione del suo carattere meramente
monitorio ed in ragione del fatto che ad esso non è conseguita l’applicazione di
alcuna misura di prevenzione, come previsto dalla stessa Legge n. 1423/1956.
Dalla mancata applicazione di una misura di prevenzione, nonostante l’avviso orale
ex Art. 4 L. 1423/1956, come modificato dall’Art. 5 L. 327/1988, si desume la
assente o, comunque, limitata pericolosità sociale del prevenuto.
Parimenti non sussistenti sono le esigenze cautelari di cui all’Art. 274, lettere A) e
B), C.p.p, relative, la prima, al concreto ed attuale pericolo per l’acquisizione e la
genuinità della prova e, la seconda, al concreto pericolo di fuga dell’indagato.
Correttamente, il Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di,
nell’ordinanza applicativa della custodia cautelare, ha ritenuto inesistente il
pericolo di fuga in capo al Sig..
Quanto, invece, al pericolo di inquinamento della prova di cui all’Art. 274,
lettera A), C.p.p., anch’esso ritenuto non sussistente dal Giudice procedente,
è comunque opportuno rilevare che, nella denegata ipotesi in cui l’adito
Tribunale del Riesame dovesse desumerne l’esistenza dalle circostanze di
fatto, ben potrebbe tale esigenza cautelare essere salvaguardata da altra
idonea misura, come ad esempio gli arresti domiciliari.
Non è, infatti, condivisibile quanto affermato dal Giudice che ha emesso il
provvedimento impugnato a giustificazione della scelta della custodia cautelare in
carcere in luogo di altra misura meno afflittiva.
Al riguardo, il Giudicante sostiene che l’applicazione di una misura meno gravosa,
quale gli arresti domiciliari, dal contenuto meramente prescrittivo, richiede una
capacità di autocontrollo che difetterebbe nell’indagato, in considerazione non solo
della gravissima condotta contestatagli, ma anche dei “numerosi e qualificati
precedenti penali, circostanze dalle quali è agevole argomentare l’incapacità di
osservanza di una diversa misura cautelare”.Quanto sopra esposto, con riferimento
alla assoluta irripetibilità del fatto per il quale si procede ed alla marginale
rilevanza, in ragione del lunghissimo tempo trascorso, dei precedenti penali
riportati dal Sig., deve essere qui ribadito al fine della concessione della misura
degli arresti domiciliari, meno afflittiva ma comunque idonea ad assicurare le
esigenze cautelari che dovessero ritenersi esistenti.
Non hanno ragione d’essere, con riferimento all’applicabilità della misura cautelare
di cui all’Art. 284 C.p., i timori, espressi dal Pubblico Ministero nella richiesta di
misura cautelare, relativi alla circostanza per la quale il Sig. coabiterebbe con il
figlio pregiudicato e tale coabitazione determinerebbe la sussistenza del pericolo di
cui all’Art. 274, lett. A), C.p.p.Invero, l’odierno indagato abita in un appartamento
distinto da quello nel quale vive il figlio, sebbene l’ingresso sia comune ed il
numero civico uguale.
Inoltre, la possibilità, comunque indimostrata, che terze persone possano costituire
intralcio alle indagini, non è certo scongiurata né attenuata dalla permanenza in
carcere dell’indagato, il che rende inconferente la motivazione addotta sul punto.
Peraltro, l’applicazione degli arresti domiciliari, in luogo della custodia cautelare in
carcere, sarebbe comunque adeguata alle esigenze cautelari, che si dovessero
ritenere sussistenti, ed al contempo risponderebbe all’esigenza di tutelare le
precarie condizioni di salute dell’odierno indagato, certamente incompatibili con la
permanenza in carcere.
Per questi motivi, l’Ill.mo Tribunale del Riesame di Voglia:
- In via principale, disporre l’annullamento dell’ordinanza applicativa della misura
cautelare della custodia in carcere, emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari
presso il Tribunale di Cagliari in data 24 novembre 2008, eseguita in data 25
novembre 2008.
- In via subordinata, riformare l’impugnata ordinanza disponendo altra misura
meno afflittiva o, al più, l’applicazione della misura cautelare degli arresti
domiciliari ai sensi dell’Art. 284 C.p.p.
Luogo data Avv.
Tribunale ordinario di
Dichiarazione di appello ai sensi dell’Art. 310 c.p.p.
Il sottoscritto difensore, giusta nomina depositata in data, di Tizio, nato a
il , residente in nella Via n , attualmente detenuto presso la casa
circondariale di , indagato nel procedimento penale n. , propone appello
avverso l’ordinanza n. ,del giorno 10/11/2008, con la quale il Giudice per le
indagini preliminari presso il Tribunale di ha rigettato l’istanza di
scarcerazione proposta in data , nell’interesse dell’odierno appellante,
confermando l’ordinanza applicativa della misura cautelare della custodia
in carcere, emessa in data , per i seguenti
Motivi
Non sussistono le gravi e concrete esigenze cautelari di cui all’Art. 274,
lettera C), c.p.p., che il Giudice per le Indagini Preliminari presso il
Tribunale di ha, invece, ritenuto esistenti e tali da giustificare l’applicazione,
a carico di Tizio, della misura cautelare della custodia in carcere.
Al riguardo, il concreto pericolo di recidiva specifica cui all’Art. 274, lettera
c), in forza del quale è stata disposta la misura cautelare de qua, non può
considerarsi sussistente né con riferimento alle modalità e circostanze del
fatto, né con riferimento alla personalità del prevenuto.Sul punto, è
opportuno rilevare l’eccezionalità e l’ irripetibilità del fatto ascritto
all’odierno appellante, anche laddove realmente commesso, alla luce dello
specifico contesto nel quale sarebbe stato realizzato.
Invero, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di , nel
formulare il proprio giudizio di pericolosità sociale nei confronti di Tizio,
non ha debitamente considerato le peculiari e contingenti circostanze che
hanno caratterizzato la presunta condotta criminosa.Appare evidente come
l’asserita azione dell’indagato, attivista anarchico, sia stata esclusivamente
animata dai suoi ideali politici, in quanto finalizzata al mero impedimento
della manifestazione sportiva da egli non condivisa a causa della presenza di
alcuni partecipanti estremamente politicizzati.
Non è dato comprendere come l’Organo Giudicante abbia ritenuto sussistere
in capo a Tizio il concreto pericolo di reiterazione del reato contestato,
stante il pregnante collegamento tra la supposta condotta da egli posta in
essere ed il noto ed altamente discusso evento sopradetto.Peraltro, proprio
tale nesso causale, unitamente alla ricostruzione degli avvenimenti, così
come prospettata, consente di accertare il carattere singolare del fatto, da
qualificarsi come episodio circoscritto e connesso ad un determinato ambito
e perciò incompatibile con l’affermato pericolo di recidiva.
Bene avrebbe dovuto il Giudice per le indagini preliminari presso il
Tribunale di , attraverso un’attenta valutazione di tutti gli elementi de
quibus, disporre la scarcerazione del prevenuto.In ogni caso, nella denegata
ipotesi in cui si dovesse ritenere sussistente qualsivoglia esigenza cautelare,
la custodia in carcere risulta essere oltremodo gravosa, stante la previsione
di cui al terzo comma dell’articolo 275 c.p.p. , per il quale essa può essere
applicata soltanto qualora ogni altra misura risulti inadeguata.Ciò osservato,
è indubbio che una diversa e meno affittiva misura sarebbe comunque
idonea a prevenire l’eventuale quanto improbabile commissione di ulteriori
reati della stessa specie di quello per cui si procede.
Per tutti questi motivi, l’Ill.mo Tribunale Ordinario di , considerate
insussistenti o quantomeno attenuate le esigenze cautelari, valutata la
sussistenza delle condizioni previste dalla legge, Voglia , in riforma
dell’appellata ordinanza:
in via principale, revocare la disposta misura della custodia cautelare in
carcere;
in via subordinata, disporre la sostituzione della stessa con altra misura
meno affittiva o al più disporre l’applicazione degli arresti domiciliari di cui
all’articolo 284 cpp.
Luogo, data.
Avv.
PROCURA DELLA REPUBBLICA
PRESSO IL TRIBUNALE DI
ATTO DI QUERELA
Il sottoscritto nato a residente ecc propone formale
QUERELA
nei confronti di tutti coloro i quali saranno ritenuti penalmente responsabili per i
reati che nei fatti qui esposti verranno ravvisati.
Esposizione fatti e diritto.
Tutto quanto sopra esposto, il sottoscritto chiede dunque che si proceda nei termini
di legge nei confronti di tutti coloro i quali dovessero essere ritenuti responsabili
per tutti i reati che verranno ravvisati nei fatti suesposti.
Chiede di essere sentito dal Magistrato che verrà incaricato delle indagini in merito
ai fatti summenzionati, per meglio chiarire quanto avvenuto.
L’esponente chiede di essere avvisato, ex Art. 408 C.p.p., in caso di richiesta di
archiviazione e dichiara, ai sensi dell’Art. 459 C.p.p., di opporsi fin d’ora alla
emissione del decreto penale di condanna.
Si produce in copia:
Luogo, data
firma
PROCURA DELLA REPUBBLICA
PRESSO IL TRIBUNALE DI
Memoria difensiva ai sensi dell’Art. 415 bis C.p.p.
Ill.mo Sig. Pubblico Ministero,
Il sottoscritto difensore, giusta nomina depositata in data, di nato a il residente in
nella Via indagato nel procedimento penale n. R.n.r.
Premesso che
In data è stato notificato a Tizio l’avviso di conclusione delle indagini preliminari
ex Art. 415bis C.p.p.
Tizio risulta indagato in ordine al reato di cui all’Art.
Tutto ciò premesso, il sottoscritto difensore
Espone
Diritto
Tutto quanto sopra esposto, nell’interesse di Tizio, il sottoscritto difensore
Chiede
Che l’Ill.mo Sig. PM presso il Tribunale di Voglia disporre l’archiviazione del
procedimento penale indicato in epigrafe (ovvero assumere mezzi di prova
eventualmente indicati ovvero disporre l’interrogatorio dell’indagato)
Luogo Data Avv.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
DICHIARAZIONE E MOTIVI
Il sottoscritto difensore del Sig. , nato a , il giorno , dichiara di proporre ricorso per cassazione
avverso la sentenza n. , pronunciata in data, depositata nella medesima data , nel procedimento
penale n. ____________________, con la quale la Corte d’Appello di , riunita in Camera di
Consiglio, visti gli artt. 157 e ss. C. p. e 129 C. p. p., ha dichiarato non doversi procedere nei confronti
di ____________in ordine al reato di cui all’art. 648, comma 2, C. p. perché estinto per prescrizione,
per i seguenti
MOTIVI
INOSSERVANZA O ERRONEA APPLICAZIONE DELLA LEGGE PENALE O DI ALTRE
NORME GIURIDICHE DI CUI SI DEVE TENER CONTO NELL’APPLICAZIONE DELLA
LEGGE PENALE in relazione alla dichiarazione della sussistenza di una causa di non punibilità
ai sensi dell’art. 129 C. p. p., con riferimento all’art. 606, comma 1, lett. b), C. p. p.
1.1 Come emerge dalla lettura della sentenza predibattimentale impugnata, la Corte d’Appello di ha
rilevato nella fase anteriore al dibattimento l’intervenuta prescrizione, dunque, una causa di estinzione
del reato contestato al Sig.
1.2 Per l’effetto, disattendendo il disposto dell’art. 129 C. p. p., il Secondo Collegio, riunito in
Camera di Consiglio, con provvedimento predibattimentale assunto de plano , ha dichiarato non
doversi procedere nei confronti di in ordine al reato ascrittogli perché estinto per prescrizione.
1.3 Sul punto, non solo l’Organo Giudicante è manifestamente incorso in un errore di valutazione,
come di seguito verrà meglio specificato, ma ha senza alcun dubbio erroneamente applicato la
legge penale in materia di obbligo di immediata declaratoria di determinate causa di non
punibilità.
1.4 Invero, il procedimento adottato dalla Corte d’Appello di che, si ribadisce, ha dichiarato de plano
l’estinzione del reato prima del dibattimento, è manifestamente viziato in quanto non può trovare
in alcun modo applicazione, in detta fase, la disposizione di cui all’art. 129 C.p.p. che presuppone
necessariamente l’instaurazione di un giudizio in senso proprio.
1.5 Peraltro, prima di procedere nello sviluppare le argomentazioni poste a fondamento del presente
motivo di doglianza, occorre svolgere alcune brevi considerazioni in ordine alla possibilità per la Corte
d’Appello di pronunciare una sentenza ex art. 129 C.p.p. con provvedimento emesso de plano,
argomentazioni dalle quali non si può prescindere in questa sede per completezza di ragionamento.
1.6 Nello specifico, deve essere preliminarmente richiamata la ratio della norma di cui si discute,
ovvero la funzione che essa assolve nel nostro ordinamento processuale ispirato ai principi di
economia processuale e di rispetto delle forme.
Ciò al fine di verificare se, nell’ambito di un procedimento penale, la sussistenza di una causa di non
punibilità giustifichi sempre una sua “immediata declaratoria” a prescindere dalla fase in cui si trova il
processo e, soprattutto, a prescindere dai diritti delle parti costituzionalmente garantiti, con particolare
riferimento al diritto di difesa che si esplica pienamente nel contraddittorio tra la pubblica accusa, la
difesa e le altre parti private.
1.7 Al riguardo, in conformità all’oramai consolidato orientamento giurisprudenziale dell’Ill.ma Corte
adita, è pacifico che l’art. 129 C. p. p., per la sua collocazione nel titolo II del libro II del codice di rito
tra gli “atti e provvedimenti del giudice”, non attribuisce a quest’ultimo un potere di giudizio ulteriore
ma detta una regola di condotta o di giudizio che si affianca a quelle proprie della fase o del grado in
cui il processo si trova ed alla quale il giudice, in via prioritaria, deve attenersi nell’esercizio dei poteri
decisori che già gli competono.
Pertanto la disposizione in esame, lungi dal consistere in una alternativa ad altre previsioni di analoghi
effetti, si affianca a queste integrandole e meglio definendo, per tempi e modalità, i poteri decisori del
giudice (Cass. Pen., SS. UU., sentenza del 19 dicembre 2001, n. 3027).
1.8 Alla luce delle considerazioni sopra svolte, deve necessariamente concludersi sul punto nel senso
che l’espressione “immediata declaratoria” contenuta nella rubrica dell’articolo 129 C.p.p. non si
riferisce ad una tempestività temporale assoluta tanto da legittimare, pur nel silenzio della norma, il
rito cosiddetto de plano .
1.9 Invero, come hanno precisato le Sezioni Unite della Suprema Corte con la citata pronuncia che ha
confermato la prevalente giurisprudenza di legittimità, “l’articolo 129 C. p. p., allorché fa riferimento
ad “ogni stato e grado del processo”, deve essere inteso in relazione al giudizio in senso tecnico,
ossia al dibattimento di primo grado o ai giudizi in appello ed in cassazione, perché quelle sono le fasi
in cui si instaura la piena dialettica processuale tra le parti e si dispone di tutti gli elementi per la
scelta delle formule assolutorie più opportune, rispettando le legittime aspettative dell’imputato”
(Cass. Pen., SS. UU., sentenza del 19 dicembre 2001, n. 3027).
L’Ill.ma Corte adita, dunque, ha rilevato che anche nella fase predibattimentale del giudizio d’appello,
così come in quella di primo grado, la carenza di contraddittorio tra le parti comporta la non
applicabilità della disposizione in oggetto.
1.10 Tutto quanto sopra osservato, è manifesta l’inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 129
C. p. p.
Contrariamente a quanto erroneamente ritenuto dal Secondo Collegio della Corte d’Appello di infatti,
il tenore dell’art. 129 C. p. p. non legittima e non può in alcun modo legittimare l’impugnata decisione
de plano.
1.11 Altresì indubbio è come la sentenza impugnata sia stata emessa in palese contrasto con il
consolidato orientamento giurisprudenziale.
Sul punto non può non ribadirsi che, in conformità al richiamato dettato normativo, ampiamente
confortato dalla prevalente giurisprudenza di legittimità, “la sentenza con la quale la Corte d’Appello
abbia dichiarato de plano l’estinzione del reato prima del dibattimento non è autorizzata dall’art. 129
C.p.p. che, prescrivendo l’obbligo del Giudice di dichiarare immediatamente la sussistenza di una
causa di non punibilità, può operare in relazione ad un giudizio in senso tecnico e non anche nella
fase predibattimentale”(Cass. Pen., Sez. II, sentenza del 6 ottobre 2004, n. 41498).
1.12 Peraltro, sotto il profilo della carenza di contraddittorio tra le parti, deve essere infine eccepita la
nullità della sentenza predibattimentale con la quale la Corte d’Appello di ha dichiarato de
plano l’estinzione del reato ascritto al Sig. in quanto incidente sull’intervento e
sull’assistenza dell’imputato.
1.13 Pertanto, contrariamente a quanto accaduto, la Corte d’Appello di avrebbe dovuto
correttamente fissare l’udienza per il giudizio d’appello.
*****
INOSSERVANZA O ERRONEA APPLICAZIONE DELLA LEGGE PENALE O DI ALTRE
NORME GIURIDICHE DI CUI SI DEVE TENER CONTO NELL’APPLICAZIONE DELLA
LEGGE PENALE in relazione alla valutazione della sussistenza dei presupposti per la
pronuncia di assoluzione ai sensi dell’art. 129, comma 2, C. p. p., con riferimento all’art. 606,
comma 1, lett. b), C. p. p.
INOSSERVANZA DELLE NORME PROCESSUALI STABILITE A PENA DI NULLITA’, DI
INUTILIZZABILITA’, DI INAMMISSIBILITA’ O DI DECADENZA in relazione
all’applicazione dell’art. 125, comma 3, C. p. p., con riferimento all’art. 606, comma 1, lett. c),
C. p. p.
MANCANZA, CONTRADDITTORIETA’ O MANIFESTA ILLOGICITA’ DELLA
MOTIVAZIONE, in relazione alla valutazione della sussistenza dei presupposti per la pronuncia
di assoluzione ai sensi dell’art. 129, comma 2, C. p. p., con riferimento all’art. 606, comma 1, lett.
e) C.p.p.
2.1 Come precedentemente esposto, la Corte d’Appello di , Sezione Seconda Penale, applicando
erroneamente l’art. 129 C. p. p., nella fase anteriore al dibattimento ha rilevato una causa estintiva del
reato contestato al Sig. e, pertanto, con provvedimento predibattimentale assunto de plano, ha
dichiarato non doversi procedere nei confronti del predetto in ordine al reato ascrittogli perché estinto
per prescrizione.
2.2 Richiamando le autorevoli argomentazioni svolte dalle Sezioni Unite della Suprema Corte con la
summenzionata pronuncia, giova preliminarmente ribadire che, in fase predibattimentale, la
fondamentale cesura tra la fase delle indagini e quella del dibattimento porta ad escludere che possa
essere emessa una sentenza “allo stato degli atti” ex art. 129 C.p.p.
2.3 Di contro, è oramai pacifico che la citata disposizione possa trovare applicazione nella fase
dibattimentale, dove è sicuramente maggiore la capacità cognitiva del Giudice.
In tale fase, a norma dell’art. 129, comma 2, C. p. p., in presenza di una causa di estinzione del reato,
può essere pronunciato il proscioglimento nel merito se dagli atti già acquisiti risulta evidente
l’innocenza dell’imputato.
2.4 Ciò premesso, anche a voler prescindere dal vizio radicale che ha inevitabilmente inficiato il
procedimento adottato dalla Corte d’Appello di come già argomentato, emerge in maniera
evidente dalla lettura della sentenza impugnata come il Collegio abbia completamente omesso di
motivare la propria decisione in ordine alla necessaria valutazione della sussistenza dei presupposti per
una pronuncia di assoluzione.
2.5 Al riguardo, non è superfluo richiamare il disposto del secondo comma dell’art. 129 C.p.p.
secondo cui “quando ricorre una causa di estinzione del reato, ma dagli atti risulta evidente che
il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non
è previsto dalla legge come reato, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione o di non luogo a
procedere con la formula prescritta”
2.6 Invero, nel motivare la propria decisione, il Giudicante si è limitato a considerare che “il
reato ascritto all’imputato va ritenuto estinto per decorso del termine di prescrizione maturato il
13.11. 2008”.
E’ indubbia la mancanza di qualsivoglia motivazione, avendo la Corte d’Appello di manifestamente
omesso di ulteriormente argomentare dette esigue considerazioni in relazione alla verifica della
sussistenza di prove positive dell’innocenza dell’imputato risultanti dagli atti.
2.7 Così facendo, non solo l’Organo decidente non ha fornito alcuna risposta alle censure mosse
dalla difesa nel proprio atto d’appello, ma neppure ha reso manifesto il ragionamento posto a
fondamento della propria decisione.
Non è dato in alcun modo comprendere l’iter logico argomentativo seguito dalla Corte d’Appello di
nel ritenere, peraltro erroneamente, così almeno sembrerebbe, insussistenti circostanze idonee
ad escludere la commissione del fatto da parte dell’imputato emergenti in maniera evidente dagli
atti.
2.8 Indubbiamente la sentenza impugnata non è sorretta da alcun rigoroso vaglio della sussistenza
delle condizioni legittimanti il proscioglimento nel merito ai sensi dell’art. 129, comma 2, C.p.p.
Detto provvedimento è altresì manifestamente carente di motivazione, non essendo risultati
manifesti i criteri logici seguiti dal Collegio nell’adottare la propria decisione, tanto meno
esaustivi in ordine alla definitiva selezione delle alternative decisorie.
Emerge infatti in maniera evidente dalla lettura del provvedimento impugnato la totale assenza
dell’apparato argomentativo che dovrebbe giustificare la decisione, nulla avendo rilevato la Corte
d’Appello in risposta alle argomentazioni difensive.
2.9 Tali considerazioni assumono pregnante rilevanza in quanto, con riferimento al caso concreto,
contrariamente a quanto ritenuto dal Giudice di primo grado, è emersa una verità processuale talmente
chiara ed obiettiva da non lasciare alcun dubbio circa la non commissione del fatto di reato da parte del
Sig. , circostanza emersa dagli atti in maniera assolutamente incontestabile.
2.10 Ciò nonostante la Corte d’Appello di disattendendo il disposto dell’art. 129, comma 2, C. p. p.,
non ha rilevato l’evidenza dell’assoluta estraneità dell’imputato al fatto.
2.11 Sul punto, peraltro, autorevole orientamento giurisprudenziale ha precisato che “in presenza della
causa estintiva della prescrizione del reato, deve essere privilegiata la pronuncia di proscioglimento
nel merito, non solo quando dagli atti già acquisiti risulti la prova positiva dell’innocenza
dell’imputato, ma anche quando manchi la prova della colpevolezza a suo carico”(Cass. Pen., Sez. V,
sentenza del 18 gennaio 2005, n. 17382).
Secondo la giurisprudenza riportata, quindi, il testo dell'art. 129 capoverso C.p.p. ancora la prevalente
pronuncia di proscioglimento non già al riscontro positivo dell'esistenza di elementi di prova
dimostrativi dell'innocenza dell'imputato, in tal modo lasciando scoperta l'ipotesi della mancanza di
prova della sua colpevolezza, ma ad un dato obiettivo, immediatamente percepibile, rappresentato dal
riferimento agli atti.
Il richiamo agli atti di causa, e dunque alla realtà procedimentale sedimentatasi sino al momento della
possibile declaratoria di una causa estintiva del reato, consente di comprendere entrambe le fattispecie
ovvero la prova positiva di innocenza e la mancanza di prova di estraneità.
2.12 Tutto quanto sopra osservato, non può non essere rilevato come il Sig. anche a non voler
riconoscere l’evidenza della sua innocenza, debba essere mandato assolto in quanto dagli atti non
risulta in alcun modo integrato l’elemento oggettivo del reato, ovvero manca la prova della
provenienza delittuosa dei dodici agnelli, tre pecore ed un montone oggetto dell’asserita ricettazione.
2.13 Infine, anche a voler ritenere dimostrata, pur in assenza di prove, la provenienza delittuosa degli
ovini de quibus e la ricezione di questi da parte dell’imputato, il Giudice di primo grado prima, La
Corte d’Appello poi, avrebbe dovuto correttamente rilevare l’assenza in capo al predetto dell’elemento
soggettivo del reato, pronunciando sentenza di assoluzione perché il fatto non costituisce reato.
2.14 La mancata considerazione di tali elementi integra il vizio di inesistenza di motivazione e di
violazione dell’art. 129, comma 2, C.p.p.
*****
INOSSERVANZA O ERRONEA APPLICAZIONE DELLA LEGGE PENALE O DI ALTRE
NORME GIURIDICHE DI CUI SI DEVE TENER CONTO NELL’APPLICAZIONE DELLA
LEGGE PENALE in relazione alla pronuncia della sentenza predibattimentale, richiamo all’art.
469 C. p. p., con riferimento all’art. 606, comma 1, lett. b), C.p.p.
3.1 Per scrupolo difensivo, considerato che il provvedimento impugnato viene qualificato come
“sentenza predibattimentale”, con un’espressione che evoca il dettato normativo dell’art. 469 C. p. p.,
non è superfluo da ultimo sviluppare alcune brevi argomentazioni sull’applicazione della disposizione
richiamata.
3.2 Al riguardo, come ha avuto modo di precisare la prevalente giurisprudenza di legittimità, “l’iter
disciplinato dall’art. 469 C.p.p. per la pronuncia di una sentenza predibattimentale non è percorribile
nel giudizio di secondo grado”(Cass. Pen., Sez. II, sentenza del 6 ottobre 2004, n. 41498).
Ciò per una serie di considerazioni di ordine sistematico e letterale collegate all’interpretazione
dell’art. 598 C. p. p.
In particolare, è pacifico che l’art. 601 C. p. p. prevede una disciplina degli atti preliminari in appello
autonoma rispetto al primo grado, inoltre, l’art. 599 C. p. p., nell’elencare le ipotesi tassative in cui è
possibile procedere col rito camerale, non richiama il caso del proscioglimento predibattimentale in
quanto nel giudizio d’appello, caratterizzato da una fase dibattimentale di norma contratta, non
sussistono le esigenze di economia processuale.
3.3 Anche sotto questo profilo, pertanto, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, con
restituzione degli atti alla Corte d’Appello di per il giudizio.
*****
Si chiede l'annullamento della sentenza predibattimentale impugnata.
Luogo data
Avv.
PROCURA DELLA REPUBBLICA
PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI
ISTANZA DI AFFIDAMENTO IN PROVAAL SERVIZIO SOCIALE
Il sottoscritto difensore, giusta nomina depositata contestualmente al presente atto, del Sig. , nato a
il giorno , residente ed elett.te domiciliato in ,
PREMESSO CHE1) Il Sig. è stato condannato alla pena di anni quattro di reclusione ed alle pene accessorie della
interdizione dai Pubblici Uffici per anni cinque, della inabilitazione all’esercizio di una impresa
commerciale per anni dieci, dell’incapacità di esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa per
anni dieci, della pubblicazione della sentenza penale di condanna sul quotidiano “L’Unione Sarda”,
della interdizione dalle funzioni di rappresentanza ed assistenza in materia tributaria per mesi tre, della
interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese per mesi tre, della incapacità
di contrattare con la Pubblica Amministrazione per anni uno, della esclusione dalla Borsa per mesi sei,
per essere stato riconosciuto colpevole dei reati di cui agli 1) Artt. 223 c.1 R.D. 267/1942, 216 c.1 n.1
R.D. 267/1942, 81 c.2 C.p.; 2) Artt. 223 c.1 R.D. 267/1942, 216 c.1 n.1 R.D. 267/1942, 223 c.2 R.D.
267/1942, 2621 C.c.; 3) Artt. 81 c.1 n.1, 81 c.1 n.2, 99 C.p.;
2) In data 13 agosto 2007, con riferimento al procedimento n. SIEP , è stato notificato l’ordine di
esecuzione per la carcerazione relativo alla pena ed ai reati summenzionati, secondo cui rimangono da
espiare mesi nove e giorni diciotto di reclusione, detratti periodi di presofferto per un totale di mesi
due e giorni dodici, concesso inoltre l’indulto ai sensi della Legge n. 241 del 31 luglio 2006 per anni
tre, come da ordinanza emessa in data dalla Corte d’Appello di
3) Il Sig. risiede presso la Casa di Riposo per Anziani denominata “ ” sita in ;
4) Il Sig. , nato a , il giorno , quale Amministratore Unico della società ,
proprietaria della summenzionata Casa di Riposo, intende avvalersi delle prestazioni professionali del
Sig. , assumendolo con la qualifica di giardiniere, con mansioni da svolgersi in trentacinque ore
settimanali;
5) Sussistono tutti i presupposti affinché il Sig. sia affidato in prova al Servizio Sociale;
6) Risulta evidente il grave pregiudizio che deriverebbe per il condannato dall’inizio della detenzione.
Tutto ciò premesso, il sottoscritto difensore
CHIEDE
a) Che il Sig. venga ammesso alla misura alternativa dell’affidamento in prova al Servizio
Sociale;
b) In subordine, nella denegata ipotesi di non accoglimento della istanza di affidamento in prova e
rilevata la mancanza di pericolo che il condannato commetta altri reati, che venga applicata la misura
della detenzione domiciliare presso la Casa di Riposo per Anziani denominata “ ” sita in
Si allegano in copia:
1) Nomina del difensore;
2) Ordine di esecuzione per la carcerazione, procedimento n.
3) Dichiarazione della società in data .
Cagliari, Avv.
CORTE D’APPELLO DI
DICHIARAZIONE D’APPELLO
Il sottoscritto difensore e procuratore della Sig.ra , nata a , il giorno
, persona offesa costituita parte civile non in proprio ma nella sua qualità di esercente la
potestà genitoriale sul figlio , nato a , il giorno e sul minore in
affidamento preadottivo , nato a , il giorno , nel procedimento
penale n. R.N.R., n. G.I.P., n. R.G., giusta procura speciale a margine
della costituzione di parte civile in data , propone appello avverso tutti i punti e capi
che riguardano l’azione civile della sentenza n. in data , depositata in data
, con la quale il Tribunale di , in composizione monocratica, ha condannato alla
pena di mesi sei di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali, con sospensione
della patente di guida per il periodo di due mesi, e, inoltre, in solido con la responsabile civile
al risarcimento dei danni nonché al rimborso delle spese processuali e di costituzione di parte
civile in favore di , da liquidarsi in separato giudizio civile, assegnando a titolo
di provvisionale la somma di € 50.000,00 a favore di e di € 15.000,00 a favore di
e, inoltre, in solido con le responsabili civili, e , al risarcimento dei danni nonché al rimborso
delle spese processuali e di costituzione di parte civile in favore di da
liquidarsi in separato giudizio civile, assegnando a titolo di provvisionale la somma di €
ciascuno a favore di e la somma di € ciascuno a favore di , per il
reato di cui all’art. 589, comma 2, C.p., nella parte in cui ha ritenuto, nella misura del 40%, il
concorso di colpa della persona offesa nella causazione del sinistro, per i seguenti
MOTIVI
1.1 La sentenza è parzialmente inesatta.
1.2 Il Giudice di primo grado, infatti, ha erroneamente ritenuto che l’evento mortale è stato
causato dal contributo colposo dell’imputato e della stessa vittima, in una misura che ha
determinato, peraltro, senza compiutamente motivare sul punto, nel 60% per e nel 40%
per la persona offesa .
1.3 Invero, contrariamente a quanto ritenuto dal Giudicante, la corretta ricostruzione in
fatto dell’incidente, così come rimasta ampiamente provata all’esito dell’istruttoria
dibattimentale, attesta in maniera inconfutabile che nessun elemento di colpa per quanto
accaduto può essere posto a carico del deceduto.
1.4 Sul punto, non è superfluo ricordare brevemente la dinamica del sinistro in oggetto, così
come emersa all’esito del dibattimento e come anche correttamente riportata nel
provvedimento impugnato.
1.5 Il sinistro mortale si è verificato in occasione di una manovra di avvicinamento in
retromarcia compiuta dall’autofurgone frigorifero di marca IVECO, targato , intestato
alla società cooperativa e condotto dall’imputato, all’autofurgone frigorifero di marca
DAIMI Ercrysler, , intestato a il quale si trovava sul luogo del fatto in attesa
dell’allineamento del primo veicolo.
Detto accostamento, operazione che veniva sistematicamente ripetuta dagli attori della
vicenda di cui si discute, era funzionale ad un più agevole trasferimento di prodotti ittici dalla
cella frigorifero del veicolo intestato al a quella del mezzo di proprietà della società
cooperativa .
Ultimata la summenzionata manovra di accostamento del furgone condotto dal ____________
a quello del , dunque, arrestatosi il primo mezzo ad una distanza di circa 25/30 cm dalla
parte posteriore del veicolo intestato alla persona offesa, quest’ultima, come solitamente
accadeva, inserì il capo tra i due furgoni al fine di verificare la regolarità dell’attività di
scarico e carico delle merci.
In quel momento, stante l’inefficienza del freno a mano, l’imputato spense il motore del
mezzo che guidava tenendo premuto il pedale del freno.
Tuttavia, l’immediato rilascio da parte del predetto della frizione e del freno con la
retromarcia inserita, senza attendere l’arresto completo del motore, determinò un’inerzia
rotatoria di questo causando altresì un sobbalzo all’indietro del veicolo, in misura non
superiore a 15 cm, a seguito del quale il capo della persona offesa fu fatalmente compresso tra
le sponde e le cerniere dei portelloni dei due furgoni.
1.6 Al riguardo, si condivide pienamente l’affermazione del Giudice di primo grado secondo il
quale le risultanze istruttorie, ovvero la testimonianza di Grosso Giovanni, presente al fatto, le
fotografie scattate dai Carabinieri della Stazione di Sestu intervenuti sul luogo del sinistro,
confluite in un CD acquisito al fascicolo per il dibattimento, unitamente al contributo dei
consulenti tecnici nominati dalle parti, hanno consentito una ricostruzione univoca del fatto,
confermando una dinamica apparsa evidente sin dalle fasi iniziali delle indagini.
1.7 Parimenti condivisibili sono le conclusioni del Giudicante nella parte in cui ha
correttamente ritenuto provata la penale responsabilità dell’imputato in ordine al reato
contestato per la sussistenza di chiari profili di colpa in capo allo stesso, sia colpa specifica, in
relazione all’art. 154 del C.d.S., che colpa generica, per aver il Sig. incautamente rilasciato il
pedale della frizione con la retromarcia inserita contestualmente allo spegnimento del motore.
1.8 Contrariamente a quanto ritenuto dal Giudice di primo grado, invece, dalle risultanze
processuali non sono emersi in alcun modo elementi di colpa riconducibili alla condotta
della vittima.
1.9 Come anche si legge nella sentenza impugnata, la manovra di accostamento delle parti
posteriori dei furgoni ad una distanza di circa 30 cm l’uno dall’altro era un’azione banale, che
veniva ripetuta sistematicamente “oltre che per favorire le manovre di trasbordo in modo che
la merce non cadesse tra i due cassoni, anche per consentire a chi si trovava a terra, ossia
nella specie il , di dare istruzioni sul trasferimento del pesce”.
Ancora, si legge nel medesimo provvedimento, “l’infilare la testa tra i due mezzi è una
manovra che si usa fare (lo stesso____________ l’aveva effettuata in passato) per verificare
che il successivo passaggio della merce da una cella frigorifera all’altra avvenisse in modo
efficiente”.
1.10 Ciò è stato dichiarato a dibattimento dal teste , presente al fatto in quanto
dipendente di , dunque, solito a tali pratiche, il quale, sentito all’udienza del
, ha spiegato che “quella di accostare le parti posteriori dei veicoli è un’operazione che si fa
abitualmente”.
Lo stesso testimone, riferendosi all’azione posta in essere dal di inserire il proprio
capo tra i due furgoni, ha chiarito che “è una posizione che effettuano tutti quelli che devono
controllare la merce in modo tale che avvenga bene il lavoro sia di scarico che di carico, l’ho
faccio anch’io”.
1.11 Sul punto, deve essere rilevato, il testimone ha altresì precisato che, nel momento in cui
ha inserito il capo tra i due veicoli, la sopra descritta manovra di avvicinamento si era già
conclusa.
1.12 Anche gli ingegneri , ed , consulenti tecnici, il
primo nominato dal Pubblico Ministero, il secondo nominato dalla responsabile civile
. e l’ultimo nominato dall’imputato, i quali hanno ricostruito la dinamica dell’incidente, sentiti
all’udienza del , si sono trovati d’accordo nel sostenere che quando la persona
offesa inserì il capo tra i due furgoni la manovra di accostamento del veicolo condotto dal
a quello intestato al era già ultimata.
1.13 In particolare, come si legge nel verbale d’udienza del , l’Ing. ha
descritto l’accostamento dei veicoli come “una manovra assolutamente banale, che viene
ripetuta ogni volta che c’è da caricare e scaricare o trasferire merce da un camion all’altro, è
manovra banalissima che viene ripetuta continuamente”.
1.14 L’Ing. e l’Ing , come già rilevato, hanno concordato sul fatto che la manovra di
avvicinamento da parte del furgone manovrato dal fosse ultimata quando la persona offesa
inserì la testa tra i due veicoli.
Più precisamente, ha affermato il primo nella medesima udienza del
, “l’arresto ci doveva essere stato, quindi, il termine di questa manovra di avvicinamento”.
Parimenti l’Ing., ha dichiarato “confermo, perchè ne sono convinto (…) la manovra di
accostamento del camion del al camion del era già ultimata” dove, giova ricordare,
----------------- si trovava all’interno della cella frigorifera del furgone intestato a in
attesa di ricevere indicazioni da parte di quest’ultimo circa il trasferimento della merce
all’interno del mezzo condotto dal
1.15 Tali circostanze, ampiamente provate e non contestate, come chiaramente emerge dalla
lettura della sentenza impugnata, fondano il convincimento del Giudicante in ordine alla
ritenuta prevedibilità dell’evento dannoso rispetto alle regole di condotta che l’imputato
avrebbe dovuto osservare, con conseguente permanenza del nesso causale tra la condotta posta
in essere dal e l’evento mortale.
1.16 Nel motivare il provvedimento in oggetto, infatti, scrive il Giudice di primo grado “una
volta accertato che, con l’adozione di queste semplici accortezze al momento dell’arresto del
suo furgone, avrebbe certamente evitato l’evento mortale, deve sottolinearsi come la
mancata attuazione di queste regole di condotta lasciasse nella specie prevedere l’evento
dannoso (…) la prevedibilità dell’evento dannoso deriva in primo luogo dalla presenza della
vittima nella parte finale dei due furgoni, posizione della quale il conducente era a
conoscenza, nonché dalla circostanza che, come affermato dal testimone , il Sig.
fosse un abituale acquirente della , tanto che avveniva che “in genere” avvicinasse il
suo furgone a quello della società del per il carico dei prodotti ittici, con l’ulteriore
precisazione al riguardo che, come riferito ancora da , sia sia lo stesso
, a manovra di allineamento conclusa, solevano infilare la testa tra i furgoni per verificare la
loro distanza in funzione di una più efficiente manovra di trasbordo”.
1.17 Alla luce delle argomentazioni sopra svolte e dell’effettiva dinamica del sinistro in
oggetto, come rimasta pacificamente dimostrata nel corso del giudizio di primo grado, nel
caso concreto, non è ravvisabile alcuna incidenza causale della condotta posta in essere
dalla vittima sull’evento mortale.
1.18 Invero, nessun rimprovero può essere mosso alla persona offesa alla quale non si poteva
evidentemente chiedere un diverso comportamento rispetto a quello tenuto.
1.19 Considerato che ha agito in una situazione abituale, verificatasi innumerevoli
volte, insieme a persone altrettanto solite alla suddetta situazione e, nello specifico,
l’imputato, che ben conosceva essendo suo abituale cliente, contrariamente a quanto ritenuto
dal Giudicante, il comportamento della persona offesa non può in alcun modo essere
qualificato come imprudente.
1.20 Il Sig. , deve essere ancora una volta ribadito, ha diligentemente atteso che la
manovra di avvicinamento in retromarcia effettuata dall’imputato fosse conclusa.
Una volta arrestato il mezzo condotto dal , e solamente allora, la persona offesa ha
inserito il capo tra i due veicoli, confidando nel corretto agire dell’imputato in osservanza
delle norme di comportamento sulla circolazione stradale e delle generali regole di prudenza,
anche perché nessun incidente si era mai verificato prima.
1.21 Pertanto, è manifestamente errato, così come privo di fondamento, l’assunto del
Giudicante secondo cui “concausa dell’evento di danno è la condotta imprudente del ,
il quale, nonostante anche lui esperto conoscitore del funzionamento dei motori diesel (la sua
società era proprietaria di quello sul quale si trovava in attesa dello scarico),
collocò il suo capo tra i due mezzi, a manovra di retromarcia conclusa ma con il motore che
per inerzia ancora agiva sulle ruote motrici”.
1.22 Anche a voler trascurare la contraddizione in cui incorre il Giudice di primo grado
quando qualifica la condotta del come avventata, per poi ritenerla non imprevedibile
rispetto alla serie causale innescata dall’impropria manovra di arresto del furgone effettuata
dal , dunque, non idonea ad interrompere il nesso causale tra il comportamento
dell’imputato e l’evento mortale, comunque non si può rimproverare alla persona offesa di
aver agito ad arresto del veicolo ultimato ma quando il motore non era completamente spento,
come si legge nella sentenza impugnata.
1.23 Con riferimento al caso di specie, anche a voler condividere l’arbitraria deduzione del
Giudicante secondo cui era un “esperto conoscitore del funzionamento dei motori
diesel”, l’essere astrattamente a conoscenza del funzionamento di un motore certo non
significa sapere che il freno a mano di un determinato veicolo di proprietà di terze persone è
inefficiente.
Tanto meno, significa essere in grado di prevedere le modalità con le quali il conducente del
mezzo procederà allo spegnimento del motore.
1.24 La persona offesa, confidando nella diligenza dell’imputato, ovvero nel fatto che
quest’ultimo, nello spegnere il motore, avrebbe attuato tutte le regole di condotta e posto in
essere i giusti accorgimenti al fine di non costituire pericolo, certo non poteva prevedere che il
avrebbe di contro incautamente rilasciato la frizione con la retromarcia inserita, causando il
sobbalzo all’indietro del furgone dallo stesso condotto.
1.25 E’ evidente come la persona offesa, nel proprio agire, abbia fatto ragionevole
affidamento nell’osservanza da parte del dei doveri di diligenza e prudenza
sussistenti in capo al medesimo in quanto conducente un veicolo.
1.26 Ciò non può essere in alcun modo posto a fondamento della asserita sussistenza del
concorso di colpa della persona offesa, come erroneamente ritenuto dal Giudice di primo
grado il quale, peraltro, lo ha quantificato nella misura del 40%, indubbiamente eccessiva.
1.27 A sostegno di quanto sopra affermato, giova ricordare che, secondo pacifica e
consolidata giurisprudenza, “il fondamento della responsabilità per colpa per inosservanza di
leggi, regolamenti, ordini o discipline consiste nel fatto che dette norme sono dirette a
prevenire eventi pregiudizievoli; in particolare, norme di comportamento come quelle sulla
circolazione stradale determinano anche un ragionevole affidamento sulla loro osservanza da
parte di tutti gli utenti della strada”(Cass. Pen., Sez. III, sentenza del 21 maggio 1995,
n.5816).
*****
2.1 Ad ogni modo, anche nel caso in cui la condotta della vittima dovesse essere ritenuta
casualmente collegata all’evento dannoso, il che non è, la quantificazione del concorso di
colpa della persona offesa nel 40%, in ragione dei rilievi sopra svolti, è palesemente eccessiva.
*****
Per questi motivi, in riforma alla sentenza impugnata, vorrà la Corte d’Appello di
_____________:
- affermata l’esclusiva penale responsabilità dell’imputo in ordine al reato contestato,
condannarlo alla pena di giustizia ed all’integrale risarcimento di tutti i danni patiti dalle parti
civili, in solido con la responsabile civile la __________, da liquidarsi in separato giudizio,
accordando una provvisionale di euro 500.00,00 in favore di ciascuna delle parti civili, oltre al
pagamento delle spese di parte civile.
Luogo data
Avv.