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INTERNATIONAL POLICE ASSOCIATION
Le nuove forme della speculazione edilizia tra condoni e lottizzazioni abusive
RICCIONE
Nuovo palazzo dei congressi
17 settembre 2009
Ciro Angelillis
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1) LA SPECULAZIONE EDILIZIA L’inizio della nostra riflessione non può prescindere da una rilettura del
concetto di speculazione edilizia.
La ‘speculazione’ tuo court è una manovra mercantile che consiste
nell’acquisizione e nella successiva vendita di beni mobili e immobili,
con il fine specifico di guadagnare un surplus tra il costo di acquisto ed
il prezzo di vendita. Essa dunque, nonostante la sua corrente accezione
di tipo dispregiativo, non giustifica, quanto meno sotto l’aspetto
etimologico, alcun immediato riferimento ad attività di tipo truffaldino o
criminoso.
Anche la speculazione edilizia ha per oggetto le legittime attività di
acquisto e vendita di terreni ed immobili in fasi successive. Essa è
storicamente legata all'urbanesimo ed allo sviluppo talvolta caotico delle
città intorno alle fabbriche, con la costruzione di abitazioni operaie di
bassissimo livello abitabile e sanitario.
Al concetto di speculazione edilizia che, comunque, si ispira a criteri e
obiettivi di mero lucro si contrappone quello di urbanistica che combatte
attraverso le regole razionali l'urbanizzazione caotica e devastante delle
città.
Nella storia più recente dell’Italia la speculazione edilizia è legata al c.d.
boom economico degli anni '50-'60, quando si sviluppa il c.d. boom
edilizio dovuto allo spostamento di grandi quantità di popolazione, alle
accresciute attività economiche ed una maggiore ricchezza che
coinvolge tutti i ceti sociali.
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Le città si espandono a macchia d'olio senza che le amministrazioni
riescano a governare il fenomeno. In tale situazione i terreni
inizialmente agricoli divengono in poco tempo, a seguito delle opere di
urbanizzazione eseguite dai Comuni, aree edificabili. Lo speculatore
acquista il terreno a prezzo agricolo ed aspetta le strade, le fognature,
l'energia elettrica, ecc. che inevitabilmente verranno costruite sotto
spinte di vario genere. Il valore del terreno una volta urbanizzato e
divenuto per questo idoneo all'edificazione sale a dismisura e può essere
venduto lucrando la differenza divenuta cospicua tra prezzo d'acquisto e
prezzo di vendita.
In questo quadro trova il suo humus ideale la corruzione che determina
i pubblici amministratori alla urbanizzazione dei terreni.
Il concetto di speculazione edilizia acquisisce, così, in quegli anni una
valenza negativa che induce a collegamenti con fenomeni criminosi
caratterizzati dal binomio: abusivismo edilizio - reati contro la PA.
Oggi la speculazione edilizia consiste pur sempre in un’attività di
‘sfruttamento del territorio’ per fini di lucro ed anzi, nella sua accezione
corrente, di ‘sfruttamento criminoso del territorio’ per fini di lucro; ma
essa ha assunto forme del tutto nuove e variegate. Sotto il profilo socio-
criminoso, intanto, essa non è più legata esclusivamente al circuito
imprenditore edile corruttore - pubblico amministratore corrotto ma
involge anche dinamiche del tutto diverse fino al punto da costituire una
sottocategoria importante del più ampio fenomeno denominato
‘ecomafia’ attenendo alle attività di riciclaggio del danaro che la mafia
investe in grandi opere edilizie non necessariamente abusive. Da questo
punto di vista è più corretto parlare di sfruttamento criminoso del
territorio e non di sfruttamento ‘abusivo’ (in violazione, cioè, della
normativa strettamente urbanistica) del territorio, poiché il territorio può
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essere sfruttato per finalità fortemente criminose come quelle del
riciclaggio senza necessariamente dovere coinvolgere aspetti di
abusivismo edilizio ed urbanistico.
2) LE RAGIONI DI UNA SCONFITTA.
Prima di puntare l’obiettivo sulle forme più recenti e tecnicamente
sofisticate di speculazione edilizia che si sostanziano in grosse
lottizzazioni abusive, occorre delineare, sia pure rapidamente, il quadro
sociale, normativo e giurisdizionale entro il quale oggi si collocano le
nuove speculazioni edilizie.
Quasi inutile sottolineare, infatti, che la lotta all’abusivismo edilizio in
generale oggi registra una sconfitta che forse non ha eguali negli ultimi
50 anni.
I processi per abusivismo edilizio, soprattutto quelli per il grande
abusivismo edilizio, sono percentualmente pochi; quelli che si celebrano
finiscono con sentenze di estinzione del reato per prescrizione, in
percentuali vicino al 95%; le poche sentenze di condanna passate in
giudicato sono innocue poiché le misure ripristinatorie del territorio
(demolizione, ripristino e confisca) non funzionano sia sul versante
giurisdizionale che su quello amministrativo: basti pensare che dietro
taluni immobili abusivi che pullulano nel nostro territorio ( espressione
del piccolo abusivismo posto in essere per esigenze abitative come della
grande speculazione edilizia) vi è stata, nel corso del tempo, una
vicenda processuale con relativa sentenza di condanna, ma questo non è
servito a modificare la realtà delle cose, in quanto l’autore dell’illecito
che generalmente non è gravato da recidiva, per un verso riesce ad
innocuizzare le conseguenze penali del processo avvalendosi di tutti i
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benefici che il legislatore assicura a chi delinque una sola volta, per
l’altro conserva l’immobile.
L’elencazione delle cause di questa situazione meriterebbe ben altro
spazio. Si cercherà di offrirne una sintesi partendo e soffermandosi sulle
cause di tipo tecnico normativo.
• UNA LEGISLAZIONE INEFFICACE: I VUOTI NORMATIVI
E IL RUOLO SUPPLETIVO DELLA CASSAZIONE.
La c.d. attività di supplenza della magistratura ordinaria, notoriamente
legata all’atavica inefficacia dell’attività di controllo della P.A. ed al
carente tasso di legalità nel funzionamento dei meccanismi dell’apparato
pubblico, rischia ormai di estendersi alla funzione legislativa, anch’essa
abbisognevole di soccorso da parte del Giudice, allorquando complessi
istituti con effetti fortemente invasivi nell’ambito dei diritti soggettivi,
sono affidati ad una scarna legislazione, idonea a generare dubbi più che
a fugarli. Talvolta la sottile linea di confine tra interpretazione e
creazione della norma viene superata lasciando indifferente ed anzi
consenziente il potere legislativo che, in teoria, tale superamento subisce,
e che, in realtà, favorisce ed alimenta con disarmante naturalezza.
Così avviene per molti degli istituti giuridici coinvolti nella annosa
querelle dei rapporti tra Giudice penale e Pubblica Amministrazione e
che sopravvivono grazie ad inequivoci esempi di ‘giurisprudenza
creativa’ in cui la Corte di Cassazione funge da locomotore nella
creazione di percorsi all’interno dei terreni inesplorati del diritto penale
urbanistico e il legislatore la asseconda, la incoraggia, ne ratifica
l’operato.
Emblematico è ‘l’ordine giudiziale di demolizione del manufatto
abusivo’ per il quale, nel silenzio del legislatore, per anni, all’interno
della Cassazione, si sono contese il campo due teorie, su quale fosse
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l’organo titolato ad eseguirlo, fino a quando nel ’97 le Sezioni Unite, con
la nota sentenza Monterisi, hanno rotto gli indugi individuandolo nel
Pubblico Ministero. La motivazione, in punto di diritto, è condivisibile,
soprattutto se calata nel contesto degli anni ’90, in cui la III sezione della
Cassazione penale rivitalizzava la materia della urbanistica individuando
il bene-interesse tutelato dalla norma penale nel corretto assetto del
territorio. Rimane il dubbio, però, che a motivare questa scelta di campo
della Cassazione sia stata anche una valutazione lato sensu politica in
quanto la soluzione alternativa, che individuava in capo al Sindaco,
permanendo inoperoso il proprietario condannato, l’obbligo di eseguire
la demolizione, aveva, sino a quel momento, dato pessima prova di
funzionamento; così come impraticabili si erano rivelati i tentativi della
giurisprudenza di merito di rimediare all’inerzia comunale, configurando
improbabili omissioni di atti di ufficio da parte del Sindaco. Non è,
ovviamente, in discussione, in questa sede, la opportunità di questa
operazione di politica giudiziaria, posta in essere in assenza di un
intervento legislativo che, una volta tanto, gettasse un fascio di luce su
questo versante, cronicamente carente di certezze ed in un periodo
storico in cui i condoni, a cadenza decennale, avevano spuntato le armi
della lotta all’abusivismo. Semmai colpisce che il legislatore del 2002
nel Testo Unico delle Spese di Giustizia, con una operazione c.d. di
‘registrazione del diritto vivente’, abbia ‘benedetto’ questa operazione di
politica giudiziaria intervenendo al rimorchio della Cassazione e
fornendo la disciplina di dettaglio delle attività del Pubblico Ministero.
Altro esempio di ‘giurisprudenza creativa’ è, appunto, quello della
‘ lottizzazione edilizia abusiva’ anch’esso indotto e favorito da una
legislazione lacunosa e piuttosto scadente. Il legislatore, infatti, si è
occupato sostanzialmente due volte della lottizzazione abusiva. La
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prima, nel 1942, quando all’art. 41, lett.a) della L. n. 1150 (legge
urbanistica fondamentale) introdusse l’istituto nel mondo giuridico ma,
limitandosi a prevedere la sola sanzione penale “per la violazione del
divieto stabilito nell'art. 28, primo comma”, omise di fornirne una
qualche definizione. Fu una rozza operazione di trapianto in cui
l’istituto, previsto appunto dall’art. 28 della legge urbanistica, fu
sradicato prima con tutta la radice, poi con tutta la zolla dalla quale la
pianta trae linfa, dal suo humus naturale che è il diritto urbanistico-
amministrativo, e fu spostato nel diritto penale immergendolo nei suoi
principi. Infatti dopo il solo divieto, previsto dal primo comma dell’art.
28, di lottizzare i terreni a scopo edilizio senza la preventiva
autorizzazione, quando non sia approvato il piano regolatore
particolareggiato, la L. n. 765 del 1967 (legge ponte) e la L. n. 10 del
1977 all’art. 17 (legge Bucalossi) modificarono la portata del precetto
sanzionando “l’inosservanza [di tutte le disposizioni] dell’art. 28”.
Come è noto, però, i trapianti necessitano di adeguati accorgimenti
perché diversamente la pianta muore ed in questo caso, si trattò di un
pessimo trapianto. Numerosissime furono, infatti, nel corso degli anni
80, le ordinanze dei Pretori di Riesi, Licata, Massa Marittima e Voghera
che rappresentavano alla Corte Costituzionale l’indeterminatezza di
quella fattispecie penale all’interno della quale era stato trapiantato il
concetto, di esclusiva valenza amministrativa, di ‘lottizzazione’ senza
alcun tipo di accorgimento. La Corte, dal canto suo, ha sempre buttato
acqua sul fuoco attestando che il generico richiamo all’art. 28 della legge
urbanistica non invalidasse il principio di tassatività della norma penale
in quanto il giudice avrebbe potuto trarre i criteri interpretativi del
termine ‘lottizzazione’ dalle ‘nozioni di comune esperienza’, alla stregua
di quanto accade per altre espressioni del legislatore (l’accostamento è
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davvero discutibile a parere di chi scrive), utilizzate in ambito edilizio,
come ‘costruzione’ o ‘limitata entità” ovvero, in ambiti completamente
diversi, come “senza giustificato motivo”, “pudore” ecc. (per tutte, cfr
ordinanza n. 159 del 1986).
Anche il secondo sostanziale intervento del legislatore non fu un gran
che. Nel 1985, infatti, con l’art. 18 della L.n. 47, per un verso introdusse
e delineò la lottizzazione abusiva negoziale, recependo, neanche a dirlo,
le riflessioni giurisprudenziali più autorevoli del tempo, per l’altro fornì
una definizione alla lottizzazione abusiva materiale individuando due
distinte fattispecie. La prima ricorreva “quando vengono iniziate opere
che comportino TRASFORMAZIONE…DEI TERRENI in violazione
delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o
comunque stabilite dalle leggi statali o regionali”; la seconda “quando
vengono iniziate opere che comportino TRASFORMAZIONE…DEI
TERRENI… senza la prescritta autorizzazione”. Le due fattispecie sono
state, poi, ereditate dal vigente Testo unico dell’Edilizia n. 380/01 che,
all’art. 30, ripropone per intero il detto art.18.
Orbene sia il testo normativo sia i suoi lavori preparatori (che pure
costituirono la basnon fornisce all’interprete né una stabile piattaforma
sulla quale piantare le proprie teorie, nè un nucleo concettuale
dell’istituto che, ancorchè foriero di inevitabili dubbi in fase di concreta
applicazione, sia sufficientemente delineato; al contrario la sua fumosa
ed imprecisa formulazione letterale ha privato l’interprete di qualsivoglia
riferimento lasciandogli completa libertà di azione.
Si consideri la seconda ipotesi (trasformazione dei terreni senza la
prescritta autorizzazione) che già con la legge Bucalossi aveva
costituito, per giurisprudenza e dottrina, l’archetipo del reato di
lottizzazione abusiva; essa ricorda ictu oculi, anzi ricalca l’art. 1 della
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legge Bucalossi in base al quale “ogni attività comportante
TRASFORMAZIONE DEL TERRITORIO …..è subordinata a
concessione da parte del sindaco..” ovvero la lett e) dell’art.3 del T.U.E.
in base alla quale sono ‘interventi di nuova costruzione’( subordinati a
permesso di costruire ai sensi dell’art. 10 del T.U.E.) “quelli di
trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio..’, e pone, con
immediatezza, la madre di tutti i problemi: quando la trasformazione dei
terreni necessita di concessione edilizia (oggi permesso di costruire) e
quando di autorizzazione lottizzatoria? In altri termini quando la
realizzazione di un manufatto privo di qualsivoglia titolo abilitativo
integra gli estremi della lett. B) dell’art. 44 TU 380/01 e quando gli
estremi della lett. C) del medesimo articolo? Il legislatore, nonostante i
lavori preparatori della L. n. 47/85 associassero il concetto di
‘trasformazione urbanistica ed edilizia’ ad un intervento articolato
idoneo a mutare l’assetto urbanistico della zona, non ha mai individuato
con nitidezza questa linea di demarcazione, generando un vuoto molto
significativo, foriero di una congerie di dubbi e perplessità che
aumentano ove si pensi che quando si è trattato di individuare le linee di
demarcazione verso il basso, tra gli interventi edilizi che necessitano del
titolo abilitativo classico del permesso di costruire e gli altri (prima
autorizzazione edilizia e D.I.A., oggi solo D.I.A.) sino agli interventi
liberi, pur essendovi sullo sfondo interessi meno pregnanti sotto il
profilo ambientale, è stato molto meno pigro. Basti vedere, gli artt. 31 e
48 della L n. 457 del 1978 e gli artt. 9 e 26 della L.47/85 che, con
riferimento agli interventi sul ‘preesistente’, forniscono in termini
certamente più compiuti la definizione e la disciplina degli interventi di
manutenzione, ristrutturazione e risanamento, fino alla realizzazione
delle opere interne. Parimenti quando si è trattato di stabilire in quale
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misura l’opera realizzata in concreto possa legittimamente differire da
quella concessa per tabulas, la puntualità riscontrata, con riferimento alla
concessione edilizia, agli artt. 8 e 15 della L.47/85 sulle varianti
essenziali e le varianti in corso d’opera, svanisce del tutto in materia di
lottizzazione edilizia, in cui la figura della variante è, ancora oggi, una
controversa creatura della giurisprudenza.
Le medesime perplessità e le medesime considerazioni possono essere
specularmente riproposte nell’ambito della prima ipotesi di
lottizzazione edilizia abusiva materiale legata alla trasformazione del
territorio in violazione delle prescrizioni. Premesso che la formulazione
è così generica che, in teoria, abbraccerebbe ipotesi pacificamente
diverse dalla lottizzazione come quella della edificazione di un singolo
manufatto di medie o modeste dimensioni, che superi gli indici di zona
previsti, occorre rilevare che questa fattispecie è riconducibile alla
lottizzazione abusiva per illegittimità del titolo. Solo che anche per la
fattispecie dell’opera dotata di un titolo abilitativo illegittimo, il
legislatore non specifica quando in concreto si ruoti nell’orbita della
concessione edilizia illegittima, reato sanzionato dalla lett. B) dell’art.
44 TU n. 380/01 e quando in quella della autorizzazione a lottizzare
illegittima, reato sanzionato dalla lett. C) del medesimo articolo. Fermo
restando che non potrà essere il nomen del provvedimento illegittimo ad
orientare il Giudice.
In assenza di un articolato normativo chiaro ed esaustivo, è inevitabile,
allora, che il diritto si formi lontano dalle aule legislative, per il tramite
di una costellazione di pronunce - ciascuna delle quali, peraltro,
definisce il reato in modo inevitabilmente legato al caso di specie - che
contribuiscono a rendere la galassia della lottizzazione abusiva
materiale difficilmente dominabile.
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Auspicabile, allora, un confronto di livello alto su questo ruolo della
Cassazione che, obtorto collo, è chiamata a creare diritto e, si badi, non
in presenza di ipotesi limite che il legislatore non poteva prevedere e che
richiamano alla mente istituti come l’analogia e la interpretazione
estensiva, ma in presenza di veri e propri vuoti normativi che, nella
variegata realtà giudiziaria, postulano la supplenza dei Giudici. Il
fenomeno può essere letto sotto una duplice ed opposta chiave di lettura,
la prima, che mette in luce la degenerazione del rapporto dei poteri che
ne pregiudica l’equilibrio e genera un’ingerenza del potere giudiziario
addirittura in quello legislativo, oltre che in quello esecutivo, con
conseguente calo del tasso di democrazia del sistema, la seconda che, al
contrario, esalta, nella supplenza giudiziaria, la funzione di sicurezza del
sistema che consente di evitarne il collasso difronte proprio ai cattivi
funzionamenti degli altri due poteri.
• UNA GIURISDIZIONE CHE NON FUNZIONA.
L’attività dello iuris dicere è quella esercitata nelle aule giudiziarie
tramite il meccanismo del processo. Il cattivo funzionamento di questo
meccanismo è sotto gli occhi di tutti. Oggi i reati di tipologia ambientale
sono quelli maggiormente sacrificati in quanto le risorse e le energie
limitate dell’Autorità Giudiziaria, titolare del potere della giurisdizione,
sono convogliate preferibilmente verso reati ritenuti di maggiore allarme
sociale (reati di mafia, reati contro il patrimonio ecc.), anche perché
soprattutto negli Uffici del P.M. vengono selezionate le notizie di reato
con maggiore possibilità di ‘sopravvivenza’ e sacrificate quelle che
invece sono inesorabilmente destinate alla prescrizione anche ove
fossero ‘attivate’ con immediatezza.
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Occorre prendere atto che i tempi medi di un processo sono
assolutamente incompatibili con quelli della prescrizione prevista per gli
illeciti che determinano le grandi speculazioni edilizie.
• UN RAPPORTO GIUDICE PENALE – PUBBLICA
AMMINISTRAZIONE CHE NON FUNZIONA.
Il legislatore nel concepire il c.d. sistema del doppio binario
(amministrativo-penale) ha previsto un doppio percorso, l’uno affidato
al Giudice penale, l’altro alla Pubblica Amministrazione, comunque
diretto al perseguimento di un unico fine: la tutela del territorio.
Titolare del bene giuridico tutelato con la normativa urbanistica (il
corretto sviluppo del territorio) è proprio la Pubblica Amministrazione.
Oggi, da questo punto di vista, la realtà delle aule giudiziarie presenta
scenari inverosimili che sono l’emblema dello scarto esistente tra lo
schema astratto predisposto dal legislatore e la realtà. La Pubblica
Amministrazione è spesso infatti presente, nei processi per le grandi
speculazioni edilizie, sia come parte offesa che come imputato poiché le
grosse speculazioni edilizie spesso sono volute e autorizzate dai Comuni
che poi processualmente risultano le vittime da tutelare.
3) LE FORME PIU’ RECENTI DI SPECULAZIONE EDILIZIA: LE
NUOVE FORME DI LOTTIZZAZIONE ABUSIVA.
Entro questo quadro si colloca un fenomeno recentissimo di sofisticato e
‘raffinato’ abusivismo edilizio, registra una tecnica di aggiramento della
norma edilizia al fine di ostentare come legittimo un fenomeno di
abusivismo dalla portata a dir poco devastante per il paesaggio e per gli
equilibri urbanistici che una strumentazione urbanistica persegue.
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Il fenomeno è capace di produrre non solo effetti trasformativi del
territorio ma anche forti ripercussioni sul piano socio-economico e
occupazionale.
Trattasi dei c.d. ‘falsi alberghi’ (altrimenti conosciute come R.T.A.:
residenze turistico alberghiere di cui si muta la destinazione d’uso) che
sono grandi complessi immobiliari autorizzati e realizzati come strutture
turistico-recettive ( pertanto, con il beneficio di agevolazioni fiscali), ma
poi trasformati in complessi immobiliari costituiti da unità autonome
destinate per lo più alle c.d. seconde case. I riflessi negativi sono
sul piano urbanistico per l’inevitabile pregiudizio alla pianificazione del
territorio;
sul piano sociale per l’esposizione degli acquirenti che dopo le vendite
affrettate di questi complessi edilizi e la sparizione dallo scenario dei
costruttori che, incassati i prezzi di acquisto sono assolutamente
indifferenti verso una ipotetica condanna, si pongono come gli unici veri
interlocutori con l’Autorità giudiziaria per contrastarne le eventuali
intenzioni di confisca;
sul piano occupazionale per la mancata assunzione del personale
dipendente destinato ad operare nella struttura alberghiera;
sul piano economico per il pregiudizio all’economia turistica del
territorio.
Questi fenomeni speculativi hanno di recente interessato la Toscana, la
Sardegna, l’Emilia Romagna, la Liguria, il Veneto, la Puglia ed anche in
territorio alpino dove un recente studio di Legambiente sul c.d. business
delle seconde case, ha evidenziato che in Lombardia per 35 comuni
turistici montani esaminati, con oltre 31.000 posti letto di cui 24.000
alberghieri, vi sono ben 68.000 seconde case per un valore che
corrisponde al 70% delle abitazioni presenti. La Lombardia è prima in
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classifica, tra tutte le regioni alpine, quanto a numero di seconde case
montane.
• Lo studio di Legambiente.
«Il problema delle seconde case è presente in tutto l'Arco Alpino – spiega in una
nota Legambiente - ma mentre nei Paesi tedeschi si cerca di arginarlo con misure
urbanistiche e fiscali, da noi la speculazione d'alta quota pare inarrestabile, ed è
assecondata dai condoni e dall'attuale 'piano casa» .
L' Alta Valtellina , con 11.700 posti letto alberghieri copre ben il 49%
dell'offerta, facendone il comprensorio trainante dell'intero turismo
montano della regione. All'interno del comprensorio spicca fortemente
il ruolo della località di Livigno , 'star' turistica delle Alpi lombarde con
4982 letti alberghieri e 2674 extralberghieri, mentre i due terzi delle
quasi 10.000 seconde case sono concentrate nell'agglomerato Bormio-
Valdisotto-Valdidentro. Rilevanti, secondo il parametro della ricettività
alberghiera, anche il comprensorio dell'alta Valcamonica (Ponte di
Legno e Temù) con 1891 letti alberghieri, quello di Aprica (che
comprende la camuna Corteno Golgi), con 1737 letti, dell'Alta
Valchiavenna (Campodolcino e Madesimo) con 1416 letti e della
Valmalenco (Chiesa, Lanzada e Caspoggio) con 1374 letti.
Ciò posto, la ricettività offerta dalle seconde case surclassa
abbondantemente quella delle attività turistiche vere e proprie: per ogni
letto alberghiero ed extralberghiero ci sono infatti ben 1,63 'seconde
case' .
Complessivamente povero di ricettività alberghiera è il territorio
orobico , dove si concentra maggiormente la 'piaga' delle seconde case,
presenti dovunque, anche al di fuori delle località di notorietà turistica,
con una forte concentrazione nelle valli bergamasche (le località
turistiche della Val Seriana con Valbondione, Castione, Clusone, Fino
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del Monte, Gromo, che contano 11.700 seconde case; quelle della Val
Brembana con Piazzatorre e Foppolo con 3400 case, Schilpario in Val
di Scalve ed infine alcune località turistiche molto prossime alla città di
Bergamo, come Selvino, Serina, Roncola, con altri 6.400 alloggi):
complessivamente le 11 località turistiche bergamasche comprendono
un terzo delle seconde case dell'intero campione lombardo!
Rilevanti concentrazioni di seconde case si rinvengono anche nei
comprensori dell'Alta Val Camonica (6400 seconde case tra
Pontedilegno e Temù), dell'Aprica (7660 seconde case tra Aprica e
Corteno), della Valmalenco (5600) e dell'Alta Valchiavenna (5400),
oltre che in località caratterizzate da turismo consuetudinario e familiare
(Borno, Barzio, Collio e Bagolino). Nello scenario lombardo si
evidenziano alcuni esempi particolarmente negativi e sbilanciati: le
stazioni sciistiche di Madesimo, Piazzatorre e Foppolo , con una
dotazione di seconde case pari o superiore al 90% dell'intero patrimonio
abitativo, il gigantesco agglomerato di seconde case di Castione della
Presolana , ma anche quelli di Pontedilegno , dell' Aprica e della
Valmalenco.
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• ULTIMO PRESIDIO CONTRO LA SPECULAZIONE
EDILIZIA: LA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE DI
CASSAZIONE.
Al fine di fronteggiare questo fenomeno particolarmente insidioso, la più
recente elaborazione giurisprudenziale della Cassazione, è giunta a
configurare il reato di lottizzazione abusiva materiale anche nell’ipotesi
di mutamento di destinazione d’uso di immobile preesistente; la
fattispecie riguarda frazionamenti di complessi edilizi autorizzati come
residenze turistico alberghiere (R.T.A.) ed invece venduti come singole
unità immobiliari destinate ad uso abitativo.
L’istituto della lottizzazione abusiva manifesta ancora una volta la sua
natura camaleontica essendo pronto a cambiar pelle dietro le spinte della
Cassazione che da trenta anni si cimenta per mantenere la tutela del
territorio al passo della mutevole e variegata realtà dell’abusivismo
edilizio.
Questa nuova figura di lottizzazione edilizia contribuisce a rendere
antica l’immagine del lotto di tipo agricolo parcellizzato per fini
edificatori, evocata ormai solo dalla tradizionale casistica, legata alle
origini dell’istituto. Oggi il reato è configurabile anche con riferimento a
ad interventi che incidono non in via immediata sui terreni ma su
complessi edilizi già esistenti determinandone una modifica di
destinazione d’uso in zone urbanistiche in zone in cui tale modifica non
risulta inclusa tra quelle astrattamente possibili. Ciò in quanto “anche un
abusivo mutamento di destinazione d’uso di edifici già esistenti può
influire sull’assetto urbanistico dei terreni sui quali essi insistono e può
altresì comportare la necessità di nuovi interventi di
urbanizzazione”(Sez. III, 7/3/08, n. 24096, Desmine).
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Questo, naturalmente, è possibile nella misura in cui la modifica
dell’assetto del territorio incida, alterandolo, sul bene protetto dalla
norma della lottizzazione abusiva: lo sviluppo del territorio così come
pianificato. Infatti una siffatta modifica della destinazione del territorio
snatura la programmazione dell’uso del territorio così come delineata
nello strumento urbanistico generale finendo fatalmente per necessitare
di una integrazione delle opere di urbanizzazione già eventualmente
esistenti.
La forza di questa posizione della Cassazione riveniva dal fatto che la
lottizzazione abusiva, sino a qualche mese addietro, comportava una
misura davvero efficace (la sola?) contro la speculazione edilizia: la
confisca dei terreni anche a carico dei terzi acquirenti in buona fede.
Oggi la Corte di Cassazione ha mutato questo orientamento dietro le
spinte della giurisprudenza europea spostando l’istituto dalla
sottocategoria di ‘sanzione amministrativa reale’ applicabile anche ai
terzi in buona fede (alla stregua dell’ordine di demolizione, attesa la loro
valenza esclusivamente ripristinatoria del territorio) alla sottocategoria di
sanzione amministrativa personale’ con funzione sanzionatoria con
conseguente applicazione dei principi personalistici che ispirano la L.
689/81 e che escludono la confisca nei confronti del terzo in buona fede;
pertanto, se l’immobile oggetto di speculazione abusiva viene, nelle
more dell’accertamento giudiziale, parcellizzato e venduto ai singoli
acquirenti in buona fede, la confisca non può più operare, così rendendo
inoffensivo anche questo ultimo baluardo contro il fenomeno criminoso.
Occorre però rilevare che questa posizione della Cassazione non è scevra
da critiche che potrebbero, nella situazione di grande fermento che è
quella attuale, indurre a qualche ripensamento la Suprema Corte.
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Il problema si pone raffrontando la confisca con l’ordine giudiziale di
demolizione del manufatto abusivo, pacificamente estensibile al terzo in
buona fede. Sino ad oggi i due istituti sono stati accomunati nella
categoria della ‘sanzione amministrativa’; pertanto, o il riconoscimento
dei caratteri personalistici della sanzione amministrativa coinvolgerà
anche l’ordine di demolizione che non potrà più essere dato a carico del
terzo in buona fede, in tal modo contravvenendo evidentemente alla
previsione di legge così come, pacificamente interpretata dalla stessa
Cassazione (Cass. III, 5/11/98, n. 2882, Frati) e ‘valutata’ dalla Corte
Costituzionale (Corte Cost., 15/7/91, n. 345), oppure tra le due misure
dovrà essere introdotta una differenziazione, per nulla scontata nella
sentenza in commento, che consenta di escludere la misura dell’ordine
di demolizione dalla categoria della sanzione amministrativa in senso
stretto e di preservarne la natura ‘reale’.
Tale differenziazione, però, finirebbe per fare i conti con il principio di
proporzionalità e ragionevolezza poiché rappresenterebbe una
disarmonia nel contesto normativo atteso che gli interessi urbanistici
compromessi dal reato cui consegue l’ordine di demolizione
(esecuzione dei lavori in totale difformità o assenza del permesso di
costruire di cui alla lett. b, art. 44 DPR 380/01) sono meno pregnanti
rispetto a quelli coinvolti dal reato di lottizzazione abusiva che attiene
ad una forma di intervento ben più incisiva, in quanto idonea a
compromettere la programmazione edificatoria del territorio. In questa
ottica, infatti, si spiega, come attestato dalla Corte Costituzionale con le
ordinanze n. 148 del 21/4/94 e n. 107 del 16/3/89, il diverso trattamento
riservato alle due fattispecie dal legislatore che, dal punto di vista delle
cause di estinzione del reato, ha previsto solo per il reato meno grave, di
cui alla lett. b art. 44 DPR 380/01, la possibilità del rilascio in sanatoria
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(in senso stretto) del permesso di costruire (art. 36 DPR 380/01) e del
rilascio in sanatoria mediante oblazione (condoni edilizi di cui agli artt.
31 L.47/85, 39 L.n.724/94 e 32 D.L.269/03). Soprattutto si spiega
perché il legislatore agganci alla sentenza di condanna solo l’ordine di
demolizione e non la confisca che, invece, è prevista per la mera
sussistenza del fatto. Nel primo caso, infatti, quando l’imputato è
prosciolto pur sussistendo il fatto, l’abuso edilizio, potrà, comunque,
essere ‘assorbito’ nell’ambito della programmazione edificatoria della
P.A. che non ne rimane irrimediabilmente pregiudicata; nel secondo,
invece, il fatto consiste proprio in tale pregiudizio della pianificazione
del territorio e, pertanto, la sua gravità non consente di limitare la
misura ripristinatoria alle pronunce di condanna.
In tale contesto risulta, allora, contraddittoria la tutela del terzo in buona
fede che sarebbe garantita solo nell’ipotesi criminosa di maggiore
offensività (la lottizzazione abusiva accertata, indifferentemente, con
sentenza di condanna o di proscioglimento) ed a costo della definitiva
rinuncia alla programmazione edificatoria del territorio (si pensi alla
lottizzazione per realizzazione di un imponente complesso edilizio in
cui la presenza di un solo acquirente in buona fede, di una singola unità
immobiliare, renderebbe impossibile il ripristino dell’intera area
compromessa) e non per il reato di realizzazione di un singolo
manufatto abusivo, accertato con sentenza di condanna e inidoneo a
pregiudicare, allo stesso modo, la pianificazione del territorio.
Questa ricostruzione rappresenterebbe la violazione del principio di
proporzionalità per palese irragionevolezza del bilanciamento degli
interessi da parte del legislatore che farebbe prevalere la tutela del terzo
in buona fede solo nell’ambito del reato di lottizzazione edilizia
dall’elevato indice di offensività, così sacrificando il relativo bene
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giuridico e, viceversa, salvaguarderebbe, a discapito del terzo, il meno
pregnante bene giuridico tutelato dalla lett. b dell’art. 44 DPR 380/01.