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Testimonianza della signora Ester Bizzaro Jacchia
Sono nata nel 1932. Mio padre era un apprezzato professionista a Vicenza.
Esercitava la professione di dottore commercialista ed aveva una casa editrice che stampava libri
di vario genere ma soprattutto di poesia.
Era un intellettuale ed aveva molti amici.
In Italia, nell’autunno del 1938 vennero promulgate dal governo guidato da Mussolini le
leggi razziali che decretavano l’espulsione di tutti gli alunni e di tutti i docenti ebrei dalle scuole di
ogni ordine e grado e dalle università, vietava i matrimoni tra ebrei e non ebrei, vietava agli ebrei
di possedere beni, di avere domestici, di lavorare nelle amministrazioni pubbliche e militari, inoltre
per chi esercitava una professione, per esempio l’avvocato, il medico, l’ingegnere, il
commercialista era prevista la cancellazione dall’albo professionale e pertanto era impedita la
possibilità di lavorare.
Mio padre dovette chiudere lo studio, cedere la casa editrice, lasciare la sua bella casa la sua vita
agiata e partire. Mia madre ed io lo seguimmo e tutti e tre, esuli, ci rifugiammo in un paesino ai
piedi dei Pirenei, vicino a Tolosa, nella Francia meridionale dove speravamo di sfuggire alla follia
nazista .Era il 1939,e la nostra vita cambiò completamente, naturalmente in peggio e per sempre.
Io ero una bimba di sei anni ma mi sono rimasti nella mente e nel cuore i momenti tragici e le
paure di quei tempi.
Comunque in Francia la vita continuò, abitavamo in una grande fattoria, il papà, ufficialmente era
un contadino, ma in realtà si occupava della gestione contabile dell’azienda, la mamma lavorava in
casa ed io andavo a scuola. La scuola distava dalla fattoria cinque chilometri ed io, anche se piccola
li percorrevo a piedi due volte al giorno sia con il bel tempo che con il brutto. Quando arrivai in
Ermes Jacchia
14/10/1899 – 01/12/1956
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Francia, non conoscevo una parola di francese ma venni inserita in classe prima e velocemente
imparai la lingua. Alla fine dell’anno scolastico, per la mia bravura in lettura, ricevetti un premio
che conservo ancora.
Nel marzo 1943, dovemmo lasciare la fattoria perché l’esercito tedesco aveva invaso la Francia
meridionale e così rientrammo in Italia.
Io e la mamma ci rifugiammo a Marsan, in una casetta in collina, vicino a Marostica.
La nostra casetta a Marsan
La mamma ed io
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Il giorno del Battesimo
Io venni battezzata e presi il cognome di mia madre che era cristiana, in questo modo potei
ritornare a scuola. Naturalmente, pur avendo frequentato la scuola in Francia e parlando in casa
l’italiano, non sapevo scriverlo per cui le insegnanti della scuola elementare volevano inserirmi in
una seconda elementare. Per fortuna una maestra, la signora Todesco si oppose e mi accolse nella
quinta. Io fui promossa e sempre seguita da questa maestra mi preparai per l’esame di
ammissione alla prima media e lo superai.
Mio padre non era con noi, si era rifugiato in Romagna. Qui, pagando profumatamente, riuscì ad
avere una nuova carta d’identità con un nuovo nome, e utilizzando questo falso documento ed
affidandosi alle “staffette”cioè persone che accompagnavano i fuggiaschi al confine, riuscì a
raggiungere, nel dicembre 1943, la Svizzera. Qui rimase come rifugiato politico fino alla fine della
guerra in un campo di lavoro dove si adattò ai lavori più umili.
Il campo Möhlin Il refettorio
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In dormitorio, il paravento di carta impedisce di vedere l’altra fila di letti
La mamma, in questo periodo, si dimostrò forte: imparò a coltivare l’orto ,faceva lavori a maglia e
provvide al nostro sostentamento.
Le notizie del papà erano scarse, talvolta arrivavano delle lettere che però non dovevano far capire
che lui era mio padre perché la polizia ci avrebbe individuato e magari mandato in un campo di
concentramento.
Nelle sue lettere spesso c’erano dei segni tracciati con l’inchiostro indelebile sopra le parole
perché, a quel tempo, la posta veniva aperta e letta da dei funzionari e se nella lettera c’erano
affermazioni ritenute non adatte venivano cancellate. C’era, cioè, la censura.
Anche la mia nonna paterna in quei tristi anni dovette vivere nascosta. Ella fu accolta in un
convento di suore a Bassano del Grappa sotto falso nome. Sulla sua carta d’identità anziché Alice
Jacchia c’era scritto Elisa Moranti.
Nel 1945 la guerra finì, mio padre tornò a casa e noi tornammo a vivere tutti e tre assieme.
Sono molto emozionata nel raccontarvi questi ricordi della mia infanzia.Mi auguro che tali tragici
eventi non si ripetano più ed è per questo che non si deve dimenticare quanto è successo.
Silea, 18 gennaio 2010
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SENZA DISTINZIONE DI RAZZA
COSTITUZIONE ITALIANA Articolo 3
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge senza distinzione di razza,
di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
E’ compito della repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di
fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e
l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica, sociale del
Paese
L’articolo 3 della nostra Costituzione promulgata nel 1948 stabilisce l’uguaglianza dei cittadini
che si può attuare solo se lo Stato interviene per rimuovere le tante deseguaglianze esistenti.
CONVENZIONE SUI DIRITTI DEI BAMBINI Articolo 7
Ogni bambino quando nasce ha diritto a un nome….
Ascoltando il racconto della signora Ester abbiamo capito quanto
sia stato facile perdere dei diritti che a noi sembrano “normali”.
Proprio perché può accadere di nuovo, noi cittadini abbiamo il
dovere di informarci , di controllare che i diritti di tutti siano
tutelati ed eventualmente agire per far in modo che la legge sia
rispettata.