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L’ATHENAION POLITEIA DI ARISTOTELE E LE
Uno studio di DAVID ARIOLI
Liceo Classico “Stein” di Gavirate
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1. STORIA DEL TESTO
Aristotele, nel brano finale dell’Etica Nicomachea (Et. Nicom. X, 9, 23), parlando della
imminente stesura della Politica, scrive:
“Innanzitutto, dunque, tentiamo di esaminare se qualcosa è stato detto di valido, su qualche
branca di questo soggetto, dai (nostri) predecessori; poi, sulla base delle costituzioni (da me )
raccolte, (tentiamo di) considerare.....”
Oltre ad Aristotele, molti altri autori antichi (in particolare Diogene Laerzio, Esichio1 e
Arpocrazione) annoverano, tra le opere aristoteliche, la raccolta delle costituzioni delle città
greche e tra queste occupa una posizione preminente la costituzione di Atene2. Ciò nonostante,
fino alla fine dell’Ottocento, il corpus Aristotelicum, che aveva preservato molte opere del
filosofo stagirita, non comprendeva nemmeno una delle antiche costituzioni. Ciò spinse,
ovviamente, ad una intensa ricerca (basata, soprattutto, sulla nascente scienza papirologica) che
diede ben presto frutti insperati. Nel 1880, infatti, F. Blass3 pubblicò i frammenti di un papiro
giunto a Berlino nel 1879 (ora inv. 5009 della Papyrussammlung degli Staatliche Museen)4e T.
Bergk5 identificò i frammenti come parte dell’Athenaion Politeia. Pochi anni dopo, sul verso dei
quattro rotoli6 di cui risulta costituito il P. Lond. 131, F. G. Kenyon nel 1890 scoprì il testo
1 V. ROSE, Aristotelis Fragmenta, Leipzig 18863, pp. 318 . Il Rose riporta la lista completa delle opere aristoteliche, stilata da Diogene Laerzio. In essa come centoquarantatreesima opera figurano ς<> “Costituzioni di 158 città, in generale e in particolare, democratiche, oligarchiche, aristocratiche e tiranniche.” L’esistenza delle costituzioni è confermata anche da Esichio, riportato sempre da Rose.
2 Ad esempio Arpocrazione nel suo Lessico, quando spiega voci inerenti a istituzioni e magistrature, fa continuo riferimento a quanto riesce reperire di Aristotele.
3 F. BLASS, Neue Papyrusfragmente eines Historikers im Aegyptischen Museum zu Berlin, Hermes XV (1880), pp. 36682
4 Per una informazione più precisa, sia da un punto di vista storico, sia da un punto di vista filologico, riguardo al papiro di Berlino rimando a: M. CHAMBERS, The Berlin Fragments of the Ath. Pol., TAPhA XCVIII( 1967), pp. 4966.
5 T. BERGK, Zur Aristotelischen Politie der Athener, RhM XXVI( 1881), pp. 87115.
6 I documenti presenti sul recto dei quattro rotoli consentono di datare approssimativamente (terminus post quem) la stesura di questa copia dell’Athenaion Politeia: troviamo liste di conti appartenenti al XXI anno di regno di Vespasiano (77/8 e 78/9 d. C).
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dell’Athenaion Politeia, quasi integro7. Da allora il testo è stato ampiamente studiato e
commentato8.
Mi sembra importante ricordare, proprio a questo proposito, che nel 1991, in occasione del
primo centenario dalla pubblicazione del testo, sono stati organizzati vari convegni con lo scopo
di fare il punto sulla conoscenza dell’Athenaion Politeia. Tra questi voglio segnalare
principalmente:
1. Il convegno tenuto a Fribourg (Svizzera) tra il 23 e il 25 maggio (che ha visto tra i
partecipanti Chambers, Rhodes, Ostwald, Saïd, Stroud e Musti).9
2. Il convegno tenuto ad Acquasparta tra il 27 e il 29 maggio (al quale sono intervenuti,
tra gli altri, Treves, Arrighetti, Maffi, Gabba, Maddoli, Meister, Ampolo, Camassa,
Foraboschi).10
3. Il convegno tenuto a Genova tra il 30 settembre e il 1 ottobre (cui hanno partecipato
Montanari, Wallace, Bertelli, Camassa, Arrighetti e Piccirilli).11
2. DATA DI COMPOSIZIONE
Per stabilire la data di composizione dell’Athenaion Politeia ci si basa, comunemente12, su
un terminus post quem, presente nell’opera stessa. Esso è fornito dalla descrizione dell’
come un programma obbligatorio di servizi allo stato, per un tempo complessivo di due anni
(cfr. Ath. Pol. XLII, 25): tale istituzione, in questa forma, fu probabilmente creata nel 335/4 a.
C. Infatti sappiamo da Arpocrazione (s.v. Epikrates) che un certo Epicrate (citato da Licurgo) fu
7 F. G. KENYON, The Athenian Constitution, London 1891. Questa, che è l’editio princeps, fu pubblicata il 30 gennaio 1891. Purtroppo la rapidità della pubblicazione fece sì che l’opera contenesse molti errori, altrimenti evitabili. Edizioni migliori per l’accuratezza sono: G. KAIBEL U. von WILAMOWITZMOELLENDORFF, Atheniensium Respublica, Berlin 18983 (con allegati alcuni studi di Wilcken); F. G. KENYON, Atheniensium Respublica, Berlin 1903; M. CHAMBERS, Aristoteles. Athenaion Politeia, Leipzig 1986.
8 Tra i commenti sicuramente si segnala per precisione e completezza P. J. RHODES, A Commentary on the Aristotelian Athenaion Politeia, Oxford 1981. Cfr. inoltre M. CHAMBERS, Aristoteles Staat der Athener, Berlin 1990.
9 Gli interventi del convegno sono contenuti in: Aristote et Athènes. Aristotle and Athens (FribourgSuisse 2325 mai 1991), études rassemblées par M. Piérart, Paris 1993.
10 Gli interventi del convegno sono contenuti in: L’Athenaion Politeia di Aristotele 18911991. Per un bilancio di cento anni di studi, a cura di G. Maddoli, Perugia 1994.
11 Gli interventi del convegno sono contenuti in: L’«Athenaion Politeia» di Aristotele, a cura di L. Cresci e L. Piccirilli, Genova 1993.
12 Per informazioni complete sul problema della data di composizione dell’opera cfr. RHODES, A Commentary cit., pp. 5158.
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onorato con l’erezione di una statua bronzea Questa
legge di Epicrate sull’efebia doveva, sicuramente essere innovativa se fruttò addirittura
un’onorificenza di così grande valore. A questa notizia si collega il fatto che le iscrizioni antiche
che riportano registri di efebi compaiono per la prima volta nel 334/313e che nessuna fonte,
prima di allora parla di cittadini impegnati in un servizio biennale. Altri riferimenti interni
dell’opera confermano il terminus post quem. Esistono anche due termini ante quem:
l’Athenaion Politeia utilizza sempre verbi al presente nel descrivere il funzionamento della
costituzione democratica ateniese che fu soppressa nel 322/1 su ordine di Antipatro14e non fa
alcun riferimento al nuovo regime timocratico istituito da Antipatro stesso15; ulteriormente un
riferimento a Samo (Ath. Pol. LXII, 2), che Atene perse alla fine del 322, ci permette di risalire
a prima di questa data.
In definitiva si può anche in virtù di altre testimonianze minori limitare il periodo di
composizione al 33022, pur tenendo presente che varie parti dell’opera sono ritenute, ormai con
sicurezza, aggiunte o inserzioni successive.16
3. STRUTTURA DELL’OPERA
L’Athenaion Politeia risulta costituita da 69 capitoli a loro volta suddivisi in un numero
variabile di paragrafi.
Il contenuto dell’opera è ripartito in due ampie sezioni, l’una storica, l’altra più
propriamente politica, così separate:
• Dall’inizio lacunoso al cap. XLI. In questa sezione troviamo una storia della
costituzione ateniese, attraverso i suoi molti mutamenti, fino a giungere alla restaurazione
democratica del 403 a. C.
13 cfr: Id., Ibidem., p. 494.
14 Questo terminus ante quem fornito da RHODES, A Commentary cit., p. 52, risulta comunque poco indicativo. Se è vero che formalmente la costituzione democratica fu soppressa da Antipatro, bisognerà attendere ancora del tempo prima che la democrazia ateniese possa dirsi definitivamente conclusa.
15 Sull’istituzione del nuovo regime democratico si veda Diod. Sic.XVIII, 18, 4:
“Ma egli (scil. Antipatro) cambiò la costituzione dalla democrazia e ordinò che la nuova forma di governo fosse in base al censo.”.
16 Anche su questo problema cfr: RHODES, A Commentary cit., pp. 5158.
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• Dal cap. XLII al cap. LXIX. Qui è possibile trovare la descrizione particolareggiata
del funzionamento delle istituzioni e delle magistrature ai tempi di Aristotele.
Seguendo lo schema fornito da Rhodes17è possibile analizzare ulteriormente il contenuto
delle due parti.
Il racconto storico ha inizio con le vicende legate a Cilone (cap. I) e Draconte (cap. IV)18e
prosegue con Solone (cap. VXII) e Pisistrato (cap. XIIIXIX). Seguono nell’ordine: le riforme
di Clistene e l’invasione di Serse (cap. XXXXII), un riassunto dei fatti di metà V sec. (cap.
XXIIIXXVIII), la costituzione dei Quattrocento e quella dei Cinquemila (cap. XXIXXXXIV,
1), i Trenta Tiranni e la costituzione dei Dieci (cap. XXXIV, 2XLI, 1) e, per concludere, un
riassunto dei cambiamenti subiti dalla costituzione ateniese conseguentemente agli eventi
analizzati.
Questa prima parte fornisce un quadro assai utile per lo studio dell’evoluzione storica dei
singoli aspetti della costituzione ateniese, oltre che per la conoscenza della storia ateniese del
VIIV sec. a.C. A questa sezione farò, quindi, particolare riferimento nei capitoli dedicati alla
genesi storica delle .
Dal cap. XLII ha invece inizio, come Aristotele stesso scrive, la descrizione di
cioè della costituzione contemporanea all’autore. La
descrizione comprende:
1. cap. XLII: La registrazione e l’addestramento dei cittadini.
2. cap. XLIIILXII: Gli ufficiali scelti a sorte e quelli eletti.
3. cap. LXIIILXIX: Le giurie e le corti.
Questa è, a grandi linee, l’impostazione della seconda parte dell’opera. È possibile, però,
precisare ulteriormente gli argomenti trattati, seguendo ancora una volta la suddivisione
proposta da Rhodes19:
A) Cap. XLIIIXLIX: La
• Cap. XLIIIXLIV. e sedute della e dell’.
• Cap XLV, 13. Poteri della : giudiziario.17 Id., Ibidem, pp. 532.
18 Si noti che l’inizio è lacunoso e mancano, perciò, i racconti relativi a Ione, Teseo e la fondazione della monarchia. Nei Cap. IIIII sono invece affrontate le cause della tra i poveri e i ricchi.
19 RHODES, A Commentary cit., pp. 532.
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• Cap. XLV, 4.
• Cap. XLVI, 1. Marina.
• Cap. XLVI, 2. Lavori Pubblici.
• Cap. XLVIIXLVIII. Ufficiali finanziari.
• Cap. XLIX.
B) Cap. LLIV: Gli ufficiali sorteggiati annualmente.
• Cap. LLI. Ufficiali addetti ai servizi cittadini.
• Cap. LIILIII. Ufficiali preposti all’amministrazione della giustizia.
• Cap. LIV. Vari.
C) Cap. LVLIX: Gli Arconti.
• Cap. LVLVI, 1. Designazione ed elezione.
• Cap. LVI, 27. L’Arconte eponimo.
• Cap. LVII. L’Arconte
• Cap. LVIII. L’Arconte
• Cap. LIX. I
D) Cap. LX: Gli (scelti a sorte, in carica per quattro anni)
E) Cap. LXI: Cariche militari elettive.
F) Cap. LXII: Note conclusive sugli ufficiali.
G) Cap. LXIIILXIX: Tribunali e corti.
• Cap. LXIIILXV. Ripartizione dei giurati nelle corti.
• Cap. LXVI, 1. Suddivisione dei magistrati nelle corti.
• Cap. LXVI, 23. Suddivisione degli ufficiali delle corti.
• Cap. LXVII. Calendario dei processi.
• Cap. LXVIII, 1. Dimensioni numeriche delle giurie.
• Cap. LXVIII, 2LXIX, 1. Votazione
• Cap. LXIX, 2. e pagamento dei giurati.
All’interno di questa seconda sezione vi sono alcuni brani che rivestono particolare
importanza nello studio delle nella seconda metà del IV sec. Le citazioni inerenti al
problema si trovano principalmente nel cap. XLVIII, che riguarda le magistrature finanziarie, e
nel cap. LIV, che si occupa di ufficiali generici sorteggiati annualmente. Ma riferimenti si
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trovano anche nel cap. LVI, in merito ai controlli cui si devono sottoporre gli aiutanti degli
arconti ( due per ciascun arconte, tranne i ), e nel cap. LIX, dove, tra le
mansioni dei è annoverata l’audizione dei rendiconti degli strateghi. L’importanza
di questi passi è accentuata dal fatto che nessun’altra opera riporta una trattazione così
sistematica del funzionamento dell’istituto del rendiconto. Prima di procedere con ulteriori
indagini, perciò, credo che sia indispensabile analizzare la testimonianza dell’Athenaion
Politeia.
4. LE NEL IV SEC.: IL RESOCONTO ARISTOTELICO
Il cap. XLVIII dell’Ath. Pol. costituisce, per noi, la principale fonte di conoscenza
dell’istituto del rendiconto, vigente ad Atene nel IV sec. a. C.
Aristotele sta parlando, in questo punto dell’opera, di alcuni ufficiali eletti dalla con
la procedura del sorteggio Tra questi Aristotele ricorda, appunto, i dieci eletti nel
consiglio stesso, e in seguito gli , eletti sempre per sorteggio in seno alla ma in
maniera che ogni appartenesse ad una differente tribù. Vediamo però, nei particolari,
quanto viene riportato dallo Stagirita:
Ath. Pol. XLVIII, 35.
ϖϖϖϖ
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20 Il Kenyon nella sua edizione del 1920 annota: potest etiam legi .Questa emendazione si accorda pienamente con l’opinione di vari studiosi che ritengono che non sia possibile accettare un tempo, per le di soli tre giorni. Di questa opinione è, per esempio, RHODES, A Commentary cit., p. 562. Un tempo di trenta giorni sembra anche accordarsi meglio con i tempi della prima parte del rendiconto.
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“I buleuti eleggono a sorte anche dieci del loro stesso consiglio, come perché
esaminino i rendiconti dei magistrati in ciascuna pritania. Eleggono anche degli uno
per ciascuna tribù, e due aiutanti per ciascun ai quali è dato incarico di sedere nei
giorni di mercato presso (la statua) dell’eroe eponimo di ciascuna tribù. E se qualcuno desidera
sporgere una denuncia, di carattere sia privato sia pubblico, contro uno qualsiasi dei magistrati
che hanno sostenuto il rendiconto di fronte alla corte, entro tre (trenta) giorni dal giorno nel
quale questi ha sostenuto il rendiconto, scrive su una tavoletta (imbiancata) il proprio nome e
quello dell’accusato, nonché la violazione che gli rinfaccia e la pena che stima adatta, e la
consegna all’. Questi la riceve, la legge e, qualora ritenga l’accusa fondata, dà luogo a
procedere consegnando il caso ai giudici dei demi incaricati di introdurre [davanti al tribunale le
cause di quel]la tribù, se si tratta di un caso privato; se, invece, è una causa pubblica, la segnala
ai . E i qualora l’accolgano, introducono questa nel dicasterio e
quanto stabiliscano i dicasti risulta verdetto definitivo.”
In questo brano vediamo precisate particolarmente le mansioni e le competenze degli
mentre i sono solo citati come magistrati eletti in seno alla con
compito limitato al tempo di una singola pritania
Ulteriori informazioni riguardanti, questa volta, i annuali sono fornite da
Aristotele a LIV, 2.
“Eleggono per sorteggio anche dieci e, con essi, dieci , davanti ai quali
è necessario che tutti i magistrati, che abbiano terminato la loro funzione, rendano conto. Questi,
infatti, sono i soli che ascoltano i rendiconti dei magistrati sottoposti a questo controllo e che
introducono le nel dicasterio. E qualora accusino qualcuno di peculato, i dicasti
giudicano il peculato e la somma stornata viene pagata dieci volte tanto. E se asseriscono che
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qualcuno ha ricevuto doni (illeciti) e i dicasti provano l’accusa, stabiliscono il valore dei doni e
anche questo viene pagato dieci volte tanto. Ma se riconoscono (un politico) colpevole di cattiva
amministrazione, stimano l’ammontare del danno arrecato e questo viene semplicemente
ripagato se il pagamento viene effettuato prima della nona pritania, altrimenti l’ammontare
viene raddoppiato. Tuttavia, la multa decupla non viene mai raddoppiata.”.
5. COMMENTO
La procedura descritta nei due brani precedenti dell’Athenaion Politeia risulta assai precisa
e articolata. D’altra parte, è evidente che un istituto talmente democratico, da porre nelle mani
delle giurie popolari il controllo del potere magistraturale, dovesse essere disciplinato in
maniera rigida ed efficiente, per garantire una completa applicazione della legge. La precisione
che accompagna la descrizione di questa istituzione (con l’attenzione dedicata, principalmente,
alle varie multe e pene irrogabili oltre che alla definizione degli organi competenti nel giudizio)
è segno, perciò, di una giustizia che non mira ad un legalismo pignolo e rigorista, ma vuole
garantire il rispetto dei principi democratici di salvaguardia del singolo e di responsabilità
personale21.
Cercherò ora di chiarire e riordinare, per quanto possibile, le notizie fornite dai brani
aristotelici22. Per cominciare, mi sembra opportuno precisare le mansioni dei vari ufficiali
deputati al ricevimento dei rendiconti; a questo primo approfondimento intendo far seguire una
rapida sintesi procedurale e, infine, qualche breve informazione sul problema dei sicofanti.
5.1. I magistrati
5.1.a. I e i .
Il termine è evidentemente collegato con il sostantivo che, nella
particolare accezione giuridica greca, assume il valore di “rendiconto finanziario”. I
sono, dunque, gli ufficiali addetti alla sorveglianza sull’amministrazione del denaro pubblico.
L’istituzione di questi magistrati rimane, per noi, totalmente oscura: possediamo unicamente
qualche attestazione della loro esistenza nel V sec. oltre, naturalmente, alle notizie relative ai 21 Parlando di salvaguardia del singolo e di responsabilità personale, penso soprattutto allo spinoso problema dei sicofanti, dei quali parlerò tra breve
22 Voglio segnalare, in questo luogo, uno studio che, nonostante la sua natura divulgativa e il suo taglio più giuridico che storico, può essere utile per una visione di sintesi del problema del controllo magistratuale: L. ROSSETTI, Le magistrature nell’Atene classica: forme di controllo e forme di responsabilità, in L’EDUCAZIONE GIURIDICA IV,1 Il pubblico funzionario: modelli storici e comparativi, Perugia 1981, pp. 342.
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funzionari del IV sec. Rhodes23 ricorda, in merito, che i collegi di presenti ad Atene tra
V e IV sec, al di fuori della testimonianza aristotelica, sono vari e di varia composizione.
Innanzitutto i risultano citati nelle prime tre liste di tributi della lega di Delo in
numero di trenta24, con il compito di controllare le somme pagate per il tributo di Atena. Questi
trenta ricompaiono, poi, nel primo decreto finanziario di Callia, dove sono incaricati di
computare le somme dovute agli altri Dei.25 Alcuni , questa volta senza specificazione
del loro numero, sono ricordati, infine, come addetti alla registrazione delle somme che lo stato
ateniese prese in prestito dai tesori sacri nel 433 a. C. e in seguito.26
L’Athenaion Politeia, tuttavia, conosce solo due collegi di entrambi connessi
unicamente all’istituto del rendiconto dei magistrati. I due collegi (ricordati da Ath. Pol. XLVIII,
3 e LIV, 2) avevano delle mansioni differenziate, oltre che una diversa composizione, differenti
poteri e distinti ambiti di azione. Vediamoli nel dettaglio:
I. Il collegio dei pritanici (Ath. Pol. XLVIII, 3). Era formato da dieci ,
eletti per sorteggio tra gli appartenenti alla stessa. Svolgevano un controllo, ad
ogni pritania27, sull’uso del denaro pubblico da parte dei magistrati. Questi ufficiali
operavano, perciò, lungo l’arco dell’intero anno, nelle dieci pritanie. La pritania28,
come è noto, era la sezione della , che rimaneva in carica per circa un mese (la
confusione nel calcolo dell’anno ateniese non permette di computare precisamente la
durata di una pritania). Ciascuna di queste sezioni della era formata da
cinquanta buleuti, scelti a sorte da ciascuna delle dieci tribù di Atene (ogni pritania
era costituita da rappresentanti di un’unica tribù). È possibile che i pritanici,
dovendo rimanere in carica per tutto l’anno e dunque per la reggenza di tutte e dieci le
tribù, fossero scelti proprio in misura di uno per tribù; tuttavia nessun testo conferma 23 P. J. RHODES, The Athenian Boule, Oxford 1972, p. 111.
24cfr. ATL, vol. I, liste n.1, 2, 3. Nell’aggiunta alla lista 1 si trova, in particolare ( righe 24):Le tre liste sono datate dal 454 al 451 a. C.
25 cfr. M L 58 A, 79.Il decreto è datato al 434/3 a. C.
26 cfr. M L 72. Questi sono anche incaricati di computare gli interessi dovuti.
27 Per una precisa informazione sui pritanici cfr. RHODES, The Athenian Boule cit., pp. 1045; 1112; 125; 1478; 2112; 218.
28 Per migliori informazioni sulla e sulla pritania cfr.: RHODES, The Athenian Boule cit., pp. 148. Le informazioni sul funzionamento della sono contenute principalmente in Arist. Ath. Pol. XLIIIXLIV.
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o smentisce chiaramente questa ipotesi. Il compito di questi era collegato a
quella serie di controlli “mensili” che poneva sotto verifica tutte le magistrature
ateniesi (si pensi ad esempio alla procedura dell’ che ad ogni pritania
proponeva al voto popolare, nella ovvero la riunione principale,
l’accettazione delle 29).Qualora i non avessero riscontrato delle
irregolarità nella condotta amministrativa, riferivano alla il loro parere e forse il
consiglio rilasciava ai singoli magistrati l’attestazione scritta dell’approvazione30;
altrimenti, se vi erano giustificati sospetti oppure qualche privato muoveva fondate
accuse di illegalità, il consiglio giudicava il caso. Di questo particolare procedurale ci
informa lo stesso Aristotele Ath. Pol. XLV,
2:
“La giudica anche la maggior parte delle magistrature e soprattutto quelle che
prevedano maneggio di denaro. La sua decisione non è definitiva ma appellabile
presso il dicasterio. È possibile, inoltre, ai privati cittadini denunziare chi vogliano tra
i magistrati, per non essersi attenuto alle leggi. Anche per questi magistrati, però, è
possibile appellarsi ad un dicasterio qualora la li abbia ritenuti colpevoli.”.
Da quanto viene qui detto sulla possibilità di appello, si comprende che la non
possedeva autorità definitiva nel giudizio di questi casi. Non risulta, tuttavia, ben
chiaro cosa intenda Aristotele parlando di in questo puntoNel brano che
abbiamo appena visto, il termine ricorre ben due volte, con due differenti situazioni
(cioè qualora la autonomamente condanni un magistrato oppure quando la
condanna sia a seguito di una denuncia privata). In entrambi i casi l’potrebbe
essere tanto la possibilità di appello al tribunale popolare da parte del condannato,
quanto, più probabilmente, la trasmissione degli atti processuali, sempre ad un
29 Su queste procedure si veda Arist. Ath. Pol. XLIII, 4. Si vedano anche RHODES, A Commentary cit.,pp. 523; 659; 6823
30 R. J. BONNERG. SMITH, The Administration of Justice from Homer to Aristotle II, Chicago 1938, p. 242.
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tribunale popolare, ma ad opera dei buleuti. Questa seconda ipotesi sembra
confermata dal fatto che, come sappiamo da Dem. C. Everg. (XLVII),
43,lapoteva infliggere un’ammenda solo se questa risultava inferiore alle
cinquecento dracme31. Possiamo, in tal senso, pensare che i buleuti, qualora avessero
riconosciuto che il caso esulava dalle loro competenze, fossero tenuti a trasmetterlo ad
un tribunale popolare. E particolarmente di fronte un’accusa di illegalità, è probabile
che la fosse tenuta a cedere il passo ad un dicasterio32.
II. Il collegio dei annui. Era formato sempre da dieci eletti per
sorteggio. Questi, tuttavia, venivano selezionati all’interno dell’intero corpo cittadino e
la loro funzione era di svolgere il controllo finanziario una sola volta, all’uscita di carica
dei magistrati. Sulle funzioni di questo secondo collegio mi soffermerò più
dettagliatamente allorché tratterò della procedura del rendiconto. I erano
affiancati, nel loro lavoro, da dieci eletti con le medesime modalità. È
difficile comprendere la funzione specifica di questi secondi ufficiali. Il loro stesso nome
crea già notevoli problemi: normalmente viene tradotto con “assistenti”; tuttavia Arist.
Pol. VI 1322 b 712 include i tra gli ufficiali esaminatori di rendiconto, senza
attribuire loro una posizione subordinata. Ricordando che, comunemente, in Atene i
erano qualcosa di simile agli odierni avvocati, MacDowell33 propone
l’ipotesi che essi, dopo la fase istruttoria condotta a fianco dei agissero nel
giudizio finale come accusatori. In questo giudizio finale i erano invece i
presidenti del tribunale eliastico di 501 membri34.
31 Dem. C. Everg.(XLVII), 43: “E poiché la era indecisa se consegnarlo ad una corte popolare o condannarlo ad una multa di cinquecento dracme, pena che può infliggere secondo la legge...” Si noti tuttavia che in questo brano si parla di un privato cittadino giudicato dalla . Non sappiamo se anche in altri casi il consiglio avesse questa limitazione.
32 Per il problema dell’nei riguardi delle sentenze della cfr. RHODES, The Athenian Boule cit., p.147; BONNERSMITH, The Administration cit. II,pp.239 ss.
33 D. M. MACDOWELL, The Law in Classical Athens, London 1978, pp. 61; 1701.
34 cfr Lex Cant.,s.v. : [...] “Aristotele nella Costituzione degli Ateniesi dice così: scelgono dieci [...] E coloro che prestano il rendiconto prima sono giudicati da questi, poi sono introdotti nel dicasterio dei cinquecentouno.”
12
5.1.b. Gli e i loro
Come dice il loro stesso nome, gli erano gli ufficiali deputati alla seconda parte del
rendiconto (l’ vera e propria). Aristotele (Ath. Pol. XLVIII, 4) riferisce che anche gli
e i loro venti(“aiutanti”: due per ciascun ), così come i
pritanici, erano eletti in seno alla Gli poi, erano scelti in maniera che
ve ne fosse uno proveniente da ciascuna tribù. Loro funzione era proseguire e completare
l’opera dei annuali: dopo che questi avevano sottoposto al dicasterio i conti finanziari
e avevano verificato la fondatezza di accuse in merito alla cattiva utilizzazione dei beni pubblici
o alla corruzione, aveva inizio la seconda fase del rendiconto che mirava ad accertare altre
violazioni eventualmente compiute dagli ufficiali, nel campo legale e procedurale. Questa
distinzione tra i campi di azione degli e dei non è stata sempre accettata. A
creare problema è l’affermazione di Arist. Ath. Pol. LIV, 2., che attribuisce ai
giurisdizione nel reato di : secondo Piérart35, accordando un valore ampio al
termine si deve giungere ad ammettere che la competenza dei e quella degli
si sovrapponessero almeno parzialmente e che la sentenza fornita in prima istanza dai
501 eliasti non fosse definitiva. Lo studioso sottolinea che ciò non è ammissibile per due motivi:
innanzitutto rende inconciliabili le varie notizie fornite da Aristotele (che, lo abbiamo visto poco
fa, riteneva inappellabile il giudizio degli eliasti); in secondo luogo invalida il principio del
diritto attico che viene definito res iudicata. In base a tale principio, come riporta assai bene
Dem. XX (Contro Lept.), 147, le leggi
“non permettono che nei confronti di una stessa persona, sulle stesse cose, vi siano due
volte né processi privati, né rendiconti, né azioni giudiziarie, né altro di tal genere.”.
L’unica soluzione possibile a questa difficoltà è tenere ben distinti i campi di azione dei
due collegi di funzionari. La distinzione, che a volte è complicata dall’imprecisione
terminologica delle fonti (si pensi ad Aristotele che chiama tanto la prima quanto la
seconda fase del rendiconto) è stata accolta fin da principio da Wilamowitz36. Egli precisa che le
35 M. PIÉRART, Les Athéniens, AC XL(1971), pp.526573.
36 U. von WILAMOWITZMOELLENDORFF, Aristoteles und Athen II, BerlinDublinZürich 1966 (=Berlin 1893), pp. 232 ss.
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competenze sono distinte e limitate rispettivamente alla sfera finanziaria () e a quella
burocraticolegale(). L’esaminata dai era perciò, in senso più preciso,
ogni azione illegale, compiuta con i beni statali o comunque riguardante beni economici, che
non rientrasse nelle due altre categorie di delitti esaminati dai : la e i 37
Gli ,dunque,avevano il compito di raccogliere nei tre (o nei trenta) giorni
successivi al primo rendiconto le denunce dei cittadini; e queste, quasi sicuramente, non
potevano riguardare fatti discussi nella prima parte del rendiconto. Una volta raccolte, le
denunce venivano vagliate e, se gli ritenevano che vi fosse motivo di sospetto,
procedevano in maniera differente a seconda che la violazione avesse riguardato l’ambito
pubblico o quello privato. I casi privati erano consegnati ai giudici ; nel caso di
delitti contro la comunità gli consegnavano, invece, la denuncia agli arconti
38 che, dopo averne valutato la validità, istruivano il processo in un dicasterio.
Quanto deciso dai dicasti rimaneva inappellabile.
Quest’ultima fase della procedura merita a mio parere qualche precisazione. Innanzitutto, i
giudici solitamente ricordati come i Quaranta, sono gli stessi di cui Aristotele
parla anche in Ath. Pol. XVI, 5; XXVI,3 e LIII, 1. Essi secondo la testimonianza di Aristotele
furono istituiti da Pisistrato( Ath. Pol. XVI, 5)39, aboliti, presumibilmente, dopo la tirannide e
istituiti di nuovo nel 453/2. Il loro numero era originariamente di trenta40 ma, come indica la
stessa Ath. Pol.(LIII, 1), dopo la caduta del regime dei Trenta tiranni il numero dovette sembrare
infausto e il collegio fu portato a quaranta membri. Contemporaneamente al loro aumento
numerico, questi giudici, che in precedenza dovevano vagareper l’appunto attraverso i demi
37 cfr: BONNERSMITH, The Administration cit. II, p. 257, che propongono di tradurre il termine, in accordo con Rackham, con l’espressione “mala amministrazione”. Sui delitti di cui si occupano i si veda Arist. Ath. Pol. LIV, 2.
38 Sappiamo da Arist. Ath .Pol LIX, 2 che i ricevevano anche i rendiconti degli strateghi. È probabile che la procedura particolare riservata agli strateghi fosse motivata dalle caratteristiche specifiche di questi magistrati militari. È ovvio, infatti, che i generali potevano essere impegnati in azioni militari nel periodo di audizione delle degli altri magistrati. Tuttavia Aristotele ricorda, ulteriormente, che gli strateghi erano soggetti a voto di conferma, tramite , ad ogni pritania. (Cfr. Ath. Pol. LXI, 2).
39 Di diversa opinione è G. DE SANCTIS, Atthis. Storia della repubblica ateniese, Firenze 19753 , p. 313. De Sanctis pensa che Pisistrato non possa aver istituito i giudici perché la divisione dell’Attica, da lui stabilita, era in naucrarie e non in demi.
40 Il numero, secondo RHODES, A Commentary cit., p. 588, si accordava molto bene con il sistema di tribù e trittie stabilito da Clistene.
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esercitando una giurisdizione capillare, divennero probabilmente stabili. E. Cantarella41
sottolinea con particolare attenzione la rifondazione del collegio, avvenuta nel 453/2. Pochi anni
prima, la riforma di Efialte del 462/1 aveva sottratto all’Areopago ogni competenza nel campo
costituzionale e anche criminale, salvo che per i delitti di omicidio volontario e di atterramento
di olivi sacri; il resto delle competenze era passato sulle spalle dei , che avevano
grosse difficoltà a svolgere le nuove mansioni, dato che essi possedevano anche giurisdizione
civile42. Per sostenere l’operato dei furono così istituiti, negli anni successivi, gli
Eisagogeis, i Quaranta (forse ancora chaimati Trenta) e i Nautodikai, con il compito di integrare
l’attività dei in alcune parti della giurisdizione. In particolare i Quaranta assunsero
competenza in materia di proprietà e di possesso. Questi magistrati, in deroga al principio
generale, pronunciavano personalmente la sentenza, quando il valore della lite non superava le
dieci dracme.43 Qualora invece la causa fosse stata di valore superiore alle dieci dracme, il
giudizio veniva demandato al collegio dei dieteti. Se le parti, ulteriormente, non accettavano
quanto stabilito nell’arbitrato, la lite veniva definita in un tribunale eliastico.
Come si può facilmente notare, questa procedure creavano tanto per le accuse di carattere
privato, quanto per quelle di natura pubblica una sorta di doppio filtro che anticipava il giudizio
finale affidato al dicasterio: il primo filtro era creato dagli stessi, il secondo o dai
giudici (casi privati) o dai (reati di interesse pubblico).
A questo punto è inevitabile un’osservazione: non può sfuggire a nessuno che nel
rendiconto gli e i loro (un totale di 30 ufficiali) appaiono quasi “superflui”
rispetto ai privati accusatori e agli organi di giudizio. Questa impressione si accentua
ulteriormente se si accetta l’ipotesi che un privato potesse rivolgersi direttamente ai giudici
così come ai scavalcando gli 44In più si può osservare che il
privato cittadino, di fronte a gravi violazioni compiute dal magistrato nel corso del suo anno di
carica, avrebbe trovato assai più facile e sbrigativo utilizzare l’eisanghelia, come procedimento 41 E. CANTARELLA, s.v. Quaranta, NNDI XIV(1967), pp.6289.
42 Non erano competenti per il diritto famigliare ed ereditario. Per conoscere meglio le loro competenze si veda Ath. Pol. LIX. Aristotele attesta, tra l’altro, che essi erano competenti per ricevere le degli strateghi (cfr nota 38).
43 cfr: Arist. Ath. Pol. LIII, 1.
44 L’ipotesi è proposta da PIÉRART, Les cit., p. 529, che vuole mostrare la sostanziale inutilità di questi magistrati rispetto al ruolo che ricoprivano nel V sec.. C’è però da osservare che non esistono prove che sia avvenuto uno scavalcamento dell’autorità degli da parte di un privato.
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per ottenere giustizia. Hansen45osserva che l’eisanghelia può rimpiazzare molto facilmente la
seconda parte delle soprattutto perché le avvenivano alla fine dell’anno mentre
l’eisanghelia poteva essere utilizzata durante tutto l’anno. Di fronte a questi elementi viene
spontaneo domandarsi perché la costituzione ateniese prevedesse addirittura trenta magistrati la
cui funzione sembrerebbe poco più che una formalità burocratica. Proprio su questo problema
mi pare opportuno citare l’interessante ipotesi di Piérart,46che ritiene che il collegio degli
abbia subìto delle mutazioni dopo la restaurazione democratica del 403/2 a. C.,
perdendo importanza. Piérart, attraverso l’analisi di fonti documentarie del V sec., giunge ad
affermare, senza forzatura alcuna, che gli sono anteriori, come istituzione, all’inizio del
V sec. Sempre sulla base di testimonianze antiche, lo studioso ricostruisce l’opera di questi
funzionari nel V sec.: essi lavoravano nei , ed erano addetti al rendiconto;
ricevevano le dichiarazioni dei magistrati uscenti di carica e vagliavano le accuse nei loro
confronti; condannavano le infrazioni a leggi e decreti, nonché le ingiustizie private e pubbliche
commesse dai magistrati; dovevano riferire i casi ai solo se particolarmente gravi.47
Nella riorganizzazione giuridica avvenuta nel 403/2, il potere degli fu probabilmente
diminuito48 e trasformato in quella funzione a noi nota attraverso le notizie aristoteliche. Nel
tempo, dunque, la procedura davanti agli divenne sempre più una pura formalità
5.2. La procedura
Dei controlli effettuati sui magistrati ad ogni pritania si è già detto. Secondo la
testimonianza di Aristotele, al termine dell’anno di carica, i magistrati erano sottoposti a due
differenti tipi di controllo. Come ho già potuto chiarire, il primo controllo era di tipo finanziario
e, per definire questo tipo di rendiconto, Aristotele parla di (Ath. Pol LIV,
2); il secondo esame (Ath. Pol. XLVIII, 4: ) aveva, invece, un carattere più
45 M. H. HANSEN, Eisangelia. The Sovereignity of the People’s Court in Athens in the Fourth Century B. C. and the Impeachment of Generals and Politicians, Odense 1975, p. 4647.
46 PIÉRART, Les cit., pp. 526573
47cfr: PIÉRART, Les cit., p. 572. Tuttavia lo studioso non è in grado di precisare, con sicurezza, il rapporto degli del V sec. con i : ipotizza che i secondi si occupassero solo del controllo dei tesorieri, mentre i primi di tutti gli altri magistrati. Pensa, inoltre, che i non potessero emettere condanne e fossero, in un certo senso, subordinati agli
48 Forse, secondo Piérart, a causa della creazione dei collegi dei (cfr. Ath. Pol. LIII, 1 e 5) e dei cfr. Ath. Pol. LIII, 1, 4 e 5).
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generale di accertamento del rispetto delle leggi e delle procedure49.Ma non tutti i magistrati
erano tenuti a sottoporsi ad entrambe le fasi del rendiconto. Secondo Bonner e Smith50 il
era richiesto unicamente a quegli ufficiali che avevano amministrato denaro dello stato o
comunque pubblico, appartenente ad enti religiosi (tesori dei templi) o civili (tesori delle leghe).
Sappiamo, infatti, da Eschine che tutti i magistrati che non avevano maneggiato fondi statali,
erano tenuti a sottoscrivere una dichiarazione ufficiale: Aeschin. C. Ctesiph. (III), 22:
;
«».
“Ma come renderà conto alla città uno che non ha né ricevuto né speso nulla? La legge
stessa risponde e insegna ciò che bisogna scrivere. Ordina, infatti, (al magistrato) di attestare per
iscritto :«Io non ho ricevuto né speso nulla dei beni dello stato.»”
Questa dichiarazione era necessaria per evitare che i , non avendo ricevuto il
rendiconto finanziario entro i trenta giorni51 stabiliti dalla legge, intentassero la cosiddetta
52.
Vediamo ora a quali procedure doveva sottostare un magistrato tenuto al doppio controllo.
Innanzitutto i magistrati che terminavano il periodo di carica divenivano 53
“sottoposti ad esame”, nell’attesa di compiere il loro dovere di rendiconto. In quanto
essi dovevano sottostare ad una serie di obblighi: Aeschin. C. Ctesiph. (III), 21
[...]
49 La differenza tra i due tipi di rendiconto si coglie meglio nel brano di Lys. Per l’invalido (XXIV), 26: .. “ricordandovi che io non sto sottoponendomi ad un rendiconto su denaro statale che posso aver maneggiato, né, avendo ricoperto alcuna magistratura, sto sottoponendomi ad inchiesta su di essa.”
50 BONNER SMITH,The Administration cit.II, pp. 3435.
51 Il limite dei trenta giorni non ci è noto da Aristotele ma dal Lessico di Harpoc., s. v.: “Sono dieci di numero, ed esaminano i rendiconti dei governanti entro trenta giorni, allorquando i magistrati depongono la carica”.
52Lo Suidae Lexicon (s.v. parla di questa procedura contro“i magistrati che non abbiano prestato il rendiconto finanziario dell’amministrazione della loro carica”.
53cfr. Aeschin. C. Ctesiph.(III), 11
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“Un ufficiale che non ha ancora sostenuto il rendiconto non può lasciare il paese.[...] E
ancora, (la legge) non concede a tali magistrati di consacrare le loro proprietà, né di compiere
offerte votive, né di ricevere adozione, né di disporre delle proprietà, né molte altre cose. In una
parola, il legislatore sequestra le proprietà di costoro, finché non rendano conto alla città.”.
Per adempiere al loro impegno, i magistrati avevano l’obbligo entro trenta giorni di
presentarsi nei locali detti dove consegnavano una delle copie del loro
L’altra copia era invece depositata nel Metroon, per essere conservata negli archivi54. I
esaminavano, allora, il alla ricerca di irregolarità finanziarie e amministrative;
contemporaneamente, ma è solo un’ipotesi, cercavano di scoprire eventuali reati di peculato o
corruzione. È possibile che a questa fase di inchiesta collaborassero anche i privati, come
sembra di poter capire da Aeschin. C. Ctesiph. (III), 23 che cita un araldo dei
incaricato di invitare i cittadini all’accusa dei magistrati (il passo potrebbe però
riferirsi solo al bando che avveniva successivamente nel dicasterio). Dall’inchiesta i
riemergevano con un giudizio preliminare: anche qualora fossero stati convinti
dell’innocenza, essi erano tenuti a introdurre la causa in un tribunale eliastico di 501 membri, da
loro presieduto55. Anche qui veniva ripetuto il bando ai cittadini con l’invito all’accusa, quasi
sicuramente relativa al solo ambito finanziario. Se non vi erano accuse, il dicasterio riconosceva
ufficialmente la retta condotta amministrativa del magistrato (forse, ma è solo un’ipotesi, con
attestazione scritta). Qualora, invece, dall’inchiesta o da accuse mosse su denuncia del privato
cittadino fosse emersa qualche violazione o illegalità, i assumevano, come già ho
detto, la funzione di pubblici accusatori e il processo si svolgeva non più come semplice
formalità ma come vera e propria. Sappiamo da Aristotele che il processo poteva
54 cfr. IG II2 847, 2730 c3:
[][]
“riguardo a tutte queste cose, portino i conti presso i e nel Metroon e prestino il rendiconto nel dicasterio secondo le leggi.
55 cfr. IG II2 847, 2730 c3; Lex Cant.,s.v. Su questo si veda anche quanto detto più sopra nella sezione dedicata a e
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contemplare tre differenti tipi di accusa: e 56Nei due primi casi, se
l’imputato era riconosciuto colpevole, la pena consisteva nel pagamento del decuplo dei fondi
stornati o ricevuti come tangente. In caso di l’ammenda era il semplice rimborso del
danno causato, cifra raddoppiata se l’ammenda non veniva pagata entro la nona pritania.
MacDowell57 nota, nel testo aristotelico (Ath. Pol. LIV, 2), la presenza del verbo
riferito ai a proposito della fissazione della pena per i e per l’Egli
afferma che ci troviamo di fronte a due casi di : ciò significa che, dopo un
verdetto di colpevolezza, l’accusatore e il difensore presentavano le loro stime sulla pena da
infliggere e la giuria, a questo punto, votava per scegliere tra le due stime.
Terminata così la prima fase del rendiconto, i magistrati sia che avessero ottenuto
completa assoluzione sia che fossero stati incriminati non erano ancora liberi. Essi potevano
ancora venire accusati e incriminati per gli atti relativi alla loro carica. Le accuse, in questo
caso, erano raccolte dagli i quali sostavano con i loro aiutanti nei pressi della statua
dell’eroe eponimo della tribù, nei tre (o trenta) giorni seguenti al primo rendiconto del
magistrato. I privati cittadini potevano consegnare loro denunce redatte su apposite tavolette
imbiancate, recanti il nome dell’attore, quello del convenuto, la denuncia vera e propria e la
stima della pena (). Ogni esaminava l’accusa, forse in uno dei e se
la giudicava valida, la trasmetteva, qualora fosse stata di natura privata, ai giudici ,
che istruivano i processi nella tribù dell’accusatore. Questi giudici come abbiamo potuto
vedere avevano diritto di emettere la sentenza se il valore della causa non superava le dieci
dracme; altrimenti essi dovevano consegnare il caso all’arbitrato dei dieteti, i qualiin caso di
inconciliabilità delle parti trasmettevano la causa ad un tribunale eliastico.
Qualora invece l’accusa fosse stata di natura pubblica, tutto passava nelle mani dei
che se ritenevano necessario procedere sottoponevano la causa ad un tribunale di
eliasti. Quanto deciso in questa sede era definitivo e inappellabile.
56Sull’si veda quanto è stato detto alle pp. 13 e ss.e in particolare nella nota 37. Ulteriormente si può segnalare l’opinione di D. M. MACDOWELL, Athenian Laws about Bribery, RIDA XXX(1983), p. 58, il quale è convinto che l’, a giudicare dalla pena che comporta, sia un delitto poco grave, consistente con buona probabilità nell’essere responsabili di una perdita di denaro pubblico per negligenza o inavvertenza. Avverrebbe cioè senza il deliberato intento di sottrarre o ingannare.
57 MACDOWELL, Athenian Laws about Bribery cit., pp. 5778. È da notare che lo studioso, sulla base di Andoc. I. (De Myst.),734, sostiene che anche l’possa essere una possibile pena per i
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Una volta passati tutti questi controlli un magistrato era finalmente reintegrato nei suoi
pieni diritti di cittadinanza e proprietà e, come dice chiaramente Dem. XX (C. Lept.), 147, non
poteva più essere perseguito per atti relativi alla sua gestione.
5.3. I sicofanti
Nelle procedure che ho appena ricordato, spicca in grande evidenza l’importanza rivestita
dai privati cittadini. È sicuramente segno di grande democraticità che tutti i cittadini ( e se si
interpreta bene il passo di Arist. Ath. Pol. XLIII, 5 anche i residenti stranieri58) fossero chiamati
a partecipare al controllo diretto delle loro stesse istituzioni. Questo sistema, tuttavia,
comportava seri rischi: non solo nei rendiconti, ma più generalmente in ogni procedimento
giuridico che prevedesse l’intervento privato, il rischio di arbitrarietà, vendette personali, ricatti
era elevato. In questo ambito si inserisce l’azione dei cosiddetti sicofanti. Intendo perciò assai
brevemente, essendo l’argomento complesso59 definire le caratteristiche dei sicofanti, prestando
anche attenzione ai mezzi che la costituzione ateniese attuò per bloccare la loro opera.
La parola ricorre assai spesso nei discorsi degli oratori del IV sec, ma è assai
difficile trarne una definizione soddisfacente. Demostene (C. Eub. (LVII), 34) definisce il
sicofante come uno che muove ogni genere di accusa senza provarne alcuna. Questa definizione
viene approfondita da Lisia (Difesa dall’accusa di sovvertimento della democrazia (XXV), 3) il
quale sostiene che il loro mestiere era quello di muovere accuse anche contro coloro che erano
innocenti, desiderando ottenere da questi un profitto. Da queste due definizioni sembra
abbastanza chiaro che il termine sicofante veniva utilizzato per gli accusatori di professione,
mossi dal desiderio di lucro; questo nome non era, perciò, applicato a chi accusava un proprio
58 cfr: BONNERSMITH, The Administration cit.II, pp. 6769. L’affermazione di Aristotele risulta molto problematica. È, infatti, molto difficile dimostrare che i meteci potessero agire autonomamente come accusatori all’interno del processo intentato contro i magistrati e, più in generale, all’interno di ogni persino i cittadini, se volevano essere attori nelle , dovevano essere in pieno possesso dei diritti di cittadinanza.). L’ipotesi più accreditata da Bonner e Smith è che i meteci potessero meritarsi l’appellativo di sicofanti con la semplice attività di denunciatori (o in quanto mandanti di sicofanti stipendiatiTale ipotesi sembra, infatti, confermata da due fonti. Innanzitutto Iseo, nell’orazione De Dicaeog. (V), ricorda un certo Melas egiziano, capo di una “cooperativa di sicofanti”. Egli, pur non partecipando con ogni probabilità in prima persona ad alcun processo, era tuttavia definibile come sicofante, in quanto reale mandante delle false accuse. Ulteriormente un passo di Andocide (De Myst.(I), 15) mostra un meteco, un tale Teucrus, in azione come semplice denunciatore (all’interno del processo per lo scandalo dei Misteri. J. H. LIPSIUS, Das attische Recht und Rechtsverfahren, HildeseimZürichNew York 1984 (=Leipzig 190515), pp. 791 ss., è però convinto che al tempo di Aristotele la costituzione ateniese consentisse ai meteci di accusare personalmente i pubblici malfattori. La questione è, dunque, assai complessa e controversa.
59Per una trattazione completa cfr: BONNERSMITH, The Administration cit. II, pp. 3974.
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nemico per ostilità o vendetta. Secondo Bonner e Smith60, nelle abitudini di questi individui
erano incluse la calunnia, la cospirazione, la falsa accusa, la persecuzione maliziosa e in
generale ogni abuso di procedimenti legali per propositi criminosi e fraudolenti61. Il movente di
questi malfattori era legato quasi sempre a motivi economici: essi miravano o ad ottenere il
premio spettante ad un accusatore vittorioso in certe cause, o ad ottenere denaro ricattando
qualcuno disposto a pagare per sottrarsi alla loro accusa, o , infine, a farsi pagare da un terzo
che, per ragioni personali, desiderasse accusare un avversario senza compromettersi. Proprio in
vista del loro desiderio di guadagno, la loro attività più frequente era la delazione: i delatori
sicofanti proponevano o intentavano procedimenti legali contro cittadini ricchi, per poi offrire la
propria rinuncia all’accusa in cambio di denaro.62
È chiaro che gli Ateniesi pensarono ben presto a cercare rimedi per questo problema.
Secondo una legge riportata da Dem. C. Mid. (XXI), 47
“Qualora un (accusatore) non si presenti in giudizio, o presentandosi non riceva la quinta
parte dei voti, paghi 1000 dracme.”
Era, insomma, prevista una multa per chi non fosse riuscito a convincere almeno un quinto
della giuria riguardo alla fondatezza della sua accusa o, una volta sporta al denuncia, non avesse
dato seguito al procedimento senza portare serie motivazioni per la rinuncia.63
Ma non sembra che le mille dracme fossero l’unica sanzione per il fallimento della causa.
Andocide De Myst. (I), 33 indica, con il verbo che l’accusatore che non avesse
ottenuto almeno un quinto dei voti, oltre alla multa, poteva subire in certi processi l’
60 BONNERSMITH, The Administration cit. II, pp. 3974. I due studiosi raccolgono varie testimonianze su possibili casi di sicofantia. È loro stretta convinzione che il termine sicofante possa assumere molteplici significati in base al contesto particolare nel quale viene utilizzato. Questo sembra essere il motivo principale per cui non si riesce a giungere ad una definizione stabile di sicofante.
61 Quasi sicuramente, come già ho potuto notare sopra a proposito dei sicofanti meteci, nella definizione di sicofante rientravano anche i semplici denunciatori (
62 Isocrate C. Callim. (XVIII), 910 riporta un chiaro esempio di delazione a scopo di estorsione. Altri esempi si trovano in: Lys. Difesa dall’accusa di sovvertimento della democrazia (XXV), 3 e Xen. Mem.II,9,1.
63Antiph. De Chor. (VI), 38, riporta il caso di un corego che fu costretto a lasciar cadere un’accusa nei confronti di alcuni ufficiali, quando fu condotto in tribunale per la morte di un suo giovane corista. Anche in altre condizioni (malattia grave dell’accusatore, morte di un testimone...) doveva essere possibile rinunciare al procedimento. Non è ben chiaro, però, come la rinuncia avvenisse e chi decidesse della sua legittimità.
21
Hansen64, comunque, basandosi sul silenzio delle fonti, formula l’ipotesi che questi
deterrenti non fossero applicati nel caso della e delle e prima del 333
neanche nel caso dell’eisanghelia (sicuramente in questo caso non si applicava
l’Tuttavia, l’abuso dell’eisanghelia, probabilmente, fece sì che la legislazione al
riguardo fosse irrigidita65.). Può sembrare strano che la legislazione ateniese, sempre attenta a
non permettere abusi, quasi invogliasse invece gli accusatori (fossero essi sicofanti o sinceri) in
questo particolare tipo di processi. Ma questo atteggiamento si spiega benissimo se
consideriamo che per gli Ateniesi i delitti trattati, in particolare, nell’eisanghelia, erano i più
pericolosi per la stabilità dello stato stesso: tradimento, rovesciamento della democrazia,
cospirazione, corruzione dei retori per indurli a presentare proposte contrarie all’interesse
pubblico, rottura di promesse fatte allo stato.66
Nel caso particolare delle però, la possibilità di accuse false era notevolmente
limitata, almeno nella seconda parte del rendiconto. Come sappiamo da Aristotele, gli
avevano la possibilità di rifiutare le accuse che non ritenevano valide. Si può quindi pensare che
le accuse mosse da noti sicofanti fossero rifiutate in prima istanza; ma anche qualora questo
primo “filtro” non avesse funzionato, prima di giungere al procedimento finale nel tribunale
eliastico, le accuse dovevano essere sottoposte al vaglio dei giudici o dei
.
Oltre a questi mezzi indiretti per bloccare e punire i sicofanti, vi erano procedimenti legali
che potevano essere usati direttamente contro di loro. Isocrate Antid. (XV), 314 ne ricorda tre:
di fronte ai , di fronte alla e di fronte
all’67
6. CONCLUSIONI
Alla fine di questa analisi mi sembra che si possano trarre le seguenti conclusioni:
1) La procedura descritta da Aristotele (e completata dalle testimonianze degli oratori del
IV sec.) riguardo al controllo sull’operato dei magistrati risulta essere molto
64 HANSEN, Eisangelia cit., pp. 29 e ss.
65cfr. Poll. VIII, 523; Harp s.v. ; Dem. De Corona (XVIII), 250
66 cfr.: Hyperid. De Euxen. (IV), 78; Dem. C. Timoth. (XLIX), 67.
67 Per approfondimenti su questi procedimenti si veda: BONNERSMITH, The Administration cit. II, pp. 6374.
22
complessa, con diversi stadi e fasi e con una netta separazione degli ambiti finanziario
() e penale (). Questa istituzione così dattagliata era, evidentemente,
motivata da un duplice intento: innanzitutto vi era il desiderio di compiere una
verifica, quanto più possibile accurata, del comportamento dei funzionari statali
nell’esercizio del loro potere; in secondo luogo, grazie alla “segmentazione” della
procedura, si mirava ad impedire, ai funzionari addetti al controllo, di assumere un
potere eccessivo nei confronti delle .
2) Proprio per quest’ultimo motivo, nell’ambito del rendiconto operavano diversi collegi
di magistrati, con differenti competenze. Dell’aspetto finanziario si occupavano i
coadiuvati dai ; dell’aspetto penale si occupavano, invece, in
prima istanza gli (con i ), successivamente i giudici e i
. Tuttavia nessuno di questi funzionari poteva porre fine (con un verdetto
di assoluzione o condanna) al procedimento nei confronti di un magistrato :
il giudizio definitivo rimaneva, infatti, affidato ai tribunali popolari (dikasteria)
3) Se consideriamo, perciò, l’importanza dei tribunali popolari nelle e, in aggiunta
a questo, lo spazio concesso alle denunce mosse da privati, si può affermare che
l’iniziativa del controllo sulle magistrature (almeno nella costituzione descritta da
Aristotele) era nelle mani del popolo. D’altra parte tanto Erodoto (III, 8082) quanto
Aristotele (Pol. IV, 1297b 371298a 11) precisano che il controllo popolare
sull’operato dei magistrati deve essere considerato uno degli elementi di distinzione di
una vera democrazia. Per Erodoto, infatti, non può esservi isonomia (ovvero
uguaglianza di tutti di fronte alla legge) senza la “responsabilità individuale” di coloro
che detengono una carica; per Aristotele, che pure mostra scarsa simpatia per il
non è possibile privare la moltitudine dei diritti fondamentali di scegliere e
giudicare i propri governanti. Due visioni diverse, dunque, ma che evidenziano
un’unica realtà: il pensiero politico greco (almeno quello maturo, successivo alle
guerre persiane) aveva ormai teorizzato l’impossibilità dell’esistenza di uno stato
democratico nel quale non fosse affidato ai cittadini il potere di giudicare ed,
eventualmente, condannare i detentori del potere.
23
4) Tuttavia l’analisi, da me condotta, sulla base dell’istituzione descritta da Aristotele e
dagli oratori del IV secolo, evidenzia la presenza di notevoli problemi nella gestione
“popolare” delle Il primo di questi problemi è costituito dall’esistenza di
accusatori mendaci, i sicofanti, che utilizzavano l’istituzione delle in maniera
impropria, con il solo scopo di ricavarne denaro. A questo problema cercò, tuttavia, di
ovviare la stessa costituzione ateniese, ponendo nella procedura molti filtri di
controllo onde prevenire le accuse pretestuose.
5) Un altro ben più grave problema, però, è evidenziato dall’evoluzione stessa dei
rendiconti nel IV secolo. Come sottolinea Hansen68, a partire dalla metà del IV secolo
si andò verso un progressivo esautoramento dell’(e quindi del popolo): le
sue funzioni furono, infatti, rilevate da una serie di collegi e magistrati Nell’età di
Demostene, perciò, l’poteva dare l’impressione di essere stata privata di
molta della sua autorità e ridotta ad un corpo di governo di secondo piano.
Parallelamente si notano importanti tracce di un progressivo disinteresse per le
istituzioni da parte dei singoli cittadini. Questo condusse, ovviamente, ad una
diminuzione della partecipazione alle assemblee e all’abbandono progressivo di
alcune istituzioni (le più complesse e impegnative) in cui il privato interveniva
personalmente di fronte agli organi dello stato. In questo processo si inserirono anche
le cheproprio per questo motivo, divennero sempre più una formalità. Si
possono citare due importanti esempi di questo fatto. Il primo è costituito
dall’evoluzione storica subita da uno dei funzionari assegnati al controllo dei
rendiconti magistratuali: l’Questo “controllore” subì infatti, nel passaggio
tra il quinto e il quarto secolo, un pesante ridimensionamento dei propri poteri, fino ad
essere ridotto, ai tempi di Aristotele, a semplice “raccoglitore delle lamentele
pubbliche”, senza alcun potere giudiziario proprio. Ciò mostra, tra l’altro, che l’unico
reale interesse nello svolgimento delle del quarto secolo, risiedeva
nell’aspetto puramente finanziario (verificato, d’altra parte, da appositi funzionari) e
che nei rendiconti la parte più strettamente legata all’attività dei cittadini, cioè
l’accusa dei privati, riceveva una attenzione poco più che formale. Un secondo
68 M. H. HANSEN, The Athenian Assembly, in the Age of Demosthenes, Oxford 1987, pp. 9499.
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esempio è, poi, fornito dalla lotta giudiziaria che impegnò i due più grandi oratori del
tempo di Aristotele, e cioè Demostene ed Eschine. La “battaglia forense” dei due
oratori, svolta proprio nell’ambito di processi per , mostra infatti una evidente
tendenza a ridurre l’istituto del rendiconto ad un complesso di regole formali adatte,
unicamente, a rappresentare armi per la lotta politica. In questo senso, dunque, risulta
evidente che le del quarto secolo rappresentarono sempre di meno lo
strumento di garanzia democratica descritto da Erodoto e si allinearono, così, alla crisi
generale della polis greca, alla vigilia dell’invasione macedone.
“Dopo ciò, quando Pericle raggiunse il comando del popolo, accadde che la costituzione
divenisse ancor più democratica. Infatti egli tolse altre funzioni all’Areopago e spinse la città
verso la potenza navale, dal che risultò che la moltitudine, avendo preso coraggio, conseguì un
maggior controllo diretto di tutte le funzioni governative”.
Uno dei mezzi principali di questo nuovo potere popolare fu è inutile dirlo il controllo
diretto delle che Efialte aveva voluto affidare al popolo
Come abbiamo potuto constatare, gli eventi del 462/1 rivoluzionarono profondamente la
struttura sociale, politica e costituzionale dello stato ateniese: la rottura dell’alleanza con Sparta,
il potenziamento degli organi popolari, la fine del dominio dell’Areopago segnarono, infatti, la
definitiva consacrazione del progetto politico avviato molti anni prima da Clistene. Da ciò è
facile comprendere perché tanto la crititica moderna, quanto gli stessi autori antichi, abbiano
visto l’anno dell’arcontato di Conone, il 462/1, come la pietra migliare di una svolta epocale.
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