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Le operazioni
straordinarie
nella nuova
disciplina
dell’abuso
Luca Miele | Roma, 4 maggio 2017
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LE OPERAZIONI STRAORDINARIE NELLA NUOVADISCIPLINA DELL’ABUSO: la circolazioneindiretta dell’azienda
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Le operazioni straordinarie nella nuova disciplina dell’abuso
Le operazioni straordinarie sono tradizionalmente viste con sospetto dal legislatore tributarioche ne ha spesso contestato l’elusività invocando la previgente disposizione antielusiva semi-generale di cui all’art. 37-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 ovvero gli orientamentigiurisprudenziali della Corte di Cassazione in tema di principio di capacità contributiva e abusodelle forme negoziali ancorato volta a volta all’art. 53 Cost. o alla giurisprudenza europea.
Art. 37-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.
Sono inopponibili all'amministrazione finanziaria gli atti, i fatti e i negozi, anche collegati tra loro, privi di valide ragioni
economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall'ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni di imposte o
rimborsi, altrimenti indebiti.
L'amministrazione finanziaria disconosce i vantaggi tributari conseguiti mediante gli atti, i fatti e i negozi di cui al comma 1,
applicando le imposte determinate in base alle disposizioni eluse, al netto delle imposte dovute per effetto del comportamento
inopponibile all'amministrazione.
Le disposizioni dei commi 1 e 2 si applicano a condizione che, nell'ambito del comportamento di cui al comma 2, siano utilizzate
una o più delle seguenti operazioni:
a) trasformazioni, fusioni, scissioni, operazioni su partecipazioni, liquidazioni volontarie e distribuzioni ai soci di somme
prelevate da voci del patrimonio netto diverse da quelle formate con utili;[…]
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La relazione illustrativa al 37-bis del DPR 600/1973
Pur essendo la relazione illustrativa al DLgs. 358/97 molto chiara sul concetto di elusione, della stessa ci si è talvolta
dimenticati (più o meno consapevolmente). La citata relazione afferma: “si può fornire così un criterio tendenziale per
distinguere l’elusione rispetto al mero risparmio d’imposta: quest’ultimo si verifica quando tra i vari
comportamenti posti dal sistema fiscale su un piano di pari dignità, il contribuente adotta quello fiscalmente meno
oneroso.
Non c’è aggiramento fintanto che il contribuente si limita a scegliere tra due alternative che in modo strutturale e
fisiologico l’ordinamento gli mette a disposizione. Una diversa soluzione finirebbe per contrastare con un principio diffuso in
tutti gli ordinamenti tributari dei paesi sviluppati, che consentono al contribuente di regolare i propri affari nel modo
fiscalmente meno oneroso. La norma antielusiva non può quindi vietare la scelta tra una serie di possibili comportamenti cui
il sistema fiscale attribuisce pari dignità di quello fiscalmente meno oneroso (…..) . Tra gli strumenti giuridici fungibili, ma
che il sistema pone su un piano di pari dignità, si pensi ad esempio alla scelta sul tipo di società da utilizzare, alla scelta
tra cedere aziende o cedere partecipazioni sociali, o al sistema di finanziamento basato su capitale proprio o di debito”.
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La prassi accertativa nel passato
Invece, l’elemento cardine delle contestazioni da parte dell’Amministrazione finanziaria è stato,in passato, l’assenza di valide ragioni economiche.
Le valutazioni della prassi accertativa erano fondate sull’apprezzabilità economico gestionaledell’operazione o della serie di operazioni poste in essere dal contribuente.
La condotta del contribuente veniva analizzata ricercando la sua rispondenza ai canoni dinormale ed usuale opportunità gestionale, così come generalmente applicati nel mondoeconomico ed imprenditoriale.
C.M. 19 dicembre 1997, n. 320/E -> Il risparmio d’imposta che si vuole contrastare è quellonon consentito dall’ordinamento tributario poiché contrario al principio di capacità contributiva.In tale senso, l’illegittimità della condotta posta in essere dal contribuente deve sostanziarsinell’assenza delle valide ragioni economiche, intesa come apprezzabilità economico gestionaledei negozi posti in essere e non come validità giuridica degli stessi.
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La prassi accertativa nel passato
La stessa relazione illustrativa al Dlgs 128/2015 molto lucidamente afferma che “le maggioriincertezze sono derivate soprattutto dalla non chiara individuazione dei presupposti costitutividell’elusione alias abuso. Infatti, la Suprema Corte ha talvolta identificato la nozione di abusonella sola assenza di valide ragioni economiche extrafiscali dell’operazione; ed ha ritenuto taleassenza sufficiente a giustificare la ripresa a tassazione dei vantaggi fiscali invocati dalcontribuente, senza porre il dovuto accento sul carattere indebito degli stessi. Le lacune di talericostruzione interpretativa hanno spesso indotto l’amministrazione finanziaria e i giudici asottovalutare la libertà del contribuente di scegliere tra varie operazioni possibili anche inragione del differente carico fiscale (ove, beninteso, non sia violata la ratio delle normetributarie).
La qui criticata impostazione si è rivelata tanto più insidiosa laddove si consideri che le ragionieconomiche extrafiscali con cui in via esclusiva si intenderebbe giudicare dell’esistenza dellacondotta abusiva non sono codificate e la loro individuazione si può tradurre spesso inricostruzioni opinabili e del tutto soggettive. In questa interpretazione ha, perciò, assuntorilevanza del tutto marginale quello che, invece, dovrebbe essere uno dei principali elementicostitutivi dell’elusione-abuso, e cioè il perseguimento di vantaggi non voluti dal legislatore,vantaggi che tradiscono la ratio della norma tributaria e i principi dell’ordinamento”.
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La prassi amministrativa nel passato
Esempio
Scissione parziale proporzionale – spin off immobiliare
SPA posseduta da due coniugi per una quota pari al 50% ciascuno ha ad oggetto il commercio
al dettaglio e all’ingrosso esercitato in immobili posseduti in proprietà e in leasing.
I soci intendono separare l’attività commerciale da quella prettamente di gestione immobiliare
mediante un’operazione di scissione parziale con costituzione di una Srl beneficiaria alla quale
vengono trasferiti tutti gli asset, materiali e immateriali, e, inoltre, in locazione gli immobili in
cui viene svolta l’attività. Alla società scissa rimane la proprietà degli immobili.
Non sono previste cessioni delle quote della società scissa o della beneficiaria.
L’operazione non viene considerata elusiva. Perché? segue
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La prassi amministrativa nel passato
L’operazione non è elusiva in quanto appare dettata dalla necessità di razionalizzare l’attività
imprenditoriale della beneficiaria e, nel contempo, di garantire un effettivo svolgimento dell’attività
immobiliare da parte della scissa senza perseguire indebiti risparmi d’imposta attraverso
l’aggiramento di obblighi o divieti previsti dall’ordinamento.
L’attività di riorganizzazione potrebbe assumere carattere elusivo nel caso in cui fosse la prima fase di
un disegno più ampio tendente alla successiva rivendita, da parte dei soci persone fisiche, di quote
societarie delle società partecipanti, con l’esclusivo fine di spostare la tassazione dei beni di primo
grado (immobili) sui beni di secondo grado (quote di partecipazioni), soggetti a un regime più mite.
In altre parole, non vi deve essere l’intento di trasformare le plusvalenze sui beni in plusvalenze
su partecipazioni.
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La prassi amministrativa nel passato
Esempio: scissione parziale proporzionale – spin off immobiliare
SNC svolge attività di fabbricazione di orologi e possiede un fabbricato strumentale e un terreno edificabile. La società èposseduta da due coniugi per una quota pari al 50% ciascuno.
I soci intendono separare l’attività commerciale da quella prettamente di gestione immobiliare mediante un’operazione discissione parziale con costituzione di una Srl beneficiaria di nuova costituzione alla quale vengono trasferiti gli immobili. Inseguito, i soci intendono procedere alla cessione delle quote della società scissa a favore dei tre figli di un socio,attualmente dipendenti della società, i quali proseguirebbero l’attività caratteristica di produzione di orologi; mentre gliattuali soci si dedicherebbero esclusivamente all’attività immobiliare.
A parere dell’istante, le ragioni economiche dell’operazione consisterebbero nella necessità di separare l’attività difabbricazione di orologi da quella immobiliare, al fine di:
• Accrescere la redditività del patrimonio immobiliare;
• Rendere la società scissa operativamente più agile e pronta a rapide trasformazioni commerciali e industriali;
• Consentire la fuoriuscita dei vecchi soci realizzando, in tal modo, il ricambio generazionale alla guida dell’attivitàartigiana di fabbricazione;
• Superare, infine, le tensioni attualmente esistenti tra vecchia e nuova generazione del management aziendale.
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La prassi amministrativa nel passato
L’operazione non è elusiva in quanto appare finalizzata, da una parte, a realizzare unasuccessione generazionale nella conduzione aziendale con la fuoriuscita dei precedenti soci e,dall’altra, a favorire l’ingresso dei nuovi soci già dipendenti della società.
Grazie al ricambio generazionale, la società proseguirebbe nel tempo la propria attività consoggetti già inseriti nell’impresa come dipendenti, consentendo ai vecchi soci di sviluppareun’attività immobiliare di valorizzazione degli immobili di proprietà.
La scissione risulta necessaria al fine di una riorganizzazione aziendale, finalizzata a unpotenziamento dell’attività nonché a consentire sia ai soci vecchi sia a quelli nuovi di effettuareinvestimenti in maniera diversificata perseguendo obiettivi diversi.
Solo in via mediata le valide ragioni economiche sono connesse alla compagine sociale.
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Un esempio di giudici «illuminati»: la più recente Cassazione e il lease back
Che anche in assenza della «nuova» norma dello Statuto si sarebbe potuti addivenire a unainterpretazione «sensata» della definizione di abuso è facilmente desumibile dalla lettura dellasentenza della Cassazione n. 25758 del 5 dicembre 2014 in tema di lease back che meritaun plauso particolare per la chiarezza con cui ha illustrato il principio del divieto dell’abuso deldiritto interpretando, senza pregiudizi, quanto già prescritto dall’art. 37-bis del D.P.R. n.600/1973.
Leggiamo alcuni stralci della sentenza….e verifichiamo come una visione senza pregiudizidell’abuso avrebbe potuto evitare anni di «fraintendimenti»
Più recentemente gli stessi principi sono stati ribaditi nella sentenza della Cassazione 26.8.2015n. 17175
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Lease back immobiliare
L’operazione ritenuta elusiva dagli organi accertatori e dai giudici di merito:
- indiscussa solidità finanziaria della società, che non giustificava l’operazione di cessione delbene immobile, contestualmente retrocesso in leasing, per acquisire liquidità;
- importo del canone iniziale particolarmente elevato (pari ad 1/3 del prezzo riscosso) rispettoalla breve durata del contratto (otto anni);
- documenti provenienti dalla società locatrice, dai quali emergeva che l’operazione venivaeffettuata esclusivamente per motivi fiscali;
- la società non aveva fornito alcuna ragione economica alternativa al risparmio d’imposta,dovendo individuarsi quest’ultimo nel vantaggio di dedurre l’intero importo dei canoni dileasing in otto anni, in luogo della deduzione, per un periodo molto più lungo, delle quote diammortamento dell’immobile (se mantenuto in proprietà) e degli interessi passivi sul mutuo(che la società avrebbe contratto con le banche se avesse avuto necessità di cassa).
Una «illuminante» sentenza della Cassazione che gioca d’anticipo sul d.lgs. 128/2015(5.12.2014, n. 25758) e rigetta le argomentazioni dei primi due gradi di giudizio
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Lease back immobiliare
I passaggi chiave della sentenza 25758 del 5 dicembre 2014:
“non è dato (…) rinvenire nell’ordinamento tributario alcun obbligo giuridico del soggetto che ha acquistato la proprietà del bene immobile
strumentale di rimanere necessariamente vincolato a tale regime fiscale, atteso che, come rientra nella libera determinazione del soggetto–
imprenditore la facoltà di optare tra l’acquisto della proprietà dell’immobile, versando immediatamente l’intero prezzo della compravendita, od
invece la utilizzazione del medesimo bene in leasing con clausola di riscatto finale della proprietà (leasing traslativo), modulando in tal modo il
relativo impegno finanziario, o ancora il semplice utilizzo in godimento del bene immobile da rilasciare alla scadenza al concedente – proprietario
(leasing finanziario puro), così non può ritenersi impedito all’operatore economico l’impiego di qualsiasi altro strumento negoziale – diretto a
conseguire il medesimo risultato dell’utilizzo del bene immobile strumentale – tra cui anche, per quanto interessa la presente fattispecie, il
contratto di “sale & lease back” (…). segue
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Ciascuno dei casi indicati, infatti, comporta un proprio differente regime fiscale(prezzo di vendita; canone di leasing; plusvalenza), e la relativa applicazione – inquanto conseguenza diretta della scelta operata dall’impresa – non può,evidentemente, integrare “abuso del diritto” solo perché il soggetto sidetermina a compiere la operazione negoziale fiscalmente meno onerosa”(punto 7.10 della sentenza);
“La pattuizione delle condizioni del contratto di “sale & lease back”, tra cui laprevisione di una maxi–rata iniziale, rientra nella libera determinazione negozialedelle parti e nella valutazione della convenienza economica dell’affare in relazione alcosto di accesso al finanziamento offerto sul mercato dalle società di leasing: difettala prova che la previsione di tale condizione integri un elemento difforme od abnormerispetto alla attuazione dello schema del contratto di “sale&lease back” affermatosinella prassi commerciale, e dunque viene meno anche la efficacia indiziaria di talecircostanza.
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“Ne segue che alcuna espressione di anomalia od irragionevolezza rispetto alle ordinarielogiche d’impresa può essere rinvenuta negli elementi indiziari sopra indicati, bene essendorimessa all’esercizio della autonomia privata (…) la ricerca della forma di finanziamentoritenuta più opportuna (…) assolvendo ad uno specifico e concreto interesse economico dellaimpresa la estinzione di pregressi debiti o passività bancarie mediante l’acquisizione di nuovaliquidità a condizioni di finanziamento ritenute convenienti a giudizio della stessa impresa(quanto a tasso di interesse e scadenze previste per la restituzione dei canoni)” (punto 7.12della sentenza);
Lease back e Cassazione
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Lease back e Cassazione
…….“che la scelta dell’operatore rivolta a realizzare un determinato assetto aziendale funzionaleall’esercizio della impresa – attuato sostituendo il regime della proprietà sul bene strumentalecon il diritto di godimento sul medesimo bene – può essere determinata, ancheprevalentemente, dall’obiettivo di conseguire un risparmio d’imposta, non comportando talescelta alcun “aggiramento” delle norme fiscali sull’ammortamento, quanto piuttosto laindividuazione ex ante del regime giuridico dei beni aziendali più conveniente in relazione alregime fiscale meno gravoso, rendendosi pertanto del tutto irrilevante, ai finidell’accertamento della pratica abusiva, l’elemento fondato sulla “intenzione” dellasocietà contribuente che, dalla documentazione rinvenuta presso la società di leasing, risultavaessersi determinata ad optare tra il mantenimento in proprietà e la concessione in godimentodel bene immobile eminentemente in relazione al più favorevole regime fiscale” (ved. punto7.13 della sentenza).
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Lease back e Cassazione
Riepilogando, la sentenza indica con estrema chiarezza che nell’accertare l’eventuale esistenza diuna condotta elusiva vanno tenuti in considerazione i seguenti principi e criteri direttivi:
rientra nella libera determinazione del contribuente la facoltà di optare tra diverse operazionicomportanti anche un diverso carico fiscale, e tale libertà può essere esercitata in ognimomento poiché non è rinvenibile nell’ordinamento tributario alcun obbligo giuridico delcontribuente di rimanere necessariamente vincolato ad un determinato assetto fiscale;
la decisione del contribuente di porre in essere un’operazione rispetto ad un’altra, ugualmentepercorribile, non è sindacabile sotto il profilo della opportunità ma soltanto sotto il profilo della“manifesta illogicità” od “antieconomicità” dell’operazione;
la condotta abusiva può dunque essere accertata soltanto ove vi sia un “uso distorto” distrumenti giuridici, da intendersi come loro mancata conformità a una normale logica dimercato;
la scelta operata dal contribuente può ben essere determinata, anche prevalentemente,dall’obiettivo di conseguire un risparmio d’imposta, purché tale risparmio non sia indebito;
è pertanto del tutto irrilevante, ai fini dell’accertamento della pratica abusiva, l’elementofondato sulla “intenzione” del contribuente, che può apertamente dichiarare la sua volontà diadottare una certa operazione ai fini di conseguire un (legittimo) risparmio d’imposta.
Conclusioni
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Le operazioni straordinarie nella nuova disciplina dell’abuso
Le nuove coordinate dell’abuso le abbiamo esaminate nella prima lezione.
Il nuovo art. 10-bis, diversamente dal passato, non prevede espressamente un’elencazione dioperazioni potenzialmente elusive/abusive ma si pone come clausola generale che, nell’ambitodelle operazioni straordinarie, deve essere affiancata da singole disposizioni antielusivespecifiche quali:
- Art. 172, co. 7, del Tuir - in tema di riportabilità delle perdite nelle operazioni di fusione;
- Art. 173, co. 10, del Tuir - in tema di riportabilità delle perdite nelle operazioni di scissione.
L’indebito vantaggio fiscale ottenuto dal contribuente è l’elemento essenziale della nuovadisciplina.
La presenza di valide ragioni extrafiscali non marginali deve essere verificata solo in unmomento successivo allorquando il vantaggio ottenuto dal contribuente sia effettivamentecontrario alla ratio delle norme o ai principi generali dell’ordinamento tributario.
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La circolazione indiretta delle aziende
In particolare, nell’ambito delle operazioni straordinarie, occorrerà verificare come si atteggeràla prassi e la giurisprudenza in merito al tema della circolazione indiretta delle aziendeottenuta per il tramite di un’ operazione straordinaria seguita da uno share deal avente adoggetto la partecipazione societaria.
Tali operazioni, rispetto alla fattispecie realizzativa della cessione d’azienda, godono del regimedi neutralità tipico delle operazioni straordinarie ed eventualmente dell’applicazione della Pexnella cessione delle partecipazioni di controllo.
Es. conferimento d’azienda e successiva cessione della partecipazione, scissione d’azienda/ramo d’azienda e successiva cessione delle partecipazioni di controllo.
Sebbene le sequenze negoziali concluse con uno share deal abbiano da sempre destato ilsospetto da parte dell’Amministrazione finanziaria, le stesse costituiscono schemi che produconoeffetti giuridico-economici diversi da quelli conseguenti alla cessione diretta del complessoproduttivo e alternative di pari dignità rispetto a quest’ultima condotta.
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Schema operazione
A
NewCo
STEP 1 – Soc. Aconferisce inNewCo’ l’aziendaovvero un ramod’azienda
B
Art. 176, comma 3, del Tuir
«Non rileva ai fini dell'articolo 37-bis del
decreto del Presidente della Repubblica 29settembre 1973, n. 600, il conferimentodell'azienda secondo i regimi di continuitàdei valori fiscali riconosciuti o di imposizionesostitutiva di cui al presente articolo e lasuccessiva cessione della partecipazionericevuta per usufruire dell'esenzione di cuiall'articolo 87, o di quella di cui agli articoli58 e 68, comma 3».
A
STEP 2 – Soc. A cedea Soc. B le quotedetenute in NewCo’
AB
NewCo
B
NewCo’
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Schema operazione
NewCo’
STEP 1 – Scissione
di un ramo della
Soc. A a favore
della beneficiaria
NewCo’.
BAttuando tale schema negoziale, la
cessione del complesso aziendale si
realizza sfruttando indebitamente sia il
regime di neutralità fiscale della
scissione, che quello meno oneroso
previsto per le plusvalenze derivanti
dalla cessione di partecipazioni (cfr. Ris.
3 novembre 2000, n. 166/E; Ris. 14
novembre 2001, n. 183/E; Ris. 4 ottobre
2007, n. 281/E; Ris. 7 aprile 2009, n.
97/E; Ris. 2 ottobre 2009, n. 256/E).
A
STEP 2 – I soci della
NewCo cedono a Soc. B
le quote detenute nella
NewCo’
NewCo’
A
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LA RIQUALIFICAZIONE DEGLI ATTI AI FINIDELL’IMPOSTA DI REGISTRO
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La riqualificazione degli atti ai fini dell’imposta di registro
Art. 20 del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (di seguito T.U.R.)
L’applicazione dell’articolo 10-bis dello Statuto dei Diritti del contribuente alla generalità dei tributi dovrebbe smentire, in
via definitiva, quell’orientamento della giurisprudenza e della prassi accertativa che, attribuendo all’articolo 20 del T.U.R.
una finalità antielusiva, ha portato alla riqualificazione, ai fini dell’imposta di registro, di atti o di una serie di atti, derivanti
da condotte considerate come potenzialmente elusive o abusive.
L’art. 20 del T.U.R. così recita: « Interpretazione degli atti - L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli
effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente».
Di analogo tenore era l’art. 19 del D.P.R. n. 634/1972: «Interpretazione degli atti - Le imposte sono applicate secondo
la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la
forma apparente».
In confronto, l’art. 8 del R.D. n. 3269 del 30/12/1923 prevedeva: «Le tasse sono applicate secondo l’intrinseca
natura e gli effetti degli atti o dei trasferimenti, se anche non vi corrisponda il titolo o la forma apparente.
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La riqualificazione degli atti ai fini dell’imposta di registro
Art. 20 del T.U.R. vs art. 8 del R.D. n. 3269/1923
La riformulazione dell’art. 8 del R.D. n. 3269/1923 fu dovuta al contrasto dottrinario tra isostenitori della rilevanza degli effetti economici degli atti nell’applicazione dell’imposta diregistro rispetto a coloro che attribuivano rilevanza agli effetti giuridici (la Suprema Corte erain effetti allineata alla seconda tesi).
Da ciò l’introduzione del termine «giuridici» e del principio secondo il quale gli effettidegli atti devono essere desunti unicamente dal documento oggetto della registrazione.
Infatti l’imposta di registro viene definita un’imposta d’atto in quanto è volta a colpire ilcontenuto negoziale oggettivo dell’atto presentato alla registrazione ( tra le altreCass. 16 aprile 1983, n. 2633).
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La riqualificazione degli atti ai fini dell’imposta di registro
Natura dell’art. 20 del T.U.R
Norma antielusiva
Norma che valorizza il collegamento negoziale tra molteplici atti separati
Norma di interpretazione degli atti
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Schema operazione
A B
X
Soc. A cede a Soc. B lapartecipazione detenuta nella Soc. X
A B
X
Riqualificazione della cessionedelle quote/azioni di X in cessioned’azienda
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Schema operazione
A B
X
STEP 1 – Soc. A cede a
Soc. B la partecipazione
totalitaria detenuta nella
Soc. X
B
X
Riqualificazione in cessione
d’azienda del trasferimento
delle quote di X a B e
successiva fusione per
incorporazione di X in B
A
STEP 2 – Soc. B fonde
per incorporazione la
Soc. X
A BX
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Schema operazione
A
NewCo’
STEP 1 – Soc. A
conferisce in
NewCo’ l’azienda
ovvero un ramo
d’azienda
B
Riqualificazione in cessione
d’azienda del conferimento
seguito dalla cessione totalitaria
delle quote/azioni
A
STEP 2 – Soc. A cede a
Soc. B le quote detenute
in NewCo’
A B
NewCo’
B
NewCo’
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NATURA ANTIELUSIVA DELL’ART. 20 DEL T.U.R.
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L’operato dall’amministrazione finanziaria che ha riqualificato, ai fini dell’imposta di registro, lacessione totalitaria di partecipazioni ovvero il conferimento d’azienda (ramod’azienda) con successiva cessione di partecipazioni in cessione d’azienda, è stato piùvolte ritenuto fondato qualificando l’art. 20 del T.U.R. come norma di natura antielusiva.
La prassi accertativa ha in tali ipotesi attribuito rilevanza alla causa reale e allaregolamentazione degli interessi effettivamente perseguiti dalle parti contraenti,riqualificando gli atti ogniqualvolta la sostanza economica dell’operazione risultava difformedalla forma giuridica apparente.
La legittimazione di un simile orientamento, basato sulla natura antielusiva dell’art. 20, haampliato implicitamente il potere degli Uffici consentendo loro di riqualificare tout court lanatura giuridica degli atti posti a registrazione, dando rilievo alle vicende economiche adessi sottesi o agli elementi extra testuali non desumibili dall’atto. Il potere degli Uffici nonviene limitato al vaglio degli effetti giuridici degli atti posti in essere.
Numerose sono le pronunce che estendono la portata normativa dell’art. 20 in funzioneantielusiva (Cfr. Cass. 2001, n.14900; Cass. 2002, n. 2713; Cass. 19 marzo 2013, n. 6835;Cass. 2014, n. 5877; Ctr Liguria, Sez. I, Sent. 5 luglio 2016, n. 946; Ctr Toscana, Sez. XIII,Sent. 7 luglio 2016, n. 1252).
Natura antielusiva dell’art. 20
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Corte di Cassazione, Sez. tributaria, Sent. 23 novembre 2001, n. 14900
«Rilievo di fondo assume, in materia di imposta sugli atti, la scelta legislativa di privilegiare, nellacontrapposizione fra "la intrinseca natura e gli effetti giuridici" ed "il titolo o la formaapparente" di essi, il primo termine, unitariamente considerato. Ciò implica, in premessa, che glistessi concetti privatistici sull'autonomia negoziale regrediscano a semplici elementi dellafattispecie tributaria. Per questo, anche se non potrà prescindersi dall'interpretazione della volontànegoziale secondo i canoni generali […], nella individuazione della materia imponibile dovrà darsipreminenza assoluta alla causa reale sull'assetto cartolare, con conseguente tangibilità,sul piano fiscale, delle forme negoziali. La funzione antielusiva - a torto negata dal giudice"a quo’’, nella parte finale della sentenza, e dalla resistente, a pag. 7 della memoria -, sottesa alladisposizione in esame, emerge dunque con chiarezza, mentre l'insistito richiamo alla autonomiacontrattuale ed alla rilevanza degli effetti giuridici dei singoli negozi (e non anche di quelli"economici", riferiti alla fattispecie globale), restando necessariamente circoscritto allaregolamentazione formale degli interessi delle parti finirebbe per sovvertire gli enunciati criteriimpositivi».
Natura antielusiva dell’art. 20
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Corte di Cassazione, Sez. VI, Ordinanza 13 marzo 2014, n. 5877
I giudici di legittimità, riconoscendo il collegamento funzionale degli atti presentati per laregistrazione, (nel caso di specie, atto di conferimento di ramo d’azienda e successivacessione totalitaria delle quote sociali) hanno affermato che, «[…] in tema di imposta diregistro, la scelta, compiuta dal legislatore con il D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 20, diprivilegiare, nella contrapposizione fra "la intrinseca natura e gli effetti giuridici" ed "il titolo o laforma apparente di essi, il primo termine, unitariamente considerato, implica, assumendo unrilievo di fondo, che gli stessi concetti privatistici sull'autonomia negoziale regrediscano asemplici elementi della fattispecie tributaria. Ciò comporta che, ancorché non possaprescindersi dall'interpretazione della volontà negoziale secondo i canoni generali,nell'individuazione della materia imponibile dovrà darsi la preminenza assoluta alla causareale sull'assetto cartolare, con conseguente tangibilità, sul piano fiscale, delle formenegoziali, in considerazione della funzione antielusiva sottesa alla disposizione in parola, sicchél'autonomia contrattuale e la rilevanza degli effetti giuridici dei singoli negozi (e non anche diquelli economici, riferiti alla fattispecie globale) restano necessariamente circoscritti allaregolamentazione formale degli interessi delle parti, perché altrimenti finirebbero per sovvertire idetti criteri impositivi, come nella specie». (V. pure Cass. Sentt. 30 gennaio 2007, n. 1913 e 16aprile 2010, n. 9162; Cass. Ord. 19 marzo 2013, n. 6835).
Natura antielusiva dell’art. 20
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CTR Liguria, Sez. I, Sent. 5 luglio 2016, n. 946
La CTR Liguria nel riprendere i concetti espressi nelle Cassazioni citate in precedenza harichiamato l’Ordinanza n. 24595 del 2/12/2015, laddove ha precisato che «la cessionetotalitaria delle quote di una società ha la medesima funzione economica della cessionedell’azienda sociale. Entrambi tali contratti tendono infatti a realizzare l’effetto giuridico del (etrovano la loro causa concreta nel) trasferimento dei poteri di godimento e disposizionedell’azienda sociale da un gruppo di soggetti (i partecipanti alla società che cedono le loroquote) ad un altro soggetto, o gruppo di soggetti (l’acquirente, o gli acquirenti, della totalitàdelle quote sociali).
Il contratto di cessione totalitaria delle quote di una società è dunque assimilabile, ai finidell’imposta di registro, al contratto di cessione dell’azienda sociale, senza che al riguardo sianecessario […] che l’Agenzia delle entrate fornisca in giudizio la «prova certa dell’intentoelusivo».
Infatti, l’art. 20 del T.U.R. «impone di privilegiare l’intrinseca natura e gli effetti giuridici,rispetto al titolo e alla forma apparente degli stessi, con la conseguenza che i concettiprivatistici relativi all’autonomia negoziale regrediscono, di fronte alle esigenze antielusiveposte dalla norma, a semplici elementi della fattispecie tributaria, per ricostruire la quale dovràdunque darsi preminenza alla causa reale e complessiva dell’operazione economica,rispetto alle forma dei singoli negozi giuridici.
Natura antielusiva dell’art. 20
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CTR Toscana, Sez. XIII, Sent. 7 luglio 2016, n. 1252
La sentenza della CTR in commento ha specificato che «si deve privilegiare unainterpretazione «dinamica» degli atti, tale da individuarne la reale finalità. Inquesta ottica l’art. 20 cit. viene considerato come una sorta di clausola generaleantielusiva.
Non vi è dubbio che la cessione del 100% delle quote di un’azienda sia equivalente aduna vera e propria cessione d’azienda con la conseguenza che l’operazione deve essereassoggettata all’imposta di registro.
D’altra parte è chiara anche la finalità elusiva insita nell’effettuare questo tipo dioperazione anziché una cessione d’azienda che sia tale (anche) sul piano formale. Infattile cessioni di quote sono soggette a imposta di registro in misura fissa [...] mentre incaso di cessione di azienda la medesima imposta deve essere calcolata in misuraproporzionale al valore dell’azienda ceduta».
Natura antielusiva dell’art. 20
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VALORIZZAZIONE DEL COLLEGAMENTO NEGOZIALE TRA MOLTEPLICI ATTI SEPARATI
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Altra parte della giurisprudenza, pur non riconoscendo la funzione antielusiva dell’art. 20 delT.U.R., consente la riqualificazione di una pluralità di atti (i.e. conferimento d’azienda seguitodalla cessione delle quote della conferitaria) in ragione degli effetti oggettivamenteraggiunti dal negozio o dal collegamento negoziale.
Corte di Cassazione, Sez. V, Sent. 14 febbraio 2014, n. 3481
«Il criterio di interpretazione degli atti, fissato dall'art. 20 cit, comporta quindi che, nellaqualificazione di un negozio, deve attribuirsi rilievo preminente alla sua causa reale ealla regolamentazione degli interessi effettivamente perseguita dai contraenti, anche semediante una pluralità di pattuizioni non contestuali, o di singole operazioni.»
La sentenza afferma che non si è quindi al cospetto di un’ipotesi di elusione fiscale, alla qualeassociare il criterio antiabuso basato sulla preclusione del conseguimento di vantaggi fiscalimediante un uso distorto di strumenti giuridici.
Pertanto, in caso di conferimento di azienda con contestuale cessione, in favore di un sociodella conferitaria, delle quote ottenute in contropartita dal conferente, l’interprete deveprivilegiare la sostanza sulla forma, « id est, il dato giuridico reale conseguente alla naturaintrinseca degli atti[…]. Con la conseguenza di doversi riferire l’imposizione al risultato di uncomportamento sostanzialmente unitario, rispetto ai risultati parziali e strumentali di unamolteplicità di comportamenti formali.»
Collegamento negoziale tra molteplicità di atti
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Corte di Cassazione, Sez. V, Sent. 29 aprile 2016, n. 8542
«[…] l'art. 20 del D.P.R. n. 131/1986 attribuisce preminente rilievo all'intrinseca natura ed aglieffetti giuridici dell'atto, rispetto al suo titolo ed alla sua forma apparente, sicchél'Amministrazione finanziaria può riqualificare come cessione di azienda la cessionetotalitaria delle quote di una società, senza essere tenuta a provare l'intento elusivodelle parti, attesa l'identità della funzione economica dei due contratti, consistente neltrasferimento del potere di godimento e disposizione dell'azienda da un gruppo di soggetti ad unaltro gruppo o individuo».
Corte di Cassazione, Sez. V, Sent. 11 maggio 2016, n. 9582
«In effetti questa Corte ha già avuto occasione di chiarire che l'art. 20 D.P.R. 131 cit. non èdisposizione che dal legislatore sia stata predisposta al recupero di imposte «eluse».
[…] Ed è utile ulteriormente precisare che la fattispecie regolata dall'art. 20 D.P.R. n. 131cit. nemmeno ha a che fare con l'istituto della simulazione, atteso che lariqualificazione in parola avviene anche se le parti hanno realmente voluto quel negozio oquel "collegamento" negoziale e questo appunto perché ciò che conta sono gli effetti"oggettivamente" prodottisi (Cass. sez. trib. n. 25050 del 2015; Cass. sez. trib. n. 8655del 2015)».
Collegamento negoziale tra molteplicità di atti
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CTP Milano, Sez. IV, Sent. 1°febbraio 2017, n. 1034
«[…] l’art. 20 DPR 131/86, traccia il criterio ermeneutico per la corretta qualificazione degli
atti negoziali, al fine della determinazione dell’imposta di registro, ma non sottende alcuna
indagine circa la natura elusiva degli stessi atti. […] con riguardo alla fattispecie in
esame (afferente contratti funzionalmente connessi) [conferimento d’azienda seguito
dalla cessione delle quote della conferitaria], l’indagine dell’Ufficio si traduce non già in
un disconoscimento degli effetti giuridici propri dei negozi realizzati […] bensì nell’applicazione
dell’imposizione in correlazione agli effetti giuridici complessivi conseguiti attraverso la
connessione negoziale».
Ciò che è rilevante nella sentenza de quo non sono i singoli atti negoziali, bensì il risultato
finale realizzato dall’unità funzionale degli atti stessi.
Collegamento negoziale tra molteplicità di atti
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Corte di Cassazione, Sez. Tributaria, Sent. 10 febbraio 2017, n. 3562
«La giurisprudenza della Corte è pacifica nel ritenere che il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20,
non è disposizione predisposta al recupero di imposte ‘‘eluse’’, perché l’istituto dell’ ‘‘abuso del
diritto’’ […] presuppone una mancanza di ‘‘causa economica’’ che non è invece prevista per
l’applicazione del D.P.R. n. 131 cit., art. 20.
Norma che semplicemente impone ai fini della determinazione dell’imposta di
registro di qualificare l’atto o il ‘‘collegamento’’ negoziale in ragione del loro
‘‘intrinseco’’. E cioè in ragione degli effetti ‘‘oggettivamente’’ raggiunti dal negozio o
dal ‘‘collegamento’’ negoziale, come per es. può avvenire con il conferimento di beni in un
Società e la cessione di quote della stessa che se ‘‘collegati’’ potrebbero essere senz’altro
idonei a realizzare ‘‘oggettivamente’’ gli effetti della vendita e cioè il trasferimento di cose
dietro corrispettivo del pagamento del prezzo».
Collegamento negoziale tra molteplicità di atti
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Art. 20 DEL T.U.R.– NORMA D’INTERPRETAZIONE DEGLI ATTI
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La valorizzazione dell’art. 20 del T.U.R., quale mera regola di interpretazione degli atti, limita il potere diriqualificazione dell’Amministrazione finanziaria; difatti, solo valorizzando gli effetti economici dell’operazionedi cessione di partecipazione totalitaria o di conferimento d’azienda con successiva cessione dipartecipazioni, si potrebbe realizzare una riqualificazione di tali atti in cessione d’azienda.
Un simile operato è però al di fuori dei confini dell’art. 20: l’Ufficio, infatti, può ricostruire la naturagiuridica dell’atto (indagando l’intrinseca natura dello stesso o di eventuali atti collegati), ma non puòaltresì dare rilievo alle vicende economiche sottese allo stesso o ad elementi extra testuali nondesumibili dall’atto.
Ciò anche sulla scorta della considerazione che l’imposta di registro è un’imposta d’atto la quale non può chemodellarsi sulla situazione giuridica che l’atto stesso conforma o è in grado di conformare, escludendo larilevanza tributaria degli elementi extra testuali e del collegamento funzionale con altri distinti atti posti inessere dalle medesime parti.
La forma dell’atto assume comunque un rilievo centrale poiché la capacità economica non rileva in sé,come per i redditi ed i consumi, ma solo se connessa ad un atto da cui è desumibile la presenza diuna data ricchezza; l’imposta di registro, infatti, non colpisce il trasferimento bensì l’atto, in quantoveicolo di trasferimento di tale ricchezza.
Art. 20 T.U.R. - Norma di interpretazione degli atti
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Corte di Cassazione, Sez. Tributaria, Sent. 19 ottobre 2012, n. 17948
In caso di cessione totalitaria delle azioni, a differenza di quanto accade con la cessione
d'azienda, l'oggetto del trasferimento è la sola partecipazione senza che essa riguardi
anche i beni della società e le conseguenti garanzie dovute dal venditore con riferimento al
patrimonio sociale.
«[…] In tema di vendita di azioni o quote di società […] la consistenza patrimoniale della società
rileva solo in presenza di una specifica garanzia assunta dal cedente: invero, la cessione delle
azioni o delle quote di una società di capitali o di persone ha come oggetto "immediato " la
partecipazione sociale e solo quale oggetto «mediato» la quota parte del patrimonio sociale.
Art. 20 T.U.R. - Norma di interpretazione degli atti
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Corte di Cassazione, Sez. Tributaria, Sent. 19 ottobre 2012, n. 17948 (segue)
[…] In altre parole, vi è differenza tra vendita dell'azione - cui consegue l'acquisto
della status di socio ed anche la misura della partecipazione del nuovo socio nella
società - e vendita dell'intero patrimonio o di singoli beni della società: solo in
quest'ultimo caso oggetto della vendita sono i beni della società (e, quindi, non possono non
trovare applicazione le garanzie dovuta dal venditore, con riferimento al patrimonio sociale);
nella vendita di azioni, la disciplina giuridica, invece, si ferma all'oggetto immediato e, cioè
all'azione oggetto del contratto, mentre non si estende alla consistenza od al valore dei beni
costituenti il patrimonio, a meno che l'acquirente, per conseguire tale risultato, non abbia fatto
ricorso ad un'espressa clausola di garanzia, frutto dell'autonomia contrattuale, che consente
alle parti di rafforzare, diminuire, od escludere convenzionalmente la garanzia, in modo da
ricollegare esplicitamente il valore dell'azione al valore dichiarato del patrimonio sociale (nei
suddetti termini, Cass. nn. 26690 del 2006 e 16031 del 2007; cfr., anche, Cass. n. 10648 del
2010)».
Art. 20 T.U.R. - Norma di interpretazione degli atti
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CTR Lombardia, Sez. XLIX, Sent. 27 giugno 2014, n. 3466
Non è possibile il sindacato dell’ente impositore per la ricostruzione postuma delle finalità
economiche dell’operazione.
«[…] l’art. 20 del D.P.R. n. 131 del 1986 non prevede una riqualificazione fiscale ai fini
dell’applicazione delle imposte di registro, non consentendo detta norma la ricostruzione
della finalità economica complessiva di una serie di atti correlati […]. L’acquisto delle
quote dell’intero pacchetto societario da parte della ricorrente e la successiva fusione per
incorporazione rappresentano uno schema negoziale del tutto legittimo nel nostro ordinamento,
compreso quello fiscale».
Art. 20 T.U.R - Norma di interpretazione degli atti
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CTR Toscana, Sez. XVII, Sent. 8 novembre 2016, n. 1950
«[…] vi è stato un atto [conferimento di un ramo d’azienda] che ha comportato il trasferimento
della titolarità dell’azienda stessa (dalla società conferente a quella conferitaria) il quale è stato
regolarmente tassato (o avrebbe dovuto essere regolarmente tassato) secondo la sua natura; la
pretesa dell’Amministrazione di sottoporre, nuovamente, a tassazione la cessione delle quote
sociali come se si trattasse di un ulteriore trasferimento della titolarità della stessa azienda non
appare, già per questo motivo, fondata.
[…] le conseguenze giuridiche dell’atto di cessione delle quote sono ben diverse da quelle di
un’ipotetica cessione di azienda, in quanto il soggetto cessionario non è divenuto, per effetto
dell’atto in questione, titolare dell’azienda stessa, ma solo socio del soggetto titolare, con
profondissime differenze giuridiche rispetto all’altra ipotesi; non si vede, in definitiva, come
poter equiparare la vendita delle quote sociali alla vendita dell’azienda, se non in una
dimensione latamente e puramente economica che non è affatto quella presa in
considerazione dalla norma tributaria in esame, la quale si riferisce espressamente
agli effetti giuridici degli atti, e non alla individuazione dei soggetti che, in via di puro
fatto, possano accedere al godimento di beni materiali».
Art. 20 T.U.R - Norma di interpretazione degli atti
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CTR Cagliari, Sez. staccata di Sassari, Sent. 16 dicembre 2016, n. 386
La CTR mette in risalto che nella cessione in toto delle quote di una società si ravvisa una sola
operazione legittima e giustificabile dal punto di vista aziendale e fiscale ovvero il trasferimento
di una partecipazione e non di un’azienda e/o di un immobile in quanto, la cedente la
partecipazione peraltro non era proprietaria né di fatto né di diritto né dell’immobile né della
relativa azienda.
«[…] Tenuto conto di quanto stabilito nella disposizione di cui all’art. 20 D.P.R. 131/1986
(l’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla
registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente) e tenuto conto del fatto
che nel p.v.c. richiamato non si faccia cenno a precedenti conferimenti di azienda nella società
le cui quote di partecipazione hanno formato oggetto di cessione, è difficile procedere a
riqualificare delle mere cessioni di quote di partecipazione in società di capitali, seppur
totalitarie, in contratti di cessione di azienda o ramo di azienda.»
Art. 20 T.U.R - Norma di interpretazione degli atti
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CTR Cagliari, Sez. staccata di Sassari, Sent. 16 dicembre 2016, n. 386 (segue)
«[…] Ed infatti si tratta di due fattispecie distinte sul piano giuridico, ove le parti
contraenti operano la scelta tra cedere le quote seppur in modo totalitario o cedere l’azienda,
senza per questo dover necessariamente configurare un intento elusivo che, sempre
necessariamente, nel caso di specie dovrebbe essere provato dall’amministrazione finanziaria.
[…] si evidenzia che sempre trattandosi di due figure negoziali assai diverse per natura ed
effetti giuridici, contabili, gestionali e fiscali, l’amministrazione fiscale, nella ricerca della
forma apparente e nella valutazione degli intenti elusivi, non potrebbe comunque trasformare e
invertire la natura di un atto negoziale, riqualificandolo ai fini fiscali, ma snaturandolo da
quella che è la volontà delle parti nella libertà delle scelte aziendali e societarie».
Art. 20 T.U.R - Norma di interpretazione degli atti
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Corte di Cassazione, Sez. Tributaria, Sent. 27 gennaio 2017, n. 2054
«[…] se è indubitabile che l’Amministrazione in forza di tale disposizione [art. 20, del D.P.R. 26
aprile 1986, n. 131] non è tenuta ad accogliere acriticamente la qualificazione prospettata dalle
parti ovvero quella " forma apparente " al quale lo stesso art. 20 fa riferimento, è indubbio
che in tale attività riqualificatoria essa possa travalicare lo schema negoziale tipico
nel quale l’atto risulta inquadrabile, pena l’artificiosa costruzione di una fattispecie
imponibile diversa da quella voluta e comportante differenti effetti giuridici. In altre
parole non deve ricercare un presunto effetto economico dell’atto tanto più se è quando – come
nel caso di specie [conferimento del ramo d’azienda e successiva cessione delle quote sociali
della conferitaria] – lo stesso è il medesimo per due negozi tipici diversi per gli effetti giuridici
che si vogliono realizzare.
Infatti, ancorché da un punto di vista economico si possa ipotizzare che la situazione di chi cede
l’azienda sia la medesima di chi cede l’intera partecipazione, posto che in entrambi i casi si
«monetizza» il complesso di beni aziendali, si deve riconoscere che dal punto di vista
giuridico le situazioni sono assolutamente diverse».
Art. 20 T.U.R - Norma di interpretazione degli atti
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Grazie dell’attenzione