Post on 08-Jul-2015
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“Una rondine non fa primavera, un aereo per il Congo si”.
Ambongo Fidolin Besungo è un aitante sacerdote,
pardon... Monsignore, anzi: vescovo africano. Quando si
pensa a un vescovo si immagina una persona anziana e
paludata, invece il nostro presule è un giovane signore,
elegante e raffinato sia nei modi che nel vestire, e parla un
perfetto italiano. Gli amici che ci hanno presentato dicono
che potrebbe essere lui uno dei futuri papabili. A sentire
queste facezie lui si schernisce e ci ride sopra di gusto. Vive
e svolge la sua missione pastorale nell’ex Congo Belga, già
Zaire e ora Repubblica Democratica del Congo, dove gli
hanno affidato prima una e poi, per l’efficacia della sua
missione episcopale, una seconda Diocesi.
La cosa che più ci ha colpito dei suoi racconti, e da
qui nasce lo spunto per scrivere quest’articolo, è che per
svolgere la sua missione pastorale è costretto a impiegare
buona parte del suo tempo in estenuanti trasferimenti.
Passa, infatti, 15 giorni al mese sui mezzi più disparati per
muoversi fra Kinshasa e le sue diocesi.
Dopo le distruzioni della guerra, i corsi d’acqua sono le principali vie di
comunicazione.
Il Congo, è stato una colonia belga dall’inizio del
secolo scorso fino alla fine degli anni ’60. Grazie alle sue
ricchezze, oculatamente gestite dai funzionari del Ministero
Belga delle colonie, aveva raggiunto un elevato sviluppo
economico e sociale ed era diventato una delle principali
potenze agricole e industriali dell’Africa. Tanto per citare
un punto d’eccellenza del paese basta ricordare che aveva
raggiunto, all’epoca del dominio belga, il minor tasso di
analfabetismo di tutto il continente africano e, oltre che per
il sistema educativo elementare eccelleva, anche, per la sua
organizzazione sanitaria. Tutto questo è durato fino a
quando la macchina governativa è stata gestita,
direttamente, dai funzionari coloniali del governo belga.
Il Congo Belga è posto al centro del continente africano.
Quando, dopo la seconda guerra mondiale, il mondo
intero si è reso conto che il colonialismo non era più
storicamente accettabile, anche il governo belga, seppure in
ritardo, ha preso atto che la presenza in Congo non era più
sostenibile ed ha aderito alle pressanti richieste
d’indipendenza dei congolesi. Tutto questo però è successo
senza che fosse avvenuto un graduale passaggio di
consegne con il precedente regime coloniale e senza aver
creato una benché minima classe dirigente locale in grado
di gestire la pubblica amministrazione. I nuovi governanti
assetati d’indipendenza e animati dall’ideologia, molto in
voga in quel momento politico, del “tutto e subito” non si
sono resi conto, che così facendo avrebbero portato il paese
alla rovina.
Al momento dell’indipendenza, su di un territorio
grande 70 volte il Belgio e con una popolazione di circa 16
milioni di abitanti, c’erano in tutto poche decine di laureati
locali e non c’era né un chirurgo in grado di operare né un
pilota in grado di condurre un aereo. Rimpatriati gli ufficiali
belgi, nell’esercito e nella polizia, i sergenti e i caporali 1
sono stati nominati ufficiali e la stessa cosa è avvenuta in
tutte le amministrazioni civili e nelle attività produttive a
seguito dell’espulsione dei funzionari e dei tecnici stranieri.
In assenza di una struttura amministrativa, nel giro
di pochi anni, lo Stato si dissolve facendo entrare il paese
nel caos, di conseguenza scoppia la guerra civile che lascia
il paese in mano all’anarchia e al degrado che sono
all’origine dei gravi conflitti etnici e religiosi, a tutti ben
noti perché episodi recenti di cronaca.
Tutto quello che di buono era stato fatto dal
colonialismo (nella fattispecie infrastrutture: ospedali,
scuole, strade, ponti, ferrovie etc.) è andato distrutto e si è
tornati a una situazione tribale certamente peggiore di
quella del periodo pre-coloniale.
Quello che è successo nella vita civile non è
avvenuto nella Chiesa cattolica, molto radicata nel
territorio, e i religiosi, che avevano provveduto a formare
nel tempo numerose suore e sacerdoti, si sono trovati nella
condizione di poter supplire ad alcune delle carenze dello
Stato e sono diventati indispensabili soprattutto nei settori
dell’educazione e della sanità.
Inquadrata la situazione socio-politica del paese in
cui opera il nostro vescovo, torniamo ai suoi impegni
pastorali e ai gravi disagi che egli deve affrontare
mensilmente per spostarsi per la sua missione, e che sono
all’origine del nostro incontro.
La prima Diocesi che gli è stata affidata, quando
aveva appena compiuto i quarantaquattro anni, è quella di
Bakungu-Ikela che era vacante da nove anni a seguito della
guerra civile. Tale Diocesi si trova nella provincia
dell’Equater e si estende su di un territorio di 42.000 kmq,
interamente coperti da foresta tropicale, con una
popolazione di 617.000 abitanti. Nel 2008 monsignor
Ambongo, per l’efficienza dimostrata nella gestione della
sua prima Diocesi, è nominato dal Vaticano
Amministratore Apostolico del distretto episcopale di Kole,
Questa nuova diocesi ha un’estensione di 66.000 kmq che
sommati a quella della prima coprono delle superfici pari a
un terzo del territorio italiano.
Monsignor Ambongo durante la sua recente visita a Roma.
Il Prelato, di cui stiamo tracciando il profilo, è nato a
Boto nel 1960, è un frate Minore Cappuccino, è stato
ordinato sacerdote nel 1988, monsignore dieci anni dopo e
vescovo nel 2004. Si è laureato in Teologia Morale presso
L’Alfonsianum di Roma ed è stato Provinciale dei Frati
Minori Cappuccini di tutta l’Africa. Per entrare nel concreto
dei suoi problemi logistici prendiamo il tragitto di 1.550 km
per raggiungere la diocesi di Bakungu-Ikela dalla capitale
Kinshasa che avviene con il seguente itinerario: volo aereo
fino a Mbandaka, da lì tragitto in battello sul fiume
Tshuapa, poi in piroga su un suo affluente per concludersi
in moto o camion su piste disastrate. In termini di tempo 10
giorni di viaggio, salvo complicazioni, a fronte di una spesa
di circa 5.000 $.
Per quanto riguarda le complicazioni, l’uso del
termine è un eufemismo, perché come abbiamo detto in
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Congo, nonostante la guerra civile sia finita da qualche
tempo, ancora oggi la situazione è tutt’altro che pacificata
le truppe ribelli hutu-ruandesi continuano a perpetuare
innumerevoli atti di violenza a scapito delle, inermi,
popolazioni locali.
Gli amici, che ci hanno presentato Monsignor Ambongo,
sono dei missionari laici della comunità “Amici del Buon
Pastore” della Fraternità Missionaria OPAM, che lo
sostengono nel suo ministero pastorale. Hanno letto, quasi
per caso, un prospetto di UNICA, Unione Nazionale
Italiana Comparto dell’Aviazione privata da diporto e
sportiva, nella quale erano descritte le potenzialità del volo
VDS e la sua possibilità di diventare una valida alternativa
alla mobilità su ruote, soprattutto, nei paesi dalle grandi
dimensioni o in quelli caratterizzati da situazioni territoriali
estreme e da carenze di infrastrutture. In particolare sono
rimasti colpiti dall’ovvia, ma espressiva, riflessione che a
parità di costo un km di strada non porta da nessuna parte,
mentre, un km di pista collega con tutto il mondo. Questo
confronto, traslato in una realtà territoriale e infrastrutturale
come quella del Congo, li ha molto colpiti ed essendo
digiuni sull’argomento, hanno preso contatto UNICA per
verificare la possibilità di realizzare gli spostamenti di
Monsignor Ambongo con l’ausilio di un velivolo
ultraleggero. Saputo che non c’era niente di ostativo a
livello tecnico hanno chiesto di poter essere messi in
contatto con una struttura operativa aeronautica per capire
come funziona la filiera del volo. Trovandosi a Roma sono
stati indirizzati verso il polo aeronautico della Celsetta, a
ridosso della Cassia Bis, a pochi km dalla capitale, dove
avrebbero potuto visionare un’aviosuperficie con annessi
hangar per il rimessaggio dei velivoli, un’officina per la
manutenzione, una scuola di volo, e alcune strutture
produttive e di servizi operanti nel settore aereonautico.
Dopo una giornata di full immersion alla “Celsetta”,
dopo aver volato e provato a pilotare, avevano capito
quanto gli serviva e di aver trovato una vera soluzione ai
problemi logistici che condizionano non solo il nostro
vescovo e i tanti missionari che operano in questi paesi
sottosviluppati. ma anche degli operatori, pubblici e privati,
che esplicano le loro attività nel terzo mondo.
Veduta dall’alto della torre di controllo dell’avio superficie la Celsetta.
Con un velivolo VDS, tanto meglio se anfibio,
infatti, il percorso da Kinshasa a Bokungu, alla velocità di
crociera di 150 l’ora e con un consumo medio di 18/20
litri/ora, si può percorrere, a tappe, in meno di una giornata
con una spesa di circa 300 $.
Passate poche settimane da questo incontro, gli
“Amici del Buon Pastore” comunicano la visita a Roma,
per andare alla Celsetta, di Monsignor Ambongo.
Partecipare il privilegio di volare agli altri è un
piacere che in generale gratifica, nel caso particolare di
Monsignor Ambongo è stato un dovere morale. Quando è
sceso dopo il primo volo alla Celsetta era commosso e
felice di poter essere, in futuro, più vicino alla sua gente.
E’ storicamente provato che le vie di comunicazione
hanno contribuito alla diffusione dello sviluppo tecnologico
e che la civiltà romana ha conquistato il mondo grazie alle
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Monsignor Ambongo dopo il suo primo volo a bordo di un Savannah.
strade e ai ponti costruiti dai genieri al seguito delle legioni
imperiali.
L’intuito dimostrato dagli “Amici del Buon
Pastore”, nel capire che i velivoli ultraleggeri possono
supplire alle carenze infrastrutturali e alleggerire i disagi
logistici di Monsignor Ambongo, dovrebbe stimolare la
nostra industria aereonautica del VDS, una delle eccellenze
del made in Italy, a sdoganare questa tipologia di volo,
Un velivolo ICP Savannah anfibio con i galleggianti prodotti dalla ditta SIV
dall’ormai ristretta nicchia di mercato “ludica da diporto e
sportiva” per aprire nuovi ed inimmaginabili mercati nei
paesi del terzo mondo.
Abbiamo esordito titolando “una rondine non fa
primavera…” ma dieci, cento, mille e più velivoli
ultraleggeri, messi a sistema, potrebbero contribuire a
risolvere tanti problemi di comunicazione nei paesi
sottosviluppati. Per cominciare, però, s’inizia da uno e da
qui nasce il primo progetto “un aereo per il Congo”.
Affascinati dalle potenzialità promozionali di
quest’opportunità di solidarietà, senza indugi, alla Celsetta,
hanno organizzato una cordata coinvolgendo alcuni soci di
Il polo aeronautico della Celsetta, sulla Cassia Bis, a nord di Roma.
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UNICA per trasformare il sogno degli “Amici del Buon
Pastore” in una concreta realtà.
La MAG & c. di Michelangelo Antonelli, fra i soci
fondatori di UNICA, società d’ingegneria aeronautica
insediata alla Celsetta, si assume l'onere di fare da capofila
al progetto. All’appello rispondono, prontamente, non solo
gli amici Nazzarri del polo aeronautico della Celsetta, e
Giuseppe Gabbi direttore della “Scuola di Volo Volare”,
ma anche Edy Razzano guru della meccanica e titolare
dell’ICP che produce il Savannah, un aereo molto adatto
all’iniziativa essendo non solo robusto e versatile, ma
anche trasformabile in versione anfibia; il dottor Luciano
Sorlini, raffinato collezionista d’arte e storico pilota,
importatore, con una delle sue tante società, dei motori
Rotax; e per finire la ditta S.I.V. guidata dal direttore della
Scuola Italiana di Volo Graziano Mazzolari, che produce i
galleggianti per rendere anfibio il Savannah.
“In un batter d’ali”, grazie alla generosità di alcuni
operatori privati, che hanno fatto da apri pista, parte il
primo progetto - ci auguriamo primo di una lunga serie -
promosso da UNICA per il Congo e poi per tutta l’Africa.
La Celsetta srl fornirà l’ospitalità per la
permanenza in Italia del frate futuro pilota/manutentore, la
scuola di volo Volare la formazione per conseguire
l’attestato di volo, l’I.C.P. e la Scuola Italiana di Volo i kit
per costruire l’aereo anfibio e la Sorlini la motorizzazione
Rotax. A tutto il resto (pratiche, viaggio, trasferimenti,
formazione tecnica del futuro frate/meccanico manutentore,
montaggio del velivolo, e fornitura degli accessori)
provvederà la MAG & c.
Monsignor Ambongo, per non sfatare la sua fama di uomo
d’azione, sceglie fra i suoi confratelli Cappuccini un frate
volontario, fra Victor Ayeky Lowage, classe 1972, esperto
di meccanica e appassionato di volo che diventerà il primo
pilota /manutentore della sua Diocesi.
Già sono iniziate le pratiche per il visto e il permesso
di soggiorno provvisorio per farlo venire a Roma per
prendere l’attestato di volo e a imparare tutto quello che è
necessario per la manutenzione dell’aereo e del motore.
Può sembrare un miracolo ma non lo è: anche la
solidarietà può diventare un business, infatti; dieci, cento
velivoli, mille e più proficuamente operanti in questi paesi
in via di sviluppo, oltre ad aiutare molte persone in
difficoltà possono servire a creare nuove e inimmaginabili
opportunità commerciali e sbocchi di mercato per i nostri
velivoli.
Chi vuole partecipare a questo progetto di solidarietà si
faccia avanti, una rondine non fa primavera, ma dieci,
cento, mille si.
Per UNICA Leonardo Di Paola
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