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LESSICO DI
PEDAGOGIA DEL CORPO E DEL MOVIMENTO
A cura di Antonia Cunti
(contributi di: Antonia Cunti, Francesco Lo Presti, Fausta Sabatano, Sergio Bellantonio, Monica Cante, Jole Lemba)
Gli autori afferiscono tutti all Universit degli Studi di Napoli Parthenope. Antonia Cunti professore straordinario di Pedagogia generale; Francesco Lo Presti ricerca-tore confermato di Pedagogia generale; Fausta Sabatano assegnista di ricerca in Pedagogia generale; Sergio Bellantonio, Monica Cante e Jole Lemba sono dottorandi di ricerca in Scienze del movimento umano e della salute
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INDICE
Introduzione 5
Adolescenza 8
Apprendimento 10
Competenza 12
Complessit 14
Corpo/Corporeit 16
Costruttivismo 18
Cultura 20
Cura educativa 22
Didattica 24
Disagio (pedagogia del) 26
Educazione 28
Educazione permanente 30
Emozioni (educare alle) 32
Epistemologia 34
Formazione 36
Gruppo sportivo 38
Immagine corporea 40
Inclusione sociale (educare alla) 42
Insegnamento 45
Intelligenza/e 47
Istruzione 49
Metacognizione 51
Motivazione allapprendimento 53
Movimento (educare al) 55
Orientamento formativo 57
Pedagogia e scienze delleducazione 59
Professionalit educative 61
Relazione educativa 63
Ricerca in pedagogia (e ricerca educativa) 66
Riflessivit 68
Scienze motorie 70
S/Identit 72
Setting formativo 74
Sport/gioco-sport 76
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Introduzione
di Antonia Cunti
La scelta di offrire agli studenti di Scienze Motorie un lessico di Pedagogia del
movimento e dello sport legata ad una duplice esigenza: da un parte, si vuole corri-
spondere ad una domanda di facilitazione dellapprendimento attraverso un testo che
presenti in modo chiaro, sintetico ed efficace i concetti-base di tale ambito pedagogico
e, dallaltra, rinforzare la cornice di riferimento teorica a cui si guarda, dando
uninterpretazione di tali concetti di stampo costruttivistico e riflessivo. Il volume non
intende essere, allora, una presentazione da manuale delle parole prescelte, ma collocare
i concetti in una precisa prospettiva argomentativa.
Il richiamo al movimento e allo sport ha il senso di sottolineare due aspetti: il
primo consiste nella loro specifica qualit pedagogica, se vero che movimento e sport
rappresentano campi privilegiati della riflessione e dellazione educativa, che, soprattut-
to attraverso le proprie pratiche, comunica idee, valori e modi di agire inerenti al corpo,
allo sport, alla relazione con laltro; il secondo coincide con il bisogno di rilanciare la
grande opportunit educativa che risiede nelle attivit motorie e sportive, quale spazio
di costruzione e ri-costruzione identitaria, di manifestazione e, dunque, di osservazio-
ne\ricomposizione di condizioni personali di disagio, dovute al mancato raggiungimento
di sintonie, pur non definitive e parziali, tra i vari ambiti ed espressioni dello sviluppo e
della crescita, corporeo, affettivo, cognitivo, relazionale.
Da un punto di vista pedagogico e didattico, si attribuisce un ruolo di primo pia-
no soprattutto ad alcune delle dimensioni coinvolte nei processi educativi e formativi;
innanzitutto, quelle della soggettivit, della professionalit, della complessit.
La soggettivit da riferire sia ad un piano epistemologico sia formativo. La
centralit del soggetto che conosce e che agisce sulla base delle sue cognizioni costitui-
sce un criterio di riferimento fondamentale del processo di conoscenza e di costruzione
del sapere scientifico; la scienza e lo sviluppo del sapere sono legati alla storia degli in-
dividui, alle loro istanze, alla modificazione del rapporto con lambiente che suggerisce
rinnovati modi di concepire e di agire.
Il passaggio dal livello epistemologico a quello formativo dato dalla natura dei
processi cognitivi, che avvengono su base biologica e che traggono i contenuti da elabo-
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rare dalle esperienze, dalle aspettative e motivazioni personali e contrassegnate in senso
socio-culturale.
Porre il soggetto al centro del processo formativo non vuol dire risolvere le vere
o presunte difficolt dellapprendere e dellinsegnare optando per gli interessi dei sog-
getti e seguendone il filo delle esperienze, bens vuol dire elaborare strategie idonee a
instaurare un buon incontro tra soggetti dellapprendimento e oggetti
dellinsegnamento, operando sugli ambienti didattici, sulle forme della partecipazione,
sulla diversificazione dei linguaggi, sulla qualit della comunicazione educativa e didat-
tica.
Lidea di professionalit educativa alla quale si guarda pone anche qui al centro
I contesti dellazione socio-educativa sono caratterizzati da una notevole com-
plessit, data dallintreccio e dallinfluenzamento reciproco di molti fattori, interni ed
esterni ai soggetti dellinterazione, con la conseguente difficolt per gli operatori di se-
lezionare lindividuo che opera, con i suoi punti di vista, le sue conoscenze, le sue forme
di azione, ma anche con la sua storia di vita, culturale e di formazione, con la sua identi-
t professionale, di motivazioni, di aspirazioni, di interessi. Tutto ci allorigine del
suo fare personale, di come e quanto sar in grado di riconoscersi in quello che fa, di
pensarsi altrimenti, di agire e di modificare il proprio agire in modo consapevole, del
suo sentirsi assolutamente responsabile del proprio operato e, quindi, artefice principale
della qualit della sua vita professionale. quelli che in misura maggiore si ritiene che in-
tervengano a condizionare specifici comportamenti e processi; grande rilevanza va attri-
buita, a tale proposito, al saper osservare e condurre lanalisi delle situazioni critiche
con rigore, ma anche con lattenzione ad evidenziare dimensioni ed elementi causali che
rientrino nella sfera di intervento del soggetto professionale.
Leducazione corporea e al movimento, sia esso una qualit puramente espressi-
va o gesto motorio o sportivo, rappresenta una sfida molto importante alla luce della dif-
fusione di situazioni di disagio che vedono in primo piano il modo distorto di vedere e
di sentire il proprio corpo, allorigine di derive autodistruttive; unazione educativa che
lavori sullimmagine corporea e sulla comunicazione gestuale e prossemica pu contri-
buire allo sviluppo di un intervento preventivo, come pure pu assumere una centralit
dal punto di vista delleducare alle emozioni, affinch esse trovino quanto prima possi-
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bili canali e forme di esternazione e di condivisione che rifuggano una loro esplicitazio-
ne irriflessiva e violenta.
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Adolescenza
(Antonia Cunti)
Ladolescenza la fase dellet evolutiva che si colloca tra gli 11 e i 18-21 anni,
tra la fine dellet puberale e linizio dellet adulta.
Essa contrassegnata da una serie di modificazioni di ordine sia fisico sia psico-
logico, che investono la sfera cognitiva, sociale ed affettiva. Sul piano cognitivo, matura
la capacit di un pensiero logico-astratto,da cui consegue anche la tensione verso le di-
mensioni immaginative e progettuali; sul piano sociale, ladolescente predilige i coeta-
nei e gruppi di pari, allo scopo di poter condividere aspirazioni e difficolt in contesti
amicali che non si presentano come giudicanti a differenza di quelli familiari; su quello
affettivo, iniziano a definirsi relazioni basate sullattrazione sessuale e sullinvestimento
affettivo.
Generalmente gli adolescenti tendono ad allontanarsi dal nucleo familiare per
costruire progressivamente la loro autonomia, pur contando moltissimo sul fatto che i
loro genitori e le figure affettivamente pi importanti possano costituire un porto sicuro
sempre disponibili ad accoglierli ed a sostenerli.
In questo periodo della vita si compie una decisiva ri-strutturazione dellidentit
personale e sociale dal momento che, a partire dai sostanziali cambiamenti che investo-
no la persona, gli adolescenti si trovano nella condizione di dover dare dei significati a
tali cambiamenti che consentano loro di ri-trovarsi con se stessi e nel proprio ambiente
di vita. In particolare, ladolescente si trova a dover affrontare i cosiddetti compiti di
sviluppo che corrispondono a quelle richieste che la societ implicitamente gli rivolge,
quali ad esempio la progressiva conquista di autonomia e di responsabilit, le quali rap-
presentano anche delle forti aspettative a cui si legano lappartenenza ed il consenso
sociali.
C da dire che ladolescenza non semplicemente una questione anagrafica,
poich presso culture differenti essa viene vissuta, percepita e considerata in modi molto
diversi. Nella nostra societ occidentale, il fatto che ladolescenza venga ritenuta comu-
nemente unet critica da ricondurre a fattori socio-culturali per i quali il mondo degli
adulti carica di drammaticit le scelte e linsieme dei cambiamenti connessi a questa et;
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ad esempio, la difficolt del passaggio dallinfanzia allet adulta anche da ricondurre
al persistere di un modello educativo che fondamentalmente nellattribuire al bambino
caratteristiche di dipendenza dalle figure adulte non si preoccupa prioritariamente di in-
stradarlo verso il distacco e la progressiva acquisizione della capacit di pensare e di
operare contando sul proprio personale giudizio, con la conseguenza di circoscrivere ec-
cessivamente i tempi del cambiamento, estremizzandolo.
Durante ladolescenza, ladesione ad un gruppo sportivo (vd. Gruppo sportivo),
in particolare, pu essere di grande aiuto per facilitare il superamento di criticit della
crescita, sia per quanto riguarda la conquista di nuovi equilibri nel rapporto con la pro-
pria fisicit (che fatta di forma fisica, ma anche di relazionalit e di espressivit corpo-
rea), che contribuisce al senso di identit personale, sia in relazione alla capacit di co-
struire risultati comuni e condivisi, nel rispetto delle regole e delle prerogative di cia-
scun singolo individuo nel contesto della squadra.
Tutte le ricerche mettono in evidenza che la partecipazione a gruppi formali nella piena adole-
scenza diventa soddisfacente, al di l delle possibili difficolt che comporta, quando il gruppo
formale non enfatizza i propri connotati istituzionali e assume molte caratteristiche di informa-
lit, quando cio gli adolescenti del gruppo (spesso riaggregati in sotto-gruppi) conducono una
esperienza, vissuta in continuit con il loro impegno formale, dalle caratteristiche molto simili
a quella del gruppo spontaneo. In questo modo il gruppo ha una vita che trascende i momenti
istituzionali pur senza svuotarli di senso, diventando luogo sociale e psicologico di pi intense
relazioni interpersonali, autonomo nelle esperienze e nei rapporti con gli adulti. (Palmonari
A. (a cura di), Psicologia delladolescenza, il Mulino, Bologna, 1993, p. 236).
Bibliografia essenziale
Ammaniti M., Ammaniti N., Nel nome del figlio. Ladolescenza raccontata da un padre a un figlio, Mondadori, Milano, 2003.
Caronia L., Caron Andr H., Crescere senza fili. I nuovi riti dellinterazione sociale, Raffaello Cortina, Milano, 2010.
Vegetti Finzi S., Battistini Anna M., Let incerta. I nuovi adolescenti, Mondadori, Milano, 2001.
Palmonari A. (a cura di), Psicologia delladolescenza, il Mulino, Bologna, 1993.
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Apprendimento
(Jole Lemba)
L'apprendimento pu essere definito come un processo di modificazione del
comportamento, delle funzioni cognitive, delle conoscenze e capacit che avviene attra-
verso l'esperienza. Etimologicamente, il termine apprendimento deriva dal latino "ad
prehendere" ossia prendere su, impadronirsi, rinviando, cos, al carattere attivo di tale
processo. Sullapprendimento, dalla fine dellOttocento in poi periodo in cui si svi-
luppata una psicologia scientifica- sono state elaborate diverse teorie (tra cui il Compor-
tamentismo, il Cognitivismo, il Costruttivismo).
Nellambito di queste, la prospettiva costruttivista (vd. Costruttivismo) quella
a cui opportuno riferirsi laddove si vuole evidenziare il carattere attivo del processo di
apprendimento e il ruolo di protagonista che il soggetto esprime nellambiente, inteso
come contesto partecipato e condiviso.
L'apprendimento un processo che influenza significativamente le nostre con-
nessioni neuronali e le nostre strutture cerebrali attraverso lesperienza e linterazione
con lambiente, in senso sia fisico sia sociale.
Si tratta di un fenomeno specie-specifico di sviluppo dellumanit e del singolo indivi-
duo, ovvero di una condizione ineliminabile di esistenza e di sopravvivenza della
specie umana. In ci risiede il carattere naturale del processo di apprendimento che ha
la prerogativa di essere spontaneo dal momento che ciascuno di noi apprende quello che
vuole apprendere.
Luomo fin dalla nascita esprime un comportamento di apprendimento essendo
in possesso di pochi comportamenti innati. L'educazione rappresenta il tentativo co-
sciente di promuovere l'altrui apprendimento. L'apprendimento , infatti, un processo
attivo di acquisizione di comportamenti stabili in funzione di un processo co-adattativo:
ovvero il soggetto vive nellambiente un processo di influenzamento che lo induce ad
adeguarsi allambiente stesso. Nella realt, la dinamica a cui facciamo riferimento una
dinamica di reciprocit per la quale non solo il soggetto influenzato dallambiente ma
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a sua volta lo influenza cosicch quella del cambiamento diventa una dimensione che
appartiene al contesto e non solo al singolo soggetto.
L'apprendimento da intendere, quindi, come un comportamento motivato e o-
rientato, non riducibile ad uno sterile meccanismo di assimilazione di contenuti privi di
un significato per la persona che apprende. L'apprendimento , in sintesi, un processo
complesso, risultante dalla compenetrazione di aspetti cognitivi, affettivi e sociali.
"L'obiettivo di ogni percorso formativo - dalla scuola di base alla formazione professionale -
dovrebbe (...) essere, in prima istanza, quello di fornire al soggetto strutture cognitive ed affet-
tivo-motivazionali che gli consentano di poter apprendere ancora e sempre meglio nel futuro.
Ci determina, sul piano pedagogico, la necessit di una interpretazione dell'apprendimento
sulla base di parametri connotativi che lo definiscono: a) come processo dinamico; b) come
funzione di adattamento; c) come dispositivo di crescita; d) come dimensione di cambiamento".
(Striano M., I tempi e i "luoghi" dell'apprendere. processi di apprendimento e contesti di forma-
zione, Liguori, Napoli, 1999, p. 10).
Bibliografia essenziale
Boscolo P., Psicologia dell'apprendimento scolastico. Aspetti cognitivi, UTET, Torino, 1986.
Frauenfelder E., Santoianni F., Percorsi dell'apprendimento. Percorsi per l'insegnamento,
Armando, Roma, 2002.
Rudolf Schaffer H., I concetti fondamentali della psicologia dello sviluppo, Raffaello Cortina,
Milano, 2006.
Striano M., I tempi e i "luoghi" dell'apprendere. processi di apprendimento e contesti di forma-
zione, Liguori, Napoli, 1999
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Competenza
(Fausta Sabatano)
La competenza rappresenta una categoria fondativa ed interpretativa dei percorsi
di formazione, di istruzione, lavorativi e professionali.
Etimologicamente, il termine competenza deriva dal latino cum petere, ossia chiedere,
dirigersi verso, rinviando, quindi, alla capacit del soggetto di sapersi muovere e o-
rientare in determinati campi, non solo di saper utilizzare una specifica tecnica per la
soluzione di un problema o per lesecuzione di un compito.
Il termine competenza stato male interpretato, in particolare fino agli anni 80,
allorquando stato adoperato come sinonimo di abilit, skill o performance. Tale indi-
stinzione stata foriera di un riduzionismo che ha portato, sul versante teorico, ad esau-
rire il concetto di competenza al livello delle prestazioni esplicite, dellesecuzione del
compito, senza considerare gli elementi di conoscenza e di personalit su cui esso si
fonda e, sul versante metodologico, al diffondersi di un approccio alla formazione di ti-
po addestrativo. Nella societ contemporanea, in seguito alle trasformazioni che hanno
investito e tuttora investono i mercati del lavoro, le organizzazioni e le tecnologie, la
competenza diviene una categoria di riferimento fondamentale, giacch coerente con
la qualit immateriale del lavoro. La dematerializzazione del lavoro e la diffusione dei
cosiddetti lavoratori della conoscenza (knowledge workers) rimarca la considerazione
che lavorare oggi equivale sempre meno a svolgere uno sforzo fisico e sempre pi ad
operare in termini cognitivi, acquisendo e accrescendo la capacit di creare, di innovare
e di operare in modo autonomo.
Una definizione delle competenze come sapere pratico e operativo a fronte
dellastrattezza delle conoscenze non d ragione della complessit degli elementi costi-
tutivi e fondativi della competenza stessa; questultima s, infatti, capacit di utilizzo
delle conoscenze, ma fa riferimento anche ad un saper fare generale in cui i saper fa-
re specifici sono compresi.
Sul versante formativo, solo di recente si diffuso un modo di descrivere e di in-
terpretare i percorsi di formazione come strettamente ancorati al costrutto di competen-
za, tanto che si parlato di un passaggio dallera delle conoscenze - gli anni 80 e i
primi anni 90 allera delle competenze. In tale prospettiva, viene evidenziata la ne-
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cessit di un approccio al costrutto di competenza che non si fermi alla crescita ed al
perfezionamento delle capacit di eseguire un determinato compito e delle conoscenze
che esso presuppone, ma che ponga in primo piano le caratteristiche di personalit e le
cosiddette core competences nellaccezione pi attuale di competenze che, superando
una dimensione puramente funzionale rispetto ad uno specifico profilo professionale,
rappresentino dimensioni trasversali, ossia capacit strategiche di ogni professionalit,
fondate sulla categoria concettuale dell apprendere ad apprendere e, quindi, su un
apprendimento di secondo livello, che attiva processi di autoriflessivit, di attribuzione
di senso, di consapevolezza di s, ecc. In tal senso, le competenze vengono intese non
soltanto in rapporto alla dimensione operativa delle conoscenze, ma in riferimento a
connotazioni personali e relazionali, che costituiscono caratteristiche distintive
dellagire individuale e, come tali, soggette a processi di crescita, di evoluzione e, quin-
di, di formazione.
La competenza considerata tanto pi alta quanto maggiori sono le capacit di pensiero a-
stratto, svincolato da contesti specifici di esperienza, e generale, fondato su conoscenze e abili-
t utilizzabili in situazioni diverse ( Meghnagi S., Il sapere professionale. Competenze, diritti,
democrazia, Feltrinelli, Milano, 2005, p. 29).
Bibliografia essenziale
Baldacci M., Curricolo e competenze, Mondadori, Milano, 2010.
Meghnagi S., Il sapere professionale. Competenze, diritti, democrazia, Feltrinelli, Milano, 2005
Pellerey M., Origine e sviluppo degli approcci per competenze nella formazione professiona-
le, in "Studium Educationis" , n. 2, 2001.
Sabatano F., Per una pedagogia delle competenze. La costruzione di un modello di formazione
in contesti aziendali, Liguori, Napoli, 2005.
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Complessit
(Francesco Lo Presti)
Il termine si riferisce alla epistemologia della complessit e definisce uno degli
sviluppi maturati in seno alla filosofia della scienza a partire dai primi anni 70.
La parola "complesso" deriva dal verbo latino complector, che significa sia av-
vinghiare, stringere sia allacciare, tenere insieme, riunire sia, ancora, concatenazione,
nesso, legame. Non a caso, dunque, lutilizzo di tale termine designa un punto di vista
teorico e filosofico secondo cui, per comprendere la realt, non possiamo utilizzare un
metodo di osservazione che la scompone in diversi segmenti analizzabili singolarmente,
ma dobbiamo tentare di osservarla nel suo insieme, integrando tutte le parti che la com-
pongono in una visione generale (approccio olistico, globale) che tiene conto anche del-
le influenze pi remote tra esse.
Il modello della complessit abbandona lidea di una realt ordinata e controlla-
bile per accogliere lidea che tutto ci che intorno a noi si realizzi in maniera casuale e
caotica a partire dalla interazione tra elementi che, in maniera sfuggente e mai comple-
tamente osservabile, compongono il tutto in un sistema.
Lidea alla base dellepistemologia della complessit acquisisce, dunque, che la
realt non possa essere definita come un insieme di strutture e caratteristiche stabili ed
indipendenti dell'osservatore, ma che invece essa sia una realt di sistemi osservabili,
sostanzialmente sfuggente, nella quale lo stesso osservatore rappresenta una delle varia-
bili in causa. In tal senso, l'azione dell'osservatore muta ci che viene osservato, non
consentendo una effettiva distinzione o separazione fra ci che viene osservato e l'os-
servatore stesso; impossibile, in tal senso, acquisire una conoscenza che non sia me-
diata dalla soggettivit (vedi costruttivismo).
Questa ridefinizione dei rapporti tra soggetto che osserva e realt ha prodotto e
tuttora produce sostanziali modificazioni nel modo di fare scienza, mettendone in crisi
il modello della ricerca tradizionale, fondato sullosservazione empirica di un mondo
oggettivo attraverso la creazione di rapporti tra cause ed effetti, definibili come leggi di
natura.
Il cambiamento nella concezione di scienza investe, quindi, a livello trasversale
tutte le discipline ed i settori scientifici. Lutilizzo del concetto di complessit appartie-
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ne, infatti, ad un pluralit di approcci di ricerca e di ambiti del sapere, dalle scienze u-
mane e sociali (pedagogia, psicologia, sociologia, economia, ecc.) fino alle scienze ma-
tematiche e della natura (fisica, biologia, cibernetica, sistemistica, ecc).
La rivoluzione scientifica inaugurata dalla teoria della complessit assume,
quindi, la centralit del soggetto conoscente nei riguardi della propria impresa cognitiva
e della propria responsabilit; il nuovo ideale di scienza afferma, cio, che la conoscen-
za sia sempre costruita in dipendenza alla posizione assunta dal soggetto che conosce.
Nel particolare dellambito pedagogico, la complessit, ridefinendo lo scenario
della ricerca allinsegna di una cultura scientifica che accolga la parzialit e la revisio-
nabilit dei punti di vista, determina una sorta di liberazione dai dettami del modello di
scienza ortodosso che, a sua volta, si traduce nel legittimo affermarsi di una pluralit
degli sguardi e delle prospettive, di una molteplicit di approcci, di un insieme di mo-
delli e metodi di ricerca in campo formativo, di una attenzione pi ampia e sfaccettata
alle emergenze e alle nuove istanze educative.
Oggi il nostro bisogno storico di trovare un metodo che riveli e non nasconda i legami, le ar-
ticolazioni, le solidariet, le implicazioni, le connessioni, le interdipendenze, le complessit.
Dobbiamo partire dal venir meno delle false chiarezze. Non il chiaro e il distinto, ma loscuro e
lincerto: non pi la conoscenza assicurata, ma la critica della sicurezza. (Morin E., Il metodo.
Ordine, disordine, organizzazione, Feltrinelli, Milano, 1992, p. 20).
Bibliografia essenziale
Bateson G., Verso un'ecologia della mente, Adelphi, Milano, 1976.
Morin E., Il metodo. Ordine, disordine, organizzazione, Feltrinelli, Milano, 1992.
Prigogine I., Stengers I., La Nuova Alleanza. Metamorfosi della Scienza, Einaudi, Torino, 1981.
Von Bertalanffy L., Teoria Generale dei Sistemi, ISEDI, Milano, 1971.
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Corpo/corporeit
(Monica Cante)
Nella storia del pensiero filosofico occidentale, il corpo ha assunto differenti si-
gnificati che hanno avuto delle importanti ricadute in diversi settori disciplinari, da
quello medico a quello educativo.
Il termine corpo deriva dal latino corpus che i filologi comparano con larmeno
kerp che vuol dire forma, immagine, rinviando ad una dimensione della realt che pu
essere conosciuta attraverso lausilio dei sensi come la vista ed il tatto.
Nella tradizione filosofica una delle forme pi compiute della distinzione tra
mente e corpo stata elaborata da Cartesio.
Cartesio sancisce, infatti, la separazione tra anima e corpo, distinguendo
lesistenza dellindividuo tra res extensa e res cogitans. Il corpo diviene un oggetto in-
serito nel mondo della materia che pu essere studiato ed indagato attraverso la scom-
posizione delle parti che lo compongono. Lanima, invece, viene considerata lessenza
stessa delluomo che fornisce la vita ed il senso al corpo. Nasce, dunque, la metafora del
corpo-macchina che far da sfondo allelaborazione del modello bio-medico che indaga
e studia il corpo-oggetto come separato e disgiunto dalla mente e dal vissuto soggettivo
dellindividuo.
Con la fenomenologia, movimento filosofico-culturale che nasce in Germania
allinizio del Novecento, ed i suoi sviluppi nellesistenzialismo e nellermeneutica, il
corpo assume nuovi significati; in particolare, viene evidenziata la differenza tra lavere
un corpo ed essere il proprio corpo, una distinzione in grado di mostrare il corpo come
espressione e parte integrante dellessere umano, inteso come un essere che vive e si
muove allinterno di un mondo (sia fisico sia sociale).
Questa prospettiva intende, dunque, la corporeit come una delle dimensioni
fondamentali dei nostri vissuti esistenziali; essa esprime il legame esistente tra corpo,
emozione e cognizione. Questa dimensione ha come conseguenza il riconoscimento del
valore della complessit delluomo, sottolineando la necessit di considerarlo nella sua
totalit.
Il corpo non pi mero strumento, ma rappresenta il punto di contatto con il
mondo attraverso il quale conferire senso e significato alla realt. Il significato del mio
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corpo, per esempio delle miei mani, non risiede, infatti, nella loro struttura anatomica
ma negli oggetti che esse possono afferrare o non riuscire a prendere, dal momento che
il corpo non un oggetto ma ci grazie a cui vi sono degli oggetti.
Il corpo anche espressione, parte integrante, del processo comunicativo che ac-
compagna e completa la comunicazione verbale. Le parole, se private del gesto, rappre-
senterebbero un discorso privo dei colori e delle sfumature che solo lemozione pu
conferire; esse sarebbero spogliate dei significati che soltanto il corpo ed il suo movi-
mento possono comunicare.
Parlare in termini di corporeit vuol dire riconoscere il valore del corpo come
espressione del proprio essere, della propria identit che anche identit corporea; vuol
dire abbracciare una visione unitaria di corpo e mente che conferisce dignit e spessore
allaspetto corporeo delluomo inteso come unit e totalit.
Io non colgo la mia mano nellatto di scrivere, ma solamente la penna che scrive; ci significa
che io utilizzo la penna per tracciare delle lettere, ma non la mia mano per tenere la penna. In
rapporto alla mia mano io non sono nello stesso atteggiamento utilizzante in cui sono in rap-
porto alla penna: io sono la mia mano. (Sartre J. P., Lessere e il nulla, Il Saggiatore, Milano,
1968, p. 401).
Bibliografia essenziale
Balduzzi L. (a cura di), Voci del corpo. Prospettive pedagogiche e didattiche, La Nuova Italia,
Milano, 2002.
de Mennato P. (a cura di), Per una cultura educativa del corpo, Pensa MultiMedia, Lecce, 2006
Galimberti U., Il corpo, Feltrinelli, Milano, 2002
Sartre J. P., Lessere e il nulla, Il Saggiatore, Milano, 1968
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Costruttivismo
(Francesco Lo Presti)
Con questo termine si indica un orientamento, condiviso in molte discipline (fi-
losofia, psicologia, pedagogia, cibernetica, ecc.), secondo il quale la realt non pu esse-
re considerata come indipendente dal soggetto che ne fa esperienza.
Gli assunti pi importanti che scaturiscono dallapproccio costruttivista possono
essere sintetizzati attraverso i punti che seguono:
a) ogni individuo, osservando la realt, partecipa attivamente alla costruzione della
conoscenza;
b) ogni soggetto d una determinata forma all'esperienza tramite una struttura cogni-
tiva di base;
c) luomo un sistema auto-organizzantesi che protegge e mantiene la propria integri-
t (autopoiesi).
Il concetto fondamentale del costruttivismo , quindi, che la conoscenza umana,
l'esperienza, l'adattamento sono caratterizzati da un coinvolgimento sostanziale
dellindividuo, il quale costruisce la realt attraverso le proprie strutture cognitive: sia-
mo noi che letteralmente creiamo le "realt" alle quali poi rispondiamo.
Si possono individuare due tipi di costruttivismo: il costruttivismo critico e il co-
struttivismo radicale. Quest'ultimo nega qualsiasi tipo di esistenza che vada oltre a quel-
la prodotta dai pensieri. La conoscenza non riguarda pi una realt "oggettiva", ontolo-
gica, ma esclusivamente l'ordine e l'organizzazione di esperienze nel mondo del nostro
esperire.
I costruttivisti critici sono invece essenzialmente "realisti"; essi non negano l'esi-
stenza di un mondo fisico reale, sebbene riconoscano i nostri limiti nel conoscere questo
mondo direttamente o approssimativamente.
I contesti di vita (sociali e culturali) rappresentano il luogo in cui la realt co-
struita viene socialmente condivisa. La visione che gli individui hanno del mondo e del-
le logiche che gli sono proprie influenza le attivit svolte, le decisioni da prendere, le
strategie da seguire e, in ultima analisi, la costruzione della realt stessa.
Il considerare i soggetti come coloro che costruiscono le realt, interpretandola,
porta necessariamente a focalizzare l'attenzione sull'analisi dei processi soggettivi che
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sostanziano la realt organizzativa. La necessit di mettere in discussione il proprio pun-
to di vista, di rendersi conto che il proprio modo di leggere la realt non in fin dei con-
ti l'unico, diviene dunque un obiettivo formativo primario per la gestione di s al cospet-
to del mutare dellesperienza.
Dietro le spinte del costruttivismo, decade l'idea di una realt composta di strut-
ture e caratteristiche stabili ed indipendenti dell'osservatore; in tal senso, la realt non
pi quella dell'osservatore ma una realt di sistemi osservabili, nella quale l'azione
dell'osservare muta ci che viene osservato: non pi possibile una distinzione o sepa-
razione fra ci che viene osservato e l'osservatore.
Tutta la conoscenza , dunque, per la teoria costruttivista una costruzione della
mente in un contesto sociale. In tal senso, non esistono fatti o teorie che possano consi-
derarsi indipendenti delle nostre osservazioni o dal nostro modo di essere in relazione
con esse.
La teoria costruttivista si inserisce nella cornice della teoria della complessit
(vd. complessit) e con essa costituisce un fondamentale criterio interpretativo
dellepistemologia (vd Epistemologia) della ricerca scientifica contemporanea.
Qualunque cosa scegliamo come elemento di costruzione, siano essi mattoni o gli elementi di
Euclide, sempre determiniamo dei limiti. Ma noi sperimentiamo questi limiti solo, per cos dire,
dallinterno, dalla prospettiva dei mattoni o dalla prospettiva euclidea. I limiti del mondo a
causa dei quali falliscono le nostre imprese, non compaiono mai sotto i nostri occhi. Ci che
viviamo e sperimentiamo, conosciamo e sappiamo costruito necessariamente dai nostri propri
elementi di costruzione e si spiega soltanto in base al tipo della nostra costruzione. (Von Gla-
sersfeld E., Il costruttivismo radicale, Societ Stampa Sportiva (Divisione Cultura & Scienze),
Roma, 1998, p. 33).
Bibliografia essenziale
Maturana H., Varela F., Autopoiesi e cognizione, Marsilio, Venezia, 1985.
Neisser U., Conoscenza e realt, il Mulino, Bologna, 1976.
Von Glasersfeld E., Il costruttivismo radicale, Societ Stampa Sportiva, Roma, 1998
Watzlawick P. (a cura di), La realt inventata. Contributi al costruttivismo, Feltrinelli, Milano,
1987.
20
Cultura
(Francesco Lo Presti)
Il termine cultura deriva dal latino colere (coltivare), di qui lutilizzo del termine
ad intendere il processo dacquisizione della conoscenza come, appunto, un processo di
coltivazione di s, come metafora della cura e della maturazione delle facolt cogniti-
ve ed intellettuali, che concorrono alla formazione globale del soggetto.
Il senso comune attribuisce al concetto di cultura un significato elitario, tant
vero che, nel linguaggio quotidiano, ci si riferisce ad una persona erudita indicandola
come colta. Questo errore comune affonda le proprie radici allinterno di concezioni
esclusiviste della cultura, che sono maturate in seno al Razionalismo dellOccidente, nel
susseguirsi di unevoluzione storica che ha visto questultimo ergersi, a causa di precisi
eventi storici ed economici, in una posizione di supremazia rispetto a civilt e culture
cosiddette esotiche o inferiori. In tal senso, per cultura si intende anche, allo stesso mo-
do erroneamente, il processo di incivilimento delle collettivit, nella direzione di
unassimilazione dei caratteri presenti nelle culture cosiddette superiori da parte delle
culture cosiddette inferiori.
La cultura rappresenta, invece, un elemento fondamentale che accomuna tutti
gli esseri umani; essa non pu, pertanto, essere scissa in aspetti nobili o meno nobi-
li, costituendo sempre una forma di espressione storicamente fondata e socialmente
condivisa di comportamenti sociali, interiorizzati allinterno di specifiche comunit.
Questo modo di intendere la cultura il prodotto del confronto tra due tradizioni
di pensiero che, allinterno del dibattito storico sul suo significato ne evidenziano, ri-
spettivamente, due dimensioni: una universalista ed una particolarista.
La prima considera la cultura come carattere universale, che distingue la specie
umana dalle altre e che, quindi, riguarda tutte le razze e le civilt rispetto alla capacit di
produrre e di trasmettere conoscenze, credenze, comportamenti, ecc.; in tal senso, essa,
pur costituendo la radice di una democratizzazione del concetto, produce un sistema di
classificazione delle culture in base ad un criterio universale; pertanto, la diversit tra
culture viene spiegata come differenza tra stadi di un unico percorso evolutivo, il quale
coerente con il modello della societ occidentale (evoluzione unilineare).
21
La seconda intende la cultura come una specifica configurazione di modi di agi-
re e di pensare propri di una determinata collettivit, producendo, in tal modo, un senso
di unicit che, conseguentemente, ne descrive il valore relativo. In tal senso, le culture
sono apprezzabili non gi in termini di gerarchia, ma in termini di differenza: ogni civil-
t o gruppo etnico evolve, quindi, allinterno di percorsi singolari e non confrontabili sul
piano di un modello evolutivo, il cui metro costituito dal progresso compiuto
dallOccidente (evoluzione multilineare).
La cultura si configura, dunque, come sistema dinamico, complesso e variabile,
originato dai rapporti tra organizzazione sociale, ideologie, visioni del mondo e modali-
t di trasmissione e di rappresentazione della conoscenza.
Sul piano educativo, linteresse principale per questo tema riguarda la possibilit
di chiarire linfluenza che il concetto di cultura socialmente condiviso esercita su quello
di formazione; i modelli e le strutture educative, i modelli di rapporti tra le generazioni e
i modi di trasmissione della tradizione sono parte integrante della cultura; essa custodi-
sce la memoria collettiva, vale a dire lelaborazione o linvenzione sociale del passato.
La cultura esprime, dunque, un sostanziale potere formativo; essa produce e contiene
significati i quali plasmano la mente degli individui, rappresentando linsieme degli at-
trezzi attraverso cui gli essi costruiscono il mondo in cui vivono, la concezione di se
stessi e degli altri, le proprie attitudini, ambizioni, capacit.
La mente non potrebbe esistere senza la cultura []; levoluzione della mente dellominide
legata allo sviluppo di un modo idi vivere in cui la realt viene rappresentata mediante un si-
stema simbolico condiviso dai membri di una comunit culturale, che al contempo organizza e
pensa il proprio stile di vita tecnico e sociale nei termini di quel simbolismo. Questo modo sim-
bolico non solo viene condiviso dalla comunit, ma viene conservato, elaborato e tramandato
alle generazioni successive che, in virt di questa trasmissione, continuano a mantenere intatti
lidentit e lo stile di vita della propria cultura. Bruner J., La cultura delleducazione. Nuovi
orizzonti per la scuola, Feltrinelli, Milano, 2001, p. 17.
Bibliografia essenziale
Bruner J., La cultura delleducazione. Nuovi orizzonti per la scuola, Feltrinelli, Milano, 2001. Fabietti U. (a cura di), Etnografia e cultura, Carocci, Roma, 1998.
Geertz C., Interpretazione di culture, il Mulino, Bologna, 1987.
Rossi P. (a cura di), Il concetto di cultura, Einaudi, Torino, 1970.
22
Cura educativa
(Jole Lemba)
Nel senso comune, si pensa alla cura associandola o alla terapia (quando ci si
deve curare si va dal medico) o allaccudimento dei figli: la cura, quindi, oscilla tra una
prestazione specialistica in ambito medico o terapeutico e una competenza naturale,
parentale.
La cura qualcosa che appartiene radicalmente allesistenza: n ad uno stato in
particolare (la malattia), n ad una sua fase (linfanzia): la cura appartiene a tutta la vita.
Il termine cura deriva dal latino cura che significa premura, costanza, preoccupa-
zione.
La cura educativa da intendere come un comportamento di valorizzazione
dellaltro, di premura verso laltro: laver cura scaturisce dallo stare in ascolto del desi-
derio dellaltro di divenire quello che vuole essere allo scopo di consentire
lacquisizione di una propria forma come originale presenza nel mondo.
Compito dell'educazione di coltivare nel soggetto la passione per la cura di s
e di accompagnarlo nella costruzione di processi cognitivi ed emotivi necessari a trac-
ciare con autonomia e con passione il cammino dell'esistenza. Il processo educativo, al-
lora, per aiutare l'altro a diventare quello che vuole essere, dovrebbe declinarsi come
pratica di cura affinch laltro diventi capace di aver cura di s.
Aver cura vuol dire prendere in carico laltro attraverso se stessi, instaurando
una qualit di relazione che sia dinamicamente volta al cambiamento di s e dellaltro.
Situazioni che in modo particolare esigono una specificit dellaver cura sono
quelle caratterizzate dalla presenza di malattie, disabilit o di una forma di disagio. Pro-
prio in tali situazioni il promuovere la cura richiede il possesso di competenze relazio-
nali ed educative.
Nellambito socio-sanitario, ad esempio, loperatore ponendosi in una relazione
di cura esercita una funzione educativa: egli, infatti, cura nel senso che si preoccu-
pa; ovvero, prendersi cura della salute vuol dire promuovere una progettualit autoe-
mancipativa entro cui il soggetto consapevolmente compie le sue scelte esistenziali.
23
Educazione, riabilitazione, cura e terapia, finalizzate al processo di integrazione del soggetto
con bisogni educativi specialiacquistano senso e significato solo se la persona bisognosa di
aiuto messa nelle condizioni di poter provvedere, con spirito di autonomia, al suo maggiore e
possibile sviluppo. La relazione daiuto , quindi, una pratica educativa inseribile nella vita
quotidiana , ma anche una tecnica apprendibile a applicabile in particolari contesti e implica
un incontro intersoggettivo. Il rapporto educativo un incontro che pu essere fatto anche di
contrasti e dissapori, ma costruito intorno allascolto, possibilmente reciproco e partecipato, in
cui il s, senza tuttavia identificarsi o sostituirsi (Gaspari P., Cura educativa e relazione
daiuto:leducatore professionale interpretato dalla Pedagogia Speciale, in Gaspari P. (a cura
di), Aver Cura. Pedagogia speciale e territori di confine, Guerini, Milano, 2002, pp. 89-90).
Bibliografia essenziale
de Mennato P., Cunti A. (a cura di), Formare al lavoro sociale, Guerini scientifica, Milano,
2005.
Franchini R., Disabilit, cura educativa e progetto di vita. Tra pedagogia e didattica speciale,
Centro studi Erikson, Trento, 2007.
Gaspari P. (a cura di), Aver Cura. Pedagogia speciale e territori di confine, Guerini, Milano,
2002.
Palmieri C., La cura educativa. Riflessioni ed esperienze tra le pieghe dell'educare, FrancoAn-
geli, Milano, 2000.
24
Didattica
(Francesco Lo Presti)
La didattica la scienza della comunicazione e della relazione formative. L'og-
getto specifico della didattica lo studio della pratiche d'insegnamento poste in relazio-
ne con le dinamiche di conoscenza e di apprendimento. Un strategia didattica implica la
formulazione di un progetto mirato, razionale, socialmente costruito, che sottintenda
unidea pedagogica di come si debba insegnare, di quali debbano essere gli scopi
delleducazione, di quali siano i processi implicati nella relazione educativa.
Il termine didattica deriva dal verbo greco didasko, insegnare, anche nel senso di
mostrare, indicare. Laffermazione del termine didattica nel lessico pedagogico re-
lativamente recente e pu farsi risalire a Comenio, cui si deve verso la fine del sec.
XVII la prima sistemazione organica della disciplina, intesa come organizzazione
generale dei fini, dei mezzi e dei contenuti che consentono allistruzione scolastica di
costituirsi come luogo privilegiato per un insegnamento universale. Didattica un ter-
mine che designa, in senso lato, linsegnamento, o che comunque si riferisce
allinsegnare.
Similmente alla pedagogia, anche la didattica ha compiuto un lungo percorso per
essere riconosciuta come scienza autonoma, con un proprio oggetto di studio, un pro-
prio metodo, un proprio linguaggio. Un passaggio storico, in tal senso, legato al cam-
biamento delle platee scolastiche, in direzione di un ampliamento della loro eterogeneit
sociale, fenomeno che ha comportato la messa in discussione della didattica tradiziona-
le, incentrata esclusivamente sui contenuti disciplinari da trasmettere, a vantaggio di
unanalisi pi attenta del contesto della formazione, incluse le caratteristiche dei sogget-
ti dellapprendimento.
Il nucleo dinteresse prioritario di una didattica incentrata sulla relazione forma-
tiva la convinzione che i processi di insegnamento/apprendimento siano significati-
vamente influenzati dalla qualit dei rapporti interpersonali e dalle modalit comunica-
tive tra docente e discente, incluse quelle inerenti allistruzione (vd. Istruzione) relativa
a specifiche conoscenze disciplinari e culturali. La dimensione relazionale e sociale
costitutiva del processo di apprendimento dei soggetti: le dinamiche di contesto fungo-
no, pertanto, da agenti co-costruttori dello sviluppo cognitivo.
25
La centralit della dimensione relazionale costituisce un punto di arrivo di un
percorso che ha visto alternarsi differenti modelli della didattica, caratterizzati da primi
piani differenti e coerenti con un certo modo di intendere leducazione. Nella didattica
trasmissiva il primo piano sul docente, considerato come possessore di un sapere pro-
fetico, il quale deve trasmettere ai discenti i contenuti della conoscenza. Nella didattica
attiva il primo piano sul discente con i suoi interessi e le sue motivazioni.
Il termine didattica rimanda a immaginari, rappresentazioni, concezioni molto differenziate
fra loro a seconda che si consideri linsegnamento come un travaso di conoscenze da esperti di
un settore disciplinare a soggetti ritenuti ricettori passivi,o come una azione complessa che vie-
ne costruita congiuntamente da insegnante e allievi e a cui concorrono diverse variabili, quali
le caratteristiche dei componenti della relazione educativa e le dinamiche interpersonali e co-
municative, le modalit di organizzazione dei contenuti disciplinari, lorganizzazione istituzio-
nale, lapproccio metodologico, le risorse strumentali a disposizione (Nigris E., Prefazione, in
Nigris E., a cura di, Didattica generale, Guerini, Milano, 2003, p. 11)
Bibliografia essenziale
Frabboni F., Didattica Generale. Una nuova scienza delleducazione, Mondadori, Milano, 1999 Nigris E. (a cura di), Didattica generale, Guerini, Milano, 2003
Trisciuzzi L., Didattica in classe, ETS, Pisa, 1999
Vertecchi B., La didattica: parole e idee, Paravia, Torino, 1999
26
Disagio (pedagogia del)
(Jole Lemba)
La parola disagio indica una situazione di difficolt in cui pu trovarsi un sog-
getto nel rapporto con se stesso e con lambiente esterno; infatti letimologia risale al
latino "dis-adiacens" che indica "colui che non adiacente, che non giace presso, che
non sta vicino a. In generale si pu trattare di un allontanamento momentaneo da con-
dizioni di salute e armonia psicofisica.
Una condizione di agio difficile va in controtendenza rispetto alla propensione
dellessere umano a coadattarsi allambiente. Lo stare bene dellindividuo legato
alladattamento allambiente e ladattamento stesso si modifica nel corso della vita gra-
zie allesperienza. I processi di cambiamento riguardano lintera esistenza di un indivi-
duo; in particolare, i momenti di disagio e di malattia sono cruciali per promuovere o
accompagnare processi di cambiamento della persona.
Le cause che possono essere allorigine di situazioni di disagio sono numerose, a volte
concatenate, comunque complesse e non sempre facilmente identificabili. Il termine
disagio si presenta generalmente con varie aggettivazioni: disagio sociale, minorile,
economico, psicologico, adolescenziale, mentale, ecc. Partendo dalla considerazione
che le professionalit inerenti alla pedagogia del corpo e del movimento lavorano so-
prattutto con fasce dellet evolutiva, ci si riferisce allet adolescenziale come a quella
in cui si pu pi diffusamente evidenziare la presenza di un disagio (vd. adolescenza).
Per quanto concerne una pedagogia del disagio, pensiamo ad unazione strategi-
ca rivolta a soggetti che, per costruire un senso di s come appartenenza al mondo, ne-
cessitano di essere aiutati da professionisti capaci di comprendere i loro autentici biso-
gni, in grado di riaccendere speranze, ideali e future prospettive, attraverso la previsione
di percorsi significativi. La pedagogia speciale, occupandosi delle metodologie della cu-
ra e dellaiuto, ha esteso i suoi interessi di studio e di ricerca dallo specifico
dellhandicap alla tematica del disagio nelle sue diverse accezioni e nelle sue diverse e
molteplici fisionomie.
Se il disagio, infatti, pu essere inteso come una condizione di difficolt, condi-
visa da giovani e adulti, legata ai condizionamenti della societ complessa e/o
27
allinterazione tra i fattori di rischio individuali e locali, la conseguenza di tale condi-
zione potrebbe anche essere lemarginazione. Un processo di emarginazione pu essere
causato da un disadattamento dellindividuo che presenta una difficolt ad inserirsi, a
riconoscersi o ad accettare completamente le norme e i modelli esistenziali del gruppo
sociale di riferimento. Collegata allemarginazione la devianza: questa si presenta ogni
qualvolta un individuo, infrangendo leggi e regole, provoca una reazione negativa e
stigmatizzante.
"Gli interventi di aiuto [...] non possono assumere semplicisticamente il valore di solu-
zione ai problemi, in quanto concorrerebbero alla cronicizzazione dello stato di dipendenza, se
non contestualizzati in un processo che ha come obiettivo l'autonomia e l'attivazione di un cam-
biamento duraturo. L'utente deve maturare, da un atteggiamento centrato sulla richiesta speci-
fica, la consapevolezza della sua condizione di disagio: solo attraverso la disponibilit ad af-
frontare il problema, il cliente potr sperimentare una modalit nuova di essere nella sua realt
e produrre un cambiamento pi stabile nel tempo" (de Mennato P., Una epistemologia del lavo-
ro di cura, in de Mennato P. e Cunti A. (a cura di), Formare al lavoro sociale, Guerini, Milano,
2005, p. 43.
Bibliografia essenziale
de Mennato P. e Cunti A. (a cura di), Formare al lavoro sociale, Guerini, Milano, 2005.
Fadda R., Dispersione scolastica e disagio sociale, Carocci, Roma, 2011.
Gaspari P., a cura di, Aver Cura. Pedagogia speciale e territori di confine, Guerini Scientifica,
Milano, 2002.
Regoliosi L., La Prevenzione del disagio giovanile, Carocci, Roma, 2010.
28
Educazione
(Sergio Bellantonio)
Letimologia della parola educazione ha una duplice derivazione di origine la-
tina; un primo significato del termine viene fatto risalire ad edere (alimentare, nutrire)
ed un secondo alla parola ex-ducere (tirare fuori). Il termine, ancora oggi, conserva in s
entrambe le dimensioni etimologiche, riferendosi, contemporaneamente, a quel senso di
custodia, allevamento e nutrizione delledere ed alla crescita ed allo sviluppo del
soggetto attraverso la facilitazione del ragionamento da parte delleducatore per quanto
riguarda lex-ducere. Questultima prospettiva, presente in particolar modo nellet
classica, nellarte socratica della maieutica (arte della levatrice), intendeva, appunto, far
sviluppare allallievo ragionamenti aventi un buon grado di approfondimento, contro
ogni forma di riproposizione acritica dei pensieri altrui. Nel corso della storia, in rela-
zione alle diverse culture e ai differenti sistemi sociali, il vocabolo ha assunto svariati
significati, essendo evidente che i modi di educare siano da mettere in relazione con la
qualit del pensiero e dei comportamenti che si intende incentivare.
La letteratura pedagogica attuale intende leducazione come quellinsieme di
processi intenzionali e non (pratiche, interventi, azioni, ma anche comportamenti non
verbali) volti a condizionare lo sviluppo complessivo della personalit del soggetto, il
modo di pensare e di agire.
Leducazione si colloca come chiave di volta tra conservazione e rinnovamen-
to; infatti, attraverso latto delleducare si mira sia a conservare la storia e la cultura, se
vero che leducazione affonda le proprie basi nella tradizione sia, al contempo, a fon-
dare le premesse per il cambiamento, per lapertura al nuovo, alla ricerca, per la produ-
zione e costruzione di nuovi saperi e di nuove teorie. Educare, allora, significa guidare
il soggetto a sviluppare facolt intellettuali e qualit morali favorendone lo sviluppo e
lemancipazione. Essa si sostanzia di una dimensione individuale, che si esprime
nellapprendimento (vd. Apprendimento); di una dimensione collettiva e sociale che si
esprime nella trasmissione di cultura (vd. Cultura) e, infine, di una dimensione istituzio-
nale che rimanda ai luoghi in cui hanno luogo linsegnamento e la didattica (vd. Didatti-
ca). Leducazione ha una specificit in senso valoriale e va distinta dallistruzione,
(vd.Istruzione) da intendersi, invece, come quellinsieme di metodi e tecniche per mez-
29
zo delle quali un individuo acquisisce conoscenze e capacit, processo che pu avvenire
mediante un insegnamento teorico o tecnico-operativo, guidato o meno. Leducazione
differisce, inoltre, dal termine formazione, in quanto questa sta ad indicare un processo
in cui lindividuo sviluppa nel corso della sua vita una propria forma e, pertanto, que-
sto termine rispetto a quello di educazione esprime una maggiore centralit del soggetto,
quale protagonista del proprio processo di apprendimento e di crescita culturale (Cfr.
Formazione).
In conclusione, nellattualit il termine educazione sar adeguatamente utilizza-
to in riferimento a quel processo di strutturazione olistica della personalit di un indivi-
duo, attraverso unazione intenzionale e non, processo basato sullapprendimento, sulla
socializzazione e sullinculturazione. Leducazione mira proprio a liberare e ad emanci-
pare leducando, avendo una dimensione fortemente orientativa e non esclusivamente
trasmissiva, e a sollecitare lo sviluppo di un approccio critico, al fine di creare soggetti
in grado di scegliere da s e per s e di sapersi determinare in senso autoemancipativo.
Quale modello educativo/formativo pi idoneo, al tempo storico-socio-culturale che stiamo
vivendo? Quello del soggetto-persona come singolo e come coscienza responsabile: come io
che si fa s attraverso la cura di se e coltivando la propria psichicit, ovvero interiorit, co-
scienza, individualit. E ponendola al centro del suo compito di vita. Anche di quella sociale: in
cui deve esercitare, appunto, responsabilit ma anche deve potenziare libert, dissenso, scelta
autonoma.(Cambi F., Il Modello educativo/formativo del e per il nostro tempo, in Cambi F.,
Giosi M., Mariani A., Sarsini D., Pedagogia Generale, Carocci, Roma, 2009, p.71).
Bibliografia essenziale
Cambi F., Colicchi E., Muzi M., Spadafora G., Pedagogia generale. Identit, modelli, problemi,
La Nuova Italia, Firenze, 2001.
Cambi F., Giosi M., Mariani A., Sarsini D., Pedagogia Generale, Carocci, Roma, 2009.
Frabboni F., Pinto Minerva F., Manuale di pedagogia generale, Laterza, Roma-Bari, 1994.
Vertecchi B., Le parole della nuova scuola, Fabbri Editori, Milano, 1983.
30
Educazione permanente
(Antonia Cunti)
Lespressione educazione permanente risale agli anni Settanta, quando non so-
lo la letteratura pedagogica ma anche il mondo delle istituzioni e della formazione ab-
bracciarono la concezione secondo la quale il processo educativo dura tutta la vita di
ciascun individuo, indipendentemente dalle latitudini e dallappartenenza sociale e, di
conseguenza, coloro che operano professionalmente nellambito delleducazione, ma
anche la politica e le istituzioni e gli organismi preposti allo sviluppo sociale e culturale
devono preoccuparsi di accompagnare questa propensione ad apprendere di tutti gli in-
dividui, in direzione di una crescita della conoscenza e del saper fare collettivo e della
conseguente capacit di esercizio del diritto di cittadinanza, secondo le regole della de-
mocrazia.
Negli anni Cinquanta e Sessanta gi si pose il problema delleducazione degli
adulti e con un notevole carattere di emergenza, essendo molto alto il tasso di analfabe-
tismo, in particolare nel Mezzogiorno, e si riteneva che ai fini della ricostruzione del no-
stro Paese fosse essenziale intervenire a livello della formazione di base; lazione go-
vernativa e dellassociazionismo che in quegli anni si svilupp fu concentrata soprattut-
to, ma non solo, sullistruzione degli adulti. A partire dal decennio successivo, si inizi
a sottolineare limportanza di una crescita culturale, non necessariamente finalizzata al
lavoro, ma pi in generale a garantire il miglioramento sociale dei nostri territori, peral-
tro in grado di incidere fortemente sullavanzamento economico e della cultura politica.
Negli anni Novanta, fino ad arrivare ai giorni nostri, limpegno delle istituzioni
sui temi delleducazione e della formazione degli adulti ha visto un incremento notevo-
le, soprattutto per i vincoli posti da leggi europee che alla luce dei processi di globaliz-
zazione chiedono anche allItalia di assumere specifiche misure inerenti a tali temi, con
lo scopo di contenere dislivelli tra i cittadini europei e facilitare la circolazione delle
competenze e delle risorse umane e professionali; al riguardo, c anche da osservare
che la sensibilit dei governi europei non sempre allaltezza del compito e che soprat-
tutto nel nostro Paese gli investimenti in materia di istruzione, di ricerca e di formazione
sono inadeguati al confronto con la maggioranza dei Paesi europei e che la condizione
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della crisi economica in cui ci troviamo da alcuni anni ha comportato una loro ulteriore
riduzione.
La letteratura pedagogica contemporanea ha evidenziato gli specifici bisogni di
formazione in et adulta, la peculiarit dei processi di apprendimento in questa fase del-
la vita e le strategie auspicabili a livello socio-politico, organizzativo e didattico; in par-
ticolare, si sottolinea lemergere di bisogni di formazione culturale e professionale che
attengono alle cosiddette competenze trasversali (vedi voce competenza), la neces-
sit di azioni formative di ri-orientamento, esistenziale, formativo e lavorativo,
limportanza di offerte formative che rispondano ai bisogni di aggregazione culturale e
di integrazione sociale, il cui soddisfacimento assolutamente essenziale per il benesse-
re delle collettivit e lo sviluppo di un agire democratico e rispettoso delle diversit.
Durante gli ultimi dieci anni, lapprendimento in et adulta ha subito sostanziali modificazioni
e si sviluppato enormemente qualitativamente e quantitativamente. Nelle societ culturali evo-
lute, presenti in tutto il mondo, leducazione degli adulti e la formazione continua sono divenute
una necessit sia per la comunit sia per il mondo del lavoro: entrambe le realt, infatti, espri-
mono sollecitazioni e richieste che spingono ogni individuo a rinnovare continuamente cono-
scenze ed abilit, durante tutto larco della propria vita []. Educazione di base per tutti signi-
fica che chiunque, di qualsiasi et, pu avere lopportunit di realizzare le proprie potenzialit
sia individualmente, sia che sia inserito in una situazione collettiva: non si tratta solo di un di-
ritto, ma di un dovere e di una responsabilit della societ nel suo insieme. (V Conferenza
sulleducazione degli Adulti, Amburgo, 14-18 luglio 1997).
Bibliografia essenziale
Cunti A., La formazione in et adulta. Linee evolutive e prospettive di sviluppo, Liguori, Napo-
li, 2003;
Demetrio D., Alberici A., Istituzioni di educazione degli adulti, Guerini, Milano, 2002;
Orefice P. e Cunti A. (a cura di), Multieda. Dimensioni delleducare in et adulta:prospettive di ricerca e dintervento, Liguori, Napoli, 2005. V Conferenza sulleducazione degli Adulti, Amburgo, 14-18 luglio 1997
32
Emozioni (educare alle)
(Monica Cante)
Lemozione rappresenta un processo complesso e multifattoriale e, pertanto, ri-
sulta difficile fornire ununica ed esaustiva definizione. Molti studiosi, dal campo psico-
logico a quello neurofisiologico, hanno, infatti, elaborato numerose interpretazioni, co-
sicch a tuttoggi lemozione viene considerata un costrutto psicologico frutto di pi
componenti che interagiscono tra di loro: cognitiva, motivazionale, fisiologica, espres-
sivo-motoria e soggettiva .
Il termine emozione deriva dal latino emotionem, da emotus participio pas-
sato di emovere , che vuol dire trasportar fuori, smuovere, significati che rinviano al
senso del movimento, come esternalizzazione dellemozione.
Lemozione unesperienza complessa che lindividuo impara a conoscere, ge-
stire ed elaborare nel corso della sua esistenza. Essa imprime, infatti, la coloritura alle
nostre esperienze, fornendo significati alle situazioni, sia interne sia esterne, che vivia-
mo quotidianamente, ed influenzando i nostri processi cognitivi.
Alla nascita, ad esempio, lemozione non ha ancora un valore comunicativo; allo
sviluppo cognitivo del bambino, infatti, si accompagna uno sviluppo della competenza
emotiva che permette progressivamente al bambino di comprendere e gestire le emozio-
ni di cui fa esperienza. Il cucciolo delluomo impara a riconoscere le proprie ed altrui
emozioni; utilizza gli indici situazionali per predire lemozione che potrebbe essere pro-
vata; apprende che il suo comportamento pu modificare lo stato emotivo dellaltro e, di
conseguenza, impara ad usare le proprie azioni allo scopo, per esempio, di ferire e con-
fortare. Il bambino impara, inoltre, che una stessa situazione pu suscitare emozioni
contrastanti e che una persona pu esperire due emozioni opposte allo stesso tempo.
Goleman utilizza il termine intelligenza emotiva riferendosi alla capacit di riconoscere
i propri ed altrui sentimenti e di gestire le proprie emozioni sia interiormente sia nelle
relazioni sociali. Emerge, dunque, che la competenza emotiva si presenti come una con-
quista lenta e complessa, come quella linguistica o inerente ad altri processi cognitivi. Il
ruolo dellambiente nel supportare o meno lo sviluppo di una competenza emotiva risul-
ta fondamentale; alcuni studi, infatti, hanno mostrato che i bambini che hanno genitori
33
che tendono a parlare molto delle loro emozioni e delle relative cause sono particolar-
mente bravi a diagnosticare le proprie ed altrui emozioni.
Le emozioni accompagnano, quindi, la vita di ciascun individuo, ma la loro
comprensione un processo che dipende, in forte misura, dalle esperienze che il sogget-
to ha avuto lungo larco della propria vita. Riuscire a verbalizzare le proprie emozioni
dando un nome a quelle modificazioni fisiologiche che avvengono nel corpo, come e-
spressione di unemozione, fondamentale per gestire i propri stati emotivi ed interve-
nire su quelli negativi e apportatori di disagio. Allo stesso modo, imparare ad identifica-
re le emozioni altrui permette di affinare le proprie abilit sociali, migliorando la qualit
della sfera relazionale.
In campo educativo, in sintesi, importante dare spazio alle emozioni non solo
come aspetto di cui si sostanzia la qualit della vita della persona, ma anche come di-
mensione che alimenta il processo di apprendimento, fornendo senso e valore alla cono-
scenza e allesperienza.
In questa prospettiva il pedagogista deve sforzarsi di cogliere i rapporti tra la formazione per-
sonale e intersoggettiva e le dimensioni dellaffettivit come problemi specificamente pedago-
gici e di conseguenza pu tentare di teorizzare una didattica della relazionalit che oltrepassi,
togliendo e conservando, le proposte della didattica cognitivista, e inserendola in una pi
ampia prospettiva pedagogica che tenga conto del ruolo fondante dellaffettivit. (Spadafora
G., Riflessioni su un rapporto fondamentale: pedagogia ed affettivit, in Cambi F. (a cura di),
Nel conflitto delle emozioni. Prospettive pedagogiche, Armando, Roma, 2000, p. 90).
Bibliografia essenziale
Cambi F. (a cura di), Nel conflitto delle emozioni. Prospettive pedagogiche, Armando, Roma,
2000
DAndrea F. (a cura di), Il corpo a pi dimensioni. Identit, consumo, comunicazione, Franco-Angeli, Milano, 2005
Goleman D., La natura dellintelligenza emotiva, Biblioteca Universitaria Rizzoli, Milano, 2009 Harris P. L., Il bambino e le emozioni, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1991.
34
Epistemologia
(Antonia Cunti)
Il termine epistemologia lunione delle parole greche episteme e logos (discor-
so sulla conoscenza) ed indica quel discorso scientifico che si interessa delle condizioni
e dei metodi della conoscenza scientifica, ossia volta ad acquisire un sapere attendibile e
perci affidabile sui fenomeni della realt.
I contenuti di questa disciplina costituiscono un sapere generale a cui le diverse
scienze si riferiscono, ed anche un sapere declinabile rispetto a ciascuna di esse; esi-
ste,pertanto, una epistemologia generale e tante epistemologie quante sono le scienze,
inclusa una epistemologia pedagogica che si interessa delle condizioni e dei metodi ine-
renti alla costruzione di una conoscenza generale sulleducazione. La riflessione epi-
stemologica consente di chiarire la specificit di una disciplina, la sua ragion dessere, il
suo posto rispetto al panorama della conoscenza scientifica ed alle discipline similari.
Nel corso della storia, lidea di scienza e di scientificit di un sapere si ovvia-
mente modificata, unitamente ai processi evolutivi che hanno interessato le diverse so-
ciet, sul piano della cultura, della politica, delleconomia, ecc. Uno dei riferimenti es-
senziali costituito dallopposizione, ma anche dal confronto dialettico, tra due grandi
orientamenti che si sono sviluppati in varie forme nel corso dei secoli, vale a dire il ra-
zionalismo e lempirismo. A partire dalla centralit del rapporto io-mondo, il razionali-
smo pone in primo piano il ruolo della ragione nella determinazione della conoscenza
attraverso limpiego di principi e criteri che corrispondono alla natura della conoscenza
che si ritiene debba essere conseguita; lempirismo valorizza il ruolo della conoscenza
sensibile, della realt fenomenica, percepita attraverso i sensi, e trattata prevalentemente
attraverso modalit di misurazione e di classificazione.
Il Novecento ha espresso un cambiamento epocale nel modo di concepire la co-
noscenza scientifica, andando a scardinare quelli che venivano ritenuti dei punti di non
ritorno sul versante epistemologico. In particolare, e tra laltro, stata messa in discus-
sione la separazione netta tra le scienze umane e quelle cosiddette esatte, allorquando
con riferimento a discipline come la fisica stato evidenziato che fattori come ad es. la
riproducibilit, la neutralit dellosservatore e lunivocit del metodo scientifico potes-
sero non incontrare conferma anche in contesti protetti, di laboratorio, essendo questi
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non assolutamente controllabili e prevedibili. In generale, venuta meno lidea che la
conoscenza scientifica sia certa e oggettiva, dal momento che in ogni epoca storica essa
rispecchia dei punti di vista sul mondo condivisi allinterno di determinate comunit
scientifiche. La realt appare sempre meno come un tutto scomponibile in parti isolabili
e sempre di pi come un insieme complesso, interrelato, che sfugge ad una logica di
causalit diretta tra le parti, essendo prevalente pi che altro un sistema di influenze tale
da rendere le parti assolutamente interdipendenti.
Oggigiorno, la produzione di nuova conoscenza legata a diverse variabili, tra
queste la presenza di luoghi di eccellenza della ricerca, la disponibilit di risorse eco-
nomiche, lo sviluppo tecnologico ed organizzativo, linteresse del mondo politico ed
economico, la qualit della pressione che lopinione pubblica riesce ad esercitare in ma-
niera informata e consapevole.
La seconda met del nostro secolo caratterizzata dalla crisi dei presupposti epistemologici
delle filosofie classiche della storia e dal fallimento di quelle idee di progetto, e di quei progetti,
che hanno preso corpo allinterno di quelle filosofie. E venuta meno lidea che la conoscenza
delle leggi che regolano luniverso fisico, biologico, sociale possa garantire il controllo del-
la storia e del futuro []. Abbiamo bisogno di un nuovo modo di pensare il futuro. Un nuovo
modo di pensare il futuro che riconosca il reale e il possibile non come dati immutabili, ma co-
me costruzioni mai definitive e dipendenti anche dalle nostre scelte, che tratti lincertezza non
come il peggior nemico ma come il miglior alleato,che consideri la proliferazione di idee, di
approcci e di azioni (la proliferazione di una serie di eventi non direttamente adattativi) non
uninutile dispersione di energie ma lunica strada percorribile per costruire nuove possibilit.
La costruzione del futuro una sfida ineludibile. Ed indissociabile dalla sfida della complessi-
t. (Bocchi Ceruti G. e M., Presentazione, in Bocchi G., Ceruti M. (a cura di), La sfida della
complessit, Feltrinelli, Milano, 1985, p. 20).
Bibliografia essenziale
Becchi E.,Vertecchi B. (a cura di), Manuale critico della sperimentazione e della ricerca educa-
tiva, FrancoAngeli, Milano, 1992
Bocchi G., Ceruti M. (a cura di), La sfida della complessit, Feltrinelli, Milano, 1985
Cambi F., Filosofia delleducazione, Laterza,Roma-Bari,2000
De Landsheere G.L., Introduzione alla ricerca in educazione, La Nuova Italia,Firenze, 1973
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Formazione
(Sergio Bellantonio)
Il termine formazione deriva dalle parole latine forma (forma, figura) e ac-
tus (fare, operare) che, in simbiosi, indicano, appunto, lattivit del prendere una for-
ma. Mentre nei suoi significati pi antichi avere forma significava arrivare ad un equi-
librio e ad unarmonia, oggi la prospettiva completamente cambiata. Nellattualit non
possiamo parlare di una sola forma, univoca e stabile, di un unico modello di riferimen-
to, ma di una moltitudine di possibilit di acquisizione di forme, che sono poi le forme
dellidentit, uniche e irripetibili per ciascuno di noi. La formazione viene vista come un
processo in continua definizione, costantemente in progress, questo a maggior ragione
in una societ incerta, complessa, globale e liquida, cos come la societ in cui vivia-
mo viene definita dal sociologo e filosofo contemporaneo Zygmunt Bauman ( in Mo-
dernit liquida Roma-Bari, Laterza).
Il processo di formazione dinamico e problematico nonch mai compiuto; un
processo lifelong, ossia che dura per tutta la vita. Nella letteratura pedagogica contem-
poranea, il termine formazione ha sostituito sempre pi quello tradizionalmente utilizza-
to di educazione. Questultimo conserva, a tuttoggi, una specificit in senso valoriale,
mentre alla formazione viene attribuito un significato pi contestuale. In una realt so-
ciale e culturale tanto complessa come la nostra, infatti, la formazione interviene ad of-
frire al soggetto strumenti di interpretazione e di intervento in relazione ai diversi ruoli
che il soggetto ricopre (professionale, sociale, scolastico, familiare, ecc). Si passati,
quindi, da unidea di educazione come azione intenzionale, diretta da un soggetto su di
un altro, ad unidea di formazione come processo, incentrato sul soggetto, come evento
dinamico attraverso cui questi si sviluppa, allinterno di un preciso contesto.
La formazione rappresenta un processo di sintesi che rinvia ad altri processi di
sviluppo degli individui, ossia lacculturazione, come acquisizione di elementi della cul-
tura della comunit a cui apparteniamo, la socializzazione, che si sostanzia
dellassimilazione di norme e di regole di comportamento e lapprendimento, quale pro-
cesso di costante ristrutturazione di conoscenze, modi di agire, funzioni cognitive. Il
processo formativo pone il soggetto in posizione di centralit, poich messo in luce
liter dinamico attraverso cui egli prende forma, il suo, appunto, formar-si.
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Attualmente, la riflessione pedagogica si pone, quindi, il problema di predisporre
un modello organico di formazione, in grado di rispondere alle molteplici sollecitazioni
ed esigenze di una societ complessa e poliedrica, anche con lausilio dei contributi of-
ferti da altri saperi (psicologia, sociologia, antropologia, ecc). La sfida pi difficile
quella di riuscire a realizzare una formazione alla complessit, intesa sia come co-
adattamento ad essa, che richiede la capacit di dialogare con la variet e la variabilit
delle relazioni che si stabiliscono in ogni sistema sociale, sia come capacit di produrre
innovazioni e di gestire il cambiamento in maniera critica, creativa ed autoemancipati-
va.
Tra le varie categorie pedagogiche la formazione rappresenta oggi il proprium della
pedagogia. La formazione consiste in un insieme strutturato di componenti che svolgono la loro
azione rispetto a molteplici livelli di riferimento. La formazione richiede di essere considerata
come un dispositivo complesso, che si qualifica come dimensione fondamentale della realt, a
partire da quella esistenziale che fortemente condizionata dallaccadere formativo( Mariani
A., La centralit della formazione oggi, in Cambi F., Giosi M., Mariani A., Sarsini D., Pedago-
gia Generale. Identit, percorsi, funzione, Carocci, Roma, 2009, p. 125).
Bibliografia essenziale
Cambi F., Colicchi E., Muzi M., Spadafora G., Pedagogia generale. Identit, modelli, problemi,
La Nuova Italia, Firenze 2001.
Cambi F., Giosi M., Mariani A., Sarsini D., Pedagogia Generale. Identit, percorsi, funzione,
Carocci, Roma, 2009
Cambi F., Storia della pedagogia, Laterza, Bari, 1995.
Massa R., Il dispositivo formazione, in Cambi F., Orefice P. (a cura di), Fondamenti teorici del
processo formativo. Contributi per uninterpretazione, Liguori, Napoli, 1996.
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Gruppo (sportivo)
(Sergio Bellantonio)
Letimologia del termine gruppo risale allitaliano antico groppo che stava ad
indicare una quantit di persone o di cose unite insieme, in modo da poter essere consi-
derate come un tutto. Linteresse delle scienze sociali per il gruppo ebbe inizio con gli
studi di Emile Durkheim che abbandon la tradizionale concezione della societ come
realt oggettiva ed individuale, riscontrando, proprio nei gruppi, la diversificazione e la
complessit della societ stessa.
Nellambito della psicologia sociale, il termine gruppo viene definito come un
insieme ristretto di individui che si relazionano sulla base di interessi, valori e caratteri-
stiche comuni, di cui gli individui ne abbiano consapevolezza. Lautopercezione, da par-
te del gruppo, non comunque sufficiente; si richiede, infatti che esso sia percepito co-
me tale anche all'esterno. Lappartenenza ad un gruppo contribuisce a definire lidentit
dell'individuo (vd. S/Identit) e ne permette l'integrazione sociale e culturale (vd. In-
clusione sociale).
Esistono varie aggettivazioni del termine gruppo ad indicare varie tipologie dello
stesso: formale, informale, primario, secondario, ecc. Nel gruppo sportivo sono riscon-
trabili caratteristiche simili ai gruppi sociali di tipo formale. Le qualit che contraddi-
stinguono in maniera peculiare il gruppo sportivo, differenziandolo dagli altri gruppi,
riguardano la presenza dei corpi in gioco, l interazione incentrata sulle corporeit in
movimento (vd. Corpo/Corporeit) e la ricerca di una performance collettiva, elemen-
ti, questi, che conferiscono al gruppo sportivo una sua specifica complessit.
Gestire sapientemente il proprio corpo significa acquisire una grande capacit di
integrazione delle spinte emotive con le risorse prestazionali e cognitive individuali,
comprendendo i messaggi che gli altri attraverso la dimensione della propria fisicit rin-
viano. Si tratta di un processo che offre al soggetto la possibilit di imparare su di s,
sullaltro e sulla relazione, offrendo, daltro canto, ampio spazio alla riflessione e
allazione educativa.
La performance sportiva la risultante di alcune variabili (componenti emotive,
cognitive e sociali) che sono attinenti alla percezione del s e del proprio corpo in mo-
vimento, della qualit del contesto, degli scambi e delle integrazioni sociali possibili.
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Gli sviluppi che i soggetti conseguono nel gruppo educativo, volto alla realizzazione di
un preciso compito, definiscono, di conseguenza, il gruppo sportivo come un gruppo di
apprendimento lavoro, in cui e proprio la natura dellattivit stessa a guidare i pro-
cessi di apprendimento. Il gruppo sportivo, avendo caratteristiche similari ai gruppi so-
ciali di tipo formale, diviene quel luogo allinterno del quale si impara a saper essere e a
saper fare insieme con gli altri, privilegiando cos apprendimenti di tipo sociale. Il com-
portamento del singolo , pertanto, strettamente collegato alla conoscenza del proprio
sapere in azione e di quello degli altri che si esprime attraverso le fisicit in movimento.
Le idee e le percezioni elaborate allinterno del gruppo sportivo riguardano, in
particolare, il proprio saper fare sperimentato in situazione. Il soggetto, allinterno del
gruppo sportivo, non apprende solo su di s, ma anche sugli altri, sulla propria immagi-
ne sociale e soprattutto sulla sua capacit di intervenire nellambiente, modificandolo
attraverso lagire del corpo nella sua unicit e totalit.
La stabilit e levoluzione di qualsiasi gruppo sociale hanno a che fare con le norme e le rego-
le che lo contrassegnano e, soprattutto, con il genere di rapporto che viene istituzionalizzato o
informalmente condiviso con esse. Un gruppo sportivo a carattere educativo evidentemente non
pu che attribuire unimportanza primaria alla gestione dellintenzionalit, poich la presenza
di vincoli/responsabilit e, contestualmente, la possibilit di ridefinire il rapporto tra le ragioni
dei singoli e quelle del gruppo pu costituire uno spazio particolarmente incisivo di maturazio-
ne di comportamenti socialmente positivi. (Cunti A., Adolescenza, socialit e gruppi sportivi,
in de Mennato P. (a cura di), Per una cultura educativa del corpo, Pensa MultiMedia, Lecce,
2006, p. 136).
Bibliografia essenziale
Cunti A. (a cura di), La rivincita dei corpi. Movimento e sport nellagire educativo, FrancoAn-geli, Milano, 2011 Cunti A., de Mennato P., Fare Squadra. Educare al gruppo sportivo, Pensa MultiMedia, Lecce,
2001
de Mennato P. (a cura di), Per una cultura educativa del corpo, Pensa MultiMedia, Lecce, 2006
Dallari M., I saperi e lidentit. Costruzione delle conoscenze e conoscenza di s, Guerini, Mi-lano, 2000
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Immagine corporea
(Monica Cante)
Il termine immagine corporea fa riferimento alla rappresentazione soggettiva che
ciascun individuo possiede del proprio corpo.
La parola immagine deriva dal latino imagine che possiede la stessa radice del gre-
co mimos che vuol dire imitare, rinviando alla possibilit di riprodurre un oggetto la
cui rappresentazione, per, in quanto imitazione personale, risulta essere filtrata dalla
percezione che si ha dello stesso.
La rappresentazione mentale del corpo stata inizialmente definita, in ambito
neurofisiologico, con il termine schema corporeo, introdotto da Bonnier nel 1905 ad in-
dicare la rappresentazione topografica e spaziale del corpo che permette lorientamento
rispetto allambiente esterno.
Schilder, nel 1935, introduce il concetto di immagine corporea definendolo co-
me il quadro mentale che ci facciamo del nostro corpo, vale a dire il modo in cui il no-
stro corpo appare a noi stessi. Mentre il concetto di schema corporeo risulta essere ab-
bastanza sganciato da una dimensione emotiva e di personalit, rinviando ad una de-
scrizione circoscritta al piano fisiologico, limmagine corporea fa riferimento a molte-
plici dimensioni: cognitive, affettive e comportamentali. Il concetto introdotto da Schil-
der esprime, dunque, il profondo legame tra psiche e soma, investendo il corpo, e quindi
anche la sua immagine, di significati che sconfinano dallarea della percezione per in-
cludere la sfera emotiva e quella relativa alla propria identit.
Limmagine corporea, inoltre, non innata ma viene costruita e ricostruita lungo
lintero arco dellesistenza di un individuo. Un ruolo importante, nellinfluenzare e dire-
zionare lelaborazione dellimmagine corporea, , certamente, rivestito delle prime inte-
razioni che il bambino esperisce con le figure genitoriali, ma esperienze successive pos-
sono intervenire e modificare limmagine che il soggetto ha del proprio corpo.
Alcune epoche della vita, infatti, sono particolarmente segnate dal cambiamento
del corpo e, di conseguenza, dallelaborazione di una nuova immagine corporea.
Ladolescenza, per esempio, il periodo della vita nel quale si attivano numerosi pro-
cessi psicologici in risposta allavvento dei cambiamenti innescati dalla pubert. Il ra-
gazzo va incontro ad evidenti e veloci cambiamenti del corpo determinati dalla compar-
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sa dei caratteri sessuali ed chiamato, pertanto, ad affrontare un importante compito
evolutivo: abbandonare limmagine del corpo infantile ed elaborare una nuova rappre-
sentazione del proprio corpo. In questo periodo della vita un ruolo significativo rive-
stito dal gruppo di amici e, pi in generale, dalla cultura nella quale si cresce che influ-
enza limmagine corporea e la soddisfazione-insoddisfazione che da essa deriva.
Unimmagine corporea negativamente connotata pu causare diverse forme di
disagio che, a volte, possono provocare o accompagnare linsorgere di vere e proprie
psicopatologie.
Se lo schema corporeo