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I PREPARATIVI PER L'OTTAVA CROCIATA
ERA PAPA CLEMENTE IV
Prima dell'anno 1250 si erano succedute ben sette crociate dirette in Terra
Santa e dintorni però alcune ottennero apprezzabili successi le altre invece si
conclusero tragicamente e questa fu la ragione per la quale in Europa
l'entusiasmo per le Crociate si era di molto affievolito tanto che in Francia i
predicatori raccontavano ai quattro venti delle disfatte subite dai crociati che
si erano sino ad allora fin lì avventurati. In realtà a quel tempo in Francia
interessavano di più le contese e le guerre per la successione del Regno di
Napoli e di Sicilia. A quelle era rivolta anche tutta l’attenzione della Santa
Sede. La storia ci racconta che, dopo la morte del Re Manfredi di Sicilia
ucciso nella battaglia di Benevento, il 26 febbraio 1266, i ghibellini italiani
in contrapposizione con i papali guelfi supplicarono il Duca “Corradino di
Svevia”, Re di Gerusalemme, perché venisse in Italia in loro aiuto contro il
suo rivale Carlo D’Angiò.
1268: I PREPARATIVI DI LUIGI IX
Questa era la situazione in cui si trovava l’Europa quando in Francia
regnava il monarca Luigi IX il quale era il solo che, malgrado fosse già stato
protagonista della settima crociata conclusasi in modo deludente, ancora si
preoccupava seriamente del bene dei cristiani in Oriente. Lo assillava il
ricordo di una terra nella quale era già stato ed aveva la speranza di poter
vendicare l’onore delle armate francesi precedentemente sconfitte in Egitto.
Fu per questi motivi che Luigi IX consultò il Papa Clemente IV, il quale
però si mostrò preoccupato per i pericoli che la sua assenza avrebbe potuto
procurare sia alla Francia che all’Europa. Tuttavia, consultato di nuovo, il
Pontefice non ebbe più scrupoli ed incoraggiò Luigi IX a compiere la sua
impresa. Forte del consenso papale, Luigi IX convocò a Parigi un’assemblea
di baroni, signori e prelati del regno così il 23 marzo del 1268, si radunò il
gran parlamento del regno. Luigi IX nel suo discorso dichiarò che aveva
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deciso di andare in Terra Santa a soccorrerla ed esortò poi tutti quelli che lo
ascoltavano a “prendere la Croce”. Luigi stesso ricevette la Croce ed il suo
esempio fu seguito da tre dei suoi figli, tra i quali si poteva notare il giovane
Conte Giovanni Tristano di Valois, nato in Egitto durante la precedente
Crociata. Il Legato del Papa ricevette poi il giuramento di un gran numero di
prelati, di Conti e di Baroni. Anche le donne mostrarono il medesimo zelo:
la Contessa di Bretagna Bianca di Navarra, Iolanda di Borgogna-Nevers
moglie del Conte Giovanni Tristano di Valois, Giovanna di Tolosa moglie
del Conte Alfonso di Poitiers, Isabella di Francia figlia del Re Luigi IX e
moglie del Re Tebaldo II di Navarra, Amicie de Courtenay moglie del Conte
Roberto II d’Artois e alcune altre. Tutte decisero di seguire i loro mariti
nella spedizione d’oltremare, ma la Regina Margherita, che non aveva
dimenticato quanto aveva sofferto a Damietta durante la prigionia di suo
marito il Re Luigi IX, pensò meglio di rimanere a casa e di non andare a
cercare nuovi pericoli in Oriente. La decisione del Re d Francia fece una
grande impressione in tutta l’Europa. Siccome egli era il capo della
Crociata, la maggior parte dei guerrieri si gloriavano dell’onore di
combattere sotto le sue bandiere; la fiducia che avevano nella sua saggezza e
nelle sue virtù rassicurava gli animi contro i pericoli della spedizione e
ridava ai popoli cristiani le speranze da loro quasi perdute.
1269: LUIGI IX AD AIGUES-MORTES
Mentre Luigi IX attraversava il suo Regno per andare ad Aigues-Mortes,
dove doveva imbarcarsi l’esercito dei Crociati, dappertutto si imploravano
le benedizioni del cielo per le sue armate. Ciò malgrado molti non risposero
a quel religioso invito. Il Re Alfonso X di Castiglia, per esempio il quale pur
avendo “preso la Croce”, aspirava invece alla corona imperiale. Principi e i
Signori tedeschi, piangevano la morte del giovane Corradino e nessun uomo
di quel paese voleva combattere sotto le bandiere del Re di Sicilia.
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NEL PORTO DI AIGUES-MORTESLUOGO
Giunto ad Aigues-Mortes, Luigi non vi trovò né l’armata genovese né i
principali Signori che si dovevano imbarcare con lui. Invece i Crociati
francesi si misero in cammino da tutte le provincie, dirigendosi verso i porti
di Marsiglia e di Aigues-Mortes. Il Conte Alfonso III di Poitiers giunse con
un gran numero di suoi vassalli ed anche i principali Signori condussero con
loro i migliori fra i loro soldati. Ogni compagnia aveva la sua bandiera e
formava un corpo separato portando il nome di una città o di una provincia.
Giunsero anche i Crociati di Catalogna, di Castiglia e di altre provincie della
Spagna; 500 guerrieri della Frisia giunsero pieni di fiducia in un capo quale
era Luigi IX, dicendo che la loro nazione era sempre stata fiera di obbedire
ai Re di Francia.
LUIGI IX AD AIGUES-MORTES
Prima di imbarcarsi, il Re fece un pellegrinaggio a Notre-Dame de Vauvert e
in altri luoghi allora noti per santità. Il giorno della partenza, mentre saliva
sulla sua nave, chiamò i figli Filippo, Giovanni e Pietro e disse loro: “Voi
vedete come già vecchio intraprendo per la seconda volta il viaggio
d’oltremare, come io lascio la vostra madre già pure avanzata in età e il
mio regno pieno di prosperità. Voi vedete come, per la causa di Cristo, non
ho riguardo alla mia vecchiaia e come ho resistito alla dispiacere di tutti
quelli che mi erano cari. Io sacrifico a Dio, ricchezze, onori, piaceri; vi
conduco con me, voi miei cari figliuoli e conduco pure la vostra sorella
maggiore; e avrei anche condotto il mio quarto figlio se avesse avuto un’età
sufficiente”. Rivolgendosi poi a Filippo gli disse: “Ho voluto ricordarvi
queste cose, affinché dopo la mia morte e quando tu sarai asceso al trono,
tu non risparmi cosa alcuna per Gesù Cristo e per la difesa della sua
Chiesa. Faccia il cielo che mai né la tua moglie, né i tuoi figliuoli, né il tuo
regno lo impediscano, nella via della tua salvezza! Ho voluto dare
quest’ultimo esempio a te e a tuoi fratelli e spero che mi imiterete ”.
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1270: LA PARTENZA DELLA FLOTTA CROCIATA
Dopo le solite preghiere e cerimonie, la flotta spiegò le vele il 4 luglio del
1270 e i giorno 8 del medesimo mese giunse nella rada di Cagliari. Gli
abitanti della Sardegna, alleati o sudditi di Pisa, si spaventarono nel vedere
la bandiera dei Genovesi con i quali erano in guerra e rifiutarono il porto
alla flotta. I messaggi pacifici del Re Luigi potettero riuscire solamente ad
ottenere il permesso di sbarcare i malati e comprare alcune provviste.
La flotta aspettò per otto giorni che le navi disperse dai venti arrivassero.
Nella rada di Cagliari il Re di Francia e i suoi baroni tennero un ultimo
consiglio per decidere in quale luogo e come sbarcare sulle terre degli
Infedeli. Certamente si era già deciso prima sull’oggetto della spedizione;
ma non sembrava certo che la decisione fosse nota ai principali capitani.
Alcuni cavalieri si opposero al progetto di portare la guerra sulle terre di un
Principe che non aveva fatto alcun male ai Cristiani, mentre si lasciava in
pace il Sultano di Egitto e di Siria, crudele flagello dei Cristiani. Alcuni
baroni e Vescovi ricordarono all’assemblea che, prendendo la Croce, i
pellegrini avevano fatto voto di andare in Terra Santa e non sulle rive
deserte dell’Africa. Venne ricordato quello che era accaduto nella quinta
Crociata, dove un gran numero di signori e di ecclesiastici si ribellarono
all’idea di assaltare Costantinopoli e la severità del Papa verso i Crociati
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che, guardando a destra e a sinistra, avevano dimenticato il cammino per
Gerusalemme. Nella Crociata precedente, i pellegrini avevano già portato le
loro armate in Egitto ed ora lo stesso Re Luigi, sedotto dalle accorte
insinuazioni del “Re di Sicilia” e dalla speranza di convertire un principe
mussulmano, adottava il progetto di assediare Tunisi e si immaginava di fare
cosa gradita a Dio sbarcando sulle rovine di Cartagine. Tunisi nel XIII
secolo gareggiava per ricchezze e popolazione con le più floride città
dell’Africa. Ci erano 10.000 case, tre grandi sobborghi, i prodotti di un
immenso commercio la aveva arricchita e quanto l’arte della fortificazione
può trovar di meglio era stato impiegato per renderla inespugnabile.
Luigi IX
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1270: L’ARRIVO SULLA COSTA D’AFRICA
La flotta genovese uscì dalla rada di Cagliari il 15 luglio ed il 17 giunse in
vista di Tunisi. Vedendo quel formidabile apparato da guerra, gli abitanti
della costa d’Africa furono meravigliati e spaventati. Subito il Califfo di
Tunisi mandò dal Re di Francia un ambasciatore incaricato di ricordargli
l’amicizia che si erano reciprocamente professata. L’ambasciatore
mussulmano offrì a Luigi IX 80.000 scudi d’oro in segno di amicizia, ma il
monarca accettò il dono senza rinunciare ai suoi progetti. Quando la flotta si
avvicinò alla costa, tutti quelli che abitavano sulla riva fuggirono sulle
montagne o a Tunisi, mentre alcune navi che erano nel porto rimasero
abbandonate. Subito il Califfo di Tunisi mandò dal Re di Francia un
ambasciatore incaricato di ricordargli l’amicizia che si erano reciprocamente
professata. L’ambasciatore mussulmano offrì a Luigi IX 80.000 scudi d’oro
in segno di amicizia, ma il monarca accettò il dono senza rinunciare ai suoi
progetti. Quando la flotta si avvicinò alla costa, tutti quelli che abitavano
sulla riva fuggirono sulle montagne o a Tunisi, mentre alcune navi che erano
nel porto rimasero abbandonate. Il Re comandò a Florent de Varennes, che
svolgeva le funzioni di Ammiraglio, di scendere in una scialuppa e di andare
a fare una ricognizione sulla riva. Varennes non trovò anima viva e mandò a
dire al Re che non c’era tempo da perdere e che bisognava approfittare della
costernazione dei nemici. Ma il Re ricordava che nella precedente
spedizione si era troppo affrettato lo sbarco sulle coste d’Egitto e in questa
non si volle avventurare; fu pertanto deciso di aspettare il giorno successivo.
Il giorno appresso, allo spuntar del sole, la costa era piena di Saraceni fra i
quali si vedeva un gran numero di uomini a cavallo. Ma i Crociati
accostarono comunque e la moltitudine dei musulmani si disperse. Questa fu
una speciale grazia del cielo, perché i Cristiani erano in tanto disordine che
cento uomini avrebbero potuto sterminare tutto l’esercito. Quando l’esercito
cristiano ebbe completato lo sbarco, si ordinò in battaglia sulla riva e,
secondo le leggi della guerra, Pietro di Condet, elemosiniere del Re, lesse ad
alta voce un proclama con il quale i i vincitori prendevano possesso del
territorio. Questo proclama, scritto dallo stesso Luigi IX, cominciava con
queste parole:“Io vi dico il bando di Nostro Signore Gesù Cristo e di Luigi
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Re di Francia, suo sergente”. Furono sbarcati i bagagli, le provviste e le
munizioni da guerra. Fu costruito un vasto recinto dove si montarono le
tende dei soldati cristiani. Mentre si scavava le fossa e si alzavano i ripari
per assicurare l’esercito dalle sorprese, fu presa la torre situata sulla punta
del capo. Il giorno dopo 500 marinai piantarono lo stendardo dei fiori di
giglio sul castello di Cartagine. Il borgo di Marza, vicino al Castello, fu pure
occupato dai Crociati, che vi posero i loro ammalati mentre l’esercito
rimaneva sotto le tende. In una lettera scritta a Mathieu de Vendôme, Abate
di Saint-Denis, Luigi IX racconta i primi successi di quella guerra che
doveva essere funesta ai Crociati: “Giungemmo alla vista di Tunisi il
giovedì precedente alla festa di Santa Maria Maddalena e il venerdì
abbiamo presa terra senza ostacolo alcuno; dopo sbarcati i cavalli, ci
siamo inoltrati fino all’antica città detta Cartagine e vi abbiamo posto il
nostro campo.Sono con noi il mio fratello Alfonso Conte di Poitiers e di
Tolosa, i miei figliuoli Filippo, Giovanni e Piero, il mio nipote Roberto
Conte di Artois e gli altri baroni.La regina di Navarra mia figliuola, le
mogli degli altri Principi, i figliuoli di Filippo e del Conte di Artois sono
sulle navi poco discoste da noi.Noi, per grazia di Dio, godiamo tutti di
ottima salute. E vi annunziamo che per aver provveduto a quanto era
necessario, abbiamo, col soccorso di Dio, preso d’assalto la città di
Cartagine, nella quale sono stati uccisi alcuni Saraceni”.
1270: LA SOSTA A CARTAGINE
Luigi IX sperava nella conversione del Califfo di Tunisi ma presto questa
illusione svanì. Infatti il principe mussulmano mandò i suoi ambasciatori dal
Re per annunziargli che gli sarebbe andato incontro con 100.000 uomini e
che gli avrebbe dato battaglia aggiungendo che aveva fatto prendere tutti i
Cristiani che si trovavano nei suoi territori e che li avrebbe fatto trucidare se
l’esercito cristiano si fosse accostato alla sua capitale. Le minacce del
Califfo di Tunisi però non potevano mutare il progetto della Crociata. I mori
non ispiravano terrore perché non nascondevano la paura che avevano dei
Crociati. Non osando mai affrontare il nemico, le loro bande vagavano
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intorno all’esercito cristiano, sperando di sorprendere quelli che si
allontanavano dal campo, scagliavano frecce, mostravano le scimitarre nude
e poi la celerità dei loro cavalli li salvava quando i cristiani li inseguivano.
L’esercito mussulmano, a causa dell’inazione dei cristiani, si presentò più
volte nella pianura per combattere ma Luigi, avendo deciso di tenersi sulla
difensiva e di aspettare l’arrivo del Re di Sicilia, vietò ai suoi di uscire dal
campo: questa fu una decisione funesta, poiché il monarca siciliano Carlo I
che aveva consigliato questa malaugurata spedizione, con il suo ritardo fece
più male di quello che aveva già fatto con i suoi consigli.
1270: I PREPARATIVI DI DIFESA DEI MUSSULMANI
Intanto in Egitto si facevano i preparativi per prevenire l’invasione dei
Franchi. Le genti che il Sultano del Cairo teneva nella provincia della
Cirenaica ebbero l’ordine di mettersi in cammino ed anche il Califfo di
Tunisi aveva chiamato alla difesa dell’Islamismo tutti i musulmani del
Marocco e delle provincie della Mauritania. Così mentre l’esercito
musulmano riceveva molti rinforzi, i Crociati invece non avevano alcuna
speranza di trovare alleati. I pochi Cristiani sparsi sulla costa, vivendo nel
timore e nella servitù, non osavano visitare i loro fratelli d’Occidente. Per
questo motivo tutto quello che i Crociati vedevano in quella terra remota
non li incuriosiva, ma li colmava solo di malinconia. Accampati fra i ruderi
delle più remote antichità, i signori e i baroni di Francia avevano tutti i loro
desideri rivolti verso le loro case che avevano lasciato in Occidente. Era
appena noto nell’esercito cristiano che nei primi secoli della Chiesa tutte le
città della costa dell’Africa avevano visto gli Apostoli e molti martiri della
fede. Quel territorio, una volta molto fertile, era ora una solitudine ardente,
dove vi erano solo pochi olivi.
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1270: LE EPIDEMIE AL CAMPO DEI CROCIATI
Fin dai primi giorni del loro arrivo, ai Crociati mancò l’acqua quando invece
per cibarsi avevano soltanto carne salata. Pertanto i soldati non potevano
sopportare il clima dell’Africa perché vi soffiavano venti torridi, simili al
fuoco divoratore. Per di più i Saraceni, sulle vicine montagne, sollevavano
la sabbia che, sotto forma di nuvole infuocate, veniva portata dal vento nella
pianura dove erano accampati i Cristiani. Non c'è da stupirsi perciò se la
dissenteria, morbo pericoloso nei climi caldi, fece grandi stragi nell’esercito.
A tutto ciò si aggiunse poi anche la peste che sterminò molti cristiani. Si
stava giorno e notte in allarme, non per far fronte al nemico che fuggiva
sempre, ma per difendersi da ogni sorpresa. La maggior parte dei Crociati
soccombeva alla fatica, alla penuria ed al morbo. Non vi era modo di
seppellire i morti che, gettati confusamente nelle fosse del campo, le
riempivano e questo aumentava la corruzione dell’aria e faceva più triste lo
spettacolo della desolazione. Finalmente Olivier de Termes, un gentiluomo
di Linguadoca, giunse dalla Sicilia ed annunciò che il Re Carlo d’Angiò
stava per imbarcarsi con le sue genti. Questa notizia fu ricevuta con gioia,
ma non eliminò nessuno dei mali dei quali soffrivano i Crociati. Il calore
eccessivo, la mancanza d’acqua, il cattivo cibo, la pestilenza che proseguiva
la sua strage e la sofferenza di vedersi chiusi in un campo senza poter
combattere, completarono l’abbattimento sia dei soldati che dei loro capi.
Luigi li incoraggiava con buone parole e con l’esempio. ma egli stesso si
ammalò di dissenteria. Anche il Principe Filippo, il Conte Giovanni Tristano
di Nevers, il Re Tebaldo II di Navarra ed il Legato Pontificio vennero
aggrediti dal contagio. Poco dopo morì il Legato del Papa, molto compianto
dal clero e dai soldati della Croce che si rivolgevano a lui come al loro padre
spirituale.
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1270: LA MORTE DEL RE LUIGI IX
Nonostante i suoi patimenti e le sue afflizioni, Luigi IX aveva sempre cura
del suo esercito. Dette ordini finché ebbe qualche forza, dividendo il suo
tempo tra i doveri di cristiano e quelli di monarca. Però quando la febbre
aumentò; non fu più in grado di impegnarsi alla cura dell’esercito, né a fare i
suoi esercizi spirituali. Tutto l’esercito era in lutto; i soldati piangevano e
chiedevano al cielo che mantenesse in vita il loro buon Re. Il Principe
Filippo, che doveva succedergli al trono, era nella sua tenda, il Re lo fece
avvicinare al suo letto e, con voce spenta, gli dette alcuni consigli sul modo
di governare il regno dei suoi padri. Dopo aver raccomandato a Filippo di
rispettare e di far rispettare la religione e i suoi ministri e di temere sempre e
sopra ogni cosa di offendere Dio, aggiunse queste parole:“Mio caro
figliuolo, sii caritatevole e misericordioso verso i poveri e verso tutti quelli
che soffrono. Se giungerai al trono, mostrati degno con tuoi comportamenti
di ricevere la santa unzione con la quale i re di Francia sono consacrati.
Quando sarai Re, mostrati giusto in tutte le cose e che nulla ti distolga mai
dalla via della verità e dell’onestà. Se la vedova e l’orfano compaiono
davanti a te con l’uomo potente, dichiarati per il più debole contro il più
forte, affinché conosca apertamente la verità. Negli affari nei quali sarai tu
stesso interessato, sostieni prima di tutto la causa altrui, poiché se non
facessi così, i tuoi consiglieri oserebbero parlare contro di te, il che non
devi volere. Mio caro figliuolo, ti raccomando soprattutto di evitare la
guerra con ogni popolo cristiano, se sarai ridotto alla necessità di farla, fa
almeno in modo che il povero popolo che non ha colpa alcuna, sia al sicuro
da ogni danno. Poni tutto il tuo potere per comporre le divisioni che
nascessero nel tuo regno, poiché nessun’altra cosa piace di più a Dio che lo
spettacolo della concordia e della pace. Non trascurare di porre nelle
provincie buoni prevosti. Trasmetti volentieri il potere a persone che lo
sappiano usare bene e punisci quelli che ne abusano, poiché se tu devi
odiare il male in altri, maggiormente lo devi odiare in quelli che ottengono
da te la loro autorità. Sii equo nella percezione del pubblico danaro, saggio
e moderato nel suo uso; guardati dalle spese pazze che conducono a tasse
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ingiuste; correggi con prudenza quello che è difettoso nelle leggi del regno.
Mantieni con lealtà i diritti e le franchigie che i tuoi predecessori hanno
lasciato. Più i tuoi sudditi saranno felici, più tu sarai grande; più il tuo
governo sarà irreprensibile, più i tuoi nemici avranno rispetto a muoverti
guerra”. Luigi dette alcuni altri consigli a Filippo sull’amore che doveva a
Dio, ai suoi popoli e alla sua famiglia poi, aprendo tutto il suo cuore non
fece sentire più altro che il discorso di un padre che stava per separarsi da un
figlio amato teneramente, dicendogli: “Io ti do tutte le benedizioni che un
padre può dare al suo caro figliuolo. Ti prego che tu mi faccia soccorrere
con messe ed orazioni e che ne abbia parte a tutte le buone opere che tu
farai.Prego Nostro Signore Gesù Cristo che, per la sua grande
misericordia, ti guardi da tutti i mali e ti difenda onde non faccia cose
contro la sua volontà e che dopo questa vita mortale possiamo vederlo,
amarlo e lodarlo insieme nei secoli dei secoli”. Filippo lo ascoltò con
rispettoso dolore e volle che le ultime parole di suo padre fossero
fedelmente trascritte per averle sotto gli occhi tutti i giorni della sua vita.
Poi Luigi si rivolse a sua figlia la Regina Isabella di Navarra, che piangeva
ai piedi del suo letto; le ricordò i doveri di Regina e di moglie, le
raccomandò principalmente di avere cura di suo marito il Re Tebaldo II di
Navarra che era ammalato. Queste paterne istruzioni furono le ultime parole
che Luigi disse ai suoi figli. Dopo Luigi non volle pensare più ad altro che a
Dio e rimase solo col suo confessore. I suoi elemosinieri recitarono davanti
a lui le preci della Chiesa, poi ricevette il Santo Viatico e l’estrema unzione.
Dalla Domenica all’ora di nona fino al lunedì all’ora di terza, la sua bocca
non cessò di lodare il nostro Signore e di pregare per il popolo che aveva
condotto in Africa. Alle ore nove del mattino, il lunedì del 25 agosto, perse
la parola ma guardava ancora le persone con benevolenza. Il suo volto era
quieto e si vedeva che la sua anima fluttuava fra le più pure affezioni della
terra e i pensieri della eternità. Sentendo di avvicinarsi alla morte, fece
segno che lo ponessero coperto di cilicio, sopra un letto di cenere. A
mezzogiorno fece come se stesse per dormire e tenne gli occhi chiusi per più
di un’ora e mezza. Poi sembrò che si risvegliasse, aprì gli occhi e guardò il
cielo dicendo:“Signore entrerò nella tua casa e ti adorerò nel tuo santo
tabernacolo”. Spirò alle tre ore della sera. Quando la sventura che ognuno
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temeva fu annunziata all’esercito, i guerrieri francesi si abbandonarono alla
disperazione: vedevano nella morte di Luigi il segno di tutte le calamità, e si
chiedevano reciprocamente quale capo li avrebbe ricondotti in patria. Fra i
gemiti e i singhiozzi, si udivano aspri lamenti contro quelli che avevano
consigliato questa spedizione e sopratutto contro il Re di Sicilia ritenuto
colpevole di tutti i disastri della guerra.
CARLO I
Re di Sicilia e di Napoli
L’ARRIVO A CARTAGINE DI CARLO I D’ANGIÒ
Carlo I di Angiò sbarcò con le sue genti vicino a Cartagine nello stesso
giorno in cui morì il Re. Mentre le trombe di guerra risonavano sulla riva,
nel campo dei Crociati nessuno si muoveva incontro ai Siciliani, attesi fino
ad allora con tanta impazienza. Da ciò Carlo ebbe tristi presentimenti e
quando andò alla tenda del Re lo trovò morto, disteso sopra la cenere ed
allora si prostrò ai suoi piedi e li bagnò di lacrime.
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Carlo d'Angiò piange la morte del fratello
Rimase per molto tempo in quella posizione senza vedere alcuno di quelli
che gli erano intorno. Parlò a Luigi come se fosse ancora vivo e si
rimproverò per non avere udito le ultime parole del più tenero dei fratelli e
del migliore dei Re. Le spoglie mortali di Luigi furono depositate in due
urne funerarie. Le viscere del Re toccarono a Carlo di Angiò che le inviò in
Sicilia perché venissero conservate nel Duomo di Monreale. Il figlio Filippo
invece tenne per sé le ossa ed il cuore del santo monarca. Il giovane Principe
avrebbe voluto mandarle in Francia, ma i capi e i soldati non acconsentirono
a separarsi dalle reliquie di un così buon monarca. La custodia di queste
reliquie in mezzo ai Crociati, sembrava loro una salvaguardia contro nuove
disgrazie e il più sicuro mezzo per attirare sull’esercito cristiano la
protezione del cielo. Filippo era sempre ammalato e la sua malattia non era
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senza pericolo. L’esercito lo guardava come degno successore di Luigi e
l’amore che si aveva verso il padre passò al figlio. Ricevette dunque
l’omaggio e il giuramento dei capi, dei baroni e dei Signori. Per prima cosa
confermò la reggenza e tutto quello che suo padre aveva stabilito in Francia
prima della partenza. Geoffroi de Beaulieu, Guillaume de Chartres e Jean de
Mons, uno confessore e gli altri due elemosinieri del defunto Re, furono
incaricati di portare in Occidente gli ordini di Filippo.
1270: IL TRATTATO COL CALIFFO DI TUNISI
Mentre i cristiani erano immersi nella disperazione, i musulmani aprivano i
cuori alla speranza e alla gioia. Ringraziavano il Profeta per averli liberati
dal più potente dei loro nemici. Il popolo di Tunisi ripeteva con
superstizioso entusiasmo alcuni versi nei quali era predetta la morte di Luigi
IX nel primo giorno del suo arrivo sulle coste d’Africa. Tali versi profetici
dicevano:“O re dei Franchi! Tunisi è sorella del Cairo. Le calamità che ti
oppressero sulle rive del Nilo, ti aspettano sulle coste della Mauritania; tu
vi troverai la casa di Lokman, che ti servirà da tomba; e i due angeli della
morte Moukir et Nakir, rimpiazzeranno per te l’eunuco Sabih”. I musulmani
vedevano un evidente miracolo del cielo nel compimento di questa profezia
e la storia orientale non ha dimenticato di trasmetterci il testo della stessa.
Intanto però il Re di Sicilia prese il comando dell’esercito cristiano e decise
di proseguire la guerra. Le genti che aveva condotto con se si mostravano
impazienti di combattere ed anche i Francesi cercavano volentieri una
distrazione al loro dolore sul campo di battaglia. I soldati, da tanto tempo
bloccati nel loro campo, si sentivano maggior vigore per affrontare i pericoli
della guerra. Furono fatte alcune battaglie intorno al lago della Goletta, del
quale volevano impadronirsi i Crociati per avvicinarsi a Tunisi. I Mori che
pochi giorni prima minacciavano i Cristiani di sterminio e di schiavitù, non
poterono sostenere a lungo l’urto dei loro nemici. Qualche volta bastavano i
balestrieri a disperdere le loro schiere. Urli orribili, fragore di timbali e di
altri strumenti annunciavano il loro avvicinarsi; nuvole di sabbia, mosse dai
vicini colli, annunziavano la loro ritirata e nascondevano la loro fuga. In due
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scontri a piè fermo, lasciarono molti morti nella pianura; un’altra volta il
loro campo fu preso e saccheggiato. Il Califfo di Tunisi non poteva fare più
affidamento sul suo esercito per la difesa dei suoi Stati ed egli stesso non
dava ai suoi soldati esempio di valore, ma se ne stava continuamente chiuso
in una grotta per ripararsi contemporaneamente dai raggi ardenti del sole e
dal pericolo delle battaglie. Accecato dalle sue paure, non vide più altro
rimedio che la pace e decise di comperarla anche al prezzo di tutti i suoi
tesori. I suoi ambasciatori si presentarono più volte dall’esercito cristiano
con buone proposte e soprattutto per sedurre il Re di Sicilia con larghe
promesse. Quando la notizia di tali proposte si diffuse nel campo dei
Crociati, ci furono diverse opinioni. I soldati, ai quali era stato promesso il
saccheggio di Tunisi, volevano continuare la guerra, ma alcuni capi non
mostravano lo stresso ardore dei soldati. Dopo la morte di Luigi IX e del
Legato apostolico, la Crociata aveva perso il suo principale impulso e la
forza morale che anima tutto. Lo spirito dei Crociati ora titubava
nell’incertezza, la quale teneva l’esercito nell’inazione e lo induceva ad
abbandonare la guerra. Filippo desiderava ritornare in Francia, dove lo
chiamavano gli affari del regno. La maggior parte dei signori e dei baroni
francesi cominciavano a desiderare la patria. Fu dunque deciso di deliberare
sulle proposte pacifiche del Califfo di Tunisi. Nel consiglio, quelli che erano
del parere di continuare la guerra, dissero che per la conquista di Tunisi
Luigi IX era sbarcato a Cartagine, e l’esercito cristiano aveva già sostenuto
tanti mali. Non c’era altro modo per onorare la memoria di Luigi e di tanti
Francesi martiri come lui, che continuare e compiere la loro impresa. Tutta
la Cristianità sapeva che i Crociati minacciavano Tunisi, che i Mori
fuggivano alla loro presenza e che la città era pronta ad aprire loro le porte.
Che avrebbero detto i Cristiani sapendo che i Crociati erano fuggiti davanti
ai vinti? Quelli i quali volevano la pace rispondevano che non si trattava
soltanto di entrare in Tunisi, ma anche di conquistare il paese, il che non si
poteva conseguire senza sterminare la popolazione. D’altronde la lunga
durata di un assedio avrebbe indebolito di molto l’esercito cristiano, visto
che si avvicina l’inverno e diveniva difficile procurarsi i viveri e le continue
piogge avrebbero causato forse maggiori malattie dell’eccessivo caldo.
Inoltre la presa di Tunisi non era il principale oggetto della Crociata e si
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doveva far pace con vantaggiose condizioni, per avere i mezzi per portare la
guerra dove le circostanze lo esigevano. I capi che parlavano così erano
quelli stessi che avevano consigliato la spedizione di Tunisi e al loro capo vi
era il Re di Sicilia. Allora non riconoscevano più la necessità di liberare il
Mediterraneo dai pirati che impedivano il viaggio dei pellegrini e non
parlavano più di togliere al Sultano di Egitto il più potente dei suoi alleati,
sembrava che avessero dimenticato tutte le ragioni già da loro approvate per
portare la guerra sulle coste di Africa. Alla fine il loro parere prevalse. Il 31
ottobre fu conclusa una tregua di quindici anni.
1270: LA FINE DELLA CROCIATA
Pochi giorni dopo la ratifica della tregua, giunse sulla costa di Cartagine il
primogenito del Re Enrico III di Inghilterra, il Principe Edoardo, con i
Crociati della Scozia e dell’Inghilterra. Partito da Aigues-Mortes si dirigeva
verso la Palestina e veniva a prendere gli ordini del Re di Francia. I Francesi
e i Siciliani offrirono agli Inglesi tutte le dimostrazioni di sincera amicizia.
Edoardo fu ricevuto con grandi onori, ma quando seppe che si era conclusa
la pace, si ritirò nella sua tenda e non volle assistere a nessuno dei consigli
dell’esercito cristiano. Frattanto i Crociati si mostravano impazienti di
partire da quella terra mortale che ricordava loro soltanto sfortuna e nessuna
gloria. Questa impazienza era tanto forte che quando fu dato il segnale della
partenza l’esercito andò tutto in confusione. Molti poveri pellegrini non
avevano più un capo e non sapevano come fare per ritornare al loro paese.
Quella moltitudine smarrita riempiva la spiaggia delle sue grida, temendo
essere abbandonata su quella terra maledetta e di rimanere preda dei
miscredenti. Ma il Re di Sicilia Carlo d’Angiò, il Conestabile di Francia
Humbert de Beaujeu ed il Gran Ciambellano di Francia Pierre de Nemours
rimasero a terra fino a quando tutti si imbarcarono. La flotta spiegò le vele il
18 ottobre per andare in Sicilia e, come se la provvidenza avesse deciso che
quella spedizione dovesse patire una serie d’infortuni, una terribile tempesta
colpì la flotta vicino al porto di Trapani. Diciotto grandi navi affondarono e
4.000 Crociati perirono nelle onde. La maggior parte dei capi e dei soldati
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persero le loro armi, i loro equipaggi, i loro cavalli. In tanto disastro il Re di
Sicilia si dedicò a soccorrere i Crociati. Quando tutti i capi furono giunti in
Sicilia, si tennero vari consigli per decidere su quello che si doveva fare.
Siccome ciascuno si rammaricava per le sue disgrazie, Carlo d’Angiò
propose un modo sicuro per porvi rimedio, cioè la conquista dell’Impero
Bizantino. Propose quindi di far passare all’esercito l’inverno in Sicilia. In
primavera il Conte Alfonso III di Poitiers sarebbe partito per la Palestina
con una parte dei soldati; gli altri avrebbero seguito Carlo in Epiro e di là
avrebbero poi proseguito per Costantinopoli. Questo progetto aveva
dell’avventuroso e del cavalleresco che avrebbe potuto sedurre i baroni e i
signori francesi, ma giunsero lettere dalla Francia nelle quali i reggenti
riferivano al giovane Re Filippo il dolore ed il timore del suo popolo.
IL RE FILIPPO III DI FRANCIA
Il Re Filippo III di Francia dichiarò che non poteva fermarsi in Sicilia e che
ritornava nel suo Stato. Questa decisione annullò tutte le speranze di suo zio
Carlo d’Angiò: i signori francesi non volevano abbandonare il loro giovine
monarca così che i Principi e tutti i capi dell’esercito cristiano deposero la
Croce.Il Re di Sicilia, indispettito, fece confiscare a suo profitto tutte le navi
e tutti i beni dei naufraghi che l’ultima tempesta aveva gettato sulle coste
della Sicilia. Aveva già approfittato delle sventure dell’esercito a Tunisi e
poi si arricchì con le spoglie dei suoi alleati e dei suoi compagni d’arme.
Questo atto d’ingiustizia e di violenza gli inimicò i Crociati e sopratutto i
Genovesi ai quali apparteneva la flotta sulla quale si era imbarcato l’esercito
cristiano. Tuttavia fu deciso che la Crociata sarebbe stata ripresa dopo
quattro anni. I due Re, i Principi e i principali capitani, si impegnarono a
imbarcarsi per la Siria con le loro genti nel mese di luglio del quarto anno;
ma fu una promessa vana che nessuno doveva osservare, fatta soltanto per
scusare ai loro stessi occhi l’insuccesso di questa guerra. Il Re Tebaldo II di
Navarra morì poco tempo dopo essere sbarcato a Trapani; sua moglie
Isabella di Francia non poté sopravvivergli e morì di dolore. Il Re Filippo III
partì per la Francia nel mese di gennaio del 1270; la giovane Regina Isabella
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d’Aragona, che lo aveva accompagnato, fu una nuova vittima della Crociata.
Ella era incinta e, attraversando la Calabria e passando a guado il fiume
Savuto, vicino a Cosenza, cadde da cavallo, trasportata dapprima nel
castello di Martirano e poi a Cosenza, morì in quest’ultima città assieme al
nascituro. Il Re Filippo proseguì il suo cammino, portando con se il corpo
del padre, del fratello e della moglie. Lungo la strada ebbe notizia che il
Conte Alfonso di Poitiers e sua moglie Giovanna di Tolosa, ritornando in
Linguadoca, erano morti in Toscana in conseguenza della malattia
contagiosa contratta a Tunisi.
IL RE FILIPPO RIPORTA IN FRANCIA LE SPOGLIE DI LUIGI IX
Filippo, dopo aver passato il colle di Moncenisio, giunse a Parigi. Quali
giorni di lutto per la Francia! Alla partenza di Luigi IX per l’Oriente, il
popolo era pieno di funesti presentimenti i quali si erano avverati. Non
precedeva i guerrieri francesi lo stendardo della vittoria, ma un drappo
funebre. Urne mortuarie, i pochi resti di un florido esercito, un giovane Re
ammalato e scampato per miracolo alla morte che aveva distrutto la sua
famiglia: ecco quello che ritornava dalla Crociata. La moltitudine accorreva
da tutte le parti, circondava il giovane Re, si affollava intorno alle reliquie di
Luigi IX e si poteva vedere nella sua tristezza, che i sentimenti che facevano
accorrere il popolo non erano quelli che generalmente attirano i dominatori
della terra.
1297: IL PROCESSO DI CANONIZZAZIONE DI SAN LUIGI
Una volta che Filippo era giunto nella capitale, le ossa e il cuore di Luigi
furono portati nella Cattedrale di Notre Dame, dove gli ecclesiastici
cantarono per tutta la notte gli inni dei morti. Il giorno dopo di celebrarono
nella chiesa di Saint-Denis i funerali del Re. Tra la folla accorsa, formata da
tutte le classi del popolo, si vedeva con tenerezza il giovane monarca che
portava sulle sue spalle le spoglie mortali del padre. Le reliquie di Luigi IX
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furono depositate vicino al suo antenato Filippo Augusto ed ai resti di suo
padre Luigi VIII. La prigionia e la morte del Re Luigi IX in luoghi lontani,
non compromisero in Europa la stima che si aveva per il suo nome e per le
sue virtù. Forse anche queste grandi sfortune sopportate in nome della
religione, aggiunsero qualche cosa alla sua gloria. La morte di Luigi IX fu
senza dubbio un grande motivo di dolore per i Francesi; ma al dolore che
causava la sua perdita, si univa il pensiero del felice avvenire che Luigi
aveva preparato. Negli anni successivi, la morte del Re di Francia fu
celebrata come un nuovo trionfo della religione e come una nuova gloria
della patria. L’anniversario del giorno in cui il Re spirò divenne una delle
feste solenni della Chiesa Cristiana e della monarchia francese. Fu un bello
spettacolo quello della istruzione del processo di canonizzazione nel quale il
Papa interrogò i coetanei di Luigi IX sulle virtù della sua vita e le
beneficenze del suo regno. Francesi di tutte le classi andarono ad attestare
sul Vangelo che il monarca di cui piangevano la morte era degno di tutte le
ricompense del cielo. Fra di loro c’erano anche i vecchi compagni d’arme di
Luigi, che erano stati con esso prigionieri in Egitto e che l’avevano visto
morire sulla cenere a Tunisi. Tutta l’Europa confermò le religiose
testimonianze e ripeté le parole del Papa:“Casa di Francia rallegrati ad aver
dato al mondo un sì gran principe; rallegrati popolo di Francia d’aver avuto
un sì buon Re”.
A cura di Renato Alterio
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NOTA 1: Dopo attento esame della genesi di tutte le crociate avvenute sia prima
che dopo la precedente “ottava crociata” risulta che, con alta probabilità se non
vogliamo parlare di sicurezza, la crociata alla quale parteciparono i crociati di
Navellum sono stati proprio e solo quelli dell'ottava crociata agli ordini di Carlo I
d'Angiò e diretta nel 1271 a Cartagine. Per quel che concerne la scritta “IN
MEDIO MARI PORTUM TENEO” l'ipotesi è rafforzata dal fatto che la flotta
crociata proveniente dall'Africa e diretta in Sicilia fu investita da una forte burrasca
in prossimità del porto di Trapani. Diciotto grandi navi affondarono e 4.000
Crociati perirono nelle onde. La maggior parte dei capi e dei soldati persero le loro
armi, i loro equipaggi, i loro cavalli. In tanto disastro fu il Re di Sicilia quello che
si dedicò a soccorrere i Crociati. Ci sono molte ragioni per credere che la nave dei
crociati di Navellum sia invece scampata al naufragio ponendo quella scritta ad
immortale ricordo.
NOTA 2: Poichè nel 1184 c'erano state due sole crociate che però, per le loro
caratteristiche, non avevano avuto nulla a che fare con il borgo di Navellum, se ne
deduce che siccome nel Catalogum Baronum viene citato Navellum come castello
di due Militi è da escludere che le prime abitazioni sul colle furono fatte erigere da
“due militi crociati”. Due militi forse si ma non crociati, averlo pensato è stata pura
fantasia. Inoltre, a fronte di tutto ciò si può escludere anche che Navelli sia mai
stato denominato come "Novelli".
NOTA 3: Comunque sia dite la vostra che io ho detto la mia!
Bibliografia: La grande storia delle Crociate.
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