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num. 6 - Anno I/ottobre-novembre 2012Reg. Trib. di Napoli N. 27 del 6/4/2012
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THE BIG APPLE
IN QUESTO NUMERO QGrazie molle e le lettere importantiGrazie molle e le lettere importantiiJobsiJobsLight: prodotti o etichette?Light: prodotti o etichette?Siri sa tuttoSiri sa tuttoStanley Kubrik. Dettagli d’autoreStanley Kubrik. Dettagli d’autoreQuando a bruciare è il sapereQuando a bruciare è il sapereE tu odori col naso o con la mente?E tu odori col naso o con la mente?
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Registrazione al Tribunale di Napoli
N. 27 del 6/4/2012
Direttore Responsabile: Fabrizio Ponsiglione
Direttore Editoriale: Stefania Buonavolontà
Art Director: Marco Iazzetta
Grafi ca & Impaginazione: Menthalia Design
Hanno collaborato in questo numero:
Valeria Aiello, Patrizia Basile, Rossella D’Elia,
Martina Dragotti, Riccardo Michelucci,
Stefania Stefanelli
Menthalia srl direzione/amministrazione
80125 Napoli – 49, Piazzale V. Tecchio
Ph. +39 081 621911 • Fax +39 081 622445
Sedi di rappresentanza:
20097 S. Donato M.se (MI) – 22, Via A. Moro
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Tutti i marchi riportati appartengono ai legittimi proprietari.
La pubblicazione delle immagini all’interno dei
“Servizi Speciali” è consentita ai fi ni dell'esercizio
del diritto di cronaca.
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numero 6 - ottobre/novembre 2012
Dietro le quinte
Un modo di dire che deriva dal lessico teatrale per intendere
ciò che avviene dietro a l palco, ovvero dietro le “quinte” che
sono i telai che chiudono la scena sui due lati, rendendo in-
visibili le azioni di tutto l’entourage che non recita davanti al
pubblico.
Preso in prestito dal teatro, questo modo di dire ha invaso
il lessico comune identifi cando tutto il lavoro di team che si
nasconde dietro ad un progetto realizzato, l’ossatura di un’a-
zienda, la preparazione, lo studio... insomma, tutto ciò che
avviene prima di andare in scena.
E io ci sono stato, “dentro le quinte”.
Ho partecipato al programma televisivo Avanti un altro! di
Paolo Bonolis, il 23 ottobre e ho respirato l’atmosfera di uno
studio televisivo, di quando arriva la pubblicità e tu rimani
ancora lì a vedere l’assistente di studio, i truccatori, gli autori,
i cameraman... tutto un brulicare di persone che si dileguano
velocemente alla rimessa in onda del programma, per lascia-
re la scena all’indiscusso matador dello spettacolo, il Paolone
nazionale.
Sorpreso da una cordialità e un affi atamento che non ti aspet-
ti dal mondo “della televisione”, io ed il resto dei concorrenti
siamo stati accolti da un team pronto a seguirci per tutto il
giorno, sì... perché a quei cinquanta minuti di trasmissione
ci si lavora un’intera giornata e i personaggi che sei abituato
a riconoscere in tivù ti appaiono come persone normalissi-
me che sorseggiano un caff è. Allora svolti l’angolo e incroci
i tipi del minimondo come l’Alieno o se sei più fortunato il
Bonus e la Bonas, che fuori dalla grottesca cornice televisiva
ti ricambiano un sorriso e sono pronti a farsi fotografare per
i tuoi bimbi.
Lì, dove devi cercare di tenere alta la concentrazione e dove
non devi mai dimenticare che tra un frizzo e un lazzo si pos-
sono vincere centinaia di migliaia di euro e... che l’emozione
può giocarti dei brutti scherzi.
Ma in certi casi basta toccare ferro... però devi pensarci in
tempo!
“La gente è il più grande spettacolo del mondo. E non si paga il biglietto.”Charles Bukowski
Marco Iazzetta
General Manager
Menthalia
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Terremoto: "Possibili altre scosse di
assestamento in arrivo"
23 dic 16:45 | SCIENZE E TECNOLOGIA|
GENOVA – "L'epicentro avrebbe una potenza di 6 gradi centigradi ed è
dunque ipotizzabile che ci saranno dei danni. C'è stata una prima scossa
premonitrice e non si può sapere se ce ne saranno di nuove", così il professor
Claudio Eva, responsabile della rete sismica dell'Italia nord-occidentale. (Agr)
di Martina Dragotti, Copywriter & Communication
Grazie molle e le lettere importanti
Nell’era dell’informazione i conte-
nuti vengono sfornati in tempi
davvero ristretti e diventa sempre
più diffi cile controllare la presenza di errori
di testo che talvolta possono provocare dei
veri e propri orrori di bon-ton.
Come se non bastasse, i neonati programmi
di scrittura intuitiva trascrivono sul display
le parole ancor prima di averle digitate e,
non di rado, ci accorgiamo che il testo in-
viato non corrisponde esattamente a quello
che intendevamo dire. Da qui la consuetu-
dine di augurare “buon monocruico” nel
giorno dell’onomastico, a causa di un errore
di trascrizione della parola onomastico nel
sistema T9 per la scrittura veloce di SMS
utilizzato su alcuni telefoni cellulari.
Le fi guracce quindi... sono proprio dietro
l’angolo.
Se mi capita di rispondere ad un’amica un
po’ attempata con un “Grazie molle”, la
gaff e resterà circoscritta, sebbene una con-
suetudine di tale errore potrebbe rischiare
di minare seriamente la mia sfera di rap-
porti sociali. Ma altra faccenda è quando lo
strafalcione diventa di pubblico dominio.
Ecco allora che su una testata giornalistica
ci può capitare di leggere:
“Operata al Policinico: condizioni gravi.”
(Corriere.it 13/11/2010)
O di un terremoto misurato in gradi centi-
gradi... (stessa fonte).
Spesso gli errori-orrori accadono nelle par-
ti di testo più impensabili, per esempio nei
titoli: per la Fox, il giorno dell’uccisione di
Osama bin Laden, a morire fu il Presiden-
te degli Stati Uniti, titolando drammatica-
mente con un “Obama è morto”.
Quanto agli strafalcioni tricolore, come di-
menticare il clamoroso titolo de La Gazzet-
ta dello Sport del 1992, quando, per esaltare
la performance del giocatore del Livorno
Pompini, si scelse lo sconvolgente titolo:
“Pompini a raffi ca, Carrarese ko”. O il
titolo azzardato da Il Giornale nella pagina
di cronaca: “Si è spento l’uomo che si è dato fuoco”.
I refusi, le “distrazioni” redazionali, gli er-
rori di stampa sono talvolta degli arcani
misteriosi, che sfuggono all’occhio di più
persone... per poi essere svelati subito dopo
averli pubblicati.
Sul sito Design&Typo di Peter Gabor, mi
sono imbattuta in una scritta davvero sor-
prendente (quella riportata qui di fi anco).
Chi mastica discretamente il francese dopo
un po’ si sarà accorto del refuso (la ripeti-
zione dell’articolo “la”) aiutato dal tema che
stiamo trattando, che di per sé impone una
lettura delle parole più attenta, come in una
sorta di “caccia all’errore”.
Ad ogni modo, il grafi co di origini unghe-
resi ci fa rifl ettere sul fatto che quando si
legge un testo in lingua madre, la nostra
mente si soff erma automaticamente sulle
parole che conosce estrapolando il senso
della frase. Quando invece si è del tutto
estranei a quella lingua, le parole vengono
interpretate una per volta e la ripetizione,
in questo caso, sarebbe saltata all’occhio.
“Sceodno una rcircea dlel’Uvitri-senà di Cmbairgde non ipromta l’odirne dlele lrteete in una pro-ala, l’uicna csoa che cntoa è che la pimra e l’utlmia ltetrea saino al psoto gusito. Ttute le atlre lr-teete dlela poalra psonoso esrsee itinvtere snzea carere prleobmi alla letutra.Qstueo acdcae pcherè la mte-ne non lgege ongi lteetra seni-golnarmte ma la proala cmoe un ientro qudini il clrveelo è cnouqmue in gdrao di asblse-mare le lterete e iernttaprere la polara crottrea”.
Ecco spiegato il perché di alcuni refusi pro-
prio non ci accorgiamo, nemmeno rileg-
gendo il testo più e più volte.
Le regole per la revisione di un testo si spre-
cano, tuttavia i manabili e i consigli pronti
all’uso senza la giusta esperienza e una ze-
lante azione di verifi ca non ci proteggeran-
no dai consigli che diventano conigli o dagli
schemi che distrattamente divengono scemi.
Quindi, armatevi di tanta pazienza, legge-
te e rileggete il testo più volte, rileggetelo
ancora a voce alta, correggete l’ortografi a e
la punteggiatura in momenti diversi, fate in
modo di non essere gli unici a visionare il
testo e sperate che il refuso, stavolta, non
sia proprio nel vostro “pezzo”.
l’arbreest dans la
la forêt
Terremoto: "Possibili altre scosse di asasseseststamamento in arrivo"223 di3 di3 dic 16c 16c 16:45:45 :45 | SCIENZE E TECNOLOGIA|GENOVA – "L'epicentro avrebbrebbe une una poa potenztenza dia di centrigadi ed è g6 g6 gradiradi cecen igtrigadi
dunqdunquue ippotizzabile che ci saranno dei danni. C'è stata una primpri a sca scossaossa
premonitrice e non si pui può saò saperepere se se cece ne saranno di nuove", così il professor
Claudio Eva, responsabile della rete sismica dell'Italiaali nornord-ocd-occidecidentalntal . (e. ( g )Agr)
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iJobs
Circa un anno fa moriva Steve Jobs,
CEO della Apple, guru della tecno-
logia moderna, inventore di dispo-
sitivi diventati di uso comune nonché di
tendenza quali l’iPod, l’iPhone e l’iPad.
Un anno fa l’opinione pubblica si è divisa.
In molti hanno pianto e si sono disperati
per la dipartita di un genio, capace di cam-
biare la nostra quotidianità e le nostre abi-
tudini in ambiti che spaziano dalla musica,
all’informatica, alla lettura. Altri hanno
tirato un sospiro di sollievo: fi n dove si sa-
rebbe potuto spingere quel genio del male
se avesse avuto altro tempo a disposizione
per lobotomizzare le nostre menti?
Steve Jobs si è fatto amare, ma anche temere.
Amare da quanti hanno goduto e conti-
nueranno a godere per anni e anni delle
sue creazioni; da quanti hanno imparato
ad esplorarci il mondo e gli hanno dimo-
strato gratitudine portando davanti alla
sede centrale della Apple (nonché davanti
agli Apple Store di mezzo mondo) fi ori e
lettere di addio, quasi lui fosse una novella
Lady D.
Temuto da quanti vedevano in lui il simbo-
lo dell’asservimento al capitalismo, un mer-
cenario che a dispetto del cognome aveva
cancellato molti posti di lavoro in Ameri-
ca trasferendo le sue fabbriche nell’estero
sottopagato, una specie di chirurgo in gra-
do di impiantare prolungamenti informa-
tici nelle mani dei suoi clienti (che ormai
senza smanettare sul touch screen non
sanno più vivere), quasi un visionario, un
santone che nel lontano 1983, quando i te-
lefoni cellulari e i computer erano ancora
terra di pochi, durante una conferenza ad
Aspen già parlava di tablet e di computer
da tenere nel palmo della mano.
Chi non l’aveva mai visto in volto, alla sua
morte forse si aspettava di veder girare in
rete e nei tg la fotografi a di un matusa. Del
resto, come te lo vuoi immaginare uno che
da ragazzino creava videogiochi, ha inizia-
to ad assemblare computer nel garage dei
genitori adottivi solo a vent’anni e poi ha
fondato la Apple trasformandola in quello
che è oggi, ovvero una delle più grandi po-
tenze industriali esistenti? Uno con la bar-
ba bianca e lunga, uno che ha avuto una
vita ancora più lunga in cui ha avuto modo
di raggiungere tutti questi obiettivi. E in-
vece no: scopri che è morto a cinquantasei
anni, di cui gli ultimi due piegati dalla ma-
lattia che lo ha stroncato. E allora sai che
lo è stato davvero, un genio: uno fuori dal
comune, uno che ha vissuto e lavorato sen-
za limiti, senza porseli e senza neanche ve-
derli davanti a sé, uno che ha fatto del suo
“stay hungry, stay foolish” uno stile di vita:
essere aff amati, essere folli, non lasciar
scivolare via la vita ma prenderla a morsi,
proprio come l’immagine della sua apple.
Ma se ad un anno di distanza dalla sua
morte, in tempi di crisi in cui molti non
riescono ad arrivare a fi ne mese, in troppi
passano la notte in fi la davanti agli Apple
Store per essere i primi ad avere il privi-
legio di spendere 950 euro e tenere tra le
mani il leggerissimo e bellissimo iPhone 5,
allora bisogna ammettere che un po’ genio
del male Jobs lo è stato davvero. Perché a
creare beni di gran lusso e trasformarli in
status symbol sono bravi tutti, ma lui è ri-
uscito con il suo ed il loro fascino a ren-
derli agli occhi della gente indispensabili.
Normali, ovvi, naturali. Davvero, prolun-
gamenti del corpo.
Jobs non si è limitato ad innovare la tec-
nologia e il modo di applicarla al lavoro,
come ha fatto il suo concorrente storico,
Bill Gates. Lui è intervenuto su qualcosa di
più profondo e più importante: il modo di
pensare delle persone. Il modo di cercare
la musica, il modo di integrare il web nella
quotidianità, il modo di leggere un libro,
sfogliandone le pagine attraverso lo scher-
mo di un iPad e rinunciando al fi nora irri-
nunciabile odore della carta.
Lontani da giudizi di sorta, lo ricorderemo
come la personifi cazione delle new techno-
logies.
Sull’orlo del precipizio apocalittico, lo in-
coroniamo come colui che ha cambiato (il
nostro modo di concepire) il mondo.
di Stefania Stefanelli, Autrice e Sceneggiatrice Televisiva
iPhoneiPad
iTunesiMac
iPod
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1955 – Nasce a San Francisco il 24 Febbraio
1972 – Si diploma all’istituto Homestead in California
1974 – Crea il videogioco Breakout per la Atari
1976 – Fonda la Apple Computer con l’amico Steve Wozniak
1980 – La Apple viene quotata in borsa
1984 – Crea il primo Macintosh
1985 – Si dimette dalla Apple e fonda la NeXT Computer
1995 – Acquista la Pixar
1996 – Torna alla Apple incorporandoci la NeXT
2001 – Lancia sul mercato l’iPod e iTunes
2007 – Crea l’iPhone
2010 – Annuncia la creazione dell’iPad
2011 – Muore a Palo Alto, California, il 5 Ottobre
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pagina 6numero 6 - ottobre/novembre 2012
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di Rossella D’Elia, Nutritional Counsellor
Light: prodotti o etichette?
Quando giriamo tra gli scaff ali del
supermercato, siamo sempre più
incuriositi da prodotti, magari su-
perfl ui e non contemplati nella lista della
spesa, che attirano la nostra attenzione per
l’immagine, i colori ed i claims riportati
sulla confezione o per il prezzo convenien-
te. Ma tutto ciò che leggiamo rispecchia in
realtà le caratteristiche del prodotto che
stiamo per acquistare? Siamo consapevoli
che anche l’imballaggio e la sua integrità
hanno la loro importanza e che quante più
indicazioni ritroviamo tanto migliore do-
vrebbe essere il nostro giudizio alimenta-
re sul quel determinato prodotto? La vita
frenetica che conduciamo ci porta ad avere
una dispensa sempre ben fornita, e spes-
so cerchiamo di riempirla di prodotti che
risultino benefi ci alla nostra salute. Bene,
proprio su questo tema, a mio avviso, bi-
sogna essere molto attenti! L’importanza
dell’imballaggio o “packaging” è facilmen-
te immaginabile: facilita la logistica legata
alla movimentazione dei beni di consumo
e garantisce l’inalterabilità del contenuto;
ma, i materiali destinati in campo alimen-
tare al “packaging” sono sicuri?
Non a caso a questo tema di estrema at-
tualità è stato dedicato il seminario, orga-
nizzato dall’Istituto Italiano dei Plastici il
4 giugno scorso a Milano, nel quale si è am-
piamente discusso sulla sicurezza alimen-
tare, come un’esigenza sempre più avverti-
ta (visti i ben noti scandali legati proprio
alla sicurezza dei cibi), e sulla qualità dei
prodotti, due obiettivi principali del Rego-
lamento Europeo n. 2023/2006. Ma la vera
protagonista nel panorama dei consumi
alimentari è la ben nota “etichetta alimen-
tare”, valido strumento per riconoscere
le caratteristiche di un prodotto e fornire
un’adeguata informazione per il consuma-
tore. Ma siamo sempre in grado di leggerla
con attenzione al momento dell’acquisto
e soprattutto sappiamo correttamente in-
terpretarla? Purtroppo molte volte la ri-
sposta è… no! Fortunatamente, dopo un
lungo braccio di ferro durato 4 anni, le
informazioni riportate di tipo facoltativo
o complementari, saranno obbligatorie
per legge, sulla base del Regolamento UE
n.1169/2011 in vigore da dicembre 2014.
Quest’ultimo prevedrà, tra l’altro, etichette
più leggibili, tabelle nutrizionali più com-
plete e chiare indicazioni d’origine e sede
di lavorazione del prodotto.
Ecco a voi un breve vademecum su alcuni
aspetti da non sottovalutare in questa fase
di transizione:
• se è riportato “da consumarsi entro…”
il prodotto va consumato tassativamen-
te entro quella data e non oltre (es. yo-
gurt, latte, prodotti freschi);
• se, invece, è indicato “da consumarsi preferibilmente entro il…” il prodot-
to garantisce le sue qualità fi no a quella
data e, il superamento non implica che
il prodotto sia scaduto (es. pasta e riso);
• porre attenzione ai claims “senza zuc-chero” se poi troviamo le diciture “sci-
roppo di glucosio, o fruttosio, o malto-
sio o amido di mais”, perché vuol dire
che l’alimento contiene indirettamente
dello zucchero con indice glicemico si-
mile al saccarosio; “senza grassi”, se poi
troviamo la dicitura “mono e digliceridi
degli acidi grassi” che vengono metabo-
lizzati dall’organismo come grassi; “sen-za calorie o dietetico”, se poi troviamo
come dolcifi cante l’aspartame (notoria-
mente ipocalorico, ma pur sempre ar-
tifi ciale!);
• controllare la presenza di additivi (con-
servanti, coloranti, emulsionanti, esal-
tatori di sapidità, correttori di acidità,
ecc.) che di solito compaiono alla fi ne
dell’elenco. Sebbene si tratti di sostanze
utilizzate dall’industria alimentare per
migliorare alcune caratteristiche del
prodotto, ma senza alcun valore nutri-
zionale, potrebbero essere causa di rea-
zioni allergiche nei soggetti predisposti.
In un’ ottica di tutela del consumatore dun-
que, possiamo dire che l’attuale etichetta
alimentare che oggi potremmo defi nire
“light”, sulla base del nuovo R egolamen-
to sarà di sicuro più corposa, più chiara
e trasparente riuscendo a guidare con più
attenzione anche la sfera di comunicazione
commerciale dei prodotti.
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®
di Valeria Aiello, Project Manager
Siri sa tutto
La ormai famosissima assistente, quel-
la che è stata defi nita la “hottest girl
in the Silicon Valley”, messa a dispo-
sizione da casa Apple per i possessori di
iPhone e iPad di ultima generazione, sbarca
anche in Italia. Disponibile con l’aggiorna-
mento a iOS6, per la gioia di tutti coloro
che restano ancorati al vecchio iPhone 4S, la
versione italiana è subito diventata il nuovo
tormentone. Anche perché le risposte spes-
so sono davvero spiritose e spiazzanti. Siri è
in grado di stupire anche gli utenti più dif-
fi denti, riconosce le frasi più complesse e,
addirittura, i giochi di parole. E pensare che
a Steve Jobs il nome Siri proprio non pia-
ceva… Perché non chiederlo proprio a lei?
D: “Qual è il suo nome?”
R: “Il mio nome? È Siri.”
D: “Posso darle del tu?”
R: “Immagino che tu possa farlo.”
D: “Cosa signifi ca Siri?”
R: “Siri ha molti signifi cati, metaforici e francamente contraddittori dei quali non è consentito parlare… mi dispiace” e aggiunge “È un ritornello racchiuso in un enigma e avvolto in un po’ di offusca-mento.”
Un alone di mistero avvolge il nome della
nostra assistente preferita? In realtà oltre al
signifi cato della parola “siri”, che in norve-
gese, lingua madre del programmatore, è
letteralmente “bella vittoria”, pare ci sia del
nascosto, del taciuto come rivelano alcuni
rumors sull’esistenza di un’ex collega del
programmatore. Che si tratti di un colpo
di fulmine o passione taciuta, sta di fatto
che la nota assistente virtuale è decisamen-
te ironica, a tratti smaliziata, tanto che alle
avances risponde prontamente di non esse-
re quel tipo di assistente.
Preparatissima come una studentessa del
DAMS, conosce perfi no celebri battute di
fi lm e l’indimenticabile supercazzola, tanto
da poter essere annoverata tra le fan più
sfegatate di Tognazzi.
Così, all’impertinente domanda:
“Supercazzola come se fosse antani”,
Siri, per nulla disorientata, replica:
“… senza contare che ha perso i contatti con il Tarapia Tapioco”.Per non parlare di battute e barzellette, de-
gne del grande Bramieri.
D: “Siri, racconta una barzelletta”
R: “Quando comincerai a prendermi sul Siri-o? Ah ah!”
La genialità degli sviluppatori di Siri è
quella di aver inserito delle ester eggs, delle
geekerie vocali anche nella versione italia-
na, che permettono di andare oltre nella
scoperta di questa intelligenza artifi ciale.
Ed è così che la nostra assistente virtuale
diventa un divertente passatempo e una
brillante operazione di marketing.
Non poteva mancare la famosissima ri-
sposta al “What is the meaning of life?”.
Siri esce al di fuori del suo funzionamento
standard e sul senso della vita inizialmente
ironizza “Non lo so. Ma credo che esista un’app anche per questo”, per poi ag-
giungere “Credo che non esista una sola risposta a questa domanda. Non è nulla che Nietzsche non possa insegnarti. Mi sembra strano che tu lo chieda a un og-getto inanimato”.Di più non lascia trapelare: non si è capito
se è fi danzata, sposata o single. Risponde
con una punta di vanità a queste domande
personali. “Sembra – osserva – che tutto il mondo sia interessato alle mie relazio-ni. Fa piacere in un certo senso”.
È nel rifl ettere su questo aspetto che va a
toccare quelle delicate corde della privacy,
tra scambi di smancerie e qualche proble-
ma di comprensione, che Siri cita il Manzo-
ni “Meglio agitarsi nel dubbio che ripo-sare nell’errore”.Travolta dalla frenesia di quest’ultima pro-
vocazione, chiedo
D: “Siri, qual è il miglior smartphone?”
E Siri prontamente: “Le migliori assisten-ti virtuali preferiscono iPhone”. Avevate qualche dubbio?
L’ assistente californiana concede un’intervista al Menthalia Magazine
“ Cosa ci fa una pallina di gelato in mezzo al mare? ”
Il gelato affogato
pagina 8numero 6 - ottobre/novembre 2012
®
di Martina Dragotti, Copywriter & Communication
Stanley Kubrik. Dettagli d’ autore
Quando l’attenzione al dettaglio
diventa pressoché maniacale, il
marchio di fabbrica cinematogra-
fi co si fa visibile ed un nome riecheggia
nella mente: il suo, Stanley Kubrik.
Il primo amore, la fotografi a, si esprime in
ogni tratto delle sue pellicole, gli studi fi lo-
sofi ci s’intonano ai quesiti esistenziali cela-
ti tra i suoi ciak, le atmosfere, i tagli delle
inquadrature, le prospettive, i dettagli del-
la scena, i tempi della narrazione lontani
dai canoni hollywoodiani, l’ecletticità con
cui sperimenta generi diversi senza farsi
dominare dalle convenzioni o dalle rego-
le creandone di nuove, ne fanno senz’altro
uno dei più grandi registi del XX secolo.
L’attenzione al dettaglio e l’espressa volontà
di vagliare qualsiasi aspetto delle sue opere
artistiche lo porteranno a curare perso-
nalmente la traduzione di diverse frasi nei
suoi fi lm, per assicurarsi che queste con-
servino immutato il senso da lui inteso,
anche se trasposte in un’altra lingua.
È questo il caso della celebre frase che
Wendy in Th e Shaining trova dattilografa-
ta infi nite volte sui fogli di carta “All work
and no play makes Jack a dull boy”, lette-
ralmente: lavorare senza divertirsi rende
Jack un ragazzo triste. La frase fu tradot-
ta, sotto supervisione dello stesso Stanley,
per ciascun P aese nel quale il fi lm venne
distribuito ed adattata alle diverse espres-
sioni culturali, in Italia è l’indimenticabile:
“Il mattino ha l’oro in bocca”.
Stessa sorte anche per il biglietto ricevuto
da Tom Cruise nei pressi del portone del-
la misteriosa villa dell’orgia in Eyes Wide
Shut.
Ore passate a defi nire i dettagli di un’in-
quadratura, fi no a portare allo sfi nimento
gli attori, rendono la visione di un fi lm fi r-
mato Kubrik capace di arricchire lo spetta-
tore ad ogni nuova osservazione, svelando
sempre nuovi particolari.
Nonostante la fotografi a rappresenti un
tratto fondamentale delle sue opere, esse si
esprimono a pieno solo se collegate ad un
altro tratto fondamentale: la musica.
Quest’ultima, decontestualizzante, spiaz-
zante o didascalica è l’elemento cardine per
trasmettere le emozioni e i tempi narrativi,
sottolineando momenti e passaggi fonda-
mentali all’interno del fi lm.
La soundtrack, mai scontata, è legata ad
aspetti talvolta non subito evidenti, ren-
dendo la ricerca delle corrispondenze par-
ticolarmente appassionante.
Pensiamo al «Ludovico Van» di Alex in
Arancia Meccanica, con l’Inno alla gioia
della Nona Sinfonia di Beethoven, esso
rappresenta la vera natura del protagoni-
sta, il suo ego, la sua coscienza nelle mura
domestiche.
La musica nei fi lm di Kubrik si mescola
con la sceneggiatura, divenendone par-
te integrante: ogni nota è un commento
taciuto, un pensiero svelato, un giudizio
cinicamente ironico verso le grandi con-
venzioni, le ideologie e le dottrine massi-
fi canti, che sviliscono l’uomo in quanto es-
sere non pensante e prossimo all’animalità.
Appena usciti nelle sale cinematografi che,
i suoi fi lm erano molto spesso liquidati su-
perfi cialmente dalla critica giornalistica,
per poi essere rivalutati qualche anno più
in là.
Forse spiazzanti e troppo forti per una pla-
tea non ancora pronta a svincolare un’ope-
ra d’arte da schemi e regole, le sue pellicole
vengono rivalutate durante gli anni ottan-
ta, all’uscita di Shining il fi lm horror dal
successo indiscusso.
Metafore in pellicola, realismo onirico e
fantasia della materia... sembrano men che
mai ossimori forzati nei suoi progetti cine-
matografi ci, bensì elementi atti a costruire
la sua “fantascienza del reale”, della cru-
deltà esasperata e della violenza gratuita
come atto di denuncia e disappunto verso
l’assurdità della realtà.
“Nessun sogno è mai soltanto sogno...”S.K.
timetimeline1928 - Il 26 luglio nasce a New York, Stanley Kubrik.
1941 - Riceve in regalo da parte del padre una macchina fotografi ca. Fin da bambino rimane affascinato dalla tecnica fotografi ca.
1945 - La sua carriera parte con una straordinaria foto di un edicolante rattristato della notizia della morte del presidente Roosevelt. Dopo essersi faticosamente diplomato con 67, comincia a lavorare per Look come fotografo.
1947 - Trascorre cinque sere a settimana nella sala di proiezione del Museum of Modern Art di New York, guarda vecchi fi lm e dopo quattro anni di studio all’accademia di arte cinematografi ca decide di dedicarsi attivamente al cinema.
1949 - Dirige il cortometraggio Day of the Fight.
1953 - Produce il primo lungometraggio Paura e desiderio, per anni quasi introvabile, si dice per volontà dello stesso Kubrick.
1956 - Kubrick fonda una piccola società con il produttore James B. Harris, da qui il fi lm Rapina a mano armata.
1961-1975 - Sono gli anni dei capolavori: 1962 Lolita, 1963 Il dottor Stranamore, 1968 2001: Odissea nello spazio, 1971 Arancia meccanica, 1975 Barry Lyndon.
1980 - Kubrick dirige il suo primo fi lm horror: Shining, tratto dall’omonimo romanzo di Stephen King con un magistrale Jack Nicholson.
1987 - Dirige il suo quarto fi lm di guerra, quella del Vietnam: Full Metal Jacket.
1999 - Gira il suo ultimo fi lm, Eyes Wide Shut.
1999 - Il 7 marzo muore durante il sonno, a causa di un infarto nella sua casa di campagna, all’età di settant’anni. I funerali avvengono in forma riservatissima e laica ed il corpo verrà sepolto nel giardino della casa stessa.
w York,
Il bacio dell’assa
Orizzonti di gloria
Rapi Full Metal Jacketg
pagina 9numero 6 - ottobre/novembre 2012
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pagina 10numero 6 - ottobre/novembre 2012
®
Quando a bruciare è il saperedi Riccardo Michelucci, Giornalista
Il poeta bosniaco Goran Simić vide
bruciare l’antica biblioteca di Sarajevo
dalla fi nestra di casa sua. In preda alla
disperazione, pensò alle migliaia di libri
antichi che stavano per essere inghiottiti
dalle fi amme e immaginò che i personaggi
raccontati in quelle pagine indimenticabi-
li stessero trovando una nuova vita. Vide
Werther seduto accanto ai muri sbrecciati
del cimitero. Quasimodo che si dondolava
sul minareto della vicina moschea. Il gio-
vane Tom Sawyer che si tuff ava dal pon-
te di Princip. Raskolnikov e Mersault che
avevano fatto amicizia e chiacchieravano
in uno scantinato. Yossarian che era inten-
to a vendere provviste al nemico. Migliaia
di libri stavano volando via, carbonizzati
come neve nera, dal tetto sventrato della
biblioteca, insieme a chissà quanti altri te-
sti, codici, incunaboli e manoscritti rari e
preziosi. Furono ridotti in cenere in appe-
na tre giorni, alla fi ne di agosto del 1992,
dalle bombe incendiarie lanciate dai nazio-
nalisti serbi appostati sulle colline intorno
alla città. L’eroica catena umana formata
per cercare di salvare quei volumi non ser-
vì a niente di fronte al fuoco dei cecchini
e delle armi antiaeree che colpivano senza
pietà anche i bibliotecari, i volontari e i vi-
gili del fuoco. Quello che sarebbe diventa-
to il più lungo assedio di una città europea
dai tempi della seconda guerra mondiale
era iniziato da pochi mesi e aveva già rag-
giunto il primo obiettivo: distruggere la
Viječnica, la storica biblioteca nazionale e
universitaria di Sarajevo, l’unico archivio
nazionale del Paese, cancellando con esso
l’intero patrimonio culturale della Bosnia-
Erzegovina.
Quei libri, edizioni antiche e spesso uni-
che, non torneranno mai più. Ma fi nal-
mente l’edifi cio diventato il simbolo della
distruzione di Sarajevo durante la guerra di
Bosnia è tornato in questi giorni al suo an-
tico splendore architettonico. L’imponen-
te palazzo costruito dagli austro-ungarici
alla fi ne del XIX secolo era rimasto a lungo
uno scheletro di mattoni bruciati, pieno di
tonnellate di cenere. Oggi, dopo quattro
anni di lavori costati una valanga di soldi
pubblici, sono state fi nalmente rimosse
le impalcature liberando le sue splendide
facciate moresche che rifl ettono i loro in-
confondibili colori rosso e ocra nelle acque
del fi ume Milijacka. Secondo i dati forniti
dall’agenzia Sarajevo Construction, il piano
di recupero è costato in totale circa dieci
milioni di euro ed è stato fi nanziato dall’U-
nione Europea e da molti Stati membri, a
partire dall’Austria, erede di quell’Impero
che fece costruire l’edifi cio nel 1896.
Le carte originali del progetto risalenti a
Rinasce la biblioteca nazionale di Sarajevo
pagina 11numero 6 - ottobre/novembre 2012
®
poco più un secolo fa sono state ritrovate
negli archivi di Vienna e hanno consenti-
to un restauro assai meno problematico
di quello eff ettuato anni fa per ricostruire
l’antico ponte di Mostar. Le principali diffi -
coltà sono sorte per reperire i diff erenti tipi
di marmi delle colonne interne, degli archi
e dei merletti, e anche per ricostruire le de-
corazioni in gesso e le bellissime fi nestre di
vetro intarsiato. Ma parlare solo di restauro
è riduttivo. È stata una rinascita dal forte
impatto evocativo, quasi un trionfo del-
la civiltà contro la barbarie. La Viječnica,
infatti, non era una semplice biblioteca,
ma un luogo che conservava la storia e la
memoria di una città, di un Paese e della
sua gente. Ha ricordato qualche anno fa la
giornalista di Sarajevo Azra Nuhefendic:
“L’aula principale era enorme, sembrava un
salotto reale, o una grande chiesa trasfor-
mata in sala di lettura. Dentro c’erano fi le di
panchine, sedie e scrivanie di legno massic-
cio. Emanavano un odore misto di polvere,
degli anni passati e del grasso che si usava
per conservare il legno. Ci si entrava con
cautela, in silenzio, con il fi ato sospeso, cer-
cando di attutire il rumore dei propri passi.
L’importanza del posto proveniva dalla bel-
lezza e grandiosità del palazzo e dal fatto
che, da noi, il libro era considerato un og-
getto sacro”.
Eppure la gioia per la rinascita della
Viječnica si è in molti già tramutata in de-
lusione, pensando a quale sarà il suo futu-
ro. Neanche le numerose donazioni di libri
che negli anni si sono susseguite – alcune
provenienti dall’Italia – le consentiranno di
tornare a essere quello che era prima della
guerra.
Il sindaco di Sarajevo, Alija Behmen, ha
annunciato che l’edificio riaprirà ufficial-
mente i battenti nel maggio 2014, un se-
colo esatto dopo l’assassinio dell’Arciduca
Francesco Ferdinando. L’erede al trono au-
stroungarico e sua moglie Sofia vennero
ritratti sulla scala esterna del pala zzo po-
chi minuti prima di essere uccisi dal gio-
vane nazionalista serbo Gavrilo Princip,
quel tragico 28 giugno 1914 che innescò
il primo conflitto mondiale. L’edificio,
che ospitava all’epoca il municipio di Sa-
rajevo, fu adibito a biblioteca nazionale
solo nel 1949.
In tempi recenti il Consiglio municipale ha
deciso di modifi carne di nuovo la destina-
zione d’uso, facendolo tornare a essere la
sede degli uffi ci del sindaco e dell’ammini-
strazione cittadina.
La nuova biblioteca nazionale e universita-
ria ha trovato spazio in un luogo anonimo
della città e a stento dispone dei fondi ne-
cessari per svolgere le attività essenziali.
pagina 12numero 6 - ottobre/novembre 2012
®
E tu odori col naso o con la mente? di Patrizia Basile, scrittrice
In genere gli stimoli olfattivi si percepi-
scono con l’organo preposto a questo
compito: il naso. Ma è possibile ripor-
tare alla mente profumi, aromi, fragranze,
sentori odorosi, miasmi e odoracci, anche
con la mente. Spesso ci capita di ripercor-
rere ricordi indelebilmente legati ad un
profumo: pensiamo al Natale ed all’odore
inconfondibile dell’abete oppure all’estate
e all’odore del mare o alla nonna e al pro-
fumo di colonia che accompagna la sua
presenza. Come non ripensare all’episo-
dio della madeleine raccontato da Marcel
Proust ne La strada di Swan: “Ma, quando
niente sussiste d’un passato antico, dopo
la morte degli esseri, dopo la distruzione
delle cose, più tenui ma più vividi, più im-
materiali, più persistenti, più fedeli, l’odore
e il sapore, lungo tempo ancora perdura-
no, come anime, a ricordare, ad attendere,
a sperare…”.
L’olfatto dunque esercita una grande po-
tenza sul nostro inconscio. Gli odori sono
collegati alle nostre memorie: fungono da
ancore del nostro passato, sono legati a ri-
cordi e percorsi neuronali fi ssati nel tem-
po e raramente vengono dimenticati. Una
descrizione estremamente realistica di un
luogo o di una persona può permettere a
chi ascolta o legge di percepire chiaramen-
te i profumi dell’oggetto in questione: un
giardino fi orito in primavera, il mare in
tempesta, il pelo bagnato del cane, insom-
ma tutto ciò che è stato oggetto delle no-
stre esperienze olfattive. Ma diffi cilmente
possiamo descrivere in parole ciò che un
profumo è per noi: chi non ha provato il
medesimo aroma, raramente riesce a com-
prenderne il senso.
Ognuno di noi porta dentro di sé il ricordo
di un profumo legato ad un’esperienza vis-
suta. Probabilmente da ciò deriva il fatto
che alcuni odori, anche se piacevoli, desta-
no in noi un senso di disagio, addirittura
possono causare un disturbo notevole se
legati ad un’esperienza poco felice del no-
stro passato; mentre altri possono destare
la nostra allegria e magari metterci di buon
umore in una giornata “no”.
Ma come fa il cervello a riconoscere in un
“batter d’occhio” le informazioni prove-
nienti dal naso?
Una ricerca della Columbia Universi-
ty (USA) ha appurato che quello che noi
percepiamo come odore è il prodotto di
una combinazione di tanti diff erenti tipi
di molecole odorose. Ognuna di queste
viene raccolta da un neurone specializza-
to che invia un segnale al cervello, a una
particolare zona chiamata bulbo olfattivo,
costituita da tanti glomeruli. È in questo
momento che il nostro cervello è in grado
di “interpretare” ciò che il naso ha senti-
to, grazie al bulbo olfattivo che si sviluppa
nei mammiferi fi n dai primi anni di vita.
Secondo alcuni esperimenti l’esperienza
olfattiva durante i prima anni di vita è fon-
damentale, perché il cervello sia in grado
da adulto di codifi care correttamente gli
odori, così come avviene anche per i sa-
pori.
Ma, se la scienza ci spiega come avviene
la percezione degli odori, la storia ci narra
come il profumo sia stato nei secoli testi-
mone di una società e la sua stessa storia si
coniuga con quella dell’umanità.
Nelle civiltà antiche non esistevano i pro-
fumi in quanto tali, ma fi ori, piante aroma-
tiche e resine, che costituiscono le materie
prime grezze, che venivano destinati pre-
valentemente al culto degli dei. Si sa però
che le donne egiziane usavano cospargere
il corpo con unguenti e balsami odorosi.
La regina Cleopatra esaltava il proprio fa-
scino e la propria bellezza con unguenti e
oli profumati. Fu lei ad accogliere Marco
Antonio, al loro primo incontro d’amore, in
una stanza cosparsa di petali di rosa dove
bruciavano incensi ed erbe aromatiche.
Ma è in Oriente che il commercio di aromi
e spezie conobbe un grande sviluppo. Gli
Arabi non sono gli inventori di questa tec-
nica ma l’hanno raffi nata e diff usa.
Il primo profumo moderno in soluzione
alcolica fu preparato in Ungheria nel 1370
da un monaco esperto di chimica. Il pro-
fumo, noto come Eau de Hongrie “Acqua
Ungherese”, era un estratto di rosmarino,
timo e lavanda. Nel Rinascimento l’arte
della profumeria si sviluppa ulteriormente
e fra i grandi profumieri di questo perio-
do vengono annoverati spagnoli e italiani.
Nel 1600 nasce l’acqua di colonia ad ope-
ra di Gian Paolo Feminis, originario di
Santa Maria Maggiore, cittadina della Val
Vigezzo. Feminis, inventa e produce una
pagina 13numero 6 - ottobre/novembre 2012
®
sostanza che, a suo dire, cura tutti i mali, e
che si chiama Aqua Mirabilis. Trasferitosi
in Germania, a Colonia, questo liquido di-
venta Acqua di Colonia.
Con la Rivoluzione Francese l’arte profu-
miera subisce un colpo d’arresto in quan-
to le essenze profumate sono sinonimo di
aristocrazia.
È nel XIX secolo che lo sviluppo del pro-
fumo ha un forte impulso, soprattutto in
Francia dove, nel 1828 a Parigi, Francois
Pascal Guerlain apre la sua prima mai-
son di profumeria. Sempre nell’Ottocento,
precisamente nel 1865, il profumiere lon-
dinese Eugene Rimmel divide gli aromi
in diciotto gruppi allo scopo di facilitare la
classifi cazione degli odori.
Con la rivoluzionaria scoperta degli ele-
menti sintetici aldeidi, la produzione dei
profumi subisce un’ulteriore evoluzione,
sia dal punto di vista del processo di fab-
bricazione che in termini di varietà delle
essenze: la chimica di sintesi e le sue note
inedite provocano una rivoluzione olfat-
tiva.
Da allora ai giorni nostri non si contano i
profumi messi in commercio. Ed accanto
all’industria profumiera dedicata al grande
mercato c’è la produzione di profumi di lus-
so, non accessibili a tutte le tasche.
Per concludere: “I profumi dominano il cuo-
re degli uomini”, diceva Sunskind e mi piace
riportare qui un passo signifi cativo del suo
romanzo Il profumo:
“La mano con cui stringeva il fl acone ema-
nava un profumo molto delicato, e quando
la portava al naso e la fi utava, diventava
malinconico, e per un attimo smetteva di
camminare e si fermava ad annusare. Nes-
suno sa com’è buono in realtà questo profu-
mo, pensava.
Nessuno sa com’è fatto bene. Gli altri si li-
mitano a subirne l’eff etto, anzi non sanno
neppure che è un profumo che agisce su di
loro e li aff ascina”.
E tu odori col naso o con la mente?
pagina 14numero 6 - ottobre/novembre 2012
®
titolodi Beppe Draetta, Giornalista Medico Scientifi co
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pagina 3
numero 2 - m
aggio 2012
®
di Martina D
ragotti, Copywriting & Com
munication
La marca che ho in m
ente
L’interessante mondo del Brand Im
age visto dall'occhio dei consumer
S ignore e signori ecco a voi il Brand.
Sì, la marca. Sì, intendo proprio quel-
la scritta più o meno grande che ci
condiziona durante gli acquisti e per la
quale saremm
o disposti a follie fi nanziarie,
pur di averla stampata su di una scarpa o
una borsa. Sì, esattamente, proprio quella
scritta o etichetta che individua uno status
o un modo di essere e di sentirsi, quella
che oltre prodotti e servizi ha etichettato
un’epoca; quella che Andy W
arhol, senza,
avrebbe dipinto i fi ori, quella che condizio-
na anche coloro che la snobbano. Quella
che non lascia superstiti e che non amm
et-
te eccezioni, quella che detta le regole, in-
somm
a, proprio lei, la marca.
“ Ma cosa signifi ca
esattamente m
arca?!”
Nel lontano 1960, l’A
merican M
arketing
Association (AM
A) defi niva il brand com
e
“un nome, un term
ine, un segno, un sim-
bolo, un disegno o una loro combinazione
che identifi ca un prodotto o servizio di un
venditore e che lo diff erenzia da quello del
concorrente”. La defi nizione è ancora ac-
cettata ed insegnata, anche se con qualche
variante che mira solo ad am
pliarne l’ac-
cezione.
È, dunque, il bisogno di diff erenziarsi la
principale prerogativa che connota il si-
gnifi cato della parola marca. Q
uesto, però,
è un signifi cato portatore di un punto di
vista perlopiù unilaterale, quello dei pro-
duttori, che vogliono a tutti i costi marcare
la linea di confi ne che li separa dai concor-
renti.
“ Ma cosa signifi ca
marca per i consum
atori?!”
Procediamo ancora con riferim
enti acca-
demici. L’assunto fondam
entale è che la
marca nasce nella m
ente del consumatore.
Tutto può costituire o divenire brand se
come tale viene percepito, se diviene og-
getto di un insieme di percezioni, com
e
nella defi nizione fornita poco prima.
Quindi possiam
o aff ermare che il brand ha
una vita propria: oltre a trasmettere quello
che le aziende intendono comunicare, esso
si amplia e vive delle per-
cezioni dei consumer, delle
loro esperienze e dei loro
ricordi, delle loro abitudini
di consumo, fi no a costruire
quell’imm
agine percepita
che caratterizza ogni singola
esperienza di marca.
A tal proposito, con uno studio
molto interessante l’illustratore
“MyH
otJuly” ha reinterpreta-
to alcuni dei loghi più famosi,
svestendoli della loro imm
agine
tradizionale e mettendo in evi-
denza, invece, ciò che viene per-
cepito dai consumer. È diverten-
te, ed anche sorprendentemente
verosimile, scoprire com
e il logo
Facebook venga visto come una
scritta bianca che recita “droga on
line” sull’ormai fam
oso sfondo bleu,
o come G
oogle sia istantaneamente
associato alla parola “Cerca”, e che
dire del simbolo Lacoste che nel-
la mente dei consum
atori identifi ca
l’intera categoria merceologica delle
polo.Questo avviene quando un brand è ra-
dicato così a fondo nelle abitudini e nei
consumi collettivi, da entrare a pieno
titolo nell’imm
aginario comune, esten-
dendo il signifi cato di marca fi no a m
o-
difi carne la percezione nella realtà. Ed è
così che per moltissim
i
è divenuto sinonimo di Facebook, una
bevanda dissetante corrisponde ad un bic-
chiere di CocaCola ed una corsa in libertà
equivale ad un total look fi rmato
E non pensate di scampare a questa logica
schiacciante, se non rientrate in qualcuna
di queste categorie. Badate bene che se non
fate parte della massa di Facebook, m
agari
è perché il vostro mood si confà m
aggior-
mente a quello snobistico di Twitter, o sta-
chanovistico di Linkedin. E se non siete
web addicted?! Niente paura, m
agari qual-
cosa di voi sarà scritto, che lo vogliate o no,
nella marca delle vostre scarpe o em
anerà
dall’odore del vostro profumo.
magazine
numero 2 - Anno I/m
aggio 2012
Reg. Trib. di Napoli N. 27 del 6/4/2012
© Men
thalia
Vis à Vis con Ilaria Legato
Web e medicina
Navigare in tempesta
Guerra e pace in Irlanda sui muri di Belfast
Ascoltare, un duro lavoro
Curiosità
pagina 3
numero 1 aprile 2012
®
di Stefania Buonavolontà, Marketing & Communication
L’ algoritmo dell’inciucio
Scoperta la formula matematica che ci svela il web
E bbene sì, da oggi anche l’inciucio,
il pettegolezzo, la chiacchiera o la
ciancia, che dir si voglia, hanno un
algoritmo che ne studia la velocità di dif-
fusione.Il direttore del Dipartimento di Informa-
tica dell’Università la Sapienza di Roma,
Alessandro Panconesi, e due suoi dotto-
randi, che da anni studiano il meccanismo
di diff usione delle voci sulle reti sociali, fi -
nalmente sono approdati alla formulazio-
ne di un “algoritmo dell’inciucio” nel loro
studio
“ Rumour spreading
and graph conductance ”
Sette pagine di matematichese e informa-
tichese, naturalmente in inglese, per spie-
gare una piccola e potentissima formula:
log(N)/C.Necessari un po’ di chiarimenti: N consiste
nel numero delle persone da cui è formata
la rete sociale che prendiamo in considera-
zione e C è la “conduttanza”; quest’ultima
misurerebbe il livello di socialità del grup-
po, pari al rapporto tra le amicizie interne
ed esterne. Più la conduttanza sarebbe alta
e maggiore sarebbe la velocità di diff usione
della notizia. Si tratta di uno studio molto interessante
che ha catturato in men che non si dica
l’attenzione delle grandi aziende .com, en-
tusiasmate dall’idea che una formula sia in
grado di indicare loro la strada delle noti-
zie da veicolare, ma soprattutto di indica-
re a che velocità percorrerla! Controllare,
o quanto meno, prevedere, la velocità di
un fl usso di informazioni è fondamen-
tale: oggi il vantaggio competitivo è dato
dall’asimmetria informativa e dal possesso
delle informazioni giuste. Il fatto che sem-
pre più persone siano in grado di reperire
svariate informazioni su disparati argo-
menti ha diminuito il livello di asimmetria
informativa e dato più valore al vantaggio
competitivo, ovvero chi ha maggiori infor-
mazioni di valore ha più vantaggio e può
giocare d’anticipo. Pensiamo alle ripercus-
sioni che l’asimmetria informativa ha nel
campo della fi nanza e a quanto infl uiscono
i rumors sull’ascesa o sulla caduta dei titoli
in borsa.Le teorie scientifiche sono lo specchio
della società che le partorisce: erano gli
anni ’50 quando Lazarsfeld e Katz met-
tevano a punto la teoria del “two step
flow”, ovvero la cosiddetta teoria sugli
“opinion leaders”, secondo la quale le
comunicazioni di massa non raggiun-
gono una grossa parte del pubblico in
modo diretto, bensì il messaggio viene
prima raccolto da un gruppo di persone
influenti all’interno della comunità che
trasmettono il messaggio ad altre perso-
ne meno attive nell’uso dei mezzi di in-
formazione. Erano gli anni della grande
diffusione della radio, della carta stam-
pata, della tv e del cinema…
Ed oggi, quasi come a suggellare la socie-
tà contemporanea, eccovi lo studio sulla
velocità delle notizie all’interno dei social
network... e quel log(N)/C diventa simbo-
lo di un’epoca. La nostra.
log (N)/C
®
magazinenumero 1 - Anno I / aprile 2012
Reg. Trib. di Napoli N. 27 del 6/4/2012
in questo numero
© m
enth
alia
Device che salvano la pubblicità
L’ algoritmo dell’inciucio
Vis à Vis con Roberto Barone
Dal latino a Google
Curiosità
SPECIALE AMERICA’S CUP
Crediamo che il mondo della co-municazione sia quello della carta stampata, della tv, del cinema, della
pubblicità, della rete, dei social network, del marketing aziendale, delle case editrici e delle radio.Ma non è mica tutto qui. Questi sono solo settori specifi ci. Nonché rami in cui gli studiosi hanno voluto sud-dividere la materia per farne un corso di laurea, l’ennesimo.
“ La comunicazione non è solo questo. È molto di più:
è tutto il resto. ”
Sono i segnali di fumo, quelli stradali, il modo in cui è disposta la merce al super-mercato, i colori scelti per le pareti di un uffi cio pubblico o di un negozio, il layout di un sito internet, l’arredamento di una casa, gli accordi di una chitarra, le parole, i si-lenzi, il design di un’auto, la formazione di una squadra di calcio, gli abiti delle nuove collezioni, i rifi uti nei sacchetti, il colore dei confetti, i fi ori sulle lapidi. Anche? Certamente.Perché una rosa rossa lasciata su una tomba al posto di un crisantemo rivela che qual-cuno ancora ricorda l’amore, la passione, che chi non c’è più gli ha donato in vita.Così come il colore blu di una parete o di un abito trasmette tranquillità e distende lo sguardo, mentre il rosso cattura l’attenzione e centrifuga il cervello, mettendolo in moto ogni volta che prova ad entrare in stand-by, senza dargli tregua.E le informazioni che leggiamo in primo piano in una pagina web o cartacea sono quelle su cui ci viene implicitamente chie-sto di concentrare l’attenzione, mentre ciò che è ai margini, lo dice proprio il termine, è un contorno del quale in primo momento si può fare a meno. Tutto è comunicazione.Nel senso che rende partecipi di informa-zioni, sottotesti; che signifi ca molto altro rispetto a quello che si legge in superfi cie. E anche noi lo siamo.
Lo è quello che diciamo, ovviamente.Ma anche il tono che usiamo nell’esprimer-ci, gli occhi che fi ssano l’interlocutore o che teniamo bassi per nasconderli e nasconder-ci, le mani che tormentiamo per l’ansia o che usiamo per gesticolare e dare forza al pensiero che stiamo esternando, le gambe liberamente accavallate o di contro in buon ordine una accanto all’altra, il volume della nostra voce, le gote che si colorano di rosso contro la nostra volontà. Sì, anche il nostro corpo comunica. A volte da solo, per istintive reazioni che tradisco-no le nostre emozioni, altre volte col nostro aiuto, quando lo usiamo per aff ermare la nostra personalità.Perché un nuovo taglio di capelli dice che abbiamo voglia di aria nuova. E se il taglio è drastico o stravagante, che quella vecchia proprio non la tolleriamo più.Provate a farci caso, a guardare le cose di-versamente, a chiedervi se c’è una scelta precisa o semplicemente dell’altro dietro ad ogni singola cosa su cui posate gli occhi nelle vostre giornate. Fosse anche un sasso che ha spaccato una vetrina.Chiedetevi cosa signifi ca veramente ciò che avete davanti.E vi scoprirete vostro malgrado novelli Sherlock Holmes, capaci di interpretare tutto, di cogliere i segnali di ogni cosa, di vedere oltre, semplicemente guardando a fondo il mondo.Salvo poi capire, probabilmente, che que-sta innata e profonda capacità non volete godervela né usarla, perché in grado di sopraff arvi, rubando magia all’apparente mistero dell’universo.Molto meglio lasciarsi sor-prendere, certe volte.E rinunciare a capire.Ma questo, che lo vo-gliate o no, sve-lerebbe di voi anche la pigri-zia che preferi-reste nascondere.
pagina 3numero 0 febbraio 2012
Tutto è comunicazionedi Stefania Stefanelli, Autrice e Sceneggiatrice Televisiva
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y fo
tolia
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numero - Anno / febbraio 20
Tutto è comunicazione
App, fenomeno o fenomenali?Social Business: che confusione!Passa il favore!
Comunicazione, troppi esperti
in questo numero
magazinenum
. 5 - Anno I/settembre 2012
Reg. Trib. di Napoli N. 27 del 6/4/2012
© Marco
Iazze
tta
magazinenum
. 5 - Anno I/settembre 2012
Reg. Trib. di Napoli N. 27 del 6/4/2012
© Marco
Iazze
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OSPITE D'ONORE AL FESTIVAL
TEATRO CANZONE GIORGIO GABER
SPECIALE
FESTIVAL TEATRO CANZONE
GIORGIO GABER
pagina 3
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numero 4 - luglio 2012
T empi duri per i nostri archetipi, In-
ternet li sta mettendo a dura prova,
tutti! Archetipi e paure.
Fino a pochissimi anni fa non avrem
mo
mai lasciato che uno “sconosciuto” con il
quale chiacchieravamo in rete potesse co-
noscere il nostro vero nome. Tutti sotto
alias e/o nicknames.
Fino ad arrivare all’era “social” dove il con-
cetto si è completam
ente ribaltato, niente
più ombra e m
istero. Dati personali, inte-
ressi, lavoro e persino relazioni familiari
resi disponibili a tutti gli “amici”.
Diceva Aristotele nell’Etica Nicomachea che
l’amicizia è fondam
entale alla vita, giacché
senza amici nessuno sceglierebbe di vivere,
anche se possedesse tutti gli altri beni (7,
1, 1155 a, 1-10sgg.). Si riferiva a Facebook?
Non contenti siamo arrivati alla geolocaliz-
zazione: dove sono, con chi, manca solo il
perchè... ma questo sarà un altro post.
Non paghi di aver messo a fattor com
une
tutte le nostre “intimità” adesso stiam
o at-
traversando una nuova fase.“ Il Cloud...
Cos’e’ questo cloud? ”
Wikipedia scrive: “In inform
atica con il
termine inglese cloud com
puting (in italia-
no nuvola informatica) si indica un insie-
me di tecnologie che perm
ettono, tipica-
mente sotto form
a di un servizio off erto
da un provider al cliente, di mem
orizzare/
archiviare e/o elaborare dati (tramite CPU
o soft ware) grazie all’utilizzo di risorse har-
dware/soft ware distribuite e virtualizzate in
Rete”. La correttezza nell’uso del termine è
contestata da molti esperti: se queste tecno-
logie sono viste da alcuni analisti come una
maggiore evoluzione tecnologica off erta
dalla rete Internet, da altri, come Richard
Stallman, sono invece considerate una
trappola di marketing.
Con il “cloud” riusciamo a far fare ai no-
stri aggeggi elettronici molte più cose di
quante potrebbero... Potremm
o parago-
nare il cloud ad un enorme cervellone al
quale inviamo i nostri im
pulsi sensoriali e
dal quale riceviamo in risposta un pensiero
completo.
Fantastico, possiamo avere aggeggini sem
-
pre più potenti e sempre più piccoli e leg-
geri con i quali fare sempre più cose a
patto di avere il collegamento diretto
con la “nuvola”. Ecco la parola magi-
ca del cloud, “connessioni”.
Parlando di etere e connessioni
verrebbe da pensare a qualcosa di
esoterico... ed anche qui rimando
ad un futuro post.“ Nel tem
po presente
cosa sta succedendo? ”
Tutto bello, tutti connessi, un “super-
cervellone” che ci elabora le infor-
mazioni ricevute da program
mi
SaaS (soft ware as a service) e ci
restituisce la nostra bella foto
elaborata. E così mandiam
o
in cantina anche la “prudenza”
dopo la “riservatezza”.
Infatti l’uso estremo del cloud
prevede che i nostri dati personali,
i nostri
soft ware, etc.,
vengano
imm
agazzinati in un data center chissà
dove nel mondo fi sico, perché sulle
nuvole non c’è p osto.
Ed oltre a correre qualche rischio per
motivi geopolitici, oppure sem
plice-
mente di “opportunità com
merciali”
potrebbero iniziare anche i problemi
legati ai “thunder”, termine con il qua-
le si stanno apostrofando i blocchi delle
applicazioni “cloud” dovuti ad inter-
ruzioni delle reti di connessione.
Ultima in ordine di tem
po e nel-
lo stesso tempo m
olto importan-
te per quel che ha creato è stata
l’interruzione dei servizi di “Insta-
gram”, “Pinterest” e “Netfl ix” a causa
di una violenta tempesta m
agnetica che
ha colpito gli Stati Uniti.
Per fortuna i data center hanno “tenuto” e,
dopo qualche ora, tutto è tornato alla nor-
malità.
Il cielo di Internet è quindi pieno di nuvole
portatrici di novità e di nuova vita.
A noi il compito di im
maginarle nelle for-
me e nei colori che più ci piacciono.
Internet, un cielo con tante “nuvole”?
di Maurizio Im
parato, Training & Coaching
ouo
num. - Anno /luglio-agosto 20
in questo numero
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co Ia
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a
Internet un cielo con tante nuvole
Vis à Vis con Azra Nuhefendic
Speciale Umbria Jazz 2012
Lou Reed. Una vita salvata dal Rock and Roll
Con le pinne, fucile ed occhiali...
Curiosità
SPECIALE
pagina 3
numero 3 - giugno 2012
®di Roberto Gaudioso, Poeta e scrittore – Africanista – Attivista in Human Rights
Appunti sulla Poesia
I poeti difendono il portale che conduce
all’intuizione, sono coraggiosi “guerrieri
della luce”, il loro compito è aff errare le
parole dure e plasmarne il senso. La po-
esia è l’arte di utilizzare in modo partico-
larmente sintetico ed espressivo la lingua
sua costituzione per lo più in ritmi e suoni.
La poesia fa della lingua quotidiana un lin-
guaggio speciale, una costruzione ritmica
e metaforica, cioè fa quello che le altre arti
fanno con i loro “mezzi” rendendo il loro
linguaggio universale. A diff erenza di que-
ste, però, il mezzo che usa la poesia è lo
strumento più infl azionato del mondo: la
lingua.Roland Barthes descrive il dramma della
scrittura con queste parole:
«Davanti alla pagina bianca, nel momento
di scegliere le parole che devono segnalare
con chiarezza la sua posizione nella Sto-
ria e attestare che egli ne accetta i dati, lo
scrittore avverte una tragica disparità tra
ciò che fa e ciò che vede; sotto i suoi occhi il
mondo civile forma ora una vera Natura, e
questa Natura parla, elabora linguaggi vivi
da cui lo scrittore è escluso: al contrario, tra
le sue mani, la Storia mette uno strumento
decorativo e compromettente, una scrittura
ereditata da una Storia passata e diversa, di
cui egli non è responsabile, ma è la sola di
cui possa far uso. Nasce così una tragicità della scrittura,
poiché lo scrittore, ormai cosciente, si deve
dibattere contro i segni ancestrali e onnipo-
tenti che dal fondo di un passato estraneo gli
impongono la Letteratura come un rituale e
non come una riconciliazione».
Secondo Barthes, il poeta moderno cerca
parole che siano nuove, più dense o lumi-
nose. Nella poesia moderna i concetti sono pa-
role che riproducono la profondità e la
singolarità dell’esperienza, si tratta dell’arte
dell’invenzione. In questo senso sembrano
puntualissimi e precisi, nonostante la loro
enigmaticità, i versi del poeta italiano Giu-
seppe Ungaretti, nella seconda strofa di
“Commiato” in L’ Allegria:
[…] Quando trovo
in questo mio silenziouna parola
scavata è nella mia vitacome un abisso
Questo scavo interiore testimonia e con-
ferma le parole di Barthes a proposito della
poesia moderna. Il poeta moderno è colui
che aff onda nell’abisso dell’esistenza, del-
la vita, e porta alla luce parole più nuove,
più dense o luminose. La prima strofa del
“Porto sepolto” della stessa raccolta recita:“ Vi arriva il poeta
e poi torna alla luce con i suoi canti
e li disperde ”L’autentica poesia non è mai un modo
più elevato della lingua quotidiana. Vero
è piuttosto il contrario: che cioè il parla-
re quotidiano è una poesia dimenticata e
come logorata, nella quale a stento è dato
ancora percepire il suono di un autentico
chiamare.In questo senso la poesia moderna e con-
temporanea appare come una chiamata che
si dissolve verso un linguaggio naturale o
sociale. Solo in questo modo, forse, la lin-
gua poetica riesce ad essere se stessa, pro-
fondamente sempre presente perché mai
inoff ensiva, perché mai compiuta, attra-
versa l’esistenza e tutte le sue componenti,
senza trionfare su queste, ma creando uno
spazio aperto, più ambiguo, inconcluso;
in queste istanze risiede la forza “politica”
della poesia. Ed è così che il poeta contem-
poraneo tenta di calarsi nella realtà, respin-
gendo ogni accusa di astrattezza. “ Naufrago nel mare del sogno
nell’intimo della foresta che s’infi ttisce
nel quale il pensare senza agire è tradire.
Euphrase Kezilahabi ”
magazinenumero 3 - Anno I/giugno 2012
Reg. Trib. di Napoli N. 27 del 6/4/2012
in questo numero
iglio
lini
Appunti sulla Poesia
Vis à Vis con Cristiano Minellono
Diciamolo con i gomitoli (Speciale Guerrilla Knitting)
Andy Warhol. Alla corte dell’imperatore
Dialetto che passione
La fi ne del mondo: tenetevi liberi per il giorno...
Un “Ulisse” tutto da ridere
Green è trendCuriosità
pagina 15numero 6 - ottobre/novembre 2012®
Curiosità
Felix Baumgartner: il giorno dei record
Salire a bordo di una capsula appesa ad un
pallone ad elio fi no alla stratosfera, due ore
di ascesa. Un’attesa interminabile. I prin-
cipali network mondiali con il naso all’in-
sù, 50 Paesi collegati con 40 televisioni,
7,4 milioni di utenti collegati su Youtu-
be, e su Twitter la #freefall impazza. La
telecamera che riprende la Terra 40 chilo-
metri più sotto, ore 20:18 in Italia. Atmo-
sfera spaziale, pressione ai minimi, il 2% di
quella al suolo.
Il portellone si apre, un passo, un saluto e via
giù, nel vuoto. Un salto di 9 minuti, di cui 4
in caduta libera. Felix Baumgartner supera il
muro del suono. Ma comincia a roteare come
risucchiato da un vortice. È panico.
Per le telecamere a infrarossi quell’uomo,
43 anni e fi sico da atleta, è già un corpo.
Ma non è così. Riprende il controllo e co-
mincia a planare, quell’uomo che di salti ne
ha fatti più di 2500 e che dal 2005 lavora
a quest’impresa, per battere, un record di
52 anni fa, un salto da 31 chilometri senza
superamento della barriera del suono.
Il paracadute si apre. Un atterraggio da
fermo, in piedi, incredibile. Si fa fatica a
crederci. E un umanissimo commento:
“Quando sei sul predellino e stai per salta-
re con il mondo sotto ai piedi non pensi al
record e neppure ai dati scientifi ci che vai a
collezionare, ma semplicemente a tornare
coi piedi per terra”.
FacebookLo voglio! Vi dichiaro Facebook addicted
“Lo voglio” è da sempre nell’immaginario
collettivo la frase che prelude al fatidico
“Vi dichiaro marito e moglie”. Bene, voci
di corridoio mormorano che probabilmen-
te tra non molto questa frase sarà il nuovo
tasto di Facebook che andrà ad affi ancare
l’I like.
La funzionalità aggiuntiva I want è già
comparsa in una riga del codice sorgente
del programma «<fb :wants>» ma, per ora,
circolano solo indiscrezioni a riguardo.
Certo, sapere non solo cosa piace agli utenti
ma anche cosa vogliono, sarebbe un’ottima
strategia di marketing per aumentare gli in-
troiti pubblicitari del noto social network.
Che in un prossimo futuro sarà possibile
acquistare direttamente online cliccando
sul tastino miracoloso?
Per ora godiamoci l’implementazione della
funzione per le persone che si dichiarano
sposate con lo stesso sesso segnalata da
un’apposita icona, novità sicuramente lega-
ta al matrimonio di Chris Hughes, uno dei
co-fondatori del social network, con il suo
compagno Sean Eldridge.
http
://l
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dal 12 novembre 2012 al 2 gennaio 2013
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