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Newsletter n.24
2424
A cura del Prof. Avv. Emanuele FISICARO
Febbraio 2018
CONTENUTI DI QUESTO NUMERO:
ANTIRICICLAGGIO
Comunicazione della Banca d’Italia del 9 febbraio 2018: chiarimenti in tema di
adempimento degli obblighi antiriciclaggio.
Delibera n. 28/2018 della Banca d’Italia: buone prassi da adottare per i soggetti
obbligati ad applicare le misure rafforzate di adeguata verifica sulle Persone
Politicamente Esposte (PEPs).
Si è tenuto a Shenzen il secondo workshop organizzato dal GAFI sul ruolo dei
giudici e dei procuratori nel contrasto al riciclaggio di denaro e finanziamento
del terrorismo.
Il GAFI ha rilevato l’efficacia media delle misure di prevenzione al riciclaggio.
ANTICORRUZIONE
Transparency International pubblica l’Indice di Percezione della Corruzione 2017.
Corruzione negli Stati Uniti: le differenze tra il 2016 e il 2017.
Transparency International ha pubblicato una ricerca che individua i potenziali
benefici dell’utilizzo della “blockchain technology”, la tecnologia che sta alla
base dei Bitcoin, per il contrasto alla corruzione.
Disponibile online, a partire dal 08/02/2018, la piattaforma A.N.AC. di gestione
delle segnalazioni di condotte illecite da parte del whistleblower.
RESPONSABILITA’ DEGLI ENTI
Raccolta delle modifiche normative al d.lgs. 231/2001 intervenute negli ultimi mesi
del 2017.
Obbligatorietà della nomina dell’amministratore giudiziario in caso di confisca ex
art. 53 del d.lgs. 231/2001.
Centro Studi Europeo Antiriciclaggio & Anticorruzione Via Vittorio Veneto 84, 00187 Roma – Viale Piave 6, 20129 Milano
centrostudi@csac.it- www.csac.it
ANTIRICICLAGGIO
Comunicazione della Banca d’Italia del 9 febbraio 2018: chiarimenti in tema di
adempimento degli obblighi antiriciclaggio.
La Banca d’Italia, in data
9/02/2018, ha pubblicato una
Comunicazione il cui obiettivo è fornire
agli intermediari bancari e finanziari
indicazioni circa le modalità di
adempimento degli obblighi
antiriciclaggio previsti dal D. Lgs. 231/2007,
come modificato dal D. Lgs. 90/2017. Le
indicazioni riguardano sia il periodo
transitorio di cui all’articolo 9 del D. Lgs.
231/2007, che scadrà il 31/03/2018 – nel
quale continuano a trovare applicazione
le norme abrogate –, sia il periodo
successivo, fino all’entrata in vigore delle
nuove disposizioni di attuazione della
Banca d’Italia. Gli intermediari finanziari e
bancari sono quindi chiamati a rispettare
il contenuto della comunicazione (anche
a seguito della scadenza del periodo
transitorio) così da assicurare conformità
tra il loro operato e il nuovo quadro
legislativo, in attesa di una nuova
normativa di attuazione.
È possibile continuare ad utilizzare
l’Archivio Unico Informatico (AUI) e le
disposizioni del Provvedimento in materia
di adeguata verifica del 3 aprile 2013,
poiché la Banca d’Italia ritiene la parte
relativa all’ambito applicativo di tale
Provvedimento ancora in vigore (sino
all’entrata in vigore delle nuove norme
attuative e salvo le modifiche indicate
nella comunicazione stessa).
L’Autorità ha indicato i criteri
interpretativi cui si atterrà nello
svolgimento dell’attività di controllo sugli
intermediari a cui è demandata. In
particolare, per quanto riguarda gli
intermediari, la Banca d’Italia specifica
che, in caso di contrasto tra la vecchia
normativa di attuazione e le disposizioni
contenute nel nuovo D. Lgs. 90/2017,
queste ultime prevarranno, secondo il
principio generale della successione delle
leggi nel tempo e quello di gerarchia delle
fonti. Di conseguenza gli intermediari fino
al 31/03/2018 dovranno attenersi alle
previsioni contenute nei vecchi
provvedimenti dell’Autorità, emanati in
attuazione delle precedenti misure di
legge, soltanto nella misura in cui esse
siano compatibili con la nuova disciplina.
In ossequio a tale principio deve
ritenersi ancora applicabile il
Provvedimento del 10/03/2011 in materia
di organizzazione, procedure e controlli
interni. Potrà inoltre essere utilizzato, sino
all’emanazione delle nuove norme
attuative in materia di conservazione e su
base volontaria, l’Archivio Unico
Informatico (AUI), ritenuto idoneo ad
assolvere gli obblighi previsti dalla
normativa primaria, sebbene il
provvedimento con il quale era stato
istituito non sia più in vigore per effetto
dell’abrogazione delle disposizioni di
legge che imponevano l’obbligo di
registrare i dati nell’AUI.
Viene inoltre specificato che le
disposizioni in materia di adeguata
verifica possono ancora ritenersi
applicabili. Gli intermediari sono tenuti ad
applicare direttamente gli obblighi di
adeguata verifica come previsti dalle
nuove norme di legge e continuano ad
applicarsi le previsioni contenute nel
Provvedimento della Banca d’Italia del
3/04/2013 soltanto se volte a specificare
aspetti per i quali c’è continuità tra il
contenuto delle nuove norme e quelle
abrogate. Altre parti dello stesso
provvedimento vengono invece
dichiarate interamente inapplicabili, in
ANTIRICICLAGGIO
quanto incompatibili con le nuove
disposizioni di legge.
Infine, la Banca d’Italia ritiene che
per il corretto adempimento degli
obblighi in materia di antiriciclaggio, gli
intermediari possano prendere in
considerazione anche gli “Orientamenti
Congiunti delle Autorità di Vigilanza
europee sulle misure semplificate e
rafforzate di adeguata verifica della
clientela e sui fattori di rischio” del
04/01/2018.
Delibera n. 28/2018 della Banca d’Italia: buone prassi da adottare per i soggetti obbligati
ad applicare le misure rafforzate di adeguata verifica sulle Persone Politicamente Esposte
(PEPs).
La Banca d’Italia, in seguito ad
ispezioni condotte presso gli intermediari
bancari nel I semestre del 2017, ha
riscontrato delle carenze sotto il profilo
organizzativo e dei controlli riguardanti gli
obblighi previsti dalla normativa
antiriciclaggio nei confronti delle c.d.
Persone Politicamente Esposte (PEPs).
L’Autorità, con Delibera n. 28/2018
pubblicata in data 23/01/2018, ha
conseguentemente suggerito una serie di
buone prassi per le banche in cinque
principali aree tematiche.
Innanzitutto, per il governo della
gestione dei rapporti con le PEPs, è
suggerita la predisposizione di una policy
di gestione dei rischi di riciclaggio e di
finanziamento del terrorismo al cui interno
il tema delle PEPs sia specificatamente
individuato e adeguatamente trattato.
Per quanto riguarda
l’individuazione delle PEPs, si sottolinea
l’importanza di un utilizzo accorto dei
database, per sfruttare al massimo i
risultati e successivamente arricchire
l’analisi con ulteriori approfondimenti. Si
ritiene altresì essere un valore aggiunto la
collaborazione del cliente stesso nel
fornire dati utili nella fase di accensione
del rapporto. Nel monitoraggio dei
rapporti esistenti, le informazioni relative
all’assunzione o modifiche allo status di
PEPs possono derivare dallo sfruttamento
del patrimonio informativo dell’azienda. È
inoltre importante l’adozione, nella
classificazione del rischio, di sistemi di
attribuzione automatica dei punteggi di
rischio per assegnare le PEPs e i soggetti
collegati alle classi di rischio più elevate.
In tema di adeguata verifica
rafforzata delle PEPs, sono da prevedere:
a) normative interne in cui viene
attribuita evidenza ai ruoli e alle
responsabilità delle singole funzioni
aziendali interessate e le
tempistiche d’intervento;
b) per quanto riguarda
l’instaurazione del rapporto con le
PEPs, la predisposizione di schede
dettagliate di raccolta delle
informazioni;
c) un monitoraggio nel continuo e il
rinnovo dell’adeguata verifica,
sfruttando sia i dati presenti in
azienda che quelli desunti da fonti
esterne aperte.
Infine, per quanto riguarda il
sistema dei controlli interni, la Banca
d’Italia pone l’accento su tre diversi piani:
rafforzamento dei controlli di primo livello
che impediscano il passaggio a una fase
successiva se non risulta completata la
ANTIRICICLAGGIO
procedura precedente, incoraggiamento
di un ruolo proattivo della Funzione
antiriciclaggio nel condurre periodiche
valutazioni di carattere sostanziale mirate
sulla funzionalità di adeguata verifica sulle
PEPs e previsione di controlli dell’Internal
Audit che prendano espressamente in
considerazione le PEPs.
Si è tenuto a Shenzen il secondo workshop organizzato dal GAFI sul ruolo dei giudici e dei
procuratori nel contrasto al riciclaggio di denaro e finanziamento del terrorismo
Gli scorsi 11 e 12 gennaio si è tenuto
a Shenzen il secondo workshop
organizzato dal GAFI, in collaborazione
con gli organismi regionali APG
(Asia/Pacific Group on Money
Laundering) e EAG (Eurasian group on
combating money laundering and
financing of terrorism), sul ruolo dei giudici
e dei procuratori nel contrasto al
riciclaggio di denaro e finanziamento del
terrorismo. Al workshop hanno
partecipato circa 90 rappresentanti di 32
delegazioni, tra cui procuratori e giudici
esperti in materia.
II workshop sarà seguito da altri due
eventi sul tema, a Strasburgo e Busan, che
si concluderanno nel mese di maggio
2018. I risultati emersi al termine degli
incontri confluiranno in un documento
volto ad evidenziare le sfide affrontate da
procuratori e giudici nella lotta al
riciclaggio e al finanziamento del
terrorismo, con l’aggiunta di alcuni
suggerimenti per aumentare l’efficacia
del sistema di giustizia.
Il GAFI ha rilevato l’efficacia media delle misure di prevenzione al riciclaggio
Il Gruppo d’Azione Finanziaria
Internazionale (GAFI), a partire dal 2014,
ha analizzato la reale efficacia delle
misure di contrasto al riciclaggio di denaro
presente nelle normative nazionali di 46
paesi.
Il sistema di rating adottato dal
GAFI si basa sulla valutazione di 11 risultati
immediati, rappresentanti gli obiettivi
chiave che un sistema efficace di
contrasto al riciclaggio di denaro
dovrebbe raggiungere.
Ad oggi, il GAFI ha rilevato che
l’efficacia media delle misure di
prevenzione al riciclaggio di denaro si
aggira intorno al 32%. Solamente 7 paesi,
tra i 46 esaminati, si sono posizionati al di
sopra del 50%: USA, Spagna, Italia,
Svizzera, Australia, Portogallo e Svezia.
ANTICORRUZIONE
Transparency International pubblica l’Indice di Percezione della Corruzione 2017
Il 21 febbraio 2018 è stato
pubblicato da Transparency International
l’Indice di Percezione della Corruzione
(Corruption Perceptions Index – CPI) per
l’anno trascorso. Siamo ormai giunti alla
23esima edizione: Transparency
International, la più grande
organizzazione internazionale impegnata
nel contrasto alla corruzione, aggiorna
con cadenza annuale questo indicatore
statistico, creando una graduatoria in cui
i paesi del mondo sono ordinati sulla base
del livello di corruzione percepita, come
determinato da esperti attraverso
sondaggi di opinione.
Nel report relativo al 2017 vengono
analizzati 180 paesi e territori, i quali sono
poi classificati assegnando a ciascuno un
punteggio che va da 0 (altamente
corrotto) a 100 (molto pulito). L’ultimo
report pubblicato evidenzia che la
maggior parte dei paesi non sta facendo
progressi, se non minimi, nel contrastare la
corruzione. Infatti, come ogni anno, la
grande maggioranza dei paesi ha
ottenuto un risultato inferiore a 50, con un
punteggio medio di 43. A tal proposito si
segnala che, in base alle ultime rilevazioni,
l’Italia ha ottenuto un punteggio di 50, al
di sopra della media globale. Nonostante
la tendenza dei paesi analizzati a
rimanere inerti di fronte ai fenomeni
corruttivi, analisi più approfondite
segnalano la presenza, anche nei paesi
più corrotti, di giornalisti ed attivisti che
mettono a repentaglio la loro vita pur di
denunciare apertamente fatti di
corruzione.
Da un’analisi aggregata dei dati
pubblicati, l’Europa occidentale spicca
come la regione con prestazioni migliori
(punteggio medio di 66), mentre la
peggiore è l'Africa subsahariana con un
risultato medio di 32. Entrando più nel
dettaglio, la Nuova Zelanda si colloca al
primo posto, con un punteggio finale di
89, seguita da Danimarca, Finlandia,
Norvegia e Svizzera. Per trovare l’Italia
bisogna scendere invece al 54esimo
posto. “Ultima della classe” risulta essere la
Somalia, con appena 9 punti.
Focalizzandosi sulle performance
italiane e comparando i dati più recenti
con quelli degli anni precedenti, il nostro
paese ha registrato un miglioramento di 8
punti dal 2012 ad oggi. Alla luce della già
menzionata scarsa attenzione per il
contrasto della corruzione da parte di
molti dei paesi analizzati, il progresso
italiano può essere giudicato
positivamente, anche se c’è ancora
molto da fare, soprattutto se si considera il
divario di 16 punti tra il risultato del nostro
paese e quello medio dell’Europa
Occidentale.
Ulteriori analisi dei risultati
sviluppate da Transparency International
segnalano una correlazione tra la tutela
delle libertà fondamentali e il tasso di
corruzione: i paesi in cui vi sono minori
garanzie di libertà di stampa e di
espressione e scarsi livelli di protezione
delle Organizzazioni non Governative
(ONG) tendono a registrare alti livelli di
corruzione. Nei paesi altamente corrotti
viene ucciso almeno un giornalista a
settimana e, proprio perché la libertà di
parola e di stampa sono fondamentali per
il contrasto alla corruzione, Transparency
International ha suggerito una serie di
misure da intraprendere per frenare la
corruzione:
I governi e la grande impresa
dovrebbero impegnarsi per
garantire la libertà di parola,
l’indipendenza dei media e il
ANTICORRUZIONE
dissenso politico per creare una
società civile aperta ed
impegnata;
I governi dovrebbero ridurre il più
possibile le limitazioni normative
alla libertà dei media e assicurare
che i giornalisti possano lavorare
senza timori, minacce, repressioni o
violenze;
La tutela della libertà di stampa
dovrebbe essere un fattore da
tenere in considerazione nel
momento in cui vengono valutate
richieste di adesione alle
organizzazioni internazionali
oppure domande di concessione
di aiuti economici;
Dovrebbero essere proposte ed
attuate leggi che favoriscano
l’accesso alle informazioni, così da
incrementare la trasparenza e la
responsabilità, riducendo le
opportunità di corruzione;
Nel tentativo di realizzare gli
Obiettivi di Sviluppo Sostenibile
(SDG) proposti dalle Nazioni Unite, i
governi e gli attivisti dovrebbero
promuovere riforme sia a livello
nazionale che internazionale,
allineando le forme di tutela delle
libertà fondamentali agli obiettivi
internazionale;
I governi e le imprese dovrebbero
divulgare, sotto forma di dati
aperti, le informazioni rilevanti e di
interesse pubblico.
Corruzione negli Stati Uniti: le differenze tra il 2016 e il 2017.
A dicembre 2017 Transparency
International ha effettuato un’analisi delle
sfide legate abuso di potere da parte dei
funzionari pubblici per la realizzazione di
profitti privati che gli USA si sono trovati ad
affrontare nel corso dell’ultimo anno. Tra i
problemi di maggior rilevanza sono stati
segnalati da un lato l'alto tasso di influenza
esercitato da parte di individui facoltosi sul
governo e le sue decisioni, dall’altro la c.d.
politica del "pay to play" e il legame
eccessivamente stretto che lega gli uffici
del governo, le società a scopo di lucro e
le associazioni professionali, spesso
accentuato dalla rotazione del personale
tra i vari enti.
Tra le varie promesse fatte
dall’attuale presidente durante la
campagna elettorale vi era proprio quella
di ridurre il tasso di corruzione e risollevare
la fiducia dei cittadini nei confronti del
corretto funzionamento degli uffici
governativi, focalizzandosi in particolare
su quelle classi sociali che negli ultimi anni
avevano lamentato trascuratezza dei
propri interessi e una loro subordinazione
rispetto a quelli delle élite dominanti.
Transparency International ha quindi
deciso di effettuare dei sondaggi di
opinione tra ottobre e novembre 2017 per
monitorare lo stato di realizzazione di
questi obiettivi (c.d. Barometro della
corruzione degli Stati Uniti per il 2017).
Secondo quanto riportato, una
netta maggioranza degli intervistati
dichiara che la situazione è peggiorata
nell’ultimo anno: l’indice di percezione
della corruzione è aumentato invece di
diminuire. Ad oggi almeno 6 persone su 10
sostengono che il livello di corruzione è
aumentato negli ultimi 12 mesi, mentre un
anno fa soltanto un terzo degli intervistati
era della stessa opinione.
Dati alla mano, a novembre 2017 il
44% degli americani considera la
corruzione una prassi diffusa nella Casa
Bianca (circa l’8% in più rispetto all’anno
ANTICORRUZIONE
precedente), mentre quasi 7 persone su
10 sostengono che il governo stia fallendo
nel contrastare la corruzione. Tenendo
conto delle differenze sociali, circa un
terzo degli afroamericani crede che la
polizia sia altamente corrotta e il 55% degli
intervistati complessivi dichiara di temere
ritorsioni nel caso in cui si trovino a
denunciare fatti di corruzione. La società
americana risulta però consapevole
dell’importante ruolo che i cittadini
possono svolgere per contrastare questo
tipo di condotte, poiché almeno il 74%
ammette che le persone comuni possano
fare la differenza nella lotta alla
corruzione.
Trattasi sicuramente di risultati
preoccupanti che, a meno di un anno di
distanza dall’elezione del nuovo
presidente, sottolineano come il governo
e le altre istituzioni chiave degli Stati Uniti
abbiano ancora molto lavoro da fare per
riconquistare la fiducia dei cittadini.
Entrando più nel dettaglio,
Transparency International ha chiesto agli
intervistati informazioni sul grado di
corruzione percepito in nove diversi
gruppi influenti, tra i quali il governo
nazionale (comprendente l'ufficio del
presidente, i membri del congresso e i
funzionari governativi), i funzionari pubblici
a servizio dello Stato e quelli che, pur non
svolgendo incarichi governativi, possono
comunque esercitare una forte influenza
(quali dirigenti aziendali o leader religiosi).
Tra le varie categorie, il presidente, le
istituzioni governative e i funzionari di
questi uffici sono considerati come i più
corrotti. Si segnala inoltre un notevole
sfavore della società civile nei confronti
della grande impresa: gli uomini d’affari si
collocano al quarto posto nella lista delle
categorie maggiormente corrotte. Come
già segnalato, i risultati rivelano anche
che la popolazione è ad oggi più critica
nei confronti degli sforzi compiuti dal
governo per contrastare la corruzione.
Nonostante i dati risultino
complessivamente negativi, si deve
segnalare una nota positiva: il sondaggio
rivela che la grande maggioranza degli
intervistati, circa il 74%, si dichiara
consapevole che i cittadini hanno il
potere di affrontare il problema e fare la
differenza, soprattutto attraverso un
corretto esercizio del diritto di voto. Il 28%
ha infatti affermato che la misura più
efficace nelle mani dei cittadini per il
contrasto alla corruzione consiste nel
votare per un candidato pulito o un
partito impegnato nella lotta a questo
reato. Tra gli altri strumenti segnalati dagli
intervistati si segnalano i social media, le
manifestazioni e le organizzazioni anti-
corruzione. Soltanto il 21 per cento ha
indicato le segnalazioni di corruzione
come soluzione più efficaci. Questo dato
è particolarmente preoccupante: la
grande maggioranza deli americani non
denuncia gli episodi di corruzione ai quali
assiste o di cui subisce gli effetti. Alla luce
delle dichiarazioni rese dagli intervistati, la
causa principale di questa scarsa
collaborazione della società civile è la
paura di ritorsioni: oltre la metà (55%) ha
indicato questo timore come la ragione
principale per cui più persone non si fanno
avanti. Si registra un aumento sostanziale
del dato rispetto al 2016, quando solo il
31% affermava lo stesso.
Visti i risultati particolarmente
negativi del sondaggio, Trasparency
International ha cercato di individuare
una serie di misure che potrebbero essere
attuate dal governo e dagli uffici
competenti per riconquistare la fiducia
dei cittadini, cercando di contrastare la
ANTICORRUZIONE
corruzione e di riallineare gli interventi alle
aspettative e ai bisogni sociali.
Tra le misure proposte si segnalano:
Assicurare una maggior
trasparenza nella spesa pubblica,
cercando di rendere disponibili e
facilmente accessibili le
informazioni riguardanti le spese
per la politica (anche relative alle
spese per le società quotate in
borsa e per le campagne
pubblicitarie);
Prevenire fenomeni di c.d.
Pantouflage, impedendo la
rotazione incontrollata di personale
tra le associazioni professionali, le
grandi imprese e gli uffici di
governo e di alta amministrazione;
Interrompere l'uso di società
anonime di copertura, che
possono essere fonte di conflitto di
interessi e/o veicoli per attività
illecite;
Rafforzare la c.d. infrastruttura
etica, ampliando i poteri e le
capacità di indipendenza e
supervisione dell'Office of
Government Ethics (OGE), agenzia
indipendente del Governo
Federale che cerca di prevenire e
gestire situazioni di conflitto di
interesse dei funzionari e dei
dipendenti degli organi esecutivi
federali;
Garantire maggior protezione per i
c.d. Whistleblowers, attuando leggi
e regolamenti che tutelino gli
informatori che denunciano
episodi di corruzione e altri
comportamenti scorretti da parte
del governo, dei suoi funzionari e
appaltatori;
Fornire un accesso di base alle
informazioni sul governo,
aumentandone la disponibilità per
i cittadini in un’ottica di
responsabilizzazione e maggior
partecipazione del pubblico nella
lotta alla corruzione.
Transparency International ha pubblicato una ricerca che individua i potenziali benefici
dell’utilizzo della “blockchain technology”, la tecnologia che sta alla base dei Bitcoin, per
il contrasto alla corruzione.
Un interessante quesito riguardante
il nesso tra la blockchain technology, alla
base del funzionamento dei Bitcoin, e la
corruzione è stato recentemente
sottoposto a Transparency International,
la più grande organizzazione a livello
globale contro la corruzione. La questione
si colloca nel contesto del recente
dibattito tra chi propone la blockchain
technology come potenziale strumento
anti-corruzione e chi invece sostiene che
le criptovalute facilitino il riciclaggio di
denaro e altre attività di corruzione.
I Bitcoin sono, come ben noto, una
delle grandi e controverse innovazioni
digitali degli ultimi anni. Il tema dei Bitcoin
ha creato notevoli dibattiti riguardanti il
potenziale utilizzo di questa criptovaluta
per fini criminali, in modo particolare per
quanto riguarda il riciclaggio di denaro e
il finanziamento del terrorismo.
Alcune delle caratteristiche dei
Bitcoin contribuiscono infatti ad
accrescerne il rischio di abuso, come la
possibilità di compiere le transazioni in
anonimato (non essendo un requisito
necessario collegare l’account attraverso
cui si svolgono le operazioni in bitcoin con
la propria identità) e la mancanza di un
organo centrale di monitoraggio. Inoltre,
contribuiscono alla possibilità di utilizzo
illecito dei bitcoin anche la loro facilità di
dispersione per evitare la riconducibilità
ad operazioni illegali e l’immediatezza
ANTICORRUZIONE
delle transazioni, che rendono
estremamente complicata la tracciabilità
dei flussi di denaro.
Tuttavia, come evidenziato da
Transparency International, non il Bitcoin
stesso ma la tecnologia su cui esso si basa
potrebbe, se adeguatamente progettata
e adattata a specifiche esigenze, offrire
notevoli benefici dal punto di vista di una
trasparente gestione di dati e del
contrasto alla corruzione.
L’architettura dei bitcoin si regge
infatti su un sistema decentralizzato di
raccolta e deposito di dati, la c.d.
blockchain technology, ovvero una
sequenza di “blocchi” contenenti dati
che vengono sigillati crittograficamente e
che sono collegati l’uno all’altro, creando
così una vera e propria catena di
informazioni. La blockchain technology è
il tipo più comune di Distributed Ledger
Technology (DLT), un sistema di “libri
mastro” (ledgers) decentralizzato e
sottoposto al controllo diffuso dell’intera
rete.
Senza entrare nello specifico nelle
caratteristiche dei diversi tipi di DLT, è
possibile individuare alcuni elementi che
potenzialmente rendono questo sistema
uno strumento particolarmente adatto ad
essere utilizzato per contrastare i fenomeni
corruttivi:
Trasparenza: i sistemi DLT registrano
tutte le modifiche apportate ai dati
immagazzinati, che potranno
successivamente essere verificate
da chiunque abbia accesso alla
catena;
Immutabilità: una volta che il dato
è introdotto nella blockchain, non
può più essere alterato ed è quindi
al sicuro da manipolazioni
illegittime;
Sicurezza: il fatto che i dati siano
contenuti in “libri mastro” diffusi li
assicura contro eventuali frodi e
attacchi rivolti a un singolo server;
Disintermediazione: i sistemi DLT
eliminano la necessità di avere
terze parti che verifichino le
transazioni, riducendo i costi
transattivi e rendendo le transazioni
meno vulnerabili a manipolazioni
da parte di soggetti corrotti;
Disponibilità al pubblico:
caratteristica di una tipologia
specifica di DLT, le c.d. public
blockchain, che sono fonti aperte
e accessibili da chiunque.
Come sottolinea Transparency
International, l’utilizzo di questo sistema ha
un elevato potenziale per migliorare la
gestione dei dati, in particolare nel settore
pubblico, e accrescere il livello di fiducia
dei cittadini nei confronti dello Stato.
Sono già stati effettuati degli
esperimenti di utilizzo di sistemi DLT nella
gestione di informazioni pubbliche, nello
specifico con riguardo ai dati catastali. In
Honduras, a partire dal 2015 si è iniziato a
sviluppare un progetto per la creazione di
un database del catasto basato
sull’utilizzo delle blockchains che
supportasse il cittadino nel difendere i suoi
titoli immobiliari davanti al giudice. In
Svezia, si sta esplorando la possibilità di
costruire un sistema di vendite immobiliari
basato su DLT e smart contracts. Ancora,
in Ghana, anche se ancora non
completamente implementato, il sistema
Bitland svolge la funzione di proteggere i
titoli immobiliari attraverso il deposito dei
dati in una blockchain. In Georgia infine, il
governo ha lanciato un progetto nel 2017
per trasferire il sistema catastale su una
blockchain, con l’obiettivo futuro di
gestire interamente con lo stesso sistema
tutte le transazioni immobiliari.
ANTICORRUZIONE
Un ambito in cui l’utilizzo dei sistemi
DLT potrebbe risultare particolarmente
interessante è quello del voto, soprattutto
in quei paesi in cui si registrano frodi e
pratiche corruttive legate ai processi di
votazione. Un’applicazione chiamata
FollowMyVote propone un sistema di voto
digitale in cui le informazioni sono gestite
attraverso un sistema di blockchain, che
garantisce l’immutabilità e la trasparenza
dei dati pur mantenendo l’anonimato del
votante attraverso l’utilizzo di chiavi
crittografate.
Un ulteriore utilizzo delle blockchain
riguarda i sistemi di finanziamento da
parte di organizzazioni internazionali nei
confronti di determinati paesi, dove
queste transazioni sono spesso soggette a
manipolazioni corruttive. Il Programma
alimentare mondiale delle Nazioni Unite,
per esempio, ha adottato il sistema
blockchain Ethereum per la distribuzione
di voucher alimentari in un campo di
rifugiati in Giordania. Fino ad ora, il
Programma alimentare mondiale ha
distribuito più di 1.4 milioni di dollari in
voucher alimentari a 10.500 rifugiati, e visti
i risultati positivi intende estendere il
progetto nel 2018 a 100.000 rifugiati.
I sistemi di blockchain potrebbero
ottenere grandi vantaggi anche per
quanto riguarda la gestione globale della
supply chain, che coinvolge un vasto
numero di transazioni e un sistema di
documentazione complesso nel quale
partecipano moltissime persone e che si
presta facilmente a manipolazioni
corruttive. Al momento, la maggior parte
delle informazioni relative alla supply
chain è fornita e conservata su supporto
cartaceo, con un alto rischio di
alterazione e/o smarrimento. La possibilità
di conservare questi dati attraverso una
blockchain renderebbe i dati relativi alle
transazioni immediatamente disponibili e
tracciabili nel tempo, facendo sì che le
transazioni stesse siano più sicure e
trasparenti. IBM sta attualmente
lavorando a questo fine per la creazione
di sistemi di gestione della supply chain.
Una delle più spesso citate
possibilità applicative dei sistemi di
blockchain è, infine, quella dei c.d. “smart
contracts”, ovvero contratti creati
attraverso codici digitali, firmati
digitalmente e automaticamente
implementati nel caso le condizioni
contrattualmente previste si verifichino.
Questa procedura presenta i vantaggi di
eliminare la necessità dell’intervento di
terze parti e, con la codifica di controlli e
dispositivi di sicurezza, di rendere il
contenuto dei contratti trasparente e
inalterabile. Le caratteristiche appena
elencate renderebbero gli smart
contracts uno strumento di grande utilità
nel settore dei contratti pubblici.
Anche se molti considerano
l’avvento delle blockchains una vera e
propria rivoluzione, rimangono comunque
numerose sfide da affrontare per
garantire sicurezza nell’utilizzo di dati
pubblici, per formulare correttamente i
c.d. smart contracts e per gestire le
catene tenendo traccia dei flussi di
denaro transfrontalieri. Fino ad oggi ci
sono stati pochissimi casi in cui si è riusciti
ad utilizzare i DLT in questo contesto con
successo. Come sottolineato in molti
articoli sul tema, probabilmente ci
vorranno anni affinché la tecnologia
maturi ad un uso diffuso e le sfide da
affrontare sono ancora molte.
Si segnala innanzi tutto la
mancanza di un adeguato quadro
giuridico e normativo che disciplini
esaustivamente il fenomeno. Dal punto di
vista giuridico, alcune questioni irrisolte
ANTICORRUZIONE
sono legate al fatto che le blockchains
sono pubbliche e i loro nodi e quindi
anche i dati in esse memorizzati possono
essere localizzati in qualsiasi paese. Alla
luce di ciò, non è chiaro quale
giurisdizione vada applicata alle
transazioni effettuate, chi sia responsabile
per eventuali malfunzionamenti del
sistema né quale sia il destino di dati
governativi che dal punto di vista giuridico
non potrebbero essere collocati al di fuori
del paese.
Anche l’applicazione della
legislazione sulla privacy solleva alcune
questioni, soprattutto in vista dell’entrata
in vigore della nuova normativa europea
in materia di protezione dei dati personali.
In particolare il funzionamento della
blockchain risulterebbe incompatibile
con il diritto all’oblio, in quanto i dati in
essa memorizzati non possono più essere
cancellati.
Rimanendo in tema di sfide
giuridiche ma spostandoci su profili
contrattuali, non è chiaro se e in che
misura gli smart contracts debbano
ritenersi legalmente esecutivi e se
debbano essere accettati dalle autorità
parti dell’operazione. Inoltre, in alcune
giurisdizioni, le forme più complesse di
contratto potrebbero necessitare di
verifica digitale di identità per poter
essere firmati e divenire legalmente
vincolanti.
Passando invece a sfide di natura
infrastrutturale, non è detto che le
blockchains siano sempre in grado di
assicurare la velocità e l’efficienza delle
transazioni. Il funzionamento delle
blockchains pubbliche infatti potrebbe
essere rallentato dal processo di verifica
che potrebbe richiedere anche diversi
minuti: in base alla progettazione tutti i
nodi devono elaborare tutte le
transazione. Si ricorda inoltre che le tasse
per l’esecuzione di transazioni su bitcoins
sono recentemente aumentate,
rendendo questo strumento meno
attrattivo per il compimento di operazioni
di modico valore. Per ovviare il problema
si potrebbero utilizzare una blockchain
privata o altre applicazioni DLT ma anche
in questo caso si pongono alcuni problemi
di tipo infrastrutturale. In generale,
l’infrastruttura necessaria per un uso
diffuso dei bitcoins non è ancora stata
completata e questo fa sì che
permangano tutt’ora problemi di
scalabilità.
Disponibile online, a partire dal 08/02/2018, la piattaforma A.N.AC. di gestione delle
segnalazioni di condotte illecite da parte del whistleblower.
È online, a partire dal 08/02/2018,
l’applicazione informatica Whistleblowing
per l’acquisizione e la gestione, nel
rispetto delle garanzie di riservatezza
previste dalla normativa vigente, delle
segnalazioni di illeciti di interesse generale
da parte dei pubblici dipendenti per uno
svolgimento più efficace dell’attività di
vigilanza anticorruzione. Potranno
usufruire della piattaforma i dipendenti
pubblici e i lavoratori o collaboratori di
un’impresa fornitrice di beni o servizi o di
un’impresa che realizza opere in favore
dell’amministrazione pubblica. L’accesso
al sistema avviene tramite l’inserimento di
un key code, che il segnalatore ottiene in
fase di registrazione al servizio.
RESPONSABILITÀ DEGLI ENTI
Raccolta delle modifiche normative al D. Lgs. 231/2001 intervenute negli ultimi mesi del
2017
Negli ultimi mesi del 2017, il D. Lgs.
231/2001 ha subito alcune modifiche
normative in seguito all’introduzione della
Legge 179/2017 e della Legge 167/2017.
La legge 30 Novembre 2017, n. 179
(c.d. Whistleblowing) ha ampliato al
settore privato la tutela del dipendente o
collaboratore che segnala illeciti o che
riconosca violazioni relative al Modello di
Organizzazione, Gestione e Controllo
(“MOG”) dell’ente, di cui sia venuto a
conoscenza per ragioni del suo ufficio.
Con l’aggiunta di tre commi all’art. 6 del
D. Lgs. 231/2001, si richiede che i MOG
adottati dalle società ai sensi del Decreto
prevedano:
adeguati canali informativi che,
garantendo la riservatezza
dell’identità del segnalante,
consentano ai soggetti in posizione
apicale e a quelli a loro subordinati
di presentare segnalazioni
circostanziate di condotte illecite o
di violazione del MOG;
almeno un canale alternativo di
segnalazione che garantisca la
riservatezza del segnalante;
il divieto di atti di ritorsione o
discriminatori nei confronti del
segnalante per motivi collegati alla
segnalazione;
adeguate sanzioni per chi viola le
suddette misure di tutela e per chi
effettua, con dolo o colpa grave,
segnalazioni che si rivelano
infondate.
L’adozione delle citate misure
discriminatorie può essere denunciato
all’Ispettorato Nazionale del Lavoro, sia
dal segnalante che dall’organizzazione
sindacale da lui indicata. Inoltre, il
licenziamento nonché il
dimensionamento ritorsivo o
discriminatorio sono nulli e grava sul
datore di lavoro l’onere di provare che le
misure adottate nei confronti del
segnalante siano fondate su ragioni
estranee alla segnalazione.
La Legge 20 Novembre 2017, n. 167
(Legge europea 2017) ha aggiunto l’art
25-terdecies al D. Lgs. 231/2001,
prevedendo che per la commissione dei
delitti in tema di discriminazione razziale
previsti all'art. 3 co. 3-bis della L. 654/1975
si applichi all’ente la sanzione pecuniaria
da 200 a 800 quote e le sanzioni
interdittive di cui all’art. 9 co. 2 del D. Lgs.
n. 231/2001 per una durata non inferiore a
1 anno. Qualora l’ente o una sua unità
organizzativa sia stabilmente utilizzata allo
scopo unico o prevalente di consentire o
agevolare la commissione dei predetti
delitti si applica la sanzione
dell’interdizione definitiva dell’esercizio
dell’attività.
Obbligatorietà della nomina dell’amministratore giudiziario in caso di confisca ex art. 53
del D. Lgs. 231/2001
Con la sentenza 6742/2018, la
Corte di Cassazione ha ripercorso la ratio
dell’istituto del sequestro finalizzato alla
confisca per equivalente dei beni
aziendali previsto dal Decreto 231/2001 e
le possibili modalità di attuazione della
misura, specificando anche i compiti
attribuiti al custode e amministratore
giudiziario. Proprio alla luce di queste
ragioni la Corte ha affermato che la
RESPONSABILITÀ DEGLI ENTI
nomina dell’amministratore giudiziario
rappresenta un passaggio inevitabile
perché “presupposto imprescindibile per
l’esercizio dell’attività aziendale” e, nel
caso sia stata omessa, la parte interessata
deve rivolgersi all’autorità giudiziaria
affinché provveda.