Post on 09-Mar-2016
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“È qualcosa di sublime, leggere questo appassionato scambio, il cui principio risiede in tenerezza, per poi salire i crinali delle emozioni carnali, diventare sensualità sempre alta. Cambia di volta in volta in maniera quasi impercettibile, abbandonando una formula precisa fatta di "noi che" nel culmine della sua bellezza ed enfasi. L'ho letta d'un fiato assaporandone ogni verso, vivendo in quegli intrecci, sorbendone i sapori.”
Maredinotte
Noi, che mi trascini più in là dell'essenza dei fiori, dove le clausure s'interrompono verso le ali. Noi, che ti vivo nelle cose del giorno e cammino senza scarpe sulle tue parole. Noi, che siamo lega di duri metalli, che, fabbri, ci forgiamo continuamente per poi arrotolarci nelle nuove forme. Tu, che ci mettiamo sul davanzale come gerani d'autunno, io, che rincorriamo ogni gesto per farne angoli dove nasconderci, noi, siamo un solo amore
Noi che è Natale e chiedi
al mio sorriso di sfidare la gravità di
una colata di cera
Noi, che ti vivo nelle trame dei calici
e ascolto ribollire la notte appesa ai tuoi occhi
Noi,
bronzo e nichelio ci impastiamo alla verginità
dell’oro
Tu, che nevichiamo sui fiori
e sul pane con l’impertinenza di un bambino
io,
che come il grano, non abbiamo fretta ché conosciamo il quando
noi,
d’amore, aver sembianze
Io, che ci immergiamo innalzandoci nelle meraviglie della bocca Tu, che replichiamo i noi fino a perdersi nei minuscoli cieli degli occhi Noi sigaro e colonia nell'unicità della carne che ti sorprende Noi, che nuoto sulla dorsale delle inebrianti sequenze Noi amore non ancora creato
Io, che siamo lo zodiaco
sull’ orlo di un vassoio
Tu, che ci sappiamo stare stretti
nel noi, che ha solo due maniche una risvoltata al polso
Noi
viola e salsedine per non bruciar di sale
per non annegare di santità
Noi
che abbiamo le sequenze trine
i paraventi color paglia
Noi che, vedi- non vedi
e poi tu, che attraversiamo le tende contro il sole ed io che beviamo la coppa nello stupore del corpo e noi che rotolo per la tua valle VERDEORO e ancora noi nel vessillo madreperla sopra la porta E come seme tu e come vento io e noi per fiorire nel sogno
e poi di noi, che ci mancava sempre il sole l’aria dietro le tende io raccoglievamo i fiori in punta di dita per non far rumore tu srotoleremo le finestre a colazione, invertendo i registri al singolare noi, ali di forbici a inseminare il vento Mi taglierai la gonna?
e di quei noi che ti vedo entrare nelle fessure dell'acqua che mi scorre dentro o di quei noi dei pontili umidi la sera con una luna per corona Di quella tu che ci rimangiamo le offese nei verticali baci senza reggi seni comprendendo la vertigine dell'orizzonte o di quando, finiti i no riprendiamo tutti i si appesi al muro E tu resterai?
resterò perché l’amore ci somiglia perché siamo l’acqua e il pane
e calziamo lune a forgia di corone semplicemente
attraversando una piazza col passo d'aquiloni, come tutti i nostri sì
appesi all’intonaco quasi incenerito dai moccoli di sale buttato alle rovine
pensa, a levante nasce il sole, il verbo
tra i pastori, quasi domani, quasi domani
allora attraversami tempo inesatto e lascia sudore e voce sulla mia carne riassumi il canto in una sola nota, bagnami della tua essenza Io porterò gli aquiloni e tu la piazza, avatar della mia poesia, quarto dono magico e quando sarò farfalla conterò i rosa del tuo seno e a milioni, allora, saranno i domani Genera una stella e regalami la sua luce, stasera, che non ho fame
cucinerò la cena delle sette stelle con companatico e linfa contadina
a cercare pergolati anche in dicembre
fiori e neve di damasco con una goccia di sangue qua e là come petalo di rosa sul mio seno
le labbra di un domani
che chiede sostentamento un faro, una coperta, latte caldo
e margherite per mantello
sono sazia stasera, ma ho l’acqua alle caviglie, che
sembra quasi non sia Natale
Non lascerò che si raffreddi il prossimo confine misurato senza grandezze, dai ripostigli pieni per quando sarà buio Richiamerò i germogli dietro la vanga per quei noi che m'imprigioni d'amore, che sani le ferite Per quei noi che, albero regina, cielo femmina mi soffi nel petto il nome inedito della carne
lascia che sciolgano tutti i confini al buio
quell’ansa acerba di mare che ci appartiene
e metti mano alle vettovaglie tacito tu, dei miei sproloqui
cieco ammirar di gloria
accenterò piccole gemme che mai furono assenti, forse spente
foglia dopo foglia come silloge di frange
che scivola, rapprende, resta
e come rosa carne il nuovo anno, spanda