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La storia del Bosco Gazzolo di Giuseppe Bonzi, pubblicata nel 1911 su il foglio
ovadese L’Alto Monferrato – Corriere della Democrazia.
(Anno I, 1911, numeri 11 – 12 – 13 – 15 – 16 – 19 – dal 3 settembre al 5
novembre.
Note di Storia Regionale.
L’egregio Avv. Giuseppe Bonzi, Commissario Prefettizio di Castelletto d’Orba,
assumendo ai primi di giugno l’importante ufficio a cui era stato chiamato,
prometteva in pubblico manifesto di studiare, fra le altre questioni, quella
importantissima e quasi millenaria del Gazzolo.
Fedele alla promessa, il 20 c.m. pubblicò un’ampia relazione delle sue diligenti
indagini, che noi crediamo far cosa grata ai nostri lettori pubblicare.
È una interessante pagina di storia locale esposta con criteri di severa obiettività
storica, basata su documenti giacenti negli archivi, piacevole per la forma eletta con
cui è presentata, che fa onore all’egregio estensore, già noto come appassionato e
intelligente cultore delle discipline storiche.
Trasformazione del Bosco Gazzolo
1 – Necessità e convenienza di una risoluzione
Non ha le tradizioni del saltus e del lucus che l’arte e la fantasia pagana
popolavano di Fauni e di Sileni, di riti e di misteri, non è la selva selvaggia che la
paurosa credulità medioevale faceva rifugio di stregoni e di banditi, non racchiude le
sacre antiche piante dei Druidi e dei Poeti; non copre di ombra e di frescura una valle
romita, né protegge erte pendici, né forma la chioma ammirata di un monte altero; il
bosco del Gazzolo è semplicemente una landa volgare, una radura pedestre, un
terreno coperto di gerbido e di cespugli rachitici, squallido, dimesso e stremenzito.
Da secolo il bosco Gazzolo invoca la pietà e la ragione dei reggitori della pubblica
cosa, per essere tolto dall’avvilimento e dalla inerzia, donato al lavoro vivificatore
della marra e dell’aratro, onorato della lieta compagnia dei luoghi circostanti, che la
madre terra fan bella e benedetta di messi dorate e di pampini giulivi.
Ed è invero un secolare scempio, uno spettacolo strano e strambo il vedere ogni
lustro invasa quella proprietà da un’onda di popolo, che vi taglia e ne asporta poche
ramaglie, brughe e fogliame, quanto basta appena a compensare il lavoro impiegato, e
ancor più il mirare la Comunità, che paga ogni anno un’imposta media di lire
cinquecento, mantiene con altrettanta spesa una guardia campestre, senza trarne che
un meschino provento saltuario di poche lire per erba, per brughe e per fogliame negli
anni in cui non ha luogo il taglio lustrale.
Il lucro cessante, la differenza cioè fra il prodotto di una cultura agraria intensiva e
quello del bosco, è incalcolabile; sono migliaia e migliaia di lire sottratte
all’economia agricola del paese; il danno emergente si ha nell’annuo migliaio di lire
in media che l’amministrazione Comunale getta come in una voragine misteriosa ed
ammaliatrice.
Ben si può dire che il Comune abbia da secoli ceduto ad un incanto, ad una forza
ignota, se non ha saputo o potuto trasformare quella proprietà e convertire la sensibile
perdita annuale di un reddito per l’azienda sua e il danno in un incremento
dell’agricoltura paesana. Eppure era tanto facile il vincere l’incantesimo e il
disperdere l’influsso maligno con un soffio di buon volere e di fermo proposito.
Tentiamo adunque risolutamente l’impresa, che io non chiamo ardua, come sempre
apparve, ma che affermo facile e piana come il soffio che ho detto.
II – Vicende del Bosco Gazzolo – Documenti
E come ogni procedere umano ha la sua 'base nel fato e nel fatto storico, e come il
presente e l'avvenire sono incatenati al passato, cosi ragion vuole che, per un disegno
di trasformazione del Bosco del Gazzolo, tracci un rapido cenno delle sue vicende; al
qual uopo pensai anzitutto radunare e considerare quante più carte mi fu concesso di
scorgere nell'archivio Comunale, mancandomi il tempo e occorrendo spesa per
rintracciarne in altri archivii o notarili o dello Stato.
In qual modo sia nata e siasi costituita la proprietà del Gazzolo non è possibile
accertare, perché nessun documento formale trovasi nell’archivio e neppure leggesi in
atti scritti ricordato, con data e nome del notaio o autorità da cui sarebbe emanato. Ho
però posta la mia attenzione sopra un ricorso di molti capi di casa all’Intendenza
d’Acqui nel 1834, che contiene caratteristiche affermazioni ed espressioni, e che qui
trascrivo per intero, come quello che spiega e legittima l’attuale stato di cose e dà
un’intonazione, oso dire sicura, per un’equa, ragionevole soluzione del secolare
problema.
Ill.mo sig. Intendente
Rappresentano riverentemente i sottoscritti e crocesegnati formanti la maggior
parte dei capi di casa di Castelletto d’Orba che, nei secoli scorsi, la Dama Teresa
Fieschi Adorni, della famiglia degli antichi Feudatari di detto luogo, legò al Comune,
o per meglio dire ai poveri del luogo, un vasto bosco ceduo di legna forte posto su
questi fini nella regione denominata il Gazzolo, di quale lascito risultava da
testamento della Benefattrice del quale per molti anni si conservò copia autentica
nell’Archivio Comunale e smarritosi quindi o per incuria, o forse anche per colpa di
qualche sindaco o Segretario e ne risulta tutt’ora da una costante, notoria e non
interrotta tradizione.
Egli è poi così vero che detto bosco fu legato ai poveri, che sotto il cessato
Governo essendosene voluto ordinare l’alienazione come stabile Comunale,
l’Amministrazione di quel tempo ottenne che si sospendesse tale alienazione, con
aver giustificato presso il Governo che detto stabile non poteva riguardarsi come
spettante al Comune in generale, ma bensì ai poveri di esso.
Detto bosco soleva tagliarsi ogni determinato numero d’anni e dividersene il
prodotto in porzioni uguali per ciascuna famiglia ciò che nel paese si indica sotto
nome divisione a fumanti ma quindi s’introdusse qualche volta l’abuso di dividerlo a
Registro, come ivi si suol dire, il che i dividenti prendono maggiore quantità di legna
in proporzione del maggior scutato od estimo dei beni da loro posseduti e loro
accolonati in Cadastro, in guisa che più le famiglie sono ricche e più esse
prendevano legna o qualche altra volta per correggere l’enormità dell’introdotto
abuso si usò di dividere il bosco e tagliarvi per metà i fumanti e per metà a registro,
quali divisioni ebbero sempre luogo e si eseguiscono per ordine, e sotto l’ispezione di
Consiglio Comunale.
Pare impossibile a primo aspetto, che un Pio lascito avente per soggetto il sollievo
dei poveri abbia potuto snaturarsi in modo da tanto servire ad impinguare invece le
sostanze dei più ricchi con manifesta ed ingiustissima violazione della benefica e
caritatevole signora testatrice; se si riflette però che li Amministratori Comunali
vengono scelti ordinariamente fra le persone più agiate del luogo, le quali per
conseguenza trovano maggior lucro e vantaggio dalla divisione a registro, che i povei
furono sempre la vittima e la preda dei ricchi, e che la loro parte fu sempre il gridare
e poi il soffrire, cesserà affatto tale meraviglia; né vuolsi tacere che nelle annate in
cui i poveri rivendicarono coraggiosamente i loro diritti, ed in quella in cui furono
sindaci persone, cui più stava a cuore la giustizia e l’esecuzione fedele della volontà
della Pia testatrice, che il proprio vantaggio, la divisione del bosco si fece a fumanti e
non a registro-
I ricorrenti però non vorrebbero vedersi anche adesso ridotti alla circostanza di
dover fare valere i priorii sacrosanti inviolabili diritti con mezzi violenti, e tali che
potessero poi loro ascriversi a colpa. E perciò ad evitare simile pericolo hanno
pensato di ricorrere, come ricorrono alla paterna e benefica sollecitudine di V. S.
Ill.ma pel bene dei suoi amministrati si ricchi che poveri.
Supplicandola acciò presa in benigna considerazione l’esposto si degni di ordinare
all’Amministrazione Comunale, oppure al Sindaco di Castelletto d’Orba, acciò che
nell’imminente taglio di detto bosco voglia ordinare la divisione del taglio a fumanti
e non a registro.
Premesso questo scritto, che sembra dettato in questi giorni da un apostolo del
verbo novello, ritorno di alcuni secoli addietro per narrare la promessa istoria, e noto
che il primo cenno del Bosco del Gazzolo si ha, parlando solo dei documenti
posseduti dal Comune, negli statuti suoi, Facta et ordinata anno millesimo
duecentesimo primo die octava mensis madii et nunc de novo emendata et correcta
anno millesimo CCCL.
In tali Statuti si hanno i capitoli:
Quod nemo incidat in boschis comunis. Item statuerunt et ordinaverunt quond si
quis inciserit vel deportaverit ligna de boschis Comunis Gazolij vel Feijhe sit in
banno profasse solidorum X Terdonesium proasinatas XX pro trasata vel barocio
XXX, pro curro XXXX cuius banni mediates sit communis et alia consulum.
Quod nemo colligate fenum. Item statuerunt et ordinaverunt quod si quis coligerit
cum messurorio vel seghorio herbam in Gazolio Comunis causa faciendi fenun, sine
licentia Consiglii sit in banno solidorum pro qualibet vice.
Attestano questi tratti degli antichissimi statuti, che il Comune possedeva già nel
1290 boschi non solo nella regione Gazolo ma eziandio nella regione Feijha, certo
l’attuale Feja, e che gli abitanti di Castelletto vi accorrevano allegramente a far legna
ed erba per nulla paurosi del bannum, cioè dell’accusa e conseguente multa, come
ancor avveniva tre secoli dopo.
E di si lungo tempo devo nel racconto fare il gran salto, perché dagli Statuti
predetti non si hanno più documenti nell’Archivio Comunale fino al volume dei
convocati, che comincia coll’Aprile 1603, in cui s’incontrano frequenti cenni del
Gazolo.
Il 25 stesso mese si prenotano fra le spese da pagarsi colla taglia lire 11.5.4. a
messer Antonio Amerio, per aver misurato il Gazzolo, e si è poi ordinato che si debba
estimare il Gazolo del comune a danni o delli compari o delli accusati; il 15 Agosto
stesso anno 1603, i consiglieri unanimi e concordi hanno deliberato che si tagli il
Gazolo, cioè quella parte che si trova in essere per potersi tagliare, quale messer
Gerolamo Cassulo ed altri consoli hanno detto aver fatto misurare et essersi trovato
trabucchi centosessanta, et che sii ripartito a teste e registro; il 24 detto Agosto hanno
proposto in tal consiglio che essendosi tagliato il bosco del Gazzolo, vi sono molti
che vanno di notte a detti boschi sotto il pretesto d’andare a pigliare la sua parte delle
legne e spostano la parte degli altri, e perciò hanno deliberato si faccia una grida che
alcuno non possi andare di notte a pigliar di dette legne sotto pena di tre scuti per
carro, scuti uno e mezzo per barozzo o trasa e scuti uno per soma e mezzo scuto per
fascio, qual pena la metà sia del Comune e la metà del podestà.
Queste pene come si vede, riproducono il bannum degli accennati Statuti.
Nello stesso anno 1603, il 18 novembre, il Consiglio delibera di fare una nuova
capitolazione e riforma del registro, registrando tutti li beni che sono sul finaggio di
Castelletto, escluso però il Bosco del Gazolo, il quale non è mai stato posto a registro
alcuno.
Mentre così, i riferiti scritti dichiarano il bosco Gazzolo del Comune, affermano il
fatto che si tagliava periodicamente, ripartendolo a teste e registro, come si praticò
fino a questi ultimi anni, in cui sotto l’influsso dei principii nuovi e per merito forse
del riportato ricorso, scomparve il criterio del registro e rimase solo quello delle teste;
ripartendosi cioè in porzioni uguali fra i capi di casa.
Nei susseguenti secoli continua monotona la stessa consuetudine del taglio e del
riparto. Nel convocato del 24 maggio 1630 deliberatum fuit di far grida che ognuno
debbi aver tagliato la sua parte del Gazolo fra il termine di giorni quindici, ciò che
dimostrerebbe che ciascuno facesse in tal bosco il comodo suo.
Nel convocato del 17 novembre 1652 leggesi il seguente garbuglio:
Item deliberatum fuit che si ponghi il Gazolo in Comune conformemente alle altre
volte et solito con che li partecipanti possino tagliar le propria parte tra qui e la metà
del mese di Aprile venturo inclusivo, quella però che sarà da tagliare, et che ognuno
debbi pagar li fitti decorsi e non pagati, e così lo pongono et dichiarano libero a
partirsi conforme all’antico stile.
Il 5 Agosto 1668 si deliberava:
In quo Consiglio sic congregato propositum fuit per dominos Nobiles Consules
esser bene di sbandire e ripartire il Gazolo per essere propizia la stagione che però
ogni uno dica il suo parere se si debba fare.
Deliberatum fuit per dominos Nobiles omnes unanime et concorde esser bene di
ripartirlo e far fare le sue bollette a famiglie e conforme al solito, dando autorità a
nobili Consoli di fare quello sarà necessario et opportuno per tal fatto.
Il 29 Luglio fu deliberato:
In quo quidem Consiglio propositum fuit per dominos Consules esser tempo di
sbandire il Gazollo per poter fare quella puoca legna. Et omnes unanimes et
concordes nullunque discrepans responsum dederunt esser bene a liberarlo e
sbandirlo purché si facci questo avanti S. Lorenzo prossimo, ordinando alli detti
Consoli, che in questa settimana lo facciano misurare e indi ripartire, acciò nella
settimana seguente a questa entrante si possi tagliare, e tanto concludono e risolvono.
Come saggio delle deliberazioni che si prendevano nei secoli scorsi intorno al
Gazzolo riferiscono ancora la seguente del 16 Agosto 1745:
Al qual Consiglio è stato da detti signori Consoli rappresentato esserli stato il
giorno d’oggi intimato copia di supplica sporta al Sig. Giudice di questo luogo da
alcuni Particolari migliori Registranti ed altri che pretendono si debba distribuire il
Bosco Comunitativo del Gazzolo a Registro e non a fumanti, con decreto citatorio del
giorno di oggi 16 corr. di comparire avanti questo Sig. Giudice in contraddittorio il
quinto giorno e intanto non innovarsi cosa alcuna intorno al taglio di detto Bosco,
sotto pena di scudi 25 d’oro al fisco applicandi come meglio da detto Decreto si vede,
al quale e come che li suddetti i sig.ri Consoli e Consiglieri infrascritti intendono dire
et eccepire ragioni contro detto nullo, et insusstente (sic) raccorso e decreto intorno al
taglio di detto Bosco, che intendono si debba tagliare a fumanti, come si protestano
con promessa di tutti i danni che il pubblico ne possi patire per il ritardamento del
taglio suddetto contro li suddetti particolari, fanno instanza provvedersi in ogni
miglior modo intorno al detto fatto.
Il che udito il Prefato, Magnifico Consiglio come sovra ed infra congregato tutti
unanimi, concordi e niuni discrepanti hanno deputato e deputano li Nobili Gio Batta
Spoltorno Console, Giò Batta Verro e Giuseppe Maria Traverso di questo luogo con
facoltà di assistere a detto contraddittorio per il taglio del Bosco suddetto e andar a
parlare all’Ill.mo sig. Marchese Davide figlio del signor Marchese Alessandro
Adorno, padrone utile di questa contea, secondo l’intelligenza passata con il Sig.
Avv. Marengo Giudice di questo luogo ed altresì di fare tutti quei passi opportuni e
necessari a farsi per detta causa.
Qual esito abbia avuto la insorta contesa non giova indagare, dal momento che con
atto 4 Agosto 1785 il consiglio: «sul riflesso che questa Comunità da tempo
immemorabile è stata solita ripartire e distribuire d’anno in anno una porzione di
detto Bosco à suoi locali possidenti a proporzione del Registro di caduno, perciò a
norma dei supplicanti, in dipendenza di convocato de 30 Luglio 1779 con cui questa
amministrazione per la migliore conservazione, e reddito di detto Bosco ha deliberato
di accordarlo ad affitto perpetuo ai particolari nativi, e domiciliati in questo luogo,
possidenti su questo territorio a proporzione del loro rispettivo Registro colle
condizioni in esso apposte, resta necessario formarsi i Capitoli e regole da osservarsi
per detto affittamento, giacché nelle congreghe a tal effetto fattesi nei giorni scaduti
non è riuscito a tanto effettuare massime che alli dieci di questo mese va a scadere la
proroga a tal oggetto riportata dalla Regia Intendenza col decreto undici scaduto
Luglio, onde insta deliberarsi.
Sovra del che fatto serio e maturo riflesso li prefati ed infrascritti sig. Congregati,
tutti unanimi e concordi, e niuno d’essi discrepante hanno deliberato e deliberano di
formare le narrati Capitoli e regole».
Ma del divisato affittamento enfiteutico si fece nulla di nulla, finchè l’Intendente
Generale d’Acqui emise il 27 aprile 1792 un lungo decreto per la ripresa dell’affare,
decreto che fu seguito da una molteplicità di atti riusciti pur vani, fra cui uno, il
verbale 25 maggio 1792, racconta, e scusa che non erasi esaurito un incombente
prescritto dell’Intendenza, la lepida avventura toccata al messo che ritornando da
Acqui, è caduto nel Bedale del Molino di Morzasco bagnandosi le carte; segno forse
ancor questo di iattura per il Gazzolo!
Altra curiosità risulta da un registro del 1809, aver cioè servito esso in parte di
compenso ai capi famiglia, per somministranze fatte alle armate austro – russo –
francesi.
Nel 1832 – 1834 si risollevò intanto, col caratteristico ricorso sopra riferito, la
questione della distribuzione del taglio a Fumanti o a Registro, qual erasi già agitata
colla citazione del Comune avanti al giudice di cui nel pur riferito atto 16 agosto
1745; questione che fu risolta come si richiedeva nel ricorso stesso, perché si ha una
nota nominativa di capi di casa delle famiglie povere in n. di 110, approvato dal
Consiglio il 30 Agosto e dall’Intendenza di Novi il 10 ottobre 1836, che prescrivono
doversi la distribuzione della legna farsi in parti uguali.
Noto come notizia di fatto che un’altra lista di capi di famiglia del 25 aprile 1842
era già salita al n. di 373. E veniamo al 1846 in cui si ritornò a trattare della
concessione del Gazzolo in enfiteusi perpetua con atti del Consiglio 14 febbraio e 2
aprile e decreto dell’Intendenza 20 marzo, egualmente caduti nel nulla.
Nel 1854 vi fu un tentativo del Comune per esercitare un assoluto diritto di
proprietà suk bosco, escludendo i proprietari dal taglio. Questi insorsero rivolgendo al
sig. Intendente di Novi ricorso, in cui è detto:
«Che da secoli sono nel possesso pacifico di sfruttare 190 circa giornate di bosco
di rovere site in quel territorio (Castelletto) e divise in tre pezze.
Che non si sa il motivo per cui il Consiglio Delegato ed il Sig. Sindaco nello
scorso mese di Aprile si fece lecito d’inviare sessanta uomini circa per tagliare la
legna in detti boschi esistente, in vista di qual usurpazione 150 uomini circa di detti
capi di casa si portarono a quel bosco, e cogli 60 uomini inviati dal Comune
lavorarono tutto il giorno 18 dello stesso mese nel taglio predetto, e che il Sig.
Sindaco la sera del medesimo giorno fece battere il tamburo dell’usciere Comunale,
dicendo all’indomani ciascun capo di famiglia andasse ad ultimare la recisione di
detto bosco, a cui concorsero quasi tutti i capi di famiglia, speranzosi che il prodotto
di detto bosco, il quale ascende a 320 barche circa, ossia cataste, composte ciascuna
di cento fascine verrebbe divisa in parti uguali tra gli anzidetti capi di casa, come ne
ebbero promessa dal prefato Sig. Sindaco di detto Comune, e come fu deciso pure dal
Consiglio stante la convenzione rinnovata nell’anno 1832 circa, ed approvata
dall’Ill.mo Sig. Intendente Novadis qual pratica ebbe sempre il suo effetto per lo
passato.
Non è quindi senza stupore dei sottoscritti l’aver letto nell’Albo pretorio negli
scorsi giorni che l’anzidetta legna verrebbe incantata, e deliberata al miglior offerente
a profitto dell’erario Comunale in disprezzo dell’acquistato e non mai manomesso
diritto da centinaia d’anni mentre i sottoscritti deggiono soffrire il disdoro di vedere
dette barche o cataste di legna e custodite da 30 Carabinieri quasi ché gli infrascritti
fossero rivoltosi e resistenti alla superiore autorità.
Che gli esponenti si obbligano comprovare in via giuridica le incontestabili loro
ragioni per la materiale divisione di detta legna, giusta il sin qui pratico, intanto però
rendonsi opponenti onde le 320 barche di legna vengano incantate nel 27 corr. mese e
supplicano la S.V. Ill.ma volersi degnare di sospendere detto incanto per un termine
sufficiente a potersi provvedere in via giuridica nanti i Tribunali ordinari ed
amministrativi stando per tal oggetto provvedendosi dei necessari documenti».
L’Intendente, con decreto 26 Maggio 1854 pedissequo al ricorso, se ne lavò le
mani dischiarandosi incompetente, per essere la vendita stata autorizzata dall’autorità
superiore; salvo ai ricorrenti di far valere altrimenti i loro diritti.
L’Amministrazione Comunale però di fronte alla imponente dimostrazione del
popolo di Castelletto, che il 18 Aprile erasi recato in massa nel Gazzolo, e alla
plenaria sottoscrizione del riferito ricorso, recedette con atti 22 e 26 Aprile dal
proposito della vendita della legna tutta e prelevato quanto occorreva per la spesa del
taglio eseguito, distribuì il resto ai capi famiglia.
Il Comune ebbe poi l’ingrata sorpresa di vedersi richieste lire 845, 83 per
l’intervento dei R.R. Carabinieri, al cui pagamento si oppose un ricorso al Ministero
12 Settembre, nel quale pure si contengono utili notizie sulla questione
Dal 1854 si prosegue tranquillamente nel consueto taglio per parte dei capi di
famiglia. Il bosco intanto era andato miseramente deperendo ed il Consiglio, con
deliberazione 1 Novembre 1870, munito del parere dell’Ispettorato Forestale, tentò
introdurvi miglioramenti. Il 22 Ottobre 1881 ripreso il proposito di risolvere l’eterna
questione, e il Consiglio si appigliò alla vendita del Bosco in 10 lotti per pubblico
incanto; indi nuove sollevazioni degli abitanti con ricorsi al Sindaco e al Prefetto, a
cui il Consiglio volle resistere con una lunga dimostrazione del 6 maggio 1883 ma fu
opera vana.11
Noto un’altra volta che i capi famiglia partecipanti al taglio da 373, risultanti dalla
lista del 1842, salirono a 506 nella lista del 1884.
Nel 1885 11 ottobre l’Amministrazione Comunale fece l’altro tentativo di imporre
la tassa di L. 1,50 per ogni partecipante, e ancor questo riuscì vano, risultando che
non fu mai esatta simile tassa. Con atti del Consiglio stesso 28 dicembre 1889 e 3
aprile 1890 si deliberò pure un Regolamento per l’uso del Bosco, senza che mai abbia
avuto vigore.
La febbre però per dar assetto alla disgraziata proprietà nominalmente Comunale
cresceva a misura del lavoro di Sisifo che continuava più intenso che mai;
imperocché con atto del Consiglio 18 maggio 1890 si discusse nuovamente
dell’alienazione, divisione e affittamento; interloquì la G.P.A. con decisione 20
agosto 1891, che rinviava gli atti al Comune, il quale li lasciò ancora una volta cadere
in abbandono.
Riprese tuttavia la cosa il 14 agosto 1892 col deliberare la vendita della porzione di
bosco disgiunta dalla maggior pezza, un quarto circa, compresa fra la strada da S.
Cristoforo a Capriata e la proprietà di taluni abitanti di quel primo Comune, i quali
pretendevano e reclamavano un passaggio sul confine di tal posizione, per accedere ai
loro fondi. Anche qui intervenne la G.P.A. con decisione 13 Aprile 1893, che non
approvò la citata deliberazione della Giunta Comunale in data 21 ottobre precedente.
La questione del predetto passaggio diede luogo ad una lunga ed intricatissima lite,
che testè soltanto si chiuse con atto di transazione 26 agosto 1909, rogato Arrighetti,
mediante la vendita ai proprietari di S. Cristoforo della striscia di Bosco necessaria
alla strada.
Riprendendo il racconto al 1894 è interessante conoscere che la voce della vendita,
sia pure parziale, inasprì gli animi della popolazione, la quale nella sera del 23 agosto
si abbandonò a disordini.
La Giunta Municipale pubblicò all’indomani un manifesto, in cui si raccomanda la
calma, «colla quale, soggiunge, potrà la popolazione far sentire le proprie ragioni e
così d’accordo Municipio e popolo si potrà venire allo scioglimento della questione
del Gazzolo con altro progetto utile ad entrambi. Assicura intanto la Giunta non esser
vero che si venda il Gazzolo mentre tutto si ridurrebbe alla cessione di una piccola
parte richiesta per passaggio da proprietari confinanti».
E così realmente avvenne come si è sovra esposto.
Noto a questo punto che la lista dei partecipanti al taglio nel 1894 era salita a n.
520.
Noto eziandio che nella seduta del Consiglio 1 Maggio 1897 si discusse una
mozione del Consigliere Dott. Cortella per la divisione del Gazzolo, deliberandosi il
rinvio, e che in quella 1 febbraio 1900 si approvò una proposta di affittamento del
bosco in lotti, la quale ebbe la sorte delle precedenti.
Riposò la questione fino al 1910 in cui divampò con la discussione fattane nella
seduta del Consiglio 11 aprile e conclusa in quella del 15 novembre colla proposta di
bandire un referendum sui quesiti:
O LA DIVISIONE, O LA TRASFORMAZIONE IN CULTURA AGRARIA MEDIANTE
AFFITTAMENTO.
Tale deliberazione fu annullata con decreto del Prefetto 13 dicembre 1910; quindi
si promosse una pubblica sottoscrizione per chiedere senz’altro la divisione, che il
Consiglio del 15 gennaio 1911, in adunanza di 2° convocazione, con l’intervento di
soli 7 consiglieri, approvò all’unanimità.
La G. P. A, a cui fu inviato tale atto, senza il corredo di altri documenti e
schiarimenti, mentre tanti ne occorrono, rinviò l’affare al Comune per ulteriori studi,
con decisione 3 Marzo 1911. La quale decisione col citato voto del Consiglio 15
Gennaio volle il Comune sottoporre al valente Giurista Avv. G.B. Cereseto, per il suo
parere, che diede in data 28 Marzo, esponendo un progetto di distribuzione agli
abitanti del bosco in enfiteusi, mediante il canone di qualche lira all’anno ogni
partecipante.
É a notarsi a questo punto che nell’agosto 1910 si è proceduto al taglio della legna,
e che i partecipanti ascesero a N. 551, come da apposito elenco, che vuol essere
tenuto quale uno dei principali elementi per l’intrapresa trasformazione,
Non è forse affatto una vanità l’accennare al perchè del nome Gazolo o Gazzolo,
quale si legge promiscuamente negli scritti innumerevoli, che trattano l’argomento.
Il G.B. Rossi nel suo libro I Paesi e Castelli dell’Alto Monferrato e della Langhe
dice a pagina 131 che fu così «chiamato con voce longobarda Gazina, Gadium, ed
anche Sylva Regis, col quale nome venivano indicati i boschi riservati alle caccie del
sovrano».
Non è il caso di discutere queste affermazioni, che dovrebbero essere rafforzate da
documenti; noto solo che negli scritti è spesso il bosco dichiarato in regione Gazolo e
che su quel di Ovada vi ha pure una località chiamata Gazzolo, per modo che un tal
nome potrebbe semplicemente significare un luogo di gazze.
Ho pur voluto raccogliere notizie intorno a simili proprietà, possedute in altri
Comuni, e son risultate le seguenti:
In Alice Belcolle esisteva anticamente una proprietà boschiva, che venne divisa fra
le famiglie del paese, mediante sorteggio di lotti.
In Bergamasco esiste tuttora un tenimento boschivo detto delle Sorti, proprio degli
originari, formanti una comunione, retta da Regolamento approvato da Regio Decreto
2 Dicembre 1841.
In Bruno esisteva pure una vasta plaga di boschi, che furono dal Comune divisi fra
169 particolari, con atto 26 Settembre 1869 rogato Dalponte, mediante la costituzione
di una rendita fondiaria di lire 11 caduno; ciascun lotto estratto a sorte era di are
cento circa.
In Carpeneto si possedeva da tempo immemorabile una vastissima zona di bosco
che era diventata quasi d’uso pubblico. Nel 1859 il Comune vendette tale proprietà
all’asta in 67 lotti.
In Tassarolo possedevasi una notevole quantità di terreno coltivo e boschivo che il
Comune concedeva di regola in affitto novennale diviso in lotti.
L’esperienza dimostrò che tal sistema era rovinoso, perchè i terreni erano mal
tenuti; e il Comune risolvette quindi di alienarli ai nati e domiciliati del Comune
stesso. Si formò la nota delle famiglie aventi diritto, si formarono i lotti di cui una
commissione apposita determinò il prezzo, fu fatta pubblica estrazione e l’atto di
vendita a ciascun capo famiglia colla mora di dieci anni al pagamento del prezzo
stesso.
Varie e diverse furono così le vie seguite da altri comuni nel governo e nella
destinazione di siffatte proprietà collettive e di carattere indeterminato, ma quasi
sempre si risolvette di trasformarle in proprietà privata.
Considerazioni giuridiche.
Tali sono a grandi tratti le vicende del bosco Gazolo, tali gli atti ed i fatti che ne
furono bei secoli argomento; di fronte ai quali la figura giuridica che si presenta è ad
evidenza una comunione perfetta.
Il maggior partecipante è il Comune, come quello che, per il tacito mandato degli
altri, ha sempre esercitato il dominio della comunione e sopportato i pesi
dell’amministrazione, della custodia e dei tributi; i capi famiglia sono i partecipanti
minori in parti uguali a quanto sopravanza, dopo l’equo prelievo spettante al
Comune.
Giova spiegare altrimenti questo punto cardinale del problema.
In mancanza, come si vede, di un titolo costitutivo originario, sarebbe stato ovvio,
naturale, regolare e doveroso, formare ad antiquo uno Statuto o regolamento della
proprietà in discorso e del suo godimento qual si emanò, ad esempio, per la
comunione boschiva di Bergamasco col succitato R° Decreto 2 dicembre 1841. Ciò,
come pur si vide, fu tentato ma non compiuto. Devono dunque subentrare le norme,
le disposizioni, le pratiche consuetudinarie, le presunzioni e le valutazioni, che il
senso d’equità e d’opportunità, più che il rigoroso criterio giuridico, possono
suggerire.
Nella fattispecie abbiamo un Comune che sta pago di possedere la vasta proprietà
boschiva, custodirla e pagare i tributi, per poi abbandonare il taglio ogni cinque circa
anni ai capi famiglia, senza il minimo corrispettivo; e ciò per pratica costante oltre
secolare.
Vero è che il Comune ha di quando in quando posti fra le entrate Comunali taluni
proventi per erba, brughe, fogliame, ceppaie, piante d’alto fusto, ed ultimamente, col
citato atto 26 agosto 1909, rogato Arrighetti, anche per la vendita di una striscia di
bosco ad uso di strada; ma ciò devesi intendere aver eseguito non in virtù di un
assoluto ed esclusivo diritto di proprietà, bensì col tacito consenso dei partecipanti
capi famiglia e come compenso dei pesi che sopporta e delle cure amministrative che
presta. Tali capi famiglia che, senza corrispettivo veruno vanno a raccogliere il frutto
maturo del Gazzolo, hanno certamente pel medesimo un diritto, che non può essere,
dopo più secoli da che si esercita, e dopo essere entrato profondamente nella
coscienza della popolazione, da una semplice affermazione contraria o da un tratto di
penna. Non vi è dunque una semplice concessione revocabile e mutabile a volontà di
chi le fa, ma è un atto ch’essi compiono jure proprio ed è quindi fuor luogo e di
ragione trattare di affitto e di enfiteusi.
Si è in altri termini, di fronte ad una vera e reale comunione di fatto, che non fu
mai disciplinata con disposizioni positive e che dovrebbe esserlo; ma che ormai è
piuttosto una necessità lo sciogliere e far sparire, per essere amministrativamente e
politicamente rovinosa; a cui infatti furono dati ripetuti assalti per sgominarla coi
tentativi sovra riferiti or di vendita, or di affitto, or di enfiteusi, or di ripartizione, ma
non potrà conseguirsi lo scopo senza dare una adeguata soddisfazione agli aventi
diritto.
Duplice è l’aspetto della comunione, dovendosi questa considerare prima fra il
Comune e la massa dei capi di famiglia, indi fra i medesimi.
L’articolo 674 del Codice Civile dichiara che le quote dei partecipanti si
presumono uguali fino a prova contraria e ciò vale senza esitanza tra i capi famiglia:
fra questi invece ed il Comune diviene arduo lo stabilire la quota, ma non tanto da
smarrire la via di un’equa soluzione.
É da ritenersi anzitutto che conviene determinare la quota complessiva dei Capi di
famiglia in modo che corrisponde all’utile o, come dice la legge, all’articolo
succitato, ai vantaggi che mediamente hanno sempre goduti, al qual riguardo risulta
che dall’ultimo elenco dei partecipanti, il quale ha servito per il taglio del bosco
nell’agosto dello scorso 1910, è ormai salito il loro numero a 551, per modo che
toccò a ciascuno una superficie in media di mq. 1600 pari a due staia di bosco da
tagliare.
Ora però è previdente calcolare 600 quote in cifra tonda, per averne in
soprannumero ed i riserva, colle quali soddisfare pretendenti ignoranti, far fronte ad
eventualità inattese e assegnarne eziandio agli istituti pii, in omaggio alla tradizione
che vorrebbe destinato il bosco in gran parte ai poveri, per modo che ciascuna quota
risulterebbe di m. p. 1400, pari a staia uno e ¾ misura locale.
Se non che devesi dedurre da ciascuna quota una porzione per formare la quota del
Comune, in compenso dei pesi sempre da esso sopportati e delle spese necessarie per
le odierne operazioni tecniche e contrattuali.
Se non che devesi dedurre da ciascuna quota una porzione per formare la quota del
Comune, in compenso dei pesi sempre da esso sopportati e delle spese necessarie per
le odierne operazioni tecniche e contrattuali, devesi togliere la superficie da occuparsi
colle strade di accesso e si può pertanto equamente e ragionevolmente stabilire la
quota da assegnarsi a ciascun capo famiglia in mq. 800, cioè in un preciso staio
locale, rimanendo tutto il resto al Comune, per essere senz’altro venduto in
convenienti lotti al pubblico incanto.
E questo staio di terra lo abbia il Capo famiglia senza verun gravame, nè di spese
attuali nè di canoni duraturi; sia esso, in piccola proporzione, come il bene di
famiglia, che l’anima candida di Luigi Luzzati ha tentato di creare col disegno di
legge, presentato alla Camera dei Deputati nella seduta del 28 aprile 1910.
Nè desti preoccupazione che taluni venderanno questo bene non appena sarà loro
assegnato: ciò significa che il bene od altro impulso potè più che l’amore alla
proprietà ma non toglie valore al dovere compiuto dall’aver dato a ciascuno il fatto
suo, unicuique suum tribuere; ed anzitutto non costituisce tal fatto un danno, perchè
se uno si priva del bene di Famiglia, altri se lo procura ed accresce il bene già
posseduto, sempre a vantaggio dell’economia agricola e del culto della madre terra.
Resta ancora a dirgli della forma dell’operazione, che si propone di compiere cioè
dello scioglimento della Comunione. Tutto dovrà essere semplicissimo, assegnerà al
Comune le pezze, che il progetto tecnico o tipo stabilisce, e a ciascun partecipante la
quota o lotto di uno staio, che estrarrà a sorte fra le 600 circa pezze pur stabilite dal
tipo.
Un atto simile, perfettamente legale, corrispondendo all’art. 684 del Codice Civile,
importerà una spesa relativamente minima risparmiandosi le ingenti spese per tasse di
trapasso di proprietà, se si volesse questa considerare come una concessione del
Comune, per trascrizioni e iscrizioni d’ipoteca, se si costituisse una rendita fondiaria
od enfiteutica spese che assorbirebbero il valore di buona parte della proprietà stessa,
mentre il risparmio di esse andrà a benefizio del Comune e dei Capi Famiglia, i quali
sono anzi esonerati da qualsiasi gravame. Si aggiunga che il dare all’operazione da
compiersi forma di concessione di proprietà del Comune ai Capi Famiglia (ciò si
ripete che non corrisponde alla verità e realtà delle cose, alla natura giuridica della
proprietà stessa) con la conseguente creazione di canoni e prestazioni annui
lascerebbe uno strascico ingombrante ed indefinito di vincoli di contabilità e
d’imposta di Ricchezza mobile, di manomorte, mentre la forma proposta renderebbe
libero il Comune e liberissimi i Capi di famiglia di giovarsi di quanto verrebbe
assegnato senz’altri inciampi, e legami e incubi. Scomparirà bensì il bosco Gazzolo,
ma senza un rimpianto e senza eredità d’affetti.
Duolmi contraddire in ciò al pensiero e al sentimento di uno spirito gentile, la
signora Giuseppina Piccaluga Mazzarino che nell’ottobre 1909 tenne fra i suoi
conterrazzani una conferenza nobilissima per idee e per elogio col titolo: Per la
conservazione del vostro Bosco Gazzolo e per lo sviluppo del rimboschire.
Al qual proposito, alla iniziativa cioè di rimboschimenti, inchiniamoci tutti quanti
abbiamo cuore e mente di figli affezionati e illuminati della Gran Madre Terra,
benediciamo agli sforzi del Governo, di associazioni e di generosi privati, per
ripopolare il monte e il piano della vegetazione salutare, protettrice, rimuneratrice e
gioconda, che il vandalismo deliberato o l’incuria incosciente degli uomini hanno
distrutta o non hanno mai promossa.
Salutiamo esultanti la risurrezione della festa degli alberi, che già istituita dal
Ministro Baccelli, con decreto 10 febbraio 1902, è ora ripresa dalla Federazione
Italiana delle associazioni Pro Montibus, per essere celebrata l’11 novembre di ogni
anno, e siano chiamati a parteciparvi non soltanto gli scolari, ma ogni gente e il
contadino in particolar modo perchè vi attinga amore e cognizioni nella coltura delle
piante. In questa occasione la distinta signora Piccaluga Mazzarino potrà tenere altre
conferenze, come dovranno tenerne professori e amanti dell’economia campestre,
esercitando un utile e nobile apostolato.
Ma per il Bosco Gazzolo mantengo il giudizio in principio espresso, che cioè
occupa un terreno assolutamente inadatto alla coltura boschiva, è ridotto in
condizioni di radure e di forza vegetativa deplorevoli e tali da fornire un reddito
irrisorio ed illusorio; è particolarmente di peso sensibile, senza compenso veruno per
il Comune, è infine ancora un campo di guai per il Comune, per la pace e per l’ordine
pubblico.
Scompaia quindi senza rincrescimento e presto, senza lasciare radici e rampolli di
noie e di appigli, nel modo il più placido e sereno il Bosco Gazzolo, questa palestra
indolente di battaglie infeconde e di competizioni irose, si che abbiasi a dire di esso
che un bel morir tutta la vita onora.
IV. – Disposizioni della legge Comunale e deliberazioni.
Alcune avvertenze occorrono ancora al cospetto delle disposizioni della Legge
Comunale sui beni Comunali.
Il Comune, come si è visto dalla fatta narrazione, non è mai riuscito a vendere,
dare in affitto o in enfiteusi come si accenna negli art. 175 – 176 il bosco Gazzolo,
per le costanti, ora legali ed ora violenti, opposizioni ed affermazioni dei Capi
Famiglia pei loro diritti. Se nei tempi andati avesse il comune potuto e saputo allestire
un regolamento, come tassativamente prescrive l’art. 185 e prescrivevano le leggi
anteriori, si avrebbe oggi un punto d’appoggio, un capo saldo sicuro: ma nemmeno
ciò si potè ottenere, per quanto siasi tentato. I capi famiglia, che nono vollero mai
riconoscere nel Comune un esclusivo ed assoluto diritto di proprietà, si ribellarono
sempre al pagamento del corrispettivo. Richiesto dal citato art. 175, che pertanto non
può invocarsi nella soggetta materia.
Succede l’art. 176, riproducente la legge 4 luglio 1874 n. 2011 che tratta dei beni
incolti e tale può dirsi il Bosco Gazzolo, per il poco suo reddito, anzi per il peso che
apporta al Comune senza verun corrispettivo, quali beni è detto che siano ridotti a
coltura, alienati o dati in enfiteusi, provvedendovi la Giunta Provinciale
Amministrativa.
Già si avvertì che nè la cultura per mezzo di affittamento, nè la vendita, nè
l’enfiteusi furono possibili, opponendosi altri cointeressati alle iniziative del Comune
che, si ripete, non fu mai riconosciuto proprietario esclusivo ed assoluto. I diritti del
Comune andando così confusi con quelli dei capi famiglia, verificandosi cioè una
comunione, egli è perciò che per la soluzione del problema si deve ricorre
all’applicazione del combinato disposto delle prescrizioni del Codice Civile e della
legge Comunale.
L’intervento poi della G.P.A. e dell’autorità Prefettizia, sostituendosi anche
all’Amministrazione Comunale, diventa una necessità legale di fronte al fatto che
tutti i componenti il Consiglio passato e futuri partecipano alla Comunione e
rendendosi così applicabili l’art. 292 della legge Comunale e 1457 penultimo
capoverso del Codice Civile.
In base alla presente esposizione di fatti e di ragionamenti, allestita colla maggior
cura e studio di cui sono stato capace, non resta che emettere un formula di
deliberazione quale segue:
V Scioglimento della comunione del Bosco Gazolo
Il Commissario Prefettizio
Premesse le narrate notizie di fatto e le esposte considerazioni.
Determina
Il Bosco Gazolo, rappresentato dal tipo con relazione allegato n. 1 redatto dal
Geometra Como in data 19 Agosto 1911 à composto di 6 pezze di terreno e cioè:
Tale bosco costituisce una comunione fra il Comune e i capi famiglia, chiamati a
partecipare al taglio e godimento del Bosco stesso, quali sono compresi nell’Elenco
allegato n. 2 nella quantità di 551.
A risolvere siffatta comunione è assegnato al Comune la pezza sovra descritta al n.
(?) per essere alienata in lotti mediante pubblico incanto; e ai capi famiglia sono
assegnate le altre 5 pezze ripartite in n. 600 lotti, colle relative strade d’accesso e
servitù di passaggio. Il numero dei lotti è superiore di quello previsto nel detto
Elenco, perchè ne restino come riserva nel caso che si fosse tralasciato qualcuno
avente diritto e per la destinazione ad Istituti pii come in appresso.
I lotti sono estratti da ciascun capo famiglia o da chi per esso.
L’estrazione equivale all’accettazione del lotto estratto e sarà seguita al tempo
della stipulazione dell’atto di assegno come meglio sarà disposto dalla G.P.A.
Chi non potesse partecipare all’estrazione e all’atto personalmente, potrà essere
rappresentato da persona capace della famiglia, che dichiari di far caso, causa e
fatto proprio. Non presentandosi neppure una persona della famiglia, l’estrazione
sarà fatta dall’ufficiale pubblico, che roga l’atto, salvo all’assegnatario il ratificare
con atto posteriore l’assegno così fattogli.
I lotti che entro un anno dalla stipulazione dell’atto non fossero assegnati e quelli
a cui gli assegnatari piacesse di fare generosa rinuncia, resteranno assegnati metà
alla Congregazione di Carità e metà all’Asilo Infantile in omaggio alla tradizione
che il lascito del bosco abbia pur avuto scopo di beneficenza e in considerazione dei
due enti costituiti nel Comune, che debbono avere un diritto nella Comunione al pari
d’ogni altra persona.
Le spese dell’atto da stipularsi s’intenderanno prelevate dalla massa e saranno
sostenute dal Comune col prezzo da ricavarsi dalla parte di Bosco ad esso assegnato,
ritenendosi sufficiente a comprendere anche le spese stesse.
Le somme ricavande dalla vendita della parte stessa saranno applicate al bilancio
in corso rispettivamente agli art. 21 dell’attivo, che riguarda appunto il provento dei
beni del Gazolo e all’art. 77 del passivo, che riguarda l’acquisto di rendita pubblica
come impegno delle somme stesse.
Lo stanziamento per le spese contrattuali e quelle richieste dalla convenzione del
numerario in rendita dello Stato sarà fatto nel bilancio 1912.
Il presente atto e i due allegati suddetti, il tipo e l’elenco dei partecipanti, saranno
pubblicati per otto giorni consecutivi a cominciare da domani 20 corrente, con invito
a chiunque di presentare reclami ed osservazioni come stimerà meglio nell’interesse
sia pubblico che privato.
Castelletto d’Orba 19 Agosto 1911
Il Commissario Prefettizio – Il Segretario.
Trascrizione a cura di Paolo Bavazzano (anno 2014).