Post on 31-Jan-2017
transcript
sezione I civile; sentenza 20 dicembre 1988, n. 6952; Pres. Scanzano, Est. Maltese, P.M.Donnarumma (concl. conf.); Cassa di risparmio delle province lombarde (Avv. Guidi, Irti, Urzì,Repetto) c. Fall. Ghiani (Avv. Briolini). Conferma App. Brescia 16 novembre 1984Source: Il Foro Italiano, Vol. 112, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1989), pp. 3173/3174-3177/3178Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23184279 .
Accessed: 28/06/2014 10:20
Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp
.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact support@jstor.org.
.
Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.
http://www.jstor.org
This content downloaded from 91.220.202.46 on Sat, 28 Jun 2014 10:20:30 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
bia, assunti all'epoca in forza del più volte richiamato regime eccezionale e transitorio.
Infatti, la 1. 763/81, cit., non contiene alcuna norma di raccor
do con la precedente legislazione in materia di profughi (ed in
particolare con quella relativa ai profughi della Libia), cosi come
ha già correttamente rilevato il tribunale.
L'art. 35 si limita a stabilire che «ogni disposizione di legge in contrasto o comunque incompatibile con le norme della pre sente legge è abrogata»; l'art. 13, poi, stabilisce al 1° comma:
«Ai soli fini delle assunzioni previste dalla 1. 2 aprile 1968 n.
482, presso pubblici e privati datori di lavoro, i profughi ... so
no equiparati agli invalidi civili di guerra, di cui 2° comma del
l'art. 2 di detta legge». Nel 4° comma si chiarisce che «sono
soggetti all'obbligo di cui al 1° comma del presente articolo i
privati datori di lavoro che occupino oltre cinquanta dipendenti tra operai, impiegati e dirigenti, con esclusione degli appartenenti alle altre categorie protette obbligatoriamente occupati».
Pertanto, una volta cessato il beneficio speciale e temporaneo assicurato ai profughi della Libia dalla normativa già richiamata, si può ritenere che la nuova legge ha inteso assicurare a tutti
i profughi (qualunque sia la loro provenienza), purché abbiano
i requisiti prescritti (formale qualifica di profugo, stato di disoc
cupazione, età non superiore a cinquantacinque anni) il diritto
all'assunzione obbligatoria nell'ambito della percentuale riservata
dalla 1. n. 482 del 1968 agli invalidi di guerra, cui, a tali fini, sono equiparati. Con la conseguenza che i profughi (e solo quel
li), assunti in base a tale nuova normativa, sono equiparati agli invalidi civili di guerra e sono quindi computabili nell'aliquota
complessiva del 15% di cui all'art. 11 1. n. 482 del 1968. Del
resto la legge (art. 13 1. cit.), nel porre l'obbligo di assunzione
dei profughi a carico di datori di lavoro privati con un maggior numero di dipendenti (oltre cinquanta dipendenti tra operai, im
piegati e dirigenti rispetto ai trentacinque invece previsti per le
assunzioni delle altre categorie) e senza computare (espressamen
te) i dipendenti occupati a seguito di assunzione obbligatoria, fa
significativo e determinante riferimento solo alle assunzioni ob
bligatorie da essa regolate e solo in relazione a queste prevede la indicata equiparazione e la conseguente computabilità dei pro
fughi assunti nella complessiva percentuale dei posti riservati da
cui alla 1. 482/68.
Del resto anche il Consiglio di Stato, nel suo «parere» del 27
ottobre 1982, ha enunciato in subiecta materia uniformi principi in quanto i profughi assunti con il beneficio dell'aumento dell'1%
non sono computabili nella quota d'obbligo di cui alla 1. 482/68,
perché rientranti nell'ambito di una disciplina normativa eccezio
nale e transitoria.
Dalle argomentazioni già esposte deriva (anche) l'inconsistenza
e la manifesta infondatezza della questione di legittimità costitu
zionale riproposta in questa sede.
Si sono già ricordate le particolari, superiori esigenze sociali
(e di assistenza) dei soggetti appartenenti alla categoria dei «pro
fughi» dalla Libia e che giustificarono all'epoca l'imposizione a
carico dei datori di lavoro privati (di cui all'art. 11 1. 482/68)
di un obbligo ulteriore di assunzione rispetto a quello già posto a loro carico dalla legge del 1968.
La (nuova) disciplina normativa regolante (ora) indistintamen
te l'assunzione dei «profughi», dopo avere abrogato il regime
transitorio ed eccezionale introdotto con i provvedimenti legisla
tivi del 1970 (1. 763/81), ha inteso regolare in modo organico e definitivo il «collocamento» obbligatorio dei soggetti apparte
nenti a tale particolare categoria, riconducendolo nell'alveo del
«sistema» delle assunzioni obbligatorie, disciplinato dalla legge
(generale) del 1968, avendo equiparato a tutti gli effetti i «profu
ghi» agli invalidi civili di guerra: reintroducendo cosi (necessaria
mente), ma solo per il futuro, il principio della computabilità
dei profughi, assunti in base al «sistema» del (generale) colloca
mento obbligatorio, ai fini della copertura dell'aliquota di assun
zioni imposta, in via generale, a tutti i datori di lavoro ex 1. 482/68.
La dedotta (apparente) disparità di trattamento che derivereb
be, secondo la ricorrente, da siffatta interpretazione delle leggi
del 1970 e del 1981, nei riguardi di quei datori di lavoro, costretti
(all'epoca) ad assumere i profughi della Libia ex 1. 744/70 ed
a non tenerne conto, poi, ai fini di nuove assunzioni di lavoratori
appartenenti alle categorie «protette» ed a sopportare in definiti
va (ingiustamente rispetto agli altri) un imponibile di assunzione
Il Foro Italiano — 1989.
in misura addirittura superiore a quello previsto in via generale
per tutti i datori di lavoro, trova però la sua giustificazione, an
che sul piano costituzionale, nella eccezionalità e nella transito
rietà di quel particolare regime che impose, per ragioni meritevoli
di particolare tutela, l'obbligo di assunzione «in eccedenza» dei
profughi dalla Libia, al di fuori del «sistema» del collocamento
obbligatorio (in generale) dei lavoratori «protetti»: e quindi in
una sostanziale diversità di «situazioni» che legittima ampiamen te la lamentata diversità di disciplina.
Né può valere il raffronto (operato dalla ricorrente) con il (di
verso) trattamento riservato ai datori di lavoro che hanno in cari
co soggetti appartenenti a categorie diverse (mutilati ed invalidi
per servizio, orfani dei caduti per servizio, mutilati ed invalidi
civili, centralinisti ciechi, vedove ed orfani di guerra) perché as
sunti in base alle leggi (speciali) previgenti, prima della entrata
in vigore della legge (generale) 482/68 (che ha poi disciplinato in modo articolato ed organico tutte le assunzioni, indistintamen
te, dei soggetti appartenenti a tali categorie) e che sono (indiscuti
bilmente) computabili ai fini della copertura della quota obbliga toria di assunzione.
Infatti, le leggi speciali (citate dalla ricorrente) non avevano
introdotto un regime, transitorio ed eccezionale, di assunzione
dei soggetti appartenenti a particolari categorie di lavoratori pro
tetti, a differenza di quello che impose, nei riguardi dei profughi della Libia, l'assunzione obbligatoria in eccedenza, al di fuori
della quota prevista, e del «sistema» regolante in via generale l'avviamento e l'assunzione dei lavoratori «protetti»; e al princi
pio della loro computabilità, ai fini suindicati, si allinea a quello
(del resto enunciato in subiecta materia anche da questa stessa
corte: v., ad es., Cass. 3 ottobre 1981, n. 5207, id., Rep. 1982, voce Lavoro (collocamento), n. 168), secondo cui, nel vigore del
la nuova legge contenente l'articolata ed organica disciplina delle
assunzioni dei soggetti appartenenti alle diverse categorie previle
giate (v. 1. 482/68), i lavoratori «protetti» assunti in base alla
legislazione anteriore (ma comunque rientranti nelle categorie spe ciali previste dalla legge citata), ove occupati alla data di entrata
in vigore di questa, sono computabili ai fini dell'esaurimento del
l'aliquota obbligatoria dei «riservatari» prevista dall'art. 11, 1°
comma, se l'assunzione di essi sia avvenuta non volontariamente, ma attraverso le particolari procedure previste e regolamentate da leggi anteriori. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 20 dicem
bre 1988, n. 6952; Pres. Scanzano, Est. Maltese, P.M. Don
narumma (conci, conf.); Cassa di risparmio delle province lom
barde (Avv. Guidi, Irti, Urzì, Repetto) c. Fall. Ghiani (Avv.
Briolini). Conferma App. Brescia 16 novembre 1984.
Fallimento — Credito fondiario — Ammissione ai passivo degli interessi — Principio del concorso sostanziale — Operatività
(Cod. civ., art. 2855; r.d. 16 luglio 1905 n. 646, t.u. sul credito
fondiario, art. 41, 42, 52, 55, 61; r.d. 16 marzo 1942 n. 267,
disciplina del fallimento, art. 52, 54, 55; 1. 17 agosto 1974 n.
397, norme per la determinazione dei tassi di interesse per i
finanziamenti agevolati e del tasso di mora per i mutui fondia
ri, art. 2).
Poiché nessuna deroga, esplicita o implicita, al principio di dirit
to sostanziale della par condicio creditorum è prevista dall'art.
52, 10 comma, l. fall., il computo degli interessi spettanti agli istituti di credito fondiario in caso di fallimento del mutuatario
è regolato dall'art. 54 l. fall, ed è quindi soggetto alla discipli na di cui all'art. 2855, 3° comma, c.c. (1)
(1) Il principio di diritto enunciato dalla sentenza conferma un ormai
consolidato orientamento della Corte di cassazione in ordine al regime
degli interessi spettanti agli istituti di credito fondiario in caso di falli
mento del mutuatario. Cfr., al riguardo, sent. 2 marzo 1988, n. 2196, Foro it., 1988, I, 2290; 3 dicembre 1986, n. 7148, id., 1987, I, 39, con
This content downloaded from 91.220.202.46 on Sat, 28 Jun 2014 10:20:30 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
3175 PARTE PRIMA 3176
Motivi della decisione. — Col primo mezzo la ricorrente, pre messo che, secondo l'art. 12 disp. prel. c.c., la lettera e la ratio della norma hanno pari dignità di criteri ermeneutici, osserva che
la legge fallimentare è speciale rispetto alla procedura esecutiva
ordinaria, ma è generale rispetto alla legge anteriore sul mutuo
fondiario.
Pertanto la lex specialis anteriore del t.u. n. 646 del 1905 non
può essere derogata dalla lex generalis posteriore sul fallimento e opera nel proprio specifico settore indipendentemente dalla ri
serva contenuta nell'art. 51 r.d. n. 267 del 1942.
Col secondo mezzo la Cassa di risparmio delle province lom
barde osserva che, contrariamente all'opinione espressa dalla cor
te d'appello, l'art. 41, 3° comma, r.d. 16 luglio 1905 sul mutuo
fondiario non rappresenta una semplice eccezione al rito dell'ese
cuzione individuale, ma ha natura sostanziale, poiché l'istituto, immesso nel possesso dell'immobile ipotecato, percepisce, in de
roga all'art. 2853, 3° comma, c.c., gli interessi nella misura con
venzionale. L'art. 42, 1° comma, estende, poi, al curatore la pre visione dell'art. 41, 3° comma, talché la deroga di diritto sostan ziale al disposto dell'art. 2855, 3° comma, c.c. esplica i propri effetti anche nel fallimento.
Il rapporto fra la legge fallimentare e la legge speciale sul cre dito fondiario — prosegue la ricorrente — non esige alcuna «clau sola legale di salvezza»: anche in assenza della riserva contenuta
nell'art. 51 1. fall., la legge sul credito fondiario avrebbe comun
que avuto carattere speciale e attribuito all'istituto l'azione esecu tiva individuale.
Pertanto, il complesso delle norme speciali in vigore dimostre rebbe che l'inadempimento del mutuatario non determina la riso luzione del contratto e che anche nel corso del fallimento del debitore l'istituto mutuante rimane creditore privilegiato delle se mestralità — o rate unitarie di ammortamento, comprensive degli interessi — man mano maturate.
In definitiva, secondo la ricorrente, la sentenza impugnata vio
lerebbe gli art. 54 1. fall., 2788, 2855 c.c., 41 e 42 r.d. 16 luglio 1905 n. 646 e 15 d.p.r. 21 gennaio 1976 n. 7.
Il ricorso è infondato. Il problema non può essere affrontato e risolto affermando semplicemente che la legge fallimentare del
'42, in quanto lex generalis successiva al t.u. del 1905, non può derogare alla legge sul credito fondiario, da considerare lex spe cialis anteriore.
La disciplina del fallimento, invero, presupponendo l'insolven
za, è legge speciale intuitu materiae rispetto alla legge processuale comune, anche se questa si riferisca, con particolari connotazioni e deroghe, a soggetti determinati. Ed è proprio il fatto dell'insol
venza, e la necessità che ne deriva della partecipazione dei credi tori alla procedura concorsuale collettiva, che induce il legislatore a predisporre un sistema di riserve legali per consentire solo ecce
zionalmente l'osmosi fra le disposizioni che regolano detta proce dura e le norme generali e speciali dell'ordinamento comune.
Alla luce di queste premesse bisogna esaminare, nella loro ef fettiva portata, le disposizioni degli art. 51 e 52 1. fall., per con
frontare, poi, le norme di diritto processuale fallimentare conte nute nella legge del 1942 con quelle dettate dal t.u. del 1905.
Se è vero che l'art. 51 1. fall., contiene una deroga esplicita a favore di leggi speciali, fra cui il testo unico sul mutuo fondia
rio, nel senso della proponibilità e della proseguibilità dell'azione esecutiva individuale nonostante la dichiarazione di fallimento del debitore ipotecario, è anche certo che nessuna deroga, esplicita o implicita, al principio di diritto sostanziale della par condicio contiene l'art. 52 1. fall, a favore della stessa legge speciale.
Esso testualmente dispone: «Il fallimento apre il concorso dei creditori sul patrimonio del fallito (1° comma). Ogni credito, an che se munito di prelazione, deve essere accertato secondo le nor
nota di G. Silvestri e 6 novembre 1986, n. 6487, ibid., 459: per la giuris prudenza di merito, da ultimo, Trib. Vicenza 2 marzo 1988, id., Rep. 1988, voce Fallimento, n. 321; Trib. Monza 9 novembre 1987, ibid., n. 318; Trib. Roma 24 luglio 1987, ibid., n. 319.
In materia di credito fondiario, v. Corte cost., ord. 31 marzo 1988, n. 393, ibid., n. 317, che ha dichiarato manifestamente infondata la que stione di legittimità costituzionale dell'art. 42 r.d. 16 luglio 1905 n. 646, in riferimento all'art. 3 Cost., nella parte in cui la predetta normativa consente agli istituti di credito fondiario di proseguire nell'azione esecuti va nonostante l'avvenuta dichiarazione di fallimento del debitore.
Il Foro Italiano — 1989.
me stabilite nel capo V, salvo diverse disposizioni della legge (2°
comma)». La riserva compare soltanto nel 2° comma, con riferimento
esclusivo al modo di accertamento dei crediti nel processo falli
mentare (concorso formale), che richiede, come regola generale, l'osservanza delle norme del capo V sulla formazione e la verifi
cazione dello stato passivo. Non compare, invece, nel 1° comma,
poiché il principio della par condicio (concorso sostanziale) non
soffre deroghe, salvo le cause legittime di prelazione. Si potrà discutere, dunque, se, nonostante l'inizio del procedi
mento esecutivo ordinario, l'istituto mutuante debba, come l'e
sattore (art. 18 d.p.r. 28 settembre 1973 n. 603; sez. un. 12 mag
gio 1978, n. 2325, Foro it., 1978, I, 1357), insinuare nel fallimen
to il suo credito in osservanza della regola generale del 2° comma
dell'art. 52 1. fall., ovvero se, in mancanza di una disposizione
equivalente a quella dell'art. 18 r.d. n. 603 del 1973, che riguarda soltanto l'esattore, la sua posizione si inquadri nell'eccezione pre vista dalla stessa norma dell'art. 52, 2° comma, 1. fall., ed egli,
pertanto, non sia vincolato dall'onere della domanda di ammis
sione al passivo. E si potrà anche adottare quest'ultima soluzio
ne, rifiutando il ricorso all'analogia. Ma nell'una e nell'altra ipo tesi, attraverso la verifica dello stato passivo, o, rispettivamente, col mezzo indiretto dell'intervento nell'azione esecutiva ordina
ria, sempre il curatore sarà in grado di esercitare il proprio con
trollo sull'osservanza del principio della par condicio, sanzionato
senza riserve dalla richiamata disposizione del 1° comma dell'art. 52 1. fall.
In realtà, nell'àmbito della procedura concorsuale, l'istituto cre
ditore, per effetto della risoluzione del mutuo fondiario, riceve, con riserva di «restituzione a chi di ragione», le rendite dell'im
mobile ipotecato che il curatore è tenuto a versargli (art. 42, 1°
comma, t.u. 1905) e con la stessa riserva (nel caso di non utile
collocazione, in seguito alla successiva graduazione) riceve la par te del prezzo corrispondente al suo credito, che il compratore dell'immobile gli deve pagare (art. 55 t.u. 1905, applicabile al
fallimento per il disposto dell'art. 42, 2° comma, della stessa legge). Pertanto, le disposizioni degli art. 52 1. fall, e 42, 55 t.u. del
1905 non sono, di per sé, risolutive del problema in esame nel senso negativo della non applicabilità ai rapporti di mutuo fon diario della norma dell'art. 54 1. fall., che, per tutti i creditori
concorrenti è senza alcuna riserva, esplicita o implicita, limita la prelazione ipotecaria sugli interessi secondo la previsione degli art. 2788, 2° comma e 2855, 3° comma, c.c.
Il problema dunque, si ripropone attraverso il confronto, che
appare determinante, fra le norme di diritto processuale fallimen tare contenute nelle due leggi del 1942 e del 1905.
Poiché bisogna chiedersi, appunto, se le disposizioni di tale natura comprese nel testo unico sul mutuo fondiario siano suffi
cientemente specifiche per prevalere sulla norma dell'art. 54, ulti mo comma, in relazione all'art. 55 1. fall.
Ora, è di tutta evidenza che la disposizione del 1° comma del l'art. 42 t.u. 1905 importa deroga soltanto alla norma oggi conte nuta nell'art. 34 1. fall, sull'obbligo del curatore di depositare le somme riscosse con le modalità stabilite dal giudice. Essa, in
vero, opera nel campo dei doveri amministrativi del curatore, al
quale prescrive l'obbligo di corrispondere provvisoriamente all'i stituto mutuante le rendite dei beni ipotecati, con operazioni di versamento che sono affini ai piani di ripartizione parziale ma se ne distinguono perché i piani sono definitivi salvo revocazione del credito, mentre i versamenti determinano un effetto di impu tazione provvisoria, salvo restituzione della somma eventualmen te non collocata nella successiva graduazione.
Nessuna indicazione, dunque, contiene il 1° comma dell'art. 42 sull'estensione del privilegio, a garanzia del credito per inte
ressi, in contrapposizione al precetto limitativo — che si ispira al principio della par condicio — sancito dall'art. 54, ultimo com
ma, 1. fall.
Quanto alla disposizione del 2° comma dell'art. 42, essa richia
ma, in generale, le norme sul credito fondiario, pur in costanza del fallimento del debitore ipotecario. Ma questo generico richia mo non è compatibile, nel particolare regime della prelazione de
gli interessi, con la successiva, specifica disposizione dell'art. 54 1. fall, che, regolando tale materia, senza alcuna riserva, in attua zione del principio della par condicio, determina, con restrizioni
precise a tutela concorsuale del credito, l'estensione della garan zia ipotecaria.
This content downloaded from 91.220.202.46 on Sat, 28 Jun 2014 10:20:30 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
La mancanza nell'art. 54 di una riserva esplicita (o implicita), che invece esiste nell'art. 51, non consente la ricezione di norme
diverse nel sistema compiuto e chiuso dell'ordinamento falli
mentare.
Talché, in definitiva, la scarsa determinatezza, sul punto, del
l'art. 42, 2° comma, t.u. 1905 e, per converso, la precisione di
contenuti dell'art. 54, ultimo comma, 1. fall, dimostrano che con
la formulazione di quest'ultima norma si è realizzata la scelta
legislativa, nel senso che sia la riscossione anticipata delle rendite
sia l'esercizio dello ius vendendi da parte dell'istituto mutuante
si armonizzano con il sistema organico della legge fallimentare
e in essa s'inquadrano con le necessarie limitazioni.
In una prospettiva ancora più ampia si può osservare che nel
l'esecuzione mobiliare, «l'istituto ha facoltà di procedere contro
i debitori morosi con la stessa procedura di cui si giova lo Stato
per la riscossione delle imposte dirette». E non c'è dubbio che
la «prevalenza» procedurale dell'esecuzione esattoriale sul proce dimento fallimentare non implica deroga alla par condicio, per
ché la facoltà di esecuzione individuale in deroga al precetto di
ordine generale dell'art. 51 1. fall, non può far venir meno, sul
piano del diritto sostanziale, l'applicazione della regola del trat
tamento egalitario dei creditori.
Talché l'intero sistema, nell'esecuzione immobiliare e mobilia
re, appare informato allo stesso principio. La ricorrente accenna ancora alle disposizioni degli art. 61 e
62 r.d. n. 646 del 1905, osservando che altri spunti contro la
pronuncia della corte d'appello sarebbero ricavabili dalla discipli na della successione dell'aggiudicatario in esse contenuta.
Ritiene il collegio che neppure il richiamo a queste disposizioni
del t.u. 1905 sia risolutivo del tema controverso.
La stessa dottrina citata dalla ricorrente, invero, dimostra di
ritenere che l'art. 61, in sé considerato, è interpretabile nel senso
che la scelta dell'aggiudicatario operi solo sul piano dei suoi rap
porti con l'istituto «senza un'oggettiva incidenza sull'esecuzione
e sui rapporti con gli altri creditori».
Né sembra che la disposizione dell'art. 61 sia diversamente in
terpretabile in relazione all'art. 41 t.u. 1905, che prevede la possi
bilità per l'istituto creditore di essere immesso, ancor prima di
ogni atto di esecuzione, nel possesso dell'immobile ipotecato, con
diritto di percepirne le rendite e i frutti.
La norma, invero, delinea un'ipotesi simile a quella del pegno
di cosa fruttifera — una sorta di anticresi ex lege — e, pertanto,
nella sua pratica attuazione, pone gli stessi problemi sull'esten
sione dell'oggetto della garanzia degli interessi, che si risolvono — come si è detto — per comparazione fra le norme di diritto
processuale fallimentare contenute nei due diversi sistemi legisla
tivi della legge del 1942 e del t.u. del 1905.
Un'ultima osservazione: la ratio di un giudizio di legittimità
costituzionale dell'art. 42 t.u. 1905 non sembra affidabile — con
trariamente a quanto ha ritenuto la Corte costituzionale con sen
tenza n. 211 del 1976 (id., 1976, I, 2059) — all'esigenza che sia
assicurato puntualmente il funzionamento del meccanismo del cre
dito per il necessario collegamento esistente fra le operazioni di
mutuo fondiario e quelle con cui si attinge al risparmio per il
finanziamento del prestito attraverso l'emissione di cartelle.
La supposta ratio (anche se gli istituti bancari operano in que
sto campo senza fini di lucro) si risolverebbe, in definitiva, nella
tutela dei risparmiatori contro i creditori concorrenti dall'istituto
mutuante e potrebbe essere pericolosamente estesa ad altre attivi
tà di impresa che attingano ai capitali del pubblico in forme ana
loghe. Mentre — com'è stato giustamente osservato — le esigen
ze di tutela del risparmio non potrebbero mai giustificare l'even
tuale pregiudizio del diritto alla conservazione della garanzia
patrimoniale o del diritto alla par condicio.
In realtà, per le ragioni esposte, questo pregiudizio non esiste,
in quanto l'art. 42 t.u. 1905 deroga alla disciplina comune solo
in relazione alla fase espropriativa, mentre il creditore procedente
è obbligato alle restituzioni, ove ne ricorrano i presupposti (art.
42 e 55 t.u. 1905), da stabilire, nell'ambito e secondo le specifi
che norme della legge speciale.
Tale preminente esigenza, quindi, di garantire il diritto di azio
ne dei creditori concorrenti (art. 24 Cost.), rafforzandone la po
sizione secondo il criterio direttivo della par condicio, contribui
sce a risolvere l'alternativa esegetica a favore dell'applicabilità — nella specie — della disposizione dell'ultimo comma art. 54
Il Foro Italiano — 1989.
1. fall, nei limiti della prelazione ipotecaria a garanzia del credito
degli interessi.
Anche sotto questo profilo, pertanto, la sentenza impugnata si sottrae ad ogni censura.
Ne consegue che, in conformità della giurisprudenza di questa corte (sez. I 3 dicembre 1986, n. 7148, id., 1987, I, 39) il ricorso
deve essere disatteso.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 21 set
tembre 1988, n. 5187; Pres. Lo Surdo, Est. Laudato, P.M.
De Martini (conci, diff.); Baldassarre e altro (Avv. Stefanel
li) c. Belsito e altra (Avv. E. Perna, Maris). Cassa App. Lec
ce 19 aprile 1983.
Locazione — Legge 392/78 — Immobili adibiti ad uso diverso
dall'abitazione — Attività scolastica — Scopo di lucro — Di
sciplina applicabile — Trasferimento oneroso dell'immobile —
Diritto di prelazione del conduttore (L. 27 luglio 1978 n. 392,
disciplina delle locazioni di immobili urbani, art. 27, 38, 39, 41, 42).
La locazione di immobile adibito ad attività scolastica esercitata
per fini lucrativi (nella specie, scuola materna privata) è disci
plinata dagli art. 27 ss. I. 392/78, e, rientrando la predetta attività non già nel novero delle professioni liberali, bensì tra
quelle commerciali, trovano per essa applicazione le disposizio ni degli art. 38 e 39 in tema di prelazione e di riscatto. (1)
(1) Con la sentenza 5187/88 («gemella» della 5186/88, Foro it., Rep. 1988, voce Locazione, n. 220) la Cassazione conferma l'orientamento co
stantemente seguito, secondo cui lo scopo di lucro rende l'attività scola
stica assimilabile ad una di quelle economico-produttive elencate dall'art.
27 1. 392/78, con la conseguente applicabilità della generalità della nor
mativa di cui al capo II (dei titoli I e II) della medesima legge, anziché
delle sole disposizioni richiamate dall'art. 42 (alla stregua delle quali la
prelazione legale ex art. 38 sarebbe inapplicabile: v., per tutte, App. Ca
tanzaro 23 maggio 1985, id., 1985, I, 3182). Cfr. Cass. 29 gennaio 1988, n. 835, id., Rep. 1988, voce cit., n. 418 e 20 agosto 1985, n. 4449, id.,
Rep. 1986, voce cit., n. 466 (per le quali l'esercizio dell'attività anzidetta
è deducibile dal locatore ai fini del recesso ex art. 73 e 29, lett. b, 1.
392/78); 22 luglio 1987, n. 6420, id., Rep. 1987, voce cit., n. 646 (che
peraltro, ai fini dell'art. 34 1. cit., come condizione per il riconoscimento
al conduttore del diritto all'indennità di avviamento richiede che l'attività
scolastica non solo abbia in concreto fini di lucro, ma venga pure eserci
tata attraverso un'organizzazione di tipo imprenditoriale). Conformemente, tra i giudici di merito: Pret. Foggia 20 gennaio 1986, id., Rep. 1986, voce cit., n. 615; Pret. Napoli 31 marzo 1982, id., Rep. 1983, voce cit., n. 221 e (con riguardo al caso dell'autoscuola) Pret. Foggia 15 gennaio 1985, id., 1985, I, 1244, con nota di richiami.
Contra, nel senso che lo scopo per cui vengono svolte le attività di
cui all'art. 42 cit. non ha alcuna incidenza sulla disciplina applicabile alla locazione, v. invece Trib. Roma 10 aprile 1985, id., Rep. 1985, voce
cit., n. 210; Trib. Catania 19 aprile 1982, id., Rep. 1984, voce cit., n.
335 (e Riv. giur. edilizia, 1983, I, 553, con nota di Figone). In dottrina, per l'applicabilità degli art. 27 ss. 1. 392/78 (e non dell'art.
42), qualora lo svolgimento di un'attività tra quelle elencate da quest'ulti mo articolo avvenga «in forme e con finalità da far ritenere prevalente il profilo economico (e quindi lo scopo di profitto . . .)», cfr. V. Cuffa
ro, in Equo canone, Cedam, Padova, 1980, 492 ss. Analogamente, per
l'inquadramento del rapporto locatizio nell'ambito di quelli di cui all'art.
42 1. 392/78 solo se l'attività del conduttore non sia contrassegnata da
scopo di lucro, v. M. Buoncristlano, ibid., 389; F. Lazzaro- R. Pre
den, Le locazioni per uso non abitativo, Giuffrè, Milano, 1988, 662;
S. Giove, Le locazioni non abitative, Maggioli, Rimini, 1988, 27 ss. Di
contrario avviso sono, invece, P. Cosentino - P. Vitucci, Le locazioni
dopo le riforme del 1978-1985, Utet, Torino, 1986, 461.
La pronunzia in rassegna, nel sottolineare che l'attività scolastica svol
ta per scopo di lucro non costituisce attività professionale, bensì attività
commerciale, mostra chiaramente di intendere l'ambito della prima di
tali categorie (cui fa riferimento l'art. 35 1. 392/78) ristretto alle sole
professioni liberali o intellettuali; in questo senso, v. Trib. Milano 5 lu
glio 1984, Foro it., Rep. 1985, voce cit., n. 806. Nel senso che il diritto di
This content downloaded from 91.220.202.46 on Sat, 28 Jun 2014 10:20:30 AMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions