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sezione I civile; sentenza 18 luglio 1989, n. 3354; Pres. Vela, Est. R. Sgroi, P.M. Nicita (concl.conf.); Signorello (Avv. Aloisio, Genna) c. Taormina e Proc. gen. App. Palermo. Conferma App.Palermo 12 marzo 1987Source: Il Foro Italiano, Vol. 113, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1990), pp. 2259/2260-2263/2264Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23184804 .
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2259 PARTE PRIMA 2260
l'esclusione medesima dall'alienazione un mero espediente volto
unicamente ad eliminare il requisito nella confinanza fisica tra
i fondi e cioè un presupposto per l'esercizio del diritto di prela zione da parte del coltivatore diretto proprietario confinante.
Si è dunque in presenza di una valutazione di fatto, congrua mente motivata e che si sottrae a censura in questa sede di legitti
mità, non presentando vizi logici od errori di diritto.
Le conseguenze che da siffatta valutazione sono state tratte
dalla corte fiorentina — e che cioè il Bocelli, a dispetto del calli
do espediente posto in essere in occasione della vendita del predio
confinante, non avesse perso il diritto all'accesso preferenziale nella proprietà di esso — si appalesano conformi a diritto, ed
a contrastarle non valgono le argomentazioni svolte dai ricorren
ti: che cioè la striscia confinaria era stata destinata a strada o
comunque gravata da servitù di passaggio (tesi priva di sostegno
probatorio), e che comunque esisteva notevole sproporzione tra
la piccola area acquistata dal Bocelli nel 1970 ed il fondo enor
memente più vasto acquistato dal Cateni e dal Biagi nel 1972
(tesi che trasfigura il limite posto dalla legge all'attribuzione del
diritto di prelazione con riferimento alla sufficienza della capaci tà lavorativa e non certo alla proporzione tra le superfici in pro
prietà e quelle acquisende per via preferenziale (cfr. Cass. n. 2610
del 1987, id., Rep. 1987, voce Agricoltura, n. 139). A questo punto — sebbene i ricorrenti abbiano mosso censura
esclusivamente in ordine al vizio di cui all'art. 360, n. 5, c.p.c. e cioè per pretesa carenza od insufficienza di motivazione su di
una serie di punti decisivi della controversia, e non anche in ordi
ne al vizio di cui all'art. 360, n. 3, c.p.c., per violazione o falsa
applicazione della normativa in tema di prelazione e di rettratto
agrario — per esaurienza di esame sembra consentito osservare
che l'iter argomentativo seguito dalla corte fiorentina, posti come
fermi determinati dati di fatto, si appalesa corretto e conforme
a diritto. Allorché, infatti, in occasione dell'alienazione di fondi agricoli
vengano creati artificiosi diaframmi ad eliminazione del requisito della confinanza fisica tra i suoli onde precludere al proprietario
già, anteriormente all'alienazione, confinante l'esercizio del dirit
to di prelazione (e l'artificio può bene essere evinto dall'essere
una fascia confinaria stata esclusa dalla vendita e destinata a ri
manere sterile ed incolta per la sua inidoneità ad uno sfruttamen
to coltivo autonomo) non sembra proficuamente invocabile la di
sciplina degli atti emulativi, ancorché sussistano gli estremi del
l'assenza di vantaggi per l'agente e dell'esclusiva finalità di recare
danno al vicino. La disciplina, invero, di cui all'art. 833 c.c., secondo la comune opinione, concerne casi di esercizio del diritto
reale — nel senso dell'uso smodato ed ingiustificato di esso —
e non i casi di esercizio del potere dispositivo di esso, come nell'i
potesi appunto in cui il bene immobile sia in tutto od in parte,
oggetto di trasferimento ad altri, mediante atti volontari di com
mercio giuridico. Vengono, invece, in rilievo al riguardo le norme relative alla
nullità del contratto.
Nullità che afferisce al modo d'essere del trasferimento a terzi, se l'esclusione dal suo oggetto materiale di strisce o fasce confi
narie con il fondo del vicino non corrisponde ad utilità alcuna
e si palesa determinato dal fine unico di precludere l'applicabilità delle norme imperative in tema di prelazione agraria vanificando, in danno del vicino medesimo, una delle condizioni oggettive (la
contiguità fisica dei suoli), per l'investitura di quel diritto pote stativo.
Orbene, la giurisprudenza di questa corte ha già avuto occasio
ne di affermare che la violazione di una norma imperativa non
dà luogo necessariamente alla nullità dell'intero contratto, poiché l'art. 1418, 1° comma, c.c., attaverso l'inciso «salvo che la legge
disponga altrimenti», impone all'interprete di accertare se il legis
latore, anche nel caso di inosservanza del precetto, abbia comun
que consentito la validità del negozio e predisposto nel contempo un meccanismo idoneo a realizzare gli effetti voluti dalla norma
imperativa violata.
Previsione normativa siffatta è dato, appunto, rinvenire nella
disciplina della prelazione e del retratto agrario (1. n. 590 del 1965 e succ. mod.), laddove il legislatore si è premurato di predisporre uno strumento succedaneo (riscatto) per l'acquisto in via prefe renziale del fondo da parte del vicino proprietario coltivatore di retto (nel concorso di determinati requisiti) allorché gli sia stato
indebitamente impedito di avvalersi dello strumento primario del
la prelazione (cfr., per riferimenti, Cass. n. 3158 del 1982 e n.
Il Foro Italiano — 1990.
5270 del 1982, id., Rep. 1982, voce cit., nn. 182, 222). E l'impe dimento può essere anche surrettiziamente perseguito alterando
ingiustificatamente lo stato di contiguità fisica del predio posto in vendita rispetto a quello del vicino.
In tal caso, il tentativo di eludere l'applicabilità delle norme
imperative sulla prelazione riceve una sanzione proporzionata e
consona alla violazione, in quanto, ai fini del retratto viene con
siderato improduttivo di effetti quella artata condizione (distacco tra i fondi) in virtù della quale si mira a vanificare il diritto pote stativo del vicino. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 18 luglio 1989, n. 3354; Pres. Vela, Est. R. Sgroi, P.M. Nicita (conci,
conf.); Signorello (Avv. Aloisio, Genna) c. Taormina e Proc.
gen. App. Palermo. Conferma App. Palermo 12 marzo 1987.
Adozione e affidamento — Affidamento familiare — Delega per manente dei doveri genitoriali — Stato di abbandono — Sussi
stenza — Fattispecie (L. 4 maggio 1983 n. 184, disciplina del l'adozione e dell'affidamento dei minori, art. 2, 4, 5, 8, 15).
Sussiste una situazione di abbandono, rilevante ai fini della di
chiarazione dello stato di adottabilità, nel caso in cui i genitori naturali, per superare contingenti difficoltà, abbiano chiesto ed
ottenuto l'inserimento della figlia minore in una famiglia affi datario, quando si accerti che l'istituto dell'affidamento fami liare sia stato utilizzato dai genitori non per favorire il rientro
della minore nella famiglia d'origine, ma per sottrarsi definiti vamente ai loro doveri di assistenza. (1)
(1) La decisione fa puntuale applicazione del principio, sancito dal l'art. 8, 2° comma, 1. 184/83, secondo il quale la situazione di abbando no sussiste, sempre che ricorrano le condizioni di privazione di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provveder vi, anche quando i minori siano ricoverati presso istituti di assistenza o si trovino in affidamento familiare. Lo stesso orientamento interpreta tivo è stato seguito nella giurisprudenza di merito da Trib. min. Palermo 9 luglio 1986, Foro it., Rep. 1987, voce Adozione, n. 109 (per esteso in Dir. famiglia, 1986, 1159), che ha riconosciuto concreti elementi di abbandono nella situazione di un minore affidato ai nonni che a loro volta lo avevano affidato a terzi per circa quattro anni delegando loro, nonostante le contrarie prescrizioni imposte dal giudice minorile, ogni funzione educativo-assistenziale del minore stesso; Trib. min. Catania 16 settembre 1984, Foro it., Rep. 1986, voce cit., n. 156 e 27 luglio 1984, id., Rep. 1985, voce cit., n. 113 (entrambe in Giur. it., 1986, I, 2, 44, con nota di Dogliotti, Affidamento familiare: la caduta di un'illusione?) che, in una vicenda di «vendita di minori», hanno affermato la sussisten za dello stato di abbandono anche nell'ipotesi in cui la mancanza di assi stenza da parte dei genitori naturali si travesta inammissibilmente delle forme dell'affido familiare con evidente distorsione e strumentalizzazione dell'istituto.
Nella parte finale della motivazione la sentenza in rassegna rinvia espres samente a quelle decisioni della Corte di cassazione che non ritengono necessaria, ai fini di un positivo accertamento dello stato di abbandono, la precisa volontà di abbandonare il figlio minore, essendo sufficiente che i genitori tengano un comportamento inconciliabile con l'esercizio del diritto-dovere previsto dall'art. 147 c.c. e prima ancora dall'art. 30 Cost.; cfr. in proposito Cass. 28 marzo 1987, n. 3038, Foro it., Rep. 1987, voce cit., n. 103.
È stato ulteriormente sottolineato, nella giurisprudenza dei giudici di
merito, come la distorsione dell'istituto dell'affidamento familiare — in teso come possibile scorciatoia per ottenere l'adozione di minori al di fuori delle procedure previste dalla 1. 184/83 — apra la strada all'abusivo traffico dei minori che la legge mira invece a colpire, ponendo l'organo giurisdizionale competente di fronte al fatto compiuto ed esautorandolo cosi delle sue funzioni; cfr., in tal senso, Trib. min. Trieste 13 giugno 1986, id., Rep. 1988, voce cit., n. 126 (e Dir. famiglia, 1988, 241). Nello stesso ordine di idee, v. Trib. min. Roma 2 luglio 1987, Foro it., Rep. 1988, voce cit., n. 47 (e Giur. it., 1988, I, 2, 700, con nota adesiva di E. Carosone) che, al fine di sanare casi di abbandono sopravvenuto da
parte della famiglia di origine, ha riconosciuto l'applicabilità dell'art. 44, lett. c, 1. 184/83 (adozione di minori in caso di constatata impossibilità di affidamento preadottivo) nelle sole ipotesi di affidamenti giudiziari e di quelli amministrativi ritenuti legittimi ab orìgine.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Svolgimento del processo. — A seguito di segnalazione dell'as sessorato alla solidarietà sociale del comune di Mazara del Vallo,
riguardante l'affidamento familiare della minore Flavia Signorel lo, il Tribunale per i minorenni di Palermo iniziava procedimento per la dichiarazione dello stato di adottabilità della minore Cate rina Signorello (sorella di Flavia), affidata con atto del 15 no vembre 1984 ai coniugi Vincenzo Bruno e Francesca Ingrasciotta. Dopo l'audizione dei genitori e dei suddetti affidatari, con decre to del 27 agosto 1986 veniva dichiarato lo stato di adottabilità della predetta minore e, con altro provvedimento, ne veniva di
sposto il ricovero in istituto.
L'opposizione proposta dai genitori veniva rigettata dal tribu nale per i minorenni con sentenza del 7 novembre 1986, che veni va confermata dalla Corte d'appello di Palermo, sezione speciale per i minorenni, con sentenza del 12 marzo 1987.
Nel procedimento d'appello intervenivano i predetti affidatari; non si costituiva la curatrice speciale della minore.
La corte d'appello, dopo aver dichiarato inammissibile l'inter
vento adesivo degli affidatari temporanei, in quanto proposto sol tanto in appello, rigettava in primo luogo l'eccezione degli appel lanti, inerente alla mancata ricerca di altri parenti interessati alla
minore, perché (a prescindere dalla considerazione che i parenti da sentire sono soltanto quelli che abbiano mantenuto rapporti
significativi con il minore, ex art. 12 1. n. 184 del 1983), dagli atti del procedimento non risultava l'esistenza di alcun parente, oltre i genitori naturali, i quali non li avevano mai indicati. Os
servava poi che nell'atto di affidamento familiare si leggeva che
questo si sarebbe reso necessario per la cessazione dello stato di
convivenza dei genitori e la conseguente necessità della madre
Considerazioni analoghe a quelle svòlte nella riportata sentenza si rin
vengono anche in dottrina (v. Bellini, Delega di potestà e stato di abban dono, in Dir. famiglia, 1987, 325, che individua uno dei presupposti del l'abbandono morale e materiale del minore nell'abdicazione totale da parte dei genitori delle funzioni e degli obblighi connessi alla potestà genitoria le) e, più in particolare, negli scritti di chi si è occupato specificamente dell'affidamento familiare. Tra questi, v. Manera, L'affidamento fami liare, in Giust. civ., 1987, II, 298, secondo il quale è innegabile che l'affi do non possa durare a lungo, sia perché una situazione che duri anni non può considerarsi transitoria, sia perché «una delega a terzi delle fun zioni genitoriali per anni costituisce sostanzialmente abdicazione o rinun cia alle funzioni stesse (di per sé irrinunciabili, dato il loro carattere offi cioso o doveroso) ed integra di per sé l'abbandono»; A.C. Moro, Il si
gnificato della legge n. 184 del 1983 nell'attuale contesto socio-familiare, Roma, 1983, 78, che sottolinea il rischio che l'affidamento familiare di venti un facile strumento offerto ai genitori che non vogliono impegnarsi attivamente nello svolgimento del loro ruolo; Dogliotti, Affidamento familiare, cit., 54, che parla di interpretazioni distorte ed infedeli della
disciplina dell'affidamento dovute ad un comportamento illegittimo dei servizi sociali, ad un attivismo discutibile e poco rispettoso della norma e ad una colpevole inerzia (se non complicità) di fronte al triste fenomeno del mercato dei bambini; Scognamiglio, Considerazioni in tema di affi damento familiare, in Giur. it., 1986, I, 2, 147, secondo il quale l'assolu ta temporaneità della mancanza di un ambiente familiare idoneo, neces saria per procedere ad un affidamento familiare, sia da ricollegare alla finalità tipica dell'istituto volto al reinserimento del minore nella propria famiglia di origine.
Sul rapporto tra enti locali e organi giurisdizionali e sulla diversa sfera di competenza agli stessi attribuita in tema di affidamento, v. anche Ver
cellone, Il giudice tutelare, il tribunale per i minorenni e l'affidamento familiare previsto dagli art. 2 ss. I. 4 maggio 1983 n. 184, id., 1984, I, 2, 373. Più in generale, sui problemi relativi all'inserimento di un mi nore in una famiglia affidataria, v. Pavone-Tonizzo-Tortello, Dalla parte dei bambini, Torino, 1985, 104.
Prima dell'entrata in vigore della 1. n. 184 del 1983 la giurisprudenza della Cassazione aveva già individuato una situazione di abbandono ma teriale e morale del minore nell'ipotesi in cui i genitori lo avessero affida to a persone estranee al nucleo familiare col proposito di farlo vivere
sempre ed esclusivamente con costoro, delegando cosi ad esse ogni com
pito di assistenza e di educazione; v., infatti, Cass. 28 aprile 1982, n.
2641, Foro it.. Rep. 1982, voce cit., n. 42, cui adde, per una situazione di abbandono accertata relativamente a minori ricoverati in un istituto, Cass. 22 luglio 1980, n. 4782, id., 1981, I, 71, con nota di richiami ed ulteriori osservazioni di Salmé, Problemi dell'affidamento familiare.
Sull'affidamento di minori stranieri a terzi per un periodo indetermina
to, v., per una particolare ipotesi di riconosciuto stato di abbandono, Trib. min. Bari 26 aprile 1989, id., 1990, I, 269, con nota di richiami. Più in generale sulle problematiche connesse all'adozione di minori stra nieri ed in particolare sui tentativi di aggiramento delle procedure previ ste dalla 1. 184/83, v. App. Torino 15 marzo 1989, ibid., 276, con nota di richiami (con gli ulteriori provvedimenti relativi al caso «Serena»),
Il Foro Italiano — 1990.
di dedicarsi al lavoro per provvedere ai propri mezzi di sostenta mento. Ciò non rispondeva al vero, perché (secondo quanto i
genitori appellanti avevano dichiarato davanti al tribunale) essi si erano riappacificati già nel novembre 1984, sicché l'atto di af fidamento del 15 novembre 1984 era stato compiuto successiva mente. L'assunto della cessazione della convivenza era quindi so lo un pretesto per liberarsi dei fastidi che comportava l'alleva mento di ben tre figli e forse un espediente per ricavarne qualche utilità. Ciò — ad avviso della corte d'appello — era confermato dalla durata prevista (ben due anni), che da sola stava a significa re l'intenzione dei genitori di affidare per lungo tempo i figli e non per il tempo strettamente necessario a superare eventuali con
tingenti difficoltà; ed anche se si erano riservati la facoltà di chie dere in restituzione i figli, di tale facoltà non si erano avvalsi se non dopo la dichiarazione dello stato ad adottabilità ed al prov vedimento di ricovero dei minori in istituto. Nel periodo di affi
damento familiare, i coniugi affidatari provvedevano a tutte le
esigenze dei minori ed i rapporti fra questi ed i genitori naturali
si limitavano ad incontri mensili di poche ore, alla presenza degli stessi affidatari. Questi ultimi provvedevano lodevolmente all'as sistenza materiale e morale dei minori, ma lo stato di abbandono sussisteva ugualmente, perché esso viene meno soltanto quando l'assistenza è fornita dai genitori o dai parenti tenuti a provveder vi e nella specie non bastavano — a tal fine — le labiali afferma zioni dei genitori, formulate nel corso del giudizio, di voler prov vedere all'assistenza dei minori.
Ad avviso della corte d'appello, non si poteva ipotizzare un
caso di forza maggiore di carattere transitorio, perché — a pre scindere dalla considerazione che la dedotta cessazione della con
vivenza non rispondeva al vero, perché non sussisteva più prima dell'affidamento — anche se fosse stata rispondente al vero non
avrebbe integrato un caso di forza maggiore, costituendo, invece, una situazione posta in essere volontariamente. Inoltre, dalla da
ta degli atti di affidamento, la situazione dei due conviventi era
rimasta immutata: le loro condizoni economiche sostanzialmente
erano rimaste identiche, fatta eccezione per i risparmi realizzati
affidando ad estranei i figli e che avevano permesso loro di cam biar casa, prendendone in locazione una più ampia; la Brigata faceva lo stesso lavoro di prima (domestica ad ore) ed aveva la
stessa disponibilità di tempo; analoghe considerazioni valevano
per il Signorello, anche se questi aveva prodotto un certificato
di pensione di invalidità (che percepiva anche prima) ed aveva
dichiarato di svolgere saltuariamente lavoro come necroforo alle
dipendenze del comune di Castelvetrano. Non si poteva, quindi, sostenere una situazione di forza maggiore e neppure una situa
zione non permanente, ma solo transitoria.
L'abbandono — osserva la corte d'appello poteva escludersi
soltanto se la mancanza di assistenza fosse derivata da circostan ze contingenti, non da una scelta consapevole; né poteva dirsi
cessato, se non concorrevano concreti elementi rilevatori di un'ef
fettiva assistenza morale e materiale del minore, essendo insuffi
cienti a tal fine i soli singoli propositi espressi da chi resiste alla
dichiarazione dello stato di adottabilità, e dovendosi tener conto
anche della condotta passata dal genitore, della natura, delle cau
se e della durata dell'abbandono e della serietà dei propositi del
genitore, del fatto che l'istituto dell'adozione speciale è stato in
trodotto esclusivamente per la tutela dei minori privi di adeguata assistenza, della preminenza dell'interesse del minore ad un'ade
guata inserzione nel contesto sociale rispetto ad ogni altro inte
resse, pur se meritevole di apprezzamento. La causa di forza mag giore va riconosciuta non per le mere difficoltà economiche del
genitore, bensì per l'accertamento di temporanee ed insuperabili situazioni tali da impedire al genitore di tradurre in atti concreti
la sua chiara e decisa intenzione di provvedere alle necessità ma
teriali e morali del figlio, non appena quelle cause ostative venga no meno. Inoltre, sempre agli effetti della declaratoria predetta, l'abbandono del minore non è ravvisabile solo quando sussista
una definitiva volontà del genitore di non più provvedere mate
rialmente e moralmente alle esigenze del figlio, essendo sufficien
te che si sia verificata un obiettiva e non transitoria carenza di
quel minimo di cura materiale, di calore affettivo, di aiuto psico
logico necessari perché la personalità del minore possa realizzarsi
in modo normale, anche se non ottimale.
Avverso la suddetta sentenza Giuseppe Signorello e Santa Bri
gata hanno proposto ricorso per cassazione. Nessuno degli inti
mati si è costituito. Motivi della decisione. — Col primo motivo, i ricorrenti dedu
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2263 PARTE PRIMA 2264
cono la violazione di legge e la falsa applicazione delle norme e dei principi che regolano l'istituto dell'affidamento familiare e lo stato di abbandono da accertarsi ai fini della dichiarazione di adottabilità del minore nonché la violazione degli art. 2, 4
e 5 1. 184/83, in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c. Essi lamentano che il giudizio reso dalla corte d'appello si sia risolto in un pro cesso sommario alle intenzioni, svolto alla luce di principi giuri dici superati dalla nuova 1. n. 184 del 1983 e stravolgendo la ratio dell'istituto dell'affidamento familiare, reputato un mezzo
per abbandonare i figli. I ricorrenti sono stati puniti perché ave vano affidato i due figli naturali a due coppie di coniugi che avevano fornito la loro disponibilità a sopperire alle esigenze di ordine materiale che temporaneamente li affliggevano; il ragiona mento svolto nella sentenza si basa su mere illazioni prive di va lore probatorio.
Il giudice del merito non ha compreso che l'affidamento fami
liare consente da un lato di far si che i genitori possano legittima mente avvalersi della solidarietà di altre famiglie acciocché si prov veda temporaneamente al mantenimento, educazione ed istruzio ne dei figli di una coppia che attraversa uno stato di disagio (economico o morale), dall'altro di allontanare lo spettro dell'in ternamento in istituto che rappresenta l'ultimo approdo della tra
gedia che può colpite il minore. Al contrario, la corte d'appello ha dedotto aprioristicamente: che la cessazione della convivenza era solo un pretesto per liberarsi dei figli; che la durata dell'affi
damento (due anni) starebbe a significare l'intenzione dei genitori di liberarsi dei figli; che i genitori naturali dei minori non si sono avvalsi dalla facoltà di chiedere in restituzione i figli, deducendo da tali illazioni lo stato di abbandono del minore. Tale assunto è giuridicamente scorretto, anche in base all'accertamento di fat to in base al qual i coniugi affidatari provvedevano lodevolmente all'assistenza materiale e morale del minore, mantenendo i loro
rapporti affettivi con i ricorrenti, per cui il minore godeva di assistenza morale e materiale sia da parte dei coniugi affidatari, sia da parte dei ricorrenti.
Col secondo motivo, i ricorrenti deducono la violazione di leg ge e falsa applicazione dell'art. 15 e dell'art. 8 1. n. 184 del 1983, in relazione dell'art. 360, n. 3, c.p.c., perché la corte di merito non ha previamente accertato le condizioni di cui all'art. 15 cit., avendo il tribunale dei minori completamente pretermesso l'ac certamento di cui al n. 2, onde la corte d'appello avrebbe dovuto sanzionare l'inosservanza di tale norma con la nullità radicale del procedimento
Il ricorso è infondato. È preliminare l'esame del secondo moti
vo, col quale si deduce la nullità radicale della dichiarazione di
adottabilità, per l'omissione della formalità di cui al n. 2 dell'art. 15 1. n. 184, a tenore del quale il giudice può dichiarare lo stato di adottabilità quando l'audizione dei genitori ha dimostrato il
persistere della mancanza di assistenza morale e materiale e la non disponibilità ad ovviarvi.
La corte osserva che (a parte la sua novità, in quanto non dedotto nell'appello) il rilievo è comunque infondato in linea di
fatto, perché, essendo il procedimento de quo sorto nel corso della vigilanza sull'affidamento familiare di un'altra figlia dei co
niugi Signorello (Flavia), le dichiarazioni dei coniugi medesimi furono rese in unico contesto ed i relativi verbali furono allegati agli atti di questo procedimento, come risulta dalla narrativa del la sentenza impugnata. Per quanto riguarda la valutazione del contenuto delle suddette dichiarazioni, valgono le considerazioni attinenti al primo motivo, perché il secondo motivo non concerne il merito delle dichiarazioni stesse (rese prima della pronuncia dello stato di adottabilità).
Quanto al primo motivo, esso non tiene conto del testuale di
sposto del 2° comma dell'art. 8 1. n. 184: «la situazione di ab bandono sussiste, sempre che ricorrano le condizioni di cui al comma precedente, anche quando i minori siano ricoverati pres so istituti di assistenza o si trovino in affidamento familiare».
Invero, è in situazione di abbandono anche il minore che sia convenientemente assistito da persone che non siano i genitori o i parenti tenuti agli alimenti, per cui è irrilevante il rilievo dei ricorrenti secondo cui i coniugi affidatari provvedevano lodevol mente all'assistenza del minore, come ha acceratto la corte d'ap pello. La sentenza impugnata, invero, ha rilevato — sulla base di un corretto apprezzamento dei fatti (che non viene minima mente contestato sotto il profilo del vizio della motivazione) che l'istituto dell'affidamento familiare, nella specie, era stato stru mentalizzato dai coniugi Signorello per scopi opposti a quelli per
li Foro Italiano — 1990.
i quali è previsto, e cioè non per favorire il reinserimento del minore nella famiglia di origine (art. 5, 3° comma) e per ovviare ad una temporanea esigenza (art. 2), ma per disfarsi in modo definitivo della figlia, recidendo sostanzialmente i contatti con lei e cosi manifestando la volontà di abbandonarla.
La corte d'appello si è ispirata ad esatti principi, svolgendo la sua indagine di fatto sotto due profili: quello della strumenta lizzazione abnorme dell'affidamento familiare, e quello dell'in sussistenza della causa di forza maggiore di carattere transitorio
(art. 8, 1° comma, della legge). Sotto il primo aspetto, deve ribadirsi che — nel rispetto del
fondamentale diritto-dovere del genitore ad educare i figli — la
legge prevede una pluralità di interventi, che vanno dall'aiuto al la famiglia, all'affidamento, all'adozione. I suddetti interventi ten dono sempre a tutelare l'interesse del minore ad un corretto ed efficace esercizio della funzione educativa che, normalmente, av viene nell'ambito della famiglia di origine e, in caso di impossibi lità od inidoneità di essa, nell'ambito della solidarietà fra fami glie. L'affidamento familiare è uno strumento per l'adeguata rea lizzazione dell'interesse all'educazione del minore da parte della
propria famiglia, perché l'istituto deve garantire la conservazione
dell'appartenenza del minore alla propria famiglia, che deve con tinuare a svolgere il suo ruolo naturale e a conservare le proprie responsabilità.
Occorrono, pertanto, l'assoluta temporaneità della mancanza di un ambiente familiare idoneo (con la conseguente temporanei tà dell'affidamento), la necessità di un controllo e la finalizzazio ne dell'istituto al reinserimento nella famiglia di origine del mi nore affidato ad altra famiglia.
Il giudice del merito, nel suo insindacabile apprezzamento, ha ritenuto che, sia per le modalità di inizio dell'affidamento (giusti ficato da una circostanza — la separazione di fatto fra i coniugi — non esistente in realtà), sia per il suo svolgimento (la recisione di ogni significativo contatto fra i genitori ed il figlio), sia per la sua durata (prevista in due anni), l'affidamento ad altra fami
glia era stato chiesto ed ottenuto dai Signorello per scopi diversi, e cioè per liberarsi dal fastidio dell'allevamento di tre figli (anche il ricorso cumulativo per tutti i figli all'affidamento è significativo).
Sotto il secondo profilo, il giudice del merito ha accertato (e la sua indagine non viene minimamente contestata) che non si era trattato di una difficoltà temporanea, essendo la situazione economica e familiare dei coniugi Signorello sostanzialmente ri masta sempre immutata, e tale da non ostacolare l'esercizio in concreto della cura dei minori, sotto l'aspetto morale e materiale, sicché l'affidamento ad altri di tale cura comportava una delega permanente che era espressione di disinteresse e quindi di abban dono (nonostante le verbali contrarie affermazioni) (cfr. Cass. 4 luglio 1986, n. 4394, Foro it., Rep. 1986, voce Adozione e
affidamento, n. 88; 28 marzo 1987, n. 3038, id., Rep. 1987, voce
cit., n. 103, che precisa che non è necessario che da parte dei
genitori vi sia una precisa volontà di abbandonare il figlio, ma è sufficiente che i genitori tengano un comportamento — soprat tutto omissivo — inconciliabile col diritto-dovere previsto dal l'art. 147 c.c. e dall'art. 30 Cost.; Cass. 13 aprile 1987, n. 3679, ibid., n. 101, che precisa che la forza maggiore ostativa alla di chiarazione di adottabilità deve impedire sia l'assistenza morale che quella materiale e deve essere esterna, contingente e reversibi
le; Cass. 5 dicembre 1987, n. 9054, ibid., n. 89).
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 14 luglio 1989, n. 3310; Pres. Schermi, Est. Francabandera, P.M. Ian nelli (conci, conf.); Soc. Navy (Aw. Boazzelli) c. Negro (Aw. Pompa). Conferma App. Roma 5 dicembre 1985.
Locazione — Legge 392/78 — Immobili urbani — Uso diverso da quello pattuito — Specifica azione di risoluzione del con tratto per inadempimento — Ambito di applicazione — Fatti
specie (Cod. civ., art. 1453, 1587; 1. 27 luglio 1978 n. 392, disciplina delle locazioni di immobili urbani, art. 80).
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