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sezione lavoro; ordinanza 10 febbraio 1994, n. 107; Pres. Pontrandolfi, Rel. M. De Luca, P.M.Viale (concl. conf.); Inps (Avv. Vario, Gigante, Ausenda) c. Gazzillo (Avv. Agostini, Volpe)Source: Il Foro Italiano, Vol. 117, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1994), pp. 1025/1026-1037/1038Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23189489 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
del tribunale, all'uopo delegato», la cui attività è sempre riferi
bile all'intero collegio, al quale spetta il potere di disporre l'e
ventuale rinnovazione degù atti avanti a sé e, soprattutto, la
valutazione del materiale raccolto (Cass. 3027/78, id., Rep. 1978, voce Filiazione, n. 58; nello stesso senso Cass. 6526/85, id.,
Rep. 1985, voce cit., n. 65). E appena il caso di aggiungere che tali principi sarebbero,
a maggior ragione, applicabili al procedimento di cui all'art. 269 c.c. ed impedirebbero, quindi, di dichiarare la nullità del l'attività processuale svolta, nel caso di specie, dalla dr. Cecca
relli (e dell'intero giudizio di primo grado), anche se non fosse ro, per ipotesi, condivise le ancor più lineari conclusioni cui
sono pervenute le sentenze 6557/88 e 4997/91, cit.
6. - Per tutte le ragioni fin qui esposte entrambi i ricorsi van
no accolti (previa riunione), nei limiti innanzi precisati. L'impu gnata sentenza va, pertanto, cassata con rinvio alla sezione per i minorenni della Corte d'appello di Milano (in diversa compo sizione), che esaminerà e deciderà nel merito la controversia, uniformandosi agli enunciati principi di diritto e tenendo conto
delle risultanze dell'istruttoria validamente compiuta nel giudi zio di primo grado.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; ordinanza 10 feb
braio 1994, n. 107; Pres. Pontrandolfi, Rei. M. De Luca, P.M. Viale (conci, conf.); Inps (Aw. Vario, Gigante, Au
senda) c. Gazzillo (Aw. Agostini, Volpe).
Previdenza e assistenza sociale — Cumulo di pensioni — Disci
plina vigente dal 1° ottobre 1983 — Cessazione del diritto
alla doppia integrazione al minimo — C.d. cristallizzazione — Questione non manifestamente infondata di costituzionali
tà (Cost., art. 3, 38, 101, 102, 104; d.l. 12 settembre 1983
n. 463, misure urgenti in materia previdenziale e sanitaria e
per il contenimento della spesa pubblica, disposizioni per vari
settori della pubblica amministrazione e proroga di alcuni ter
mini, art. 6; 1. 11 novembre 1983 n. 638, conversione in leg
ge, con modificazioni, del d.l. 12 settembre 1983 n. 463, art.
unico; 1. 24 dicembre 1993 n. 537, interventi correttivi di fi
nanza pubblica, art. 11).
Non è manifestamente infondata, in riferimento agli art. 3, 38,
2° comma, 101, 102 e 104 Cost., la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto dell'art. 6, commi 5,
6 e 7, d.l. 463/83, convertito, con modificazioni, in l. 638/83,
e dell'art. 11, comma 22, l. 24 dicembre 1993 n. 537, atteso
che tale disciplina, prevedendo, nel caso di concorso di due
o più pensioni al minimo con decorrenza anteriore al 1° otto
bre 1983, l'integrazione su di una soltanto delle prestazioni
(individuata in base ai criteri del comma 3 dello stesso art.
6) ed escludendo per l'altra (o per le altre) la c.d. cristallizza
zione dell'importo erogato alla data di entrata in vigore del
l'indicato decreto legge, in contrasto con la sentenza (inter
pretativa di rigetto) 418/91 della Consulta e con le norme
costituzionali dianzi menzionate, da un lato, comporta una
irragionevole riduzione del trattamento pensionistico comples sivo al di sotto del livello che, secondo il regime vigente nel
periodo della sua maturazione, era stato ritenuto appena suf
ficiente per garantire ai lavoratori mezzi adeguati alle loro
esigenze di vita, dall'altro, attribuisce alla disposizione inter
pretata un significato radicalmente escluso dalla giurisprudenza consolidata. (1)
(1) Poiché le controversie aventi per oggetto l'integrazione al minimo
delle pensioni riempiono gli armadi dei giudici del lavoro in tutti i gradi della giurisdizione, la disposizione sopravvenuta ha subito investito an
che la Corte di cassazione, la quale ha reagito con l'emissione dell'ordi
nanza in epigrafe. Ciò è accaduto, in particolare, per il fatto che la
Il Foro Italiano — 1994 — Parte I-21.
II
TRIBUNALE DI FIRENZE; sentenza 12 gennaio 1994; Pres.
Stanzani, Est. De Matteis; Inps (Aw. Calzone) c. Colli
giani (Aw. Bacci).
Previdenza e assistenza sociale — Cumulo di pensioni — Disci
plina vigente dal 1° ottobre 1983 — Cessazione del diritto
alla doppia integrazione al minimo — C.d. cristallizzazione — Norma innovativa — Inapplicabilità — Conseguenze (D.l. 12 settembre 1983 n. 463, art. 6; 1. 11 novembre 1983 n. 638, art. unico; 1. 24 dicembre 1993 n. 537, art. 11).
L'art. 11, comma 22, l. 24 dicembre 1993 n. 537, che, con ri
guardo agli assistiti titolari di due o più pensioni aventi de correnza precedente al 1° ottobre 1983, vieta la c.d. cristalliz
zazione dei trattamenti concorrenti, è disposizione innovativa
inapplicabile alle fattispecie pregresse, nelle quali, per le pre stazioni escluse dal beneficio dell'integrazione al minimo a
causa del principio di unicità di cui al comma 3 dell'art. 6 d.l. 463/83, si deve continuare a riconoscere la conservazione
dell'importo in godimento alla data predetta, fino al suo su
peramento per effetto della perequazione automatica delle
pensioni. (2)
nuova norma è priva di qualsiasi forma di raccordo con l'articolo ausi liato e di salvaguardia delle vicende processuali in itinere (diversamente dai recenti art. 6, commi 1 e 2, d.l. 29 marzo 1991 n. 103, convertito, con modificazioni, nella 1. 1° giugno 1991 n. 166, interpretativo della natura giuridica e degli effetti del termine decennale posto dall'art. 47
d.p.r. 639/70 per la proposizione dell'azione giudiziaria in materia di
pensioni, e 4, commi 2 e 3, d.l. 19 settembre 1992 n. 384, convertito, con modificazioni, nella 1. 14 novembre 1992 n. 438, che ha abrogato l'art. 152 disp. att. c.p.c. in tema di spese, competenze e onorari nei
giudizi per prestazioni previdenziali), sicché i pretori, i tribunali e la
Corte di legittimità sono stati simultaneamente chiamati ad applicarla. La presa di posizione della Suprema corte non risulta isolata (anche
il Pretore di Bari, con ordinanza in data 1° febbraio 1994, inedita,
per quanto consta, ha rimesso la questione alla Corte costituzionale, cui — già ve ne è notizia — si stanno rivolgendo pure altri giudici di merito) e, tuttavia, si impone all'attenzione per l'autorevolezza del
l'organo a quo e per via di una completezza di argomenti che lascia
veramente poco spazio. Anche sotto il profilo dei riferimenti sarebbe
difficile aggiungere ulteriori utili citazioni. D'altro canto, non è questa la sede, né è il momento, nelle more della pronuncia della Consulta,
per manifestare consenso oppure critica alla tesi che sorregge il provve dimento in rassegna. Fuori luogo sarebbe, inoltre, ogni forma di pro nostico.
È, quindi, preferibile limitarsi a notare che, l'odierna ordinanza, nel suo passaggio più caratterizzato dalla specificità della disputa sulla cri
stallizzazione, ricorda ai giudici delle leggi di essersi già espressi, con
la sentenza 19 novembre 1991, n. 418 (Foro it., Rep. 1991, voce Previ
denza sociale, n. 866 e Dir. e pratica lav., 1991, 3330), nel senso della
cristallizzazione dell'importo minimo delle pensioni ulteriori rispetto al
l'unica che l'assistito plurititolare può conservare integrata dopo il 1° ottobre 1983. Adesso, bisogna, per il resto, rimanere al quesito (che sembra centrale) se, nonostante le continue spinte del legislatore al con
tenimento della spesa pubblica in materia di previdenza e assistenza
(la motivazione è esauriente anche sul punto, relativamente alle disposi zioni di decreti legge non convertiti che hanno preceduto la norma in
esame), la Corte costituzionale intenderà definitivamente configurare la categoria dell'adeguatezza dei mezzi necessari alle esigenze di vita del pensionato in modo diversificato, secondo che l'assistito sia titolare di una, due o più pensioni inferiori al minimo nel loro importo a calcolo.
C'è anche un'altra domanda (senza risposta) da formulare: come sa
rebbero andate le cose, se avesse prevalso l'interpretazione (perno della
nota a Cass. 5720/89, Foro it., 1990, I, 2244) secondo cui, «in difetto
di una norma che disciplina in modo diretto le conseguenze della perdi ta del diritto all'integrazione al minimo per effetto del nuovo principio di unicità del beneficio, a tale caso (creato — in massima parte —
da Corte cost. 314/85, id., 1986,1, 1795, a posteriori rispetto all'entra
ta in vigore dell'istituto della cristallizzazione)» può essere applicata esclusivamente in via analogica la cautela del comma 7 dell'art. 6 d.l.
n. 463?
(2) Di fronte all'intervento legislativo di fine 1993, il Tribunale di
Firenze sceglie di battere un'altra via e si orienta per la negazione del
carattere interpretativo dell'art. 11, comma 22,1. n. 537. Tale opzione,
però, sembra disattendere i canoni che la giuriprudenza tradizionalmen
te utilizza per riconoscere le disposizioni interpretative aventi efficacia
retroattiva. Se ne legge, con dovizia di richiami, nell'ordinanza della
Cassazione: i criteri selettivi sono, essenzialmente, il tenore letterale della
norma, la sua struttura e, soprattutto, la finalità di imporre un signifi
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1027 PARTE PRIMA 1028
Ill
TRIBUNALE DI TORINO; sentenza 15 settembre 1993; Pres.
ed est. Gamba; Inps (Aw. Palmas) c. Boetto (Aw. Bosso).
Previdenza e assistenza sociale — Cumulo di pensioni — De
correnza successiva al 1° ottobre 1983 — Cessazione del dirit
to alla doppia integrazione al minimo — C.d. cristallizzazio
ne — Inapplicabilità (D.l. 12 settembre 1983 n. 463, art. 6;
1. 11 novembre 1983 n. 638, art. unico).
La disposizione dell'art. 6, comma 7, l. n. 638 del 1983, che
garantisce la conservazione dell'importo della pensione ero
gato alla data di cessazione del diritto all'integrazione al mi
nimo fino al suo superamento per effetto della perequazione automatica delle pensioni, non è applicabile nel caso di assi
stito bititolare, quando uno o entrambi i trattamenti pensio nistici abbiano decorrenza originaria successiva al 1° ottobre
1983. (3)
cato fra altre interpretazioni possibili e tutti, nel nostro caso, concorro
no ad escludere la natura innovativa della legge sopravvenuta. La sentenza in rassegna esprime anche una censura di irrazionalità,
ma la sede competente per una valutazione siffatta rimane il giudizio di costituzionalità devoluto alla Consulta. Su tali argomenti, si veda, in particolare, Corte cost. 10 febbraio 1993, n. 39, Foro it., 1993, I, 1766 (in materia di ripetizione di indebito previdenziale), con la nota contenente pure l'indicazione dei più recenti contributi in dottrina.
La tesi del carattere innovativo dell'art. 11 risulta sia stata sostenuta, in altre analoghe vicende giudiziarie, mediante uno spunto ricavato dal l'art. 17 1. n. 537 («applicazione della legge»), secondo cui «le disposi zioni della presente legge si applicano dal 1° gennaio 1994». Al contra
rio, tale prescrizione, non a caso inserita proprio nell'ultimo articolo dell'intero provvedimento legislativo del dicembre 1993, contiene sol
tanto una deroga al principio costituzionale della vigenza delle leggi il quindicesimo giorno successivo alla loro pubblicazione: come è noto, l'art. 73 Cost., nel porre questa regola generale, permette «che le leggi stesse stabiliscano un termine diverso» e il legislatore della finanziaria
1994, in ritardo sui tempi di approvazione delle norme destinate a rego lare il bilancio dello Stato nell'intero anno (e delle leggi di accompagna mento, fra le quali la 1. n. 537), si è valso della facoltà di deroga, cosi ovviando alla circostanza che l'articolato in esame è stato pubbli cato, in limine, sulla Gazzetta ufficiale del 28 dicembre 1993 (supple mento ordinario n. 303, serie generale). Non è, quindi, possibile desu mere dall'art. 17 1. n. 537 indicazioni circa la natura giuridica innovati va o interpretativa dell'art. 11, comma 22, che, entrando in vigore il 1° gennaio 1994 (come tutte le altre norme contenute nella stessa legge), è destinato a valere non soltanto per il futuro ma anche in modo re
troattivo, siccome voluto dal legislatore (dirà la Consulta quanto legitti mamente in concreto) in ammissibile eccezione (secondo i principi) al canone fissato dall'art. 11 (questa volta) delle preleggi.
Ancora, si evidenzia, sotto un diverso profilo: a) che l'istituto della
cristallizzazione, disancorato dall'inasprimento normativo apportato nel 1983 dal d.l. n. 463, diviene inutilizzabile per gli assistiti plurititolari, come insegna la controversia decisa dal Tribunale di Torino (e, infatti, l'art. 11, comma 22, si riferisce espressamente al «caso di concorso di due o più pensioni integrate al trattamento minimo, liquidate con decorrenza anteriore alla data di entrata in vigore del predetto decreto
legge»); b) che, applicata in modo innovativo, alle prestazioni cristalliz zate nel decennio 1983-1993, la nuova norma rischierebbe di rivelarsi inutile in molti casi, per essersi già verificato il superamento dell'impor to minimo erogato alla data del 30 settembre 1983, grazie alla perequa zione automatica della pensione calcolata su base contributiva, mentre è ben più sostanziale la finalità di risparmio scopertamente perseguita dal legislatore.
Il panorama delle prime applicazioni dell'art. 11, comma 22, annove
ra, infine, le tante pronunce allineatesi (realisticamente?) al nuovo cor so legislativo in pregiudizio delle ragioni e delle aspettative degli assisti ti. Si tratta di decisioni, meno stimolanti ai nostri fini, fra le quali, esemplificativamente, si menzionano le tempestive Trib. Arezzo 14 gen naio 1994 e Trib. Trani 27 gennaio 1994 (inedite al momento, per quan to consta).
(3) La sentenza fornisce la prova e, allo stesso tempo, rappresenta la giusta smentita di un'eccentrica applicazione giurisprudenziale in ma teria di c.d. cristallizzazione delle pensioni.
Sull'argomento, ormai ultradecennale e, quindi, non riassumibile ef ficacemente in poche battute, si vedano, per avviare la disamina, Cass. 19 dicembre 1989, n. 5720 (Foro it., 1990, I, 2244) e 5 maggio 1990, n. 3749 (ibid., 3451), entrambe con osservazioni di S. L. Gentile: la
prima, capostipite di una numerosa famiglia di conformi pronunce di
legittimità, orientata a riconoscere, dopo il 1° ottobre 1983, il graduale
Il Foro Italiano — 1994.
I
Ritenuto in fatto. — Con la sentenza dell'8 febbraio 1990,
ora denunciata, il Tribunale di Trani confermava la sentenza
del 4 ottobre 1989 — appellata da entrambe le parti — con
il quale il pretore della stessa sede aveva dichiarato che, dal
1° ottobre 1983, Angela Gazzillo — essendo titolare di più pen
sioni, integrate al minimo, a carico dell'Inps — aveva, bensì', diritto alla integrazione al trattamento minimo, soltanto su una
pensione (ai sensi dell'art. 6, comma 3, d.l. 12 settembre 1983
n. 463, convertito, con modifiche, nella 1. 11 novembre 1983
n. 683), ma conservava, tuttavia, l'importo del trattamento non
più integrabile (c.d. cristallizzazione), fino al suo riassorbimen to negli aumenti di pensione per effetto della perequazione au
tomatica (commi 7 e 5 del citato art. 6), condannando l'istituto
al pagamento di quanto conseguentemente dovuto (oltre inte
ressi e risarcimento del maggior danno da svalutazione moneta
ria, ai sensi dell'art. 1224, cpv., c.c., con decorrenza della pub
riassorbimento dell'importo della pensione integrato al minimo, in go dimento a tale data, sia nell'ipotesi di titolarità di un reddito ostativo,
perché eccedente la soglia posta dal 1° comma dell'art. 6 d.l. n. 463
del 1983, sia nel caso di cessazione del diritto all'incremento derivante
dal principio di unicità del beneficio reintrodotto dal comma 3 dello
stesso articolo; la seconda anche più favorevole ai pensionati, per avere
coordinato la cristallizzazione con la lettura del tetto legislativo nel sen
so che, «dopo il 1° ottobre 1983, il diritto alla doppia integrazione al minimo delle pensioni aventi decorrenza anteriore cessa solo per ef fetto del superamento del limite reddituale». Al fine di consentire un
aggiornamento sul tema, si citano, fra altre, Cass. 6 maggio 1991, n.
4963 (id., 1991, I, 2393) e 7 febbraio 1992, n. 1335 (id., Rep. 1992, voce Previdenza sociale, n. 858), quanto all'orientamento più lineare, secondo cui, in immediata applicazione del divieto di cui al comma
3, il pensionato bititolare perde il diritto a percepire il secondo tratta
mento integrato al minimo e lo conserva cristallizzato, fino al riassorbi
mento, sempre e comunque alla data del 1° ottobre 1983. Bisogna, pe raltro, evidenziare (sebbene rimangano i dubbi di cui si sostanzia la
nota a Cass. 3749/90) che buona fortuna ha avuto pure l'altra interpre tazione, incline a far dipendere l'operatività del nuovo divieto di cumu lo dallo sfondamento del tetto reddituale, in epoca eventualmente an
che successiva al 1° ottobre 1983, come attestano, ad esempio, Cass. 14 novembre 1991, n. 12139 (id., Rep. 1991, voce cit., n. 884) e 5 febbraio 1992, n. 1233 (id., Rep. 1992, voce cit., n. 861).
In ogni caso, quale che sia l'articolazione legislativa dello sbarramen
to introdotto con il d.l. n. 463 (vuoi che — come si opina — abbia
autonoma efficacia il ripristinato divieto di contitolarità delle integra zioni vuoi che si esalti il significato della prima parte del comma 6, facendo del limite reddituale l'asse portante di tutta la disciplina in
esame), è chiaro che una questione di cristallizzazione può porsi, per gli assistiti titolari di due o più pensioni integrate al minimo (i soli in una posizione problematica), esclusivamente se tali prestazioni hanno
decorrenza anteriore al 1° ottobre 1983. Infatti, la disposizione conte nuta nel comma 7 consiste in una cautela finalizzata ad evitare l'istan taneo ridimensionamento del reddito previdenziale, mentre, nel caso di
erogazione di entrambe le pensioni o anche di una soltanto da epoca successiva al 1° ottobre 1983, l'assistito bititolare non può trovarsi esposto al rischio di decurtazione delle entrate scongiurato dal nostro istituto.
Proprio di questo genere è la fattispecie in rassegna, in quanto l'ap pellata, titolare dal 1965 di una pensione di reversibilità, ha iniziato a fruire nel 1987 anche della pensione di vecchiaia e, avendo entrambi i trattamenti un importo a calcolo inferiore al minimo (nel momento in cui il secondo si è aggiunto al primo e si è, quindi, verificata la situazione regolata dal comma 3), ha visto trasferita alla pensione diret ta l'integrazione già goduta sulla pensione ai superstiti, senza per que sto subire alcun decremento del suo reddito previdenziale complessivo, che, anzi, risulta aumentato in misura pari all'ammontare della pensio ne indiretta non più integrata al minimo. Soltanto una valutazione par ziale della lite, perché limitata al fenomeno della riduzione su base con tributiva dell'importo della pensione di reversibilità, può avere indotto il giudice di prime cure a vedere nel caso in esame l'esigenza di tutela soddisfatta dall'istituto della cristallizzazione. Considerazioni analoghe dovrebbero svolgersi nell'ipotesi di decorrenza di entrambe le pensioni successiva al 1° ottobre 1983.
Peraltro, la pronuncia a rettifica del Tribunale di Torino ha preceduto di poco una novità legislativa che sembra destinata a provocare il genera le soffocamento dell'ampio contenzioso in materia di cristallizzazione, cosi smorzando anche i sussulti della giurisprudenza piemontese. Invero, la 1. 24 dicembre 1993 n. 537, recante «interventi correttivi di finanza pubbli ca» (Le leggi, 1994,1, 95) nell'art. 11, comma 22, sotto la rubrica «previ denza e assistenza» ha sancito che «l'art. 6, commi 5, 6 e 7, d.l. 12 set tembre 1983 n. 463, convertito, con modificazioni, dalla 1. 11 no
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
blicazione della sentenza della Corte costituzionale n. 314 del
1985 (Foro it., 1986, I, 1795), sulla quale si fondava il diritto alla doppia integrazione al trattamento minimo).
Avverso la sentenza d'appello, l'Inps propone ricorso per cas
sazione, affidato a due motivi. L'intimato resiste con controri
corso e propone, contestualmente, ricorso incidentale, affidato
ad un solo motivo.
Osserva in diritto. — 1. - Preliminarmente va disposta la riu
nione dei ricorsi, in quanto proposti contro la medesima sen
tenza (art. 335 c.p.c.). 2.1. - Con il primo motivo del ricorso principale — denun
ciando violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 6, commi 3 e 7, d.l. 12 settembre 1983 n. 463, convertito, con
modifiche, nella 1. 11 novembre 1983 n. 683; art. 5 d.l. 21 lu
glio 1992 n. 345) nonché vizio di motivazione (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.) — l'Inps censura la sentenza impugnata per avere
ritenuto che — anche nell'ipotesi del concorso di più pensioni
integrate al minimo — trovi applicazione la c.d. cristallizzazio
ne del trattamento non più integrabile, sebbene questa sia pre vista soltanto per il caso di perdita del diritto all'integrazione — su un'unica pensione — in dipendenza del superamento del
limite di diritto ostativo. 2.2. - L'interpretazione delle disposizioni invocate (commi 3
e 7 dell'art. 6 d.l. n. 463, conv. in 1. n. 638 del 1983) — propo sta dal tribunale ed investita dal motivo di ricorso in esame — risulta conforme alla giurisprudenza consolidata di questa
corte (vedine, per tutte le sentenze 8478/93, id., 1993, I, 2801,
delle sezioni unite; 13420/92. 3549/92, 1933/92, 1355/92, 1335/92, id., Rep. 1992, voce Previdenza sociale, nn. 847, 854, 878, 859, 858; 12139/91, 9664/91, 8015/91, id., Rep. 1991, vo ce cit., nn. 884, 890, 897; 7315/90, id., Rep. 1990, voce cit., n. 856 e numerose altre della sezione lavoro), sostanzialmente
condivisa dalla Corte costituzionale (sentenza 418/91, id., Rep.
1991, voce cit., n. 866, ordinanze 21/91, 164/92, id., Rep. 1992, voce cit., nn. 868, 844).
Invero la disposizione (art. 6, comma 7, cit.) — che garanti sce la conservazione dell'importo del trattamento non più inte
grabile (c.d. cristallizzazione) — non distingue fra le due ipotesi di cessazione dell'integrazione al minimo (superamento del pre
visto limite di reddito, da parte del titolare di un'unica pensione integrata al minimo; concorso di più pensioni, tutte integrate
al minimo, in testa al medesimo titolare) — previste contestual
mente (commi 1 e 3 dell'art. 6, cit.) — e, inoltre, ricorre, in
relazione ad entrambe le ipotesi, l'identica esigenza di graduali
tà nella eliminazione del trattamento precedentemente erogato.
Nelle more del giudizio di cassazione, tuttavia, è entrato in
vigore l'art. 11, comma 22, 1. 24 dicembre 1993 n. 537 (inter
venti correttivi di finanza pubblica) — collegata alla legge fi
nanziaria per il 1994 (1. 24 dicembre 1993 n. 538) — che sanci sce testualmente:
«L'articolo 6, commi 5, 6 e 7, d.l. 12 settembre 1983 n. 638,
convertito, con modificazioni, dalla 1. 11 novembre 1983 n. 638,
si interpreta nel senso che nel caso di concorso di due o più
pensioni integrate al trattamento minimo, liquidate con decor
renza anteriore alla data di entrata in vigore del predetto decreto
legge, il trattamento minimo spetta su una sola delle pensioni,
come individuata secondo i criteri previsti al comma 3 dello
stesso articolo, mentre l'altra o le altre pensioni spettano nel
l'importo a calcolo senza alcuna integrazione». Si tratta della sostanziale reiterazione (sia pure con qualche
variante testuale) di disposizioni precedenti (art. 4, 1° comma,
dei decreti legge 14/92, 237/92, 293/92, art. 5, 1° comma, d.l.
n. 345/92, tutti decaduti in difetto della conversione in legge),
che sono state (almeno in parte) investite da questioni di legitti
mità costituzionale (in riferimento agli art. 3, 38, 2° comma,
e, talora, 77 Cost.) — sollevate (anche) con ordinanze di questa
corte (ord. nn. 142/92, ibid., n. 749; 485/92), ma — dichiarate
vembre 1983 n. 638, si interpreta nel senso che nel caso di concorso
di due o più pensioni integrate al trattamento minimo, liquidate con
decorrenza anteriore alla data di entrata in vigore del predetto decreto
legge, il trattamento minimo spetta su una sola delle pensioni, come
individuata secondo i criteri previsti al comma 3 dello stesso articolo, mentre l'altra o le altre pensioni spettano nell'importo a calcolo senza
alcuna integrazione». [S. L. Gentile]
Il Foro Italiano — 1994.
inammissibili in dipendenza, appunto, della decadenza delle di sposizioni impugnate (Corte cost. ord. 443, 447/92).
Né pare revocabile in dubbio la natura di interpretazione au
tentica — e la connaturale efficacia retroattiva — (anche) della
disposizione ora in vigore (art. 11, comma 22, 1. 537/93, cit.). Con il tenore letterale («si interpreta nel senso») concorre —
a sostegno dell'assunto — la «struttura» della disposizione in
esame.
Questa coniuga, infatti, un momento logico-assertivo — che
consiste nella enunciazione di un apprezzamento interpretativo
circa il significato di una disposizione precedente (quale, nella specie, l'art. 6, commi 5, 6, e 7, d.l. 473, conv. in 1. 638/83) — con un momento precettivo, consistente nella imposizione di quel significato, con esclusione di ogni altro (in tal senso,
vedi, per tutte, Cass. 3888/93, id., 1993,1, 1399, 1823/93, cit.; 8237/92, id., Rep. 1992, voce cit., n. 278; 2210/91, id., Rep. 1991, voce cit., n. 248; 2209/91, id., 1991, I, 2672, anche in motivazione).
In altri termini, una disposizione va qualificata, appunto, di interpretazione autentica — secondo la giurisprudenza costante
della Corte costituzionale (vedine, per tutte, sent. 402/93, id.,
1994, I, 32; 39/93, id., 1993, I, 1766; 454/92, id., 1993, I, 673; 246/92, id., 1992,1, 2601; 380/90, id., 1991,1, 1063; ord. 480/92, id., 1993, I, 2448; 205/91, id., Rep. 1991, voce Circolazione stradale, n. 141) e di questa corte (vedi, per tutte, sez. un.
3888/93, cit.; 1823, 1731-1733, 1618/93, id., Mass., 188, 177, 171, anche in motivazione) — quando, fermo restando il tenore
letterale della disposizione interpretata, ne chiarisca il significa
to oppure ne privilegi una delle tante interpretazioni possibili, contestualmente imponendola ai giudici.
Soccorrono, tuttavia, anche suggestioni dei lavori preparatori della legge (1. 537/93).
Ne risulta, infatti, che — in consapevole contrasto con la
ricordata giurisprudenza costante di questa corte, «sostanzial
mente condivisa» dalla Corte costituzionale (sent. 418/91, cit.) — la disposizione in esame (art. 11, comma 22), intende pro
porre una più restrittiva interpretazione autentica (dell'art. 6,
commi 5, 6 e 7, d.l. n. 463, conv. in 1. 638/83), nel senso di escludere duplicità di integrazioni al minimo, nel caso di più pensioni.
Siffatta interpretazione, quindi, sembra imporre — per l'ipo
tesi di più pensioni integrate al minimo — la «conservazione»
del trattamento minimo, appunto, su una sola pensione (indivi
duata in base ai criteri, di cui al comma 3 del d.l. n. 463, conv.
in 1. 638/83), mentre le altre ipotesi concorrenti vanno corrispo
ste «nell'importo a calcolo senza alcuna integrazione». Ne risulta una riduzione del trattamento pensionistico com
plessivo, «vigente» dalla data considerata (entrata in vigore del
d.l. 463/83). In quanto si discosta da siffatta interpretazione autentica —
che retroagisce alla data di entrata in vigore della disposizione
interpretata (art. 6 d.l. 463, conv. in 1. 638/83) e, perciò, è
applicabile alla dedotta fattispecie — la sentenza impugnata me
riterebbe, quindi, le censure che le vengono mosse dall'istituto
ricorrente.
Tuttavia, pare rilevante e non manifestamente infondata, ad
avviso della corte, la questione di legittimità costituzionale —
in riferimento agli art. 38, 2° comma, 3 e 101, 102, 104 Cost. — del combinato disposto della norma interpretata (art. 6, commi
5, 6 e 7, d.l. n. 463, conv. in 1. 638/83) e di quella di interpreta
zione autentica (art. 11, comma 22, 1, 537/93).
Soccorrono, a sostegno, rationes decidendi che corrispondo
no — almeno in parte — a quelle che sorreggono le questioni
di legittimità costituzionale, da questa corte sollevate (ord. 142,
485/92, cit.) — per quanto si è detto — in relazione a disposi
zioni interpretative (art. 4, 1° comma, d.l. 14/92 e 293/92, cit.), sostanzialmente identiche a quella (art. 11, comma 22,1. 537/93,
cit.) che ne risulta ora investita (sia pure con riferimento a pa
rametri di costituzionalità parzialmente diversi).
2.2. - La rilevanza — che è rimessa alla «motivata» valuta
zione del giudice a quo (in tal senso, vedi, per tutte, Corte cost.n.
297/86, id., Rep. 1987, voce Società, n. 489; 246/86, ibid., vo ce Infortuni sul lavoro, n. 150; 228 e 165/85, id., 1985,1, 3026 e 2169; 293/84, ibid., 651) — si risolve, infatti, nell'influenza — ai fini della definizione, appunto, del giudizio a quo
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1031 PARTE PRIMA 1032
— delle disposizioni o delle «norme» (sullo specifico punto, ve
di, per tutte, Corte cost. 204/82, id., 1982, I, 2928; Cass., sez.
un., 4823/87, id., 1987, I, 2031), che risultino investite della questione di legittimità costituzionale (in tal senso, vedi, per
tutte, Cass. 4389/87, id., Rep. 1987, voce Cassazione civile, n. 12; 5694/86, id., Rep. 1986, voce cit., n. 10; 4789/86, ibid., voce Corte costituzionale, n. 28; 3802/85, id., Rep. 1985, voce
cit., n. 31). In particolare, la questione di legittimità costituzionale è rile
vante, nel giudizio di cassazione, quando risulti strumentale ri
spetto alla soluzione — censurata con il ricorso — di questioni di diritto sostanziale o processuale (in tal senso, vedi, per tutte, Cass. 4389/87, 5694/86, 3802/85, cit. e, con riferimento alle impugnazioni in generale, Cass. 4789/86, cit.), senza supporre,
tuttavia, un accertamento di fatto ulteriore da parte del giudice di merito (vedi, per tutte, Cass. 4389/87, cit.).
Ora, nel caso di specie, la decisione del ricorso dipende dal
l'applicazione — alla dedotta fattispecie — della disposizione
(art. 6, commi 5, 6 e 7, d.l. n. 463, conv. in 1. 638/83) — che ne reca la disciplina — nel significato imposto dalla relativa
disposizione di interpretazione autentica (art. 11, comma 22, 1. 537/93), ora in esame.
Di siffatta interpretazione autentica — che comporterebbe,
per quanto si è detto, l'accoglimento del (primo motivo del) ricorso (principale) — pare, tuttavia, non manifestamente in
fondata la questione di legittimità costituzionale, in riferimento
agli art. 38, 2° comma, 3 e 101, 102, 104 Cost.
Solo all'esito della decisione della questione di legittimità co
stituzionale prospettata, tuttavia, sarà possibile scrutinare non
solo il primo motivo del ricorso principale — che riguarda il
credito di capitale (derivante dalla cristallizzazione pretesa) —
ma anche il secondo motivo dello stesso ricorso nonché il ricor
so incidentale, che investono — sotto profili diversi — la statui
zione della sentenza impugnata, concernente gli accessori (inte ressi e maggior danno da svalutazione monetaria) di quel credi
to per capitale. 2.4. - È ben vero, infatti, che la legge di interpretazione au
tentica non è, di per sé, in contrasto con precetti costituzionali,
potendo, di regola, il legislatore — nell'esercizio della propria discrezionalità — imporre un significato determinato — anche
con effetto retroattivo — a disposizioni precedenti, senza inter
ferire con ciò, nella sfera riservata al potere giudiziario (vedi Corte cost. 175/74, 68/84, 236/85, 167/86, 36/86, 123/88, 233/88, 754/88, 283/89, id., 1975, I, 2589; id., 1984, I, 906; id., 1986, I, 638; ibid., 1741; id., 1987, I, 4; id., 1989, I, 652; id., Rep. 1988, voce Corte costituzionale, n. 28; id., 1989, I,
1013; ibid., 2395). Ciò non esclude, tuttavia, qualsiasi scrutinio di costituziona
lità — ma ne impone, bensì, lo spostamento degli «aspetti for
mali» al «contenuto sostanziale» — delle singole disposizioni
legislative, appunto, di interpretazione autentica.
Al pari di qualsiasi altra disposizione, infatti, anche le dispo sizioni interpretative possono — per il loro «contenuto norma
tivo», oltre che per la loro «retroattività» (che ne costituisce
connotato «normale», anche se non essenziale) — risultare in
contrasto con precetti costituzionali.
Per quel che qui interessa, c'è da domandarsi, quindi, se —
discostandosi, per quanto si è detto, dalla giurisprudenza con
solidata di questa corte (cioè dal diritto vivente, nell'accezione
che ne viene accolta dalla Corte costituzionale: vedine, per tut
te, le sentenze n. 260/92, 11/89, 382/88, 377/88, 279/88, 52/86,
id., 1992, I, 3230; id., Rep. 1989, voce Armi, n. 32; id., 1989, I, 2353; id., 1988, I, 2453; id., Rep. 1988, voce Regione, n. 407; id., 1986, I, 857) nonché dalla ricordata sentenza interpre tativa di rigetto della stessa Corte costituzionale (sent. 418/91,
cit.) — la disposizione di interpretazione autentica (art. 11, com
ma 22, 1. 537/93), di cui si discute, risulti compatibile con nor me, principi e valori costituzionali.
2.5. - È ben vero, infatti, che la sentenza interpretativa di
rigetto della Corte costituzionale (sent. 418/91, cit.) — confer
mativa, nella sostanza, dell'interpretazione (dell'art. 6 d.l. n.
463, conv. in 1. 638/83), accolta dalla giurisprudenza consolida
ta di questa corte — non ha efficacia vincolante erga omnes, ma soltanto nell'ambito del guidizio a quo (vedi, per tutte, Cass.
2326/90, id., 1990, I, 2182). Tuttavia — oltre a costituire precedente particolarmente au
torevole — siffatta tipologia di pronuncia (interpretativa di ri
1l Foro Italiano — 1994.
getto, appunto) può dar luogo, altresì, al c.d. meccanismo della
doppia pronuncia: alla pronuncia interpretativa di rigetto segue — in ipotesi di dissenso dalla interpretazione, che ne risulti pro
posta — una pronuncia di accoglimento, che impone l'interpre tazione medesima (vedi, per tutte, Corte cost. 37/85, id., Rep.
1985, voce Impiegato dello Stato, n. 713). Tale meccanismo, invero, risulta impiegato, finora, in ipotesi
di dissenso dei giudici dalla interpretazione proposta — in pro nunce di rigetto — dalla Corte costituzionale.
Nulla osta, tuttavia, all'estensione del meccanismo ad ipotesi di dissenso — da parte del legislatore — in disposizioni, appun
to, di interpretazione autentica.
Anche in tal caso, infatti, viene disattesa la interpretazione — proposta dalla Corte costituzionale, in pronuncia di rigetto — sebbene l'interpretazione stessa venga prospettata come l'u
nica idonea ad assicurare la confomità della disposizione, che
ne risulta interpretata, alla Costituzione.
Pertanto, la disposizione interpretativa in esame (art. 11, com
ma 22, 1. 537/93, cit.) — in quanto si discosta dalla interpreta zione di una disposizione precedente (art. 6, comma 7, d.l. n.
463, conv. in 1. 638/83), accolta in pronuncia (interpretativa,
appunto) di rigetto della Corte costituzionale (sent. 418/91, cit.) — può dar luogo ad una successiva pronuncia di accoglimento della stessa corte — concernente il combinato disposto della
disposizione di interpretazione autentica e di quella interpretata — e volta ad imporne il significato disatteso.
I parametri di costituzionalità (art. 3 e 38 Cost.) possono ri
cavarsi, poi, dalla stessa pronuncia di rigetto della Corte costi
tuzionale (sent. 418/91, cit.), che ha negato il contrasto — con
quei precetti costituzionali — della disposizione impugnata (art.
6, comma 7, d.l. n. 463, conv. in 1. 638/83), solo se interpretata nel senso — accolto dalla giurisprudenza consolidata di questa corte — che risulta, ora, disatteso dalla disposizione di inter
pretazione autentica (art. 11, comma 22, 1. 537/93). La conclusione proposta si impone, vieppiù, ove si consideri
che la Corte costituzionale (sent. n. 164 dell'8 aprile 1992, cit.) — anche dopo l'entrata in vigore delle menzionate disposizioni di interpretazione autentica (art. 4, comma 1, d.l. n. 14 e n.
237 del 1992), di contenuto sostanzialmente identico a quella in esame — ha ribadito che «successivamente (alla data di en
trata in vigore del d.l. n. 463, conv. in 1. 638/83: n.d.e.) opera il principio della integrabilità di un'unica pensione, con cristal lizzazione del trattamento non integrato».
Tanto basterebbe per ritenere non manifestamente infondata
la questione di legittimità costituzionale prospettata.
Tuttavia, la incompatibilità — con i medesimi precetti costi
tuzionali (art. 3 e 38) — del combinato disposto in esame di
scende (anche) dalla natura dell'istituto del trattamento pensio nistico minimo (vedi Corte cost. 31/86, id., 1986, I, 1770).
2.6. - Essendo svolto a garantire ai «lavoratori» (non già ai
«cittadini») «mezzi adeguati alle loro esigenze di vita» (ai sensi
dell'art. 38, 2° comma, Cost.) — sia pure senza soggiacere alla
logica del sistema mutualistico-assicurativo — il trattamento pen sionistico minimo non ha natura prevalentemente assistenziale, ma essenzialmente previdenziale (v. Corte cost. 31/86, cit.).
Coerenti con tale natura — oltreché con il principio costitu
zionale di uguaglianza (art. 3 Cost.), anche sotto il profilo della
«ragionevolezza» (sulla quale vedi, da ultimo, Corte cost. 24/92,
id., 1992, I, 1052) — risultano, quindi, le numerose pronunce della Corte costituzionale, che — sin dal 1974 (sent. 230/74,
id., 1974, I, 2946) — hanno dichiarato costituzionalmente ille
gittime disposizioni di legge (art. 2, 2° comma, 1. 1338/62 e 23 1. 153/69; art. 1, 2° comma, 1. 9/63; art. 19, 2° comma, 1. 613/66), che recavano, appunto, il divieto di cumulo dell'in tegrazione al trattamento minimo, nelle previste ipotesi del con
corso di due o più pensioni (con riferimento alla prima delle
disposizioni citate, vedi: Corte 230/74, cit.; 263/76, 34/81, 102/82, id., 1977, I, 566; id., 1981, I, 1502; id., 1982, I, 1489, nonché 314/85, cit., anche per ipotesi residue di cumulo non
contemplate dalle precedenti pronunce; con riferimento alla se
conda delle disposizioni citate, vedi Corte cost. 34/81, cit.;
184/88, id., 1989, I, 2055, nonché 81/89, id., 1989, I, 2054, anche per ipotesi residue di cumulo non contemplate dalle pro nunce precedenti; con riferimento alla terza disposizione vedi
Corte cost. 102/82, cit.; 1144/88, id., 1989, I, 2054; 142/83, id., 1983, I, 2656; 373/89, 488/89, 502/89, id., 1989, I, 2341, 3021, 3330; 69/90, 70/90, 547/90, id., 1991,1, 385, 384; 165/92,
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
id., Rep. 1992, voce cit., n. 843; con riferimento alla quarta
disposizione, vedi: Corte cost. 102/82, 184/88, 1086/88, 179/89, 250/89, 502/89, 504/89, id., 1989, I, 2055, 2053, 3330, 3329; 182/90, id., 1991, I, 384; 114/92, id., Rep. 1992, voce Previ denza sociale, n. 845; 164/92, cit.).
Tuttavia ciò non ha impedito che — in attuazione di monito
della stessa Corte costituzionale (sent. 102/82, cit.) — il legisla tore (art. 6, comma 3, d.l. n. 463, conv. in 1. 638/83 cit.) intro
ducesse — per l'avvenire (a far tempo, cioè, dal 1° ottobre 1983) — il divieto di cumulo dell'integrazione al trattamento minimo — nel caso di concorso di due o più pensioni — ferme restando
in via transitoria, le situazioni pregresse (siccome è confermato,
tra l'altro, dalle ricordate pronunce successive di incostituziona
lità dei pregressi divieti di cumulo). Il divieto di cumulo (di cui all'art. 6, comma 3, d.l. n. 463,
conv. in 1. 638/83), poi, ha superato lo scrutinio di costituzio
nalità (Corte cost. n. 184/88, cit.). Volto a «razionalizzare» il regime dell'integrazione al mini
mo — siccome auspicato dalla stessa Corte costituzionale —
quel divieto di cumulo, infatti, è stato ritenuto «espressione di
quella valutazione del rapporto tra esigenze di vita e predisposi zione di mezzi idonei . . . , riservata alla discrezionalità legisla
tiva», pur avvertendo, peraltro, che tali mezzi non sono soltan
to «quelli che soddisfano i bisogni elementari e vitali, ma anche
quelli che siano idonei a realizzare le esigenze relative al tenore
di vita conseguito dallo stesso lavoratore in rapporto al reddito
ed alla posizione sociale raggiunta in seno alla categoria di ap
partenenza per effetto dell'attività lavorativa svolta» (sent. n.
173 del 1986, id., 1986,1, 2087) (cosi, testualmente, Corte cost.
184/88, cit.). Infatti, la norma allora denunciata (art. 6, comma 3, d.l.
n. 463, conv. in 1. 638/83) — come la Corte costituzionale sot
tolinea (nella stessa sentenza 184/88, cit.) — «sancisce una ge
nerale regola, in ordine alla scelta della pensione da integrare
al minimo, consentendo, però, la perequazione automatica del
trattamento non integrato (e) si colloca nel divenire di un pro cesso che, a partire dal 1° ottobre 1983, tende a rendere unifor
me l'istituto del trattamento minimo in presenza del cumulo
di più pensioni». Tuttavia, restano impregiudicate — anche secondo la Corte
costituzionale (sente. 184/88, cit.) — le situazioni pregresse (an
teriori, cioè, al 1° ottobre 1983). Nel regime vigente fino a tale data — quale risulta dalle di
sposizioni di legge e dalle relative pronunce (di accoglimento)
della Corte costituzionale (in tema, appunto, di «cumulo» delle
integrazioni al minimo) — il diritto del lavoratore a che siano
garantiti mezzi adeguati alle proprie esigenze di vita (art. 38,
2° comma, Cost.) — nel senso precisato dalla stessa Corte co
stituzionale (sent. 173/86, cit.) — veniva assicurato, infatti, sol
tanto dal cumulo di più integrazioni nel caso di concorso di
due o più pensioni. Il «diritto alla previdenza» (di cui all'art. 38, 2° comma, Cost.)
risulta, quindi, leso dalla negazione della «cristallizzazione» —
sia pure in via transitoria — dell'importo del trattamento non
più integrabile — già maturato alla data del 30 settembre 1983
— una volta che l'importo stesso — alla luce del regime allora
vigente — rappresentava il minimo indispensabile per garantire ai lavoratori, appunto, «mezzi adeguati alle loro esigenze di vi
ta» (art. 38, 2° comma, Cost.). In difetto della garanzia del «minimo», infatti «non sono le
gittime norme che implichino una sostanziale decurtazione del
complessivo trattamento pensionistico» (v. Corte cost. 204/92,
id., 1992, I, 1625). Del resto, la salvaguardia dell'«importo corrispondente al trat
tamento minimo di pensione prevista per il fondo pensioni la
voratori dipendenti» risulta garantita ) dalla stessa Corte costi
tuzionale — quale principio di carattere generale (vedi, per tut
te, Corte cost. 494/93, id., 1994, I, 323), mentre — nello stesso
ambito di diretta applicazione — viene assicurata a fini affatto
diversi fra loro (vedi, per tutte, Corte cost. 495/93, ibid., 319).
Peraltro «compatibilità economiche» o «grandezze finanzia
rie» comunque definite (nella legge finanziaria, cioè, in leggi collegate ad essa o aliunde) — ancorché possano incidere sulle
spese previdenziali (vedi Corte cost. 2/94, ibid., 305, sia pure con riferimento a disposizioni ed a fini affatto diversi da quelli
che qui interessano) — non possono pregiudicare, tuttavia, il
diritto fondamentale alla previdenza (art. 38, 2° comma, Cost.),
Il Foro Italiano — 1994.
nel suo contenuto essenziale.
Prevedendo, quindi, la integrazione al trattamento minimo — soltanto per una delle pensioni concorrenti (individuata con
i criteri all'uopo stabiliti) — il combinato disposto della dispo sizione interpretativa in esame (art. 11, comma 22, 1. 537/93) e della disposizione — che ne risulta interpretata (art. 6, com
ma 7, d.l. n. 463, conv. in 1. 638/83) — comporta, appunto, la «sostanziale decurtazione del complessivo trattamento pen sionistico» — al di sotto del «minimo» indispensabile per ga rantire ai lavoratori «mezzi adeguati alle loro esigenze di vita» — e risulta, perciò, incompatibile con il precetto costituzionale
ricordato (art. 38, 2° comma, Cost.). 2.7. - Ne risulta violato, altresì, il principio di «ragionevolez
za» (ex art. 3 Cost.).
Appare sprovvista, infatti, di qualsiasi ragionevole giustifica
zione la negazione — che pare imposta dalla disposizione di
interpretazione autentica (art. 11, comma 22, 1. 537/93, cit.),
investita dall'incidente di costituzionalità — della «cristallizza zione» (sia pure in via transitoria) dell'importo già maturato
del trattamento minimo di pensioni non più integrabili. Ne risulta, infatti, la riduzione del trattamento pensionistico
complessivo, al di sotto del livello che — secondo il regime vi
gente nel periodo della sua maturazione (a seguito dei ripetuti
interventi della Corte costituzionale, che, per quanto si è detto,
hanno sostanzialmente esteso, fino a generalizzare, la cumula
bilità delle integrazioni al minimo) — era stato ritenuto appena
sufficiente per garantire ai lavoratori mezzi adeguati alle loro
esigenze di vita.
2.8. - La medesima questione di legittimità costituzionale (del
combinato disposto, cioè, dell'art. 6, commi 5, 6 e 7, d.l. n.
463 conv. in 1. 638/83, e dell'art. 11, comma 22, 1. 537/93),
tuttavia, pare non manifestamente infondata — sia pure nei
ristretti limiti di seguito precisati — anche con riferimento ad
altre norme costituzionali (art. 101, 102, 104 Cost.).
È ben vero, infatti, che la giurisprudenza consolidata non
preclude il ricorso allo strumento della interpretazione autentica
(né alla legge meramente retroattiva) allo scopo di «rimediare
ad una opzione interpretativa (che sia) consolidata nella giuris
prudenza in senso divergente dalla linea di politica del diritto
(dal legislatore) giudicata più opportuna» (cosi, testualmente,
Corte cost., ord. 480/92, cit.; vedi, altresì, Corte cost. 402/93,
sez. un. 3888/93, cit., ed altre coeve, anche in motivazione).
Infatti né la legge di interpretazione autentica (vedi, per tut
te, Corte cost. 118/57, 6/88, 155/90, 205/92, 246/92, id., 1957, I, 1133; id., 1989, I, 62; id., 1990, I, 3072; id., 1982, I, 2608; ibid., 2601), né quella meramente retroattiva (vedi, per tutte,
Corte cost. 123/88, 402/93, cit.) — la cui differenziazione sem
bra rilevare, peraltro, soltanto sotto il profilo della (eventuale)
autodefinizione arbitraria come norma di interpretazione auten
tica (vedi Corte cost. 380/90, id., 1991, I, 1063; 155/90, cit.) — interferisce, di per sé, con la sfera riservata al potere giudi
ziario, a meno che ne risulti la lesione del giudicato già forma
tosi o l'intenzione di incidere, direttamente, su giudizi in corso
o su concrete fattispecie sub iudice.
Lungi dall'interferire sull'esercizio della potestas iudicandi,
le leggi interpretative (come quelle meramente retroattive) con
corrono, invece, a definire la fattispecie normativa, che forma
oggetto di questa potestas.
Tuttavia, «la scelta ermeneutica, imposta dalla legge interpre
tativa, (deve) rientr(are) tra le possibili varianti di senso (scili
cet, compatibili con il tenore letterale) del testo interpretato,
cioè stabili(re) un significato che ragionevolmente poteva essere
ascritto alla legge anteriore» (cosi, testualmente, Corte cost.,
ord. 480/92, cit.). Né questa corte può ritenere «ragionevolmente ascritto» —
alla disposizione che, nella specie, ne risulta interpretata (art.
6, commi 5, 6 e 7, d.l. n. 463, conv. in 1. 638/83, cit., appunto) — il significato, che le viene attribuito dalla disposizione di in
terpretazione autentica (art. 11, comma 22,1. 537/93, cit.), una
volta che il significato stesso è stato radicalmente escluso —
per quanto si è detto — dalla propria giurisprudenza consolidata.
Tanto basta per ritenere non manifestamente infondata —
(anche) in riferimento agli art. 101, 102 e 104 Cost. — la pro
spettata questione di legittimità costituzionale (del combinato
disposto dell'art. 6, commi 5, 6 e 7, d.l. n. 463 conv. in 1.
638/73, e dell'art. 11, comma 22, 1. 537/93).
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1035 PARTE PRIMA 1036
3. - Pertanto — previa declaratoria di «rilevanza» e «non
manifesta infondatezza» della prospettata questione di legitti mità costituzionale — va ordinata la immediata trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale e, sospeso il presente giudi
zio, va disposto che, a cura della cancelleria, questa ordinanza
sia notificata alle parti in causa, al procuratore generale presso la Corte di cassazione nonché al presidente del consiglio dei
ministri e, nel contempo, sia comunicata al presidente della ca
mera dei deputati e del senato della repubblica (ai sensi dell'art.
23 1. 11 marzo 1953 n. 87).
II
(Omissis). Il principio della c.d. cristallizzazione è enunciato testualmente dal comma 7 nei seguenti termini: «L'importo ero
gato alla data della cessazione del diritto all'integrazione viene
conservato fino al suo superamento per effetto dell'applicazio ne delle disposizioni di cui al 5° comma dell'importo determi
nato ai sensi del 6° comma».
Nessun dubbio vi è mai stato sul significato normativo della
disposizione riportata, in relazione all'ipotesi della cessazione
del diritto alla integrazione per superamento di reddito, enun
ciata al 6° comma immediatamente precedente. Contrasti interpretativi sono sorti circa la riferibilità del 7°
comma della regola in esso contenuta della cristallizzazione an
che all'ipotesi della cessazione del diritto alla integrazione per concorso tra due pensioni, di cui al 3° comma.
Il contrasto è stato risolto dalle alte magistrature nei seguenti conformi termini: «A seguito dell'entrata in vigore, in data 1°
ottobre 1983, del d.l. 12 settembre 1983 n. 463, convertito, con
modificazioni, in 1. 11 novembre 1983 n. 638, in ipotesi di cu mulo di più pensioni l'assicurato, ove non ostino i limiti di red
dito di cui al 1° comma dell'art. 6 1. cit., ha diritto ad un solo
trattamento di integrazione al minimo, da praticarsi sulla pen sione indicata nel 3° comma dello stesso articolo; la cessazione
del trattamento minimo sull'altra pensione non comporta peral tro anche la perdita del trattamento economico, perché la di
sposizione contenuta nel successivo 7° comma fa si che la misu
ra dell'integrazione al minimo corrisposta alla data del 30 set
tembre 1983 deve essere conservata fino al suo riassorbimento
conseguente all'automatica perequazione della pensione base»
(Cass. 19 dicembre 1989, n. 5720, Foro it., 1990, I, 2244; 29 gennaio 1991, n. 841 id., Rep. 1991, voce Previdenza sociale, nn. 915, 914; 12 febbraio 1991, n. 1436, ibid., n. 912; 8 marzo 1991, n. 2458, ibid., n. 910; ; 15 marzo 1991, n. 2747, ibid., n. 898; 27 marzo 1991, n. 3331, ibid., n. 894; 6 maggio 1991, n. 4963, id., 1991, I, 2393; 1° giugno 1991, n. 6192, id., Rep. 1991, voce cit., n. 896, ecc.).
Tale orientamento ha ricevuto il sigillo dell'unica interpreta zione costituzionalmente corretta da Corte cost. 19 novembre
1991, n. 418 (ibid., n. 860), secondo cui «Per effetto della so
pravvenuta sentenza 314/85, il principio dell'unica pensione in
tegrata al minimo, affermato dal legislatore del 1983, deve in
tendersi validamente operante solo a partire dal 1° ottobre 1983
ma non per il periodo antecedente. Ne consegue che, successi
vamente alla data indicata, il titolare di due pensioni integrate al minimo conserva su un solo trattamento il diritto all'integra zone mentre per l'altro la misura dell'integrazione stessa resta
ferma all'importo percepito alla data del 30 settembre 1983 ed
è destinata ad essere gradatamente sostituita per riassorbimen
to, in virtù degli aumenti che la pensione-base viene a subire
per effetto della rivalutazione automatica».
Inoltre, la camera dei deputati, nella seduta del 6 agosto 1992
(G.U. 7 agosto 1992 n. 185), ha respinto, con deliberazione adot
tata ai sensi dell'art. 96 bis, 3° comma, del proprio regolamen to, il disegno di legge n. 1339 recante: «Conversione in legge del d.l. 21 luglio 1992 n. 345», il cui art. 5, 1° comma, dettava
una interpretazione autentica dell'art. 6, commi 5, 6 e 7 del
d.l. 12 settembre 1983 n. 463, convertito, con modificazioni, in 1. 11 novembre 1983 n. 638, contraria all'interpretazione giu diziale consolidata sopra riportata.
Alla luce di quanto precede va interpretato l'art. 11, comma
22, 1. 24 dicembre 1993 n. 537 (interventi correttivi di finanza pubblica) che recita: «L'articolo 6, commi 5, 6 e 7, d.l. 12 set
tembre 1983 n. 463, convertito, con modificazioni, dalla 1. 11
Il Foro Italiano — 1994.
novembre 1983 n. 638, si interpreta nel senso che nel caso di
concorso di due o più pensioni integrate al trattamento mini
mo, liquidate con decorrenza anteriore alla data di entrata in
vigore del predetto decreto-legge, il trattamento minimo spetta su una sola delle pensioni, come individuata secondo i criteri
previsti al comma 3 dello stesso articolo, mentre l'altra o le
altre pensioni spettano nell'importo a calcolo senza alcuna inte
grazione».
Orbene, sicuramente la norma riportata è innovativa rispetto alla disposizione del comma 7 che testualmente prevede la cri
stallizzazione. Ma, poiché l'art. 11 comma 22 accomuna in un'u
nica qualificazione interpretativa anche l'intervento sui commi
5 e 6 menzionati unitamente al comma 7 per tutte le disposizio ni di riferimento contenute nei commi 5, 6 e 7 la norma stessa
deve essere ritenuta innovativa.
Non è inibito al legislatore di intervenire per imporre deter
minati significati a precedenti norme, anche in mancanza di con
trasti interpretativi (Corte cost. 25 maggio 1989, n. 283, id.,
1989, I, 2395), ma le modalità temporali e contenutistiche di
siffatto intervento ppssono essere rivelatrici di concreta irrazio
nalità (idem). Il contrasto con una interpretazione consolidata della corte
di legittimità, e soprattutto il giudizio già espresso dal giudice delle leggi circa l'interpretazione costituzionalmente corretta della
norma oggetto dell'intervento interpretativo, sono indici suffi
cientemente rivelatori del carattere essenzialmente innovativo della
norma di cui si discute.
Anche il secondo motivo di appello va respinto.
Ili
Con ricorso ex art. 414 e 442 c.p.c. la sig. Ester Boetto si
rivolgeva al Pretore del lavoro di Torino e, premesso di essere
titolare di pensione di reversibilità con decorrenza originaria 1 °
luglio 1965, esponeva che in data 1° gennaio 1987 era divenuta
titolare anche di pensione di vecchiaia e, lamentava che a far
tempo dalla data di decorrenza della seconda pensione, la pri ma fosse stata riliquidata su base contributiva.
Sosteneva invece la ricorrente che, in ottemperanza alla 1.
638/83, la pensione non integrata al trattamento minimo non
doveva essere riportata a calcolo, ma cristallizzata all'importo in vigore al momento della decorrenza della seconda pensione.
Chiedeva pertanto la condanna dell'Inps, previa declaratoria
del diritto ad ottenere dal 1° gennaio 1987 l'importo di pensio ne pari a quello percepito nel mese precedente, a versarle la
differenza tra quanto dovuto e quanto corrisposto.
L'Inps, costituendosi in giudizio, ribadiva la tesi già esposta in fase amministrativa e chiedeva la reiezione delle avversarie
domande.
Il pretore, con sentenza in data 13 novembre 1990, accoglieva la domanda della Boetto.
Contro tale decisione l'Inps proponeva appello con ricorso
a questo tribunale in data 16 aprile 1991; all'appello resisteva
la Boetto costituendosi in questo grado con memoria 15 settem
bre 1992.
La causa veniva decisa all'udienza del 7 luglio 1993.
Il problema della applicabilità, nel caso di titolarità di due
o più pensioni, della disposizione del comma 7 dell'art. 6 1.
11 novembre 1983 n. 638, secondo cui l'importo erogato alla
data di cessazione del diritto all'integrazione al minimo viene
conservato nella misura in atto alla data del 30 settembre 1983, è già stato esaminato e risolto più volte da questo tribunale
in senso favorevole alla pensionata. Infatti la Corte di cassazione si è pronunciata nel senso che
la cristallizzazione dell'importo della pensione integrata al mini
mo in corresponsione per il mese di settembre 1983 compete a norma del disposto del comma 7 dell'art. 6 d.l. 12 settembre
1983 n. 463 conv. in 1. 11 novembre 1983 n. 638 anche quando il venir meno del diritto all'integrazione, a decorrere dall'otto
bre 1983, deriva dall'applicazione del principio di cui al 3° com ma del suddetto articolo, in forza del quale è integrabile una
sola pensione (Cass. 19 dicembre 1989, n. 5720, Foro it., 1990,
I, 2444; 5 maggio 1990, n. 3749, ibid., 3451; 17 luglio 1990, n. 7315, id., Rep. 1990, voce Previdenza sociale, n. 856).
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Poiché si tratta di una linea interpretativa più volte confer mata e sorretta da ampia e convincente motivazione, il tribuna le ha ritenuto di recepirla. (Omissis)
Peraltro, nel caso in decisione si tratta di accertare il princi pio della c.d. «cristallizzazione», nel senso che — nel momento in cui si perde il diritto all'integrazione al trattamento minimo — l'importo della pensione deve essere «conservato» e cioè de ve essere pari a quello erogato nel mese precedente, sintanto
che l'importo stesso non sia superato per i successivi interventi
della perequazione automatica, possa trovare applicazione an
che quando una o entrambe le pensioni abbiano decorrenza ori
ginaria successiva all'entrata in vigore del d.l. 12 settembre 1983 n. 463 (convertito in 1. 638/83) e cioè successiva al 1° ottobre
1983. Infatti la Boetto, già titolare di pensione di reversibilità con
decorrenza originaria 1° luglio 1965 integrata al trattamento mi nimo (trattandosi di una sola pensione), successivamente, e cioè dal 1° gennaio 1987 è diventata titolare di pensione di vecchiaia diretta.
A seguito di ciò l'Inps ha integrato al trattamento minimo
la pensione diretta ma ha riliquidato quella di reversibilità. Cosi chiarita la reale vicenda della controversia, resta da ve
dere se sia accoglibile la domanda della Boetto di «cristallizza
zione» della pensione di reversibilità già integrata al trattamen to minimo nell'importo percepito del dicembre 1986, con la pe
requazione automatica successiva.
La nuova disciplina introdotta dalla 1. n. 638 del 1983 preve de che, dal 1° ottobre 1983, il pensionato abbia diritto a un
solo trattamento di integrazione al minimo.
Il principio secondo cui, in caso di concorso di due pensioni entrambe integrate al minimo, viene soppresso il diritto all'inte
grazione per una delle due, salva la corresponsione dell'integra zione nella misura pagata alla data del 30 settembre 1993, è
stato dettato esclusivamente con riferimento alla ipotesi che il
pensionato alla data di pubblicazione della legge era già titolare
di due pensioni integrate al trattamento minimo. Costante e reiterato è il riferimento, contenuto nell'art. 6,
alla situazione in atto al 30 settembre-1° ottobre 1983.
Tale articolo ha inteso dare un assetto nuovo e generale al
regime di integrazione al minimo limitando l'integrazione stessa
a una sola pensione. Solo per il passato e comunque in relazio
ne alle situazioni maturatesi con la corresponsione di due pen sioni, integrate al minimo, ha stabilito la «cristallizzazione» per
quella che veniva a «perdere» per il futuro tale diritto alla inte
grazione al trattamento minimo.
La lettura e la ratio dell'art. 6 convergono quindi nel far rite
nere che la relativa disciplina, dettata per regolare il passaggio dal regime precedente (due pensioni entrambe integrate al trat
tamento minimo) a quello futuro (una sola integrazione al trat
tamento minimo) attraverso la conservazione dell'importo cor
risposto per la pensione che veniva a perdere per il futuro l'in
tegrazione al minimo, non può certo essere applicabile alla ben
diversa ipotesi, come quella in esame, in cui il pensionato tito
lare di una sola pensione integrata al trattamento minimo di
venta successivamente titolare di altra pensione.
Qui non vi è coesistenza di due pensioni integrate al minimo e si applica semplicemente il principio generale del 3° comma
dell'art. 6 secondo cui l'integrazione al trattamento minimo spetta una sola volta sulla pensione da individuare secondo criteri pre cisati (nella specie, sulla pensione diretta erogata nel 1987).
La tesi dell'appellata va dunque respinta.
li Foro Italiano — 1994.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 9 febbraio
1994, n. 1302; Pres. O. Fanelli, Est. Genqhini, P.M. Mar
tone (conci, conf.); Enasarco (Aw. Spallina, D'Agostino) c. Faroni (Aw. Romoli, Del Giudice/ Cassa Trib. Verona
10 dicembre 1991.
Previdenza e assistenza sociale — Agente di commercio — Mo
nomandatario — Qualifica — Requisiti (L. 2 febbraio 1973 n. 12, natura e compiti dell'ente nazionale di assistenza per
gli agenti e rappresentanti di commercio e riordinamento del
trattamento pensionistico integrativo a favore degli agenti e
rappresentanti di commercio, art. 6).
La qualifica di agente o rappresentante di commercio mono
mandatario (cui è riservato il massimale di contribuzione di
nove milioni annui) può essere dimostrata sia con comunica
zione da parte del preponente di tale impegno esclusivo all'E
nasarco entro tre mesi dall'inizio del rapporto, sia con ogni altro mezzo di prova che non sia il mero accertamento della modalità di fatto con cui il rapporto ha avuto svolgimento in concreto. (1)
(1) Sul punto, v. Trib. Verona 10 dicembre 1991, Foro it., Rep. 1992, voce Previdenza sociale, n. 225, secondo cui è agente in esclusiva colui che assume l'impegno di non operare anche per altre ditte committenti in concorrenza, mentre l'agente monomandatario è quello che si impe gna a non assumere altri mandati anche per ditte non in concorrenza; per godere del trattamento di pensione più favorevole, previsto per i monomandatari dall'art. 6 1. 2 febbraio 1973 n. 12, non è richiesta l'attestazione per iscritto (e tanto meno con atto di data inoppugnabile) della acquisizione della qualifica di monomandatario, ma è sufficiente l'esercizio di fatto di tale attività ed il versamento all'ente dei contributi
corrispondenti alla figura del monomandatario, senza che l'ente stesso abbia frapposto eccezioni o contestazioni.
Sulla legittimità dell'art. 7 d.m. 20 febbraio 1974 per l'esecuzione della 1. 12/73, che ha previsto il divieto di frazionare i minimali di contribuzione all'Enasarco in relazione a periodi di durata del rapporto di agenzia o di rappresentanza commerciale inferiori all'anno solare, v. Cass. 9 maggio 1985, n. 2912, id., Rep. 1985, voce cit., n. 229.
Qualora il preponente non iscriva l'agente all'Enasarco o versi im
porti in conto liquidazione in misura inferiore al dovuto sul conto indi viduale acceso presso l'ente in favore dell'agente medesimo, questi può pretendere direttamente dal preponente il pagamento del proprio credi to per indennità di fine rapporto ove non possa farlo valere nei con fronti di tale ente (Cass. 6 aprile 1990, n. 2879, id., Rep. 1990, voce cit., n. 192).
Inoltre, un vero e proprio trattamento pensionistico in favore degli agenti è stato istituito soltanto con il d.m. 10 settembre 1962 (cui hanno fatto seguito la 1. 22 luglio 1966 n. 613 ed il d.p.r. 30 aprile 1968 n.
758), mentre gli accordi economici collettivi del 30 giugno 1938 (seguiti dal regolamento di previdenza del 5 gennanio 1939) e quello del 13 ottobre 1958 (dichiarato efficace erga omnes con d.p.r. 26 dicembre 1960 n. 1842), pur definiti previdenziali, contemplavano in realtà un trattamento di fine rapporto, giacché le prestazioni economiche ricono sciute all'agente da tali accordi non costituivano erogazioni periodiche (ma attribuzione una tantum all'atto dello scioglimento del rapporto) e maturavano indipendentemente dall'età, di tal che non potevano assi milarsi alle prestazioni di un'assicurazione contro il rischio di vecchiaia; ne consegue che nel regime dei citati accordi non era prevedibile, e, quindi, non risarcibile ex art. 1225 c.c., il danno che dall'omissione contributiva sarebbe in seguito derivato all'agente una volta introdotto
(a partire dal 1962) il suddetto trattamento pensionistico di vecchiaia
(Cass. 14 gennaio 1986, n. 164, id., Rep. 1987, voce cit., n. 186). Dal canto suo, la Consulta ha ritenuto (sentenza 10 giugno 1992,
n. 265, id., Rep. 1992, voce cit., n. 654) che rientra nella discrezionalità del legislatore la determinazione dei sistemi di indicizzazione della base di computo del trattamento pensionistico, erogato dagli enti previden ziali; pertanto, è inammissibile la questione di legittimità costituzionale,
per violazione degli art. 3, 1° comma, e 38, 2° comma, Cost., dell'art. 10 1. 2 febbraio 1973 n. 12, nella parte in cui non prevede, al fine della pensione di vecchiaia erogata dall'Enasarco, l'estensione del mec canismo di rivalutazione della base di computo del trattamento pensio nistico, previsto per i lavoratori dipendenti dall'art. 3, 11° comma, 1. 29 maggio 1982 n. 297, o l'adozione dei correttivi stabiliti dagli art.
6, 8° comma, e 8, 9° comma, d.l. 12 settembre 1983 n. 463, convertito dalla 1. 11 novembre 1983 n. 638, per assicurare un miglioramento del criterio di liquidazione delle pensioni lavoratori autonomi.
In dottrina, v. Giordano, Iannelli, Santoro, Contratto di agenzia e mediazione, in Giur. sist. dir. civ. e comm. fondata da Bigiavi, Tori
no, 1993, II, 225; P. Sandulli, In tema di collaborazione autonoma continuativa e coordinata, in Dir. lav., 1982, I, 257, secondo cui la
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