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sezioni unite civili; sentenza 14 marzo 1991, n. 2715; Pres. Carotenuto, Est. Rocchi, P.M.Amatucci E. (concl. conf.); Comune di Paderno Dugano (Avv. Predieri) c. Monti ed altri (Avv.Testa, Goldaperini). Regolamento preventivo di giurisdizioneSource: Il Foro Italiano, Vol. 114, PARTE PRIMA: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE(1991), pp. 2071/2072-2077/2078Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23185551 .
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2071 PARTE PRIMA 2072
trastante con l'ordine del giudice, e non di fissare il massimale
del numero degli assistiti previsto per gli ex medici condotti, che era una mera conseguenza degli effetti dell'inibitoria non
rispettata.
Invece, molto stranamente, i difensori delle parti in causa
si sono soffermati tutti sul secondo degli aspetti evidenziati e
non sul primo, che costituisce il nucleo centrale della presente controversia. Gli interrogativi che si pongono sono dunque i
seguenti: quali sono gli strumenti che il privato ha nei confronti
della pubblica amministrazione nel caso che essa non osservi
l'ordine di sospensione del giudice amministrativo? Si può pre scindere dal presupposto della posizione giuridica fatta valere
(e quindi dal problema della giurisdizione), chiedendo l'inter
vento del giudice ordinario, con tutti i suoi poteri di natura
cautelare?
La risposta non è agevole, anche perché il problema si è com
plicato a seguito di alcune pronunce pretorili, che, ammettendo
il provvedimento ex art. 700, senza nessun limite, hanno poi occasionato la pronuncia 28 giugno 1985, n. 190 (Foro it., 1985,
I, 1881) della Corte costituzionale, con la quale si è dichiarata, in via definitiva, l'ammissibilità dello strumento cautelare nelle
materie di giurisdizione esclusiva, di cui il rapporto di pubblico
impiego è l'esempio più vistoso.
Comunque, la risposta al primo quesito è stata data dal Con
siglio di Stato (ad plen. 11 giugno 1982, n. 12, id., Rep. 1982, voce Giustizia amministrativa, n. 658), il quale, ribadendo il
concetto secondo cui non è esperibile il giudizio di ottemperan za nel caso in cui l'ordinanza di sospensione non sia ex se ido
nea ad assicurare il risultato della tutela interinale (ovvero l'am
ministrazione ne rifiuti o eluda l'esecuzione) poiché la legge
espressamente richiede il presupposto del giudicato che nell'in
cidente cautelare ovviamente manca, ha statuito che l'interessa
to ben può adire nuovamente il giudice che ha emanato l'ordi
nanza, affinché questi emani, in via integrativa, i provvedimen ti idonei ad assicurare l'esecuzione della sospensione.
Gli attuali resistenti hanno affermato, senza essere contestati
sul punto, che hanno impugnato davanti al Tar anche la nota
n. 7040 del 19 giugno 1986 con cui erano stati invitati ad opera re la scelta, nonostante l'impugnativa del d.p.r. 348/83 e l'otte
nuta sospensiva dello stesso rispetto all'art. 28. Da ciò discende — e cosi si entra nel campo dominato dal secondo quesito di
cui sopra — che i resistenti erano consapevoli della tutela prin
cipale e normale loro accordata (e ribadita dall'autorevole con
senso del Consiglio di Stato) dal sistema processuale, solamente
che hanno, forse perché hanno proposto una normale impugna zione dell'atto anziché una sorta di attività integrativa susse
guente alla ottenuta sospensione (e quindi con tempi di decisio
ne più lunghi), preferito chiedere una forma di tutela aggiunti va al pretore.
Il punto, ora, è quello di stabilire se quest'ultima tutela pote va essere accordata, nonostante la presenza di un giudizio am ministrativo in corso, che, quindi, lasciava supporre la sussi stenza della giurisdizione in capo di giudice amministrativo an
ziché in capo al giudice ordinario. Ritiene il giudicante che la contemporanea presenza del giudi
zio amministrativo non sia di per sé preclusivo all'ammissibilità del ricorso ex art. 700 c.p.c., in quanto il punto della giurisdi zione viene accertato sia davanti al giudice amministrativo che davanti al giudice ordinario in maniera sommaria, come si ri
chiede in sede di giudizio cautelare in genere. Quindi in astrat
to, visto che la sospensiva davanti al Tar può essere proposta
separatamente dal ricorso (anche se il suo deposito è necessario, ma comunque senza che se ne debba avere una piena cognizio
ne), si può verificare che sia stato il Tar ad emettere un provve dimento cautelare in relazione ad un rapporto controverso rien
trante nella giurisdizione del giudice ordinario, e non viceversa, come è accaduto nel caso di specie. In altri termini, al giudican te sembra che, anche per un sottile riflesso del principio dell'u nità della giurisdizione, quel che s'impone è l'emissione in ogni caso del provvedimento cautelare, se ricorrono i presupposti su cui si fonda, affinché intanto si assicurino gli effetti della deci sione di merito, rinviandosi poi al giudizio di merito l'esame
approfondito dei vari punti della causa, tra cui rientra in primo
luogo il problema della giurisdizione. Tanto premesso risulta evidente che occorre ora decidere in
via pregiudiziale la questione della giurisdizione, che, se sarà
ritenuta sussistente, porterà all'esame del merito, in caso con
Ii Foro Italiano — 1991.
trario alla declinazione della controversia al giudice amministra
tivo, con il conseguente travolgimento del provvedimento cau
telare.
Osserva il giudicante in proposito che, contrariamente a quanto ritenuto in sede sommaria, il rapporto dedotto in giudizio è
un rapporto di impiego pubblico e non di diritto privato. E
di ciò erano in fondo ben consapevoli anche gli odierni resisten
ti, visto che avevano adito il giudice amministrativo, e solo in
via del tutto aggiuntiva il giudice ordinario. Né è sostenibile
che la giurisprudenza dominante della Corte di cassazione ritie
ne il rapporto tra gli ex medici condotti e la Usi di diritto priva
to, in quanto le sentenze citate (compresa quella a sez. un. 16
gennaio 1986, n. 224, id., 1986, I, 1575) si riferiscono tutte
ai medici convenzionati, che è una situazione giuridica ben di
versa (e nota al giudicante per altre controversie in corso) da
quella degli ex medici condotti, e nessuna agli ex medici condotti.
Questi ultimi, infatti, come loro stessi hanno premesso nel
controricorso, erano dapprima dipendenti dei comuni, presso cui avevano espletato e vinto un regolare concorso, e poi, a
seguito della 1. 833/78, erano ope legis transitati nel ruolo della
Usi di zona, alle cui dipendenze avevano continuato a svolgere le medesime funzioni precedentemente svolte, dove poi era so
praggiunto un «accordo nazionale» per disciplinare anche il nu
mero degli assistiti spettanti a ciascuna categoria, visto che per alcuni (tra cui gli ex medici condotti) si veniva ad avere una
situazione di retribuzione mista, composta da una quota di sti
pendio fissa e da un'altra variabile a seconda del numero degli assistiti. Va da sé che tale fattispecie, presentata dagli stessi re
sistenti e ricostruita dalla normativa vigente dal giudicante, non
può che integrare un rapporto d'impiego pubblico, essendovi
tutti gli elementi che lo caratterizzano (pubblico concorso, retri
buzione predeterminata, prestazione a titolo professionale esclu
sivo). Quindi ogni questione ad esso attinente, compresa quella relativa ai massimali da adottare, rientra nella giurisdizione esclu
siva del Tar Lazio.
È appena il caso di notare come la suggestiva tesi, appena adombrata dalla difesa dei resistenti, secondo cui nel caso in
esame si avrebbe un duplice rapporto di lavoro, l'uno di impie
go pubblico e l'altro di natura privatistica, non ha pregio. E
ciò sia perché non riscontra nessuna base nella sistematica gene rale del diritto del lavoro e sia perché, quand'anche si dovesse
ammettere la compossibilità di due rapporti concomitanti, essi non si potrebbero mai avere con lo stesso ente pubblico, rispet to al quale, anche in virtù del principio dell'esclusività del rap
porto a titolo professionale, bisognerebbe fare un giudizio di
prevalenza dei due rapporti, che non potrebbe non risolversi
che a favore del rapporto pubblicistico. La carenza di giurisdizione comporta la caducazione del prov
vedimento cautelare adottato.
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 14 mar zo 1991, n. 2715; Pres. Carotenuto, Est. Rocchi, P.M. Ama tucci E. (conci, conf.); Comune di Paderno Dugano (Avv.
Predieri) c. Monti ed altri (Avv. Testa, Goldaperini). Re
golamento preventivo di giurisdizione.
Nuova opera e danno temuto (denunzia di) — Espropriazione per pubblico interesse — Decreto di occupazione di urgenza — Decorrenza del termine — Provvedimento di immissione nel possesso — Carenza assoluta di potere — Giurisdizione
ordinaria — Fattispecie (Cod. civ., art. 1171, 1172; 1. 20 mar
zo 1865 n. 2248, ali. E, sul contenzioso amministrativo, art.
4; 1. 22 ottobre 1971 n. 865, programmi e coordinamento del l'edilizia residenziale pubblica; norme sull'espropriazione per pubblica utilità; modifiche ed integrazioni delle leggi 17 ago sto 1942 n. 1150, 18 aprile 1962 n. 167, 29 settembre 1964 n. 847, ed autorizzazione di spesa per interventi straordinari nel settore dell'edilizia residenziale, agevolata e convenziona
ta, art. 20; 1. 3 gennaio 1978 n. 1, accelerazione delle proce dure per l'esecuzione di opere pubbliche e di impianti e co
struzioni industriali, art. 5).
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
È esperibile, da parte del privato, l'azione di nunciazione con
tro la pubblica amministrazione, che abbia agito in carenza
assoluta di potere nel disporre l'immissione nel possesso del
fondo privato dopo la scadenza del termine, decorrente dal
l'emanazione del decreto di occupazione d'urgenza, entro il
quale la legge prevede che debba essere occupata l'area da
espropriare (nella specie, sul presupposto che la procedura
espropriativa trovava regolamentazione anche nella l. 3 gen naio 1978 n. 1, il Supremo collegio ha considerato spirato detto termine durante lo svolgimento di altro giudizio, in se
de amministrativa, concernente la stessa controversia, poiché erano venuti meno gli effetti sospensivi spiegati, nei confronti del menzionato decreto di occupazione, da un 'ordinanza cau
telare concessa dal tribunale amministrativo regionale e suc
cessivamente decaduta, ai sensi dell'art. 5, 4° comma, l. cit.,
per intempestiva emanazione della sentenza di merito da par te dello stesso Tar). (1)
(1) Il regolamento di giurisdizione in epigrafe offre il destro per fare il punto della situazione in tema di azioni possessorie e quasi possesso rie contro la pubblica amministrazione (cfr., sulle azioni possessorie, Cass., sez. un., 23 giugno 1989, n. 2994, Foro it., 1990, I, 153, con nota di R. Caso; cui adde, Cass., sez. un., 6 agosto 1990, n. 7933, id., Mass., 935, per esteso in Giust. civ., 1991, I, 329; 25 giugno 1990, n. 6426, Foro it., Mass., 786; 29 maggio 1990, n. 4979, ibid., 649,
per esteso in Giur. it., 1991, I, 1, 317, con nota di Barenghi, 19 gen naio 1991, n. 517, Foro it., 1991, I, 763; 2 ottobre 1989, n. 3950, id.,
Rep. 1989, voce Possesso e azioni possessorie, n. 24; 20 luglio 1989, n. 3403, ibid., n. 22; 1° marzo 1989, n. 1105, ibid., n. 23; in dottrina,
Fulciniti, Dell'azione possessoria e della tutela del possesso nei con
fronti della pubblica amministrazione, in Foro amm., 1990, 1958; Ca
bella Pisu, Azioni possessorie, voce del Digesto pubbl., Torino, 1988,
II, 79). Grazie alla recente opera regolatrice delle sezioni unite, la giurispru
denza pretoria, che aveva infranto la rigida applicazione del divieto — rinvenibile nell'art. 4 della legge sul contenzioso amministrativo —, a carico dell'a.g.o., di condannare la pubblica amministrazione ad un
facere o ad un pati, può dirsi oggi consolidata (prova ne sia lo spazio dedicato, nell'odierna pronuncia, all'ammissibilità delle azioni nuncia
torie proposte dal privato contro la pubblica amministrazione; cfr. su
queste ultime — ma il problema si pone in termini analoghi rispetto alle azioni possessorie — Cass. 15 luglio 1986, n. 4566, Foro it., 1988,
I, 2383; da ultimo, Cass. 5 giugno 1989, n. 2692, id., Rep. 1989, voce
Nuova opera, n. 5; in dottrina, cfr. Scrima, La tutela possessoria e
quasi possessoria nei confronti della pubblica amministrazione, in Giust.
civ., 1989, II, 339; Cabella Pisu, Denuncia di nuova opera e danno
temuto, voce del Digesto pubbl., Torino, 1989, IV, 202). Tuttavia, l'e
splicazione e la sistematizzazione dei principi che regolano l'esperibilità delle azioni in parola necessitano ancor oggi di una più precisa messa
a punto. A titolo di esempio possiamo portare la prospettazione opera ta dalla pronuncia in rassegna, la quale verte su una fattispecie espro
priativa. In essa la sussistenza della giurisdizione ordinaria e l'esperibi lità della tutela nunciatoria vengono ricondotte, nel caso di scadenza
del termine per procedere alla immissione nel possesso da parte della
pubblica amministrazione — tre mesi dall'emanazione del decreto di
occupazione d'urgenza a norma dell'art. 20 1. 22 ottobre 1971 n. 865
—, alla carenza assoluta di potere, quando sarebbe più logico riconnet
terla ad un comportamento sine titulo o, al massimo, iure privatorum
(su questo punto, v. Fulciniti, op. cit., 1961, s.; cfr. anche M.S. Gian
nini, Corso di diritto amministrativo, Milano, 1988, II, 744, il quale ritiene che «nel caso del provvedimento adottato fuori termine, è (. . .)
innegabile che la potestà esiste, ma è esercitata dopo l'avverarsi del
fatto ostativo all'esercizio di essa», quindi, si è fuori dell'ipotesi della
carenza di potere, tutt'al più si può parlare di «cattivo esercizio del
potere»; sulla distinzione tra inesistenza e cattivo esercizio del potere, cfr. Cass., sez. un., 29 maggio 1990, n. 4979, cit.; l'ammissibilità del
l'azione possessoria in caso di scadenza del termine trimestrale per l'im
missione nel possesso è pacifica per la Cassazione: cfr., tra le tante, Cass. 27 luglio 1988, n. 4765, Foro it., Rep. 1989, voce Possesso e
azioni possessorie, n. 20, la quale riconduce questa ipotesi alla catego ria dell'attività materiale di natura privatistica; negli stessi termini è
Cass. 12 febbraio 1988, n. 1492, id., Rep. 1988, voce cit., n. 25). Più
in generale, si riscontra una certa difficoltà nel discernere dal punto di vista sostanziale le varie ipotesi, elaborate dalla corte di legittimità, in cui il citato limite interno alla giurisdizione ordinaria non opera (per la verità, non sembra esserci concordanza, tra le pronunce delle stesse
sezioni unite, sul fatto che il limite interno alla giurisdizione ordinaria
sia questione di giurisdizione o di merito; a favore di quest'ultima im
postazione è sez. un. 13 aprile 1988, n. 2914, id., Rep. 1989, voce cit., n. 17; contra, sez. un. 29 maggio 1990, n. 4979, cit.; 6 agosto 1990, n.
7933, cit., secondo cui il problema della proponibilità delle azioni posses sorie non incide sui limiti interni delle attribuzioni del giudice ordinario, in quanto nelle controversie possessorie l'unico provvedimento richiesto
Il Foro Italiano — 1991.
Svolgimento del processo. — Monti Vittorio, Cappellini Ma
ria Teresa, Monti Fiorenza, Liberati Oscar e Monti Marco, quali
comproprietari in Paderno Dugnano di un complesso immobi
liare composto da due fabbricati con annessi giardino e frutteto
ricevevano notifica di avviso ai sensi dell'art. 10 1. 865/71, con
il quale il sindaco rendeva noto che parte del terreno di loro
proprietà era interessato ad un piano di esproprio deliberato
dal consiglio comunale con provvedimento n. 79 del 28 giugno
1977, e precisamente parte del giardino e frutteto, da destinarsi
genericamente ad attrezzature pubbliche. In data 22 maggio 1979 il consiglio comunale di Paderno Du
gnano deliberava l'ampliamento del previsto piano mediante
esproprio di gran parte dell'anzidetta proprietà, ai sensi della
1. 1/78, cui faceva seguito il decreto di dichiarazione di pubbli ca utilità, indifferibilità ed urgenza del presidente della regione Lombardia.
ed ottenibile dal giudice implica una diretta incidenza sul contenuto di provvedimenti amministrativi, onde in tal caso il limite dei poteri di pronuncia del giudice ordinario nei confronti della pubblica ammini strazione si risolve in difetto di giurisdizione, per ulteriori ragguagli sul punto, cfr. Barenghi, op. cit.). Non a caso, si è incisivamente rile vato che la tripartizione propugnata dalla Suprema corte — atti iure
privatorum, atti materiali o sine titulo e atti emessi in carenza di potere — appare, almeno per alcune fattispecie, circolare (cosi, da ultimo, Fulciniti, op. cit., 1965).
Il rinnovato interesse verso l'ormai centenaria vexata quaestio trova radici non solo nell'intento dottrinale di dotare le figure distillate dalla
giurisprudenza di un più sicuro sostrato dommatico, ma anche — ci
sembra — in altri due ordini di ragioni. Da un lato, non è un mistero che la centralità degli art. 2 e 4 della legge sul contenzioso amministra
tivo ai quali è informato il riparto di giurisdizione, asse portante dello
Stato a diritto amministrativo, è sempre più difficile da conciliare con il sistema ridisegnato dalla Costituzione (su questo tema cfr. Bachelet, in Giur. costit., 1971, 1741). Ciò fa si che le istanze dirette ad elasticiz
zare il divieto di cui all'art. 4 cit. provengano da più parti. Un drappel lo sempre più folto di pronunce pretorili, sulla scorta dell'orientamento
evolutivo in tema di tutela possessoria e quasi possessoria, sembra deci
so a far giustizia della norma ora richiamata (cfr., circa l'ammissibilità di condanna della pubblica amministrazione ad un facere in sede caute lare ed urgente, Pret. Torino, ord. 11 febbraio 1991, che sarà riportata nel prossimo fascicolo, con nota di R. Caso, Insegnamento della reli
gione cattolica, stato di non obbligo, uscita da scuola: l'ora della veri
tà-, Pret. Torino, ord. 19 luglio 1988, Foro it., 1988, I, 3442, in tema
di diritto alla salute). D'altro canto, nelle fattispecie espropriative la
tutela possessoria contro la pubblica amministrazione sembra rappre sentare uno degli ultimi baluardi del privato contro la famigerata occu
pazione acquisitiva (il fenomeno sembra assumere dimensioni preoccu
panti tanto da rendere la c.d. occupazione sine titulo una seconda via, alternativa e più diretta, rispetto al procedimento espropriativo orto
dosso; su questo tema, cfr. F. Caso, «Dum Romae consulitur, domi
nium expugnatum est»? (ovvero della tutela possessoria e cautelare pri ma dell'occupazione acquisitiva), osservazioni a Pret. Trapani-Alcano, ord. 10 aprile 1990, id., 1991, I, 976).
Dopo queste note impressive sulla frontiera calda della tutela posses soria e nunciatoria contro la pubblica amministrazione corre l'obbligo di dar conto di un altro profilo emerso dalla pronuncia su riportata. La fattispecie espropriativa posta al vaglio delle sezioni unite era rego lata anche dalla 1. 3 gennaio 1978 n. 1 (accelerazione delle procedure
per l'esecuzione di opere pubbliche e di impianti e costruzioni industria
li), la quale prevede, all'art. 5, un termine di decadenza semestrale per le ordinanze di sospensiva accordate dal giudice amministrativo contro
provvedimenti riguardanti le materie oggetto della stessa 1. n. 1 del 1978,
qualora entro detto termine non venga emessa la sentenza di merito.
Ebbene, il secondo motivo del controricorso del privato, volto a spia nare la strada per la dichiarazione della giurisdizione ordinaria, verteva
proprio sulla decadenza di un'ordinanza di sospensiva concessa, allo
stesso privato, in un precedente giudizio dal Tar Lombardia. A tale
ordinanza era seguita la sentenza di annullamento del decreto di occu
pazione d'urgenza da parte dello stesso Tar, a sua volta annullata dal
Consiglio di Stato. Sulla base di detto decreto, che aveva ripreso vigore a seguito della pronuncia del Consiglio di Stato, la pubblica ammini
strazione aveva disposto l'immissione nel possesso del fondo del priva to. Il Supremo collegio ha accolto la tesi del privato controricorrente, affermando che, per aver l'ordinanza di sospensiva perso efficacia per tardiva emanazione della sentenza di merito ed esser, cosi, scaduto il
termine per procedere alla immissione nel possesso, la pubblica ammi
nistrazione doveva «dar luogo a nuovi impulsi della procedura espro
priativa in difetto (. . .) dei quali il decreto di occupazione ha perso valore». Le stesse sezioni unite hanno poi precisato che, per valutare
la tempestività della sentenza di merito rispetto al termine di cui all'art.
5 1. n. 1 del 1978, bisogna fare riferimento, come è naturale, alla data
di pubblicazione della stessa sentenza, a partire dalla quale quest'ultima
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2075 PARTE PRIMA 2076
Con decreto n. 48 del 12 dicembre 1979 il sindaco disponeva
l'occupazione d'urgenza a favore del comune degli immobili in
teressati in esproprio. Avverso detto decreto proponevano ricorso gli espropriati di
nanzi al Tar della Lombardia, il quale, dopo aver con ordinan
za del 10 gennaio 1980 sospeso il provvedimento impugnato, lo annullava definitivamente con sentenza n. 1124 del 22 otto
bre 1980, unitamente a tutti gli atti preordinati e conseguenziali. Su ricorso in appello dell'amministrazione, il Consiglio di Sta
to, con sentenza n. 204 del 13 gennaio 1987 pubblicata il 6
aprile 1987 (Foro it., Rep. 1987, voce Atto amministrativo, n.
87), annullava la sentenza del Tar Lombardia, e successivamen
te il sindaco, con provvedimento n. 13251 del 3 luglio 1989 av
visava gli espropriati che in forza del decreto n. 48 del 12 di
cembre 1979 si sarebbe provveduto in data 9 luglio 1987, da
parte dell'amministrazione comunale, alle operazioni di immis
sione nel possesso degli immobili nonché alla compilazione del
lo stato di consistenza. Avverso il suddetto provvedimento gli
espropriati proponevano ricorso davanti il Tar della Lombardia
che respingeva la domanda di sospensiva. Gli espropriati proponevano allora ricorso dinanzi il Pretore
di Desio, ai sensi dell'art. 688 c.p.c., chiedendo l'immediata
sospensione dei lavori e la fissazione dell'udienza di merito di
nanzi il tribunale competente per valore.
Nelle more il comune proponeva ricorso per regolamento di
giurisdizione. Si costituivano con controricorso gli espropriati. Motivi delia decisione. — Il comune nega la giurisdizione del
l'a.g.o. nel rilievo che le azioni cautelari ex art. 700 c.p.c.
esiste e può spiegare i suoi effetti sostanziali e processuali, e non alla data in cui il Tar ha deciso la causa. Mette conto rilevare che ci trovia mo di fronte ad una fattispecie tutt'affatto particolare — sulla quale non constano precedenti in termini —, che svela le difficoltà applicative ed interpretative derivanti dall'art. 5 cit. Tuttavia, non sembra agevole approfondire l'indagine sul punto, poiché rimangono delle ombre nella ricostruzione deWiter giudiziale in esame, né le brachilogiche argomen tazioni della Cassazione aiutano a far luce. In primo luogo, bisognereb be chiarire se, in fattispecie come quella in esame, la decadenza dell'or dinanza di sospensiva ex art. 5 cit. importa la cancellazione degli effetti
sospensivi della stessa ex tunc. Se si accetta questa interpretazione, si dovrebbe arrivare alla conclusione — in verità, paradossale — che detta decadenza (il cui termine è, si badi, semestrale) porta con sé la decor renza del termine trimestrale per dare operatività, tramite l'immissione nel possesso, al decreto di occupazione d'urgenza. Se, invece, si ritiene, come sembra più ragionevole, che l'ordinanza di sospensiva perda effi cacia ex tunc, si fa salvo l'effetto sospensivo già dispiegato nei confron ti del termine trimestrale e la pubblica amministrazione avrebbe tempo di disporre, nelle more dell'emanazione della sentenza di merito, l'im missione nel possesso. A puro titolo dubitativo va, poi, rivelato che l'affermazione, da parte del Supremo collegio, della decadenza dell'or dinanza di sospensiva sembra messa in crisi dal passaggio in giudicato della decisione del Consiglio di Stato (ma il punto rimane incerto, poi ché la lettura di quest'ultima non fornisce elementi utili a riguardo).
Inoltre, va osservato che, rispetto al primo motivo del controricorso, il privato lamentava la decorrenza del termine di tre mesi di cui all'art. 20 cit. al di là della questione sulla decadenza dell'ordinanza di sospen siva. Senza ripetere tutti i calcoli effettuati in motivazione, possiamo dire, in sintesi, che, secondo la tesi della parte privata, dopo la pubbli cazione della decisione del Consiglio di Stato residuavano all'ammini strazione sessantacinque giorni per l'immissione nel possesso, mentre il provvedimento della pubblica amministrazione che avvisava il privato dell'immissione era intervenuto tardivamente. Per i giudici di legittimità quest'ulteriore censura non ha pregio, dovendosi calcolare il tempo re siduo per l'immissione nel possesso dalla notificazione al privato, e non dal deposito della pronuncia del Consiglio di Stato. Tuttavia la corte regolatrice non ha chiarito perché la decisione del Consiglio di Stato non spiega i suoi effetti sostanziali dal giorno della sua pubblicazione, ridando vigore da quel momento al provvedimento amministrativo e perché, invece, bisogna riferirsi alla data della notifica, che sembrereb be avere importanza unicamente per il termine breve utile alla proposi zione del ricorso in Cassazione.
Per ultimo va detto che, secondo le sezioni unite, «l'invio dell'avviso di immissione nel possesso e redazione dello stato di consistenza (. . .) costituisce adempimento del promuovimento dell'occupazione d'urgen za». Questa affermazione mal si concilia con un precedente della stessa corte di legittimità che, addirittura, non ritiene sufficiente, per l'adem pimento delle prescrizioni poste dall'art. 20 cit., il semplice inizio delle
operazioni di apprensione del fondo privato, necessitando una effettiva e completa immissione nel possesso (cosi Cass. 4 maggio 1990, n. 3733, Foro it., Mass., 547). [R. Caso]
Il Foro Italiano — 1991.
sono proponibili nei confronti della pubblica amministrazione
unicamente quando concernano comportamenti materiali e non
siano in ogni caso dirette a sollecitare provvedimenti di annulla
mento, revoca o modifica di precedenti atti amministrativi: e
che, nella specie, la domanda al pretore si sostanzia nella richie
sta non già di impedire alla pubblica amministrazione compor tamenti ingiustificatamente gravatori e lesivi nei confronti dei
diritti privati, ma di ordinare al comune un pati, se non addirit
tura un facere, che «finirebbe per tradursi inevitabilmente in
una revoca pur temporanea di un atto amministrativo».
Replica la parte privata rilevando che il decreto di occupazio ne d'urgenza aveva perduto ogni efficacia per l'inutile decorso dei tre mesi previsti dall'art. 20 1. 865/71, ai fini dell'effettiva
occupazione, con la conseguente riespansione della posizione pri vata a misura di diritto soggettivo perfetto, diritto che risulte
rebbe, poi, violato dal provvedimento del 3 luglio 1987, in quanto emesso «in carenza assoluta di potere».
Quanto al calcolo del termine predetto, la parte resistente ri
leva che sommando il periodo che va dal 12 dicembre 1979 (da ta del decreto di occupazione) al 10 gennaio 1980 (data del prov vedimento di sospensione del Tar) e quello che va dal 7 aprile 1987 (pubblicazione della sentenza del Consiglio di Stato) al 3 luglio 1987 (notifica dell'avviso di immissione nel possesso dei beni), si ottiene un tempo superiore ai tre mesi previsti dal l'art. 20 citato.
Inoltre, la parte resistente rileva che l'assoluta carenza di po tere della pubblica amministrazione era comunque ricollegabile al fatto che l'ordinanza di sospensione emessa dal Tar aveva
perso la propria efficacia con il decorrere del termine semestra
le previsto dall'art. 5, 4° comma, 1. 3 gennaio 1978 n. 1.
La corte ritiene che vada dichiarata la giurisdizione dell'a.g.o. È noto che le azioni di nunciazione sono proponibili nei con
fronti della pubblica amministrazione, allorché si sia di fronte a meri comportamenti materiali della stessa, cioè allorché la
pubblica amministrazione agisca in carenza assoluta di potere nei confronti di una situazione soggettiva perfetta, oppure al lorché l'esecuzione dell'opera pubblica, non in sé, ma per le
modalità di esecuzione, rappresenti una violazione del principio del neminem laedere e, quindi, del diritto soggettivo assoluto del potenziale danneggiato (Cass. 4566/86, id., Rep. 1986, voce Nuova opera, n. 3).
Nella specie, si è verificata la prima ipotesi (carenza assoluta di potere) in relazione alle circostanze seguenti. La prima, che l'ordinanza di sospensione emessa dal Tar, ai sensi dell'art. 5, 4° comma, 1. 1/78, ha perduto la sua efficacia con il decorso del termine semestrale previsto dalla norma citata, quale termi ne di decadenza dei provvedimenti cautelari ai quali non sia
seguita, entro il detto periodo, una decisione di merito (come è accaduto nella specie).
La seconda, che, conseguentemente la pubblica amministra zione doveva, scaduto detto termine, dar luogo a nuovi impulsi della procedura espropriativa, in difetto (non contestato) dei
quali il decreto di occupazione ha perduto valore e il provvedi mento del 3 luglio 1987 risulta, per l'effetto, emesso in carenza di potere.
Recita l'art. 5 citato che «qualora nelle materie oggetto della
presente legge venga presentata domanda di sospensione dell'ef ficacia del provvedimento impugnato a norma dell'art. 21, ulti mo comma, 1. 6 dicembre 1971 n. 1034, detta istanza non potrà essere trattata fino a quando il ricorrente non abbia presentato la domanda di fissazione d'udienza. Nel caso di accoglimento della domanda di sospensiva, l'udienza di merito deve essere fissata entro il termine massimo di quattro mesi dall'adozione della relativa ordinanza, la quale non potrà comunque avere un'efficacia superiore a sei mesi».
Trattasi di disposizione ispirata alla esigenza di consentire una
maggiore speditezza alle procedure di realizzazione di opere pub bliche e insediamenti industriali mediante l'introduzione di uno strumento idoneo (la decadenza della sospensione) a limitare
quanto più possibile la prevalenza di interessi individuali rispet to a interessi collettivi.
Per effetto della disposizione in esame, dunque, il principio secondo cui gli effetti della sospensione dell'efficacia dell'atto
impugnato disposta con ordinanza del giudice amministrativo sono destinati a consolidarsi o a venir meno secondo l'esito del
giudizio finale al quale accedono soffre una eccezione, nel sen so sopraspecificato, con la conseguenza che è alla scadenza del
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2077 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 2078
prefissato termine semestrale che deve darsi rilievo ai fini della
tempestiva prosecuzione della procedura di esproprio. Nella specie, come avvertito, la decisione di merito del Tar
risulta pubblicata nell'ottobre 1980, cioè oltre il termine seme
strale indicato con tutte le conseguenze sopradescritte. A tale riguardo appare privo di pregio il rilievo che il Tar
ha «deciso» la causa in data 3 giugno 1980 in quanto, solo
con la pubblicazione, la sentenza «esiste» e può spiegare i suoi
effetti sostanziali e processuali. È appena il caso di aggiungere che è, invece, infondato l'ulte
riore profilo di carenza di potere rappresentato dalla violazione
del termine di cui all'art. 20 1. 865/71, in quanto la data da
cui far decorrere la parte residua del termine di tre mesi per
l'occupazione d'urgenza, una volta sottratti i venticinque giorni che vanno dal 15 dicembre 1979 (data della notifica del decreto
di occupazione d'urgenza agli interessati) al 10 gennaio 1980
(data nella quale il Tar Lombardia ha sospeso l'esecuzione del
predetto decreto) e cioè la data da cui far decorrere il residuo
periodo di sessantacinque giorni, non è la data del deposito del
la sentenza del Consiglio di Stato, ma la data della notifica
della sentenza a cura del comune alle altri parti interessate, e
cioè il 19 maggio 1987. Rispetto a tale data, l'invio dell'avviso di immissione in pos
sesso e redazione dello stato di consistenza, che costituisce adem
pimento del promuovimento dell'occupazione d'urgenza, rien
tra nel residuo periodo di sessantacinque giorni che restava al
comune per l'occupazione d'urgenza dei terreni in questione. In conclusione, va dichiarata la giurisdizione dell'a.g.o.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 9 marzo
1991, n. 2503; Pres. Novelli, Est. Varrone, P.M. Di Renzo
(conci, conf.); Zingale (Avv. De Geronimo) c. Virzì (Avv.
Vacirca). Conferma Trib. Nicosia 4 giugno 1985.
Vendita — Verbale di conciliazione giudiziale — Obbligo di tras
ferimento di fondo rustico — Violazione del principio di buona
fede — Fattispecie (Cod. civ., art. 1375).
Ove sia convenuto in un verbale di conciliazione giudiziale l'ob
bligo di trasferire al colono parte del fondo condotto a colo
nia parziaria, il promittente venditore, anche in mancanza di
esplicita previsione, è tenuto a sottoscrivere gli atti voluti dal
promittente acquirente per reperire il prezzo a mezzo di mu
tuo agevolato con la Cassa per la formazione della proprietà
contadina, in forza del principio di buona fede nell'esecuzio
ne del contratto di cui all'art. 1375 c.c. (1)
(1) Non constano precedenti specifici. La questione ora decisa si può cosi riassumere. Nel verbale di conciliazione innanzi alla competente sezione specializzata agraria s'era convenuto di risolvere il contratto di colonia parziaria pendente tra le parti con il rilascio di parte del fondo e l'obbligo del concedente di trasferire al colono altra parte del
fondo (cinquanta ettari) al prezzo di lire 160 amilioni, da pagarsi entro il termine essenziale di diciotto mesi contestualmente alla stipula del
l'atto definitivo; in caso di mancato pagamento, fermo restando lo scio
glimento del rapporto di colonia parziaria, il colono avrebbe dovuto
rilasciare anche la parte promessa in vendita di cui aveva conservato
il possesso. Non pagato il prezzo da parte del colono, il concedente
agiva in giudizio per la risoluzione della promessa di vendita. Dopo la decisione in primo grado sfavorevole per il colono, il giudice d'appel lo riformava l'impugnata sentenza ritenendo che il promittente vendito
re era tenuto a cooperare con il colono per fargli ottenere il mutuo
agevolato e fissava le relative modalità formali e temporali per la vendi ta: secondo il giudice d'appello, pur in mancanza di esplicita previsione nel verbale di conciliazione, il rifiuto opposto dal concedente era con
trario ai doveri di correttezza e buona fede contrattuale ed integrava, di per sé, motivo di inadempimento.
Il Foro Italiano — 1991.
Svolgimento del processo. — Con ricorso del 6 gennaio 1981
alla sezione specializzata agraria del tribunale di Nicosia Mat
tia, Ignazio, Carmela e Antonio Zingale esponevano che con
verbale di conciliazione perfezionato il 17 maggio 1979 davanti
al suddetto Tribunale avevano convenuto con Salvatore, Pro
spero e Giovanni Virzi' di risolvere il contratto di colonia avente
ad oggetto un fondo rustico di loro proprietà sito in territorio
di Regalbuto, contrada Sparagogna, impegnandosi a trasferire
ai Virzi la proprietà di parte di detto fondo (50 ettari) al prezzo di 160 milioni, da pagarsi entro il termine essenziale di diciotto
mesi (17 novembre 1980) contestualmente alla stipula del con
tratto definitivo, cosicché nel caso di mancato pagamento i Vir
zi, fermo restando lo scioglimento del rapporto di colonia, avreb
bero dovuto rilasciare anche la porzione dell'immobile di cui
avevano conservato il possesso in vista del trasferimento della
proprietà. Ciò premesso, rilevato che i promittenti acquirenti,
malgrado sollecito telegrafico e senza alcuna giustificazione, non
avevano neppure indicato il notaio presso cui stipulare l'atto,
gli Zingale li convenivano in giudizio chiedendo che fosse di
chiarata la risoluzione della promessa di vendita e fossero con
L'impostazione dell'impugnata sentenza è stata seguita dalla sentenza in rassegna, che ha richiamato precedenti giurisprudenziali in tema di buona fede e correttezza nell'esecuzione del contratto ex art. 1375 c.c.
È stata richiamata Cass. 16 febbraio 1963, n. 357, Foro it., 1963, I, 1769 e Foro pad., 1964, I, 1284, con nota critica di Rodotà, secondo cui un comportamento contrario ai doveri di lealtà, di correttezza e di solidarietà non può essere reputato illegittimo e colposo, né può esse re fonte di responsabilità per danni quando non concreti la violazione di un diritto altrui già riconosciuto in base ad altre norme. E nello stesso senso è stata richiamata Cass. 20 luglio 1977, n. 3250, Foro it.,
Rep. 1977, voce Obbligazioni in genere, n. 15. Ma ha osservato la sentenza in rassegna che in altra occasione la
Cassazione aveva affermato che la buona fede, intesa in senso etico, come requisito della condotta, costituisce uno dei cardini della discipli na legale delle obbligazioni, e forma oggetto di un vero e proprio dove re giuridico, che viene violato non solo nel caso in cui una delle parti abbia agito con il proposito doloso di recare pregiudizio all'altra, ma anche se il comportamento da essa tenuto non sia stato, comunque, improntato alla schiettezza, alla diligente correttezza ed al senso di soli darietà che integrano, appunto, il Contenuto della buona fede (nella specie, il venditore aveva rifiutato senza giustificazioni il consenso a
procedere alla rettifica dell'atto di vendita per rimuovere un errore rela
tivo ai dati catastali) (Cass. 5 gennaio 1966, n. 89, id., Rep. 1966, voce
Obbligazioni e contratti, n. 171 e Foro pad., 1966, I, 524; 21 maggio 1973, n. 1460, Foro it., Rep. 1973, voce Obbligazioni in genere, n. 4).
Quindi la sentenza in epigrafe, dopo avere ricordato che la buona fede è richiamata come criterio di interpretazione del contratto (art. 1366 c.c.), ha sottolineato che il contratto ai sensi dell'art. 1375 c.c. deve essere eseguito secondo buona fede, e questa, anche se riferita al momento esecutivo, conserva la sua funzione di integrazione del rap porto, senza che occorra una specifica previsione contrattuale; e cioè nell'esecuzione del contratto la buona fede si atteggia come un impegno ed obbligo di solidarietà che impone a ciascuna delle parti di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra a prescindere da specifici ob
blighi contrattuali e dal dovere extracontrattuale del neminem laedere, e trova il suo limite nell'interesse proprio del soggetto, il quale è tenuto — secondo buona fede — a compiere quegli atti giuridici e/o materiali che si rendano necessari al fine di salvaguardare l'utilità dell'altra par te, ma nella misura in cui si tratta di atti che non comportano un ap prezzabile sacrificio a suo carico.
A fronte dei numerosi scritti in tema di buona fede nell'esecuzione del contratto, è sufficiente qui richiamare una nota dottrina secondo cui la buona fede rileva come fonte primaria d'integrazione del rappor to, prevalente anche sulle determinazioni contrattuali. Si è ritenuto che in tal senso depone il suo valore di ordine pubblico, rappresentando la buona fede uno dei principi portanti del nostro ordinamento sociale, e il fondamento etico che le viene riconosciuto trova rispondenza nell'i
dea di una morale sociale attiva e solidale, che si pone al di là dei
tradizionali confini del buon costume (Bianca, Diritto civile, 3, Il con
tratto, Milano, 1984, 471 ss. Ma v. anche Rodotà, Le fonti di integra zione del contratto, Milano, 1969, 111 ss.; di Majo, Obbligazioni in
generale, Bologna, 1985, 275 ss.; Mengoni, Spunti per una teoria delle
clausole generali, in II principio di buona fede, Milano, 1987, 3 ss.). Altra dottrina, escludendo la funzione integrativa, ritiene che «le re
gole della correttezza e della buona fede ex art. 1175 e 1375 c.c. esplica no la loro rilevanza soltanto nella fase di attuazione del rapporto obbli
gatorio, influendo sulla modalità concreta di essa e, più specificamente, imponendo al giudice di valutare il comportamento delle parti non sol tanto sulla base del criterio formale offerto dalla regola iuris riferibile
alla fattispecie, ma anche sotto l'angolo visuale della sua congruità ri
spetto a certe esigenze, che le circostanze possono rivelare» (Natoli,
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