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sentenza 15 ottobre 1981; Pres. ed est. Battaglini; imp. AcciariSource: Il Foro Italiano, Vol. 105, PARTE SECONDA: GIURISPRUDENZA PENALE (1982), pp.43/44-45/46Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23174545 .
Accessed: 28/06/2014 13:20
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PARTE SECONDA
za del sindaco sul territorio, a cui fa cenno la norma dell'art. 32 cit. per imporre l'obbligo al sindaco di accertare e di reprimere gli abusi edilizi, non può essere circoscritto alla predetta fase, ma deve estendersi nel tempo anche nei confronti dell'edificato
per accertarne la conformità alla disciplina urbanistica ed edili
zia, in rispondenza ad una interpretazione letterale, logica e sistematica della norma in parola.
4. - Dalla lettura dell'art. 17, lett. a), appare evidente che il le
gislatore ha previsto la sanzione penale dell'ammenda per la
violazione non solo delle prescrizioni e delle modalità esecuti
ve, ma per l'inosservanza delle norme dei regolamenti edilizi,
degli strumenti urbanistici (da ritenersi compresi quelli regio nali), ed in genere delle prescrizioni richiamate esplicitamente od implicitamente dalla concessione. 11 che vuole significare che
il legislatore, al di là della rispondenza dell'opera in corso di
esecuzione rispetto alle norme degli strumenti urbanistici, ha vo
luto chiaramente sanzionare penalmente ogni violazione, comun
que eseguita, anche in epoca successiva all'ultimazione fisica e
materiale dell'opera, delle norme in genere, e delle prescrizioni e modalità esecutive previste dalla legge sui suoli, dai regola menti edilizi, dagli strumenti urbanistici richiamati però dalla
concessione. A differenza della precedente normativa, il legisla tore ha preteso, con sanzione penale, l'esatta e costante osser
vanza in ordine all'edificato di tutte le previsioni che, fissate al
l'atto del rilascio della concessione, devono conformare l'esisten
za e l'utilizzazione del manufatto, in una parola formano lo
statuto dell'edificato, ovvero il modo di essere dell'edificio.
Quanto sopra postula che l'opera subordinata a concessione
(art. 1 legge cit.), prescindendo dal riferimento puntuale all'ulti
mazione dei lavori, debba essere edificata, e debba conformarsi
nella sua esistenza alla concessione stessa, ed alla normativa edi
lizia ed urbanistica implicitamente od esplicitamente richiamata
da tale atto amministrativo. Con la conseguenza che la viola
zione del suddetto modo di essere da chiunque commessa, e
quindi anche dall'avente causa (proprietario) o dal detentore del
l'unità immobiliare, comporta, in assenza dell'esecuzione di lavori
edilizi (altrimenti si configurerebbe il reato di cui alla lett. b) del
l'art. 17), l'applicazione della sanzione penale prevista dalla
lett. a), a seguito dell'entrata in vigore della legge sui suoli.
Poiché l'autore può far cessare in qualsiasi tempo la situa
zione di illiceità conseguente alla violazione, e tale violazione con
figura una situazione lesiva dell'interesse urbanistico ed edilizio
tutelato, protraentesi naturalmente nel tempo, l'illecito ha natura di reato permanente.
La Corte di cassazione ha recentemente affermato un'analoga sanzione della problematica in parola (Cass., Sez. V, 10 novem bre 1980-27 gennaio 1981, imp. Venturi ed altro). La corte ha sostenuto nella predetta sentenza che mediante il mutamento di destinazione d'uso di unità immobiliari, ancorché senza lavori
edilizi, i responsabili pongono in essere una trasformazione ur banistica nel territorio comunale in contrasto con il piano re
golatore e senza alcuna concessione comunale. E ciò avviene — sostiene la corte — violando la tassatività delle destinazioni d'uso da osservarsi nelle zone indicate nel piano regolatore, che costituisce garanzia della zonizzazione urbanistica, quale stru mento per soddisfare le esigenze socio-economiche della comu nità locale. Infine, la corte, dopo aver rilevato che la cosiddetta
legge sull'equo canone non prescinde ma presuppone la tassati vità della destinazione di uso delle unità immobiliari, specie abi
tative, afferma che la violazione della destinazione d'uso, ancor ché senza lavori, proprio perché comporta trasformazione del territorio comunale, integra il reato previsto dall'art. 17, lett. a), legge 28 gennaio 1977 n. 10, che ha natura permanente, cioè si
protrae fino a quando cessi la condotta antigiuridica dell'agente di fronte alla disciplina urbanistica. (Omissis)
TRIBUNALE DI ROMA; TRIBUNALE DI ROMA; sentenza 15 ottobre 1981; Pres. ed est.
Battaglini; imp. Acciari.
Ordine pubblico (reati contro 1') — Pubblicazione di notizie false atte a turbare l'ordine pubblico — Atto giudiziario —
Notizia non veritiera — Reato i— Insussistenza — Fattispecie (Cod. pen., art. 656).
Non sussiste il reato di pubblicazione di notizie false atte a turbare l'ordine pubblico, di cui all'art. 656 c.p., nel comporta
mento di un giornalista che dia la notizia non veritiera di un atto di normale competenza di un ufficio giudiziario (nella
specie, è stato ritenuto che la pubblicazione sul quotidiano il « Corriere della Sera » del 24 settembre 1981, di un articolo
intitolato « Roma: il procuratore generale della corte d'appello avoca l'inchiesta sulla loggia massonica segreta P2 », notizia poi smentita dalla procura generale, non fosse alta a turbare l'ordi ne pubblico). (1)
Fatto e diritto. — Il giorno 24 settembre 1981 usciva sul « Corriere della Sera » un articolo dal titolo « Roma: il procura tore generale della corte d'appello avoca l'inchiesta sulla loggia massonica segreta P2 » a firma Sandro Acciari.
Il procuratore della Repubblica di Roma procedeva con rito
direttissimo, a norma della legge sulla stampa nei confronti dell'Acciari per i reati di pubblicazione o diffusione di notizie
false, esagerate o tendenziose, atte a turbare l'ordine pubblico (art. 656 c.p.) e di pubblicazione arbitraria di atti di un procedi mento penale (art. 684 c.p.).
Prima dell'apertura del dibattimento l'Acciari chiedeva ed otte neva l'autorizzazione ad oblare la pena dell'ammenda per il reato di cui alla lettera B della rubrica ed esibiva, quindi, in giudizio la ricevuta dell'ufficio del registro.
Apertosi il dibattimento, l'Acciari nel suo interrogatorio diceva: « Io ho avuto la notizia dell'avocazione. L'ho verificata da fonti da me ritenute attendibili e l'ho pubblicata. Voglio precisare che
quando parlo di fonti non mi riferisco a magistrati né della
procura della Repubblica, né dell'ufficio istruzione ».
Non essendovi altre richieste o altri atti istruttori il dibattimen to veniva dichiarato chiuso e il p.m. e la difesa concludevano come da verbale. La difesa dell'Acciari proponeva altresì in via
subordinata, l'acquisizione (ove esistesse) del carteggio intercorso tra il p.g. e il procuratore della Repubblica presso il Tribunale di
Roma e al quale era fatto riferimento nell'articolo dell'Acciari.
Passando all'esame delle questioni giuridiche che il fatto come
sopra esposto pone, rileva il tribunale, anzitutto che per quanto concerne il reato di cui all'art. 684 c.p. deve dichiararsi non
doversi procedere per intervenuta oblazione.
Per quanto riguarda, viceversa il reato di cui all'art. 656 c.p., ritiene il tribunale che sia necessaria una approfondita esegesi dello stesso al fine di poterne affermare o respingere l'applicazio ne nel caso di specie.
L'articolo riguarda la « pubblicazione o diffusione » di « noti zie false, esagerate o tendenziose, per le quali possa essere turbato l'ordine pubblico».
Soggetto attivo del reato è « chiunque » e, quindi, a maggior ragione un giornalista che, per professione, pubblica sulla stampa quotidiana o periodica le più diverse notizie.
La condotta è data dalla « pubblicazione o diffusione » di un particolare tipo di notizie; si è discusso in dottrina se la pubbli cazione sia fatto diverso dalla diffusione, ma a parere del tribuna le una notizia pubblicata su un giornale è per ciò stesso diffusa.
(1) In senso contrario, v. Trib. Roma 26 aprile 1976 (Foro it., Rep. 1977, voce Ordine pubblico (reati contro 1'), nn. 12, 13, e, per esteso, in Giur. merito, 1977, 340, con nota di Verrina, L'art. 656 c.p. e la libertà di pensiero), ove, viene affermata la penale responsabilità del direttore del settimanale «L'Espresso» perché, nel n. 10 del 10 marzo 1975, vi era comparso un articolo dal titolo Tra un leggero rumore di sciabole, ove si paventava che con « operazioni di adde stramento » compiute dai carabinieri quell'anno in varie località d'Italia (notizia risultata completamente falsa) essi stessero per preparare, proprio mentre l'allora ministro La Malfa ed il governatore della Banca d'Italia Carli si trovavano negli Stati Uniti per negoziare un prestito dal fondo monetario internazionale, un imminente rovesciamento istitu zionale. V. anche Cass. 5 novembre 1974, Lulli, Foro it., Rep. 1975, voce cit., n. 6, secondo cui il requisito della suscettibilità del diffuso turbamento (identificato nell'apprensione, eccitazione, sfiducia), derivan te dal contenuto di una notizia falsa e tendenziosa, a riflettersi sull'ordine pubblico, non può ritenersi implicito nella falsità o tenden ziosità della notizia (nello stesso senso si era già pronunciato Trib. Roma 23 gennaio 1961, id., Rep. 1962, voce cit., nn. 13, 14).
In una lontana decisione (Cass. 15 ottobre 1955, Gutti, id., Rep. 1956, voce cit., n. 8) si affermò che chi mette in circolazione una notizia ha il dovere di accertarsi, prima di divulgarla, se essa risponda o meno alla realtà dei fatti, atteso che il divulgatore di una notizia risultata poi falsa può andare esente da responsabilità soltanto a patto di provare di essere caduto in un errore che circostanze e ragioni obiettivamente apprezzabili rendano scusabile.
Una esauriente panoramica sull'art. 656 c.p. trovasi in nota a Trib. Melfi 15 gennaio 1980, id., 1980, II, 250 (la specie, però, era attinente ad un altro tema: la estraneità dall'art. 656 del solo apprezzamento soggettivo in ordine a fatti realmente accaduti).
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GIURISPRUDENZA PENALE
Né maggior pregio ha la disputa se il parlare di « notizie
false, esagerate o tendenziose » dia luogo a tre diverse ipotesi di reato o, non si tratti, piuttosto, di una unica fattispecie (« notizia falsa ») con diverse sfumature. Ciò tanto più che nella specie in
esame non si può certo parlare se non di notizia falsa (del tutto cioè difforme dal vero) mentre non si può parlare di notizia
esagerata (che cioè sia solo in parte difforme dal vero, essendo
per una parte deformata) o tendenziosa (che, cioè, per raggiunge re un determinato fine, crei una falsa impressione dal vero).
Ed infatti la notizia riguardava l'annuncio del compimento di un atto del procedimento, notizia che, per la sua stessa natura, non consente, né una deformazione parziale, né la creazione di una alterata impressione del vero.
Altro problema, ma questo di notevole rilevanza nell'attuale
processo è il fatto se il termine « notizia » comprenda o meno anche il commento alla notizia stessa.
Ritiene il tribunale che oggetto della pubblicazione (ai fini dell'esatta interpretazione dell'art. 656 c.p.) debba essere unica mente la « notizia » intesa come la enunciazione di un fatto o, se
si vuole, la pura e semplice rappresentazione di fatti oggettivi rispondenti alla esigenza della informazione. -È, infatti, questo solo
termine che viene usato nell'articolo mentre assai netta, ed addi rittura ovvia è la distinzione tra « notizia » e « commento ». E,
pertanto, anche a voler considerare ammissibile, nel campo del
diritto penale, la interpretazione estensiva, non può certo questa applicarsi nella specie poiché non vi è dubbio che essa allarghe rebbe la portata dalla norma ad una fattispecie che urta con il
principio costituzionale di cui all'art. 21 Cost, e non può quindi essere presa in considerazione.
Infatti nella attività giornalistica è proprio col commento alle
varie notizie che si esplica quella manifestazione del pensiero che
è principio di libertà dichiarata intangibile dalla nostra Carta
costituzionale.
Quanto alla falsità della notizia pubblicata dal « Corriere della
Sera » essa risulta per tabulas dalla smentita (il cui testo è in
atti) della p.g. e nella quale categoricamente si afferma: « Con
riferimento alla notizia pubblicata dal « Corriere della Sera » n.
223 del 24 settembre 1981 secondo cui il procuratore generale di
Roma avrebbe avocato a sé procedimenti in istruzione somma
ria facenti parte del processo per la loggia massonica P2 si po
ne in rilievo che detta notizia è del tutto destituita di fonda
mento, in quanto il procuratore generale non ha avocato né
poteva avocare, allo stato, atti processuali ancora giacenti presso la Corte suprema di cassazione ».
Tuttavia (e su questo dottrina e giurisprudenza concordano) non è sufficiente per integrare il reato di cui all'art. 656 c.p. che
la notizia pubblicata sia falsa, occorre altresì che essa sia atta a
turbare l'ordine pubblico. Il bene protetto, cioè, dalla norma, è
appunto l'ordine pubblico.
È necessario perciò dare di questo una definizione ben precisa. Si è detto concordemente dalla dottrina che il termine « ordine
pubblico » ha una sua diversa accezione ove lo si consideri nel
campo internazionale, costituzionale, privatistico e penale.
Ritiene peraltro il tribunale che, pur ammettendo necessariamen
te l'esistenza di sfumature derivanti dalle diverse angolazioni dalle
quali può essere considerato l'ordine pubblico, non vi è dubbio
tuttavia che la matrice di fondo sia unica e possa rinvenirsi
nell'insieme di determinati principi fondamentali etico-sociali di
cui la comunità avverte l'esigenza in un dato periodo storico ed
assunti dal legislatore per informare i singoli istituti giuridici.
Si è detto (specialmente dalla dottrina) che, nel campo del
diritto penale (e tenendo conto della evoluzione storica), l'art. 656
farebbe riferimento ad una nozione di ordine pubblico da consi
derarsi equivalente alla « tranquillità pubblica » di cui parla
espressamente l'art. 657 c.p.
Ritiene peraltro il tribunale che questa equazione debba essere
respinta dato che, tra l'altro, si tratta di formulazioni che sono
menzionate disgiuntamente nella intitolazione di due diverse ipo
tesi contravvenzionali.
D'altro canto, pur se vaga ed incerta è la formula « ordine
pubblico » non può però negarsi una sua permanenza nell'ordi
namento giuridico per cui è necessario darle, più che sia possibi
le, una configurazione certa.
Ritiene a tal proposito il tribunale che nel considerare la
formula usata dall'art. 656 c.p. non può prescindersi né dall'in
sieme delle fattispecie che il codice penale contempla nel titolo
« dei delitti contro l'ordine pubblico », né, tanto meno, da tutta
quella legislazione di emergenza che si è venuta formando in
questi ultimi anni e che ha come oggetto comune direttamente o
indirettamente la tutela dell'ordine pubblico. Da ciò deriva, ad avviso del tribunale, che, con il termine
« ordine pubblico » come ha affermato la Corte costituzionale
(sent. n. 19 del 1962, Foro it., 1962, I, 595), debba intendersi
l'ordine legale su cui poggia la convivenza sociale.
Stabilito questo, è necessario vedere cosa debba intendersi per « turbamento » dell'ordine pubblico. Anche qui ci troviamo di
fronte ad un termine quanto mai vago e generico che deve essere
individuato nel modo il più preciso possibile onde giungere ad
una esatta interpretazione della norma.
Non può quindi intendersi per « turbamento » (ai fini della
norma penale in esame) né la generica preoccupazione ingenerata nei cittadini dalla diffusione di una notizia, poi risultata falsa, né
il dissenso anche aspro da questa. Il turbamento dell'ordine pubblico deve essere inteso (come ha
affermato sempre la Corte costituzionale nella sentenza n. 19 del
1962) come l'insorgere di un concreto ed effettivo stato di
minaccia per l'ordine legale mediante mezzi illegali atti a scuo
terlo.
Si impone, a questo punto, l'indagine (di fatto) sulla natura
della notizia pubblicata dal « Corriere della Sera » e sull'essere
questa o meno adatta a dar vita alla minaccia che è alla base del
turbamento dell'ordine pubblico. Ora, a parere del tribunale, ciò non è poiché la avocazione è
un atto del procedimento penale previsto dal codice di procedura
penale (art. 392) e dare notizia di un atto che rientra nella
normale competenza di un ufficio non può creare turbamento
(come sarebbe se la notizia riferisse di un abuso) ma solo, al più, dar vita a critiche o a dissensi che, come si è detto, non
configurano il turbamento di cui all'art. 656 c.p. Pertanto l'Acciari deve essere assolto dal reato di cui alla
lettera A della rubrica perché il fatto non sussiste.
PRETURA DI PERUGIA; PRETURA DI PERUGIA; sentenza 23 dicembre 1981; Giud.
Sassi; imp. Trona ed altri.
Circostanze di reato — Tifosi di squadra di calcio esasperati dal
comportamento del direttore di gara — Aggressione alle forze
dell'ordine schierate a tutela della terna arbitrale e della squa
dra ospite — Attenuanti generiche — Fattispecie (Cod. pen.,
art. 62 bis).
Ai tifosi di una squadra di calcio che al termine di una partita
perduta in casa hanno aggredito le forze dell'ordine schierate
davanti agli spogliatoi dello stadio a tutela dell'incolumità
della terna arbitrale e della squadra ospite, colpendo gli agenti
con sassi, pietre ed altri oggetti contundenti e danneggiando automezzi della polizia, vanno concesse le attenuanti generi
che in considerazione dello stato d'animo di esasperazione de
terminato da un arbitraggio costellato di grossolani errori tec
nici, reiteratisi per tutto l'arco della gara, e punteggiato da
atteggiamenti plateali ed irritanti nei confronti del pubblico, non con facenti al decoro e alla dignità della classe arbitrale. (1)
(1) Risulta indirettamente ma chiaramente dalla motivazione della sentenza (depositata il 5 gennaio 1982) che i dati di fatto che hanno
motivato la concessione delle attenuanti generiche agli imputati non
erano riferiti negli atti di causa né sono emersi dal dibattimento; il
pretore, dunque, ha utilizzato la sua scienza privata, acquisita fre
quentando come spettatore lo stadio « Curi » di Perugia. Il pretore avrebbe dovuto anche utilizzare la sua privata conoscenza dei rego lamenti e delle norme tecniche federali, giacché ha parlato di un
arbitraggio « costellato di grossolani errori tecnici, reiteratisi per tutto l'arco della gara », ma nella trasmissione televisiva II processo del lunedi, svoltasi sulla 3* Rete TV nella serata dello scorso 11
gennaio, ha dimostrato, al confronto con l'arbitro Lattanzi, di man
care di ogni rudimento di quella conoscenza. In effetti, l'errore « tec
nico » è evento estremamente raro nella casistica degli arbitraggi delle
gare di calcio, e non è mai tale da accendere la passione dei tifosi, ai quali normalmente sfugge. L'errore tecnico che, nella specie, era sta
to imputato al direttore di gara dai più causidici aficionados del Pe
rugia consisteva nell'aver lasciato proseguire la gara dopo l'espulsione del portiere della squadra locale senza che il suo sostituto avesse in
dossato una maglia diversa da quella dei compagni (e ciò per una
diecina di secondi e col pallone lontano). Lo scrivente ricorda un altro caso di errore tecnico, da lui personalmente osservato, gli sem
bra, nel lontano 1947, in una partita persa in casa per 0-1 dalla
Lazio col Bari: il portiere laziale Gradella, nell'eseguire la rimessa
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