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PIANO A.I.B.
DELLA RISERVA NATURALE STATALE DEL LITORALE ROMANO Redatto ai sensi della L. 353/2000 secondo lo “Schema di Piano A.I.B. per le RNS ott. 2017”
Periodo di validità 2018 – 2022 Data approvazione
DGC Roma Capitale n. …… del ………
DGC Citta di Fiumicino n. …… del ………
MARZO 2 0 1 8
ROMA CAPITALE PIANIFICAZIONE:
Dott. For. Giacomo FEMINO’
COMUNE DI FIUMICINO
Collaborazione:
Dott. For. Diego Marzoli
Dott.For. Paolo Prosperi
Dott.For. Federico Canali
Dott.ssa Biologa Irene Amici
RISERVA NATURALE STATALE DEL LITORALE ROMANO
‐ DM 29/03/1996 e DM 24/10/2013 ‐
1 Dott. For. Giacomo Feminò via Vincenzo Monti 29 – 00152 Roma - Cell. 333.37.83.064
e‐mail: giacomofemino@tiscali.it ‐ COD.FISCFMNGCM73T23H501B – P.I. 06642171000 – WWW.SPAMBIENTEPAESAGGIO.IT
Sommario 1. ELEMENTI GENERALI: NORMATIVI, TEMPORALI, INFORMATIVI ................................................... 4
1.1 RIFERIMENTO ALLA L. 353/2000, ALLE LINEE GUIDA DEL D.M. 20.12.2001 ED ALLO SCHEMA DI PIANO AIB DELLA DPN/MATTM SPECIFICO PER LE RISERVE NATURALI STATALI ....................................................... 4
1.2 ESTREMI DELLA VIGENTE NORMATIVA REGIONALE DI DIRETTO INTERESSE A.I.B. ............................. 4
1.3 ESTREMI DEL PIANO A.I.B. REGIONALE E DI EVENTUALI ACCORDI FRA ENTI INTERESSATI ALL’A.I.B.: REGIONE, Carabinieri Forestale, VV.F., RNS. ................................................................................................... 6
1.4 REFERENTI A.I.B. DELLA RNS, DELLA REGIONE ED ALTRI EVENTUALI, PER COORDINAMENTO ED INTESA. ............................................................................................................................................................ 6
1.5 ESTREMI DI ARTICOLI DI DECRETI, PIANI, REGOLAMENTI, ECC PERTINENTI IL TERRITORIO DELLA RISERVA NATURALE STATALE CHE INTERESSANO LA GESTIONE A.I.B. DEL TERRITORIO PROTETTO E LIMITROFO ....................................................................................................................................................... 7
1.6 ELENCO DI EVENTUALI SITI WEB UTILI PER L’A.I.B. DELL’AREA PROTETTA ......................................... 9
2. PREVISIONE (DESCRIZIONE DEL TERRITORIO – BANCHE DATI TERRITORIALI – CARTOGRAFIA DI BASE E TEMATICA – OBIETTIVI PRIORITARI) ............................................................................................ 9
2.1 DESCRIZIONE DEL TERRITORIO: ASPETTI GEOMORFOLOGICI, TOPOGRAFICI, IDROGRAFICI, VEGETAZIONALI, CLIMATICI, STORICI E SOCIO – ECONOMICI ....................................................................... 10
2.2 DESCRIZIONE PECULIARITA’ E FINALITA’ DELLA RISERVA con individuazione delle aree di particolare tutela naturalistica, anche per eventuali habitat e siti natura 2000 ............................................................. 36
2.3 DEFINIZIONE DEGLI OBIETTIVI GESTIONALI E A.I.B. (da: decreto istitutivo della RNS, piano di gestione della Riserva, eventuali piani forestali e dei pascoli, ecc.) ............................................................................ 45
2.4 ANALISI DELLE TIPOLOGIE VEGETAZIONALI PRESENTI NELL’AREA .................................................... 49
2.5 ANALISI DEGLI INCENDI PREGRESSI (almeno degli ultimi 10 anni) .................................................... 71
2.6 SERIE STORICA DEI DATI METEOROLOGICI E BIOCLIMATICI (PRECIPITAZIONI, VENTO, TEMPERATURA E UMIDITA’ DELL’ARIA) E INDIVIDUAZIONE PERIODO CRITICO STAGIONALE ............................................... 82
2.7 ANALISI DELLE CAUSE DETERMINANTI (DOLOSE, COLPOSE, NATURALI, IGNOTE) NEL PARTICOLARE CONTESTO AMBIENTALE E SOCIO‐ECONOMICO ........................................................................................... 87
2.8 SINTESI SITUAZIONE CATASTO INCENDI DEI COMUNI ...................................................................... 88
2.9 PERICOLOSITA’ ................................................................................................................................... 91
2.10 GRAVITA’............................................................................................................................................ 93
2.11 RISCHIO .............................................................................................................................................. 95
2.12 INQUADRAMENTO TERRITORIALE DELLA RNS CON LIMITI COMUNALI, EVENTUALI ALTRE AREE PROTETTE EUAP, SIC, ZPS, ECC., INTERNE E LIMITROFE ................................................................................ 97
2.13 CARTA DELL’USO DEL SUOLO CON APPROFONDIMENTI SULLA VEGETAZIONE SILVO‐PASTORALE . 97
2.14 ORTOFOTO A COLORI (da SIM o Geoportale Nazionale o altre fonti) CON I CONFINI R.N.S. ......... 100
2.15 CARTA DELLE INFRASTRUTTURE E DELLE STRUTTURE A.I.B. ........................................................... 100
2.16 CARTA DELLE ZONE DI INTERFACCIA URBANO‐FORESTA (fornita dai Comuni o – in loro assenza – localizzazione sulla ortofoto da parte della Riserva) ................................................................................... 100
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2.17 CARTA DEGLI INCENDI PREGRESSI ove esistenti (degli ultimi 10 ANNI, distinguendo gli anni) ...... 104
2.18 CARTA DELLA PERICOLOSITA’ (5 CLASSI) ......................................................................................... 105
2.19 CARTA DELLA GRAVITA’ (5 CLASSI) .................................................................................................. 111
2.20 CARTA DEL RISCHIO INCENDI (3 CLASSI) ......................................................................................... 114
3. PREVENZIONE (OBIETTIVI PRIORITARI E PIANO INTERVENTI AIB DI TIPO AREALE, LINEARE, PUNTUALE ED ORGANIZZATIVO) ......................................................................................................... 115
3.1 OBIETTIVI DEL PIANO AIB DELLA RISERVA NATURALE STATALE ................................................. 117
3.2 SINTESI DEGLI INTERVENTI PREVISTI NEL PERIODO DI VALIDITA’ DEL PIANO AIB ...................... 118
3.3 SCHEDA TECNICO‐ECONOMICA ................................................................................................... 121
3.4 INTERVENTI SELVICOLTURALI ...................................................................................................... 121
3.5 INFRASTRUTTURE E STRUTTURE UTILI ALL’AIB – REALIZZAZIONE E MANUTENZIONE DI: VIABILITA’ OPERATIVA, VIALI TAGLIAFUOCO, PUNTI DI RIFORNIMENTO IDRICO ........................................................ 133
3.6 SORVEGLIANZA AI FINI AIB .............................................................................................................. 154
3.7 PREVENZIONE INDIRETTA (INFORMAZIONE E SENSIBILIZZAZIONE) ................................................ 155
3.8 EVENTUALE FORMAZIONE E ADDESTRAMENTO DEL PERSONALE .................................................. 156
3.9 CARTA DEGLI INTERVENTI (PUNTUALI, LINEARI ED AREALI‐SELVICOLTURALI) PREVISTI NEL PIANO 157
4. LOTTA ATTIVA (DESCRIZIONE RISORSE E MODALITA') .............................................................. 157
4.1 RISORSE DISPONIBILI PER L’AREA PROTETTA (PERSONALE E MEZZI AIB) INTERNE E LIMITROFE 161
4.2 PROCEDURE E RISORSE (istituzioni, personale, mezzi, ecc.) PER L’AVVISTAMENTO‐ALLARME E PER L’ESTINZIONE INCENDI ................................................................................................................................ 167
4.3 SINTESI SITUAZIONE DEI PIANI COMUNALI DI EMERGENZA PER GLI ASPETTI AIB .......................... 178
5. MONITORAGGIO ......................................................................................................................... 180
5.1 COMMENTO SU EVENTUALI AZIONI AIB SVOLTE, RISULTATI ED EFFETTI SU PIANIFICAZIONE AIB 180
6. BIBLIOGRAFIA .............................................................................................................................. 183
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PREMESSA
La Riserva Naturale Statale del Litorale Romano è stata istituita con Decreto del Ministro dell’Ambiente del 29 marzo 1996 (pubblicato sulla G.U.R.I. del 2/5/1996), seguendo i sensi della Legge 394/91 “Legge Quadro in materia di aree protette”. L’area protetta abbraccia un territorio di circa 16.214 Ha che si estende sulla costa, dalla marina di Palidoro alla spiaggia di Capocotta. Il perimetro della RNS LR ha subito variazioni nel corso degli anni prima con il decreto di riperimetrazione del 24/10/2013 il quale ha portato all’aumento della superficie complessiva e poi con il decreto 28/03/2018 che ha portato una leggera riduzione con la declassificazione di un tratto del Lungomare nel Villaggio dei Pescatori di Fregene. All’interno comprende vaste aree quali la Macchiagrande di Galeria, i territori delle bonifiche delle Pagliete, di Maccarese e di Ostia, l’ultimo tratto fluviale del Tevere, il Parco di Castel Fusano; includendo, quindi, territori appartenenti al Comune di Fiumicino e al Comune di Roma, di conseguenza l’attuale gestione è affidata alle relative aree di rispettiva competenza ed in particolare 8.150 ettari nel Comune di Roma (pari al 51% del totale) e 7.750 ettari nel Comune di Fiumicino. Essendo quindi la Riserva Naturale Statale del Litorale Romano gestita da due distinti enti, Comune di Roma e Comune di Fiumicino, in attuazione della L. 353/2000 in passato vennero elaborati due distinti Piani A.I.B., ciascuno per le porzioni di territorio ricadenti nei rispettivi confini comunali. L’obiettivo del presente elaborato relativo alla Riserva Naturale Statale del Litorale Romano è quindi l’unificazione dei due piani al fine di redigere un unico Piano A.I.B., seguendo le linee guida del MATTM 2017 e sulla base della Legge quadro in materia di incendi boschivi, l. 353/2000, che riesca a migliorare il coordinamento e l’efficienza di tutte le attività di lotta attiva e passiva antincendio che dovranno essere svolte per la tutela della Riserva Naturale Statale del Litorale Romano. Le cartografie sono state unificate per quanto attiene all’utilizzo delle legende, aggiornate e prodotte secondo quanto indicato dalle suddette linee guida.
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1. ELEMENTI GENERALI: NORMATIVI, TEMPORALI, INFORMATIVI
1.1 RIFERIMENTO ALLA L. 353/2000, ALLE LINEE GUIDA DEL D.M. 20.12.2001 ED ALLO SCHEMA DI PIANO AIB DELLA DPN/MATTM SPECIFICO PER LE RISERVE NATURALI STATALI
La normativa nazionale di riferimento in vigore è la legge 21/11/2000 n. 353, "Legge ‐quadro in materia di incendi boschivi" le cui disposizioni costituiscono i principi fondamentali per l’attività A.I.B. Il Piano A.I.B. delle Riserve viene elaborato in riferimento a tale normativa e tenendo conto del Regolamento 2158/92/CEE, delle linee guida per i Piani AIB regionali e dello Schema semplificato di Piano AIB per le Riserve Naturali Statali redatto dal GdL interministeriale (Direzione Protezione Natura – MATT, Carabinieri forestale – MIPAF e Protezione civile – PCM). Si ritiene opportuno richiamare gli strumenti normativi che prevedono implicazioni nella pianificazione AIB della Riserva Naturale Statale del Litorale Romano:
Legge 394/91 “Legge quadro in materia di aree protette”; Legge 353/2000 “Legge quadro in materia di incendi boschivi”; Linee guida per i Piani AIB regionali di cui al Decreto della Presidenza del
Consiglio ‐ Dipartimento della Protezione Civile del 20/12/01; Schema di Piano AIB della DPN/MATTM vigente per le RNS (2017); DPR n. 357/97:” Regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE” che “disciplina le
procedure per l’adozione delle misure previste dalla direttiva ai fini della salvaguardia della biodiversità mediante la conservazione degli habitat naturali elencati nell’allegato A e delle specie della flora e della fauna indicate negli allegati B, D ed E”;
D.M. del 20 gennaio 1999 “Modificazioni degli allegati A e B del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357”, in attuazione della direttiva 97/62/CE del Consiglio, recante adeguamento al progresso tecnico e scientifico della Direttiva 92/43/CEE”;
D.M. n. 224/2002 “Linee guida per la gestione dei siti Natura 2000” “La Gestione dei Siti della Rete Natura 2000. Guida all’interpretazione dell’articolo 6 della Direttiva Habitat 92/43/Cee, 2000” Allegato II “Considerazioni sui piani di gestione”;
D.P.R. 120/2003 marzo 2003 che ha modificato e integrato il D.P.R. n. 357/1997 DPR n 120/2003 “Regolamento recante modifiche ed integrazioni al decreto del Presidente della
Repubblica 8 settembre 1997, n. 357”, concernente attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche;
Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3606 del 28 agosto 2007 concernente “Disposizioni urgenti di protezione civile dirette a fronteggiare lo stato di emergenza in atto nelle Regioni: Lazio, Campania, Puglia, Calabria e Regione Siciliana in relazione agli eventi calamitosi dovuti alla diffusione di incendi e fenomeni di combustione”.
1.2 ESTREMI DELLA VIGENTE NORMATIVA REGIONALE DI DIRETTO INTERESSE A.I.B.
A seguito della Legge 1 marzo 1975, n. 47 “Norme integrative per la difesa dei boschi dagli incendi” e del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 “Attuazione della delega di cui all’art. 1 della L. 22 luglio 1975, n. 382”, le competenze in materia di lotta agli incendi boschivi, originariamente affidate al Ministero dell’Agricoltura e Foreste, in particolare quelle relative alle attività di previsione e prevenzione, sono state attribuite alle Regioni. Successivamente con il Decreto Legislativo 31 marzo 1998, n. 112 “Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni ed agli Enti Locali, in attuazione del capo I della Legge 15.03.1997, n. 59”, il legislatore ha modificato la ripartizione delle competenze amministrative fra Stato, Regioni ed Enti Locali, realizzando il cosiddetto federalismo a Costituzione invariata, conferendo ai poteri locali tutte le funzioni non espressamente rimaste in capo allo Stato. Per quanto concerne in particolare la materia della Protezione Civile, mentre l’art. 107 del Decreto Legislativo 112/1998, ha previsto tra i compiti che hanno rilievo nazionale quelli relativi al soccorso tecnico urgente, alla prevenzione e allo spegnimento degli incendi e allo spegnimento con mezzi aerei degli incendi boschivi, l’art. 108 conferisce
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alle Regioni ed agli Enti Locali le funzioni amministrative relative allo spegnimento degli incendi boschivi, fatto salvo quanto specificato all’art. 107, nonché gli interventi per l’organizzazione e l’utilizzo del volontariato. La Regione Lazio nel 1974 ha emanato una propria normativa in materia di lotta agli incendi boschivi, con la Legge regionale 4 febbraio 1974, n. 5 “Prevenzione degli incendi nei boschi e interventi per la ricostituzione boschiva”, abrogata, poi, dalla Legge regionale 28 ottobre 2002, n. 39 “Norme in materia di gestione delle risorse forestali”, che oggi costituisce la normativa fondamentale in ambito regionale per la lotta agli incendi boschivi.
DGR n° 612 del 16 dicembre 2011 Rete Europea Natura 2000: misure di conservazione da
applicarsi nelle Zone di protezione Speciale (ZPS) e nelle Zone Speciali di Conservazione (ZSC)”. DGR n.64 del 29 gennaio 2010, DGR del Lazio n. 2146/1996 “Approvazione della lista dei siti con valori di importanza comunitaria
del Lazio ai fini dell’inserimento nella Rete Ecologica Europea Natura 2000”, coerentemente con le disposizioni della Direttiva 92/43/CEE;
DGR del Lazio n. 1103/2002 “Approvazione delle linee guida per la redazione di piani di gestione e la regolamentazione sostenibile dei SIC e ZPS, ai sensi delle Direttive 92/43/CEE (habitat) e 79/409/CEE (uccelli) concernenti la conservazione degli habitat naturali e seminaturali della flora e della fauna selvatiche di importanza comunitaria presenti negli Stati membri, anche per l’attuazione della Sottomisura I.1.2 “Tutela e gestione degli ecosistemi naturali” (Docup Obiettivo 2 2000‐2006)”;
LEGGE REGIONALE 11.04.1985, n. 37 Istituzione del servizio di Protezione Civile nella Regione Lazio (B.U.R.L. 30.04.1985, n. 12);
LEGGE REGIONALE 10.04.1991, n. 15 Modifiche ed integrazioni alla Legge Regionale 11 aprile 1985, n. 37, concernente: “Istituzione del servizio di Protezione Civile nella Regione Lazio (B.U.R.L. 30.04.1991, n. 12);
LEGGE REGIONALE 28.06.1993, n. 29 Disciplina dell’attività di volontariato nella Regione Lazio (B.U.R.L. 10.07.1993, n. 19);
LEGGE REGIONALE 6.08.1999, n. 14 Organizzazione delle funzioni a livello regionale e locale per la realizzazione del decentramento amministrativo (B.U.R.L. 30.08.1999, n. 24 – Suppl. Ordinario n. 2);
LEGGE REGIONALE 1.09.1999, n. 22 Promozione e sviluppo dell’associazionismo nella Regione Lazio (B.U.R.L. 20.09.1999, n. 26 – Suppl. Ordinario n. 2);
LEGGE REGIONALE 20.11.2001, n. 25 Norme in materia di programmazione, bilancio e contabilità della Regione (B.U.R.L. 10.12.2001, n. 34 ‐ Suppl. Ordinario n. 6);
LEGGE REGIONALE 28.10.2002 n. 39 Norme in materia di gestione delle risorse forestali (B.U.R.L. 20.11.2002, n. 32 – Suppl. Ordinario n. 7);
LEGGE REGIONALE 3.08.2004, n. 9 Istituzione dell’Azienda regionale per l’emergenza sanitaria ARES 118 (B.U.R.L. 10.08.2004, n. 22 ‐ Suppl. Ordinario n. 6);
REGOLAMENTO REGIONALE 18.04.2005, N. 7 Regolamento di attuazione dell’articolo 36 della Legge Regionale 28 ottobre 2002, n. 39 “Norme in materia di gestione delle risorse forestali” (B.U.R.L. 30.04.2005, n. 12 ‐ Suppl. Ordinario n. 4);
“PIANO REGIONALE DI PREVISIONE, PREVENZIONE E LOTTA ATTIVA CONTRO GLI INCENDI BOSCHIVI. PERIODO 2011‐2014” ‐ Deliberazione 16 settembre 2011, n. 415, pubblicata sul supplemento ordinario n. 169 del B.U.R.L. n. 3 del 7.10. 2011.
DGR del Lazio n.179/2011 “Programma di attività di previsione, prevenzione e lotta attiva agli incendi boschivi”, dichiarazione del periodo di massimo rischio di Campagna Antincendio Boschivo anno 2011.
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1.3 ESTREMI DEL PIANO A.I.B. REGIONALE E DI EVENTUALI ACCORDI FRA ENTI INTERESSATI ALL’A.I.B.: REGIONE, Carabinieri Forestale, VV.F., RNS.
Il Piano si attiene alle indicazioni e alle prescrizioni del “Piano di Previsione, Prevenzione e Lotta Attiva contro gli Incendi Boschivi” della Regione Lazio, redatto dal Dipartimento Istituzionale e Territorio ‐ Direzione Regionale Protezione Civile per il periodo 2011‐2014, approvato con D.G.R. n. 415 del 16 settembre 2011. L’Accordo Quadro stipulato tra il Ministero dell’Interno e il ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali nel 2008, ha individuato quale strumento di “Lotta attiva agli incendi boschivi” il ruolo di intervento del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco e il Corpo dei Carabinieri Forestale. L’Accordo quadro definisce gli ambiti e modelli organizzativi di intervento dei due Corpi. Il Ministero dell’Interno, con decreto del 20 dicembre 2001, ha emanato apposite “Linee guida” che espongono come le Regioni devono strutturare il “Piano regionale per la programmazione delle attività di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi”. In data 19/04/2018Nel è stato emanato il protocollo d’intesa tra il MATTM, Carabinieri Forestale ed Enti di Gestione della RNSLR, il quale mira alla tutela della biodiversità e del capitale naturale dell’area protetta. Le suddette Linee guida precisano, inoltre, che le Regioni hanno la facoltà di organizzare, nel modo che ritengono più confacente alle proprie esigenze, i singoli punti dell’articolazione, mantenendone i contenuti o, se lo ritengono opportuno, ampliandoli e/o dettagliandoli maggiormente. Infatti tali Linee guida sono elaborate per suggerire un’architettura generale del “Piano regionale per la programmazione delle attività di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi” che le singole Regioni dovranno redigere, adattandolo alle proprie specifiche strutturazioni operative e realtà territoriali, affinché le finalità della normativa in materia d’incendi boschivi possano essere raggiunte in tempi brevi e con il massimo dei risultati.
1.4 REFERENTI A.I.B. DELLA RNS, DELLA REGIONE ED ALTRI EVENTUALI, PER COORDINAMENTO ED INTESA.
Riserva Naturale Statale Litorale Romano (Roma Capitale) Direzione promozione tutela ambientale e benessere degli animali Dott.ssa Rosalba Matassa Protezione Civile Roma Capitale Diego Porta (Comandante della Polizia Locale) Tenuta Presidenziale di Castelporziano (Riserva Naturale Statale) Dott. For. Daniele Cecca Riserva Naturale Statale Litorale Romano (Città Fiumicino) Area Strategie del Territorio ‐ Ufficio Riserva Naturale Statale Litorale Romano Ing. Massimo Guidi Arch. Claudia Racca
Pec: protocollo.generale@comune.fiumicino.rm.gov.it
Email: pianificazione.territorio@fiumicino.net massimo.guidi@fiumicino.net claudia.racca@fiumicino.net
Telefono: 06/65210‐528‐516‐517
Protezione Civile Città Fiumicino
Dr. Giuseppe Galli (Comandante della Polizia Locale)
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1.5 ESTREMI DI ARTICOLI DI DECRETI, PIANI, REGOLAMENTI, ECC PERTINENTI IL TERRITORIO DELLA RISERVA NATURALE STATALE CHE INTERESSANO LA GESTIONE A.I.B. DEL TERRITORIO PROTETTO E LIMITROFO
La Riserva Naturale Statale del Litorale Romano è stata istituita il 29/3/1996 con Decreto del Ministro dell’Ambiente ai sensi della Legge 394/91 (Legge quadro sulle aree protette) e il 2/5/1996 è stato pubblicato il Decreto sulla Gazzetta Ufficiale. Il Piano di Gestione della Riserva, per le aree di rispettiva competenza territoriale, è stato elaborato dai comuni di Roma e Fiumicino e trasmesso al Ministero dell’Ambiente per la relativa approvazione. Il Comune di Roma ha approvato il piano di gestione con D.G.C. n.181 del 11 ottobre 2004. Successivamente, il Piano è stato presentato al vaglio del ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (MATTM). Il Piano tiene conto delle “Procedure operative in caso di incendio boschivo e di interfaccia” previste dal Piano Comunale di Protezione Civile approvato con Delibera della Giunta del Comune di Fiumicino n. 66 del 26.03.2008. Deliberazione del Consiglio comunale di approvazione del Regolamento comunale di Protezione Civile n. 70 del 09/11/2009. Ordinanza n. 324 del 11/06/2011 “Istituzione del servizio di prevenzione degli incendi boschivi: Campagna AIB 2011 ‐ Comunicazione del periodo di massimo rischio di incendi boschivi e richiamo alle norme comportamentali da seguire”.
NORMATIVA COMUNITARIA, REGOLAMENTI E DIRETTIVE VIGENTI NELLE AREE PROTETTE
REGOLAMENTO CE 1485/2001 che modifica il precedente Regolamento CE 2158/92 relativo alla
protezione delle foreste nella Comunità contro gli incendi; REGOLAMENTO CE 2152/2003 relativo al monitoraggio delle foreste e delle interazioni ambientali
nella Comunità (Forest Focus); Direttiva n. 79/409/CEE Uccelli del Consiglio del 2 aprile 1979 concernente la
Conservazione degli uccelli selvatici; Direttiva 92/43/CEE Habitat del Consiglio del 21 maggio 1992 relativa alla Conservazione degli
habitat naturali e semi‐naturali e delle specie della flora e della Fauna selvatiche.
DIRETTIVA 92/43/CEE "HABITAT" RETE NATURA 2000: SIC E ZPS PRESENTI NELLA RISERVA NATURALE STATALE DEL LITORALE ROMANO
Nel territorio della Riserva Naturale Statale del Litorale Romano sono stati individuati identificati i seguenti Siti di Interesse Comunitario:
IT6030027 SIC “Castelporziano (fascia costiera)” Superficie: 428,07 Ha – che riguarda unicamente l’area dunale di Capocotta (ha 45,2)
IT6030084 ZPS “Castelporziano (Tenuta Presidenziale)” (ZPS) Superficie: 6038,86 Ha ‐ che riguarda unicamente l’area dunale di Capocotta (ha 45,2)
IT6030025 SIC “Macchia Grande di Ponte Galeria” Superficie: 1055,71 Ha – interamente inclusa nella Riserva
IT6030023 SIC “Macchia Grande di Focene e Macchia dello Stagneto” Superficie: 317 ha‐lembo di territorio sul litorale romano;
IT6030026 SIC‐ZPS “Lago di Traiano” Superficie: 62,5 ha‐interamente inclusa nella Riserva.
RIFERIMENTI NORMATIVI PER LA RETE NATURA 2000
Dir. 79/409/CEE e Dir. 2009/147/CE concernente la conservazione degli uccelli selvatici; Dir. 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e semi‐naturali e della flora e della
fauna selvatiche e successivi atti modificatori (in particolare la Dir. 2006/105/CE);
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DPR n. 357/97 recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e semi‐naturali, nonché della flora e della fauna selvatiche;
D.M. del 20 gennaio 1999 recante modificazioni agli allegati A e B del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357;
D.M. del 3 aprile 2000 "Elenco delle zone di protezione speciale designate ai sensi della direttiva 79/409/CEE e dei siti di importanza comunitaria proposti ai sensi della direttiva 92/43/CEE";
D.M. n. 224/2002 del 3 settembre 2002 "Linee guida per la gestione dei siti Natura 2000". “La Gestione dei Siti della Rete Natura 2000. Guida all'interpretazione dell'articolo 6 della Direttiva Habitat 92/43/CEE, 2000" Allegato II "Considerazioni sui Piani di gestione";
DPR n. 120/2003 recante modifiche ed integrazioni al decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, concernente attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e semi‐naturali, nonché della flora e della fauna selvatiche;
DGR n. 2146 del 19 marzo 1996 "Direttiva 92/43/CEE (Habitat): approvazione della lista dei siti con valori di importanza comunitaria nel Lazio ai fini dell'inserimento nella rete ecologica europea Natura 2000";
DGR n. 1103 del 2 agosto 2002 “Approvazione delle linee guida per la redazione dei piani di gestione e la regolamentazione sostenibile dei SIC (Siti d'Importanza Comunitaria) e ZPS (Zone di Protezione Speciale), ai sensi delle Dir. 92/43/CEE (Habitat) e 79/409/CEE (Uccelli) concernenti la conservazione degli habitat naturali e semi‐naturali della flora e della fauna selvatiche di importanza comunitaria presenti negli stati membri”, anche per l'attuazione della Sottomisura I.1.2. “Tutela e gestione degli ecosistemi naturali” (Docup Obiettivo 2 2000‐2006)".
NORMATIVA NAZIONALE R.D.L. 3267/23 “Riordino e riforma della legislazione in materia di boschi e di terreni montani”; R.D. 773/1931 “Testo unico nelle leggi di P.S. in materia di incendi”; LEGGE 04.08.1984, n. 424 “Tutela delle zone di particolare interesse ambientale” (Legge Galasso); LEGGE 24.02.1992, n. 225 “Istituzione del Servizio Nazionale della Protezione Civile”; LEGGE 06.12.1991 n. 394 “Legge quadro sulle aree protette”; LEGGE 21.11.2000, n. 353 “Legge/quadro in materia di incendi boschivi”; LEGGE 6.02.2004, n. 36 “Nuovo ordinamento del Corpo Forestale dello Stato”; ACCORDO QUADRO 16.04.2008 “Accordo Quadro sulla lotta attiva agli incendi boschivi tra
Dipartimento dei Vigili del Fuoco, del Soccorso Pubblico e della Difesa Civile e Carabinieri Forestale”;
D.P.C.M. 27.02.2004 “Indirizzi operativi per la gestione organizzativa e funzionale del sistema di allertamento nazionale e regionale per il rischio idrogeologico e idraulico ai fini di protezione civile”;
D.P.C.M. 20 dicembre 2001, “Linee guida relative ai piani regionali per la programmazione delle attività di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi”;
Ordinanza P.C.M. n. 3624 del 22.10.2007 “Delega al servizio per la protezione civile per la redazione e gestione di un apposito catasto per il censimento dei soprassuoli percorsi dal fuoco”;
D.Lgs. 19.08.2016 n. 177 “Disposizioni in materia di razionalizzazione delle funzioni di polizia e assorbimento del Corpo forestale dello Stato, ai sensi dell'articolo 8, comma 1, lettera a), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”, che attribuisce ai VV.F. il ruolo di coordinamento degli interventi di spegnimento, sia degli incendi boschivi sia degli incendi d’interfaccia.
Schema di Piano A.I.B. del DPN/MATTM aggiornato all’anno 2016. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. Manuale per l’applicazione dello “Schema di Piano A.I.B. nei Parchi Nazionali ‐ 2016”. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare.
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Direttiva per la prevenzione degli incendi boschivi nei Parchi Nazionali e nelle Riserve Naturali Statali del 12.07.2017. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare.
1.6 ELENCO DI EVENTUALI SITI WEB UTILI PER L’A.I.B. DELL’AREA PROTETTA
La Legge‐quadro in materia di incendi boschivi (L. 353/2000) prevede l’istituzione del catasto dei soprassuoli interessati da incendio boschivo. La Regione Lazio ha raccolto e inserito nel S.I.R.A. (Sistema Informativo Regionale Ambientale) le informazioni cartografiche relative agli incendi degli anni dal 2003 al 2009 forniti dal Carabinieri forestale per la predisposizione del Piano A.I.B. regionale 2008/2011 e per gli anni seguenti. I dati vettoriali realizzati dal C.F.S. relativamente alla Regione Lazio sono consultabili sul Sistema Informativo della Montagna: http://www.simontagna.it/portalesim/home.jsp dagli operatori autorizzati. Inoltre è possibile consultare: http://www.comune.roma.it/wps/portal/pcr?jp_pagecode=dip_pol_amb_riserva.wp http://www.protezionecivile.gov.it/ http://www.carabinieri.it/ http://www.riservalitoraleromano.it/index.asp
2. PREVISIONE (DESCRIZIONE DEL TERRITORIO – BANCHE DATI TERRITORIALI – CARTOGRAFIA DI BASE E TEMATICA – OBIETTIVI PRIORITARI)
L’attività di “Previsione e prevenzione” nell’ambito della Legge Quadro n. 353/2000 ha una importanza fondamentale. Infatti, così come già previsto nella Legge 225/92, laddove si ritiene che l’attività di protezione civile sia prima di tutto attività di prevenzione e non solo di intervento in fase di emergenza, anche nella legge in commento emerge la convinzione che l’approccio più adeguato per perseguire la conservazione del patrimonio boschivo, bene insostituibile per la qualità dalla vita, sia quello di promuovere ed incentivare le attività di previsione e di prevenzione, anziché privilegiare la fase emergenziale legata allo spegnimento degli incendi. Il Piano A.I.B. ha validità quinquennale, in seguito all’adozione da parte dei due enti gestori i comuni di Roma e Fiumicino, a partire dalla data di approvazione del documento programmatico da parte del MATTM. Eventuali revisioni annuali o triennali possono essere previste nel caso in cui siano necessari interventi a carattere particolare. La pianificazione antincendi boschivi si realizza tenendo conto delle diverse scale territoriali, in particolare esistono tre livelli di superfici: area piccola, area media ed area vasta (Bovio,1991). Nel caso della Riserva Naturale Statale del Litorale Romano si tratta di un’area che in termini di dati si può definire piccola. La pianificazione su scala locale deve uniformarsi e integrarsi con la pianificazione di contesti territoriali più ampi. In particolare in questo caso, la recente Legge 353 del 21 novembre 2000 “Legge‐quadro in materia di incendi boschivi” che abroga la precedente L. 47/75, conferma il ruolo delle Regioni in materia e prescrive la realizzazione di specifici “Piani regionali di programmazione delle attività di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi”. Durante la redazione di tale progetto si è fatto ricorso a modelli di simulazione del comportamento del fronte di fiamma (Rothermel 1972; Andrews 1986; Finney 1998), che hanno permesso di descrivere valori di intensità lineare prevista (quantità di calore emanata nell’unità di tempo per unità lineare di fronte di fiamma, espressa in kW/m), quale parametro maggiormente correlato agli effetti del fuoco sull’ecosistema. Il comportamento del fuoco, nella grande variabilità del suo manifestarsi, può infatti determinare conseguenze da molto limitate a gravissime sull’ecosistema. Inoltre si è applicato il concetto di impatto atteso (Bovio e Camia 1996a; 1996b), inteso come valutazione delle conseguenze degli effetti del fuoco considerati dal punto di vista del grado di conflitto con gli obiettivi di pianificazione e gestione delle risorse naturali. Si è così definita la distribuzione spaziale dell’impatto atteso degli incendi valutando l’intensità potenziale in relazione alle finalità della riserva, ai diversi livelli di tutela e zonizzazione relativa, alle emergenze naturalistiche e archeologiche, al patrimonio storico, alla fruizione ed alle infrastrutture. Sulla base del comportamento
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del fuoco prevedibile e dell’impatto atteso, analizzata l’attuale organizzazione del servizio di protezione dagli incendi boschivi della Riserva, si sono quindi definiti gli obiettivi e le priorità di protezione e localizzati i nuovi interventi. Si deve tenere conto del fatto che la moderna pianificazione antincendi fissa gli obiettivi di Piano in termini di “Superficie percorsa dal fuoco ammissibile”, denominata brevemente AB% (Allowable Burned Area), accettando che il fuoco possa interessare parte del territorio posto a protezione, purché contenuta entro precisi limiti di estensione ed entro precisi parametri di comportamento del fuoco (Bovio 1993); di conseguenza, nelle aree boscate della Riserva, la superficie percorsa ammissibile dovrebbe teoricamente tendere a zero, dato il livello di importanza dell’area e la scala di riferimento.
2.1 DESCRIZIONE DEL TERRITORIO: ASPETTI GEOMORFOLOGICI, TOPOGRAFICI, IDROGRAFICI, VEGETAZIONALI, CLIMATICI, STORICI E SOCIO – ECONOMICI
La descrizione del territorio permette di definire in termini generali il contesto ambientale nel quale si opera. Essa costituisce l’indagine conoscitiva che mira a raccolta, organizzazione ed analisi dei principali elementi ambientali, pirologici ed infrastrutturali del territorio da proteggere ed è finalizzata all’identificazione degli obiettivi prioritari da difendere e alla progettazione degli interventi da applicare. La descrizione è stata fatta dando particolare risalto a tutti gli aspetti che concorrono ad influenzare le caratteristiche pirologiche dell’area oggetto di intervento e che aiutano a determinare il rischio di incendio boschivo nella Riserva Naturale Statale del Litorale Romano. La Riserva Naturale Statale del Litorale Romano è stata istituita, ai sensi della legge 394/91, con Decreto del Ministro dell’Ambiente 29 marzo 1996, che recita: “…. Considerato che la Riserva Naturale Statale del Litorale Romano è caratterizzata da un sistema vario ed eterogeneo di biotopi, quali dune costiere, boschi e macchie di sclerofille sempreverdi, boschi planiziari, zone umide ed ambienti fluviali, notevoli per la ricchezza e le peculiarità adattive della flora e della fauna ospitate e che costituiscono inoltre l’habitat di numerose specie animali comprese negli allegati delle direttive 92/43/CEE e 79/409/CEE; …. Considerato inoltre che nel territorio della riserva è presente un eccezionale patrimonio archeologico che ha le sue principali emergenze nei siti paleolitici, nelle vestigia di Ostia Antica, nel Porto di Traiano, nel Porto di Claudio e nella via Severiana”. La Riserva si estende nei Comuni di Roma e di Fiumicino, ai quali è affidata la gestione: la superficie complessiva è pari a 16.214 Ha, ed in particolare 8.189 Ha nel Comune di Roma (interessati dalla riserva: il XII Municipio per una superficie di 936 Ha (12%), il XIII Municipio con 3.110 Ha (38%), il XV Municipio con 1.423 Ha (17%), il XVI Municipio con 2.549 Ha (31%) e il XVIII Municipio con 135 Ha (2%) e 8.025 Ha nel Comune di Fiumicino. Le “isole” che compongono la Riserva hanno un perimetro complessivo pari ad oltre 140 chilometri: il nucleo centrale della Riserva è costituito dal sistema Tevere‐aree della bonifica dal ponte del G.R.A. sul Tevere alla foce del fiume (3.600 ha) e dal sistema ambientale formato dalla Pineta di Castel Fusano e dalle pinete‐leccete di Procoio (1.552 ha). A sud “l’isola” del sistema dunale di Capocotta (45 ha), dal punto di vista ambientale è connessa alla Riserva dalla Tenuta Presidenziale di Castelporziano; a nord del Tevere l’area della Piana del Sole (272 ha) compresa tra la ferrovia Roma‐Genova e l’autostrada per Civitavecchia, ed infine, in contiguità con le aree del Comune di Fiumicino, la grande estensione del sistema Castel di Guido‐Macchiagrande di Galeria (2.684 ha), caratterizzato da terreni agricoli (Azienda Agricola Comunale di Castel di Guido) e l’area a foresta di Macchiagrande, che complessivamente rappresenta oltre un terzo dell’intera superficie della Riserva nel territorio romano. Nel settore sud occidentale del territorio, sono compresi tra il confine con il Comune di Torvaianica, a sud, ed il confine con il Comune di Fiumicino, a nord, con diverse soluzioni di continuità. Una interna, caratterizzata da rilievi collinari (Aranova, Testa di Lepre, Tragliata, Tragliatella etc.) e una costiera pianeggiante (Palidoro, Passoscuro, Maccarese, Fregene, Focene, Fiumicino etc.). Gli abitanti nel territorio della Riserva, secondo i dati del censimento del 1991, risultano circa 4.000. Ben superiore è il numero degli abitanti che "premono" su quest'area e che è stimabile in oltre 350.000 residenti (tale stima è stata effettuata sul bacino limitrofo all'intero territorio della riserva nel Comune di Roma).
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Dal punto di vista ambientale l'area della Riserva Naturale Statale del Litorale Romano rappresenta la parte terminale di un sistema morfologico‐ambientale costituito dalle colline che circondano l’abitato di Roma, caratterizzato dalle Riserve Naturali di recente istituzione da parte della Regione Lazio, e delimitato da una corona naturale di aree verdi costituita dalle aree golenali del Tevere, e dalla Tenuta Presidenziale di Castelporziano. L'edificazione intensiva, esterna al perimetro della Riserva, occupa la zona centrale di questa corona, attestandosi sui due assi viari principali costituiti dalla Cristoforo Colombo e dalla via Ostiense‐‐via del Mare; al margine esterno sud occidentale l'abitato di Ostia Lido, punto terminale dei due assi viari citati in precedenza. La proprietà delle aree della Riserva è per oltre il 40% pubblica; il rimanente 60% è per una grande parte suddiviso tra grandi proprietà e solo una esigua parte è frazionata in piccole proprietà. Dal punto di vista vegetazionale l’area della Riserva risulta coperta da macchia, pineta e bosco misto, da vegetazione igrofila, da vegetazione dunale e da prato e pascolo. La gran parte dell’area della Riserva è costituita quindi da terreni coltivati. Le zone di connessione e di rete ecologica sono costituite, soprattutto dal paesaggio rurale, dai corsi d’acqua, dalle zone umide, ma anche da lembi di foreste planiziali e filari di siepi e piante ad alto fusto, oltre che da alcune infrastrutture rurali. Si tratta dunque di un complesso sistema agroforestale ad elevato impatto antropico in cui è importante preservare, oltre che le singole emergenze, anche la rete di corridoi ecologici che rivestono un ruolo fondamentale per l’integrità e la salvaguardia dell’intero patrimonio sotto tutela.
ASPETTI GEOMORFOLOGICI
La morfologia di quest'area compresa tra la linea di costa, il fiume Tevere e le prime alture verso il centro abitato di Roma è in gran parte pianeggiante, solcata dai numerosi canali della bonifica degli inizi del secolo e dai tratti terminali dei fossi di Malafede, Mezzo Cammino, Magliana e Rio Galeria. Nell'area della Riserva Statale del Litorale Romano compresa tra Fiumicino, Palo, Castel di Guido ed il Porto di Traiano osserviamo due paesaggi dalla morfologia diversificata. Se prendiamo come linea di confine l'autostrada Roma‐Civitavecchia (A12) non possiamo non notare che ad Ovest dell'asse stradale il paesaggio è pressoché pianeggiante mentre ad Est è collinare. Questa differenza morfologica risente delle vicende geologiche avvenute tra la fine del Pliocene ed il Pleistocene. Ad uno sguardo ravvicinato ci accorgiamo che il territorio inizialmente pianeggiante è in realtà formato da una serie di rilievi, non più alti di 8 m, intervallati da blande depressioni; si tratta di un insieme di cordoni dunali, più o meno paralleli, localmente detti "tumuleti". La fascia dunale, che dalla costa si allarga verso l'interno per circa 2‐4 km, costituisce l'area dove sono stati edificati i centri abitati di Fiumicino, Fregene e Focene. Essa è costituita prevalentemente da sedimenti sabbiosi portati al mare dal fiume Tevere negli ultimi 2.000 anni e via via rielaborati dalle onde e dal vento. Man mano che ci avviciniamo all'autostrada notiamo, a ridosso della fascia sabbiosa, un'area pianeggiante caratterizzata, da zone con quote prossime al livello del mare e, localmente, anche più basse. Anche il terreno cambia aspetto; i granuli di sabbia diventano sempre più fini e il sedimento si arricchisce in argilla, limo e torba. È quanto rimane, assieme ad una fitta rete di canali artificiali, di un antico sistema di laghi costieri noti con i nomi di bonifica delle Pagliete, di Maccarese e di Porto. Come vedremo più avanti questi laghi costieri rappresentano la fase di chiusura di una antico sistema lagunare. Le due aree esaminate formano l'ala Nord‐Occidentale del delta tiberino, esteso per ben 180 kmq, e vengono rispettivamente chiamate piana deltizia inferiore e piana deltizia superiore. A cavallo dell'autostrada e della via Aurelia, assistiamo al passaggio tra la pianura e l'area collinare che si eleva fino a 75 m (s.l.m.) nella zona di Castel di Guido. La principale emergenza naturalistica è rappresentata dal fiume Tevere, e dalle sue aree golenali, che solca l'area della Riserva per oltre 22 chilometri; dal punto di vista vegetazionale dalla mappatura eseguita l'area della Riserva risulta coperta per il 23% da macchia, pineta e bosco misto, pari a 1.860 ettari, da vegetazione igrofila (17 ha), da vegetazione dunale (48 ha) e da circa 220 ha di prato e pascolo. La gran parte dell'area della Riserva è costituita da terreni coltivati (circa 4.000 ettari). Infine da sottolineare che nel territorio del Comune di Roma la Riserva si affaccia sul mare per soli 3.500 metri, costituiti dalla spiaggia di Capocotta (m 2.500) e dalla costa nei pressi dell'Idroscalo (m 1.000).
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Per motivi di efficienza e coordinamento dell’azione preventiva vengono esposti di seguito, in modo sintetico, alcuni aspetti caratteristici della Riserva Naturale Statale del Litorale Romano utili al fine di analizzare il fenomeno degli incendi boschivi. Laddove possibile, come in comune di Roma, si è operata una suddivisione in ambiti omogenei, che richiamasse la specificità di ciascuna zona. La suddivisione in ambiti omogenei fa dunque riferimento alla struttura del territorio, così come si è conformata secondo una pluralità di fattori.
GLI AMBITI OMOGENEI INDIVIDUATI Vengono elencati e brevemente descritti nel seguito gli ambiti omogenei come individuati nel piano di gestione presentato al MATTM: Roma Castel di Guido ‐ Macchia Grande di Galeria Bonifica valle del Tevere Sud Area del corso del Tevere e pertinenze fluviali Prati di Monte S. Paolo ‐ Monte Cugno Bonifica dei Romagnoli: ansa di Ostia Antica ‐ Saline ‐ Stagno di Ostia Malafede Scavi di Ostia Antica Castel Fusano – Procoio – Acque Rosse Castel Fusano – area percorsa dal fuoco (4 luglio 2000) Castelporziano e fosso del Tellinaro – Dune di Capocotta
Fiumicino
Isola Sacra e Villa Guglielmi Pineta di Fregene Bonifica di Maccarese Colli Tre Cannelle Dune di Passoscuro – Palidoro Bocca di Leone, Bosco Cesoline, Dune di Focene e Foce del Rio Tre Denari Macchiagrande di Focene e Macchia dello Stagneto Coccia di morto
Castel di Guido ‐ Macchia Grande di Galeria
Il territorio di Castel di Guido‐Macchiagrande costituisce un paesaggio diverso da quello del delta tiberino. Questo paesaggio costituisce parte del più vasto paesaggio della Campagna Romana. Si tratta di un paesaggio di colline a tetto pianeggiante, intersecate da una fitta rete di vallette a fondo piatto. Il tetto delle colline e il fondo delle vallette è coltivato, mentre i fianchi delle vallette sono occupate da una ricca vegetazione, costituita prevalentemente da bosco caducifoglio. La vegetazione potenziale è rappresentata dal bosco di cerro e farnetto (Echinopo‐Quercetum cerridis), che nelle prime fasi di degradazione, soprattutto del suolo, passa a una boscaglia a roverella (Quercus pubescens), quindi alla boscaglia a olmo (Ulmus minor) e infine nel pascolo ad asfodelo (Asphodelus microcarpus). Nelle forre strette e incassate che scendono verso SW dalla Macchiagrande di Ponte Galeria, si sviluppa il bosco di carpino bianco (Carpinus betulus). Accanto a questa vegetazione caducifoglia vi sono importanti elementi di foresta sempreverde a leccio e di macchia, soprattutto nell’area della Macchiagrande. Gli usi agricoli estensivi dell’area si iniziano in epoca medievale, successivamente alla formazione della diocesi, con la costruzione del Castello e del borgo agricolo intorno al Mille. L’attuale borgo è datato al XVII secolo. Area rilevante per la presenza di coppie nidificanti di rapaci forestali, tra cui il Nibbio bruno (Milvus migrans)
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(7 individui osservati durante il survey speditivo), il Pecchiaiolo (Pernis apivorus) (1 individuo osservato nel corso del survey speditivo, Borlenghi com. Pers.) e la Poiana (Buteo buteo) (2 individui osservati durante il survey speditivo). Tra i mammiferi è segnalata la presenza dell’Istrice (Istryx cristata) e del Tasso (Meles meles) e tra i Rettili la Testuggine comune (Testudo hermannii), il Saettone (Elaphe longissima), il Cervone (Elaphe quatorlineata), la Natrice dal collare (Natrix natrix), la Vipera comune (Vipera aspis). Gli stagni, i fossi ed i fontanili presenti nell’area ospitano popolazioni di Rana verde italiana (Rana esculenta), Rospo comune (Bufo bufo), Rospo smeraldino (Bufo viridis), Raganella (Hyla intermedia), Tritone crestato (Triturus carnifex) e Tritone punteggiato (T.vulgaris). Di estremo interesse è la presenza di una delle ultime popolazioni litoranee di Rana italica.
Bonifica valle del Tevere Sud
Si tratta di una zona bonificata nell’ambito della politica di “Bonifica Integrale” avviata con la Legge Serpieri. Nello specifico ambito in questione l’orientamento generale di incremento delle terre coltivabili e di miglioramento fondiario si integrava con il programma del Governatorato riguardante lo sviluppo di Roma “dai Colli al Mare”, programma che dava l’avvio alla progettazione di opere fluviali e di bonifica dei terreni della valle del Tevere, ai fini della modifica della situazione di abbandono del territorio che aveva caratterizzato l’area dalla decadenza dell’Impero Romano. A tale progettazione appartengono, oltre alle bonifiche di Tor Carbone, Campi di Merlo, Ponte Galeria, la previsione di tre drizzagni lungo il Tevere, a Pian due Torri, a Spinaceto‐Tor di Valle, quest’ultimo realizzato, a Dragoncello, tesi ad aumentare la velocità della corrente, a facilitare il deflusso, ad abbassare, in quelle sezioni fluviali, i livelli di piena. In tale ottica, della saldatura tra Roma e il Mare, rientrava infine la creazione di grosse infrastrutture quali l’aeridroscalo di Tor Carbone.
Area del corso del Tevere e pertinenze fluviali
Lungo le rive del Tevere, ad eccezione del tratto di Fiumara Grande, dove tale vegetazione è stata distrutta dalle opere dei cantieri e dei rimessaggi nautici, si sviluppa una vegetazione igrofila a pioppo bianco (Populus alba), pioppo nero (Populus nigra), salice bianco (Salix alba) e, più raramente, ontano nero (Alnus glutinosa). La vegetazione è fortemente degradata come dimostra la mancanza di specie erbacee associate al pioppeto‐saliceto e l’invasione del sottobosco da parte dei rovi; questo stato di degradazione va imputato in parte all’impatto diretto delle opere di arginatura del Tevere, in parte all’eutrofizzazione delle acque. Tuttavia, la vegetazione ripariale è costituita da specie a rapido accrescimento, e potrebbe ritornare a condizioni di buona naturalità qualora cessassero i fattori di degradazione. Inoltre l’asta fluviale del Tevere costituisce un importante corridoio biologico, in quanto frammenti del pioppeto‐saliceto si rinvengono fin nel centro di Roma e tornano a essere sviluppati nell’area nord della città, per ricollegarsi poi al tratto extraurbano del Tevere. L’asta del Tevere costituisce una importante rotta di migrazione per numerose specie di Uccelli acquatici tra cui Ardeidi, Anatidi e Caradriformi. Di rilevanza per la sosta di migratori e per lo svernamento del Cormorano (Phalacrocorax carbo), negli anni scorsi sono stati censiti in gennaio fino a 1500 individui anche se attualmente si è avuto un drastico calo delle presenze. Area di nidificazione di avifauna ripariale ed acquatica, tra cui Martin pescatore (Alcedo atthis), Gallinella d’acqua (Gallinula chloropus), colonie di Gruccione (Merops apiaster) che nidifica su scarpate degli argini, Usignolo di fiume (Cettia cetti), Cannaiola (Acrocephalus scirpaceus) e Pendolino (Remiz pendulinus). Una zona di particolare interesse è costituita dal drizzagno di Spinaceto, individuata come area ad elevata qualità ambientale nell’ambito dell’Atlante degli Uccelli Nidificanti a Roma (Cignini e Zapparoli,1996). Nelle praterie e coltivi circostanti il drizzagno di Spinaceto si rileva la presenza di comunità ornitiche steppiche costituite da Calandrella (Calandrella brachydactyla), Cappellaccia (Galerida cristata), Allodola (Alauda arvensis), Beccamoschino (Cisticola juncidis), Strillozzo (Miliaria calandra), Saltimpalo (Saxicola torquata) e Gruccione (Merops apiaster).
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Prati di Monte S. Paolo ‐ Monte Cugno
Si tratta di una zona caratterizzata principalmente sotto il profilo geomorfologico e archeologico. Rappresenta infatti una emergenza altimetrica che domina debolmente il corso del Tevere, in Contrada Monte Cugno, e che costituisce geomorfologicamente la Foce del Tevere in epoca preistorica. In tale localizzazione sorge il sito preistorico e protostorico di Ficana, tra gli abitati più antichi del Lazio, già occupato nella tarda età del bronzo. La fondazione in epoca arcaica della città, menzionata da Plinio il Vecchio, è da porre in relazione con la volontà di controllare gli approvvigionamenti di un bene indispensabile come il sale, e di dominare un territorio strategicamente decisivo per Roma. Essa dominava il primo scalo protostorico alla foce del Tevere, localizzato a Dragoncello. Qui è testimoniata continuità di vita dall'epoca preistorica e qui doveva esistere quello scalo fluviale ad saxa puilia; fu sottomessa dai Romani durante il regno di Anco Marcio (640‐614 a.C.) per contrastare la potenza etrusca e consentire l’espansione romana verso il mare, la foce del Tevere e le saline. Alla fine dell’VIII secolo si data il suo primo sistema difensivo (aggere) della parte orientale della collina che delimita una superficie di circa 5 ettari. Gli scavi archeologici hanno confermato la tradizione storiografica romana che documenta la perdita d'autonomia politica della città ad opera di Anco Marcio, in relazione con la fondazione di Ostia. In questo periodo l'aggere arcaico perse la sua funzione di fortificazione; infatti il fossato in connessione con esso venne riempito, ed il terrapieno livellato trasformando tutta la zona in fertile terreno agricolo.
Bonifica dei Romagnoli: ansa di Ostia Antica–Saline–Stagno di Ostia
Si tratta delle zone bonificate alla fine dell’Ottocento a seguito della Legge Baccelli del 1878, per il risanamento igienico dell’Agro Romano. L’intervento di bonifica fu realizzato, a partire dal 1884, dalla Cooperativa dei Ravennati, una organizzazione costituita a tale scopo da membri dell’Associazione Braccianti di Ravenna, che stabilirono il loro quartiere generale nel Borgo di Ostia Antica e iniziarono i lavori di canalizzazione e di regolarizzazione delle pendenze del terreno, tesi a separare le acque alte e le acque basse in modo tale da far defluire le prime direttamente in mare, e da convogliare le seconde, attraverso la rete dei canali e i collettori principali delle acque basse, verso le vasche di raccolta, dalle quali venivano pompate in mare dalle idrovore; una descrizione più puntuale del sistema di bonifica per drenaggio si trova all’Allegato 1, Aspetti riguardanti le acque e gli ecosistemi acquatici, Cenni sugli aspetti idrologici. L’ambito omogeneo occupa la grande ansa che il Tevere forma a monte del Castello e del Borgo di Ostia Antica, la zona di Saline, lungo la via Ostiense, oggi parzialmente occupata dall’insediamento spontaneo omonimo, la zona dell’ex stagno costiero in riva sinistra del Tevere, oggi prosciugato, e la zona drenata dal Canale della Lingua, entrambe poste a monte della Pineta di Castel Fusano. E’ inoltre inserita in tale ambito omogeneo anche l’area bonificata circostante la Pineta delle Acque Rosse, collocata alle spalle dell’abitato di Ostia Ponente, tra il ramo di foce del Tevere di Fiumara Grande e la Via del Mare.
Malafede
L’ambito di Malafede è di difficile caratterizzazione, in quanto costretto tra la Tenuta Presidenziale di Castelporziano, esclusa dalla Riserva, il Piano di Zona di Malafede, e l’abitato di Vitinia. Dal punto di vista geomorfologico appartiene prevalentemente alla fascia dei terrazzi costieri della duna rossa antica, che in quanto formazione parallela alla costa risulta assai più estesa. Tale zona di terrazzi è attraversata dal tratto terminale della valle e del Fosso di Malafede, del Fosso del Fontanile, e marginalmente dalla valle di Mezzocammino. Dal punto di vista dell’uso del suolo è una zona prevalentemente a seminativo, al cui interno è inserita la Pineta di Malafede. Dal punto di vista faunistico l’area vede la presenza di comunità ornitiche steppiche costituite da Calandrella (Calandrella brachydactyla), Cappellaccia (Galerida cristata), Allodola (Alauda arvensis), Beccamoschino (Cisticola juncidis), Strillozzo (Miliaria calandra), Saltimpalo (Saxicola torquata) e Gruccione (Merops apiaster).
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Scavi di Ostia Antica
L’ambito di Ostia Antica è prevalentemente caratterizzato dal punto di vista archeologico, con il sito di omonimo, oltre che dalla Rocca di Giulio II e dalla Cattedrale di S. Aurea. La città di Ostia che la tradizione storiografica latina vuole fondata in epoca regia, come avamposto di Roma alla foce dei Tevere, venne ad inserirsi in un'area in cui furono rinvenute importanti testimonianze di una frequentazione del sito sino dall'età protostorica. Il primitivo centro urbano, probabilmente più avanzato verso la costa rispetto all'originario insediamento di età arcaica, nato per il controllo della potenza egemonica latina ed etrusca e per lo sfruttamento delle saline, è rappresentato dal Castrum, la cittadella militare la cui costruzione viene datata intorno alla metà del IV secolo avanti Cristo. Oramai le grandi navi erano unicamente a vela ed avevano dunque difficoltà a rimontare la corrente fino a Roma a causa dei meandri; inoltre il loro tonnellaggio era cresciuto ed esse non potevano entrare nella foce del Tevere a causa della soglia sottomarina, situata nel punto dove le acque fluviali incontrano quelle marine: occorreva scaricare parzialmente le navi in una rada su delle chiatte in modo che potessero attraversarla; di conseguenza Ostia divenne, poco a poco, l'avamposto di Roma e venne organizzandosi un trasporto fino a Roma su battelli, per portare all'Emporium le mercanzie sbarcate ad Ostia. Durante l'età repubblicana Ostia si ampliò sviluppando come quartieri cittadini i sobborghi della primitiva cittadella e si cinse agli inizi del I sec. a.C. di una cinta murata nella quale si aprivano tre porte: una rivolta verso Roma che accoglieva la Via Ostiense, arteria di collegamento diretto tra Roma ed il suo porto, l'altra verso il mare e la terza verso sud in direzione del territorio laurentino. Nella piena età imperiale, con l'assestamento del complesso sistema di infrastrutture portuali Ostia acquistò un assetto urbanistico nuovo: si sviluppò notevolmente l'edilizia civile, sostenuta in particolare dalle cure rivolte ad Ostia da Traiano, Adriano, Antonino Pio e Marco Aurelio e da Settimio Severo, ai quali si deve soprattutto la spinta decisiva alla realizzazione di opere architettoniche rispondenti nelle tipologie e nelle soluzioni strutturali alle esigenze di una popolazione di lavoratori ed imprenditori formanti una società articolata e complessa. Questo straordinario fervore di opere si prolungò nel IV sec. d.C., in special modo in età massenziana ed in quella costantiniana, che segnò però la fine della supremazia di Ostia come centro civile ed amministrativo, in favore di Porto, la città sorta e progressivamente sviluppatasi intorno ai bacini portuali di Claudio e Traiano. La rocca di Giulio Il costituisce, insieme alla cattedrale di S. Aurea e al borgo, quest’ultimo esterno alla Riserva, il complesso degli interventi tardo quattrocenteschi. L’edificazione della rocca di Giulio Il si realizzò tra il 1483 ed il 1486. I lavori vennero forse affidati a Giuliano da Sangallo in collaborazione con Baccio Pontelli; il risultato fu una fortezza che per certi aspetti precorre la grande tradizione delle rocche progettate nel secolo successivo, mentre per altri ancora richiama le fortificazioni tardo medioevali. All’interno dell’area archeologica di Ostia Antica nella Cisterna di Nettuno è presente una numerosa colonia plurispecifica di Chirotteri con Miniopterus schreibersi, Myotis myotis, Myotis capaccini, Myotis blythi e Rhinolophus ferrumequinum (oss. personali effettuate durante il survey speditivo). Tra gli Anfibi sono segnalati il Rospo comune (Bufo bufo), il Tritone punteggiato (Triturus vulgaris), il Tritone crestato (Triturus carnifex) che si riproducono in alcune pozze tra i ruderi archeologici e, tra i Rettili, la Testuggine comune (Testudo hermannii). La comunità ornitica è ricca e diversificata con 30 specie nidificanti tra cui vanno segnalati il Martin pescatore (Alcedo atthis), l’Averla piccola (Lanius collurio) e l’Averla capirossa (Lanius senator).
Castel Fusano – Procoio – Acque Rosse
Sotto I ‘aspetto geologico I ‘area, di origine recente, è costituita prevalentemente da sabbie ed è ricoperta da un sottile strato di humus, generato dalla decomposizione della vegetazione. II nome di Fusano deriva dalla gens Fusia, proprietaria di fondi confinanti con lo Stagno di Levante, come documentano numerose epigrafi ostiensi. In epoca romana vennero realizzati gli elementi tuttora caratterizzanti I ‘area: il Canale dello Stagno, il cui corso segue il confine Nord‐Ovest dell’area boscata, la via Severiana, che ha una importanza a livello territoriale, come litoranea di collegamento con Terracina, le ville imperiali, documentate dal Lanciani, tra cui la Villa di Ortensio e la Villa del Confine, localizzata in prossimità
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dell’area di Castel Fusano, all’interno della Tenuta di Castelporziano. Durante il Medio Evo il territorio divenne un possedimento del Monastero di Sant’Anastasio dove, a causa dello stato di progressivo abbandono. Era possibile praticare soltanto lo sfruttamento del bosco (macchia cedua a fascine) ed il pascolo di bufale. Nel secolo XVIII la famiglia Sacchetti, divenuta proprietaria di un unico latifondo di 2000 ha comprendente le tenute di Tumoleto, Spinerba, Guerrino e Fusano, dette inizio alle opere di riordino del territorio con la piantumazione di pini. Nel 1755 le quattro tenute vennero unificate in una unica tenuta, denominata Castel Fusano, dalla famiglia Chigi che volle estendere la pineta fino alle aree a ridosso delle dune ed iniziare la bonifica dei terreni riducendo le zone paludose in piccoli specchi d’acqua denominati piscine. La copertura vegetale del Parco appartiene all’orizzonte della macchia mediterranea costiera, caratterizzata da specie termofile termoxerofile sempreverdi, che ha come associazione “climax” il querceto sempreverde a dominanza di leccio (Quercus ilex). Questa vegetazione trova naturalmente nel substrato geologico, nel suolo che ne deriva e nella vicinanza al mare ulteriori elementi di selezione e caratterizzazione. Nel 1700 è avvenuta la introduzione del Pino domestico (Pinus pinea); negli ultimi 50 anni si è verificata una modificazione nella vegetazione spontanea dovuta alle successive bonifiche delle paludi. Inoltre e stata gravemente danneggiata la vegetazione pioniera dunale dalla realizzazione della via Litoranea. Come testimonianza di una situazione vegetazionale estremamente ricca e complessa, permane inoltre in rarissime stazioni la Sughera (Quercus suber), essenza tipicamente mediterranea. Dal Punto di vista faunistico la Pineta di Castel Fusano è un’area di estremo interesse per la presenza di specie ornitiche indicatrici di stadi serali maturi tra cui il Picchio rosso maggiore (Picoides major) ed il Picchio verde (Picus viridis), Picchio muratore (Sitta europaea), Rampichino (Certhia brachydactyla) e Rigogolo (Oriolus oriolus). Nell’area è segnalata la nidificazione della Ghiandaia marina (Coracias garrulus). Tra i Mammiferi è segnalata la presenza di Istrice (Istryx cristata), Tasso (Meles meles) e Cinghiale (Sus scropha) e tra i Rettili la Testuggine comune (Testudo hermannii), la Natrice dal collare (Natrix natrix), il Cervone (Elaphe quatorlineta), la Coronella austriaca (Coronella austriaca) e la Vipera comune (Vipera aspis). Tra i coleotteri è da segnalare la presenza del Tenebrionide Platydema europaeum (specie rara e localizzata), dei Buprestidi Buprestis novemmaculata (specie rara di pinete con tronchi ben esposti) ed Eurythyrea quercus (specie molto rara tipica della foresta di Leccio), del Cerambycide Arhoplaus ferus (specie in rarefazione a causa della distruzione del sottobosco delle pinete). Nella zona di Piscina Torta, individuata come area di Riserva integrale, la presenza di Farnie di notevoli dimensioni favorisce la colonizzazione da parte di specie indicatrici di stadi maturi tra cui il Picchio rosso maggiore (Picoides major), il Picchio verde (Picus viridis), Picchio muratore (Sitta europaea), Rampichino (Certhia brachydactyla) e Rigogolo (Oriolus oriolus). E’ stata riscontrata la presenza di cavità il cui diametro le rende attribuibili al Picchio rosso minore (Picojdes minor) (specie nidificante nelle formazioni forestali limitrofe della Tenuta di Castelporziano). Le pozze astatiche sono interessate dalla presenza di Rospo comune (Bufo bufo), con potenzialità per la Testuggine palustre Emys orbicularis, il Tritone crestato Triturus carnifex, il Tritone punteggiato Triturus vulgaris. Sono inoltre presenti specie di Crostacei e di altri invertebrati, tipiche di questi ambienti “limite”. Infine lungo il Canale dei Pescatori, che delimita a Nord‐Ovest la Pineta, sono presenti estesi lembi di elofite utilizzate come siti di nidificazione da Cannaiola (Acrocephalus scirpaceus) e Gallinella d’acqua (Gallinula chloropus); la comunità ittica è interessata dalla presenza di specie estuariali tra cui Mugil cephalus e Liza ramada. La zona di Procoio costituisce il prolungamento della Pineta di Castel Fusano, in direzione della Foce del Tevere, e si sviluppa tra il Canale dei Pescatori e la Via del Mare. La parte più interessante è costituita da una macchia alta circa 2 metri, non lontano dal canale dei Pescatori, con presenza delle specie della lecceta (Quercus ilex, Phillyrea latifolia, Pistacia lentiscus, Rhamnus alaternus, Smilax aspera) a cui si accompagna la sughera (Quercus suber). Gli esemplari di sughera sono di piccole dimensioni, ma sul margine della macchia si osservano individui di dimensioni notevoli. La rimanente parte boscata è costituita da una pineta artificiale, con dominanza di Pino Domestico e esemplari di Pino Marittimo e Pino d’Aleppo. Infine oltre la Via del Mare, sempre in direzione della Foce del Tevere, si sviluppa la Pineta delle Acque Rosse, che costituisce una formazione boscata artificiale con dominanza di Pino Domestico.
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Castel Fusano
Sotto l’aspetto geologico l’area, di origine recente, è costituita prevalentemente da sabbie ed è ricoperta da un sottile strato di humus, generato dalla decomposizione della vegetazione. Storicamente, il nome di Fusano deriva dalla gens Fusia, proprietaria di fondi confinanti con lo Stagno di Levante, come documentano numerose epigrafi ostiensi. In epoca romana vennero realizzati gli elementi tuttora caratterizzanti l’area: il Canale dello Stagno, il cui corso segue il confine Nord‐Ovest dell’area boscata, la via Severiana, che ha una importanza a livello territoriale, come litoranea di collegamento con Terracina, le ville imperiali, documentate dal Lanciani, tra cui la Villa di Ortensio e la Villa del Confine, localizzata in prossimità dell’area di Castel Fusano, all’interno della Tenuta di Castelporziano. Durante il Medio Evo il territorio divenne un possedimento del Monastero di Sant’Anastasio dove, a causa dello stato di progressivo abbandono, era possibile praticare soltanto lo sfruttamento del bosco (macchia cedua a fascine) ed il pascolo di bufale. Nel secolo XVIII la famiglia Sacchetti, divenuta proprietaria di un unico latifondo di 2000 ha comprendente le tenute di Tumoleto, Spinerba, Guerrino e Fusano, dette inizio alle opere di riordino del territorio con la piantumazione di pini. Nel 1755 le quattro tenute vennero unificate in una unica tenuta, denominata Castel Fusano, dalla famiglia Chigi che volle estendere la pineta fino alle aree a ridosso delle dune ed iniziare la bonifica dei terreni riducendo le zone paludose in piccoli specchi d’acqua denominati piscine. La copertura vegetale del Parco appartiene all’orizzonte della macchia mediterranea costiera, caratterizzata da specie termofile termoxerofile sempreverdi, che ha come associazione “climax” il querceto sempreverde a dominanza di leccio (Quercus ilex). Questa vegetazione trova naturalmente nel substrato geologico, nel suolo che ne deriva e nella vicinanza al mare ulteriori elementi di selezione e caratterizzazione. Nel 1700 è avvenuta la introduzione del Pino domestico (Pinus Pinea); negli ultimi 50 anni si è verificata una modificazione nella vegetazione spontanea dovuta alle successive bonifiche delle paludi. Inoltre e stata gravemente danneggiata la vegetazione pioniera dunale dalla realizzazione della via Litoranea. Come testimonianza di una situazione vegetazionale estremamente ricca e complessa, permane inoltre in rarissime stazioni la Sughera (Quercus suber), essenza tipicamente mediterranea. Dal Punto di vista faunistico la Pineta di Castel Fusano è un’area di estremo interesse per la presenza di specie ornitiche indicatrici di stadi serali maturi tra cui il Picchio rosso maggiore (Picoides major) ed il Picchio verde (Picus viridis), Picchio muratore (Sitta europaea), Rampichino (Certhia brachydactyla) e Rigogolo (Oriolus oriolus). Tra i Mammiferi è segnalata la presenza di Istrice (Istryx cristata), Tasso (Meles meles) e Cinghiale (Sus scropha) e tra i Rettili la Testuggine comune (Testudo hermanni), la Natrice dal collare (Natrix natrix), il Cervone (Elaphe quatorlineta), la Coronella austriaca (Coronella austriaca) e la Vipera comune (Vipera aspis). Tra i coleotteri è da segnalare la presenza del Tenebrionide Platydema europaeum (specie rara e localizzata), dei Buprestidi Buprestis novemmaculata (specie rara di pinete con tronchi ben esposti) ed Eurythyrea quercus (specie molto rara tipica della foresta di Leccio), del Cerambycide Arhoplaus ferus (specie in rarefazione a causa della distruzione del sottobosco delle pinete). Nella zona di Piscina Torta, individuata come area di Riserva integrale, la presenza di Farnie di notevoli dimensioni favorisce la colonizzazione da parte di specie ornitiche indicatrici di stadi maturi. E’ stata riscontrata la presenza di cavità il cui diametro le rende attribuibili al Picchio rosso minore (Picojdes minor) (nidificante nella Tenuta di Castelporziano). Le pozze astatiche sono interessate dalla presenza di Rospo comune (Bufo bufo), con potenzialità per la Testuggine palustre Emys orbicularis, il Tritone crestato Triturus carnifex, il Tritone punteggiato Lissotriton vulgaris. Sono inoltre presenti specie di Crostacei e di altri invertebrati, tipiche di questi ambienti “limite”. Infine lungo il Canale dei Pescatori, che delimita a Nord‐Ovest la Pineta, sono presenti estesi lembi di elofite utilizzate come siti di nidificazione da Cannaiola (Acrocephalus scirpaceus) e Gallinella d’acqua (Gallinula chloropus); la comunità ittica è interessata dalla presenza di specie estuariali tra cui Mugil cephalus e Liza ramada. La zona di Procoio costituisce il prolungamento della Pineta di Castel Fusano, in direzione della Foce del Tevere, e si sviluppa tra il Canale dei Pescatori e la Via del Mare. La parte più interessante è costituita da
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una macchia alta circa 2 metri, non lontano dal canale dei Pescatori, con presenza delle specie della lecceta (Quercus ilex, Phillyrea latifolia, Pistacia lentiscus, Rhamnus alaternus, Smilax aspera) a cui si accompagna la sughera (Quercus suber). Gli esemplari di sughera sono di piccole dimensioni, ma sul margine della macchia si osservano individui di dimensioni notevoli. La rimanente parte boscata è costituita da una pineta artificiale, con dominanza di Pino Domestico e esemplari di Pino Marittimo e Pino d’Aleppo. All’interno di questo sistema prevalentemente naturale si inseriscono alcuni elementi del sistema dei beni architettonici (Villa Chigi) ed archeologici, quali la villa di Plinio, ubicata nel settore di maggior interesse naturalistico dell'area di Castel Fusano in un lembo di foresta xerica dove insistono lecci monumentali. Tuttavia l'area allo stato attuale è preclusa al pubblico da una recinzione; in realtà la stessa risulta in più punti divelta tanto da essere comunemente attraversata. Il sito archeologico non è segnalato da cartellonistica di avvicinamento mentre appare arredato da pannellistica esplicativa ed illustrativa dei resti murari. Problemi di conservazione di porzioni della struttura sono determinati dai cinghiali, che smuovendo il suolo causano danni alle murature affioranti. Lungo il canale dei Pescatori si collocano strutture insediative: un complesso residenziale e due campeggi, oltre ad un parco avventura. Questo ambito omogeneo è stato individuato a seguito del disastroso incendio del 4 luglio 2000. La perimetrazione dell’area è stata effettuata sulla base delle immagini satellitari; è stata effettuata una valutazione del danno, individuando tre classi di danno della vegetazione e l’area individuata è oggetto di studi specifici da parte della Commissione Tecnico Scientifica per la ricostituzione dell’ecosistema.
Dune di Capocotta
L’ambito di Capocotta riveste un notevole interesse come residuo della sequenza di ambienti dunali mediterranei, una volta estesi a gran parte della Costa Tirrenica di natura bassa e sabbiosa. Procedendo dalla spiaggia verso l’interno si trovano residui piuttosto consistenti di vegetazione della duna mobile, talora anche piuttosto ben conservati. Questa vegetazione svolge un fondamentale ruolo protettivo della vegetazione retrostante del vento e delle spiagge contro l’erosione. E’ di notevole interesse scientifico per i particolari adattamenti che presentano le specie che la compongono ed è di grande importanza naturalistica perché in via di sparizione su pressoché tutti i litorali italiani. In alcuni punti, in particolare nel settore centrale del litorale di Capocotta, è possibile osservare tre fasce delle quattro fasce principali di vegetazione della duna mobile, l’Agropyretum juncei sulle dune embrionali più vicine al mare, l’Ammophiletum arundinaceae sul culmine delle dune, e frammenti di Crucianelletum alle spalle di quest’ultimo. E’ invece completamente scomparso o quasi il Cakiletum aegyptiacae. Alla vegetazione della duna mobile fa seguito la vegetazione della duna consolidata. Questa è una bassa macchia pulvinata e aerodinamica, che costituisce il cosiddetto cuneo dunale. Le specie che vi si rinvengono sono le stesse della lecceta (Phillyrea latifolia, Rhamnus alaternus, Arbutus unedo, Pistacia lentiscus, Quercus ilex) ma con portamento basso, alto al massimo un metro, e ad esse si accompagnano i ginepri (Juniperus macrocarpa, Juniperus phoenicea), specie xerotermofile. Nelle zone degradate, per esempio lungo i sentieri, si sviluppa una vegetazione a Cistus incanus ed Erica multiflora (Cisto‐Ericion) e una vegetazione di margine ad Helichrysum stoechas e Dianthus sylvestris. Queste fasce di vegetazione sono interessate dalla nidificazione del Fratino (Charadrius alexandrinus) e del Corriere piccolo (Charadrius dubius). Durante le migrazioni e l’inverno l’area è frequentata tra le altre specie dalla Beccaccia di mare (Haematopus ostraleus), dal Chiurlo (Numenius arquata) e dalla Pivieressa (Pluvialis squatarola), l’area inoltre costituisce un sito di sosta notturna per numerose specie di Laridi. Tra i Rettili si segnala la presenza della Testuggine comune (Testudo hermanni). Tra i Coleotteri vale la pena segnalare 2 specie di Tenebrionidi: Phaleria acuminata e Phaleria provincialis, entrambe in rarefazione a causa della rimozione del detrito spiaggiato. Nell’area centrale del litorale di Capocotta, in corrispondenza delle depressioni interdunali si sviluppano dei popolamenti puri di ontano nero (Alnus glutinosa). In quelli più arretrati dalla costa l’ontano assume portamento arboreo, e si accompagna all’alloro (Laurus nobilis); in quelli più prossimi alla riva del mare il portamento è invece arbustivo. Sempre nel settore centrale del litorale di
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Capocotta si sviluppa, per un tratto di circa 500 m, una serie di stagni retrodunali di acqua dolce di notevole interesse scientifico. La vegetazione che vi si sviluppa è ricca e articolata; in particolare si possono ricordare l’associazione a Erianthus ravennae e Schoenus nigricans (Schoeno‐Erianthetum), l’associazione a Cladium mariscus (Cladietum marisci) e l’associazione a Iris pseudacorus, Carex acutiformis, Eupatorium cannabinum, Lysymachia vulgaris (Caricetum acutiformis ripariae). In corrispondenza dello sbocco al mare di uno di questi stagni vi sono tratti di vegetazione a Bolboschoenus maritimus (Scirpetum maritimi). Il cordone di stagni retrodunali costituisce una zona di sosta e di alimentazione per Caradriformi migratori e svernanti e gli stagni sono dei potenziali siti riproduttivi per la batracofauna. Tra i Rettili sono segnalati per l’area la Natrice dal collare (Natrix) e la Testuggine palustre (Emys orbicularis). Tra i Coleotteri vanno segnalati il Carabide (Carabus granulatus ssp. Interstitialis), l’Hygrobiidae (Hygrobia tarda) (specie estremamente localizzata tipica di stagni a fondo argilloso), il Dytiscidae (Coelambus confluens) (specie rara caratteristica di pozze torbide, esposte, anche temporanee). Questo habitat si presenta idoneo per diverse specie di Odonati, rari o localizzati, segnalati per l’area limitrofa di Castelporziano tra cui Calopteryx virgo, Ischnura pumilio, Coenagrion scitulum, Erythtomma viridulum, Brachytron afniense, Aeschna affinis, Aeschna isosceles, Anax parhenope, Libellula quadrimaculata.
Fiumicino
Isola Sacra e Villa Guglielmi
L’unità di Isola Sacra si sviluppa su terreni alluvionali pianeggianti, delimitati dal Tevere e dal canale artificiale di Fiumicino in prossimità della foce e dalla via della Scafa. Tale via segna quella che in età romana era la linea di costa. Comprende anche la Villa Guglielmi e la Torre Niccolina. I terreni di Isola Sacra, oggetto delle operazioni della Bonifica di Isola Sacra e dell’Ente Opera Nazionale Combattenti del 1920‐30, riscattati nel 1955, è caratterizzato da una maglia regolare di tracciati lineari: il reticolo dei canali di irrigazione e di drenaggio, la rete viaria, i filari, le fasce arbustive ai margini dei campi. All'interno del sistema di bonifica sono attualmente presenti appezzamenti coltivati a seminativi irrigui ai margini dell'edificato, orti e giardini adiacenti ad edificazioni realizzate in aree agricole, incolti. Le aree agricole hanno subito una consistente e progressiva riduzione a causa dell'espansione insediativa abusiva e costituiscono oggi un ambiente residuale. L’area è caratterizzata da un mosaico composto da diversi usi e funzioni. Le numerose preesistenze archeologiche testimoniano la connessione tra Porto ed Ostia Antica, con il tracciato della via Severiana, la necropoli di Isola Sacra – tra le più significative e conservate aree necropolari di età romana – la necropoli di Portus, il complesso del Ponte e delle terme di Matidia, la basilica paleocristiana di Sant’Ippolito ed i recenti ritrovamenti di strutture ascrivibili all’abitato di Ostia Antica. I terreni agricoli sono inframezzati da lotti edificati con edilizia residenziale, artigianale, parcheggi a lunga sosta a servizio del vicino aeroporto di Fiumicino. Le sponde sono quasi interamente occupate da cantieri nautici in concessione a privati. Si segnala la presenza dei casali della bonifica e dell’edificio della Società Industrie Lavorazione Prodotti Agricoli situato lungo via della Scafa. Dal punto di vista vegetazionale, nel complesso si riscontra uno stato di naturalità molto basso. Il territorio è caratterizzato da un mosaico di vegetazione igrofila di specie erbacee, in parte sinantropiche, al margine delle aree agricole residue e dell'edificato. Sottili fasce di vegetazione ripariale colonizzano le sponde del Tevere e del canale di Fiumicino.
Pineta di Fregene
Sorta nel 1667 quale intervento di forestazione nell’ambito delle opere di bonifica volute da papa Clemente IX, la Pineta di Fregene è dal 1920 “Monumento Nazionale” da salvaguardare. Oltre a costituire una barriera naturale per proteggere l’entroterra dai venti marini, la pineta, attualmente inserita nel tessuto urbano di Fregene, ospita esemplari arborei particolarmente vetusti (fino a oltre 170 anni), come recentemente emerso attraverso specifiche indagini (A. Di Filippo, M. Baliva, M. De Angelis, G. Piovesan,
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2014: Analisi dendroecologica della Pineta Vetusta di Fregene (Fiumicino ‐ Rm) Proceedings of the Second International Congress of Silviculture). Sebbene di impianto artificiale, la pineta ospita elementi faunistici forestali, alcuni dei quali degni di rilievo: nella formazione sono segnalati Picidi e Corvidi forestali e recentemente è stata accertata la presenza dello Scoiattolo europeo (Sciurus vulgaris). All’interno dell’unità di gestione rientra anche una piccola area edificata limitrofa alla Pineta, caratterizzata da ville con giardino di qualità, in particolare la “casa sperimentale” di interesse architettonico, e di un edificio commerciale.
Bonifica di Maccarese
Il paesaggio costiero del territorio di Maccarese è caratterizzato dall'estesa area pianeggiante posta a nord del delta tiberino. La fascia costiera è costituita dalla successione di dune litoranee recenti (cordoni dunali più o meno paralleli, detti “tumuleti”). Verso l'interno il paesaggio della pianura bonificata ha sostituito l'ambiente naturale originario, un ampio sistema lagunare che era compreso entro i cordoni dunali. La bonifica idraulica, realizzata tra il 1884 e il 1925, ha modificato profondamente l'assetto idrogeologico del territorio, attraverso un sistema di canalizzazioni e di idrovore in grado di drenare l'acqua in eccesso dai terreni posti al di sotto del livello del mare. Testimoni dell'antico complesso di stagni e paludi, sono alcuni ambienti umidi residui, come lo stagno di Focene e le piscine degli antichi “tumuleti” (Piscine di Bocca di Leone, Fregene). Il paleo paesaggio palustre di età preistorica è noto attraverso le indagini archeologiche nell’area della bonifica (Le Fianelle, Vignole) così come il sistema di bonifica di età repubblicano – imperiale evidenziato nelle campagne effettuate nel sedime aeroportuale. Il territorio di Maccarese è caratterizzato dal paesaggio di bonifica, che in alcune sue parti, in particolare tra il fiume Arrone e l'aeroporto Leonardo Da Vinci, si conserva pressoché intatto. La riconoscibilità del sistema di bonifica è dato dalla permanenza del sistema dei canali di drenaggio ed irrigazione, della fitta rete viaria interpoderale, delle trame agricole, del sistema insediativo (Centri di bonifica, poderi), degli elementi vegetazionali, (nuclei di pini che segnalano incroci ed accessi, siepi e filari di eucalipti). Il paesaggio agricolo è oggi in prevalenza caratterizzato da appezzamenti di grandi dimensioni coltivati a seminativi. Il paesaggio di bonifica che lo caratterizza è riconoscibile sia nel sistema insediativo (centri agricoli) che produttivo (infrastrutture connesse alla bonifica). Le opere di bonifica, realizzate negli anni 1925‐'28, hanno radicalmente cambiato il paesaggio e l'ambiente, per secoli acquitrinoso ed incolto, utilizzato unicamente per il pascolo: scarse sono infatti, all'interno del territorio, le testimonianze storiche precedenti, e riconducibili solo a strutture fortificate a presidio del territorio e della costa (Castello S. Giorgio di origine medievale). Il paesaggio insediativo consolidato è prevalentemente il risultato del processo di bonifica agraria, intrapreso dopo la bonifica idraulica e ultimato nel 1934. Tale processo ha determinato l'assetto del territorio attraverso l'avvio di colture intensive, la realizzazione e il riuso di case coloniche esistenti, la costruzione di centri agricoli a destinazione foraggero zootecnica dotati di stalle, edifici residenziali, magazzini, silos. In particolare Maccarese è sorto come villaggio rurale intorno all'antico castello San Giorgio. Oltre all’edilizia rurale, all’interno dell’area, prevalentemente agricola, si individuano numerose tipologie di edificazione, afferenti all’ambito insediativo (aree con edilizia residenziale lungo la viabilità e intorno ai nuclei storici, servizi pubblici e privati (cimitero, impianto di compostaggio) e aree produttive (Azienda “Latte Sano”, Maccarese S.p.A. …).
Colli Tre Cannelle
L’area di Colli Tre Cannelle, per gli aspetti geomorfologici ed ambientali è assimilabile al territorio di Castel di Guido. Si tratta anche in questo caso di un paesaggio di colline, intersecate da una fitta rete di vallette a fondo piatto. Il tetto delle colline e il fondo delle vallette è coltivato, mentre i fianchi delle vallette sono occupate da una ricca vegetazione, costituita prevalentemente da bosco caducifoglie. Rientra tra le aree inserite nella Riserva Statale con l’ampliamento del 2013, non costituisce un’area a gestione unitaria come Castel di Guido, pur avendo una vocazione prevalentemente agricola. Mancando un baricentro organizzativo delle attività, non si può considerare altrettanto importante la potenzialità connessa agli aspetti di fruizione, divulgazione ambientale, mentre considerando la grande estensione
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dell’area agricola, risulta particolarmente significativa per indirizzare la gestione delle attività agricole con modalità compatibili con gli obiettivi di tutela ambientale della Riserva.
Dune di Passoscuro – Palidoro
In questa unità di gestione sono ricompresi il Sistema dunale fosso Cupino (San Nicola), Sistema dunale Torre di Palidoro, Sistema dunale Passoscuro, in cui si inserisce il complesso ospedaliero del Bambino Gesù, realizzato tra la foce del rio Palidoro e la spiaggia, le foci del Fosso Cupino e del Rio Palidoro/Fosse delle Cadute e il laghetto retrodunale di Passoscuro. Il sistema dunale nella zona limitrofa alla foce del Fosso Cupino, che arriva fino al confine nord della riserva, rappresenta un ambiente importante in buono stato di conservazione a parte la presenza di strutture del complesso ospedaliero sulle dune e di altri edifici e baracche di origine non congruente con la zona I di Riserva. Sono comunque presenti tipici elementi della vegetazione pioniera annuale e elementi di vegetazione psammofila non legnosa su avanduna; tra le specie presenti il Pancratium maritimum (giglio di mare) in modo particolarmente abbondante e l’Ammophila arenaria. L’ambiente circostante alla Foce del Fosso delle Cadute (Torre di Palidoro) è caratterizzato da un complesso dunale con specie vegetali psammofile in discreto stato di conservazione. E’ segnalata Achillea maritima (santolina delle spiagge), assente in altre aree dunali della Riserva. Un altro elemento caratterizzante questo tratto di costa è la presenza di una boscaglia litoranea interdunale o di foce) a tamerici (Tamarix africana). Tale boscaglia, sebbene rappresentata da pochi individui o esigue popolazioni, anche a causa del degrado legato al rimaneggiamento umano, rivela gli inequivocabili tratti dell’habitat cod. I 92D0: Gallerie e forteti ripari meridionali (Nerio‐Tamaricetea e Securinegion tinctoriae) e costituisce uno degli avamposti più settentrionali di accantonamento lungo la costa tirrenica. Un elemento significativo per la valenza storico‐culturale è rappresentato dai recenti rinvenimenti di resti affioranti sparsi su terreno agricolo, riconducibili probabilmente alla presenza di una villa romana (ca. III‐IV sec a.C.) situata all’ingresso nord di Passoscuro (sito non ancora tutelato dalla Soprintendenza Archeologica) e della Villa romana marittima di Palidoro, indagata con saggi di scavo dalla Soprintendenza del MIBACT nel periodo 2001‐2010. La ricchezza dei reperti indica che si è in presenza di una delle ville marittimedatabili al I‐II sec. d.C. con un continuum storico risalente alla colonizzazione della costa tirrenica (III sec. a.C.). 2) alcuni frammenti ceramici in impasto non tornito e decorazioni plastiche a cordoni ascrivibili all’Eneolitico, rinvenuti all’ingresso est di Passo Oscuro su terreno agricolo ai margini dell’antico Stagno Pagliete. 3) frammenti di ceramica, tegole, coppi, intonaci dipinti, tessere musive bianche, nere e in pasta vitrea, lastre e mattonelle pavimentali in marmo, parti di murature in opera laterizia e reticolata che segnalano all’ingresso nord di Passo Oscuro la presenza di una villa romana, provvista di ambienti residenziali decorati, con tracce di una lunga frequentazione compresa tra il III secolo a.C. ed il IV‐V secolo d.C. Di un certo interesse le zone umide presenti alle foci dei corsi d’acqua, in particolare quella del fosso delle Cadute e di Fosso Cupino.
Bocca di Leone, Bosco Cesoline, Dune di Focene e Foce del Rio Tre Denari
L’Unità di Gestione ricomprende le Dune a sud di Passoscuro, Foce Rio Tre Denari, Tumuleti di Bocca di Leone, Complesso dunale circostante la foce del Fiume Arrone, Bosco Cesoline, Dune di Focene. L’area dunale contigua in sinistra idrografica (sud del Fosso Tre Denari), seppur di dimensioni ridotte, presenta ancora buoni caratteri di naturalità (è segnalata la nidificazione del Corriere piccolo e del Fratino) ed è, inoltre, in continuità con la fascia a macchia mediterranea denominata “Tumuleti di Bocca di Leone”. I cosiddetti Tumuleti di Bocca di Leone, coprono una estesa fascia di macchia mediterranea che inizia dalla località Passoscuro e termina al fiume Arrone. L’area appartenente alla Maccarese S.p.A. è recintata. Sono rappresentati gli ambienti della fascia costiera: dalla vegetazione pioniera della duna mobile, a gramigna delle sabbie e giglio marittimo, al ginepreto‐lentischeto, dalla macchia bassa a fillirea e corbezzolo alla lecceta e agli ambienti umidi retrodunali a frassino meridionale e ontano. Tra le specie di interesse conservazionisto segnalate la Testuggine terrestre (Testudo hermanni), il Fratino (Charadrius alexandrinus) e il Martin pescatore (Alcedo atthis). Tra gli habitat vegetali segnalati per l’area limitrofa alla Foce del F. Arrone vi è quello delle “Depressioni umide interdunali”, caratteristico dei retroduna ed
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inserito tra quelli di interesse ai sensi della direttiva Habitat 92/43/CEE. Nell’area delle Dune di Focene, tra gli habitat prioritari sono segnalati le “Dune costiere con Juniperus spp.” e la “Boscaglia fitta di Laurus nobilis”. Il 40% della superficie complessiva è inoltre occupato dall’habitat “Foreste di Quercus ilex”, un bosco mediterraneo considerato tra i meglio conservati dell’intero litorale romano, dove il Leccio costituisce uno strato arboreo compatto ed uniforme. Nel sito sono anche presenti stagni e canali, dove è segnalata la testuggine palustre europea.
Macchiagrande di Focene e Macchia dello Stagneto
La formazione forestale, la zona umida e il complesso dunale sono inclusi in un Sito di Importanza Comunitaria. Oasi del WWF dal 1986, è quello che rimane dell’originario ambiente naturale del litorale laziale, sopravvissuto all’assedio degli insediamenti di Fregene e Focene. Il sito, esteso, 317 ettari, si caratterizza per la sua varietà di ambienti, dal bosco di Leccio, alle pinete a Pino domestico, alle praterie un tempo coltivate; notevole è la presenza di un bosco igrofilo a “leccio ed alloro. Tra gli habitat prioritari sono segnalati la “Boscaglia fitta di Laurus nobilis”. Il 40% della superficie complessiva è inoltre occupato dall’habitat “Foreste di Quercus ilex”, un bosco mediterraneo considerato tra i meglio conservati dell’intero litorale romano, dove il Leccio costituisce uno strato arboreo compatto ed uniforme. Nell’area è anche presente la Testuggine di Hermann.
Coccia di morto
L’area presenta nella fascia più interna, una pineta artificiale a Pino domestico, con un sottobosco di macchia mediterranea. E’ presente inoltre uno stagno salmastro fronte costa che, nonostante le sponde cementificate, costituisce un interessante ambiente di sosta per l’avifauna migratrice e svernante. Molto peculiare è anche il complesso dunale della fascia costiera che, nonostante un certo degrado, conserva importanti tratti di naturalità. Tra le specie di importanza conservazionistica è segnalato il Fratino, una specie di interesse unionale. L’area è di proprietà privata e chiusa da una recinzione.
ASPETTI CLIMATICI
La probabilità di innesco e la diffusione di un incendio boschivo sono fortemente influenzati dalla situazione meteorologica presente e immediatamente precedente nonché dal contenuto d’acqua della vegetazione. A vegetazione più asciutta corrisponde una propensione maggiore alla combustione e quindi una facilitazione maggiore all’estendersi dell’incendio. Il contenuto d’acqua della vegetazione non è di facile determinazione ma essendo direttamente connesso con l’andamento del clima, si preferisce analizzare l’andamento delle variabili meteo. Lo sviluppo e la propagazione di un incendio boschivo sono influenzati da tre classi di variabili interagenti: i combustibili, la topografia del terreno e la massa d’aria (Countryman 1972). Per combustibile si intende qualunque tipo di vegetazione (viva o morta, aerea o superficiale o sotterranea) quale fonte di energia per il fuoco: posizione geografica e clima presiedono alla diversa distribuzione dei vegetali e quindi alla diversa distribuzione dei combustibili. La topografia comprende l’inclinazione, l’altezza, l’esposizione del terreno e come questi elementi risultano tra loro configurati. La topografia determina, sugli incendi, effetti diretti (le fiamme di un fuoco che brucia in pendenza sono più vicine ai combustibili di fronte al fuoco stesso: questo consente un più rapido riscaldamento dei combustibili stessi rispetto ad un analogo fuoco su terreno pianeggiante) ed indiretti (microclimi e distribuzione dei vegetali). Le componenti meteorologiche come la temperatura, l’umidità relativa, la direzione e velocità del vento, l’intensità e durata delle precipitazioni, la copertura del cielo, la pressione ecc. costituiscono gli elementi che regolano la fenomenologia relativa alla massa d’aria. In questa sede la stretta connessione tra fattori meteorologici (ne prenderemo brevemente in esame solo alcuni) ed incendi boschivi verrà affrontata da un punto di vista generale ‐ statistico, con l’intento di mettere in evidenza particolarità e fissare utili elementi di valutazione. I fattori climatici, quindi, influenzano in modo indiretto l’ambiente nel quale gli incendi si sviluppano e sono da intendersi più precisamente dal punto di vista bioclimatico, con riferimento cioè agli aspetti del
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clima in relazione alla vita degli ecosistemi. È stata a questo proposito condotta una caratterizzazione meteo‐climatica volta a caratterizzare il regime delle precipitazioni, delle temperature e dei venti che viene di seguito presentata. Per identificare il clima che condiziona un comprensorio, si possono prendere in considerazione diverse classificazioni (agronomiche, fitoclimatiche). Dal punto di vista agronomico questa zona rientra nella Regione mediterranea costiera/interna, nella quale le temperature minime assolute invernali rendono possibile la vita di piante arboree meno sensibili al freddo. La piovosità è quasi sempre scarsa (600 ‐ 700 mm) e sempre assai mal distribuita, con deficienze in primavera e soprattutto in estate (ETP annua dell'ordine di 1000 mm). Anche in questo caso si adattano bene a queste zone solo piante a coltura asciutta come la vite e l'olivo per le piante arboree e cereali autunno ‐ vernini, leguminose da granella, erbai autunno ‐ vernini per le coltivazioni erbacee. Secondo la classificazione climatica, l’area rientra nella Regione ligure tirrenica in cui il clima mediterraneo è particolarmente mite per la presenza di versanti che proteggono dai venti provenienti dal nord. La coltura tipica è quindi l'olivo ed è presente la macchia mediterranea con pini marittimi, cipressi, querce. Con riferimento agli studi realizzata da Blasi sulla classificazione e cartografia del clima del Lazio (Carta del Fitoclima del Lazio ‐ scala 1:250.000; 1993,1994), da un punto di vista fitoclimatico, l’area, considerata l’estensione superficiale è compresa tra due zone fitoclimatiche ben distinte quali:
a) la “Regione mediterranea di transizione”, “Termotipo mesomediterraneo medio o collinare inferiore”, “Ombrotipo subumido superiore”, “Regione xeroterica/mesaxerica (sottoregione mesomediterranea/ipomesaxerica)”, con precipitazioni annuali comprese tra 810 e 940 mm e piogge estive comprese tra 75 e 123 mm; aridità estiva presente a giugno, luglio, agosto e sporadicamente anche a maggio; freddo prolungato ma non intenso da novembre ad aprile; temperatura media delle minime del mese più freddo da 2,3 a 4° C. Maremma laziale interna e campagna romana. Cerrete, querceti misti a roverella e cerro con elementi del bosco di leccio e di sughero. Potenzialità per boschi mesofili (forre) e macchia mediterranea (dossi). Serie del carpino bianco (Aquifolio Fagion fragm.); serie del cerro (Teucrio siculi‐Quercion cerridis); serie della roverella e del cerro (Ostro‐Carpinion orientalis; Lonicero Quercion pubescentis fragm.) serie del leccio e della sughera (Quercion ilicis). b) La “Regione mediterranea”, “Termotipo mesomediterraneo inferiore”, “Ombrotipo secco superiore/subumido inferiore”, “Regione xeroterica (sottoregione termomediterranea/ mesomediterranea), con precipitazioni scarse (593‐811 mm) con pochi episodi estivi (53‐71 mm); l’aridità estiva è intensa e prolungata per 4 mesi (maggio‐agosto) con 1 mese di subaridità (aprile); freddo poco sensibile, concentrato nel periodo invernale, tuttavia presente anche a novembre e aprile; temperatura media delle minime del mese più freddo da 3,7 a 6,8° C. Litorale e colline retrostanti della provincia di Viterbo e litorale della provincia di Roma. Querceti con roverella, leccio e sughera, cerrete con farnetto, macchia mediterranea. Potenzialità per boschi con farnia e Fraxinusoxy carpa (forre e depressioni costiere). Serie del cerro (Teucrio siculi‐Quercion cervidi fragm.); serie della roverella e del cerro (Lonicero‐Quercion pubescentis; Ostryo‐Carpinion orientalis) serie del leccio e della sughera (Querscion ilicis fragm.); serie della macchia (Quercion ilicis; Oleo‐Ceratonion fragm.); serie del frassino meridionale (Alno‐Ulmion); serie dell’ontano nero, dei salici e dei pioppi (Alno‐Ulmion fragm. Salicion albae fragm.). Secondo la classificazione climatico‐forestale del Pavari, infine, l’area risulta appartenere alla fascia del Lauretum, sottozona media.
Di seguito viene descritto il regime termo‐pluviometrico ottenuto dai dati delle stazioni meteorologiche ricadenti nelle predette regioni fitoclimatiche e più prossime all’area oggetto di indagine; l’analisi fa riferimento alle stazioni di Roma Fiumicino e Maccarese e fa riferimento ai periodi 1955‐85 per il regime termometrico e 1921‐65 per il regime pluviometrico.
Temperature
La temperatura atmosferica influenza direttamente la temperatura del combustibile. La facilità di accensione, la quantità di calore richiesto per innalzare il combustibile alla temperatura di accensione
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(320°C Burgan and Rothermel 1984) dipende essenzialmente dalla temperatura iniziale del combustibile. Il più importante effetto tuttavia della temperatura è quello indiretto sulla umidità relativa dell’aria e sul contenuto d’acqua nel combustibile morto (strato vegetale in decomposizione al suolo). Sia la traspirazione sia l’evaporazione sono processi che assorbono calore dall’ambiente, pertanto l’evapotraspirazione è più intensa con temperature dell’aria elevate. Alte temperature influiscono sul tasso di evapotraspirazione con il conseguente accrescimento percentuale di sostanza secca nelle componenti vegetali; ne consegue l’aumento delle probabilità di innesco o di diffusione degli incendi. Il ripetersi statistico di una concentrazione estiva degli incendi nel Lazio trova certamente una concausa, non esclusiva né determinante, nella temperatura dell’aria che risulta ovviamente più elevata che in inverno. La persistenza di alte temperature ha un effetto importante sulla velocità di essiccamento delle masse vegetali e sull’innesco degli incendi.
Figura 1: Rapporto tra le temperature medie annuali e il numero incendi
Per lo studio delle condizioni termiche sono stati presi in considerazione i dati forniti dalle seguenti stazioni:
STAZIONE QUOTA
Maccarese 4
Roma-Fiumicino 2
Tabella 1: Stazioni meteo impiegate per l'acquisizione delle condizioni termiche
L’utilizzo dei dati, ha permesso di ricavare l’andamento delle temperature medie mensili ed annuali, i valori medi mensili ed annuali delle escursioni termiche diurne, e quindi la determinazione del regime termometrico della regione e dell’area più prossima all’area di studio.
‐Temperature mensili e annuali Nelle tabelle II e III si evince che i valori medi mensili delle temperature massime, medie e minime, validi per la stazione di Maccarese, sono i seguenti: Stazione di Maccarese idrovora
Temperature massime: da 13.32° (gennaio) a 29.49° (agosto); Temperature minime: da 3.68° (gennaio) a 17.91° (agosto); Temperature medie: da 8.5° (gennaio) a 23.7° (agosto). Stazione Roma Fiumicino Temperature massime: da 12.92° (gennaio) a 28.6° (luglio); Temperature minime: da 4.02° (gennaio) a 18.38° (agosto); Temperature medie: da 8.47° (gennaio) a 18.38° (agosto).
Dall’esame dei dati si nota che le temperature massime, medie e minime hanno un andamento caratterizzato da un minimo termico in gennaio‐febbraio ed un massimo in luglio agosto. Il numero dei mesi con temperatura media inferiore ai 10 °C è di tre. I valori medi annuali delle temperature massime,
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medie e minime e delle escursioni termiche diurne registrate nelle stazioni considerate, trentennio 1935‐1965, sono riportati nella Tabella 1 e Tabella 2. In generale i valori delle temperature nelle varie stazioni decrescono con l’altitudine e con la distanza dal mare; inoltre il fattore esposizione può rivestire, localmente, una certa importanza.
‐Escursioni termiche In generale, in tutte le stazioni le escursioni termiche diurne hanno valori minori nei mesi invernali e maggiori nei mesi estivi (v. Tabella 1). Relativamente ai valori assoluti è stato notato che essi non subiscono particolari influenze dall’altitudine, dalla distanza dal mare e dal fattore esposizione.
‐Regime termometrico Quanto sopra esposto permette un inquadramento climatico del territorio in esame da un punto di vista esclusivamente termico; si tratta di un clima del tipo “mediterraneo temperato caldo” con prolungamento della stagione estiva e con inverno mite.
STAZIONE DI MACCARESE IDROVORE
Mese Temp.
Massima
Temp.
Minima
Temp.
Media Escursioni
Gennaio 13.32 3.68 8.5 9.64
Febbraio 14.11 4.08 9.09 10.03
Marzo 15.89 5.5 10.7 10.39
Aprile 18.51 7.96 12.23 10.55
Maggio 22.71 11.74 17.22 10.97
Giugno 26.46 15.18 20.82 10.98
Luglio 29.22 17.59 23.4 11.63
Agosto 29.49 17.91 23.7 11.58
Settembre 26.78 15.58 21.18 11.2
Ottobre 22.88 11.76 17.32 11.12
Novembre 18.39 7.87 13.13 10.52
Dicembre 14.28 4.62 9.45 9.66
Tabella 2: Valori medi mensili (in C°) delle temperature massime, minime e medie giornaliere e delle escursioni termiche diurne registrate nel trentennio 1935/65 alla stazione meteorologica di Maccarese. (Da: C. Blasi 1994).
STAZIONE ROMA FIUMICINO
Mese 4 Temp. Massima Temp. Minima Temp. Media Escursioni
Gennaio 12.92 4.02 8.47 8.90
Febbraio 13.6 4.40 9.00 9.20
Marzo 15.28 5.97 10.63 9.31
Aprile 17.84 8.23 13.04 9.61
Maggio 21.92 11.66 16.79 10.26
Giugno 25.84 15.63 20.73 10.21
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Luglio 28.48 18.07 23.28 10.41
Agosto 28.60 18.38 23.49 10.25
Settembre 26.03 15.82 20.92 10.21
Ottobre 22.02 12.12 17.07 9.90
Novembre 17.33 8.35 12.84 8.98
Dicembre 13.8 5.22 9.51 8.58
Agosto 28.60 18.38 23.49 10.25
Settembre 26.03 15.82 20.92 10.21
Ottobre 22.02 12.12 17.07 9.90
Novembre 17.33 8.35 12.84 8.98
Dicembre 13.8 5.22 9.51 8.58
Tabella 3: Media dei valori medi mensili delle temperature massime (C°), minime e medie giornaliere e delle escursioni termiche diurne registrate nel trentennio 1935/65 nelle stazioni meteorologiche di Casalotti (da: C. Blasi 1994).
Precipitazioni
Il suolo riceve umidità dalle piogge e cede acqua attraverso l’evapotraspirazione e quindi è la quantità di pioggia ad influire direttamente sul bilancio idrico degli ecosistemi vegetali. È attraverso l’evapotraspirazione, ovvero la quantità d’acqua (riferita all’unità di tempo) che dal terreno passa nell’aria allo stato di vapore per effetto congiunto della traspirazione delle piante e dell’evaporazione diretta del terreno (ET) che si compie il ciclo della “pioggia”. La vegetazione, combustibile disponibile al momento dell’innesco, diminuisce o aumenta il contenuto di umidità in relazione al contenuto d’acqua nel suolo e all’umidità dell’aria. La siccità, pertanto, è un elemento fondamentale per determinare il rischio che si verifichi un incendio. Ne conseguono due considerazioni elementari: che il fenomeno incendi raggiunga i suoi valori minimi nei periodi stagionali piovosi, che storicamente sono l’autunno e la primavera, e che gli anni siccitosi sono quelli che presentano un maggior rischio di incendio boschivo.
Figura 2: Rapporto tra le precipitazioni cumulate ed il numero di incendi
Si riporta di seguito un quadro riassuntivo riguardante la distribuzione delle precipitazioni meteoriche nella zona di studio.
‐Piovosità media mensile e stagionale I valori medi mensili della piovosità relativi al periodo 1921/65 inerenti l’intero territorio di studio, risultanti dalla media di tutte le stazioni considerate, sono riportati nella Tabella 3. La piovosità mensile presenta un massimo autunnale (ottobre‐novembre) ed un minimo estivo (luglio) e si registra, inoltre, un massimo relativo primaverile (febbraio‐maggio).
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PIOVOSITA’
(mm)
MESE MACCARESE ROMA
FIUMICINO
Gennaio 88.45 81.6
Febbraio 80.87 74.99
Marzo 73.12 72.05
Aprile 48.43 47.24
Maggio 40.41 30.45
Giugno 23.26 13.35
Luglio 9.43 6.76
Agosto 30.98 33.07
Settembre 77.34 76.54
Ottobre 90.13 96.94
Novembre 132.58 100.04
Dicembre 94.01 92.69
TOTALE
ANNO 789.01 725.72
Media valori 65.75 60.47
Tabella 4: media generale dei valori mensili delle precipitazioni, e della densità media, registrati nelle stazioni meteorologiche considerate (da: C. Blasi 1994)
Dalle tabelle riportate risulta anche che la distribuzione stagionale delle precipitazioni presenta caratteristiche simili in tutte e due le stazioni. L’andamento delle precipitazioni mensili indica quindi una diminuzione quasi regolare della piovosità media da gennaio‐febbraio a luglio‐agosto, mentre col mese di settembre si ha una ripresa piuttosto brusca delle precipitazioni. La stagione più secca coincide con l’estate ed in particolare con i mesi di luglio ed agosto; il periodo più piovoso è identificabile con i mesi di ottobre‐dicembre.
‐Piovosità media annuale Il valore della piovosità media annua (relativo al periodo 1921‐65) della zona è di 800‐1000 mm (andamento delle iC.O.I.ete).
‐Distribuzione della piovosità Dall’esame della carta delle piovosità, è possibile rilevare come le piogge si distribuiscono in prevalenza seguendo l’andamento dei rilievi. Infatti si hanno i valori massimi in corrispondenza delle zone più elevate, mentre i minimi di piovosità si riscontrano in prossimità della costa.
‐Regime pluviometrico Da quanto riportato nei precedenti paragrafi, si può concludere che in generale le precipitazioni sono superiori alla media nel periodo compreso tra settembre a marzo. I valori più alti si registrano in novembre (fino ad oltre il 170% della media annua); i valori più bassi si hanno invece a luglio (anche al di sotto del 20% della media annua). Riassumendo, la zona è caratterizzata da abbondanti e numerose precipitazioni in autunno e inverno, con un massimo in novembre, da una modesta piovosità in primavera e da una bassissima piovosità in estate (si scende al di sotto dei 100 m), con un minimo in luglio (o agosto). A volte si hanno massimi relativi in febbraio‐marzo. Sulla base delle informazioni relative al regime termo‐
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pluviometrico dell’area, possono essere calcolati i valori degli indici di strass da freddo e da caldo di Mitrakos (si fa riferimento ai dati della stazione termo‐pluviometrica di Roma Fiumicino): ‐il primo indice, summer drought stress index (SDS), definisce l’intensità e la durata dell’aridità estiva sulla base dei valori di precipitazione dei mesi di giugno, luglio e agosto: i risultati riportano un’aridità intensa da maggio a agosto con valori non elevati a aprile (SDS 193,7; YDS 238,3); ‐il secondo, winter cold stress (WCS), quantifica lo stress da freddo sulla base dei valori di temperatura minima dei mesi di dicembre, gennaio e febbraio: i risultati individuano uno stress da freddo non intenso da dicembre a marzo spesso presente anche a novembre e aprile (YCS 190.4; WCS 130,8).
Clima
‐Definizione del clima secondo Thornthwaite
La definizione del clima, secondo questa metodologia, tiene conto di una serie di parametri derivanti dalle temperature e dalle precipitazioni quali: evapotraspirazione potenziale ed effettiva, variazione dell’accumulo d’acqua nel terreno, deficienze ed eccedenze mensili ed annuali, coefficiente di deflusso. Sulla base di questi parametri, il clima (come già riportato) si può definire di tipo “secondo umido, secondo mesotermale, con larga deficienza d’acqua in estate e con concentrazione estiva dell’evapotraspirazione” (49% circa).
‐Definizione del clima secondo Bagnouls e Gaussen Questo metodo di classificazione climatica combina i dati delle temperature e delle precipitazioni in un diagramma detto “ombrotermico”. Un diagramma ombrotermico si costruisce riportando sulle ascisse i mesi dell’anno ed in ordinate, a destra le precipitazioni (in mm) ed a sinistra le temperature (C°), in una scala doppia di quella delle precipitazioni. La superficie di sovrapposizione indica la durata ed in certa misura l’intensità del periodo secco. Da questi diagrammi si nota che le due curve si tagliano determinando un periodo secco che comprende i mesi di giugno, luglio ed agosto. Questi dati portano a definire il clima della zona di studio (annunciato in precedenza), secondo questa metodologia, un “tipico clima mediterraneo (xerotermico)” e più precisamente un “clima mesomediterraneo”. Per quanto riguarda l’evapotraspirazione, nei mesi estivi (giugno, luglio e agosto) nei quali si hanno le T° più elevate e le precipitazioni sono praticamente nulle, i coefficienti evapotraspirativi (Kc) delle piante sono i più alti in assoluto. L’evapotraspirazione, espressa in mm/giorno, è l’insieme di acqua persa dal sistema pianta‐suolo attraverso la traspirazione della pianta con le aperture stomatiche e l’evaporazione dell’acqua dal suolo e dalla superficie esterna della pianta. Il sistema pianta‐suolo, evapotraspira per bilanciare la richiesta di acqua dall’ambiente esterno che lo circonda.
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Parametri
Valori mensili
Gen Feb Mar Apr Mag Giu Lug Ago Set Ott Nov Dic
T° media 8.47 9.00 10.6 13.04 16.79 20.73 23.28 23.49 20.92 17.07 12.84 9.51
Fattore p (1) 0,21 0,24 0,27 0,30 0,33 0,35 0,34 0,31 0,28 0,25 0,22 0,21
p (0,46t+8,13) 2.52 2.94 3.45 4.2 5.23 6.18 6.40 5.87 4.97 3.99 3.09 2.62
Cl. soleggiamento basso basso medio medio medio alto alto alto alto medio basso basso
Cl. umid. Rel. (2) alta alta alta alta alta alta alta alta alta alta alta alta
Cl. ventosità diurna 3 3 2 2 1 1 1 1 2 2 2 3
Fattore correz. a -1.45 -1.45 -1.75 -1.75 -1.80 -2.15 -2.15 -2.15 -2.50 -1.75 -1.55 -1.45
Fattore correz. b 0.98 0.98 1.06 1.06 0.97 1.14 1.14 1.14 1.61 1.06 0.88 0.98
ETP mm/gg 1.18 1.38 2.38 2.89 4.34 6.24 6.46 5.92 4.42 2.75 2.07 1.23
ETP mm /mese 36.58 38.64 73.78 86.7 134.5 193.4 193.8 183.5 132.6 85.25 62.1 38.13
Tabella 5: Calcolo dell’ETP (dati climatici della zona di Fiumicino) (1) dati tratti da Bonciarelli (2) dati ottenuti dal piano generale di bonifica (u.r. alta > 50 %)
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ASPETTI VEGETAZIONALI
Nel territorio della Riserva sono presenti diverse formazioni vegetazionali le cui caratteristiche variano man mano che ci si allontana dalla costa verso l’interno dell’area. Zone di particolare rilievo dal punto di vista naturalistico e vegetazionale sono: ‐in territorio di Roma: il Drizzagno di Spinaceto e meandro abbandonato del Tevere, il comprensorio della Pineta di Castel Fusano, l’area di Castel di Guido‐Macchiagrande, Idroscalo di Ostia, Piscina Torta; ‐in territorio di Fiumicino, sono la Foce dell’Arrone, i Tumuleti di Bocca di Leone, le Vasche di Maccarese, la Pineta di Fregene, l’Oasi WWF di Macchiagrande e la Tenuta di Coccia di Morto e la Pineta di Via Praia a Mare.
Si consideri, nella descrizione di seguito riportata, che per quanto rientrante entro la porzione di Riserva collocata all’interno dei confini di Roma, la suddivisione del territorio della Riserva fa riferimento a due grandi Unità Vegetazionali: Unità del Delta Tiberino e Unità di Castel di Guido‐Macchiagrande della vegetazione. L’area del delta tiberino può essere identificata con un triangolo che ha per lati la costa tirrenica, il Tevere, e una linea che va approssimativamente dalla confluenza del fosso di Malafede col Tevere al villaggio Tognazzi alla fine di Capocotta. Il territorio si presenta suddiviso in quattro fasce approssimativamente parallele alla costa: la fascia dunale attuale (A), la fascia delle dune fossili recenti (B), la piana alluvionale lasciata dallo Stagno di Ostia, vasto lago retrodunale prosciugato dalla bonifica, e la duna antica (C). Il transetto è completamente visibile a Castelporziano e a Capocotta ma è riconoscibile almeno parzialmente anche altrove. Queste fasce sono contraddistinte sia per morfologia che per vegetazione; sono più larghe verso la foce del Tevere e vanno restringendosi verso Sud. Si sottolinea che una situazione simmetrica e speculare si osserva a nord del Tevere nel settore della Riserva del Litorale sita nel comune di Fiumicino. Si accenna brevemente alla presenza in questa unità della fascia della duna fossile antica (denominazione impropria in quanto da recenti ricerche pare che il substrato geologico sia costituito da sedimenti litorali e non dunali), costituita da una estensione di sabbie giallastre, acide, coperte da suoli profondi ed evoluti per lo più del tipo terra bruna lisciviata, pressoché pianeggiante ma con uno scalino all’altezza di Casal Palocco. La duna antica è sviluppata nell’area di Castelporziano e Capocotta e praticamente non interessa la Riserva del Litorale. L’unità di Castel di Guido‐Macchiagrande costituisce un paesaggio diverso da quello del delta tiberino, parte del più vasto paesaggio della Campagna Romana: si tratta di un paesaggio di colline a tetto pianeggiante, intersecate da una fitta rete di vallette a fondo piatto. Il tetto delle colline e il fondo delle vallette è coltivato, mentre i fianchi delle vallette sono occupate da una ricca vegetazione, costituita prevalentemente da bosco caducifoglio. Ambedue i paesaggi vegetali sono interessanti e meritevoli di tutela nel loro complesso, sia per la loro peculiarità, sia per il buono stato di conservazione. Il paesaggio del delta tiberino è caratterizzato dall’alternarsi di cordoni dunali e di aree umide, benché queste ultime siano ormai in gran parte distrutte dalla bonifica. Paesaggi più o meno simili si trovano a Migliarino‐San Rossore alla foce dell’Arno e in parte in quel che resta nell’area di Policoro; anche la duna del parco del Circeo presenta affinità con questo paesaggio; si tratta comunque di un tipo di paesaggio raro e peculiare, sia dal punto di vista geomorfologico che per la sua ben delineata individualità floristica; è inoltre ancora relativamente ben conservato, nonostante la bonifica e l’intensa attività edilizia e ha un notevole valore di testimonianza di un ambiente relittuale. L’area di Castel di Guido‐Macchiagrande fa parte invece del paesaggio della Campagna Romana, un paesaggio di notevole interesse non solo ambientale ma ancora culturale, di cui fortunatamente, soprattutto a ovest del Tevere, esistono numerosi frammenti relitti. E’ importante non solo conservare questi frammenti relitti ma anche la continuità fra di essi. Di seguito ci si sofferma sulla descrizione della vegetazione e sulla distribuzione della vegetazione nella Riserva. Dal punto di vista vegetazionale, le categorie che sono presenti sul territorio della Riserva Naturale Statale del Litorale Romano possono schematicamente essere descritte come:
Pinete e rimboschimenti di conifere; Boschi di leccio; Boschi di latifoglie miste; Vegetazione mesoigrofila a caducifoglie;
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Macchia e arbusteti; Vegetazione dunale; Canneti; Prati e Pascoli
Pinete e rimboschimenti di conifere
Il pino domestico fu introdotto sul litorale romano nel ‘700 e ampiamente usato per rimboschire i terreni bonificati alla fine dell’800. Impiantate in un contesto rurale, queste pinete si trovano ora a far parte della periferia di Roma, circondate da un territorio segnato da intensa cementificazione e disordine urbanistico. I popolamenti studiati, nella Riserva Naturale Statale del Litorale Romano, hanno permesso di definire una tipologia strutturale che è stata costruita utilizzando come criterio ordinatore principale, ma non esclusivo, l’età convenzionale rilevata, in quanto in grado di far risaltare livelli di complessità crescente nell’articolazione dei diversi soprassuoli. La struttura delle pinete esistenti segue una classificazione con 4 classi: ‐ Tipo A: pineta coetanea giovane ‐ Tipo B: pineta coetanea adulta ‐ Tipo C: pineta coetanea matura ‐ Tipo D: pineta pluristratificata
Nel Comune di Roma l’estenzioni più grandi riguardano la pineta di Castel Fusano, delle Acque Rosse, dell’Area di Procoio, mentre i rimboschimenti di conifere sono diffusi nell’azienda agricola pubblica di Castel di Guido. Le specie che troviamo impiantate non sono autoctone (cioè non appartengono alla flora locale). La prima forestazione all’interno dell’Azienda Agricola riguardava esemplari di Pinus halepensis (Pino d’Aleppo) e Pino dell'Eldar. Oggi troviamo infatti anche giovani rimboschimenti (13‐20 anni) a Q. pubescens, Q. ilex, Q. suber, Fraxinus excelsior, Malus sylvestris e Crataegus monogyna, P. halepensis, P. pinea. I boschi di conifere presenti nel territorio del comune di Fiumicino, all’interno della Riserva sono rappresentati essenzialmente da due pinete di pino domestico (Pinus pinea), quali la Pineta di Fregene e la Pineta di Coccia di Morto, in comune di Fiumicino. In località Maccarese lungo la fascia costiera compresa tra il fiume Arrone e Passo Oscuro è presente una terza pineta delimitata sui restanti lati rispettivamente dai campi coltivati di Maccarese e da Via Praia a Mare.
Boschi di leccio
Lungo i fianchi di alcune vallette, in particolare dei fossi che tagliano in senso NE‐SW la Macchiagrande di Ponte Galeria, si osservano alcuni esempi interessanti di lecceta ben sviluppata, con lecci (Quercus ilex) di notevoli dimensioni benché la vegetazione non sia disetanea e manchino esemplari monumentali. La stratificazione della vegetazione è buona, con un sottobosco ricco soprattutto di lentisco (Pistacia lentiscus). La naturalità di questa vegetazione è alta. Questo tipo di vegetazione è più consistente nelle zone retro‐costiere. Partendo dal mare e dalla fascia dunale e passando mano a mano verso l’interno, si osserva la successione che dalla macchia mediterranea bassa passa al bosco di leccio; la macchia mediterranea retrodunale è costituita da cespugli a losanga di ginepro, fillirea, lentisco, cisto rosso e bianco; il bosco di leccio ha un sottobosco di arbusti di erica, corbezzolo, lentisco, mirto e di altre specie tipiche della macchia mediterranea. In alcuni punti, in cui delle lievi depressioni del terreno sono soggette ad allagamenti durante le stagioni piovose, si arricchisce di alberi di alloro (Laurus nobilis), farnia (Quercus robur) con sottobosco di pungitopo (Ruscus aculeatus).
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Boschi di latifoglie miste
La vegetazione potenziale è rappresentata dal bosco di cerro e farnetto (Echinopo‐Quercetum cerridis), che nelle prime fasi di degradazione, soprattutto del suolo, passa a una boscaglia a roverella (Quercus pubescens), quindi alla boscaglia a olmo (Ulmus minor) e infine nel pascolo ad asfodelo (Asphodelus microcarpus). Nelle forre strette e incassate che scendono verso SW dalla Macchiagrande di Ponte Galeria, si sviluppa il bosco di carpino bianco (Carpinus betulus). Accanto a questa vegetazione caducifoglia vi sono importanti elementi di foresta sempreverde a leccio e di macchia, soprattutto nell’area della Macchiagrande. Colpisce invece la relativa rarità della sughera (Quercus suber) che invece è estremamente diffusa e importante nel settore occidentale della Campagna Romana. Con la nuova perimetrazione del 2013 sono state introdotte nella Riserva delle zone poste a Nord di Maccarese tra Casali di Torreinpietra e Aranova, caratterizzate dalla presenza di coltivazioni sul tetto delle colline e sui fianchi delle vallette e che presentano una ricca vegetazione, costituita prevalentemente da bosco caducifoglio. La vegetazione potenziale è rappresentata dal bosco di cerro e farnetto (Echinopo‐Quercetum cerridis), che nelle prime fasi di degradazione, soprattutto del suolo, passa a una boscaglia a roverella (Quercus pubescens), quindi alla boscaglia a olmo (Ulmus minor) differenziandosi dalla tipologia boschiva presente soprattutto all’interno delle aree agricole, ovvero di quelle aree coltivate a seminativo e ad ortaggi, in cui le latifoglie sono soprattutto poste in filari frangivento.
Vegetazione mesoigrofila a caducifoglie
Questa vegetazione è rappresentata da boschi di tipo igrofilo, ambienti umidi, che si formano in prossimità dell’acqua e sono formati da specie arboree che non sono in grado di tollerare condizioni di aridità. I componenti più diffusi sono pioppi, salici, ontani, frassino, olmo e platano, ai quali si possono ancora aggiungere pado ed altri. Si riscontrano formazioni appartenenti a tale categoria presso la Meccanica Romana e la località Saline con superfici di foresta artificiale ad Eucalyptus. Si rinvengono anche in piccole boscaglie ripariali nei pressi della foce dell’Arrone. Tra gli eucalipti prevale la presenza di Eucalyptus globolus.
Macchia ed arbusteti
Nel territorio della Riserva, l’ambiente di macchia mediterranea si trova come fascia vegetazionale principale a ridosso della fascia costiera, mentre si trova come strato inferiore nei boschi di latifoglie, come nel caso di Macchiagrande o dei boschi di conifere, quali la Pineta di Coccia di Morto e la Pineta di Fregene (territorio della Riserva entro il comune di Fiumicino). Nella fascia più vicina al mare, infatti, la macchia mediterranea si trova ove non è presente l’ambiente dunale; la vegetazione è costituita da specie sclerofille, con arbusti sempreverdi di altezza variabile tra 1 e 2 m, con foglie coriacee e chioma a losanga (a bandiera) a causa dell’azione del vento. L’altezza delle piante aumenta dal mare verso l’interno, determinando la presenza di due differenti fisionomie di vegetazione: la macchia bassa a ridosso delle dune e la macchia alta più all’interno. Considerando il territorio della Riserva rientrante entro i confini di Roma, a Macchiagrande di Ponte Galeria, al tetto della piatta collina da cui è costituita, è presente una notevole estensione di macchia alta. Le principali specie presenti sono: fillirea (Phillyrea latifolia), lentisco (Pistacia lentiscus), corbezzolo (Arbutus unedo), erica (Erica arborea), leccio (Quercus ilex) e specie lianose, quali la stracciabraghe (Smilax aspera) e la clematide (Clematis flammula).
Vegetazione dunale
Come accennato, si distingue la Fascia delle dune attuali (A) e la fascia delle dune fossili recenti (B). La fascia A è costituita da cordoni dunali che crescono in altezza fino a un cordone dunale di circa 40 m di altezza, sito a circa 500‐800 m dal mare. Questi cordoni dunali sono intervallati da due linee di depressioni interdunali umide. E’ possibile cosi individuare tre fasce di vegetazione xerica I: duna mobile, II duna
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consolidata (Juniperetum macrocarpae‐phoenicea) e III fronte del primo cordone dunale fossile (Juniperetum macrocarpae‐phoeniceae e macchia ascrivibile al Viburno‐Quercetum ilicis, con Pinus pinaster nell’area di Castel Fusano), e due fasce di vegetazione umida. La fascia I è presente solo a Capocotta dove è ben sviluppata e all’Idroscalo di Ostia dove per contro è assai degradata; la fascia II è presente a Capocotta e ve ne sono relitti piuttosto degradati di fronte a Castel Fusano, in aree esterne alla Riserva del Litorale. Nella località di Focene, nella parte di litorale antistante l’Oasi di Macchiagrande, in prossimità dello sbocco al mare del Canale dello Stagno, un’altra alla foce del fiume Arrone e un’altra ancora a nord dell’abitato di Passoscuro si riscontrano insediamenti di vegetazione dunale. Anche nell’altra area dunale, alla foce dell’Arrone, le variazioni della portata del fiume determinano dei cambiamenti nella fisionomia dell’area della foce, a cui corrispondono delle variazioni nella composizione floristica della vegetazione. In periodi caratterizzati da consistenti precipitazioni, in cui il regime del fiume prevale su quello del mare, con un conseguente abbassamento della salinità dell’acqua, si assiste alla germinazione di specie igrofile di ambiente fluviale quali la lisca (Typha sp.) e il giaggiolo (Iris sp.), a scapito della vegetazione dunale tipica.
Canneti degli ambienti umidi
Specialmente nel tratto a monte del ponte del Canale dei Pescatori, ma anche lungo altri canali e lungo il braccio morto del Tevere, si sviluppano popolamenti a Phragmites australis pressoché puri. Questi popolamenti hanno un grado di naturalità piuttosto bassa, in quanto mancano specie dei Phragmitetea che accompagnano le comunità meglio sviluppate a Phragmites australis. Le zone umide della Riserva si possono distinguere in due tipologie: le aree umide naturali o seminaturali e le aree umide artificiali. Tra le prime, nell’ambito del territorio del comune di Fiumicino, ricadono lo Stagno di Focene e i Tumuleti di Bocca di Leone a Fregene, mentre appartengono alla seconda tipologia i vari canali della bonifica e le Vasche di Maccarese, nonché il lago di Coccia di Morto e il Lago di Traiano. Le Vasche di Maccarese sono state realizzate nel 1970 a fini venatori e ad oggi sono divenute un importante sito di svernamento e nidificazione per gli uccelli, tanto da essere divenute anch’esse, dall’anno in corso, un’area gestita dal WWF. Dal punto di vista vegetazionale, in tale area sono state censite oltre 100 specie di piante divise in quattro ambienti principali: la vegetazione acquatica caratterizzata dal miriofillo (Myriophyllum sp.); la zona dell’Eucalypteto, con i caratteristici filari impiantati in seguito alla bonifica; il canneto a Phragmites con iris gialli (Iris pseudoacorus); il prato caratterizzato anche da fioriture significative come il narciso (Narcissus tazetta), l’orchidea (Orchis laxiflora) e il cengio molle (Abutilon theophrasti).
Prati e Pascoli
Si tratta di superfici erbacee a prevalenza di graminacee del tipo (Bromus erectus, Avena spp., Poa spp., Lolium multiflorum, Dactylis glomerata) che sono pascolate ed in parte periodicamente sfalciate per la produzione di foraggio. A Castel Fusano e nella Tenuta Aldobrandini, vi sono ampie superfici di una vegetazione semiruderale dominata dalla graminacea Dasypyrum villosum. La vegetazione in esame presenta una media biodiversità e un grado di naturalità piuttosto basso.
ASPETTI FAUNISTICI
L’indagine è finalizzata alla definizione del quadro delle presenze faunistiche dell’area e alla evidenziazione delle problematiche di tutela e di gestione emergenti, al fine di fornire all’Ente gestore indicazioni utili ai possibili effetti che il passaggio di un incendio boschivo può arrecare agli animali e quindi alla definizione di interventi di ripristino degli habitat delle comunità di maggior interesse faunistico, al fine della loro conservazione. Il fuoco può avere sulla fauna effetti diretti, attraverso l'eliminazione di individui che soccombono alle fiamme, o indiretti, in seguito alla profonda trasformazione dell'habitat dopo il passaggio del fuoco e durante le successive fasi di ricostituzione
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dell'ambiente. Analogamente alla vegetazione, anche per la fauna le conseguenze del fuoco non sono generalizzabili a tutte le specie e molto dipende dalle abitudini e dal grado di mobilità di ciascuna di esse. Per quanto riguarda gli effetti diretti, si stima che la maggior parte dei vertebrati di grandi dimensioni nel corso di un incendio non subiscano gravi danni, grazie alla loro capacità di fuggire e di muoversi celermente. Discorso analogo può valere per le specie di taglia minore in grado di trovare un rifugio sotto terra (volpe, tasso e altri mustelidi), di arrampicarsi (scoiattoli, ghiri e faine), o addirittura di volare (uccelli e pipistrelli). Anche per anfibi e rettili, benché più lenti nei movimenti, non dovrebbero sussistere problemi nella fuga dalle fiamme. Gli animali che subiscono le conseguenze peggiori sono senza dubbio gli invertebrati che vivono nella lettiera del bosco, tanto che possono ridursi fino al 90%. Si tratta principalmente di specie saprofite e detritivore, come isopodi, miriapodi, molluschi, collemboli, pseudoscorpioni e numerose famiglie di coleotteri. Gli effetti del fuoco sulla fauna si esprimono soprattutto a livello indiretto, dopo che l'incendio è passato: il microclima, la reazione chimico‐fisica del suolo (per lo meno negli strati superficiali), le risorse alimentari e le popolazioni animali (soprattutto invertebrati) subiscono sensibili variazioni. Col passare dei mesi, il progressivo recupero della vegetazione, che forma un mosaico di spazi aperti con fiori ed erbe alternati a elementi forestali provenienti dalle zone intatte limitrofe, va a costituire un ambiente eterogeneo e molto ricco dal punto di vista faunistico, tanto che si può affermare che, a differenza di quanto capita per la vegetazione, il numero di specie di invertebrati (che risultano le più sensibili agli incendi) tende a crescere con l'aumentare del numero di eventi e, addirittura, a conservarsi per lungo tempo dopo il passaggio dell'ultimo incendio (Moretti et al., 2002). Le specie che popolano la Riserva Naturale Statale del Litorale Romano sono costituite da: mammiferi, uccelli, rettili, anfibi, insetti e pesci.
Mammiferi Tra i mammiferi rilevati nella Riserva vi sono numerosi individui di istrice (Histrix cristata), a Macchiagrande, e la volpe che è ubiquitaria.
Uccelli La Riserva Naturale Statale del Litorale Romano, riveste nel suo complesso una notevole importanza per lo svernamento dell'avifauna acquatica. Gli habitat di maggiore interesse ricadono senz’altro all’interno del Comune di Fiumicino (Vasche di Maccarese, Porto di Traiano), ma anche il Tevere riveste una notevole importanza in tal senso ed alcune aree palustri presenti all’interno del Comune di Roma svolgono un ruolo non secondario. La foce del Tevere costituisce anche una importantissima area di sosta per numerose specie di uccelli marini (Bernoni et al. 1985). Questi Autori, nel corso di 177 ore di osservazione hanno censito 31 specie appartenenti a 9 diverse famiglie. Tra le concentrazioni più importanti vanno segnalate quelle relative al Gabbianello ed al Gabbiano corallino con valori tra i più elevati tra quelli registrati lungo le coste italiane. Un elenco delle specie svernanti ed il numero di individui registrati nel corso di censimenti effettuati dal Gruppo Attività e Ricerche Ornitologiche del Litorale è riportato in Allegato 5. Come sopra accennato, l’ornitofauna è particolarmente ricca di specie legate agli ambienti umidi. Alle Vasche di Maccarese, ad esempio, sono presenti durante tutto il corso dell’anno, in quanto nidificanti e stanziali, i rallidi, nello specifico la folaga (Fulica atra), la gallinella d’acqua (Gallinula chloropus), il porciglione (Rallus aquaticus) e il tuffetto (Tachybaptus ruficollis). Di notevole rilievo, in quanto svernanti, invece, sono varie specie di anatre, quali il fischione (Anas penelope), il codone (Anas acuta), l’alzavola (Anas crecca), la canapiglia (Anas strepera), la rarissima moretta tabaccata (Aythya nyroca), il moriglione (Aythya ferina), il mestolone (Anas clypeata), nonché il raro fistione turco (Netta rufina). Svernanti, inoltre, sono anche lo svasso maggiore (Podiceps cristatus) e lo svasso piccolo (Podiceps nigricollis). In primavera aumentano gli uccelli “di passo” come il cavaliere d’Italia (Himantopus himantopus), l’airone rosso (Ardea purpurea), la sgarza ciuffetto (Ardeola ralloides), la nitticora (Nycticorax nycticorax), la marzaiola (Anas querquedula) e occasionalmente il tarabuso (Botaurus stellaris); il tarabusino (Ixobrychus minutus), invece, arriva in primavera per nidificare e riparte in autunno.
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Si aggiunge, inoltre, la presenza di cormorani e aldeidi, quali l’airone bianco maggiore (Egretta alba), la garzetta (Egretta garzetta) e l’airone cenerino (Ardea cinerea), come la rilevante presenza del falco di palude e del martin pescatore. Alla foce dell’Arrone, ad esempio, l’avifauna è caratterizzata da numerose specie, tra cui il fratino (Charadrius alexandrinus) e il corriere piccolo (Charadrius dubius). L’avifauna, oltre alle specie di ambienti umidi è caratterizzata dalla presenza di rapaci, tra cui i più comuni sono il gheppio (Falco tinnunculus), il nibbio bruno (Milvus migrans), il falco di palude (Circus aeruginosus), la poiana (Buteo buteo) e il falco pellegrino (Falco peregrinus); avvistamento ci sono stati anche per il falco della regina (Falco eleonorae), il gufo di palude (Asio flammeus) e l’aquila minore (Hieraeetus pennatus). Numerosissimi sono poi i passeriformi che vivono nei canneti, tra cui la cannaiola (Acrocephalus scirpaceus), il cannareccione (Acrocephalus arudinaceus) e l’usignolo di fiume (Cettia cetti). Si aggiungono le rondini (Hirundo rustica), i migliarini di palude (Emberiza schoeniclus). Da segnalare la nidificazione accertata nell’Oasi di Macchiagrande del gruccione (Merops apiaster), del gufo comune (Asio otus) e del succiacapre (Caprimulgus europaeus). Nelle aree a pineta, come in quella di Coccia di Morto, ad esempio, nidificano sugli alti pini i gheppi (Falco tinnunculus) e le gazze. Nelle zone aperte, invece, l’avifauna è composta da allodole, pispole e ballerine bianche, mentre nelle aree di margine da zirli e da tordi bottacci (Turdus philomelus) che prediligono i fitti arbusteti.
Entomofauna Le attuali conoscenze sul popolamento entomologico dell’area in esame possono considerarsi nel complesso molto ricche anche se fortemente disomogenee. Sebbene dispersi in lavori specialistici, dedicati a revisioni tassonomiche, faune locali o cataloghi generali inerenti diversi gruppi sistematici, i dati pubblicati sugli insetti di questo comprensorio sono infatti nel complesso piuttosto abbondanti e derivano da ricerche intraprese da vari entomologi a partire fin dai primi anni di questo secolo. In base all’analisi di questa eterogenea bibliografia e ad alcuni risultati ottenuti nel corso di indagini personali, è stato possibile accertare la presenza (pregressa o attuale) di numerose specie di insetti la cui distribuzione ambientale nel territorio della Riserva può fornire informazioni utili alla valutazione dello stato di conservazione dei diversi habitat e all’identificazione dei biotopi maggiormente meritevoli di tutela. Elementi particolarmente interessanti al riguardo possono essere individuati nei Lepidotteri a volo diurno, negli Odonati (Libellule) e nelle seguenti famiglie di Coleotteri: Carabidi, Aliplidi, Igrobidi, Girinidi, Ditiscidi, Buprestidi, Tenebrionidi e Cerambicidi. Si tratta di gruppi ben rappresentati all’interno della Riserva, caratterizzati da una notevole eterogeneità, sia sotto il profilo faunistico che ecologico. Questi gruppi comprendono inoltre numerose specie (tra cui alcune anche relativamente facili da identificare) che, essendo strettamente legate alla presenza di determinati habitat, possono costituire buoni “indicatori” biologici di particolari condizioni ambientali. Un approfondimento in merito alle specie di insetti presenti è riportato in Allegato 5. Si ricordano le specie più comuni, grazie alle leccete secolari, lo scarabeo rinoceronte (Oryctes nasicornis) e il cerambice della quercia (Cerambix cerdo). Sulle dune sabbiose, invece, si rileva la presenza della Pimelia bipuntata e del coleottero predatore (Scarites). Infine, di rilievo per la riserva sono gli Eteroceri (farfalle) rinvenuti nell’Oasi WWF di Macchiagrande: l’endemica Philobrostis fregenella e l’unica segnalazione per l’Italia della Caracoma nilotica.
ERPETOFAUNA
Molto ricca è anche questa con numerosi sauri, lacertidi e cheloni. Da segnalare la Testudo hermanni con la consistente popolazione dell’Oasi di Macchiagrande, ma anche la comune lucertola muraiola (Podarcis muralis), oppure animali singolari come la luscengola (Chalcides chalcides), la natrice tessellata (Natrix tessellata), la biscia d’acqua o natrice dal collare (Natrix natrix), l’aspide (Vipera aspis), il ramarro (Lacerta viridis). Da segnalare anche un ritrovamento di una tartaruga marina (Caretta caretta) sulla spiaggia di Focene nel luglio 1996. Sono presenti anche piccoli nuclei di tartarughe d’acqua dolce (Emys orbicularis), pur se minacciate dalla introduzione delle tartarughe della Florida (Trachemys scripta elegans). Tra gli anfibi sono presenti il tritone (Triturus vulgaris), la rana verde, il rospo comune e smeraldino ma anche la raganella, le rane verdi (Rana esculenta e Rana lessonae) e la rana toro (Rana catesbeiana) (introdotta).
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Ittiofauna All’interno delle acque della riserva si trovano numerose specie eurialine (specie che tollerano diversi gradi di salinità), come il cefalo (Mugil cephalus), l’anguilla (Anguilla anguilla), il cefalo calamita (Liza ramada), ma anche numerose specie introdotte: la carpa, il carasso, la gambusia, il luccioperca, il persico sole.
SPECIE E COMUNITÀ DI INTERESSE FAUNISTICO
Specie inserite nell’allegato II della direttiva 92/43/cee “specie animali e vegetali di interesse comunitario la cui conservazione richiede la designazione di zone speciali di conservazione” e nell’allegato i della direttiva 79/409/cee “direttiva uccelli”. Si riporta di seguito l’elenco e le località di presenza delle specie di interesse comunitario, comprese all’interno della Direttiva citata. La loro presenza è indice di ambienti ben conservati e di interesse faunistico che richiedono pertanto una oculata e razionale gestione. Specie Località di presenza, negli habitat idonei Rutillus rubilio ‐ Rovella (Fiume Arrone, Fiume Tevere) Padogobius nigricans ‐ Ghiozzo di Ruscello (Fiume Arrone) Petromyzon marinus ‐ Lampreda di mare Fiume Tevere) Salaria fluviatilis ‐ Cagnetta (Fiume Arrone) Testudo hermannii ‐ Testuggine di Hermann (Pineta di Castel Fusano, Castel di Guido) Emys orbicularis ‐ Testuggine palustre (Canale dei Pescatori, Castelporziano, Malafede, Capocotta) Elaphe quatorlineata ‐ Cervone (Castel Fusano, Castel di Guido) Triturus cristatus (Ostia Antica, Castel di Guido, Piscina Torta, Valle di Malafede) Ixobrychus minutus ‐ Tarabusino (Fiume Tevere) Alcedo atthis ‐ Martin pescatore (Fiume Arrone, Canale dei Pescatori, Fiume Tevere) Lanius collurio ‐ Averla piccola (Castel di Guido) Melanocorypha calandra – Calandra (Castelporziano) Calandrella brachydactyla ‐ Calandrella (Prati c/o Cristoforo Colombo, coltivi GRA) Lullula arborea ‐ Tottavilla (Prati c/o Cristoforo Colombo) Milvus migrans ‐ Nibbio bruno (Castel di Guido, Castelporziano) Pernis apivorus ‐ Pecchiaiolo (Castel di Guido, Castelporziano) Circus pygargus ‐ Albanella minore (Caste di Guido) Coracias garrulus ‐ Ghiandaia marina (Castel Fusano) Caprimulgus europaeus ‐ Succiacapre (Castel Fusano, Castel di Guido) Miniopterus schreibersi – Miniottero (Ostia Antica) Myotis myotis ‐ Vespertilione maggiore (Ostia Antica) Myotis capaccinii ‐ Vespertilione di Capaccini (Ostia Antica) Myotis blythi ‐ Vespertilione di Blith (Ostia Antica) Rhinolophus ferrumequinum ‐ Ferro di cavallo maggiore (Ostia Antica) Osmeoderma eremita C/o (Canale dei Pescatori)
2.2 DESCRIZIONE PECULIARITA’ E FINALITA’ DELLA RISERVA con individuazione delle aree di particolare tutela naturalistica, anche per eventuali habitat e siti natura 2000
La Riserva Naturale Statale del Litorale Romano è stata istituita per la tutela attiva e la valorizzazione dei seguenti beni ambientali:
Biotopi, ricchi di fauna e flora; Habitat di numerose specie animali individuate come di interesse comunitario dalle direttive
79/409/CEE del 2.4.1979 e 92/43/CEE del 21.5.1992; Comprensorio agricolo ed agro‐forestale derivante da bonifiche costiere;
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Beni archeologici. Peculiarità della Riserva è il grande patrimonio archeologico, storico e naturale presente. Si rilevano le seguenti aree di interesse archeologico e naturale:
‐scavi di “Ostia Antica”; ‐via Severiana e resti della “Villa di Plinio”; ‐la rinascimentale “Torre San Michele”, attribuita al Michelangelo; ‐la medievale torre costiera “Torre Boacciana”; ‐i castelli medievali di Castel Fusano (Chigi) e di Ostia Antica; ‐siti paleontologici di Castel di Guido e Malafede; ‐Torre di Palidoro; ‐Foce dell’Arrone e tumuleti di Bocca di Leone; ‐Castello di Maccarese; ‐Vasche di Maccarese; ‐Torre Primavera; ‐Pineta di Fregene; ‐Oasi WWF di Macchiagrande; ‐Tenuta di Coccia di Morto; ‐Lago di Traiano ‐Porti imperiali di Claudio e Traiano ‐Necropoli di Porto
RETE NATURA 2000
All’interno della Riserva Naturale Statale del Litorale Romano e nel territorio immediatamente circostante sono presenti siti della Rete Natura 2000, rilevata anche al fine di acquisire le informazioni relative ai livelli di protezione di fauna e flora esistenti. A questi aspetti sono stati successivamente attribuiti gli opportuni indici di gravità considerando che essi si pongono per lo più come obiettivi prioritari da difendere dal fuoco in modo totale. Gli interventi conseguenti per la loro protezione e salvaguardia sono stati valutati in base alla compatibilità con le emergenze naturalistiche. Tali indicazioni e eventuali approfondimenti potranno anche essere propedeutici per l’eventuale valutazione di incidenza nelle successive fasi di applicazione del Piano. Nel territorio della Riserva Naturale Statale Litorale Romano sono stati individuati identificati i seguenti siti: Roma ‐ SIC IT6030027 Castelporziano (fascia costiera), che riguarda unicamente l’area dunale di Capocotta; ‐ ZPS IT6030084 Castelporziano (Tenuta Presidenziale), che riguarda unicamente l’area dunale di Capocotta; ‐ SIC IT6030025 Macchia Grande di Ponte Galeria, interamente inclusa nella Riserva.
Fiumicino ‐ ZPS IT6030026 Lago di Traiano; ‐ SIC IT6003023 Macchia Grande di Focene e Macchia dello Stagneto; ‐ SIC IT6003026 Lago di Traiano; ‐ SIC IT6003024 Isola Sacra (esterno però alla riserva).
AREE DI PARTICOLARE TUTELA NATURALISTICA
Di seguito vengono elencate le differenti tipologie di habitat e descritte le aree più rilevanti, rientranti in questa classificazione, e, infine, i principali elementi di biodiversità e le emergenze floristiche.
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Facendo riferimento alla bibliografia disponibile, ai sopralluoghi di campo, alle conoscenze relative alla distribuzione ed all’ecologia delle specie, all’analisi della cartografia tematica relativa alla vegetazione è stato possibile individuare e caratterizzare i seguenti “biotopi e siti di interesse faunistico” che debbono essere quindi tenuti nella dovuta considerazione nell’ambito delle scelte di Piano.
STAGNI TEMPORANEI ED AREE PERIODICAMENTE INONDATE
Roma Drizzagno di Spinaceto e meandro abbandonato del Tevere
L’area è costituita da un meandro abbandonato del Tevere rimasto isolato in conseguenza della realizzazione del “drizzagno” di Spinaceto nel 1938. L’area è tra quelle ad “elevata qualità ambientale” nell’ambito delle unità di rilevamento del Progetto Atlante degli Uccelli nidificanti a Roma. (Cignini e Zapparoli, 1996). Nel biotopo vi nidificano tra gli altri il Tuffetto (Tachybaptus ruficollis), il Germano reale (Anas plathyrynchos), il Martin pescatore (Alcedo atthis), la Gallinella d’acqua (Gallinula chloropus), il Cannareccione (Acrocephalus arundinaceus), la Cannaiola (Acrocephalus scirpaceus), il Pendolino (Remiz pendulinus. (Osservazioni personali, Cignini e Zapparoli, 1996). Sono inoltre presenti nuclei svernanti e migratori di avifauna acquatica (GAROL, 1996). Importanza potenziale per comunità di Artropodi associate a prati igrofili. ‐Impatti reali e potenziali:
Possibilità di interramento degli stagni. Inquinamento da fitofarmaci e fertilizzanti provenienti dal dilavamento dei coltivi circostanti. Aree palustri nei pressi di Torre S. Michele
L’area è adiacente a zone urbanizzate dell’idroscalo di Ostia nei pressi di Torre S.Michele ed è limitrofa al Fiume Tevere, nei pressi del tratto terminale dell’isolotto di Tor Boacciana. E’ presente un esteso fragmiteto che, grazie anche alla vicinanza con il Fiume Tevere, costituisce una importante area di presenza e di sosta temporanea per Ardeidi, Anatidi e Caradriformi svernanti e migratori. ‐Impatti reali e potenziali: Possibilità di interramento e disturbo antropico diretto con effetti sulla vegetazione igrofila. Stagni retrodunali di Capocotta
Lungo il complesso dunale di Capocotta, tra la Capanna del Guardiapasso e la foce del Fosso del Tellinaro, è presente un cordone di stagni retrodunali che consente l’instaurarsi di una tipica vegetazione palustre. L’area costituisce una zona di sosta e di alimentazione per Caradriformi migratori e svernanti e gli stagni sono dei potenziali siti riproduttivi per la batracofauna. Tra i Rettili sono segnalati per l’area la Natrice dal collare (Natrix natrix) e la Testuggine palustre (Emys orbicularis). Tra i Coleotteri vanno segnalati il Carabide (Carabus granulatus ssp.interstitialis), l’Hygrobiidae (Hygrobia tarda) specie estremamente localizzata tipica di stagni a fondo argilloso, il Dytiscidae (Coelambus confluens) specie rara caratteristica di pozze torbide, esposte, anche temporanee. Questo habitat si presenta idoneo per diverse specie di Odonati, rari o localizzati, segnalati per l’area limitrofa di Castelporziano tra cui Calopteryx virgo, Ischnura pumilio, Coenagrion scitulum, Erythtomma, viridulum, Brachytron afniense, Aeschna affinis, Aeschna isosceles, Anax parhenope, Libellula quadrimaculata. ‐Impatti reali e potenziali:
Frequentazione non controllata dell’area; inquinamento ed interramento. Tumuleti di Bocca di leone (e zone umide adiacenti)
I cosiddetti Tumuleti di Bocca di Leone, coprono una estasa fascia di macchia mediterranea che inizia dalla località Passoscuro e termina al fiume Arrone. L’area appartenente alla Maccarese S.p.A. è recintata. Sono rappresentati gli ambienti della fascia costiera: dalla vegetazione pioniera della duna mobile, a gramigna delle sabbie e giglio marittimo, al ginepreto‐lentischeto, dalla macchia bassa a fillirea e corbezzolo alla lecceta e agli ambienti umidi retrodunali a frassino meridionale e ontano. Tra le specie di interesse
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conservazionistico segnalate vi sono la Testuggine terrestre (Testudo hermanni), il Fratino (Charadrius alexandrinus) e il Martin pescatore (Alcedo atthis).
AMBIENTI RIPARIALI ED ACQUATICI REICI (NATURALI E/O ARTIFICIALI
Roma Fiume Tevere
Area interessata dalla presenza di una comunità ittica diversificata anche se profondamente modificata a causa degli interventi antropici di reintroduzione e introduzione intenzionale ed accidentale di specie. Tra le presenze maggiormente significative sono da segnalare quella della Rovella (Rutilus rubilio) e della Lampreda di mare (Petromyzon marinus). L’asta del Tevere costituisce una importante rotta di migrazione per numerose specie di Uccelli acquatici tra cui Ardeidi, Anatidi e Caradriformi. Di rilevanza per la sosta di migratori e per lo svernamento del Cormorano (Phalacrocorax carbo) negli anni scorsi sono stati censiti in gennaio fino a 1500 individui anche se attualmente si è avuto un drastico calo delle presenze. Area di nidificazione di avifauna ripariale ed acquatica, tra cui Martin pescatore (Alcedo atthis), Gallinella d’acqua (Gallinula chloropus), colonie di Gruccione (Merops apiaster) nidifica su scarpate degli argini, Usignolo di fiume (Cettia cetti), Cannaiola (Acrocephalus scirpaceus) e Pendolino (Remiz pendulinus). ‐Impatti reali e potenziali:
Inquinamento delle acque, introduzioni e reintroduzioni di specie alloctone, taglio della vegetazione ripariale, impattanti interventi di ingegneria idraulica. Foci dei torrenti nei pressi di Capocotta
Area di presenza di Caradriformi migratori e svernanti e potenziali siti riproduttivi per la batracofauna e l’erpetofauna acquatica. ‐Impatti reali e potenziali:
L’area è di estremo interesse ma sottoposta ad un notevole disturbo a causa delle forti presenze antropiche. Canale dei Pescatori
Lungo il canale, che attraversa Castel Fusano sono presenti estesi lembi di elofite utilizzate come siti di nidificazione da Cannaiola (Acrocephalus scirpaceus) e Gallinella d’acqua (Gallinula chloropus); comunità ittica interessata dalla presenza di specie estuariali tra cui (Mugil cephalus) e (Liza ramada). ‐Impatti reali e potenziali:
Disturbo indotto dal turismo nautico, inquinamento, taglio della vegetazione ripariale. Fosso Pantan di Grano
Area di presenza di specie ornitiche ripariali ed acquatiche tra cui Gallinella d’acqua (Gallinula chloropus) e Cannaiola (Acrocephalus scirpaceus). ‐Impatti reali e potenziali:
Inquinamento, rettificazioni dell’alveo, opere di difesa spondale, taglio della vegetazione ripariale.
Fiumicino Fosso Cupino
L’area di interesse è situata al confine nord della Riserva. Comprende la fascia riparia, la foce del Fosso Cupino e il sistema dunale limitrofo. Il Cupino è un piccolo corso d’acqua la cui fascia riparia, seppur in parte degradata, è caratterizzata dalla presenza di canneti a Canna domestica (Arundo donax) in grado di ospitare elementi faunistici di interesse. Lungo il corso d’acqua è segnalata la testuggine palustre europea (Emys orbicularis). La piccola foce, come altre confluenze, rappresenta un’area di contatto tra ambiente marino e ambiente dulciacquicolo, è interessato dalla migrazione di specie ittiche anadrome e catadrome ed è utilizzato come sito di riproduzione dalla batracofauna. Il sistema dunale nella zona limitrofa alla foce, che arriva fino al confine nord della riserva, rappresenta un ambiente importante pur non essendo
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attualmente in buono stato di conservazione. Sono comunque presenti tipici elementi della vegetazione pioniera annuale e elementi di vegetazione psammofila non legnosa su avanduna; tra le specie presenti il Pancratium maritimum (giglio di mare).
Passoscuro ‐ Foce Fosso Tre Denari/Pagliete
L’area di trova al limite sud della località Passoscuro, in corrispondenza della foce del fosso Tre Denari o delle Pagliete. L’ambiente ripariale non presenta particolari caratteri di naturalità. Più interessante risulta l’area di foce, ambiente di transizione importante per le specie ittiche migratrici anadrome e catadrome, e sito di sosta per avifauna acquatica e di riproduzione per anfibi. L’area dunale contigua in sinistra idrografica (sud), seppur di dimensioni ridotte, presenta ancora buoni caratteri di naturalità (è segnalata la nidificazione del Corriere piccolo) ed è, inoltre, in continuità con la fascia a macchia mediterranea denominata “Tumuleti di Bocca di Leone”. Fosso delle Cadute (torre di Palidoro)
L’area di interesse si trova nel settore nord della riserva e comprende la foce del Fosso delle Cadute (denominato anche Fosso di Palidoro), il sistema dunale circostante e la zona umida retrodunale. La foce, con andamento che si modifica periodicamente, è un ambiente importante per le specie ittiche anadrome e catadrome, e risulta un sito di riproduzione per anfibi. L’ambiente dunale che si sviluppa a nord del corso d’acqua è tra i meglio conservati del litorale del comune di Fiumicino. Molto interessante la depressione retrodunale occupata da elofite semisommerse ed in parte allagata. Tra la specie di interesse segnalate nell’area il Cervone (Elaphe quatuorlineata) e il Tarabusino (Ixobrychus minutus). L’ambiente circostante è caratterizzato da un complesso dunale con specie vegetali psammofile in discreto stato di conservazione. E’ segnalata Achillea maritima (santolina delle spiagge), assente in altre aree dunali della Riserva. Fiume Arrone
Area interessata dalla presenza di una comunità ittica diversificata con specie di interesse, tra cui la Rovella (Rutilus rubilio), la Cagnetta (Salaria fluviatilis), il Ghiozzo di ruscello (Padogobius nigricans) (Provincia di Roma, 1991). Le sponde del fiume sono coperte da una vegetazione ripariale discontinua a seguito dei numerosi interventi antropici soprattutto nel tratto in cui il fiume attraversa la pianura di Maccarese, qui infatti si è avuto il restringimento della sezione fluviale e la creazione di argini artificiali. Sono segnalati per l’area il Martin pescatore (Alcedo atthis) e la Gallinella d’acqua (Gallinula chloropus) nidificanti. ‐Impatti reali e potenziali:
Inquinamento delle acque, introduzioni e reintroduzioni di specie alloctone, taglio della vegetazione ripariale, impattanti interventi di ingegneria idraulica. Vasche di Maccarese
Realizzate nel 1970 a fini di pescicoltura, le 5 vasche, complessivamente ampie circa 32 ettari, rappresentano una zona umida che, seppur di origine artificiale, risulta di notevole interesse come sito di svernamento e di nidificazione per gli uccelli. La zona umida sostiene un numero superiore ai 500 individui di avifauna svernante e quindi rientra tra i siti di maggiore interesse per lo svernamento, secondo i criteri indicati dall’ISPRA. Tra le specie sedentarie si possono citare i Rallidi (Folaga e Gallinella d’acqua), mentre tra gli svernanti compaiono numerosi Anatidi (Codone, Alzavola, Canapiglia, Moretta, Moriglione e Mestolone). Tra gli Accipitriformi sono segnalati Falco di palude, Albanella reale, aquile minore e anatraia maggiore, Falco pellegrino e Sacro. Nei canali che delimitano ed alimentano le vasche e in tutta la depressione ricadente in zona 1 della Riserva vi sono Ciprinidi (Carpa, Carassio comune) e Mugilidi (Cefalo calamita). Il comune di Fiumicino si sta attivando presso la Regione Lazio al fine di avviare le procedure per l’inserimento delle vasche di Maccarese tra i siti della Rete Natura2000 istituite ai sensi delle direttive CE 78/409 e 92/43.
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Macchia Grande di Focene e Macchia dello Stagneto (foresta planiziale – zona umida) La formazione forestale, la zona umida e il complesso dunale sono inclusi in un Sito di Importanza Comunitaria. Oasi del WWF dal 1986, è quello che rimane dell’originario ambiente naturale del litorale laziale, sopravvissuto all’assedio degli insediamenti di Fregene e Focene. Il sito, esteso 317 ettari, si caratterizza per la sua varietà di ambienti, dal bosco di Leccio, alle pinete a Pino domestico, alle praterie un tempo coltivate; notevole è la presenza di un bosco igrofilo a “leccio ed alloro”. I canali di bonifica e lo stagno di Focene, resto dell’antico stagno, sono caratterizzati dalla presenza di farnie secolari e da estesi canneti a Cannuccia di palude che rendono l’area un sito idoneo alla sosta di avifauna svernante e migratrice. Tra gli habitat prioritari sono segnalati le “Dune costiere con Juniperus spp.” e la “Boscaglia fitta di Laurus nobilis”. Il 40% della superficie complessiva è inoltre occupato dall’habitat “Foreste di Quercus ilex”, un bosco mediterraneo considerato tra i meglio conservati dell’intero litorale romano, dove il Leccio costituisce uno strato arboreo compatto ed uniforme. Nel sito sono anche presenti stagni e canali, dove è segnalata la testuggine palustre europea. Nell’area è anche presente la Testuggine di Hermann. L’area rientra nel sito di importanza comunitaria denominato “Macchia Grande di Focene e Macchia dello Stagneto” (IT6030023).
Coccia di morto (dune ‐ zona umida)
L’area è caratterizzata nella fascia più interna da una pineta artificiale a Pino domestico, con un sottobosco di macchia mediterranea. E’ presente inoltre uno stagno salmastro fronte costa che, nonostante le sponde cementificate, costituisce un interessante ambiente di sosta per l’avifauna migratrice e svernante. Molto peculiare è anche il complesso dunale della fascia costiera che, nonostante un certo degrado, conserva importanti tratti di naturalità. Tra le specie di importanza conservazionistica è segnalato il Fratino, una specie di interesse unionale. L’area è di proprietà privata e chiusa da una recinzione. Lago di Traiano (zona umida artificiale) e Area archeologica di Portus
Antico bacino esagonale artificiale caratterizzato da sponde subverticali e notevole profondità, con una scarsa presenza di vegetazione acquatica e ripariale. Nell’area limitrofa si trova un bosco misto di Pino domestico, Leccio ed altre latifoglie, anche alloctone. Il lago è un’importante zona di svernamento e di sosta durante le migrazioni per diverse specie di uccelli acquatici, quali Cormorano, Svasso maggiore, Alzavola e Gabbiano corallino, per tale motivo il sito è stato designato come Zona di Protezione Speciale ai sensi della Direttiva Uccelli 79/409/CEE; nel sito è segnalato il Coleottero Carabide Carabus granulatus interstitialis. Interessante l’area della cd. Darsena all’interno del bacino di Traiano, con funzioni di collegamento con l’antica Fossa Traiana, oggi si presenta come un bacino di ca. 1 Ha (227 x 48 m) in cui si è formato un habitat igrofilo con Phragmites australis che ospita specie erpetologiche interessanti tra cui la Emys orbicularis.
AMBIENTI FORESTATI E CESPUGLIATI CON PRESENZA DI COMUNITÀ O SPECIE AD ELEVATE CARATTERISTICHE DI BIOINDICATORI AMBIENTALI
Roma Comprensorio della Pineta di Castel Fusano
Area forestale a diversi livelli di naturalità, di estremo interesse per la presenza di specie ornitiche indicatrici di stadi serali maturi tra cui il Picchio rosso maggiore (Picoides major) ed il Picchio verde (Picus viridis), Picchio muratore (Sitta europaea), Rampichino (Certhia brachydactyla) e Rigogolo (Oriolus oriolus). Nell’area è segnalata la nidificazione della Ghiandaia marina (Coracias garrulus). Tra i Mammiferi è segnalata la presenza di Istrice (Istryx cristata), Tasso (Meles meles) e Cinghiale (Sus scropha) e tra i Rettili la Testuggine comune (Testudo hermannii), la Natrice dal collare (Natrix natrix), il Cervone (Elaphe quatorlineta), la Coronella austriaca (Coronella austriaca) e la Vipera comune (Vipera aspis). Tra i coleotteri è da segnalare la presenza del Tenebrionide Platydema europaeum, specie rara e localizzata, dei Buprestidi Buprestis novemmaculata, specie rara di pinete con tronchi ben esposti, ed Eurythyrea
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quercus, specie molto rara tipica della foresta di Leccio, del Cerambycide Arhoplaus ferus, specie in rarefazione a causa della distruzione del sottobosco delle pinete. ‐Impatti reali e potenziali: Interventi forestali di carattere produttivo e non naturalistico con rimozione degli alberi caduti o morti, interventi di “pulitura del sottobosco”, disturbo diretto a causa della forte pressione turistica. Comprensorio di Castel di Guido
Area rilevante per la presenza di coppie nidificanti di rapaci forestali, tra cui il Nibbio bruno (Milvus migrans) (7 individui osservati durante il survey speditivo), il Pecchiaiolo (Pernis apivorus) (1 individuo osservato nel corso del survey speditivo, Borlenghi com. pers.) e la Poiana (Buteo buteo) (2 individui osservati durante il survey speditivo). Tra i mammiferi è segnalata la presenza dell’Istrice (Istryx cristata) e del Tasso (Meles meles) e tra i Rettili la Testuggine comune (Testudo hermannii), il Saettone (Elaphe longissima), il Cervone (Elaphe quatorlineata), la Natrice dal collare (Natrix natrix), la Vipera comune (Vipera aspis). Gli stagni, i fossi ed i fontanili presenti nell’area ospitano popolazioni di Rana verde italiana (Rana esculenta), Rospo comune (Bufo bufo), Rospo smeraldino (Bufo viridis), Raganella (Hyla intermedia), Tritone crestato (Triturus carnifex) e Tritone punteggiato (T.vulgaris). Di estremo interesse è la presenza di una delle ultime popolazioni litoranee di Rana italica. L’area, denominata anche tenuta di Castel di Guido, appartiene al demanio agricolo del Comune di Roma. In questo territorio è possibile osservare i collegamenti esistenti tra variazioni del substrato e della morfologia e la presenza di diversi tipi di vegetazione. La parte alta della collina, dove l’aridità del suolo è maggiore per la presenza di sabbie, ospita una macchia a Mirto e Ginestra spinosa, che diventa macchia alta a Leccio e Ilatro sulle aree di versante. Più in basso, su substrato argilloso, è presente un fitto bosco di Cerro e Farnetto in contatto con un residuo degradato di bosco igrofilo a Farnia, pioppi e frassini dell’area pedemontana. Tra le specie faunistiche di interesse conservazionistico sono segnalati la Testuggine di Hermann, la Testuggine palustre europea e il Cervone. Nidifica il Nibbio bruno e probabilmente una coppia di Biancone. L’importante sistema di fontanili presente nell’area è utilizzato come sito di riproduzione dalla batracofauna; tra le specie da segnalare il Tritone crestato italiano. Per la coesistenza di questo insieme di valori l’area è stata designata come Sito di Importanza Comunitaria. Formazioni forestali igrofile di Piscina Torta adiacente a Castelporziano
Area forestale di estremo interesse per la presenza di Farnie di notevoli dimensioni che favoriscono la colonizzazione da parte di specie indicatrici di stadi maturi tra cui il Picchio rosso maggiore (Picoides major), il Picchio verde (Picus viridis), Picchio muratore (Sitta europaea), Rampichino (Certhia brachydactyla) e Rigogolo (Oriolus oriolus). Durante il survey è stata riscontrata la presenza di cavità il cui diametro le rende attribuibili al Picchio rosso minore (Picojdes minor), specie nidificante nelle formazioni forestali limitrofe della Tenuta di Castelporziano. Le pozze astatiche sono interessate dalla presenza di Rospo comune (Bufo bufo) (1 individuo osservato durante il survey speditivo) ed offre potenzialità per la Testuggine palustre (Emys orbicularis), il Tritone crestato (Triturus carnifex), il Tritone punteggiato (Triturus vulgaris). Sono inoltre presenti specie di Crostacei e di altri invertebrati, tipiche di questi ambienti “limite”. ‐ Impatti reali e potenziali L’area presenta un accesso problematico e ciò ha probabilmente contribuito alla sua conservazione. E’ quindi opportuno limitarne al massimo la fruizione. Fiumicino Pineta Monumentale di Fregene
Sorta nel 1667 quale intervento di forestazione nell’ambito delle opere di bonifica volute da papa Clemente IX, la Pineta di Fregene è dal 1920 “Monumento Nazionale” da salvaguardare. Oltre a costituire una barriera naturale per proteggere l’entroterra dai venti marini, la pineta, attualmente inserita nel tessuto urbano di Fregene, ospita esemplari arborei particolarmente vetusti. Sebbene di impianto artificiale, la pineta ospita elementi faunistici forestali, alcuni dei quali degni di rilievo: nella formazione
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sono segnalati Picidi e Corvidi forestali e recentemente è stata accertata la presenza dello Scoiattolo europeo (Sciurus vulgaris). Macchia Grande di Focene e Macchia dello Stagneto (foresta planiziale – zona umida)
La formazione forestale, la zona umida e il complesso dunale sono inclusi in un Sito di Importanza Comunitaria. Oasi del WWF dal 1986, è quello che rimane dell’originario ambiente naturale del litorale laziale, sopravvissuto all’assedio degli insediamenti di Fregene e Focene. Il sito, esteso 317 ettari, si caratterizza per la sua varietà di ambienti, dal bosco di Leccio, alle pinete a Pino domestico, alle praterie un tempo coltivate; notevole è la presenza di un bosco igrofilo a “leccio ed alloro”. I canali di bonifica e lo stagno di Focene, resto dell’antico stagno, sono caratterizzati dalla presenza di farnie secolari e da estesi canneti a Cannuccia di palude che rendono l’area un sito idoneo alla sosta di avifauna svernante e migratrice. Tra gli habitat prioritari sono segnalati le “Dune costiere con Juniperus spp.” e la “Boscaglia fitta di Laurus nobilis”. Il 40% della superficie complessiva è inoltre occupato dall’habitat “Foreste di Quercus ilex”, un bosco mediterraneo considerato tra i meglio conservati dell’intero litorale romano, dove il Leccio costituisce uno strato arboreo compatto ed uniforme. Nel sito sono anche presenti stagni e canali, dove è segnalata la testuggine palustre europea. Nell’area è anche presente la Testuggine di Hermann. L’area rientra nel sito di importanza comunitaria denominato “Macchia Grande di Focene e Macchia dello Stagneto” (IT6030023). Bosco igrofilo Cesoline Maccarese e foce del Fiume Arrone
Bosco igrofilo con presenza di Fraxinus angustifolia (frassino meridionale), sito in prossimità della foce dell’Arrone. La formazione forestale è stata inserita nell’elenco dei siti di interesse regionale (SIR), nel corso del progetto Bioitaly. Tra gli habitat vegetali segnalati vi è quello delle “Depressioni umide interdunali”, caratteristico dei retroduna ed inserito tra quelli di interesse ai sensi della direttiva Habitat 92/43/CEE. Il fiume Arrone, emissario del lago di Bracciano, dopo un percorso di 45 km sfocia a Nord dell’abitato di Fregene. È da sottolineare come l’Arrone sia uno dei pochi corsi d’acqua che non presenta sbarramenti fino allo sbocco al mare. La foce, proprio per questo motivo, rappresenta un’importante sito per la fauna ittica a migrazioni anadroma e catadroma. Tra le specie ittiche di interesse conservazionistico sono segnalati il Barbo tiberino, il Cobite comune e la Rovella. L’area di foce e l’asta del fiume costituiscono un sito di sosta e svernamento per l’avifauna acquatica e marina costiera; tra le specie d’interesse si possono segnalare per la loro regolarità di presenza il Beccapesci, la Garzetta, il Fratino, il Martin pescatore e il Tarabusino, tutte specie di interesse unionale ai sensi della Direttiva Uccelli 2009/147/CE.
BIOTOPI DI DERIVAZIONE ANTROPICA (PRATERIE SECONDARIE) CON PRESENZA DI SPECIE DI PARTICOLARE RILEVANZA FAUNISTICA O ECOLOGICA
Praterie e coltivi tra via di Malafede e via Cristoforo Colombo e coltivi circostanti il meandro abbandonato del Fiume Tevere Aree con presenza di comunità ornitiche steppiche costituite da Calandrella (Calandrella brachydactyla), Cappellaccia (Galerida cristata), Allodola (Alauda arvensis), Beccamoschino (Cisticola juncidis), Strillozzo (Miliaria calandra), Saltimpalo (Saxicola torquata) e Gruccione (Merops apiaster). ‐Impatti reali e potenziali: Inquinamento dovuto all’uso di pesticidi e fertilizzanti. Bracconaggio. Praterie presso Castel di Guido
Praterie semplici e cespugliate con presenza di specie ornitiche di interesse tra cui Averla piccola (Lanius collurio) e Averla capirossa (Lanius senator). Queste aree sono anche utilizzate come territori di alimentazione da Accipitridi e Falconidi. Durante le migrazioni l’area è frequentata da Albanella reale (Circus cyaneus) e da Albanella minore (Circus pygargus), quest’ultima specie potrebbe nidificare nell’area ma fino ad ora non si sono riscontrate prove certe. Resta anche da confermare la nidificazione della Magnanina (Sylvia undata) e della Sterpazzola di Sardegna (Sylvia conspicillata). Gli stagni, i fossi ed i
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fontanili presenti nell’area ospitano popolazioni di Rana verde italiana (Rana esculenta complex), Rospo comune (Bufo bufo), Rospo smeraldino (Bufo viridis), Raganella (Hyla intermedia), Tritone crestato (Triturus carnifex) e Tritone punteggiato (T.vulgaris). Tra i Rettili sono presenti Testudo hermannii, Saettone (Elaphe longissima), Cervone (Elaphe quatorlineta), Natrice dal collare (Natrix natrix), Vipera comune (Vipera aspis). ‐Impatti reali e potenziali: Inquinamento dovuto all’uso di pesticidi e fertilizzanti. Mancata manutenzione dei fontanili. Pratiche agricole non attente alle esigenze naturalistiche. Coltivi a ridosso della Tenuta di Castelporziano
Aree con presenza di una comunità ornitica di interesse con specie quali Calandra (Melanocorypha calandra), Calandrella (Calandrella brachydactyla), Allodola (Alauda arvensis), Strillozzo (Miliaria calandra) e Beccamoschino (Cisticola juncidis) (Calvario e Sarrocco, non pubbl.). ‐Impatti reali e potenziali: Inquinamento dovuto all’uso di pesticidi e fertilizzanti. Pratiche agricole non attente alle esigenze naturalistiche. Area archeologica di Ostia Antica
All’interno dell’area archeologica di Ostia Antica nella Cisterna di Nettuno è presente una numerosa colonia plurispecifica di Chirotteri con Miniopterus schreibersi, Myotis myotis, Myotis capaccini, Myotis blythi e Rhinolophus ferrumequinum (oss.personali effettuate durante il survey speditivo). Il sito è stato proposto come Sito di Interesse Nazionale (SIN) all’interno del Progetto Bioitaly. Tra gli Anfibi sono segnalati il Rospo comune (Bufo bufo), il Tritone punteggiato (Triturus vulgaris), il Tritone crestato (Triturus carnifex) che si riproducono in alcune pozze tra i ruderi archeologici e, tra i Rettili, la Testuggine comune (Testudo hermannii). La comunità ornitica è ricca e diversificata con 30 specie nidificanti tra cui vanno segnalati il Martin pescatore (Alcedo atthis), l’Averla piccola (Lanius collurio) e l’Averla capirossa (Lanius senator) (Biondi et al. 1996). ‐Impatti reali e potenziali: Disturbo della colonia di Chirotteri a seguito delle numerose visite turistiche alla Cisterna di Nettuno.
AMBITI DUNALI E O COSTIERI CON PRESENZA DI SPECIE O COMUNITÀ DI PARTICOLARE RILEVANZA ECOLOGICA O FAUNISTICA
Roma Complesso di Capocotta
Complesso dunale interessato dalla nidificazione del Fratino (Charadrius alexandrinus) e del Corriere piccolo (Charadrius dubius). Durante le migrazioni e l’inverno l’area è frequentata tra le altre specie dalla Beccaccia di mare (Haematopus ostraleus), dal Chiurlo (Numenius arquata) e dalla Pivieressa (Pluvialis squatarola), l’area inoltre costituisce un sito di sosta notturna per numerose specie di Laridi. Tra i Rettili si segnala la presenza della Testuggine comune (Testudo hermanni). Tra i Coleotteri vale la pena segnalare 2 specie di Tenebrionidi: Phaleria acuminata e Phaleria provincialis, entrambe in rarefazione a causa della rimozione del detrito spiaggiato. ‐Impatti reali e potenziali: Disturbo diretto e calpestio, rimozione del detrito spiaggiato. Idroscalo di Ostia
Area costiera con ampio arenile protetto da frangiflutti artificiale, retroduna e residui di zona umida in fase avanzata di interramento, interessata dalla presenza di Corriere piccolo (Charadrius dubius), Beccamoschino (Cisticola juncidis) e Cappellaccia (Galerida cristata). Per quanto riguarda il Corriere piccolo le densità riscontrate sono particolarmente elevate (1 coppia ogni 1,92 ha) anche se il successo riproduttivo, al contrario, è piuttosto basso (Biondi e Pietrelli, 1996).
‐Impatti reali e potenziali:
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Disturbo diretto e calpestio, totale assenza di gestione dell’area. Fiumicino Dune di Passoscuro
L’area è caratterizzata da un ambiente dunale attualmente abbastanza degradato ma che presenta ancora caratteristiche di naturalità meritevoli di tutela e restauro ambientale. Il complesso dunale è sottoposto tra l’altro ad un intenso calpestio che potrebbe essere mitigato dalla messa in opera di una recinzione.
2.3 DEFINIZIONE DEGLI OBIETTIVI GESTIONALI E A.I.B. (da: decreto istitutivo della RNS, piano di gestione della Riserva, eventuali piani forestali e dei pascoli, ecc.)
L’art. 3 del Decreto istitutivo della RNS del 29 marzo del 1996 indica le seguenti finalità gestionali: a) la conservazione delle caratteristiche ecologiche, florovegetazionali, faunistiche e idrogeomorfologiche; b) il restauro ambientale degli ecosistemi degradati; c) la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, archeologico, monumentale e culturale, anche con riferimento al patrimonio storico‐architettonico di edilizia rurale minore; d) la tutela dei valori paesistici; e) la salvaguardia e valorizzazione del patrimonio agricolo dell'area, promuovendo anche forme di ricerca finalizzate alla realizzazione di un sistema produttivo agro‐ambientale a basso impatto; f) la promozione delle attività compatibili con la conservazione delle risorse naturali, con particolare riferimento ai caratteri peculiari del territorio; h) la realizzazione di programmi di educazione ambientale. Attualmente il Piano di Gestione della Riserva è ancora in fase di approvazione da parte del MATTM; l’aspetto inerente appunto l’esigenza di proteggere adeguatamente le aree boscate della riserva da possibili incendi è stato più volte sottoposto dagli enti di gestione all’attenzione del gruppo di lavoro coordinato dal Commissario ad Acta Dott. Vito Consoli, in quanto le politiche gestionali definite nel piano di gestione comprendessero anche l’obiettivo della protezione degli incendi boschivi. Tale obiettivo è a tutti gli effetti un’azione di tutela e di conservazione degli habitat e degli ecosistemi presenti nella Riserva. Le linee di intervento definite nell’ambito delle azioni di prevenzione indiretta sono in ogni caso conformi alle misure di salvaguardia imposte dal decreto istitutivo della riserva.
METODOLOGIA AIB
In linea generale, la pianificazione antincendi boschivi può essere realizzata a diverse scale territoriali, ciascuna delle quali aventi precise connotazioni. In particolare, in termini di pianificazione antincendi boschivi, possono essere individuati tre livelli: area piccola, media e vasta, a seconda della dimensione dell’area cui la pianificazione si rivolge (Bovio, 1991). Evidentemente la pianificazione su scala locale deve uniformarsi e integrarsi con la pianificazione di contesti territoriali più ampi. In particolare in questo caso, la recente Legge 353 del 21 novembre 2000 “Legge‐quadro in materia di incendi boschivi” che abroga la precedente L. 47/75, conferma il ruolo delle Regioni in materia e prescrive la realizzazione di specifici “Piani regionali di programmazione delle attività di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi”. Si è applicato il concetto di impatto atteso (Bovio e Camia 1996a; 1996b), inteso come valutazione delle conseguenze degli effetti del fuoco considerati dal punto di vista del grado di conflitto con gli obiettivi di pianificazione e gestione delle risorse naturali. Si è così definita la distribuzione spaziale dell’impatto atteso degli incendi valutando l’intensità potenziale in relazione alle finalità della riserva, alle emergenze naturalistiche e archeologiche, al patrimonio storico, alla fruizione ed alle infrastrutture. Sulla base del comportamento del fuoco prevedibile e dell’impatto atteso, analizzata l’attuale organizzazione del servizio di protezione dagli incendi boschivi della Riserva, si sono quindi definiti gli obiettivi e le priorità
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di protezione e localizzati i nuovi interventi. Si deve tenere conto del fatto che la moderna pianificazione antincendi fissa gli obiettivi di Piano in termini di “Superficie percorsa dal fuoco ammissibile”, denominata brevemente AB% (Allowable Burned Area), accettando che il fuoco possa interessare parte del territorio posto a protezione, purché contenuta entro precisi limiti di estensione ed entro precisi parametri di comportamento del fuoco (Bovio 1993). Il concetto di superficie percorsa ammissibile si applica per lo più a pianificazioni antincendio di area vasta, e quindi di livello regionale. Su area limitata, per diversi ordini di motivi, il significato e quindi il peso che viene dato a valori di AB% obiettivo è assai meno rilevante. In effetti nelle aree boscate della Riserva, la superficie percorsa ammissibile dovrebbe teoricamente tendere a zero, dato il livello di importanza dell’area e la scala di riferimento. Si deve tuttavia prendere atto che, per una serie di fattori al contorno che verranno illustrati nel piano, è molto difficile, attraverso il solo piano, porre in essere azioni che possano contrastare il fenomeno al punto di annullarlo. Si devono pertanto configurare gli interventi in modo che gli incendi che si verificheranno siano contenuti, in termini di estensione ed intensità, entro limiti accettabili, ovvero che dal punto di vista statistico essi possano essere ricondotti alla tipologia di evento catalogabile come “principio di incendio”. Un aspetto importante riguarda l’integrazione tra le attività di prevenzione, estinzione e ricostituzione dei boschi percorsi dal fuoco, temi che sono normalmente trattati nei piani antincendi. Per quanto riguarda la suddivisione del territorio della Riserva in zone a diverso regime di tutela di cui al comma 3 lett. b) dell’articolo 10 del DM 29 marzo 1996, si è ritenuto più opportuno fare riferimento alla zonizzazione del piano come individuata nell’art. 2 del decreto istitutivo, rimandando per ulteriori più specifici indirizzi di gestione agli ambiti territoriali individuati. Si ritiene infatti che la finalità principale della zonizzazione di un’Area Protetta, ovvero la differenziazione delle vocazioni e delle caratteristiche ambientali e socio‐economiche del territorio, come indicato dalla L. 394/91 sia sufficientemente assicurata dall’individuazione delle Aree di Tipo 1 e 2 del Decreto istitutivo, a cui si sommano gli effetti derivanti dalle previsioni specifiche contenute nelle indicazioni gestionali riferite alle singole Unità di Gestione. Infatti, l’organizzazione del territorio della RNSLR in UdG può assicurare una unitarietà di gestione di porzioni omogenee, sia dal punto di vista delle componenti caratterizzanti sia dal punto di vista delle criticità da superare, che possono risultare distribuite in modo frammentato dove applicare una ulteriore suddivisione delle Aree 1 e 2 in zone (es. A, B, C, D) a decrescente livello di tutela, potrebbe generare enormi difficoltà gestionali, in quanto le eventuali norme di zona andrebbero comunque circostanziate sulle tipologie di territorio differenti per vocazione, grado di antropizzazione, valore ecologico e /o storico‐documentale. Si ritiene pertanto che il combinato del regime di tutela operato dalla suddivisione in Aree 1 e 2 con gli indirizzi specifici per UdG, corrisponda meglio agli obiettivi istitutivi della Riserva nella sua totalità e complessità. Si richiama pertanto quanto previsto dall’art. 2 del DM: 1. All'interno del territorio della riserva sono individuate le seguenti aree: Aree tipo 1 caratterizzate da ambienti di rilevante interesse naturalistico, paesaggistico e culturale con limitato o inesistente grado di antropizzazione; Aree tipo 2 caratterizzate prevalentemente da ambienti agricoli a maggiore grado di antropizzazione con funzioni di interconnessione territoriale e naturalistica delle aree di tipo 1 ovvero, destinate al recupero territoriale, ambientale e paesaggistico. A seguito della revisione del quadro conoscitivo alla base della proposta di Piano di gestione della Riserva è emersa la presenza di strutture ed impianti incompatibili con i valori tutelati. Per le aree prossime al confine della Riserva si propone di valutare una revisione del perimetrazione, per quelle non prossime al confine si propone di valutare l’ipotesi di una delocalizzazione. L’area lungo il perimetro per cui valutare un’eventuale esclusione è quella interessata dalla Raffineria di Roma in località Malagrotta, nel comune di Roma. Analogamente si ritiene di poter deperimetrare alcune aree urbanizzate lungo i margini della Riserva, quali la zona artigianale di Dragona. Per l’impianto di compostaggio AMA in località “piana delle vacche”, comune di Fiumicino si suggerisce la delocalizzazione al di fuori della Riserva. A seguito delle analisi effettuate per l’aggiornamento del quadro conoscitivo è emersa l’opportunità di riconsiderare l’inserimento dell’area in località “Vignole” nel perimetro della Riserva, in quanto è stata
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confermata la valenza dell’area dal punto di vista naturalistico, della continuità ecologica, per la presenza di un’area umida e relative specie faunistiche di interesse conservazionistico. Sono individuate in questa tipologia, a maggior livello di tutela, le seguenti: Aree di Tipo 1
Gli arenili con vegetazione psammofila; L’area umida della foce del fiume Arrone; Il sistema dunale di Capocotta; L’ansa morta del Tevere (Spinaceto); La piscina torta (Castel Fusano); L’area umida della foce del fosso dei Tre Denari; Foci e aree umide; Leccete, pinete e macchie litoranee; I principali canali, bacini e corsi d’acqua; Fiume Tevere e canale navigabile; Macchia Grande di Ponte Galeria Macchia Grande di Focene e Macchia dello Stagneto C.H.M. Centro habitat mediterraneo Sughereta di Procoio Aree agricole di protezione delle vasche di Maccarese e dei canali e fossi limitrofi; Villa Guglielmi; Campeggi (in aree boscate) Le aree archeologiche principali; Le aree agricole con valori archeologici e paesaggistici
Aree di Tipo 2
Sono individuate in questa tipologia, a minor livello di tutela, le seguenti:
Le Aree agricole a minore valenza naturalistica e paesaggistica; Le aree agricole fortemente urbanizzate; I borghi e le aree edificate;
Gli Obiettivi generali di Gestione per la RNS Litorale Romano possono quindi essere riassunti in: 1. Riqualificazione e recupero dei caratteri naturali propri del territorio (x ambito e unità di paesaggio) 2. Riqualificazione e recupero dei paesaggi degradati 3. Mantenimento e protezione della biodiversità e della funzione ecologica delle componenti naturali del territorio 4. Mantenimento dei caratteri strutturanti il territorio agricolo 5. Recupero funzionale e strutturale del reticolo idrografico superficiale e utilizzo delle risorse idriche compatibilmente con la salvaguardia degli ecosistemi 6. Mitigazione della conflittualità tra fauna selvatica e attività antropiche 7. Miglioramento il sistema di accessibilità all’area naturale protetta 8. Promozione del turismo sostenibile e delle attività ad esso connesso 9. Creazione e gestione di aree attrezzate per la fruizione della Riserva 10. Promozione e incentivazione di forme di mobilità sostenibile legata in particolar modo alla fruizione turistica balneare 11. Promozione del prodotto agricolo e zoo‐tecnico e incentivazione del processo produttivo di qualità 12. Promozione e incentivazione della multifunzionalità delle aziende agricole con particolare attenzione a forme di ricettività agrituristica
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13. Promozione di progetti di ricerca scientifica di miglioramento delle conoscenze di base e predisposizione di modalità di archiviazione in banche dati aperte e conformi ai più moderni e condivisi sistemi di georeferenziazione; monitoraggio di habitat e specie di particolare interesse conservazionistico (Direttiva Habitat, Liste Rosse IUCN) 14. Promozione di progetti di educazione ambientale, in particolare correlati alla Citizen Science, da svolgere negli istituti scolastici del territorio. Gli enti gestori non si sono dotati di Piano di Gestione e Assestamento forestale e di Piano di Pascolamento, peraltro obbligatori per legge ai sensi della LR 39/2002. Si ritiene che tale tipo di pianificazione sia essenziale ai fini di una gestione sostenibile, data la notevole estensione sia delle superfici boschive e pascolive. Indicazioni sulle tipologie di interventi da effettuare
Le tipologie di intervento sono state individuate in seguito alla realizzazione della fase di previsione e sono descritte nel dettaglio anche in funzione della loro azione di prevenzione o contrasto al diffondersi degli incendi. La descrizione fa riferimento alla zonizzazione di sintesi rappresentata nella Carta degli interventi (Tavola 3.8). La carta degli interventi (indica anche le fasce di pertinenza stradale e tagliafuoco ovvero gli spazi difensivi delle infrastrutture considerate). Con questo termine viene indicata l’area compresa tra la struttura e la vegetazione boschiva limitrofa che, se opportunamente gestita, può impedire all’incendio di raggiungere l’abitazione in assenza di interventi di estinzione, nonché la propagazione dell’incendio dall’abitazione alla vegetazione circostante. Questi spazi difensivi sono utili per individuare le zone in cui sarà opportuno dare la priorità selvicolturale per la difesa delle zone di interfaccia. Infine, la presenza di un tale spazio agevola il lavoro delle squadre impegnate nelle operazioni di estinzione. I concetti di base da seguire nella predisposizione e gestione dello spazio difensivo sono la riduzione e la discontinuità del combustibile.
Indicazioni sulla valenza funzionale autonoma e sinergica dei singoli interventi
Ciascun intervento è stato progettato con l’intento di possedere una propria efficienza e di concorrere sinergicamente con gli altri interventi proposti al raggiungimento degli obiettivi di tutela prefissati dal piano. Le indicazioni sulla valenza funzionale che accompagnano ciascun intervento cercano di porre in risalto i risvolti positivi e negativi (Analisi pro/contro) di una realizzazione autonoma e/o sinergica.
Individuazione e reperimento di documenti e cartografie disponibili Per quanto riguarda la cartografia sono stati acquisiti i tematismi esistenti più consoni ai fini della pianificazione AIB. L’intero svolgimento del piano è stato infatti strettamente legato alle analisi spaziali che possono essere effettuate con Sistemi Informativi Geografici (in ambiente GIS).
Descrizione delle aree contigue alla Riserva Naturale Statale del Litorale Romano La descrizione delle aree contigue alla Riserva Naturale Statale del Litorale Romano è stata effettuata dando particolare risalto ai fattori di rischio predisponenti gli incendi. In particolare sono state analizzate le aree confinanti alla Riserva Naturale Statale le cui caratteristiche territoriali, ambientali e antropiche possono costituire una minaccia per il territorio protetto, soprattutto in relazione alla probabilità di innesco.
Classificazione e perimetrazione di aree omogenee per pericolosità e per possibile gravità d’incendi
La definizione di aree considerate omogenee per pericolosità e per gravità di incendio è stata attuata in seguito all’analisi dei fattori predisponenti gli incendi boschivi nella Riserva Naturale Statale del Litorale Romano. Le informazioni sono state rappresentate sotto forma di cartografia (Carta della gravità Tav. 2.19) tematica corredata da legende dettagliate in apposite tabelle di decodifica.
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ELEMENTI PER L’INDIVIDUAZIONE DI FATTORI PREDISPONENTI E CAUSE DETERMINANTI 2.4 ANALISI DELLE TIPOLOGIE VEGETAZIONALI PRESENTI NELL’AREA
Per l’analisi vegetazionale, poiché le informazioni esistenti erano insufficienti a definire le caratteristiche dell’area, si è proceduto alla redazione della carta dell’uso del suolo con approfondimenti sulla vegetazione silvo‐pastorale (Tav. 2.13.). La carta è stata realizzata con finalità antincendi sulla base della cartografia tecnica regionale ed è rappresentabile ad una scala di 1:10.000 (la minima unità cartografabile è pari a 0,25 ha). Le voci della legenda comprendono le diverse formazioni forestali richiamando quanto precedentemente descritto a riguardo degli aspetti vegetazionali della RNS, ma anche altre voci di uso del suolo rilevanti per il Piano. Esse fanno riferimento alle caratteristiche fisionomico ‐ strutturali dei diversi popolamenti forestali, ma anche alla presenza di biomassa nel sottobosco che è uno degli elementi fondamentali per la valutazione del comportamento del fuoco più probabile. Questa carta tematica tiene inoltre conto, in una certa misura, anche del possibile effetto del fuoco sui popolamenti. Infine, per facilitare un eventuale classificazione del territorio sulla base delle caratteristiche della vegetazione, è stata effettuata anche una indicizzazione del valore naturalistico dei diversi tipi vegetazionali rilevati.
Tabella 6: diversi tipi vegetazionali rilevati.
VEGETAZIONE SEMPREVERDE (NATURALE E ARTIFICIALE)
1 Pineta senza o con scarso sottobosco
2 Pineta con macchia nel sottobosco
3 Rimboschimenti a prevalenza di conifere
4 Lecceta (Viburno-Quercetum ilicis)
5 Boscaglia di leccio o Lecceta retrodunale
6 Cerreta collinare
7 Bosco submediterraneo planiziale a cerro, farnetto e rovere
VEGETAZIONE MESOIGROFILA A CADUCIFOGLIE
8 Bosco ripariale di pioppo e salici
9 Eucalipteti
10 Robinieti e Ailanteti
MACCHIA E ARBUSTETI
11 Macchia a Fillirea e lentisco (Viburno-Quercetum ilicis)
12 Duna consolidata con copertura del 35-50%
13 Duna consolidata con copertura del 50-85%
14 Duna consolidata copertura del 85-100%
15 Duna mobile con copertura del 20-35%
16 Duna mobile con copertura del 35-60%
17 Duna mobile con copertura del 60-80%
18 Vegetazione aloigrofila
19 Arbusteti e stadi di ricostituzione forestale boschi a caducifoglie
20 Canneto a Phragmites australis
VEGETAZIONE ERBACEA A PASCOLO E PRATO-PASCOLO
21 Praterie mediterranee
22 Praterie collinari a Dasypyrum villosum
23 Prati e pascoli avvicendati
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VEGETAZIONE SEMPREVERDE (NATURALE E ARTIFICIALE) Pinete mediterranee a Pinus pinea L.
Vengono qui riunite le pinete degli ambienti più caldi dove in generale si ha clima mediterraneo, con un in inverno dove le gelate e le nevicate sono un evento abbastanza eccezionale e l’estate con un periodo di siccità pressoché completo. Queste pinete si presentano quasi esclusivamente nella zona dell’ulivo, dove spesso costituiscono l’unica forma d’intervento possibile per rimboschire le superfici più aride; tuttavia sono di uso delicato per la facilità di incendi. Ecologia: Le pinete mediterranee formano un complesso in generale non molto denso, che permette alla luce di penetrare anche nel sottobosco; esse tuttavia possono raggiungere un ottimo sviluppo. Si formano per lo più su suoli acidi, però a volte anche su calcare oppure lungo le coste sui substrati sabbiosi. La forte produzione di lettiera, che in generale viene demolita molto lentamente e quindi costituisce uno strato feltroso alla superficie del suolo, spesso limita la possibilità di espansione alla flora di sottobosco, che ne risulta banalizzata. Il Pino domestico è diffuso soprattutto nelle pinete litoranee e nei viali, parchi e giardini di molte città, soprattutto a Roma: quindi cresce come specie coltivata, anche se alcune pinete delle coste potrebbero venire considerate spontanee. Si trova in ambiente mediterraneo, analogo a quello della lecceta, con quote da 0 a 600 m s.l.m.
1. Pineta senza o con scarso sottobosco Potenzialmente questa unità vegetazionale evolverà verso la lecceta. In alcuni tratti si osserva già un accenno di sottobosco più fitto. L’evoluzione verso la vegetazione naturale dovrebbe essere molto lenta ed eventuali interventi per accelerarla o favorirla potranno essere effettuati solo se previsti dal redigendo piano di gestione La presenza di un innesco darebbe origine a un fronte di fiamma di intensità medio e comunque con probabilità di passare in chioma, in quanto il sottobosco è mediamente occupato da macchia mediterranea. La macchia mediterranea e la superficie erbosa può localmente avere effetto sul fuoco e determinare un aumento dell’altezza di fiamma. La maggior parte di questo tipo di formazione, che assume i caratteri di pineta adulta con scarso sottobosco di macchia, si trova all’interno della Pineta di Fregene e nelle zone limitrofe (fuori dal parco urbano) soprattutto nelle due porzioni estreme del bosco, una posta tra Viale della Pineta di Fregene e Viale Sestri Levante e l’altra posta tra Viale della Pineta di Fregene e Via Porto Venere. Si tratta infatti di aree (di estensione pari a circa 3 ha) in cui sono presenti individui di pino maturi. Per la scarsa frequentazione antropica, gli interventi di ripulitura del sottobosco sono meno frequenti e consentono l’ingresso di uno strato arbustivo relativamente abbondante di specie di macchia mediterranea con prevalenza di lentisco e più frequentemente con presenza di leccio come piano dominato. La presenza di questi arbusti e il conseguente aumento della biomassa aumentano la potenziale pericolosità di incendio e la possibilità del passaggio in chioma sugli individui dominanti. La tipologia di pineta chiusa si presenta adulta, con sottobosco di macchia mediamente occupato, nell’area della Pineta di Fregene fuori dal parco urbano (superficie di circa 20 ha), e nell’area di Coccia di Morto (circa 14 ha).
Roma Pinete con scarso sottobosco si rilevano nell’area di Castel Fusano lungo il canale dei Pescatori nella estremità nord, e nei dintorni di villa Chigi, ed in alcune aree lungo via di Castelporziano dove sono previste le aree di sosta. Un’ampia area a pineta con scarso sottobosco riguarda la zona delle Acque Rosse. Altre aree a pineta sono di proprietà privata lungo via di Castel Fusano ed utilizzate da un punto di vista ricreativo. Un’altra grande pineta di questo tipo sempre privata riguarda quella di fronte il liceo scientifico Labriola, la via Ostiense e la caserma della polizia di Stato.
2. Pineta con macchia nel sottobosco La vegetazione di questa unità è costituita da pini di notevoli dimensioni, piuttosto radi, tra i quali cresce la macchia di leccio con le tipiche specie sempreverdi della lecceta. Il paesaggio costituito da questo tipo vegetazionale, benché di origine artificiale, è di grande valore naturalistico. La vegetazione dovrebbe evolvere lentamente verso la lecceta, benché la macchia sembri in una condizione di relativa stabilità e
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non mostra lo sviluppo di esemplari arborei. La presenza di un innesco, per entrambe le aree, darebbe origine a un fronte di fiamma di intensità medio ‐ bassa e comunque con scarse probabilità di passare in chioma. Questo è dovuto alla scarsa quantità di biomassa bruciabile presente nel sottobosco. Pur tuttavia la presenza sporadica di arbusti della macchia mediterranea può localmente avere effetto sul fuoco e determinare un aumento dell’altezza di fiamma. Si rilevano vari stadi di mescolanza ed età tra le formazioni a pino ed a leccio che vanno a formare un mosaico di pineta, macchia alta e foresta di leccio. Le singole unità del mosaico sono generalmente di 300‐500 mq. Le considerazioni svolte per quanto riguarda le unità 1, 8 e 5 possono essere riportate per questo mosaico. La natura di mosaico presumibilmente favorisce l’evoluzione della vegetazione verso uno stadio simile alla lecceta. Anche in questo caso si tratta di formazioni ad elevata pericolosità di incendio in quanto la continuità verticale del combustibile da origine nel caso di innesco a incendi di elevata intensità che possono avere effetti altamente distruttivi sul soprassuolo. Questo tipo raggruppa i boschi aventi la composizione e la fisionomia più rappresentativa della vegetazione mediterranea tipica, cioè con l’alta frequenza e con la dominanza quasi assoluta di sempreverdi sclerofille. La composizione della Lecceta tipica nello stato di bosco maturo di alto fusto prevede: il leccio come specie dominante, la sughera in posizione subordinata ma solo su terreni acidi, gli alberelli e arbusti sclerofillici, (filliree, laurotino, lentisco, corbezzolo, alaterno, mirto) in posizione di sottobosco o di radura e, infine, arbusti pionieri mediterranei (erica arborea, varie specie di cisti, di ginepri e di leguminose del tipo delle “ginestre” , ecc.) arroccati nelle plaghe a terreno meno fertile. La struttura in cui si trova la Lecceta tipica è quella di bosco ceduo matricinato o, più raramente, di ceduo composto. Questo tipo corrisponde all’associazione Viburno tini‐Quercetum ilicis.
Roma Le aree a pineta con sottobosco sono le più diffuse in quanto la mancanza di interventi selvicolturali e di fattori antropici ha favorito lo sviluppo delle specie tipiche della macchia mediterranea e del leccio con diversi stadi evolutivi. Tale tipologia la troviamo nelle aree di Castel Fusano non percorse dal fuoco, tra via del Martin Pescatore e la via Litoranea. Un’altra grande pineta di questo tipo sempre privata riguarda quella tra la località Procoio e via del Promontorio.
Fiumicino Questo tipo di vegetazione assume i caratteri di pineta adulta con sottobosco di macchia mediamente occupato; è presente soprattutto nelle aree di maggiore fruizione della Pineta di Fregene (circa 19 ha); ma si ha la presenza di tale vegetazione anche nella zona di Coccia di Morto (circa 10 ha). L’area boscata di Fregene si tratta di una formazione integrata nel tessuto urbano e adibita a parco pubblico cittadino attraversata da sentieri pedonali in terra battuta ripuliti dalla vegetazione erbacea ed arbustiva spontanea. Al suo interno sono presenti delle aree ricreative con spazi ludici in legno e delle aree di sosta attrezzate; il sottobosco risulta scarso anche perché viene frequentemente ripulito in prossimità delle aree a maggior frequentazione antropica. Recenti studi dendroecologici condotti in tale area hanno rilevato numerosi esemplari di pino domestico con età superiore ai 200 anni; la pineta di Fregene ospita quindi i pini domestici più vecchi fino ad ora scientificamente datati in tutto il Bacino Mediterraneo. Nell’area di Coccia di Morto, posta nella zona limitrofa all’aeroporto, è effettuata periodicamente, su iniziativa della proprietà, la manutenzione delle fasce tagliafuoco esistenti. Il mosaico di vegetazione pino leccio, si rileva all’interno del bosco di leccio di Macchiagrande, in un’area di forma trapezoidale posta all’incrocio tra Viale dell’Olivetello ed il canale si estende, per una superficie di circa 6,80 ha, una pineta adulta rada che presenta un sottobosco di macchia mediterranea alta con forte presenza di leccio.
Boschi misti a prevalenza di conifere mediterranee Queste formazioni comprendono i rimboschimenti di conifere (Pinus halepensis, Pinus Pinea, Cupressus spp. (Cedrus spp) e latifoglie (Quercus cerris). Formano un complesso in generale non molto denso, che permette alla luce di penetrare anche nel sottobosco; esse tuttavia possono raggiungere un ottimo sviluppo. Necessitano di interventi colturali di diradamento per favorire l’entrata e la diffusione delle latifoglie.
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3. Rimboschimenti a prevalenza di conifere
Si tratta di ampi rimboschimenti a prevalenza di conifere costituite da Pino domestico, Pino d’Aleppo, Cipresso e Cedro, misti a latifoglie quali cerro e roverella tutti di origine artificiale. I rimboschimenti di conifere sono eccessivamente densi con scarsa presenza di sottobosco. Si rileva la presenza di schianti di piante e rami e la necessità di operazioni di diradamento per favorire l’entrata delle latifoglie e l’evoluzione naturale, riducendo la pericolosità. I rimboschimenti arrivano a costeggiare un tratto della strada statale via Aurelia. Tutte queste formazioni di origine artificiale rientrano nell’azienda agricola di Castel di Guido.
Bosco di leccio con orniello e viburno Bosco sempreverde con dominanza di Quercus ilex L. per lo più puro, oppure anche in consorzio misto con altre specie, ma in generale queste hanno individui di dimensioni ridotte ed il leccio rimane dominante nello strato superiore. Ecologia: il leccio è una specie termofila, ma che ha anche una certe esigenza di disponibilità idrica; è adatto alla vita in ambiente mediterraneo, cioè in condizioni di grande aridità estiva ed in estate si trova in fase di riposo vegetativo, tuttavia una certa riserva d’acqua nel suolo risulta necessaria. Resiste alle gelate ed alla neve (quando si tratti di eventi sporadici), quindi può presentarsi anche all’interno: la sua area corrisponde circa a quella della coltivazione dell’ulivo. Dopo la ceduazione è in grado di riprendere, però in generale più lentamente di altre specie sempreverdi; si mantiene anche dopo l’incendio. Il Bosco misto con prevalenza di leccio con orniello e viburno si presenta in ambiente collinare di passaggio al bosco caducifoglie di roverella, su suoli relativamente profondi ed umificati in superficie. La distribuzione altimetrica va da 0 a 800 m s.l.m.
4. Lecceta (Viburno‐Quercetum ilicis) Questa unità di vegetazione è il tipo vegetazionale più maturo e più prossimo alla vegetazione potenziale, benché ancora numerosi decenni saranno necessari per raggiungere lo stadio di foresta disetanea di leccio che costituisce lo stadio più evoluto della vegetazione nel territorio delle fasce dunali recenti. Questa tipologia dal punto di vista degli incendi può dare origine a fronti di fiamma di elevata intensità e altezza di fiamma, considerando inoltre che il leccio è comunque un’emergenza naturalistica di pregio nella Riserva Naturale Statale del Litorale Romano, si tratta di soprassuoli ad elevata vulnerabilità (anche se il leccio ha una certa capacità di ricaccio post incendio che però viene compromessa nel caso di ambienti degradati) in cui è necessario porre particolare attenzione per preservarne le caratteristiche. Lungo i fianchi di alcune vallette, in particolare dei fossi che tagliano in senso NE‐SW la Macchiagrande di Ponte Galeria, si osservano alcuni esempi interessanti di lecceta ben sviluppata, con lecci (Quercus ilex) di notevoli dimensioni benché la vegetazione non sia disetanea e manchino esemplari monumentali; la stratificazione della vegetazione è buona, con un sottobosco ricco soprattutto di lentisco (Pistacia lentiscus). La naturalità di questa vegetazione è alta; inoltre il suo interesse scientifico è alto, in quanto nella Campagna Romana i lembi di lecceta primaria, non derivante da degradazione della cerreta, sono molto rari, si rinvengono per lo più in situazioni di forte pendio o addirittura di parete verticale, e appartengono a un’associazione in cui il leccio si mescola a specie caducifoglie (Orno‐Quercetum ilicis). Il Viburno‐Quercetum ilicis si rinviene pressoché solamente sul cordone di dune recenti del litorale, per esempio a Castel Fusano. A causa della loro posizione acclive gli impatti su questa vegetazione sono piuttosto limitati.
Roma La foresta di leccio è sviluppata su una notevole superficie presso il canale dei Pescatori, in località Riserva Ragnara. Si tratta di un bosco basso, approssimativamente coetaneo, con tracce piuttosto evidenti di passate ceduazioni, con un sottobosco poco sviluppato costituito prevalentemente da Phillyrea latifolia, e, nello strato erbaceo, da Hedera helix, Cyclamen repandum, Carex distachya, Ruscus aculeatus. Sui bordi dei sentieri è abbondante Coronilla emerus. Sono presenti alcun rari esemplari di roverella (Quercus pubescens) interessanti in quanto dimostrano come probabilmente nella vegetazione potenziale sarebbe
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presente anche questa specie caducifoglie. In numerosi punti si osservano piante e plantule di alloro. Si rileva la presenza nel piano dominante di grossi pini domestici con bassa densità. Lungo il sentiero che corre lungo il canale di Pescatori, si osservano grandi esemplari di leccio profondamente cariati e anche notevoli esemplari di alloro arborei. Probabilmente questi grandi esemplari, di notevole valore paesaggistico e naturalistico, non sono di origine naturale, ma colturale, in relazione con l’ingresso alla villa Chigi. Sono tuttavia perfettamente integrati nel paesaggio naturale. Tratti di foresta di leccio, con un sottobosco più sviluppato e maggiormente intricati ma per il resto simili a quelli di foresta Ragnara, se non per l’assenza dell’alloro e la rarità della Coronilla emerus, si osservano presso la villa di Plinio. All’interno del SIC IT6030025 Macchiagrande di Ponte Galeria, si sono rilevate aree costiuenti habitat comunitario 9340 costituito da Foreste di Quercus ilex e Quercus rotundifolia”.
Tale Habitat appartiene alla Regione biogeografica Continentale Alpina e Mediterranea. La composizione porta alla formazione di Boschi dei Piani Termo, Meso, Supra e Sub meso‐Mediterraneo a dominanza di leccio (Quercus ilex L.), su suoli che possono essere da calcicoli a silicicoli, da rupicoli o psammofili a mesofili, generalmente pluristratificati, con ampia distribuzione nella penisola italiana sia nei territori costieri e subcostieri che nelle aree interne appenniniche e prealpine. Inclusi sono anche gli aspetti di macchia, se suscettibili di recupero, sia naturale che agevolato da interventi antropici. Per il territorio italiano vengono riconosciuti i sottotipi 45.31 e 45.32. I sottotipi già individuati dal Manuale EUR/27 possono essere articolati per il territorio italiano come segue: ‐ 45.31. Leccete termofile prevalenti nei Piani bioclimatici Termo e Meso Mediterraneo
(occasionalmente anche nel Piano Submediterraneo), da calcicole a silicicole, da rupicole a mesofile, dell’Italia costiera e subcostiera.
‐ 45.32. Leccete mesofile prevalenti nei Piani bioclimatici Supra, Sub e Meso Mediterranei (occasionalmente anche nei Piani Subsupramediterraneo e Mesotemperato), da calcicole a silicicole, da rupicole a mesofile, dei territori collinari interni, sia peninsulari che insulari, e, marginalmente, delle aree prealpine. Il Sottotipo 45.32 riferisce principalmente agli aspetti di transizione tra le classi Quercetea ilicis e Querco‐Fagetea che si sviluppano prevalentemente lungo la catena appenninica e, in minor misura, nei territori interni di Sicilia e Sardegna e sulle pendici più calde delle aree insubrica e prealpina ove assumono carattere relittuale. Tra le specie indicate nel Manuale Europeo solo Quercus ilex (Leccio) è presente in Italia. Lo strato arboreo di queste cenosi forestali è generalmente dominato in modo netto dal leccio, spesso accompagnato da Fraxinus ornus L. (Orniello). All’interno della combinazione vegetale presente nel Sottotipo 45.31 sono frequenti altre specie sempreverdi, come Laurus nobilis, o semidecidue quali Quercus dalechampii, Q. virgiliana, Q. suber, mentre nel Sottotipo 45.32 possono essere presenti specie caducifoglie quali Ostrya carpinifolia, Quercus cerris, Celtis australis, Cercis siliquastrum. Tra gli arbusti, in entrambi i sottotipi, sono generalmente frequenti Arbutus unedo, Phillyrea angustifolia, P. latifolia, Rhamnus alaternus, Pistacia terebinthus, Viburnum tinus, Erica arborea. Tra le liane Rubia peregrina, Smilax aspera, Lonicera implexa. Lo strato erbaceo è generalmente molto povero. Le specie maggiormente caratterizzanti che si possono ricordare sono Cyclamen hederifolium, C. repandum, Festuca exaltata, Limodorum abortivum. La lecceta extrazonale endemica del litorale sabbioso nord‐adriatico si differenzia per l’originale commistione di elementi mesofili a gravitazione eurasiatica (quali ad es. Crataegus monogyna, Ligustrum vulgare, Cornus sanguinea) e di altri a carattere mediterraneo (Rubia peregrina, Asparagus acutifolius, Smilax aspera). Le leccete della penisola italiana sono distribuite nelle Province biogeografiche Italo‐Tirrenica, Appennino‐Balcanica e Adriatica e svolgono un ruolo di cerniera tra l’area tirrenica ad occidente e quella adriatica ad oriente; sulla base delle più recenti revisioni sintassonomiche esse vengono riferite all’alleanza mediterranea centro‐orientale Fraxino orni‐ Quercion ilicis Biondi, Casavecchia & Gigante 2003 (ordine Quercetalia ilicis Br.‐Bl. Ex Molinier 1934 em. Rivas‐Martínez 1975, classe Quercetea ilicis Br.‐Bl. ex A. & O. Bolòs 1950), all’interno della quale vengono riconosciuti due principali gruppi ecologici, uno termofilo e l’altro mesofilo. Le cenosi a dominanza di leccio distribuite nei territori peninsulari afferiscono alla sub‐alleanza Fraxino orni‐Quercenion ilicis (Biondi, Casavecchia & Gigante 2003). Le leccete del Sottotipo 45.31, presenti nell’Italia peninsulare costiera ed insulare, costituiscono generalmente la vegetazione climatofila (climax o testa di serie) nell’ambito del Piano bioclimatico meso‐
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mediterraneo e, in diversi casi, in quello termo‐mediterraneo, su substrati di varia natura. Le tappe dinamiche di sostituzione possono coinvolgere le fitocenosi arbustive riferibili agli Habitat 2250 “Dune costiere con Juniperus spp.” e 5210 “Matorral arborescenti di Juniperus spp.”, gli arbusteti e le macchie dell’alleanza Ericion arboreae, le garighe dell’Habitat 2260 “Dune con vegetazione di sclerofille dei Cisto‐Lavenduletalia” e quelle della classe Rosmarinetea, i “Percorsi substeppici di graminacee e piante annue dei Thero‐Brachypodietea” dell’Habitat 6220*. Le leccete del Sottotipo 45.32 rappresentano prevalentemente (ma non solo) aspetti edafo‐xerofili in contesti caratterizzati dalla potenzialità per la foresta di caducifoglie, o comunque esprimono condizioni edafiche e topoclimatiche particolari. Le tappe dinamiche di sostituzione sono spesso riferibili ad arbusteti della classe Rhamno‐prunetea (in parte riconducibile all’Habitat 5130 “Formazioni a Juniperus communis su lande o prati calcicoli”, a garighe della classe Rosmarinetea, a “Formazioni erbose rupicole calcicole o basofile dell’Alysso‐Sedion albi” dell’Habitat 6110, a “Percorsi substeppici di graminacee e piante annue dei Thero‐Brachypodietea” dell’Habitat 6220*.
Fiumicino Tale tipologia è situata nella zona dell’oasi di Macchiagrande; ha una superficie boscata costituita di una copertura fitta di leccio che caratterizza il piano dominante del popolamento e di un abbondante sottobosco costituito dalle specie tipiche della macchia mediterranea. La distanza tra piano dominante e piano dominato non è elevatissima e questo fatto determina comunque un’elevata pericolosità di incendio con possibilità di sviluppo di fronti di fiamma capaci di lambire facilmente le chiome.
Boscaglia di leccio o lecceta retrodunale Bosco sempreverde con dominanza di Quercus ilex L. per lo più puro, oppure anche in consorzio misto con altre specie, ma in generale queste hanno individui di dimensioni ridotte ed il leccio rimane dominante nello strato superiore. Ecologia: il leccio è una specie termofila, ma che ha anche una certe esigenza di disponibilità idrica; è adatto alla vita in ambiente mediterraneo, cioè in condizioni di grande aridità estiva ed in estate si trova in fase di riposo vegetativo, tuttavia una certa riserva d’acqua nel suolo risulta necessaria. Resiste alle gelate ed alla neve (quando si tratti di eventi sporadici), quindi può presentarsi anche all’interno: la sua area corrisponde circa a quella della coltivazione dell’ulivo. Dopo la ceduazione è in grado di riprendere, però in generale più lentamente di altre specie sempreverdi; si mantiene anche dopo l’incendio. La boscaglia di leccio ha l’aspetto della macchia che si forma dopo incendi oppure ripetute ceduazioni ed è costituita da leccio con portamento arbustivo, può venire convertita in alto fusto, però spesso questo procedimento richiede tempi lunghi. La distribuzione altimetrica va da 0 a 600m s.l.m.
5. Boscaglia di leccio o Lecceta retrodunale (Viburno‐Quercetum ilicis) Dietro il cordone di dune fossili alto circa 10 m che costituisce come un bastione verso il mare della tenuta di Castel Fusano è sviluppata, in alcuni punti, una foresta di leccio ricca di corbezzolo (Arbutus unedo) a grado di naturalità piuttosto elevato. Dalla documentazione storica e dalla difficile accessibilità di questi settori, infatti, sembra che questi siano i tratti di vegetazione che hanno subito meno l’impatto antropico e le pratiche selvicolturali. Si tratta di un bosco basso, con scarso sottobosco ma ricco di liane (Smilax aspera, Clematis flammula).
Cerrete collinari Tutte le specie quercine che costituiscono questi boschi hanno foglie che in inverso si seccano e cadono (caducifoglie, o spoglianti), però la lamina fogliare è spesso di consistenza abbastanza rigida e la foglia si può mantenere, secca o quasi secca, sull’albero anche fino alla primavera (piante semi‐sempreverdi). Vivono in ambiente sub‐mediterraneo (in generale nell’area della vite e dell’ulivo), su suoli che possiedono una buona provvista d’acqua. Ecologia: sulla formazione delle argille plioceniche, dalle Langhe agli Appennini Settentrionali e Centrali e fino alla Calabria (rara. In Sicilia), negli alvei di fiumi e torrenti; anche nel Carso. La distribuzione altimetrica va dai 100 a 1200m s.l.m.
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6. Cerreta collinare (Echinopo‐Quercetum cerridis e aggr. a Quercus pubescens)
In questa unità di vegetazione sono comprese tipologia piuttosto differenti, ma difficilmente distinguibili alla scala cartografica utilizzata. Si tratta di vegetazione a caducifoglie dei pendii sui fianchi delle vallette che dissecano il paesaggio della Tenuta di Castel di Guido. Si tratta di vegetazione a caducifoglie dei pendii e ben sviluppato, con specie quali Anemone apennina, Viola suavis, Cyclamen repandum, Silene italica, Echinops siculus ecc., indicatrici di una buona condizione dei suoli. Dove il suolo è ben sviluppato e l’impatto è minore, in particolare nelle vallate dei fossi che scorrono verso SW nella Macchiagrande di Ponte Galeria, si sviluppa un bosco di cerro (Quercus cerris) simile a quello dell’unità precedente, ma con esemplari arborei maggiormente sviluppati. Verso il fiume Arrone si osservano boschi aperti con cerro (Quercus cerris) e abbastanza raramente sughera (Quercus suber), profondamente impattati e in cui non è possibile riconoscere una buona strutturazione della vegetazione. Nella maggior parte della tenuta i suoli sono erosi e la vegetazione è costituita da un bosco di grandi esemplari di roverella (Quercus pubescens), insieme con individui presumibilmente ascrivibili alla rovere (Quercus petraea) per quanto non del tutto tipici. A parte le formazioni a cerro, che mostrano un buon grado di naturalità, si tratta di un tipo di vegetazione a naturalità media. L’evoluzione verso la vegetazione climax sarà presumibilmente lenta. Non vi sono impatti particolari, in quanto anche il pascolo di bovini è piuttosto limitato.
7. Bosco submediterraneo planiziale a cerro, farnetto e rovere Lungo alcune vallate della Tenuta Castel di Guido‐Macchiagrande di Ponte Galeria si osservano estensioni piuttosto considerevoli di un bosco, presumibilmente un ceduo invecchiato, a cerro (Quercus cerris), rovere (Quercus petrea) e farnetto (Quercus frainetto). L’altezza dello strato arboreo è variabile in base alla fertilità stazionale, la vegetazione è ben stratificata, con uno strato arbustivo costituito principalmente da Cytisus villosus e specie dei Prunetalia, indicatrici di un certo impatto antropico, quali Crataegus monogyna e Prunus spinosa; lo strato erbaceo è ricco e ben sviluppato, con specie quali Anemone apennina, Viola suavis, Cyclamen repandum, Silene italica, Echinops siculus ecc., indicatrici di una buona condizione dei suoli. All’interno del SIC IT6030025 Macchiagrande di Ponte Galeria, si sono rilevate aree costituenti habitat comunitario 91M0 costituito da Foreste Pannonico Balcanico a Cerro e Rovere. Tale Habitat appartiene alla Regione biogeografica Continentale Mediterranea, con ubicazione a quote comprese fra 250m e 600m (800m) s.l.m., in aree con diverse tipologie di substrato, in quanto si riscontra su suoli limosi, basaltici, argillosi, sabbiosi ecc. La composizione specifica dell’habitat porta alla formazione di boschi decidui a dominanza di Cerro (Quercus cerris), Farnetto (Q. frainetto) o Rovere (Q. petraea), tendenzialmente silicicoli e subacidofili, pluristratificati, nei settori centrali e meridionali della penisola italiana, con distribuzione prevalente nei territori interni e subcostieri del versante tirrenico, nei Piani bioclimatici Supra‐mediterraneo, Submeso‐mediterraneo e Meso‐temperato. Per il territorio italiano, le cenosi forestali dell’Habitat 91M0 si possono riferire all’alleanza endemica peninsulare Teucrio siculi‐Quercion cerridis (Ubaldi 1988), con le due suballeanze Teucrio siculi‐Quercenion cerridis (Blasi, Di Pietro & Filesi 2004) e Ptilostemo stricti‐Quercenion cerridis (Bonin et Gamisan 1977). In contatto dinamico con le cerrete, pure o miste a rovere e farnetto, dell’alleanza Teucrio siculi‐Quercion cerridis si sviluppano cenosi arbustive di sostituzione riferibili alle suballeanze Pruno‐Rubenion ulmifolii e Sarothamnenion scoparii. In contesti più caldi possono originarsi formazioni termofile dell’ordine Pistacio‐Rhamnetalia o dell’alleanza Ericion arboreae. Anche i boschi a dominanza di farnetto presentano come tappe di sostituzione arbusteti generalmente riferibili alle suballeanze sopra citate. Possono essere presenti, nelle situazioni più calde ed aride, aspetti a dominanza di cisto rosso o bianco della classe Rosmarinetea officinalis. Le praterie secondarie collegate a questi aspetti di vegetazione possono essere rappresentate dalle “Formazioni erbose secche seminaturali e fasce coperte da cespugli su substrato calcareo (Festuco‐Brometalia)” appartenenti all’Habitat 6210 (*), spesso arricchite dalla presenza di elementi acidofili. Nel
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caso delle formazioni a dominanza di farnetto, le cenosi erbacee di sostituzione vanno ascritte all’alleanza Cynosurion cristati, benché siano molto scarsi i casi osservabili data l’elevata intensità di utilizzo antropico (prevalentemente agricolo) dei territori di pertinenza di queste serie di vegetazione. In alcuni casi, su suoli più marcatamente acidi, possono svilupparsi aspetti di brughiera a Calluna vulgaris riferibili all’Habitat 4030 “Lande secche europee”. Dal punto di vista geosinfitosociologico, le formazioni più termofile possono entrare in contatto con le foreste sempreverdi dell’Habitat 9340 “Foreste di Quercus ilex e Quercus rotundifolia”, mentre quelle mesofile possono sviluppare contatti catenali con le cenosi di impluvio a Carpinus betulus dell’Habitat 91L0 “Foreste illiriche di quercia e carpino bianco (Erythronio‐Carpinion)”.
Figura 3: Foresta pannonico‐balcaniche SIC "Macchiagrande di Ponte Galeria”
Fiumicino
I nuovi terreni introdotti nella Riserva con il decreto ministeriale del 24/10/2013, precisamente i terreni posti ad est dell’Autostrada Roma‐Civitavecchia prospicienti la tenuta di Castel di Guido assumono un aspetto morfologicamente più ondulato (collinare) identificabili come zone agricole in territorio collinare. I terreni pianeggianti, che in passato erano dedicati alla pastorizia, sfruttando le aree prative sono contornati ed intercalati dal bosco. Oggi quelle stesse aree prative sono parte fondamentale di diverse aziende zootecniche, o più spesso a produzione cerealicola. Le aree boscate a cerreta cedua (Echinopo‐Quercetum cerridis) in esame sono per lo più forre contraddistinte da essenze arboree quali Quercus cerris, Quercus pubescens, Fraxinus ornus; tali boschi da diversi anni sono gestiti a bosco ceduo e periodicamente sottoposti a taglio colturale. Sui pendii delle vallette che intagliano il territorio della tenuta di Castel di Guido è predominante una boscaglia piuttosto rada e povera a olmo (Ulmus minor), talora con esemplari, anche di notevoli dimensioni, di roverella (Quercus pubescens). Questa boscaglia è molto diffusa in tutto il Lazio, anche in situazioni di notevole impatto ambientale. L’evoluzione della vegetazione dovrebbe tuttavia essere piuttosto rapida, presumibilmente verso un bosco a Quercus pubescens.
VEGETAZIONE MESO IGROFILA A CADUCIFOGLIE Pioppeti e saliceti ripariali
Boschi di tipo igrofilo, ambienti umidi, che si formano in prossimità dell’acqua e sono formati da specie arboree che non sono in grado di tollerare condizioni di aridità. I componenti più diffusi sono pioppi, salici, ontani, frassino, olmo e platano, ai quali si possono ancora aggiungere pado ed altri; in generale producono un legno leggero e poco resistente. Ecologia: sono boschi che si formano su suoli ricchi d’acqua, sia pure in condizioni ben diverse caso per caso. Si può trattare di boschi ripariali, talvolta anche soggetti a sommersione durante le piene, oppure di boschi che si formano su suolo torboso, saturo d’acqua. In linea generale, per queste condizioni, essi sono relativamente indipendenti dal clima generale. I pioppeti e saliceti ripariali formano boscaglie ripariali nei terreni montani, che si alternano con boschi di
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ontano bianco nella fascia più vicina all’acqua corrente. I salici sono a portamento cespuglioso con altezze di 2‐5m. La distribuzione altimetrica va da 0 a 300 m s.l.m.
8. Bosco ripariale di pioppo e salici (Alno‐Populetum) La vegetazione ripariale è disposta lungo i bordi dei fiumi e di aree con presenza di acqua, caratterizzata da piante idrofile. Queste zone sono importanti bio‐filtri naturali, che proteggono gli ambienti acquatici dall'eccessiva sedimentazione, dal ruscellamento contaminato e dall'erosione. Esse forniscono riparo e cibo per molti animali acquatici, nonché ombra che è una parte importante della regolazione della temperatura dei corsi d'acqua. Se l'area adiacente a un corso d'acqua ha l'acqua stagnante o il suolo saturato per la durata di una stagione, viene normalmente denominata zona umida per via delle caratteristiche idriche del proprio suolo. L'uso delle zone ripariali nelle zone umide mostra un tasso particolarmente elevato di rimozione di nitrati che penetrano in un corso d'acqua, e trova pertanto posto nella gestione agricola. Lungo le rive del Tevere, ad eccezione del tratto di Fiumara Grande, dove tale vegetazione è stata distrutta dalle opere portuali, si sviluppa una vegetazione igrofila a pioppo bianco (Populus alba), pioppo nero (Populus nigra), salice bianco (Salix alba) e, più raramente, ontano nero (Alnus glutinosa). La vegetazione è fortemente degradata come dimostra la mancanza di specie erbacee associate al pioppeto‐saliceto e l’invasione del sottobosco da parte dei rovi; questo stato di degradazione va imputato in parte all’impatto diretto delle opere di arginatura del Tevere, in parte all’eutrofizzazione delle acque. Tuttavia, la vegetazione ripariale è costituita da specie a rapido accrescimento, e potrebbe ritornare a condizioni di buona naturalità qualora cessassero i fattori di degradazione. Inoltre l’asta fluviale del Tevere costituisce un importante corridoio biologico, in quanto frammenti del pioppeto‐saliceto si rinvengono fin nel centro di Roma e tornano a essere sviluppati nell’area nord della città, per ricollegarsi poi al tratto extraurbano del Tevere. Nell’area centrale del litorale di Capocotta, si sviluppano dei popolamenti puri di ontano nero (Alnus glutinosa), in corrispondenza delle depressioni interdunali. In quelli più arretrati, come la località popolarmente denominata “La Cattedrale” l’ontano assume portamento arboreo, e si accompagna all’alloro (Laurus nobilis); in quelli più prossimi alla riva del mare il portamento è invece arbustivo. Questi popolamenti sono interessanti per la loro elevata naturalità ma soprattutto per la presenza inconsueta di una specie igrofila ad areale eurasiatico così vicino alla costa in ambiente mediterraneo. Si rileva in questa classe lembi di Vegetazione con dominanza di farnia (Quercus robur) si trova in diversi punti del parco di Castel Fusano, per lo più in corrispondenza di modeste depressioni che intermezzano i cordoni di dune fossili, oppure lungo il canale dei Pescatori. Si tratta di frammenti di vegetazione subigrofila, dominata da caducifoglie, in particolare farnia (Quercus robur), olmo campestre (Ulmus minor), e, nel sottobosco, Euphorbia amygdaloides. Un’estensione notevole di questa unità di vegetazione si osserva in località Piscina Torta, presso il confine con la Tenuta Presidenziale di Castelporziano. In questa località si osserva anche la presenza di tratti con pioppo bianco (Populus alba), Populus canescens, e con carpino nero (Ostrya carpinifolia) e di residui della Piscina Torta che in alcune annate occupano anche una estensione considerevole, con vegetazione dominata da Carex riparia (Caricetum acutiformis‐ripariae). Gli esemplari di farnia sono in questa località di notevolissime dimensioni. La vegetazione in esame riveste un notevole valore naturalistico in quanto è un esempio relittuale dei boschi periodicamente allagati che costituivano una parte notevole del delta tiberino prima della bonifica. Inoltre la struttura della vegetazione è di qualità elevata, con una tendenza verso la vegetazione disetanea molto accentuata. Si può affermare che si tratta quindi di uno dei tratti a maggiore naturalità del settore tiberino della Riserva del Litorale. Lungo il canale dei Pescatori, si sviluppa un interessante popolamento a Fraxinus oxycarpa, specie igrofila non comune, benché ne esistano importanti presenze a Fregene e nella Tenuta Presidenziale di Castelporziano. Mancano tuttavia le specie che si dovrebbero associare al frassino, come Carex pendula, presumibilmente perché l’area non viene allagata, nemmeno temporaneamente, a causa della regimazione e arginatura del canale dei Pescatori. L’associazione vegetale è quindi sviluppata solo in modo frammentario. Tuttavia, la rapidità di accrescimento delle specie igrofile fanno ipotizzare che, qualora venissero ripristinate le condizioni di regolare allagamento questa si ricostituirebbe rapidamente, raggiungendo in breve tempo condizioni di
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elevata naturalità. Inframmezzato al popolamento a frassino si osservano piccoli tratti di un’associazione subigrofila ad alloro (Laurus nobilis) e fico selvatico (Ficus carica), di notevole interesse per il suo carattere di relitto terziario, le due specie sono gli unici rappresentanti europei rispettivamente di una famiglia e di un genere a distribuzione principalmente tropicale; questa associazione è presente in forma assai simile a Macchiagrande di Focene. Tuttavia, la rapidità per tratti a maggiore naturalità del settore tiberino della Riserva del Litorale, in comune di Roma.
Eucalipteti e Robinieti Tipologia di piantagione da legno molto diffusa nelle zone a clima mediterraneo, dalla Maremma e dal Gargano verso Sud; soprattutto nella pianure costiere oppure in ambiente collinare; vengono danneggiati dalle gelate. La distribuzione altimetrica va da 0 a 300 m s.l.m. Le formazioni a Robinia si sviluppano prevalentemente su scarpate stradali ed in aree con suolo degradato, costituiscono piccoli nuclei e sono costituiti da Robinia pseudoacacia e Ailanthus altissima.
9. Eucalipteti L’Eucalyptus è diffusamente coltivato nelle aree agricole della Riserva dove viene impiegato frequentemente come frangivento (si rinviene a costituire lembi di boschi e filari). Questa vegetazione è di scarso valore naturalistico, in quanto all’Eucalyptus non si associano le specie della vegetazione naturale, e anzi apparentemente la spessa lettiera di difficile decomposizione sfavorisce l’evoluzione verso la vegetazione naturale.
Roma Presso la Meccanica Romana e la località Saline esistono lembi di foresta artificiale ad Eucalyptus.
Fiumicino Oltre che nell’area agricola, lo si rinviene principalmente in piccole boscaglie ripariali nei pressi della foce dell’Arrone. Tra gli eucalipti prevale la presenza di Eucalyptus globolus.
10. Robinieti e Ailanteti Si tratta di formazioni legnose dei pendii freschi e umidi, scarpate delle forre in collina e bassa montagna. La robinia o acacia è una pianta eliofila, che non si rinnova facilmente sotto parziale copertura, trova l'ottimo nei suoli sciolti e ben drenati, anche poveri di nutrienti ed a reazione subacida, mal si adatta ai terreni molto argillosi. In Italia è presente dal livello del mare fino a circa 1000 m s.l.m. nel centro nord e fino a 1600 m nel meridione. In alcuni ambienti, specie quelli degradati dall'uomo, questa pianta si comporta come specie invasiva; ha un'alta velocità di crescita, soprattutto se ceduata: i ricacci (polloni), che fuoriescono sia dalla ceppaia che dal suo esteso apparato radicale, crescono con rapidità; per questo motivo spesso compete vittoriosamente con specie autoctone di crescita più lenta. L’Ailanto, anch’essa specie invasiva, risulta avere caratteristiche analoghe a quelle descritte per la Robinia, infatti molto spesso sono riscontrate consociazione fra le due specie all’interno di aree sottoposte a forte stress e disturbo antropico o in aree con suoli danneggiati, come ad esempio a seguito di incendio. Robinia ed Ailanto sono completamente naturalizzati ed in forte espansione su terreni abbandonati; per la grande produzione di materia organica e l’attività dei batteri nitrificanti (in Robinia) il suolo viene arricchito di sostanze azotate. La distribuzione altimetrica le colloca da 0 a 600m s.l.m.
MACCHIA E ARBUSTETI
Macchia a fillirea e lentisco
La macchia mediterranea è in generale il risultato di uno sfruttamento intensivo, con taglio raso, pascolo ed incendio, che si è protratto durante tempi lunghi, ed in certe zone anche per millenni. È strettamente legata al clima mediterraneo, con inverni miti ed estati secche: gelate e nevicate sono eventi eccezionali,
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e così pure le piogge estive. Ecologia: ambienti aridissimi, con vegetazione a foglie coriacee, sempreverdi, che forma un intrico denso ed a volte impenetrabile; il suolo è spesso ridotto a pochi centimetri di profondità. La vocazione di questi ambienti sarebbe in generale verso la lecceta, ma la riforestazione di queste superfici è in generale problematica: si può tentare con Pino d’Aleppo, che tuttavia aumenta il rischio d’incendio. Lungo le coste un’ulteriore difficoltà si ha per l’azione del vento. La fillirea ed il lentisco formano una macchia con arbusti sclerofilli come mirto, erica arborea, alaterno, leccio… La distribuzione altimetrica va da 0 a 500 m s.l.m.
11. Macchia a fillirea e lentisco (Viburno‐Quercetum ilicis) La macchia mediterranea alta è costituita da soprassuoli con le specie tipicamente mediterranee (lentisco, corbezzolo, fillirea etc.) che nel loro complesso superano i 2‐3 m di altezza. La macchia alta origina incendi di intensità medio‐alte.
Roma Aree di macchia alta si trovano in due settori di Castel Fusano, in corrispondenza di aree incendiate piuttosto recentemente. La macchia sembra aver raggiunto una condizione di equilibrio e non si osserva un’evoluzione verso la vegetazione potenziale. Probabilmente l’evoluzione verso la lecceta avverrà molto lentamente in quanto le particolari condizioni microclimatiche della macchia non sono particolarmente favorevoli allo sviluppo del leccio. La macchia alta è costituita da diverse specie della lecceta, come il leccio (Quercus ilex) la fillirea (Phillyrea latifolia), il lentisco (Pistacia lentiscus), l’erica (Erica arborea), e altre specie della gariga, come la ginestra spinosa (Calycotome spinosa) e il cisto di Montpellier (Cistus monspeliensis). Questa macchia costituisce un consorzio di notevole valore scientifico, in quanto esempi di macchia sempreverde, per altro frequenti lungo tutto le coste mediterranee, sono pressoché assenti nella Campagna Romana, in particolare sui depositi alluvionali (escludendo sempre i cordoni litoranei dunali recenti), e alcune specie di questa macchia, come appunto Calycotome spinosa e Cistus monspeliensis sono molto rari in questo territorio. La macchia si è originata probabilmente in seguito ad incendi e intense ceduazioni, e sembra in uno stato di relativo equilibrio, che ne preclude una rapida evoluzione verso la foresta, cosa del resto forse non auspicabile per motivi di interesse naturalistico. Il grado di naturalità è medio. Non sembrano esservi attualmente impatti particolari, perché il pascolo di bovini e l’incendio sembrano essere ormai piuttosto scarsi.
Fiumicino Questo tipo di vegetazione è presente nella zona costiera. La macchia si caratterizza per la presenza dominante di leccio e qualche esemplare di Pinus: le specie arbustive prevalenti sono quelle tipiche della macchia mediterranea che qui (parte sud della cosidetta area “Bocche di Leone”) superano i 2 m di altezza per via della scarsa presenza del soprassuolo arboreo. In questa zona gli esemplari di leccio sono presenti in modo rilevante anche se non superano i 2‐3 m di altezza; meno rilevante la presenza di pini. Si ipotizza che essi siano poco sviluppati per effetto dei venti carichi di salsedine. Un potenziale incendio qui si tradurrebbe in intensità elevate colpendo l’intero soprassuolo. È presente parallelamente alla viabilità del lungomare di Maccarese una fascia con funzione antincendio, priva di vegetazione. Internamente a tutto il lotto denominato “Bocca di leone” è presente una rete di piste forestali; tali viali all’occorrenza purchè mantenuti privi di vegetazione, possono essere percorsi con mezzi meccanici per interventi AIB. Lungo la fascia litoranea, salendo verso nord, sempre nella c.d. zona “Bocca di Leone” la macchia mediterranea si caratterizza per la dominanza di ginepro coccolone. L’altezza si presenta modesta (1,5 – 2 metri), con densità disforme, in cui prevalgono le specie della macchia mediterranea (Phillyrea latifolia, Rhamnus alaternus, Arbutus unedo, Pistacia lentiscus), con presenza di ginepri. Nelle zone degradate, per esempio lungo i sentieri, si sviluppa una vegetazione a Cistus incanus ed Erica multiflora (Cisto‐Ericion) e una vegetazione di margine ad Helichrysum stoechas e Dianthus sylvestris. La parte più settentrionale della zona Bocca di Leone, ripresenta invece una copertura di leccio molto più rada e le specie della macchia mediterranea presenti nel sottobosco riescono a raggiungerne le chiome. Si tratta di soprassuoli in cui non si ha soluzione di continuità fra sottobosco e piano dominante. Una ulteriore area coperta da
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vegetazione a macchia è Macchiagrande di Ponte Galeria, presenta una notevole estensione di macchia alta, costituita da diverse specie della lecceta, come il leccio (Quercus ilex) la fillirea (Phillyrea latifolia), il lentisco (Pistacia lentiscus), l’erica (Erica arborea), e altre specie della gariga, come la ginestra spinosa (Calycotome spinosa) e il cisto di Montpellier (Cistus monspeliensis).
Macchia litorale con vegetazione psammofila
Lungo la litoranea, si sviluppa un cordone dunale fossile coperto da una vegetazione di macchia probabilmente primaria. Questa macchia è costituita dalle specie tipiche della lecceta e della macchia mediterranea (Phillyrea latifolia, Rhamnus alaternus, Arbutus unedo, Pistacia lentiscus), con presenza di ginepri.e vi si rinviene spesso, sicuramente naturalizzato, il pino marittimo (Pinus pinaster). La macchia mostra tracce di intervento antropico ma sembra in uno stadio di relativo equilibrio e probabilmente non subirà in futuro, in assenza di impatti, una particolare evoluzione. In questa macchia si trova in alcuni punti la rara Daphne sericea, che costituisce una delle emergenze floristiche del territorio. Si rileva un’abbondante presenza di macchia a lentisco e fillirea in diversi stadi evolutivi nelle aree percorse dal fuoco, sia nel 2000 che nel 2017. Dopo il recente incendio del 2017 è andato distrutto quasi totalmente lo strato arboreo ed anche lo strato arbustivo, per cui si assiste ad una degradazione della macchia verso la gariga, con ampie superfici a prato. Si rileva la presenza sporadica di giovani individui di sughera e di pino domestico sparsi piantati nel 2000. Quest’area si estende per circa 197 Ha. L’area invece andata a fuoco nel 2000 ed oggetto dell’intervento di rimboschimento che non è stata percorsa dall’incendio 2017, presenta una struttura di macchia alta in buono stato di sviluppo con giovani individui di leccio e pino domestico sparsi. In località Tenuta Aldobrandini, non lontano dal canale dei Pescatori, si sviluppa una macchia alta circa 2 metri, costituita dalle specie della lecceta (Quercus ilex, Phillyrea latifolia, Pistacia lentiscus, Rhamnus alaternus, Smilax aspera) a cui si accompagna la sughera (Quercus suber). Gli esemplari di sughera sono di piccole dimensioni, ma sul margine della macchia si osservano individui di dimensioni notevoli. Questo consorzio è di notevole interesse naturalistico, in quanto sui cordoni dunali recenti Quercus suber è pressoché assente, e questo consorzio rappresenta forse l’unico caso in cui questa specie si sviluppi abbondantemente su sabbie recenti calcaree; nel Lazio, inoltre, nella maggior parte dei casi la sughera è associata a specie mesofile, legate ai boschi di cerro, benché non manchino casi in cui si mescoli con il leccio, come a Tor Caldara o nel Quarto Freddo del Promontorio del Circeo. La macchia costituisce un tipo di vegetazione secondario, presumibilmente originatosi in seguito a ripetuti incendi, che sembra però in uno stato di equilibrio piuttosto stabile e non è prevedibile una sua rapida evoluzione verso la foresta.
12, 13, 14. Duna consolidata (con vegetazione legnosa) (Juniperetum phoenicoeae macrocarpae) Al riparo del primo cordone di dune mobili, lungo il litorale di Capocotta, si sviluppa la vegetazione della duna consolidata. Questa è una bassa macchia pulvinata e aerodinamica, che costituisce il cosiddetto cuneo dunale. Le specie che vi si rinvengono sono le stesse della lecceta (Phillyrea latifolia, Rhamnus alaternus, Arbutus unedo, Pistacia lentiscus, Quercus ilex) ma con portamento basso, alto al massimo un metro, e ad esse si accompagnano i ginepri (Juniperus macrocarpa, Juniperus phoenicea), specie xerotermofile. Nelle zone degradate, per esempio lungo i sentieri, si sviluppa una vegetazione a Cistus incanus ed Erica multiflora (Cisto‐Ericion) e una vegetazione di margine ad Helichrysum stoechas e Dianthus sylvestris. La vegetazione dunale di Capocotta riveste un notevole interesse naturalistico non solo perché questa tipologia vegetazionale è in via di sparizione sulle nostre coste, ma anche per la presenza dell’unica stazione peninsulare di Asparagus aphyllos, che si rinviene abbondante tra gli arbusti. La vegetazione è in buone condizioni solamente nel tratto centrale del litorale di Capocotta e presso il villaggio Tognazzi, dove forma un insieme pressoché continuo; verso Torvaianica e verso Castelporziano è via via diradata e vi si aprono numerose radure e spiazzi di sabbia nuda. La vegetazione chiusa è in condizioni di elevata naturalità, mentre questa diviene minore man mano che la macchia si fa più rada. La duna è sottoposta a frequenti incendi, ma la vegetazione dunale sembra piuttosto resiliente a questo tipo di impatto, e si riprende abbastanza rapidamente.
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Fiumicino
Esempio di duna consolidata presente nel territorio di Fiumicino e la fascia costiera ‐ posta a sud del vecchio radar ‐ della pineta di Coccia di Morto, che presenta un complesso dunale che, nonostante un certo degrado dovuto principalmente all’accumulo di rifiuti provenienti dal mare e dalla foce del Tevere, presenta importanti tratti di naturalità. In quest’area di proprietà privata, essendo la stessa recintata, il processo di consolidamento in corso risulta agevolato dalla scarsa fruizione antropica.
15, 16, 17. Duna mobile (con vegetazione erbacea) (Cakiletum aegyptiacae, Ammophiletum arundinaceae, Agropyretum juncei, Crucianelletum maritimae)
Lungo il litorale di Capocotta si trovano residui piuttosto consistenti di vegetazione della duna mobile, talora anche piuttosto ben conservati. Questa vegetazione svolge un fondamentale ruolo protettivo della vegetazione retrostante del vento e delle spiagge contro l’erosione. E’ di notevole interesse scientifico per i particolari adattamenti che presentano le specie che la compongono ed è di grande importanza naturalistica perché in via di sparizione su pressoché tutti i litorali italiani. In alcuni punti, in particolare nel settore centrale del litorale di Capocotta, è possibile osservare tre fasce delle quattro fasce principali di vegetazione della duna mobile, l’Agropyretum juncei sulle dune embrionali più vicine al mare, l’Ammophiletum arundinaceae sul culmine delle dune, e frammenti di Crucianelletum alle spalle di quest’ultimo. E’ invece completamente scomparso o quasi il Cakiletum aegyptiacae. Nella maggior parte del litorale di Capocotta questo transetto naturale non è più riconoscibile e la vegetazione della duna sabbiosa è in condizioni di forte erosione, con piccole chiazze vegetate all’apice di pinnacoli di sabbia. Nel complesso la vegetazione si trova in un mediocre stato di naturalità, tranne che su limitate estensioni del settore centrale dove la situazione è migliore. Tuttavia, data l’elevata dinamicità della vegetazione dunale, pochi anni di salvaguardia, soprattutto dal calpestamento e dall’erosione, e possibilmente limitati interventi di restauro ambientale, dovrebbero riportare questa vegetazione in condizioni di elevata naturalità. Lungo il litorale di nuova Ostia si trovano frammenti fortemente degradati di Agropyretum juncei e esempi piuttosto estesi di Cakiletum aegyptiacae. Un restauro ambientale di questo tratto di duna si presenta piuttosto difficile in quanto manca un pool floristico di specie dunali, in particolare sono pressoché assenti gli esemplari di Ammophila.
Fiumicino In questa categoria rientrano le dune di Passoscuro e Palidoro, un bellissimo ambiente dunale di circa tre chilometri, attraversato dalle foci di due corsi d’acqua (il Fosso Cupino a nord e il Rio Palidoro più a sud). Il cordone dunale è di bassa altezza, ma ricchissimo di specie vegetali tipiche di questi ambienti, le psammofile. Si possono ancora trovare popolazioni di specie erbacee spinescenti, prevalentemente l’eringio marittimo (Eryngium maritimum) e qualche individuo di finocchio spinoso del litorale (Echinophora spinosa), oltre ai bellissimi gigli di mare (Pancratium maritimum), che si accompagnano qua e là ad esemplari di zigolo delle spiagge (Cyperus kalli). Non mancano la camomilla marina (Anthemis maritima), la santolina delle spiagge (Othanthus maritimus), il vilucchio marittimo (Calystegia soldanella) e il ravastrello (Cakile maritima).
18. Vegetazione aloigrofila (Salicornietum patulae, Inuletum crithmoidis, Caricetum extensae, Scirpetum maritimi ecc.)
Questa tipologia vegetazionale è segnalata nella porzione di Riserva rientrante entro i confini del comune di Roma. La vegetazione aloigrofila costituiva un importante aspetto della foce del Tevere, come attestano le segnalazioni delle flore del secolo scorso. Presso l’estremità occidentale dello Stagno di Ostia, infatti, esistevano delle saline risalenti all’epoca romana e che sono state in funzione fino alla bonifica; presso la foce del Tevere dovevano essere presenti anche diversi stagni di acqua salmastra. Di questa vegetazione esistono solo due limitati ma importanti residui, all’Idroscalo di Ostia, presso la Tor San Michele, e, sulla riva destra del Tevere, in area purtroppo non inserita nella riserva, presso il faro di Fiumicino. Le due aree sono di estensione analoga ma ospitano tipi di vegetazione diversi; nel comune di
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Fiumicino prevalgono infatti le associazioni vegetali a specie perenni (Puccinellio‐Salicornietea) mentre nel comune di Roma prevalgono le associazioni vegetali a specie annuali (Thero‐Salicornietea). La vegetazione dell’Idroscalo di Ostia è interessante sia per la presenza di numerose specie aloigrofile, tra cui alcune anche rare, come Ranunculus baudoti, e soprattutto per la grande varietà di associazioni vegetali ben sviluppate e facilmente riconoscibili, in particolare il Salicornietum patulae, a Salicornia patula e Suaeda maritima, nelle aree più umide, l’Inuletum crithmoidis, a Inula crithmoides e Limonium serotinum, sui bordi degli stagni, il Caricetum extensae, con Juncus acutus e Carex extensa, nelle aree più asciutte, e un’associazione a Elymus athericum (= Elymus pycnanthum) con Melilotus messanensis nelle aree a bassa salinità e asciutte, e lo Scirpetum maritimi, con Bolboschoenus maritimus, nelle aree meno salate e più umide. Questo piccolo biotopo riveste una notevole importanza naturalistica, in quanto, ad esclusione del Parco del Circeo, la vegetazione aloigrofila nel Lazio è rara, mancando importanti sistemi lagunari e per lo più così impattata che non è possibile riconoscere le diverse associazioni; ha inoltre un notevole valore didattico, in quanto è possibile osservarvi sia gli adattamenti delle specie alofile a un ambiente estremo, sia la zonazione della vegetazione secondo un gradiente di umidità e salinità; la destinazione didattica sarebbe favorita anche dalla vicinanza all’abitato di Ostia. Il biotopo dell’Idroscalo è in condizioni di naturalità piuttosto buona, nonostante alcuni fattori di degrado, tra cui il più evidente è la presenza di baracche e di discariche di rifiuti soliti urbani, oltre agli incendi e al pascolo di cavalli; un canale drena inoltre l’area, impedendo il ristagno di acqua necessario per la vegetazione naturale. Tuttavia un moderato impatto probabilmente favorisce le formazioni vegetali ad annuali che altrimenti sarebbero sopraffatte da quelle a specie perenni.
ARBUSTETI DI CLIMA TEMPERATO Formazioni arbustive della pianura e bassa montagna, che in generale derivano dalla distruzione di foreste esistenti in precedenza; in tempi lunghi, tendono in generale a ricostituire il bosco. Gli arbusteti di latifoglie sono in generale su suoli fertili, derivanti da terre brune boschive oppure da colture abbandonate; le vegetazioni di ginestre oppure quelle di ginepro si formano invece su suoli in generale povere di nutrienti, con caratteristiche che verranno specificate per le singole sottocategorie. Per tutti si hanno condizioni di clima temperato o temperato‐umido, con precipitazioni abbondanti anche in estate.
19. Arbusteti e stadi di ricostituzione forestale dei boschi a caducifoglie Lungo la via Cristoforo Colombo, presso il cancello di Malafede della Tenuta Presidenziale di Castelporziano, si osserva un tratto di boscaglia a olmo (Ulmus minor) su sabbie gialle acide pleistoceniche del cordone dunale antico. Questa vegetazione piuttosto degradata avrebbe scarso interesse se non fosse per l’abbondante presenza di Ulex europaeus, specie atlantica rara nel Lazio. In questo caso la vegetazione dovrebbe essere mantenuta in condizioni di basso grado evolutivo, per preservare questa specie di brughiera.
ARBUSTETI IGROFILI
20. Canneto a Phragmites australis (Scirpo‐Phragmitetum) I canneti rivestono una notevole importanza come riparo per gli uccelli acquatici e per la fitodepurazione. Hanno una notevole resilienza, in quanto l’accrescimento di Phragmites australis è rapidissimo, e possono sopportare ripuliture anche frequenti. Gli incendi che si sviluppano in questo tipo di vegetazione possono anche raggiungere intensità medio‐alte, tuttavia la ricostituzione del soprassuolo è abbastanza rapida. In alcuni canali, specialmente in località Infernetto a ridosso della tenuta presidenziale di Castelporziano, si sviluppa una vegetazione non ascrivibile a una precisa associazione ma ricca di specie dei Phragmitetea: Iris pseudacorus, Alisma plantago‐aquatica, Veronica anagallis‐aquatica, Mentha aquatica, ecc. In alcuni canali, purtroppo esterni al parco, si sviluppano anche specie rare come Stachys palustris, Scutellaria galericulata e Galium debile. Nei canali si sviluppa anche vegetazione galleggiante a Riccia e a Lemna minor (Lemnetea minoris). Questa vegetazione ha un grado di naturalità piuttosto basso a causa delle frequenti ripuliture; tuttavia è indice di un ecosistema acquatico ancora in condizioni piuttosto buone e
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di acque di qualità discreta. Nella porzione di Riserva in comune di Roma, specificatamente nel settore centrale del litorale di Capocotta, si sviluppa, per un tratto di circa 500 m, una serie di stagni retrodunali di acqua dolce di notevole interesse scientifico. La vegetazione è ricca e articolata; in particolare si possono ricordare l’associazione a Erianthus ravennae e Schoenus nigricans (Schoeno‐Erianthetum), l’associazione a Cladium mariscus (Cladietum marisci) e l’associazione a Iris pseudacorus, Carex acutiformis, Eupatorium cannabinum, Lysymachia vulgaris (Caricetum acutiformis ripariae). In corrispondenza dello sbocco al mare di uno di questi stagni vi sono tratti di vegetazione a Bolboschoenus maritimus (Scirpetum maritimi). La vegetazione degli stagni retrodunali è in buone condizioni di naturalità. Gli impatti sono piuttosto limitati, e sono costituiti soprattutto all’interramento degli stagni a causa delle frane di sabbia conseguenti al passaggio dei bagnanti attraverso gli stagni.
Roma Specialmente nel tratto a monte del ponte del Canale dei Pescatori, ma anche lungo altri canali e lungo il braccio morto del Tevere, si sviluppano popolamenti a Phragmites australis pressoché puri. Questi popolamenti hanno un grado di naturalità piuttosto basso, in quanto mancano specie dei Phragmitetea che accompagnano le comunità meglio sviluppate a Phragmites australis. Questa bassa naturalità è dovuta all’elevato impatto antropico che si esercita su queste comunità, in particolare le regolari ripuliture dei canali.
Fiumicino Tra le specie che più frequentemente crescono nel canneto, per lo più ai margini, troviamo l’iris giallo (Iris pseudacorus), la mazza d’oro (Lysimachia vulgaris), la mazzasorda maggiore (Typha latifolia) e diverse specie di carici (Carex spp.). L’associazione vegetale corrispondente al canneto è Phragmitetum australis, in cui la cannuccia di palude è la specie nettamente dominante, per effetto della sua fitta copertura e dello sviluppato intreccio delle sue radici che ostacolano la crescita di altre piante. Questa tipologia si sviluppa nelle vicinanze dei corsi d’acqua e di laghi di piccole dimensioni, per quanto riguarda la zona presa in esame.
VEGETAZIONE ERBACEA A PASCOLO E PRATO‐PASCOLO 21. Praterie mediterranee (Hyparrhenietum hirto‐pubescentis, pascolo ad Asphodelus microcarpus)
Lungo la via Cristoforo Colombo, presso Vitinia, lungo i pendii esposti a sud, si sviluppa una vegetazione xerica mediterranea erbacea dominata da graminacee cespitose (Hyparrhenia hirta, Hyparrhenietum hirto‐pubescentis) e a tratti da asfodelo (Asphodelus microcarpus). La ricchezza floristica, specialmente di specie annuali, di questa vegetazione è elevata, nonostante si tratti per lo più di specie non rare. Il grado di naturalità non è elevato, in quanto si tratta di una vegetazione originatasi a causa del pascolo e soprattutto di incendi ripetuti che hanno provocato una erosione e modificazione del suolo. Tuttavia l’interesse naturalistico è alto a causa della elevata biodiversità di questi pascoli. La vegetazione in esame è sottoposta e in equilibrio con una serie di impatti, in particolare l’incendio e il pascolo; verrebbe profondamente alterata tuttavia da opere che portassero a un rimescolamento del profilo del suolo, nel qual caso si verificherebbe lo sviluppo di una vegetazione ruderale. Sui fianchi e al tetto delle colline, quando la degradazione ha raggiunto un livello tale da eliminare la vegetazione legnosa, si insediano dei pascoli xerici soprattutto ad Asphodelus microcarpus. Questi pascoli, benché abbiano un grado di naturalità basso, sono interessanti per la ricchezza di specie erbacee, soprattutto annuali, che vi si rinvengono, e quindi per la discreta biodiversità. La vegetazione, che deriva essenzialmente da incendi e pascolo ripetuti nel tempo, con conseguente erosione del suolo, sembra in uno stato di equilibrio che ne rallenta fortemente l’evoluzione verso tipi di vegetazione più maturi. Sulla collina della Macchiagrande di Ponte Galeria vi sono popolamenti, non molto estesi, a carciofo selvatico (Cynara cardunculus). Questo tipo di vegetazione, benché a basso grado di naturalità, è di notevole interesse; l’associazione a carciofo selvatico è infatti segnalata per il Lazio solo ai monti della Tolfa, dove è ampiamente diffusa; i pascoli di
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questo tipo hanno inoltre una elevata ricchezza floristica, che alla Tolfa raggiunge anche le 100 specie/10mq e che rappresenta forse uno dei massimi di biodiversità nei climi temperati. Per il pascolo a carciofo selvatico vale lo stesso discorso per quelli ad asfodelo; sembra infatti in relativo equilibrio e non dovrebbe evolvere rapidamente verso nuovi tipi vegetazionali. All’interno del SIC IT6030025 Macchiagrande di Ponte Galeria, si sono rilevate aree costituenti habitat prioritario 6220* costituito da Percorsi substeppici di graminacee e piante annue dei Thero Brachypodietea. Tale Habitat appartiene alla Regione biogeografica Continentale Alpina e Mediterranea. Rappresentato da praterie xerofile e discontinue di piccola taglia a dominanza di graminacee, su substrati di varia natura, spesso calcarei e ricchi di basi, talora soggetti ad erosione, con aspetti perenni che ospitano, al loro interno, aspetti annuali (Helianthemetea guttati), dei Piani Bioclimatici Termo, Meso, Supra e Sub meso‐Mediterraneo, con distribuzione prevalente nei settori costieri e subcostieri dell’Italia peninsulare e delle isole, occasionalmente rinvenibili nei territori interni in corrispondenza di condizioni edafiche e microclimatiche particolari. Per quanto riguarda gli aspetti perenni, possono svolgere il ruolo di dominanti specie quali Lygeum spartum, Brachypodium retusum, Hyparrenia hirta, accompagnate da Bituminaria bituminosa, Avenula bromoides, Convolvulus althaeoides, Ruta angustifolia, Stipa offneri, Dactylis hispanica, Asphodelus ramosus. In presenza di calpestio legato alla presenza del bestiame si sviluppano le comunità a dominanza di Poa bulbosa, ove si rinvengono con frequenza Trisetaria aurea, Trifolium subterraneum, Astragalus sesameus, Arenaria leptoclados, Morisia monanthos. Gli aspetti annuali possono essere dominati da Brachypodium distachyum (= Trachynia distachya), Hypochaeris achyrophorus, Stipa capensis, Tuberaria guttata, Briza maxima, Trifolium scabrum, Trifolium cherleri, Saxifraga trydactylites; sono inoltre specie frequenti Ammoides pusilla, Cerastium semidecandrum, Linum strictum, Galium parisiense, Ononis ornithopodioides, Coronilla scorpioides, Euphorbia exigua, Lotus ornithopodioides, Ornithopus compressus, Trifolium striatum, T. arvense, T. glomeratum, T. lucanicum, Hippocrepis biflora, Polygala monspeliaca. I diversi aspetti dell’Habitat 6220* per il territorio italiano possono essere riferiti alle seguenti classi:
‐ Lygeo‐Stipetea (Rivas‐Martínez 1978) per gli aspetti perenni termofili; ‐ Poetea bulbosae (Rivas Goday & Rivas‐Martínez in Rivas‐Martínez 1978) per gli aspetti perenni
subnitrofili; ‐ Helianthemetea guttati (Br.‐Bl. in Br.‐Bl., Roussine & Nègre 1952) Rivas Goday & Rivas‐Martínez
1963 em. Rivas‐Martínez 1978 per gli aspetti annuali.
La vegetazione delle praterie xerofile mediterranee si insedia di frequente in corrispondenza di aree di erosione o comunque dove la continuità dei suoli sia interrotta, tipicamente all’interno delle radure della vegetazione perenne, sia essa quella delle garighe e nano‐garighe appenniniche submediterranee delle classi Rosmarinetea officinalis e Cisto‐Micromerietea; quella degli “Arbusteti termo‐mediterranei e pre‐desertici’ riferibili all’Habitat 5330; quella delle ‘Dune con vegetazione di sclerofille dei Cisto‐ Lavenduletalia” riferibili all’Habitat 2260; quella delle “Formazioni erbose secche seminaturali e facies coperte da cespugli su substrato calcareo” della classe Festuco‐Brometea, riferibili all’Habitat 6210; o ancora quella delle “Formazioni erbose rupicole calcicole o basofile dell’Alysso‐Sedion albi” riferibile all’Habitat 6110, nonché quella delle praterie con Ampelodesmos mauritanicus riferibili all’Habitat 5330 “Arbusteti termo‐mediterranei e pre‐steppici”. Può rappresentare stadi iniziali (pionieri) di colonizzazione di neo‐superfici costituite ad esempio da affioramenti rocciosi di varia natura litologica, così come aspetti di degradazione più o meno avanzata al termine di processi regressivi legati al sovra‐pascolamento o a ripetuti fenomeni di incendio. Quando le condizioni ambientali favoriscono i processi di sviluppo sia del suolo che della vegetazione, in assenza di perturbazioni, le comunità riferibili all’Habitat 6220* possono essere invase da specie perenni arbustive legnose che tendono a soppiantare la vegetazione erbacea, dando luogo a successioni verso cenosi perenni più evolute. Può verificarsi in questi casi il passaggio ad altre tipologie di Habitat, quali gli “Arbusteti submediterranei e temperati”, i “Matorral arborescenti mediterranei” e le “Boscaglie termo‐mediterranee e pre‐steppiche” riferibili rispettivamente agli Habitat dei gruppi 51, 52 e 53 (per le
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tipologie che si rinvengono in Italia). Dal punto di vista del paesaggio vegetale, queste formazioni si collocano generalmente all’interno di serie di vegetazione che presentano come tappa matura le pinete mediterranee dell'Habitat 2270 “Dune con foreste di Pinus pinea e/o Pinus pinaster”; la foresta sempreverde dell’Habitat 9340 “Foreste di Quercus ilex e Quercus rotundifolia” o il bosco misto a dominanza di caducifoglie collinari termofile, quali Quercus pubescens, Q. virgiliana, Q. dalechampi, riferibile all’Habitat 91AA “Boschi orientali di roverella”, meno frequentemente Q. cerris (Habitat 91M0 “Foreste Pannonico‐ Balcaniche di cerro e rovere”). Per far sì di preservare tale habitat, utile a fini estetici quanto a fini di diversità vegetale, ambientale e del paesaggio, risultano necessari degli interventi mirati e costanti per impedire l’insorgere di arbusti, i quali comporterebbero l’inizio della naturale successione verso la vegetazione climax dell’area di ubicazione. L’intervento meno impattante e più utilizzato risulta essere l’impiego del bestiame con carico controllato, il quale riesce a mantenere costante le caratteristiche distintive dell’habitat prioritario 6220*. In alternativa la pascolo, dato l’elevato rischio incendio presente all’interno di tale superficie, per via della presenza di molto materiale vegetale secco, vengono indicati come utili interventi di trinciatura del manto erboso.
Figura 4: percorsi substeppici di graminacee e piante annue dei Thero Brachypodietea
22. Praterie collinari a Dasypyrum villosum (Laguro‐Dasypyretum villosi) A Castel Fusano e nella Tenuta Aldobrandini, vi sono ampie superfici di una vegetazione semiruderale dominata dalla graminacea Dasypyrum villosum. La vegetazione in esame presenta una media biodiversità e un grado di naturalità piuttosto basso, in quanto deriva da incendi ripetuti. Nonostante questo la vegetazione è piuttosto stabile e in equilibrio e non mostra segni di rapida evoluzione verso altri tipi vegetazionali. L’interesse naturalistico nasce dal fatto che in questa vegetazione si accantonano numerose specie erbacee, soprattutto annuali, generalmente non rare, ad eccezione di Vicia villosa ssp. pseudocracca, che, comune sul litorale romano, è rara altrove nel Lazio e anzi è di riscoperta piuttosto recente. Inoltre nella tenuta Aldobrandini si trovano i popolamenti typus dell’associazione Laguro‐Dasypyretum villosi di recente istituzione. In alcune superfici, per lo più a contatto con aree agricole, e nei terreni marginali, come i bordi delle strade e di alcuni canali, in tutto il territorio della Riserva, si sviluppa una vegetazione semiruderale dominata soprattutto da specie infestanti come Avena sterilis, Cynodon dactylon, Dasypyrum villosum, ecc., di scarso interesse naturalistico e a bassa naturalità. Questa vegetazione deriva generalmente dall’abbandono delle coltivazioni e tende a essere colonizzata da popolamenti di rovo (Rubus ulmifolius). Questa vegetazione resiste bene agli impatti, benché la sua dinamica sia spesso imprevedibile e molto rapida.
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23. Prati e pascoli avvicendati Si tratta di superfici erbacee a prevalenza di graminacee del tipo (Bromus erectus, Avena spp., Poa spp., Lolium multiflorum, Dactylis glomerata) che sono pascolate ed in parte periodicamente sfalciate per la produzione di foraggio.
24. Seminativi Tutti i terreni nei quali è praticata l’attività agricola ricadono in tale tipologia; principalmente nella riserva sono presenti colture ortive, graminacee e foraggere per l’alimentazione del bestiame ospitato negli allevamenti insistenti sul territorio.
I MODELLI DI COMBUSTIBILE
I combustibili possono essere sinteticamente descritti facendo ricorso al concetto di modello di combustibile. Questo è un modo per sintetizzare le principali proprietà fisiche della biomassa bruciabile, ed ottenere nel contempo dei parametri descrittivi quantitativi che consentono di implementare specifici algoritmi di propagazione del fronte di fiamma. I modelli di combustibile sono stati sviluppati a partire dagli anni ‘70 negli Stati Uniti dal Northern Forest Fire Laboratory (NFFL) e successivamente calibrati per il loro adattamento alla vegetazione mediterranea dal Ministero dell’Agricoltura spagnolo (ICONA, 1990). Lo schema di classificazione dei modelli di combustibile del NFFL, sebbene datato, è tuttora il più completo e diffuso nelle aree del mondo dove il problema degli incendi è rilevante. Adattamenti specifici alle realtà locali sono, per il nostro Paese, ancora in fase sperimentale (Camia 1994). Essi sono costituiti da 13 descrizioni tabulate di situazioni vegetazionali standard (Anderson, 1982; Rothermel, 1983; Andrews, 1986 Burgan e Rothermel, 1984), raggruppate per tipologie (praterie, cespugliati, lettiera e residui di utilizzazioni) in funzione della componente del complesso combustibile che maggiormente "sostiene" la propagazione del fuoco (Camia, 1999). Una descrizione delle caratteristiche dei 13 modelli viene riportata nella seguente tabella:
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Tabella 7: Descrizione dei modelli di combustibile NFFL (da Camia, 1999)
Componente che
sostiene la
propagazione
Mod.
NFFL Descrizione
Strato
Erbaceo
1
Pascoli e prati, costituiti da erbe fini, con tessuti senescenti o morti, di altezza < 30-
40 cm, che ricoprono completamente il suolo. Possono essere presenti
sporadicamente arbusti molto bassi o piante arboree comunque occupanti meno di
un terzo della superficie.
2
Pascoli e prati, costituiti da erbe fini, con tessuti senescenti o morti, di altezza < 30-
40 cm, che ricoprono completamente il suolo. Sono presenti specie legnose che
occupano da uno a due terzi della superficie, la propagazione del fuoco è sostenuta
dallo strato erbaceo.
3 Pascoli e prati, costituiti da erbe dense, con tessuti senescenti o morti, di altezza >1
metro. E' il modello tipico della savana e delle zone umide con clima temperato-
caldo. I campi di cereali non mietuti sono rappresentativi di questo modello.
Strato
Arbustivo
4
Macchia o piantagione giovane molto densa, di altezza pari o superiore ai due metri.
I rami morti presenti all'interno contribuiscono in maniera significativa ad
aumentare l'intensità delle fiamme. La propagazione del fuoco avviene a carico
delle chiome.
5 Macchia densa e verde, di altezza < 1 metro; la propagazione del fuoco è sostenuta
principalmente dalla lettiera e dallo strato erbaceo presenti.
6 Simile al modello 5 ma costituito da specie più infiammabili. Il fuoco è sostenuto
dallo strato arbustivo, ma richiede venti moderati o forti. La macchia bassa è
rappresentabile con questo modello.
7 Macchia costituita da specie molto infiammabili che costituiscono il piano inferiore
arbustivo di boschi di conifere, di altezza variabile tra 0,5 e 2 m di altezza.
Lettiera
8 Bosco denso, privo di sottobosco arbustivo. Propagazione del fuoco sostenuta dalla
lettiera compatta, costituita da aghi o foglie di ridotte dimensioni. I boschi densi di
pino silvestre o di faggio sono esempi rappresentativi.
9 Bosco denso, privo di sottobosco arbustivo, ma con lettiera meno compatta del
modello 8, costituita da conifere ad aghi lunghi e rigidi o da latifoglie a foglia
grande. Sono esempi rappresentativi i boschi di pino marittimo e di castagno.
10 Bosco con grandi quantità di biomassa bruciabile a terra (rami, alberi schiantati)
accumulatasi a seguito di eventi quali forti venti, attacchi parassitari, ecc.
Ramaglia
11 Bosco rado o fortemente diradato. Residui dispersi di spalcature o diradamenti,
frammisti ai ricacci delle piante erbacee.
12 I residui prevalgono sugli alberi in piedi ricoprendo tutto il suolo in conseguenza di
potature intense o diradamenti.
13 Grande accumulo di residui di grosse dimensioni che ricoprono completamente il
suolo.
10 Bosco con grandi quantità di biomassa bruciabile a terra (rami, alberi schiantati)
accumulatasi a seguito di eventi quali forti venti, attacchi parassitari, ecc.
11 Bosco rado o fortemente diradato. Residui dispersi di spalcature o diradamenti,
frammisti ai ricacci delle piante erbacee.
12 I residui prevalgono sugli alberi in piedi ricoprendo tutto il suolo in conseguenza di
potature intense o diradamenti.
13 Grande accumulo di residui di grosse dimensioni che ricoprono completamente il
suolo.
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I parametri fisici sottesi dai modelli che sono impiegati per la determinazione del comportamento del fuoco sono legati al grado di predisposizione al passaggio del fuoco determinato dal fattore relativo alla biomassa bruciabile. La distribuzione spaziale dei modelli di combustibile è infatti una variabile fondamentale di ingresso per implementare appositi sistemi di simulazione che consentono di prevedere il comportamento atteso del fuoco in funzione di specifici scenari meteorologici, ricavandone una carta delle intensità lineari attese del fronte stesso. Le informazioni così ricavate sono utilizzate per definire il rischio di incendio. La carta è stata realizzata a partire dai dati vegetazionali e da rilievi eseguiti in campo volti, oltre che alla assegnazione dei modelli di combustibile in modo estensivo sul territorio della Riserva, anche a caratterizzarne le tipologie più comunemente presenti. L’assegnazione dei modelli è stata effettuata nel corso di attività di rilievo in campo mediante una stima per confronto, utilizzandoli manuale fotografico dei modelli di combustibile (ICONA, 1990).
Roma Nella tabella seguente si riporta la superficie occupata dai diversi modelli di combustibile presenti nell’area della Pineta di Castel Fusano.
Tabella 8: Diffusione dei diversi modelli di combustibile nella pineta di Castel Fusano
Si noti la considerevole diffusione del modello 4, di gran lunga il più pericoloso dal punto di vista del comportamento del fuoco ed il più problematico per l’estinzione con l’attacco diretto. La gravità della situazione è del resto indicata chiaramente dagli elevati valori di intensità lineare ottenuta con le simulazioni.
Fiumicino
La maggior parte del territorio della riserva (84%) è costituito da combustibili di tipo erbaceo in cui la velocità di propagazione è sostenuta, ma le intensità sono moderate. Tra questi modelli sono compresi tutti i coltivi e i seminativi (modello 1) che, di fatto, sono raramente percorsi dal fuoco, i modelli di tipo 2 che sono rappresentati soprattutto dagli incolti improduttivi in cui possono essere presenti anche arbusti e alberi a copertura molto rada e dal modello 3, presente soprattutto laddove si sviluppa la vegetazione igrofila, ovvero nei canneti. I modelli di tipo arbustivo più frequenti (7) sono costituiti da soprassuoli occupati da vegetazione di macchia o sclerofille che costituiscono il piano dominato di piante ad alto fusto (lecceta o pineta) con la presenza di conifere, seguono i modelli di macchia (4) e di arbusti bassi più o meno infiammabili (5 e 6). Nelle seguenti tabelle sono riportate le superfici occupate dai diversi modelli di combustibile anche in relazione alla superficie forestale.
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Tipo di combustibile
Modello di
Combustibil
e
Superfici
e
occupata
(ha)
% Sul
totale della
Sup. occ.
1 5830.4 73.21%
Erbaceo 2 638.6 8.02%
3 211.6 2.66%
4 90.9 1.14%
5 20.7 0.26%
Arbustivo 6 43.2 0.54%
7 253.4 3.18%
Lettiera 9 244.5 3.07%
Non combustibile 99 630.2 7.91%
Tot. (Ha) 7963.5 100.00%
Tabella 9: Superfici occupate (ha e %) dai modelli di combustibile presenti nella RNS del Litorale Romano – Comune di Fiumicino
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Superficie occupata (ha) Modelli di combustibile Non
comb.
Totale
Carta dell’uso del suolo con
approf. sulla vegetazione 1 2 3 4 5 6 7 9
Acque 182.82 2.30%
Aree urbanizzate 447.40 5.62%
Canneti e Vegetazione igrofila 211.57 2.66%
Coltivi e seminativi 5830.44 73.21%
Filari 210.50 2.64%
Lecceta con macchia
mediterranea 210.23 2.64%
Lecceta con presenza di pino
domestico 16.84 0.21%
Macchia a dominanza di ginepro
coccolone 29.88 0.38%
Macchia a dominanza di ginepro
coccolone con pino domestico 23.85 0.30%
Macchia alta 37.16 0.47%
Macchia alta con leccio e
presenza di pino domestico 19.54 0.25%
Macchia alta con leccio e
presenza di pino domestico 19.54 0.25%
Pineta adulta chiusa con scarso
sottobosco di macchia 3.12 0.04%
Pineta adulta chiusa con
sottobosco di macchia mediam.
occupato
10.01 23.98 0.43%
Pineta adulta rada con sottobosco
di macchia abbondante 6.84 0.09%
Pineta adulta rada con sottobosco
di macchia mediam. occupato 10.70 19.22 0.38%
Prati e incolti 531.52 6.67%
Siti turistico-ricreativi (campeggi)
Vegetazione ripariale 30.84 0.39% 100%
Tabella 10: Superfici occupate (ha e %) dai modelli di combustibile per le diverse classi della carta forestale nella RNS del Litorale Romano – Comune di Fiumicino.
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2.5 ANALISI DEGLI INCENDI PREGRESSI (almeno degli ultimi 10 anni)
L’esame delle serie storiche di incendio è solitamente realizzata per caratterizzare il fenomeno in una certa area dal punto di vista statistico ed è uno degli strumenti utilizzati per pianificare e progettare gli interventi di prevenzione. Tale analisi è condotta soprattutto con riferimento alla pianificazione antincendio su scala vasta (regionale o nazionale). Sulla scala locale, essa è finalizzata soprattutto alla progettazione della gestione del servizio di monitoraggio, avvistamento e prevenzione ed è focalizzata sulla distribuzione degli eventi nel corso dell’anno e della settimana oltre che alla prevenzione dei grandi incendi. In effetti la significatività dei dati statistici di incendio si abbatte drammaticamente al diminuire della superficie considerata poiché, in senso strettamente statistico con riferimento alle distribuzioni di frequenza, l’evento incendio è descrivibile con distribuzioni tipiche degli eventi rari, quale ad esempio la distribuzione di Poisson (Mandallaz e Ye 1997). E’ tuttavia evidente che, non pretendendo di voler trattare le distribuzioni di frequenza per ricercarne un modello interpretativo di riferimento, da un’analisi accurata di alcune caratteristiche significative degli eventi passati, si possono trarre utili indicazioni per impostare la pianificazione antincendio. Tale analisi assume un significato crescente all’aumentare del periodo storico considerato, che tuttavia si suggerisce non estendere eccessivamente, non oltre i 15 anni, a causa del rapido mutare delle condizioni al contorno, e segnatamente il contesto socio‐economico che tanto è legato al fenomeno degli incendi, e quindi per evitare di includere nell’analisi situazioni troppo differenti tra loro (Camia 1993).
STATISTICHE NELLA RISERVA NATURALE STATALE DEL LITORALE ROMANO (ANNI 2009‐2016)
Nel caso in esame per l’analisi statistica dei dati si è considerato un periodo storico di 8 anni, per il quale si aveva disponibilità di dati. Per dimensionare in senso generale e stagionale il fenomeno, nella Tabella 10 si riporta la frequenza e la superficie percorsa totale nei mesi.
Mese Numero incendi Superficie
percorsa (ha)
Gennaio
Febbraio
Marzo
Aprile
Maggio
Giugno
Luglio
Agosto
Settembre
Ottobre
Novembre
Dicembre
0
3
1
1
8
14
20
13
8
2
0
0
0
56.8749
1.1562
0.0151
5.0078
7.3692
28.6407
25.8139
4.2051
0.07
0
0
Totale 70 129.1529
Tabella 11: Frequenza di incendio e superficie percorsa totale nei mesi nella Riserva Naturale Statale del Litorale Romano nei 9 anni considerati.
Il periodo di massima pericolosità è quello tipico degli ambienti mediterranei, con picchi di frequenza e superfici percorse nei mesi estivi. Si ricorda a tal proposito che annualmente con apposita ordinanza, il Sindaco di Roma dichiara il periodo di “grave pericolosità”, fissandone i limiti temporali normalmente tra il 1 giugno ed il 30 settembre, ponendo particolari restrizioni e vietando una serie di attività sul territorio, connesse direttamente o indirettamente al problema degli incendi boschivi. L’analisi i cui risultati verranno ora presentati, non ha seguito il percorso tradizionale che comprende il calcolo delle distribuzioni nel tempo e nello spazio, sia per i motivi indicati poc’anzi, sia poiché si riteneva più utile, per un lavoro su scala locale, soffermarsi su alcune caratteristiche degli eventi occorsi, che potessero fornire indicazioni sull’impostazione del piano. Si deve infine sottolineare che i dati disponibili sono limitati alle
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informazioni rilevate e registrate nei “Fogli Notizie”. Pertanto non tutte le caratteristiche degli eventi sono disponibili negli archivi, né si può avere la garanzia che tutti gli eventi siano stati registrati, essendo gli incendi di minor estensione, in alcuni casi riferibili al fenomeno del “principio di incendio”, spesso trascurati dalle statistiche, seppur comunque di grande interesse per il pianificatore. Dati i limiti oggettivi imposti dal contesto, l’analisi degli incendi è stata quindi principalmente finalizzata a chiarire tre aspetti, che si ritengono di grande importanza per l’organizzazione futura del servizio: la distribuzione degli incendi nel corso della giornata, i tempi di segnalazione e di allertaggio, l’impiego dell’elicottero. Nella Figura 5 è riportata la distribuzione di frequenza relativa di incendi nella Riserva Naturale del Litorale Romano per ora di inizio negli 9 anni considerati.
Figura 5: Incendi nella Riserva Naturale del Litorale Romano per ora di inizio.
Si osservi che oltre al picco del primo pomeriggio, determinato dall’andamento delle condizioni meteorologiche nel corso della giornata, e che trova riscontro in analoghe distribuzioni di altre realtà, si aggiunge un picco intorno alle ore 12 e un massimo relativo alle 15. Si ritiene che tale andamento possa essere in parte da imputarsi alla organizzazione del servizio di monitoraggio e di primo intervento, che è ottimizzato per rispondere prontamente nel primo pomeriggio, mentre non è altrettanto pronto a reagire nel pieno della operatività nel corso della mattinata. Questo fatto viene confermato osservando l’andamento nel corso della giornata delle superfici percorse totali (Figura 6).
Figura 6: Superfici percorse totali per ora di inizio di incendio
Si noti che gli incendi di maggior estensione sono effettivamente concentrati nelle ore del pomeriggio. Si ritiene peraltro che alla maggior operatività pomeridiana del servizio di estinzione sia da attribuirsi la
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Numero incendi per ora di inizio
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Superficie Percorsa
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diminuzione di frequenza di incendio intorno alle 13, che contrasta con l’andamento quotidiano delle cause predisponenti. In effetti molti potenziali incendi sono probabilmente contenuti entro i limiti del principio di incendio, dal più efficiente servizio di avvistamento e primo intervento del pomeriggio, e per questo motivo in alcuni casi non vengono registrati come eventi e sfuggono quindi alle statistiche. Si può notare che, come negli anni precedenti, gli incendi di maggior estensione sono concentrati nelle ore centrali della giornata, che non contrasta con l’andamento quotidiano delle cause predisponenti (temperatura e vento). In effetti molti potenziali incendi sono probabilmente contenuti entro i limiti del principio di incendio, dal più efficiente servizio di avvistamento e primo intervento del pomeriggio, e per questo motivo in alcuni casi non vengono registrati come eventi e sfuggono quindi alle statistiche. Dal confronto con le statistiche precedenti si evincono i seguenti dati: ‐è notevolmente aumentato il numero degli incendi nel mese di luglio ma la superficie percorsa è diminuita; ‐nei mesi di luglio il numero di incendi è aumentato, ma la superficie complessiva e pari all’2,4%; ‐è significativamente diminuito il numero degli incendi nel mese di agosto;
In conclusione non vi è dubbio che il controllo visivo dell’area della Pineta di Castel Fusano (dal 2003) e della Pineta dell’AcquaRossa (dal 2006) ha contribuito notevolmente alla riduzione dell’area complessiva percorsa dal fuoco. Nella Figura 7 è riportata la distribuzione percentuale degli incendi nei mesi dell’anno.
Figura 7: Distribuzione degli incendi durante i mesi dell'anno nel periodo 2009‐2016
Per quanto riguarda la distribuzione degli incendi per anno, riportati nella Figura 8, c’è da considerare le eccezioni negli anni 2009 e 2015.
Figura 8: Distribuzione degli incendi per anno ‐ periodo 2009‐2016
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Numero di incendi per anno
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Nella Figura 9 sono riportate in percentuale le modalità di avvistamento o segnalazione degli incendi. E’ evidente quanto sia efficace il sistema di monitoraggio tramite telecamere che permette di avvistare circa il 70% dei focolai di incendio.
Figura 9: Attività di avvistamento/segnalazione ‐ periodo 2010‐2016
Si riportano di seguito la tabella riportanti i dati relativi agli incendi verificatisi nella riserva Naturale Statale del Litorale Romano nel periodo 2009‐2016 (Fonte dati: Carabinieri Forestale)
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DATA_INC ORA_EV LOC SUPCALCB SUPCALCNB AREA_TOT
09/09/2009 16:20 ACQUE ROSSE 0,4563 0,0000 0,4563
27/04/2009 14:52 CASTEL FUSANO SETTORE "B" 0,0151 0,0000 0,0151
08/05/2009 16:50 CASTEL FUSANO SETTORE "B" 0,0026 0,0000 0,0026
14/07/2009 11:25 MACCHIA TRA VIA LITORANEA E VIA A VESPUCCI 0,0290 0,0000 0,0290
16/05/2009 15:35 NON DISPONIBILE 0,1094 0,8365 0,9459
16/05/2009 15:35 NON DISPONIBILE 0,1094 0,8365 0,9459
21/06/2009 17:58 PINETA TORLONIA COMUNE DI FIUMICINO 0.3047 0.0832 0.3879
04/08/2009 15:10 OSTIA CASTEL FUSANO 0,0014 0,0000 0,0014
22/06/2009 17:29 PIANABELLA ‐ OSTIA ANTICA 0,1529 0,0039 0,1568
22/06/2009 17:29 PIANABELLA ‐ OSTIA ANTICA 0,1529 0,0039 0,1568
02/07/2009 18:45 PIANABELLA ‐ OSTIA ANTICA 0,0024 0,0000 0,0024
24/06/2009 11:20 Pianabella ‐ Ostia antica 0,0722 0,0687 0,1409
24/06/2009 11:20 Pianabella ‐ Ostia antica 0,0722 0,0687 0,1409
16/06/2009 17:50 PINETA ACQUE ROSSE 0,1747 0,0000 0,1747
22/08/2009 12:44 PINETA DI CASTEL FUSANO 0,0014 0,0000 0,0014
16/07/2009 15:02 CASTEL ROMANO 2,6132 5,0064 7,6196
16/07/2009 15:02 CASTEL ROMANO 2,6132 5,0064 7,6196
03/09/2009 15:37 R.N.R. TENUTA DEI MASSIMI 0,1198 0,9208 1,0406
03/09/2009 15:37 R.N.R. TENUTA DEI MASSIMI 0,1198 0,9208 1,0406
22/05/2009 14:27 SCUOLA ACQUE ROSSE 0,1402 0,0000 0,1402
29/06/2009 15:50 VIA DI CASTEL FUSANO N░ 195 1,3537 4,4438 5,7975
29/06/2009 15:50 VIA DI CASTEL FUSANO N░ 195 1,3537 4,4438 5,7975
16/08/2009 01:30 VIA MEDITERRANEO CASTEL FUSANO 0,2588 0,0000 0,2588
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DATA_INC ORA_EV LOC SUPCALCB SUPCALCNB AREA_TOT
05/06/2010 15:09 CASTEL FUSANO LOCALIT└ PANTANO 0,0533 0 0,0533
10/10/2010 09:55 ACQUA ROSSA 0,035 0 0,035
22/08/2010 18:07 CASTEL FUSANO 0,00130 0,00000 0,00130
24/06/2010 10:03 CASTEL FUSANO SETTORE "C" 0,002 0 0,002
11/07/2011 12:25 CASTEL FUSANO 0,002 0 0,002
18/05/2011 10:55 ACQUE ROSSE 0,7871 0 0,7871
28/05/2011 18:13 Via del lido 0,2883 0,0000 0,2883
29/05/2011 16:04 Castel Fusano 2,0566 0 2,0566
06/08/2011 17:45 COCCIO DI MORTO 0,0751 3,9712 4,0462
21/09/2011 18:13 Via delle Azzorre 0,2436 0,0000 0,2436
05/08/2012 12:30 CASTEL FUSANO 0,001 0 0,001
05/07/2013 15:15 ACQUE ROSSE 1,3625 0 1,3625
29/07/2013 16:33 ACQUE ROSSE 0,3594 0 0,3594
04/09/2014 16:35 PINETA ACQUE ROSSE 0,04380 0,00000 0,04380
10/09/2014 13:45 PINETA DI CASTEL FUSANO 0,0136 0 0,0136
27/08/2014 18:20 PINETA ACQUE ROSSE 0,1936 0 0,1936
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Tabella 12: incendi verificatisi nella riserva Naturale Statale del Litorale Romano nel periodo 2009‐2016
DATA_INC ORA_EV LOC SUPCALCB SUPCALCNB AREA_TOT
05/07/2015 12:15 PINETA ACQUE ROSSE 0,30860 0,00000 0,30860
05/07/2015 16:44 ACQUE ROSSE 0,01220 0,00000 0,01220
06/07/2015 14:50 CASTEL FUSANO 0,00350 0,00000 0,00350
08/06/2015 10:06 PINETA ACQUE ROSSE 0,21290 0,00000 0,21290
10/07/2015 15:15 CASTEL FUSANO 0,00120 0,00000 0,00120
13/07/2015 14:40 CASTEL FUSANO 0,02690 0,00000 0,02690
15/07/2015 11:40 VIA LIDO DI CASTELPORZIANO 0,03710 0,00000 0,03710
17/09/2015 13:20 CASTEL FUSANO PIAZZALE C. COLOMBO 0,28100 0,00000 0,28100
19/07/2015 15:30 CASTEL FUSANO 0,01820 0,00000 0,01820
21/07/2015 12:40 CASTEL FUSANO 0,0016 0 0,0016
21/07/2015 16:55 CASTEL DI GUIDO 8,6397 10,1631 18,8028
21/07/2015 16:55 CASTEL DI GUIDO 8,6397 10,1631 18,8028
29/07/2015 13:23 PINETA COCCIA DI MORTO 6,61270 40,80410 47,41680
22/02/2015 11:40 CASTEL FUSANO 0,0018 0 0,0018
31/07/2015 14:30 CASTEL FUSANO 0,00340 0,00000 0,00340
08/08/2015 12:25 TORRIMPIETRA 1,62000 7,83620 9,45630
02/09/2016 15:20 PINETA ACQUE ROSSE 0,08320 0,00000 0,08320
06/07/2016 19:00 CASTEL FUSANO 0,04830 0,00000 0,04830
08/08/2016 13:27 CASTEL DI GUIDO ‐ LA BOTTACCIA 3,80470 11,05980 14,86450
12/08/2016 16:42 CASTEL ROMANO 1,30730 1,09090 2,39820
12/08/2016 16:42 CASTEL ROMANO 1,30730 1,09090 2,39820
24/08/2016 10:00 FREGENE 1,15620 0,00000 1,15620
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La variazione che si osserva tra un anno e l’altro può essere interpretata soprattutto come conseguenza di contingenze meteorologiche.
Figura 10: Superficie percorsa (ha) di incendio per il periodo analizzato nell’area della Riserva Naturale Statale del Litorale Romano; le aree in blu indicano la superficie boscata, mentre quelle in arancio la superficie non boscata.
Distribuzioni nei mesi
L’analisi della distribuzione degli incendi boschivi nei mesi dell’anno consente di definire la stagionalità del fenomeno e di individuare, in termini quantitativi, la stagione di incendio nell’area. Le frequenze mensili sono state ottenute contando per ogni mese gli incendi che si sono verificati nel corso della serie storica. L’area della Riserva Naturale Statale del Litorale Romano ed il territorio ad essa attiguo (così come del resto tutto il territorio del Lazio) è riconducibile ai regimi pirologici tipici delle regioni mediterranee, con un massimo di incendi nei mesi estivi (soprattutto tra giugno e settembre) ed un minimo nel periodo invernale. Vale la pena sottolineare che, con tutta probabilità, gli eventi sono riconducibili da un lato all’andamento meteorologico (estati siccitose e ventose) particolarmente predisponente ad una maggior secchezza dei combustibili, ma con tutta probabilità anche alla maggiore pressione antropica che si ha nell’area in questione durante il periodo estivo, essendo una zona residenziale in cui prevalgono abitazioni di villeggiatura e vocata al turismo balneare. In accordo con le statistiche regionali, i picchi di massima frequenza si hanno nel mese di giugno, luglio e agosto.
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40,0000
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09/09/2009
08/05/2009
16/05/2009
21/06/2009
22/06/2009
02/07/2009
24/06/2009
22/08/2009
16/07/2009
03/09/2009
29/06/2009
16/08/2009
05/06/2010
22/08/2010
18/05/2011
29/05/2011
21/09/2011
05/08/2012
05/07/2013
10/09/2014
05/07/2015
08/06/2015
13/07/2015
17/09/2015
21/07/2015
21/07/2015
22/02/2015
08/08/2015
02/09/2016
08/08/2016
12/08/2016
24/08/2016
Superfici percorse 2009‐2016
SUPCALCB SUPCALCNB
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Figura 11: Frequenza di incendio per mese nella Riserva Naturale Statale del Litorale Romano nel periodo 2009‐2016
Le superfici percorse mensili sono state calcolate dividendo il totale della superficie percorsa boscata e non boscata di ciascun mese della serie storica per il numero degli anni presi in considerazione. L’andamento delle superfici, in concomitanza con le frequenze, evidenzia una stagione di massima pericolosità di incendio soprattutto nei mesi di luglio e agosto. Un considerevole livello di attenzione deve essere tenuto anche per giugno e settembre.
Figura 12: Superficie di incendio per mese nelle aree boscate e non boscate nella Riserva Naturale Statale del Litorale Romano
Distribuzioni disaggregate per mese e per anno
Per un’analisi più dettagliata di quanto è avvenuto nel corso della serie storica considerata, è necessario esaminare in modo disaggregato la distribuzione degli eventi negli anni e nei mesi. La distribuzione di frequenza degli incendi è riportata nella Tabella 11.
01020304050607080
Superfici percorse mensili
superficie boscata superficie non boscata
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Anno Gen Feb Mar Apr Mag Giu Lug Ago Set Ott Nov Dic Tot 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016
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17 4 6 1 2 3 14 4
Totale 0 1 0 1 6 8 17 10 7 1 0 0 51 Tabella 13: Frequenza di incendio disaggregata per anno e per mese nell’area estesa della riserva Naturale statale del Litorale Romano nel periodo 2009‐2016
Nella Tabella 14 si riporta invece il totale della superficie percorsa in ciascun mese della serie storica considerata dove si può riscontrare la variabilità da un anno all’altro e nel corso dei mesi.
Anno Gen Feb Mar Apr Mag Giu Lug Ago Set Ott Nov Dic Tot
2009 0 0 0 0.0151 1.0887 5.9722 7.651 0.2616 1.4969 0 0 0 16.4855
2010 0 0 0 0 0 0.0553 0 0.0013 0 0.035 0 0 0.0916
2011 0 0 0 0 3.132 0 0.002 4.0462 0.2436 0 0 0 7.4238
2012 0 0 0 0 0 0 0 0.001 0 0 0 0 0.001
2013 0 0 0 0 0 0 1.7219 0 0 0 0 0 1.7219
2014 0 0 0 0 0 0 0 0.1936 0.0574 0 0 0 0.251
2015 0 0.0018 0 0 0 0.2129 66.6323 9.4563 0.281 0 0 0 76.5843
2016 0 0 0 0 0 0 0.0483 18.4189 0.0832 0 0 0 18.5504
Totale 0 0.0018 0 0.0151 4.2207 6.2404 76.0555 32.3789 2.1621 0.035 0 0 121.1095
Tabella 14: Superficie percorsa di incendio disaggregata per anno e per mese nell’area estesa in ha della Riserva Naturale Statale del Litorale Romano nel periodo 2009‐201
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Distribuzione nelle ore del giorno
La descrizione delle ore di innesco degli incendi è di grande importanza per organizzare il servizio di sorveglianza e di prima estinzione, nonché per meglio comprendere la natura del fenomeno nell’area. Le frequenze per ora di innesco rappresentano la distribuzione del numero di incendi, secondo l’ora di innesco degli incendi stessi (classi di 1 ora). La distribuzione è massima nelle ore centrali della giornata ed in particolare nelle prime ore del pomeriggio in linea con le statistiche regionali e con quanto accade nelle aree mediterranee soggette a incendio, variando soprattutto in funzione dell’andamento quotidiano delle cause meteorologiche predisponenti.
Figura 13: Frequenza per ora di innesco nell’area della Riserva Naturale Statale del Litorale Romano nel periodo 2009‐2016
Si sono inoltre calcolate le superfici totali percorse secondo l’ora di innesco degli incendi (classi di 1 ora). Come si può osservare dal grafico i momenti della giornata più problematici a questo riguardo sono sempre riferiti alle ore centrali della giornata con due picchi tra le 13 e le 15 e tra le 16 e le 18.
Figura 14: Superfici percorse (in ha) per ora di innesco nella Riserva Naturale Statale del Litorale Romano nel periodo 2009‐2016.
Per contro le superfici totali percorse secondo l’ora di innesco, divise per il numero degli incendi iniziati nel medesimo momento della giornata, forniscono il valore della superficie media degli eventi, secondo
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20:00
Frequenza incendi per ora di innesco
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l’ora alla quale sono iniziati. Si osserva che gli incendi di maggiore superficie, su cui è opportuno focalizzare l’attenzione, sono concentrati tra le 12 e le 14. Un altro picco si osserva tra le 15 e le 17.
Distribuzione di frequenza delle superfici percorse
Si è infine costruita la distribuzione cumulativa degli eventi che serve ad individuare la tipologia di incendio critico per l’area da proteggere. Tutti gli incendi della serie storica sono stati ordinati per valori crescenti di superficie percorsa e questi sono stati sommati cumulativamente a partire dall’evento più piccolo fino a quello più esteso. Tale distribuzione è raffigurata nel grafico successivo: sull’asse delle ascisse sono riportati i ventili della serie di superficie percorsa, vale a dire i valori di superficie percorsa che dividono la serie ordinata in venti parti uguali in numero. Sull’asse delle ordinate sono invece rappresentati la percentuale rispetto al totale del numero di incendi (linea continua) e della superficie percorsa (linea tratteggiata). Dal grafico si evince che gli incendi con superficie maggiore di 15 ha, rappresentano in numero il 20 % di tutti gli incendi che si sono verificati nell’area, ma che questi hanno percorso più del 75% della superficie complessiva percorsa dal 2009‐2016. Pertanto per migliorare in modo significativo i risultati del contrasto agli incendi boschivi nell’area, si dovranno concentrare gli sforzi di protezione sul controllo di questi pochi eventi che nell’area assumono il significato di eventi di grande superficie.
Figura 15: Distribuzioni cumulative di incendio nella Riserva Naturale Statale del Litorale Romano nel periodo 2009‐2016.
2.6 SERIE STORICA DEI DATI METEOROLOGICI E BIOCLIMATICI (PRECIPITAZIONI, VENTO, TEMPERATURA E UMIDITA’ DELL’ARIA) E INDIVIDUAZIONE PERIODO CRITICO STAGIONALE
I fattori predisponenti gli incendi boschivi sono generalmente riconducibili a variabili topografiche, vegetazionali (soprattutto relative al combustibile forestale) e meteo‐climatiche. In questo capitolo si riassumono alcune caratteristiche del territorio della Riserva Naturale Statale del Litorale Romano utili a definirne lo scenario naturalistico, ambientale e socio‐economico che influenza il fenomeno degli incendi boschivi nel suo complesso. Anche in riferimento alle indicazioni riscontrate sul Piano AIB regionale, si sono esaminate tali variabili singolarmente nel loro ruolo rispetto alla caratterizzazione degli incendi boschivi all’interno della Riserva Naturale Statale del Litorale Romano. Vengono identificate le variabili determinanti e predisponenti più rilevanti nell’area e si costruiscono le basi informative da impiegare successivamente per la realizzazione della carta del rischio di incendio e per impostare le attività del
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sistema di previsione del pericolo e delle procedure operative. L’attenzione è stata rivolta soprattutto sui fattori vegetazionali e meteorologici poiché dal punto di vista topografico il territorio della Riserva Naturale Statale è pressoché pianeggiante e privo di rilievi tali da influenzare in modo significativo il comportamento del fuoco.
ANALISI DEI FATTORI PREDISPONENTI
Fattori vegetazionali
Per ciò che concerne la vegetazione, le condizioni predisponenti gli incendi sono soprattutto legate alla presenza e alla quantità di biomassa bruciabile, ovvero di combustibile forestale presente sul territorio. Il combustibile forestale è costituito dal materiale di origine vegetale vivo e morto (necromassa), che può partecipare alla combustione durante un incendio boschivo. Nel contesto della Riserva Naturale Statale del Litorale Romano la distribuzione della vegetazione potenzialmente percorribile da incendio è evidentemente legata agli aspetti gestionali del territorio e può essere caratterizzata attraverso la descrizione sintetica che fa riferimento al concetto di modello di combustibile. Come già accennato, questi modelli sottendono le principali proprietà fisiche del combustibile che influenzano la propagazione del fuoco tra cui il carico, ovvero la biomassa per unità di superficie. Attraverso appositi sistemi di simulazione, i modelli di combustibile contribuiscono a prevedere il comportamento atteso del fuoco e forniscono delle formazioni preziose in merito alla pericolosità di incendio. La predisposizione della vegetazione ad essere percorsa viene dunque relazionata alla localizzazione e diffusione dei combustibili ed alla relativa potenziale pericolosità di incendio. Nelle zone della Riserva Naturale Statale in cui è presente il soprassuolo arboreo costituito da vegetazione sclerofilla o di resinose (leccete, macchia alta, pinete etc.) e soprattutto dove la componente arbustiva del sottobosco non presenta alcuna soluzione di continuità tra suolo e soprassuolo (modello di combustibile 7), con il passaggio del fuoco aumentano lunghezza di fiamma e intensità, incrementate anche dalla notevole infiammabilità delle specie presenti. In questi casi vi è una maggior predisposizione al passaggio in chioma degli incendi e le difficoltà di estinzione sono elevate. Laddove la vegetazione arborea è decisamente rada viene dunque relazionata alla localizzazione e diffusione dei combustibili ed alla relativa potenziale pericolosità di incendio. Dove invece risulta addirittura non presente i combustibili sono di tipo erbaceo (modello 1 o 2) e/o arbustivo (di gariga) e possono essere interessati da incendi radenti con velocità relativamente elevata e intensità medio‐basse con minori difficoltà di estinzione rispetto ai soprassuoli boscati. Un ultimo cenno merita la vegetazione igrofila e ripariale presente abbastanza frequentemente nella Riserva. Si tratta prevalentemente di canneti che sebbene nel periodo estivo siano comunque forniti di approvvigionamento idrico, hanno una notevole predisposizione al disseccamento delle parti non sommerse e sono facilmente infiammabili. In questo caso danno origine anche a velocità di propagazione abbastanza sostenute e a intensità medio‐alte, ma sono piuttosto facilmente controllabili purché non siano veicolo di propagazione a soprassuoli arborei nelle vicinanze.
Fattori meteorologici La componente di interesse per la pianificazione della Riserva su questo argomento è la definizione della risultante del bioclima e quindi delle conseguenti caratteristiche pirologiche degli ecosistemi presenti. Tali aspetti sono stati esaminati considerando la variazione stagionale del grado di pericolo di incendio determinata dai fattori meteorologici, desunti dal capitolo di inquadramento generale sul meteo clima del territorio protetto. In questa parte ci si sofferma sugli aspetti e sui motivi che determinano una diversa predisposizione al fuoco in relazione alle grandezze meteorologiche ed alla loro caratterizzazione nella stagione degli incendi analizzando le singole variabili. Le condizioni meteorologiche predisponenti gli incendi sono principalmente riconducibili alla siccità prolungata che si registra nella stagione estiva ed al vento. Per quanto riguarda la siccità prolungata è importante poter disporre di strumenti in grado di parametrizzarne i valori e quantificare in maniera sintetica l’andamento dei livelli raggiunti nel corso della stagione. A questo proposito gli indici meteorologici di pericolo di incendio sono stati messi a punto con la finalità di sintetizzare in pochi valori numerici, l’insieme delle condizioni meteorologiche ed il loro
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effetto predisponente gli incendi boschivi. Per quanto riguarda il vento l’area della RNS è soggetta a venti direzionali prevalenti con caratteristiche stagionali che per l’effetto sull’umidità relativa dell’aria e dei combustibili sono particolarmente predisponenti gli inneschi e la diffusione.
Precipitazioni
Le precipitazioni influenzano il tenore idrico dei combustibili, sia vivi che morti. Per quanto riguarda la biomassa viva le precipitazioni sono in particolare da mettere in relazione alla disponibilità di acqua nel suolo: non è tanto importante il singolo evento di pioggia quanto piuttosto il decorso stagionale delle precipitazioni. In caso di condizioni di siccità prolungata è importante poter disporre di strumenti in grado di parametrizzarne i valori e quantificare in maniera sintetica l’andamento dei livelli raggiunti nel corso della stagione. Nel grafico seguente viene rappresentato l’andamento della piovosità dai dati di precipitazione media mensile delle stazioni meteorologiche di Maccarese e Fiumicino (da Blasi, 1994).
PIOVOSITA’ (mm)
MESE MACCARESE ROMA FIUMICINO
Gennaio 88.45 81.6
Febbraio 80.87 74.99
Marzo 73.12 72.05
Aprile 48.43 47.24
Maggio 40.41 30.45
Giugno 23.26 13.35
Luglio 9.43 6.76
Agosto 30.98 33.07
Settembre 77.34 76.54
Ottobre 90.13 96.94
Novembre 132.58 100.04
Dicembre 94.01 92.69
TOTALE ANNO 789.01 725.72
Media valori 65.75 60.47
Tabella 15: media generale dei valori mensili delle precipitazioni, e della densità media, registrati nelle stazioni meteorologiche considerate (da: C. Blasi 1994).
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Figura 16: Precipitazioni medie mensili Maccarese e Roma
I mesi estivi, ed in particolare luglio, presentano un picco di minima a cui corrisponde un minor tenore idrico nel suolo e di conseguenza nei combustibili vegetali. Questo fatto influenza soprattutto la predisposizione all’innesco.
Vento
Il vento è un fattore chiave nel comportamento del fuoco. Questa variabile agisce su diversi fronti. Innanzitutto esercita un’influenza sull’umidità relativa dell’aria facendo variare il tenore idrico della frazione morta di biomassa bruciabile e, in particolare, dei combustibili di piccole dimensioni, che tendono più rapidamente a portarsi in equilibrio igrotermico con l’ambiente, e che costituiscono il principale elemento portante di fronti di fiamma veloci e difficilmente controllabili. La disposizione dei viali tagliafuoco deve tenere conto di tali direzioni prevalenti, perché il fronte di fiamma sarà prevalentemente disposto perpendicolarmente ad esse, ed avanzerà nella stessa direzione. Il vento ha quindi un ruolo fondamentale nella fase di sviluppo e diffusione dell’incendio, essendo il fattore più importante nel determinare la velocità di propagazione del fronte di fiamma. Le principali azioni svolte dal vento in questo senso sono tre: favorire l'apporto di comburente per il processo di combustione, aumentare il preriscaldamento dei combustibili posti dinanzi al fronte in avanzamento inclinando la fiamma e per convezione, trasportare frammenti in combustione, favorendo la nascita di focolai secondari anche a considerevoli distanze (spotting). Il vento, ed in particolare venti direzionali quali il Libeccio da SO, lo Scirocco da S‐SE e il Maestrale da NO, per le loro caratteristiche di velocità, e per essere causa di abbassamento dell’umidità relativa dell’aria, sono di gran lunga il principale fattore meteorologico predisponente gli incendi boschivi nell’area. La presenza di questi venti, di elevata pericolosità in quanto si verificano nella stagione degli incendi, determina improvvisi mutamenti delle condizioni atmosferiche con rapido disseccamento degli strati più superficiali dei complessi combustibili e conseguente aumento delle potenzialità di innesco e diffusione di fronti di fiamma. Le caratteristiche di ventosità della Riserva Naturale Statale sono state esaminate utilizzando i dati dell’Atlante Climatico d’Italia del Centro Nazionale di Meteorologia e Climatologia Aeronautica (CNMCA) del Servizio Aeronautico Militare italiano facendo riferimento alla stazione meteorologica di Pratica di Mare (RM) situata a 21 m s.l.m. e che si ritiene essere rappresentativa per il territorio della Riserva. In particolare è stata esaminata la distribuzione dei venti nei mesi estivi alle h 12 (ora a partire dalla quale aumenta la frequenza degli inneschi). Nella tabella seguente, sono riportate le percentuali dei casi di venti nelle diverse direzioni, con intensità pari a 0 nodi (calma), tra 1 e 10 nodi, tra 11 e 20 e > di 20.
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Tabella 16: Distribuzione dei venti nei mesi estivi alle h 12 per la stazione di Pratica di Mare (RM). Da Atlante Climatico d’Italia CNMCA – modificato.
Di seguito viene riportato il diagramma anemometrico dei mesi estivi per la stessa stazione per i dati rilevati alle h 12.
Figura 17: Diagramma anemometrico dei venti nei mesi estivi alle h 12 per la stazione di Pratica di Mare (RM). Da Atlante
Climatico d’Italia CNMCA – modificato.
Le differenti aree colorate rappresentano la frequenza della direzione del vento osservata, rispettivamente dall'area centrale verso l'esterno per le classi di velocità già considerate nella Tabella: 1 ÷ 10 nodi (area bianca); 11 ÷ 20 nodi (area viola); > di 20 nodi (area nera). I venti maggiormente frequenti provengono dunque da SO O e S con velocità tra 11 e 20 nodi.
PERIODO CRITICO STAGIONALE
L’identificazione dei periodi a rischio incendi è stata fatta analizzando i risultati ottenuti con l’analisi delle distribuzioni temporali degli eventi. A questo proposito gli aspetti più rilevanti riguardano senz’altro la distribuzione nei mesi di frequenze e superficie percorse, e le distribuzioni nelle ore del giorno. In particolare il periodo più a rischio, sia per l’aumento della frequenza di incendio che delle superfici percorse è quello estivo, soprattutto nei mesi di luglio e agosto. La stagione di incendio tuttavia comincia già nel mese di maggio (seppur con superfici percorse moderate) e termina a fine settembre. Come già accennato non vi sono variazioni significative di frequenza nell’ambito dei giorni della settimana, quindi ad ogni giorno viene assegnato un livello di pericolosità unico, comunque considerato elevato. Per quanto riguarda le ore del giorno le prime ore del pomeriggio (da mezzogiorno circa per Fiumicino fino alle 18) sono quelle a maggior pericolosità. Nello schema seguente vengono riassunti i periodi di maggior rischio secondo 4 classi:
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Legenda:
Figura 18: periodi di maggior rischio secondo 4 classi
Queste indicazioni di massima devono essere tenute conto per le pianificazioni delle attività di sorveglianza ed avvistamento, ma, per ottimizzare le prestazioni, esse devono essere necessariamente integrate dalle informazioni giornalmente offerte dall’attività di monitoraggio dei fattori meteorologici predisponenti gli incendi che stabiliscono il livello di pericolo quotidiano.
2.7 ANALISI DELLE CAUSE DETERMINANTI (DOLOSE, COLPOSE, NATURALI, IGNOTE) NEL PARTICOLARE CONTESTO AMBIENTALE E SOCIO‐ECONOMICO
Gli incendi boschivi nel nostro Paese, lungi da essere causati da fattori naturali, hanno un’origine antropica in diretta dipendenza da comportamenti sociali, che possono essere volontari o involontari. Le caratteristiche climatiche del bacino del Mediterraneo escludono quasi totalmente la possibilità di autocombustione, dato che il massimo della temperatura raggiungibile dalla sostanza organica in decomposizione dei nostri boschi è ben distante da quella che ne consente la combustione. Anche l’eventualità di accensione a causa dei fulmini, seppure accertata, è statisticamente irrilevante: le scariche elettriche che caratterizzano il fenomeno del fulmine colpiscono generalmente alberi isolati di grandi dimensioni e si verificano per lo più in occasione di temporali con abbondanti precipitazioni. Strumento tradizionale di gestione degli ecosistemi mediterranei, il cui uso remoto è documentato in agricoltura, in selvicoltura e nella pastorizia, il fuoco è negli ultimi decenni passato da strumento di gestione dello spazio agricolo a elemento di offesa e alterazione del sistema agro‐silvo‐pastorale di molti paesi del Mediterraneo. Gli incendi boschivi possono pertanto avere origine da:
Cause naturali: incendi dovuti all’azione innescante di eruzioni vulcaniche, fulmini, autocombustione;
Cause accidentali: incendi causati da scintille delle ruote dei treni o di particolari locomotive; Cause colpose o involontarie: legate all’imprudenza, alla negligenza, alla disattenzione o
all’ignoranza degli uomini, che involontariamente provocano incendi; Cause dolose e volontarie: concepite e determinate dalla volontà di uomini che per determinati e
svariati motivi traggono beneficio personale dalla distruzione del bosco. A queste categorie si aggiunge quella relativa alle cause di dubbia individuazione. Le cause determinanti sono i fattori di innesco che provocano l’insorgenza dell’incendio boschivo. Nella Riserva Naturale Statale del Litorale Romano, come in generale in tutto il contesto europeo, gli incendi sono causati direttamente o indirettamente da fattori antropici, anche se è comunque piuttosto complesso identificare con certezza la causa di un incendio boschivo. Le statistiche relative alle cause desunte dai fogli notizie AIB del Carabinieri forestale e analizzate anche in relazione alle indicazioni fornite dal Piano AIB regionale del Lazio, hanno confermato questa tendenza. In particolare all’interno della Riserva gli incendi verificatisi sono soprattutto di natura dolosa o ignota, in cui non è risultato noto il movente dell’innesco. La presenza di strade ed insediamenti urbani o rurali può comunque essere relazionata con gli inneschi che secondo elementi desunti dai rilievi in campo possono ragionevolmente
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essere stimati come molto probabili per un intorno di 100 m da queste infrastrutture e moderatamente probabili per distanze fino a 300 m. Si riportano le frequenze di incendio ripartite in funzione delle cause attribuite. La maggior parte degli eventi avvenuti sono di natura dubbia e dolosa.
Figura 19: Frequenza per causa di incendio nella Riserva Naturale Statale del Litorale Romano nel periodo 2009‐2016
2.8 SINTESI SITUAZIONE CATASTO INCENDI DEI COMUNI
La Legge‐quadro in materia di incendi boschivi (L. 353/2000) prevede l’istituzione del catasto dei soprassuoli interessati da incendio boschivo. La Regione Lazio ha raccolto e inserito nel S.I.R.A. (Sistema Informativo Regionale Ambientale) le informazioni cartografiche relative agli incendi degli anni dal 2011 al 2014 forniti dal Carabinieri Forestale per la predisposizione del Piano A.I.B. regionale 2011/2014 e per gli anni seguenti. I dati vettoriali ricavati dai rilievi gps ed elaborati dai Carabinieri Forestale relativamente alla Regione Lazio sono consultabili sul Sistema Informativo della Montagna (http://www.simontagna.it/portalesim/home.jsp) dagli operatori autorizzati. Il Sistema Informativo della Montagna è nato nel 1997 secondo un modello di interscambio tra enti/amministrazioni/organizzazioni proprio per promuovere la cooperazione tra diversi soggetti. I dati dei comuni di Roma e Fiumicino risultano aggiornati al 2017.
ATTIVITA’ DI PREVISIONE
Nel caso degli incendi boschivi è necessario premettere che come precedentemente detto la causa d'innesco non è quasi mai naturale, ma risulta sempre connessa all'intervento, colposo o doloso, dell'uomo. E’ pressoché impossibile prevedere tempi e luoghi d'innesco; per questo motivo, l'unica possibilità di previsione riguarda le condizioni più favorevoli all'innesco e alla propagazione, che sono determinate dalla quantità di biomassa vegetale, dalla temperatura, dall’umidità del terreno e dal vento. A livello locale ogni anno viene svolta l’attività di sorveglianza ad opera dei Carabinieri Forestale congiuntamente alle strutture comunali, ai VVF e alle associazioni di volontariato di protezione civile. Questa attività di controllo è volta a realizzare, sulla base dell’apposito bollettino del Centro Funzionale regionale, tutti gli interventi di prevenzione volti a fronteggiare le più importanti situazioni di emergenza. La previsione del pericolo di incendio è una attività fondamentale nella gestione operativa del servizio di protezione dagli incendi boschivi che si colloca tra la prevenzione e la lotta attiva. La previsione del pericolo esprime nel breve periodo, per un intervallo di tempo solitamente di 24 ore, la probabilità che si verifichino e si diffondano incendi in un dato territorio a causa dei fattori predisponenti, osservandone le variazioni nel corso della scala temporale considerata. Per realizzare la previsione occorre pertanto
0
10
20
30
40
50
60
Frequenza dell'evento
Cause ignote Innesco da bordo strada
Cause dolose Cause colpose
Innesco per fuochi pirotecnici o pedardi
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effettuare il monitoraggio dei fattori meteorologici che predispongono la vegetazione ad essere percorsa dal fuoco attraverso il calcolo giornaliero di appositi indici, cui viene fatta corrispondere, in modo più o meno esplicito, la probabilità che, nella giornata, l’incendio boschivo inizi e si diffonda. L'utilità della previsione della variazione del pericolo di incendio nel breve periodo, risiede fondamentalmente nella possibilità di organizzare e modulare il servizio di prevenzione e vigilanza, nonché ottimizzare localizzazione e predisposizione dei mezzi necessari all’estinzione. La conoscenza della probabilità di inizio e di diffusione di incendio consente inoltre di informare la popolazione in modo che vengano adottate le cautele necessarie, soprattutto nelle attività agricole e forestali, che possono essere causa di innesco. Le funzioni principali della previsione del pericolo di incendio possono essere schematizzate come segue:
1. definizione del livello di pericolo giornaliero; 2. individuazione della soglia per richiedere l’entrata in funzione del servizio di avvistamento; 3. individuazione della soglia per mettere in allarme i servizi di estinzione; 4. dove il metodo di previsione del pericolo lo consenta, previsione del probabile comportamento degli incendi e relativa comunicazione ai servizi di estinzione; 5. emanazione di bollettini di informazione al pubblico affinché si presti attenzione nei periodi in cui il pericolo di incendi è più elevato.
Tali funzioni sono svolte dall’Agenzia Regionale di Protezione civile ed in particolare dal Centro Funzionale regionale.
BOLLETTINO DI PREVISIONE INCENDI REGIONALI
Il Centro Funzionale Regionale emette giornalmente un Bollettino di previsione di suscettività all’innesco utile alla previsione incendi nel periodo di Campagna AIB. Nel bollettino di suscettività all'innesco degli incendi boschivi sono individuati a livello provinciale i livelli di pericolosità (BASSA – MEDIA – ALTA), stimando il valore medio della suscettività all'innesco su un arco temporale utile per le successive 24 ore e in tendenza per le successive 48. Ai tre livelli di pericolosità corrispondono tre diverse situazioni: ∙ pericolosità bassa: l’evento può essere fronteggiato con i soli mezzi ordinari e senza particolare dispiegamento di forze; ∙ pericolosità media: l’evento deve essere fronteggiato con una rapida ed efficiente risposta del sistema di lotta attiva; ∙ pericolosità alta: l’evento può raggiungere dimensioni tali da richiedere quasi certamente il concorso della flotta aerea statale). Le previsioni sono predisposte non solo sulla base delle condizioni meteo climatiche, ma anche sulla base della vegetazione, dello stato fisico e di uso del suolo, nonché della morfologia e dell’organizzazione del territorio. Anche la Regione Lazio è dotata di un Bollettino che fornisce la suscettività all’innesco e alla propagazione degli incendi boschivi emesso sulla base dei modelli di analisi delle condizioni. Tale sistema si ritiene troppo generico e non adeguato ad una effettiva efficiente previsione e lotta AIB per quanto riguarda la Riserva del Litorale.
INDICE DI PREVISIONE DEL PERICOLO D’INCENDI (FWI FIRE WEATHER INDEX)
Negli ultimi anni i risultati di diverse ricerche in ambito europeo e in Italia (Viegas et al. 1994; Viegas et al. 1996; Aguado e Camia, 1998; Camia et al., 1999) hanno portato ad individuare il metodo di previsione del pericolo canadese Fire Weather Index ‐ FWI (Van Wagner, 1987) come uno fra i metodi maggiormente efficaci dal punto di vista operativo che risponde bene in molte delle condizioni dell'ambiente mediterraneo. Inoltre, impiegando specifici scenari ipotizzati in funzione dell’andamento stagionale degli incendi, si rivela particolarmente flessibile e adattabile a situazioni locali.
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A livello regionale nel Lazio la previsione del pericolo di incendio non prevede, al momento attuale, l’utilizzo e la diffusione di un vero e proprio sistema dedicato, tuttavia viene effettuato un servizio di allerta rischi, che fa attualmente capo al Centro Funzionale Regionale.
Metodo di previsione del pericolo di incendio canadese (FWI – Fire Weather Index) Il metodo di previsione del pericolo di incendio canadese consiste nel calcolo di un indice meteorologico (FWI‐ Fire Weather Index) che sintetizza, in un valore numerico, le condizioni meteorologiche che predispongono il verificarsi degli incendi monitorandone giornalmente le variazioni. La struttura dell’FWI è schematicamente illustrata in Figura 20:
Figura 20: Raffigurazione schematica del metodo per il calcolo dell’indice meteorologico Canadese FWI di previsione del pericolo di incendio.
L’FWI si ricava dall’integrazione modulare di una serie di sotto indici che si ottengono a partire dai dati meteorologici relativi a: temperatura e umidità relativa dell’aria, precipitazioni e velocità del vento. In primo luogo si ricavano gli indici di umidità del combustibile leggero (lettiera e ramaglia a terra) e dell’humus e si calcola l’indice di secchezza; combinando gli indici di umidità si ottengono gli indici di comportamento del fuoco (propagazione iniziale e diffusione del fronte di fiamma) che, integrati tra loro, danno l’indice meteorologico di pericolo di incendio utilizzato operativamente. L’FWI parte dal presupposto che la probabilità di innesco dipenda strettamente dallo stato di idratazione dei combustibili vegetali morti, che dipende, a sua volta, dall’andamento climatico. Viene calcolato sulla base di parametri meteorologici (temperatura dell’aria, umidità relativa, velocità del vento a 10 m dal
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suolo e precipitazioni delle ultime 24 ore) misurati ad un’ora standard del pomeriggio (ore 13), considerati rappresentativi del picco giornaliero di pericolo (che generalmente si manifesta attorno alle ore 16).
Conclusioni in merito all’impiego dell’indice FWI
Ai diversi livelli di pericolosità devono corrispondere specifiche procedure di pre‐allerta che permettono, se correttamente attuate, di ottimizzare l’attività di avvistamento e minimizzare i tempi di primo intervento. Il livello di pericolo registrato deve quindi fare attivare le procedure previste dal piano. Sarebbe opportuno inoltre implementare, come già ha fatto da altre regioni (Puglia, Piemonte), il sistema di previsione del pericolo di incendio sul territorio, che utilizza l’indice canadese FWI, per determinarne il livello di pericolo di incendio attuale e quello dei nove giorni successivi in ogni Area di base, con un livello di attendibilità inversamente proporzionale. Il sistema di allertamento regionale attuale per quanto riguarda la previsione del pericolo incendi ad opera del Centro Funzionale regionale è basato sulla pubblicazione del bollettino su base provinciale. Tale bollettino basato attualmente su modelli del dipartimento nazionale di protezione civile, si ritiene assolutamente inadeguato e insufficiente rispetto alle cartteristiche della Riserva in termini di pericolosità. Occorre pertando adeguarsi come già fatto da altre Regioni all’utilizzo dell’FWI come metodo maggiormente efficace e dettagliato nel sistema di monitoraggio e allerta. In questo modo, potranno esser diffusi agli operatori (Comuni di Roma e Fiumicino, Carabinieri Forestale, VVF, Associazioni di Volontariato Protezione Civile OO.D.V.) dati più specifici, attendibili e completi, tramite web, all’inizio della giornata soprattutto nella stagione a rischio di incendi boschivi (15 giugno‐30 settembre). In tale maniera gli enti preposti alla sorveglianza e al monitoraggio AIB potranno effettuare una migliore pianificazione ed organizzazione delle forze in campo sia in fase di previsione che di lotta attiva.
ANALISI DEL RISCHIO (descrizione risultanze cartografia AIB)
2.9 PERICOLOSITA’ La Riserva Naturale Statale del Litorale Romano, presenta caratteristiche medie (medio‐alta a livello locale) di pericolosità di incendio soprattutto per quanto riguarda le aree boscate lungo il litorale e quelle lungo le strade interne, sia per l’incidenza dei fattori predisponenti, di natura meteorologica e di biomassa bruciabile, sia per l’elevata pressione antropica dell’area. Gli interventi di protezione dagli incendi su scala locale dovranno essere mirati a contenere i focolai nel modo più rapido ed efficiente possibile, attraverso l’articolazione di provvedimenti di natura preventiva, di monitoraggio, avvistamento e di estinzione strettamente collegati tra loro, al fine di evitare lo sviluppo di fronti di fiamma che, se non prontamente fermati, possono in molte occasioni assumere i caratteri di incontrollabilità. Le classi di pericolosità individuate sono 5: bassa, medio‐bassa, media, medio‐alta, alta. Ai diversi livelli di pericolosità devono attuarsi gli specifici interventi finalizzati alla prevenzione (Manutenzione viali tagliafuoco, interventi selvicolturali ecc.).
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Figura 21: Carta della Pericolosità
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2.10 GRAVITA’
La gravità esprime il danno subito dall’ecosistema naturale che gli incendi boschivi causano al sistema ambientale colpito nella sua complessità strutturale e funzionale. La carta è frutto della somma dell’applicazione di indici di gravità ai seguenti fattori: ∙ uso del suolo; ∙ zonizzazione dell’area protetta; ∙ presenza di SIC/ZSC interne al PN; ∙ eventuale presenza di habitat, specie prioritarie e altre emergenze naturalistiche cartograficamente documentate (es. boschi vetusti). La metodologia seguita per la redazione della Carta della gravità consiste nella classificazione della gravità del singolo pixel attraverso una semplice addizione, assegnando un uguale peso al contributo delle diverse componenti. Con la combinazione delle quattro variabili considerate realizzata per semplice somma dei relativi punteggi, si è ottenuta la carta della gravità: il punteggio derivante dalla somma dei quattro fattori considerati è segmentato in n. 4 classi con gravità crescente (indice = 1 classe di gravità bassa; indice = 4 classe di gravità molto alta). La valutazione della gravità e della tipologia di incendio si basa sulla stima di tre parametri principali: la velocità di propagazione del fronte di fiamma (m/min), l'intensità lineare (kW/m) e la lunghezza di fiamma (m). Sulla base dei valori di output del comportamento atteso del fuoco, è stato possibile classificare i modelli di combustibile sulla base della loro gravità. In particolare si sono considerati modelli a più alta gravità, ovvero quelli caratterizzati da valori più elevati di velocità di propagazione, intensità lineare e lunghezza di fiamma. Al contrario, i modelli con più bassi valori dei parametri del fuoco, sono stati considerati a più bassa gravità.
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Figura 22: Carta della Gravità
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2.11 RISCHIO
La valutazione delle condizioni di rischio per lo sviluppo e propagazione degli incendi boschivi costituisce uno strumento fondamentale nella gestione operativa del servizio di prevenzione e lotta agli incendi. La zonizzazione di sintesi della carta del rischio è frutto della combinazione della carta della pericolosità e della gravità realizzate Tav. 2.18 e 2.19 ed è stata ottenuta con una funzione di overlay ponderato per sovrapposizione di dati raster. Per la caratterizzazione del rischio è stato tenuto conto del peso relativo delle due variabili, pericolo e gravità, applicando come moltiplicatore 0,60 per la pericolosità e 0,40 per la gravità. La carta così ottenuta è stata riclassificata in 3 classi di rischio: classi di Rischio rischio basso rischio medio rischio alto
La maggior parte della Riserva ricade in area a rischio medio, mentre il rischio alto riguarda le aree boscate litoranee e legate alla presenza di Habitat prioritari quali ad es. per quanto riguarda il sic IT6030025 “Macchia Grande di Ponte Galeria” con gli habitat 9340 “Foreste di Quercus ilex e Quercus rotundifolia” e 91M0 “Foreste Pannonico Balcaniche di cerro e rovere”. Il sic IT6030023 SIC “Macchia Grande di Focene e Macchia dello Stagneto” con l’habitat 9340 “Foreste di Quercus ilex e Quercus rotundifolia”. Il sic IT6030027 Castel Porziano (fascia costiera) con la vegetazione a macchia. Come anche risulta a rischio alto, le formazioni a macchia presso Bocca di Leone a Maccarese e l’oasi Foce dell’Arrone.
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Figura 23: Carta del Rischio
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CARTOGRAFIA:
2.12 INQUADRAMENTO TERRITORIALE DELLA RNS CON LIMITI COMUNALI, EVENTUALI ALTRE AREE PROTETTE EUAP, SIC, ZPS, ECC., INTERNE E LIMITROFE
La carta riguardante l’inquadramento territoriale della Riserva Naturale Statale del Litorale Romano è stata redatta in scala 1:30.000 su base CTR. Al suo interno sono evidenziati i SIC, ZPS ed altre aree sottoposte a tutela. La lista risultante vede: ‐ IT6030027 SIC Castelporziano (fascia costiera), che riguarda unicamente l’area dunale di Capocotta; ‐ IT6030084 ZPS Castelporziano (Tenuta Presidenziale), che riguarda unicamente l’area dunale di Capocotta; ‐ IT6030025 SIC Macchia Grande di Ponte Galeria, interamente inclusa nella Riserva ‐ IT6030026 ZPS Lago di Traiano; ‐ IT6003023 SIC Macchia Grande di Focene e Macchia dello Stagneto; ‐ IT6003026 SIC Lago di Traiano; ‐ IT6003024 SIC Isola Sacra (esterno però alla riserva)
2.13 CARTA DELL’USO DEL SUOLO CON APPROFONDIMENTI SULLA VEGETAZIONE SILVO‐PASTORALE
Uno degli aspetti fondamentali nella definizione degli obiettivi prioritari ai fini della protezione dagli incendi boschivi riguarda l’analisi dell’uso del suolo e della vegetazione. La componente vegetazionale in particolare è uno dei fattori predisponenti gli incendi e deve essere esaminata soprattutto con riferimento alle proprietà del materiale combustibile, sulla base della sua distribuzione e delle sue caratteristiche. I combustibili forestali sono costituiti da tutti quei materiali, per lo più di origine vegetale, che possono partecipare alla combustione nel contesto di un incendio boschivo. L'insieme dei materiali, che possono essere parti di vegetali sia vivi, sia morti (necromassa), costituisce la biomassa bruciabile presente in bosco. Il fusto e i rami di una certa dimensione bruciano generalmente soltanto in minima parte, a meno di eventi catastrofici quali incendi di chioma ad alta. Sono quindi la struttura, la disposizione, il grado di compattazione e la continuità orizzontale e verticale dei materiali di piccole dimensioni gli elementi che influiscono sulla propagazione del fronte di fiamma. Questa è stata riclassificata con l’obiettivo di caratterizzare la biomassa combustibile nel territorio della RNS sulla base della quale, con l’aggiunta di altre variabili, valutare il rischio di incendio. In particolare a partire dall’uso del suolo. Questo livello informativo costituisce un supporto di notevole interesse in diverse fasi della pianificazione AIB quali, ad esempio, prevenzione, estinzione e ricostituzione. Più nello specifico, la metodologia di redazione delle carte ha previsto l’acquisizione della cartografia della vegetazione e degli usi del suolo disponibili, integrata da informazioni reperibili con l’ausilio delle ortofoto carte “Volo IT 2016”, per definire le delineazioni provvisorie e le legende, quindi sono stati eseguiti specifici rilievi a terra per delineare l’aspetto definitivo della carta. Le cartografie tematiche prodotte in merito all’uso del suolo (Tav. 2.13) fanno riferimento alla classificazione d’uso del suolo secondo il Corine Land Cover (CLC) della Regione Lazio, che suddivide il territorio della Riserva in classi e sottoclassi utili a definire la superficie potenzialmente percorribile dal fuoco e quelle vulnerabili agli effetti del fuoco e quindi l’analisi del rischio di incendio boschivi; sono state prese in considerazione le seguenti classi: superfici artificiali, superfici agricole utilizzate, territori boscati e ambienti semi‐naturali, zone umide e corpi idrici, di seguito descritte. La scala della carta è 1.30.000 su base CTR. La vegetazione è stata descritta nell’apposito paragrafo.
‐Territori boscati e ambienti semi‐naturali: ‐boschi di conifere: sono ricomprese le formazioni vegetali costituite principalmente da alberi ma anche da cespugli e arbusti, nelle quali dominano le specie forestali conifere; come nella categoria precedente, la superficie a conifere deve coprire almeno il 75% dell'unità, altrimenti è da classificare bosco misto; si sottolinea che sono comprese le conifere a rapido accrescimento:
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Pinete mediterranee a Pinus pinea; Boschi misti a prevalenza di conifere (rimboschimenti); Spiaggia, sabbie e dune
‐boschi di latifoglie: sono ricomprese le formazioni vegetali, costituite principalmente da alberi ma anche da cespugli e arbusti, nelle quali dominano le specie forestali a latifoglie; la superficie a latifoglie deve coprire almeno il 75% dell'unità, altrimenti è da classificare come bosco misto: Bosco misto a prevalenza di leccio orniello e viburno; Boscaglia di leccio o lecceta retrodunale; Bosco submediterraneo planiziale a cerro e farnetto; Cerrete collinari; Pioppo – olmeti ripariali naturali; Eucalipteti; Robinieti e ailanteti;
‐boschi misti di conifere e latifoglie: sono formazioni vegetali, costituite principalmente da alberi ma anche da cespugli ed arbusti, dove non dominano né le latifoglie, né le conifere; Lecceta a viburno e rimboschimenti di pino domestico;
Ambienti caratterizzati da copertura vegetale prevalentemente arbustiva e/o erbacea in evoluzione naturale: ‐ cespulieti e arbusteti; ne fanno parte macchie e garighe: le macchie sono associazioni vegetali dense composte da numerose specie arbustive miste su terreni silicei acidi in ambiente mediterraneo, le garighe sono associazioni cespugliose discontinue delle piattaforme calcaree mediterranee, spesso composte da quercia coccifera, corbezzolo, lavanda, timo, cisto bianco, ecc. e possono essere presenti rari alberi isolati. Macchia e arbusteti mediterranei; Macchia litorale con vegetazione psammofila; Macchia a fillirea e lentisco; Arbusteti e stadi di ricostituzione forestale dei boschi a caducifoglie; Canneti a fragmite;
‐ aree a pascolo naturale;
Praterie mediterranee (steppe ad ampelodesma o a sparto); Praterie collinari; Prati e pascoli avvicendati;
‐ Seminativi erbacei ed arborei (Superfici agricole utilizzate): ‐seminativi in aree irrigue: si tratta di colture irrigate stabilmente e periodicamente grazie ad un'infrastruttura permanente (canale di irrigazione, rete di drenaggio); la maggior parte di queste colture non potrebbe realizzarsi senza l'apporto artificiale d'acqua. Non sono comprese in tale categoria di uso del suolo le superfici irrigate sporadicamente; ‐seminativi in aree non irrigue: sono incluse le coltivazioni di cereali, leguminose in pieno campo, colture foraggere, coltivazioni industriali, radici commestibili e maggesi; sono compresi i vivai e le colture orticole, in pieno campo, in serra e sotto plastica, come anche gli impianti per la produzione di piante medicinali, aromatiche, culinarie e, infine, le colture foraggere (prati artificiali), ma non i prati stabili; ‐sistemi colturali e particellari complessi: include il mosaico di piccoli appezzamenti con varie colture annuali, prati stabili e colture permanenti, occupanti ciascuno meno del 75% della superficie totale dell'unità; sono compresi gli "orti per pensionati" e simili mentre eventuali "lotti" che superano i 25 ha sono inclusi nelle zone agricole;
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‐oliveti: include superfici piantate ad olivo, comprese particelle a coltura mista di olivo e vite; ‐vigneti: include qualsiasi superficie agricola piantata a vigna; ‐frutteti e frutti minori: comprende impianti di alberi o arbusti fruttiferi, tra cui colture pure o miste di specie produttrici di frutta o alberi da frutto in associazione con superfici stabilmente erbate, oltre a castagneti da frutto e noccioleti e frutteti con presenza di diverse associazioni di alberi; ‐prati stabili: sono incluse le superfici a copertura erbacea densa a composizione floristica rappresentata principalmente da graminacee, non soggette a rotazione (queste superfici sono per lo più pascolate ma il foraggio può essere raccolto meccanicamente); ne fanno parte i prati, permanenti e temporanei, e le marcite. ‐vivai in aree irrigue; ‐ Corsi, Canali bacini e zone umide: ‐paludi interne, ossia terre basse generalmente inondate in inverno e più o meno saturate d'acqua durante tutte le stagioni; ‐paludi salmastre: ossia terre basse con vegetazione, situate al di sotto del livello di alta marea, suscettibili per tanto di inondazione da parte delle acque del mare; si presentano spesso in via di riempimento, colonizzate a poco a poco da piante alofile; ‐zone umide marittime: sono comprese le zone non boscate, saturate parzialmente, temporaneamente o in permanenza da acqua salmastra o salata; oltre alle paludi salmastre, sopra descritte, include le saline (attive o in via di abbandono) ossia parti di paludi salmastre utilizzate per la produzione di sale per evaporazione. ‐bacini d’acqua, in cui sono ricomprese tutte le superfici naturali o artificiali coperte da acque; ‐corsi d’acqua, canali e idrovie, ossia corsi di acqua naturali o artificiali che servono per il deflusso delle acque, con larghezza minima da considerare di 100 m.
Aree Urbanizzate
Sotto questa categoria sono state riunite le seguenti classi: ‐Superfici artificiali: ‐zone urbanizzate di tipo residenziale; è compreso il tessuto urbano continuo (spazi strutturati dagli edifici e dalla viabilità: gli edifici, la viabilità e le superfici ricoperte artificialmente occupano più dell'80% della superficie totale; la vegetazione non lineare e il suolo nudo rappresentano l'eccezione; sono compresi cimiteri senza vegetazione) e discontinuo (spazi caratterizzati dalla presenza di edifici: gli edifici, la viabilità e le superfici a copertura artificiale coesistono con superfici coperte da vegetazione e con suolo nudo, che occupano in maniera discontinua aree non trascurabili; gli edifici, la viabilità e le superfici ricoperte artificialmente coprono dal 50 all'80% della superficie totale; non sono comprese le abitazioni agricole sparse delle periferie delle città); ‐zone estrattive, cantieri, discariche e terreni artefatti e abbandonati; sono comprese le estrazioni di materiali inerti a cielo aperto (cave di sabbia e di pietre) o di altri materiali (miniere a cielo aperto), ne fanno parte cave di ghiaia, eccezion fatta, in ogni caso, per le estrazioni nei letti dei fiumi, sono compresi gli edifici e le installazioni industriali associate; le discariche e depositi di miniere, industrie e collettività pubbliche; i cantieri, nel dettaglio spazi in costruzione, scavi e suoli rimaneggiati; ‐zone verdi artificiali non agricole; sono comprese le aree verdi urbane (spazi ricoperti di vegetazione compresi nel tessuto urbano; ne fanno parte cimiteri con abbondante vegetazione e parchi urbani) e le aree sportive e ricreative (aree utilizzate per camping, attività sportive, parchi di divertimento, campi da golf, ippodromi, rovine archeologiche e non, ecc., ne fanno parte i parchi attrezzati compresi nel tessuto urbano); ‐aree industriali, commerciali e dei servizi pubblici e privati: si tratta di aree a copertura artificiale (in cemento, asfaltate o stabilizzate), senza vegetazione, che occupano la maggior parte del terreno (più del 50% della superficie); comprende anche edifici e/o aree con vegetazione; sono da considerare le zone industriali e commerciali ubicate nei tessuti urbani continui e discontinui solo se si distinguono nettamente dall'abitato e infine le stazioni centrali delle città;
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‐aree verdi urbane, ossia spazi ricoperti di vegetazione compresi nel tessuto urbano (ne fanno parte cimiteri con abbondante vegetazione e parchi urbani); ‐aree ricreative e sportive: sono comprese le aree utilizzate per camping, attività sportive, parchi di divertimento, campi da golf, ippodromi, rovine archeologiche e non, ecc. oltre a parchi attrezzati (aree dotate intensamente di attrezzature ricreative, da picnic, ecc.) compresi nel tessuto urbano.
Gli insediamenti residenziali, restano esclusi dai confini della riserva per quanto riguarda i centri urbani di Passo Oscuro, Fregene, Focene e Fiumicino, mentre ne restano incluse l’area urbana di Maccarese, l’edilizia residenziale sparsa in genere, le aziende agricole e i relativi stabilimenti produttivi. Le aree agricole sono invece per lo più comprese nel territorio della Riserva anche se sono definite come “aree a maggior grado di antropizzazione”. Esse comprendono aziende agricole e aziende agricolo‐zootecniche di rilevante importanza nell’economia del territorio. Dal punto di vista agricolo, il territorio della riserva che ricade nella Città di Fiumicino, è caratterizzato prevalentemente dalla coltivazione degli ortaggi e delle foraggere per l’alimentazione degli allevamenti di bestiame, di razza bovina da carne o da latte. Per ciò che concerne la vegetazione le condizioni predisponenti gli incendi sono soprattutto legate alla presenza e alla quantità di biomassa bruciabile ovvero di combustibile forestale presente sul territorio. Il combustibile forestale è costituito dal materiale di origine vegetale vivo e morto (necromassa), che può partecipare alla combustione durante un incendio boschivo. Nel contesto della Riserva Naturale Statale del Litorale Romano la distribuzione della vegetazione potenzialmente percorribile da incendio è evidentemente legata agli aspetti gestionali del territorio che sono stati precedentemente descritti, e può essere caratterizzata attraverso la descrizione sintetica che fa riferimento al concetto di modello di combustibile. Come già accennato, questi modelli sottendono le principali proprietà fisiche del combustibile che influenzano la propagazione del fuoco tra cui il carico, ovvero la biomassa per unità di superficie. Attraverso appositi sistemi di simulazione, i modelli di combustibile contribuiscono a prevedere il comportamento atteso del fuoco e forniscono delle formazioni preziose in merito alla pericolosità di incendio. La predisposizione della vegetazione ad essere percorsa viene dunque relazionata alla localizzazione e diffusione dei combustibili ed alla relativa potenziale pericolosità di incendio. Tale carta è stata prodotta su base CTR in scala 1:30.000.
2.14 ORTOFOTO A COLORI (da SIM o Geoportale Nazionale o altre fonti) CON I CONFINI R.N.S.
La carta mostra oltre ai predetti limiti della riserva, i limiti comunali e le aree della rete Natura 2000. La scala della carta è 1:30.000. La base è rappresentata da immagine satellitare 2017.
2.15 CARTA DELLE INFRASTRUTTURE E DELLE STRUTTURE A.I.B.
La carta, su base CTR riporta la viabilità esistente, statale, provinciale, la viabilità forestale e di intervento AIB, i viali tagliafuoco, oltre agli elettrodotti, le linee ferroviarie, i punti di approvvigionamento idrico esistenti (picchi di carico e idranti), le recinzioni e le telecamere AIB esistenti. La scala della carta è 1:30.000.
In particolare lo stato di gran parte delle recinzioni nel comune di Roma è degradato.
Nel comune di. Fiumicino le recinzioni di più recente realizzazione sono quelle inerenti la pineta di Fregene e la Riserva di Macchia Grande, le restanti recinzioni sono obsolete e spesso danneggiate. Tale carta è stata prodotta su base CTR in scala 1:30.000.
2.16 CARTA DELLE ZONE DI INTERFACCIA URBANO‐FORESTA (fornita dai Comuni o – in loro assenza – localizzazione sulla ortofoto da parte della Riserva)
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Per interfaccia urbano‐rurale si intendono quelle zone nelle quali l’interconnessione tra strutture antropiche e aree naturali è molto stretta, dove il sistema urbano e quello rurale si incontrano ed interagiscono così da essere considerate a rischio, potendo venire rapidamente a contatto con la propagazione di un incendio originato dalla vegetazione. Questo tipo di incendi può avere origine sia in prossimità degli insediamenti, sia come incendio propriamente boschivo per poi interessare successivamente le zone di interfaccia. Perciò “interfaccia” in senso stretto è definita una fascia di contiguità tra le strutture antropiche esposte al contatto con i sopravvenienti fronti di fuoco e la vegetazione ad essa adiacente, intesa come fonte di pericolosità. Tale carta è stata prodotta su base CTR in scala 1:30.000.
Elementi di vulnerabilità Tra i diversi beni esposti, particolare attenzione andrà rivolta alle seguenti tipologie: ‐ospedali; ‐insediamenti abitativi (sia agglomerati che sparsi); ‐scuole; ‐insediamenti produttivi ed impianti industriali particolarmente critici; ‐luoghi di ritrovo (stadi, teatri, aree picnic, luoghi di balneazione); ‐infrastrutture ed opere relative alla viabilità ed ai servizi essenziali e strategici.
Per area di interfaccia, come detto, si intende una fascia di contiguità tra le strutture antropiche e la vegetazione ad essa adiacente esposte al contatto con i sopravvenienti fronti di fuoco. La larghezza della fascia di contiguità tra le strutture antropiche e la vegetazione ad essa adiacente è valutabile tra i 25‐50 metri ed è comunque estremamente variabile in funzione delle caratteristiche fisiche del territorio, della configurazione degli insediamenti e della loro tipologia. In generale, è possibile distinguere tre differenti configurazioni di contiguità e contatto tra aree con dominante presenza vegetale ed aree antropizzate:
‐interfaccia classica: interazione fra strutture antropiche ravvicinate tra loro e la vegetazione (come avviene in alcune delle zone più periferiche di Roma; assieme alla successiva configurazione è la più diffusa in Fiumicino); ‐interfaccia mista: presenza di molte strutture isolate e sparse nell’ambito di territorio ricoperto da vegetazione combustibile (caso tipico dell’Agro Romano); ‐interfaccia occlusa: zone con vegetazione combustibile limitate e circondate da strutture prevalentemente urbane (come nel caso dei numerosi parchi urbani di Roma).
Per valutare il rischio conseguente agli incendi di interfaccia è prioritariamente necessario definire la pericolosità nella porzione di territorio ritenuta potenzialmente interessata dai possibili eventi calamitosi ed esterna al perimetro della fascia di interfaccia in senso stretto e la vulnerabilità degli esposti presenti in tale fascia.
Metodologia per la redazione della carta di interfaccia urbano‐foresta Sulla base della Carta Tecnica Regionale (scala 1:10.000), sulle ortofoto Volo Italia (scala 1:10.000) e principalmente sulla carta di Uso del Suolo Regionale (scala 1:10.000), sono state individuate le aree antropizzate (urbane e discontinue) considerate interne al perimetro dell‘interfaccia. Per la perimetrazione degli insediamenti e delle infrastrutture, sono state create delle aggregazioni, raggruppando tutte le strutture la cui distanza relativa reciproca non risulti superiore ai 50 metri. Limitate e circondate da strutture prevalentemente urbane (come nel caso dei numerosi parchi urbani di Roma). Successivamente è stata tracciata, intorno a tali perimetri, una fascia di contorno (fascia perimetrale) larga circa 200 m., per la valutazione sia della pericolosità (scenario) che delle fasi di allerta. Per calcolare il rischio all‘interno della fascia perimetrale è necessario ed opportuno procedere alla stima della pericolosità. I fattori da prendere in considerazione per determinare la classe di pericolosità sono stati i seguenti:
1. Tipo di vegetazione: individuata secondo le classi vegetali (Corine Land Cover, livello 4) della Carta di Uso del Suolo;
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2. Densità della vegetazione: ottenuta partendo dal confronto tra la Carta di Uso del Suolo e le ortofoto da satellite ad alta risoluzione; 3. Pendenza: la pendenza del terreno individuata attraverso l’analisi delle curve di livello della carta topografica (brusche variazioni favoriscono la propagazione dell’incendio); 4. Tipo di contatto: contatti senza soluzione di continuità, localizzazione della linea di contatto (a monte, laterale o a valle), valutazione della pericolosità di interfaccia occlusa attorno ad insediamenti isolati. Questo parametro è da individuare tramite l‘ausilio delle ortofoto; 5. Incendi pregressi: i dati, reperiti presso i Carabinieri Forestale, sono stati sovrapposti alla carta delle zone d’interfaccia urbano‐foresta per valutarne la distanza dagli insediamenti perimetrati (peso stabilito in base alla distanza in metri dagli insediamenti); 6. Classificazione del piano AIB: è la classificazione contenuta nel Piano Regionale redatto ai sensi della 353/2000.
Fattore Criterio Valore
1. Vegetazione
Coltivi e Pascoli 0
Coltivi abbandonati e Pascoli abbandonati
2
Boschi di Latifoglie e Conifere montane
3
Boschi di Conifere mediterranee e Macchia
4
2. Densità Vegetazione Rada 2
Colma 4
3. Pendenza
Assente 0
Moderata o Terrazzamento 1
Accentuata 2
4. Contatto interfaccia
Nessun Contatto 0
Contatto discontinuo o limitato 1
Contatto continuo a monte o laterale
2
Contatto continuo a valle, nucleo circondato
4
5. Distanza dagli insediamenti degli incendi pregressi
Assenza di incendi 0
100 m < evento < 200 m 4
Evento < 100 m 8
6. Classificazione A.I.B. Medio (valore per tutto Il Comune di Roma e Fiumicino)
2
Tabella 17: carta di interfaccia urbano‐foresta Il grado di pericolosità scaturisce dalla somma dei valori numerici attribuiti a ciascuna area individuata all’interno della fascia perimetrale; questo valore attualmente viene utilizzato solo in sede di progetti di prevenzione e di mitigazione del rischio. La Carta delle zone di interfaccia urbano‐foresta è riportata in Tav. 2.16.
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Il “grado di pericolosità” scaturisce dalla somma dei valori numerici attribuiti a ciascuna area individuata all’interno della fascia perimetrale. Il valore ottenuto può variare da un minimo di O ad un massimo di 26 che rappresentano rispettivamente la situazione a minore pericolosità e quella più esposta. Saranno quindi individuate tre classi principali nelle quali suddividere, secondo il grado di pericolosità attribuito dalla metodologia sopra descritta, le sotto‐aree individuate all’interno della fascia perimetrale. Nella tabella seguente sono indicate le tre “classi di pericolosità agli incendi di interfaccia” identificate con i relativi intervalli utilizzati per l’attribuzione:
PERICOLOSITA’ INTERVALLI NUMERICI Bassa X<10 Media 11 <X<18 Alta X>19 Tabella 18: grado di pericolosità con confronto numerico
Elementi di criticità specifica e aree di interfaccia urbano‐foresta
Roma
Nell’ottica di armonizzare gli interventi del Piano AIB con il Piano di gestione della Riserva in corso di approvazione e le finalità e gli interventi da questo previsti, si è tenuto conto della presenza sul territorio di elementi di specificità quali il percorso archeologico di Via Severiana, i sentieri natura nel loro articolarsi lungo le fasce dunali, le piste ciclabili. Con riferimento alla criticità specifica delle aree di interfaccia urbano‐foresta le aree oggetto di analisi puntuale sono state le seguenti:
1. Aree edificate di Casale Pantano, Casale Torre Tumuleti, Casale Olivella, Castel Fusano. Aree edificate a ridosso di Viale del Circuito (fuori dall’area della Riserva ma potenzialmente a rischio per l’immediata vicinanza della Pineta);
2. Infrastrutture di fruizione turistica indicate dal Piano della Riserva: maneggio presso Casale Olivella, campeggio presso Castel Fusano e campeggio presso Casale Pantano;
3. Aree Attrezzate lungo Viale Mediterraneo; 4. Area archeologica della Villa di Plinio. 5. Aree edificate nei pressi di Via delle Acque Rosse, via Tancredi Chiaraluce e Via Ostiense;
Le aree edificate a ridosso di Viale del Circuito, che si trovano immediatamente al di fuori del confine della Riserva, possono essere minacciate da situazioni di elevato pericolo provenienti dalla pineta. Pertanto si ritiene opportuno prevedere nell’ambito di questo progetto una accurata manutenzione della fascia intorno al Viale del Circuito stesso, che dovrà costituire un caposaldo su cui attestare una linea di difesa per le abitazioni retrostanti. L’area attrezzata lungo viale mediterraneo ed il Casale Olivella lungo via del Lido di Castelporziano, non richiedono interventi specifici. Nel primo caso perché si tratta di infrastrutture di poco valore poste in aree con scarso o nullo sottobosco. Nel secondo caso perché nell’intorno data la carenza di vegetazione forestale, le intensità previste del fronte di fiamma sono già da molto basse ed il Casale non richiede in tal senso ulteriore protezione. Con riferimento al Casale Olivella, resta comunque ribadita la necessità di mantenere pulita la fascia lungo la Via del Lido di Castelporziano, quale caposaldo di difesa in situazioni di elevato pericolo. L’area di Casale Torre Tumuleti, il Casale Pantano, il maneggio presso Casale Olivella, i campeggi presso Castel Fusano e presso Casale Pantano, l’area della Villa di Plinio, richiedono gli interventi selvicolturali preventivi previsti nel piano. Un'altra area di interfaccia urbano‐foresta delicata in termini di rischio d’incendi è rappresentata dal quartiere XXXIII Lido di Ostia Ponente, soprattutto per l’area prospicente la pineta delle Acque Rosse, il depuratore su via Tancredi Chiaraluce ed il cinema “Cineland Ostia”. Anche per quanto riguarda quest’area occorre provvedere ad effettuare tutti gli interventi selvicolturali di prevenzione (decespugliamenti, sfalci ecc.) per controllare ed evitare lo sviluppo del sottobosco con arbusti, macchie e specie erbacee che favorirebbero il passaggio del fuoco in chioma.
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Fiumicino Nel territorio di Fiumicino sono state individuate come aree di interfaccia mista e classica sostanzialmente tutti gli insediamenti abitativi e non, inseriti in aree verdi (agricole/boscate). In particolare si sono individuati:
‐ L’abitato di Fregene anche se esterno alla Riserva, ma considerando l’area di interfaccia con buffer di 200 m;
‐ L’abitato di Focene anche se esterno alla Riserva, ma considerando l’area di interfaccia con buffer di 200 m;
‐ L’abitato di Passo Scuro anche se esterno alla Riserva, ma considerando l’area di interfaccia con buffer di 200 m;
‐ L’abitato di Marina di San Nicola, al confine con il comune di Fiumicino e con la Riserva, considerando l’area di interfaccia con buffer di 200 m;
‐ Il centro Tre Denari e delle Tre Cannelle; ‐ I centri agricoli ed i casali di Maccarese; ‐ L’Ospedale Bambin Gesù di Passo Scuro; ‐ L’area di Interfaccia tra la Riserva Coccia di Morto e l’aeroporto Leonardo Da Vinci di Fiumicino; ‐ Parte dell’abitato di Isola Sacra anche se esterno alla Riserva, ma considerando l’area di interfaccia
con buffer di 200 m; ‐ Parte dell’abitato di Isola Sacra, nei pressi della Necropoli del porto di Roma interno alla Riserva,
considerando l’area di interfaccia con buffer di 200 m; ‐ L’autostrada Roma Civitavecchia;
Come interfaccia occlusa si includono: ‐ la pineta di Fregene; ‐ l’area del Parco di Villa Guglielmi.
2.17 CARTA DEGLI INCENDI PREGRESSI ove esistenti (degli ultimi 10 ANNI, distinguendo gli anni)
La carta degli incendi pregressi è stata elaborata a partire dai dati delle aree percorse dal fuoco relative al decennio precedente. Il dato di partenza sarà, dunque, vettoriale e successivamente verrà trasformato in formato Raster, secondo le procedure GIS standard.
Per la redazione di questa carta si propone di operare sovrapponendo alla carta delle aree percorse dal fuoco un reticolo a maglie quadrate di 50 m di lato e, secondo il “criterio di presenza” che considera anche la “ripercorrenza” al fine di tenere conto delle aree percorse da incendio una o più volte, assegnando ad ogni cella un “coefficiente di ponderazione” (di fatto un coefficiente di riduzione, dato che può assumere valore massimo pari a 1) secondo quanto segue:
1/(1+3/n): se la cella non è stata interessata da incendi nel periodo considerato; (1+1/n)/(1+3/n): se la cella è stata interessata soltanto da 1 incendio nel periodo considerato; (1+2/n)/(1+3/n): se la cella è stata interessata da 2 incendi (considerando anche quelli sovrapposti,
ripercorrenza); (1+3/n) /(1+3/n): se la cella è stata interessata da 3 o più incendi.
In cui “n” è il è il numero di anni precedenti alla redazione del piano per i quali si dispone dei dati cartografici relativi agli incendi e i fattori (1/n), (2/n) e (3/n) sono definiti “coefficienti di correzione” caratterizzanti ciascun pixel. Si considera n = 10 anni per avere un periodo di osservazione abbastanza ampio ma compatibile con i dati cartografici disponibili e pertinenti un quadro socio‐economico relativamente attuale che permetta di comprendere il fenomeno incendi in loco. Il grado di pericolosità risultante in ogni pixel dall’elaborazione appena descritta sarà leggibile su GIS e verrà sinteticamente visualizzato nella Carta della pericolosità attraverso la classificazione a valenza nazionale (con le 5 classi comprese da zero a 100) di cui alla precedente Tabella 29. Tale carta è stata prodotta su base CTR in scala 1:30.000.
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2.18 CARTA DELLA PERICOLOSITA’ (5 CLASSI)
La pericolosità su un determinato territorio esprime la possibilità di manifestarsi di incendi unitamente alla difficoltà di estinzione degli stessi. Questa variabile è determinata dalla sovrapposizione della carta della probabilità incendi, calcolata sulla base dei maggiori fattori predisponenti e coincidenti con alcune caratteristiche fisiche e biotiche del territorio (esposizione, pendenza, fitoclima e vegetazione), alla carta degli incendi pregressi, che esprime sinteticamente la probabilità di incendio su base statistica. Quindi, dalla sovrapposizione fra dati in formato Raster delle seguenti carte:
1. Carta della probabilità sulla base dei fattori predisponenti;
2. Carta degli incendi pregressi
La “Carta della pericolosità” così ottenuta sarà visualizzata in 5 classi di pericolosità equidimensionali (utile anche per confronti fra diverse RNS a scala nazionale), dove la classe più “bassa” comprende i valori da zero a 20 e quella più “alta” i valori fra 80 e 100.
Tabella 19: classi di pericolosità e relativi codici colori RGB
È stata poi prodotta anche una carta della pericolosità a valenza locale ottenuta riparametrizzando la classificazione sopra riportata per accentuare l’effettiva pericolosità a livello locale.
Per elaborare la carta della probabilità di incendio sulla base dei fattori predisponenti si può è fatto riferimento alla metodologia utilizzata per determinare il rischio statico nel volume “Incendi e complessità ecosistemica” 1 adattandola ai contesti di minore estensione (come nella fattispecie di una RNS) per cui è possibile raggiungere un maggiore dettaglio.
Esplicitando tale metodologia, la carta esprime la probabilità di incendio tramite un algoritmo additivo ponderato in cui i coefficienti di ciascun fattore sono stabiliti sulla base dell’importanza (peso) che verrà attribuita al fattore stesso. L’algoritmo di sintesi è il seguente:
In cui i fattori da considerare per la redazione della carta sono:
C: fitoclima; UdS: uso del suolo con approfondimenti su vegetazione silvo‐pastorale; E: esposizione; P: pendenza;
Questi fattori costituiscono apposite carte (o meglio strati cartografici informatizzati) da gestire in ambiente GIS.
Di seguito sono descritte le sopra citate carte e le relative tabelle con gli indici di pericolosità collegati alle singole classi tematiche riportate in legenda.
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Riguardo la carta del fitoclima,.la carta di riferimento è quella in formato vettoriale disponibile presso il Geoportale Nazionale del MATTM. A seconda del regime di incendio caratteristico della RNS, estivo o invernale, ad ogni tipo di fitoclima verrà assegnato un differente indice di pericolosità, secondo le tabelle seguenti (Tabelle 2 e 3):
Tabella 20: Indice di pericolosità estivo associato alle classi fitoclimatiche
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Tabella 21: indice di pericolosità invernale associato alle classi fitoclimatiche
UDS – CARTA DELL ’USO DEL SUOLO CON APPROFONDIMENTI SU VEGETAZIONE FORESTALE.
Questa carta è stata derivata dalla carta dell’uso del suolo, esistente con dettaglio al V livello del Corine land cover, utilizzando il sistema di nomenclatura messo a punto per l’INFC (Inventario Nazionale delle Foreste e del Carbonio), che permette di escludere alcune categorie come i boschi misti di conifere e latifoglie, salvo specificità locali. Ad ogni sottocategoria silvo‐pastorale di uso del suolo, suddivisa in gradi di copertura arborea, è stato attribuito un indice di pericolosità (da 0 a 100) che ha tenuto conto delle caratteristiche pirologiche che determinano il comportamento del fuoco durante un incendio (Tabella 4). Da questa sono stati effettuati gli approfondimenti sulla vegetazione silvo‐pastorale”, sia sulla base di cartografia esistente che sulla base di sopralluoghi. Tale carta è stata prodotta su base CTR in scala 1:30.000.
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Tabella 22: Indici di pericolosità in funzione dell’uso del suolo
E – P ‐ CARTA DELLE ESPOSIZIONI E CARTA DELLE PENDENZE (INCLINAZIONE IN GRADI)
Sono state entrambe ricavate utilizzando le procedure contenute nei più comuni pacchetti GIS dal modello digitale del terreno (DTM), con passo di 20 metri. I valori di indice di pericolosità da attribuire alle singole classi di esposizione e inclinazione sono riportati nella Tabella seguente:
Tabella 23: indici di pericolosità in funzione dell’esposizione e inclinazione
Tale carta è stata prodotta finalizzata all’elaborazione della carta della pericolosità.
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2.19 CARTA DELLA GRAVITA’ (5 CLASSI)
La carta della gravità esprime il danno e/o le variazioni negative che gli incendi boschivi causano nell’ambiente con il quale interagiscono. In questa fase della pianificazione si soo espressi gli effetti negativi del potenziale incendio sul sistema ambientale nella sua complessità strutturale e funzionale.
I dati di input da utilizzare saranno i seguenti:
A. Carta della copertura silvo–pastorale;
B. Carta della zonizzazione della RNS
C. Carta dei SIC/ZSC, ZPS e RAMSAR;
D. Carta degli habitat e delle specie prioritarie.
Dalla sovrapposizione dei quattro layer, riclassificati e trasformati in formato raster secondo il “criterio di prevalenza”, si è ottenuta la carta della gravità con l’attribuzione del grado di gravità al singolo pixel attraverso una semplice addizione, assegnando un uguale peso al contributo delle diverse componenti.
Il punteggio derivante dalla somma verrà, quindi, segmentato in 5 classi secondo la Tabella 35:
Tabella 24: classi di pericolosità e relativi codici colori RGB
È stata poi prodotta anche una carta della gravità a valenza locale ottenuta riparametrizzando la classificazione sopra riportata per accentuare l’effettiva gravità a livello locale.
La carta della gravità è stata prodotta su base CTR in scala 1:30.000. Tale carta deriva dall’elaborazione delle seguenti cartografie:
A ‐ CARTA DELLA COPERTURA SILVO – PASTORALE
Per ponderare il diverso valore naturalistico delle aree danneggiate è stata predisposta una scala nominale che esprime sinteticamente un gradiente di pregio, basato sulle caratteristiche naturali e paesaggistiche delle formazioni vegetali, da livelli molto bassi (5) ai valori massimi (25). Anche in questo caso, se non si potrà fare riferimento alla carta della vegetazione e/o dei tipi forestali, ci si avvarrà della carta dell’uso del suolo, al V livello del Corine Land Cover. Utilizzando quest’ultima, ad ogni singola categoria di uso del suolo verrà assegnato un indice gravità, variabile da 5 a 25 secondo la seguente Tabella 36:
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Tabella 25: Indici di gravità in funzione della copertura silvo‐pastorale
B ‐ CARTA DELLA ZONIZZAZIONE DELLA RNS
Si è proceduto alla caratterizzazione delle diverse aree della RNS secondo i seguenti indici di gravità variabili da 5 a 25 (in classi di 5, 10, 15, 20, 25; in cui il valore 25 corrisponde alla gravità più elevata e il valore 5 a quella meno elevata).
C ‐ CARTA DEI SIC/ZSC, ZPS E RAMSAR INTERNE ALLA RNS
Le presenza di una qualsiasi fra tali tipologie di siti di interesse naturalistico sarà quantificata in termini di presenza/assenza secondo la seguente Tabella 37:
Tabella 26: Indici di gravità in funzione della presenza di SIC/ZSC, ZPS e RAMSAR
D ‐ CARTA DEGLI HABITAT E DELLE SPECIE PRIORITARIE
Gli habitat (prioritari e non prioritari) individuati nella RNS e la presenza di emergenze naturalistiche con specie prioritarie da quantificare permetteranno di assegnare gli indici di gravità variabili da 5 a 25 (25 corrisponde alla gravità più elevata) secondo la Tabella 38:
Tabella 27: Indici di gravità in funzione degli habitat di specie prioritarie
2.20 CARTA DEL RISCHIO INCENDI (3 CLASSI)
La combinazione delle due variabili (carta della pericolosità e carta della gravità realizzate come sopra) verrà ottenuta con una funzione di overlay additivo ponderato per sovrapposizione di dati raster (combinazione lineare). In sostanza si dovrà tenere conto del peso relativo delle due variabili applicando come moltiplicatore 0,60 per la pericolosità e 0,40 per la gravità secondo la seguente equazione:
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Dalla quale è risultato, in ambiente GIS, il valore di rischio di ogni singolo pixel esaminato.
La carta così ottenuta sarà visualizzata in 3 classi di rischio (Tabella 39):
Tabella 28: Classi e valori della carta del rischio
Tale carta è stata prodotta su base CTR in scala 1:30.000. Tale carta è stata prodotta anche a “valenza locale”. La carta del rischio a valenza locale è stata ottenuta riparametrizzando la classificazione sopra riportata per accentuare l’effettivo rischio a livello locale. Si è ritenuto di includere nel rischio anche le aree di interfaccia urbano‐foresta in seguito all’analisi dei piani comunali di protezione civile.
3. PREVENZIONE (OBIETTIVI PRIORITARI E PIANO INTERVENTI AIB DI TIPO AREALE, LINEARE, PUNTUALE ED ORGANIZZATIVO)
Nel definire gli interventi che insieme concorrono alla definizione e messa in atto degli strumenti per la protezione dei boschi dagli incendi, si confida maggiormente sulla riduzione delle superfici percorse che non sulla diminuzione del numero di eventi (Bovio, 1992). E questo concetto è ancora più vero quando la pianificazione si riferisce ad un’area piccola, secondo quanto indicato in precedenza. Infatti nell’area piccola si riesce più difficilmente a porre in essere strategie finalizzate a contrastare le cause determinanti, e cioè le cause di innesco, che com’è noto sono, nel nostro Paese come nel resto d’Europa, legate a contingenze socio‐economiche di diversa natura. Pur non trascurando le cause determinanti, e cioè i fattori di innesco che determinano la frequenza dei focolai, l’intervento di prevenzione si concentra quindi maggiormente sul controllo e sulla gestione delle cause predisponenti, e cioè quei fattori che insieme concorrono a determinare il comportamento del fuoco e quindi la forza distruttiva e i danni che il fuoco può causare, nonché la potenziale difficoltà di controllo del fronte di fiamma da parte del servizio di estinzione. La prevenzione diretta quindi viene esercitata sui fattori predisponenti, interagendo soprattutto con la componente forestale attraverso la prevenzione selvicolturale e la selvicoltura preventiva (Bovio 1995 e 1996). Con riferimento all’obiettivo di piano che prevede di contenere il fronte di fiamma entro limiti di intensità lineari accettabili, la prevenzione selvicolturale è mirata a sottrarre al complesso di potenziale combustibile vegetale la quota parte di carico non assorbibile con l’estinzione. In altri termini questo significa creare condizioni di minor combustibilità della vegetazione, in modo da ridurre le intensità attese al di sotto di limiti prefissati. Una gestione che consentisse di ridurre il livello di combustibilità in modo generalizzato non è proponibile perché significherebbe interferire in modo eccessivo nei processi naturali e nelle dinamiche della vegetazione, in conflitto con gli obiettivi di gestione naturalistica della Riserva. Pertanto si deve cercare di ottenere localmente condizioni di bassa combustibilità, creando soluzioni di continuità orizzontali e verticali nei popolamenti forestali, attraverso la sistematica e puntuale realizzazione di interventi preventivi.
Le azioni che si ritengono prioritarie per contrastare il rischio di incendi boschivi rientrano direttamente nei seguenti aspetti:
Rimozione della vegetazione erbacea Interramento dei residui delle lavorazioni agricole Diradamento delle fasce perimetrali dei boschi Riqualificazione di piste tagliafuoco
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Per ciò che concerne le azioni indirette, includendo fra queste anche quelle di lungo periodo, non rientranti cioè nella gestione di una singola “campagna” A.I.B., anche se ciò esula dalle competenze del presente Piano, va richiamata l’importanza di una sana gestione del TASP (Territorio Agro Silvo Pastorale) che, con particolare riferimento alla politica forestale, si traduce nel favorire:
Lo sviluppo, approvazione e implementazione dei piani di gestione forestale; L’introduzione di specifiche A.I.B. nei progetti di taglio; L’utilizzo dei fondi accantonati per le migliorie boschive dei patrimoni forestali degli enti pubblici
per interventi A.I.B., allargando il campo d’intervento non solo a quello tradizionale di esecuzione di lavori, ma anche alla formazione del personale e attivazione di servizi;
L’utilizzo di altre fonti di finanziamento, anche relative ad altri settori (agricoltura, ambiente, turismo, occupazione, protezione civile, sicurezza, prevenzione e repressione della criminalità,
ecc.) per interventi organici A.I.B.; Responsabilizzazione dei gestori del TASP (pubblici e privati) all’azione A.I.B., specie attraverso
l’attuazione dei piani di sviluppo rurale (Regolamento CE n. 1257/99); Animazione e facilitazione delle funzioni di assistenza tecnica e polizia forestale (avvicinamento
del gestore del TASP al C.F.S., uffici agrari di zona, uffici tecnici comunali, guardie provinciali, ecc.).
Premessa sulla prevenzione indiretta
La prevenzione che agisce sulle cause determinanti è detta prevenzione indiretta. Gli interventi di prevenzione indiretta previsti sono indicati di seguito.
‐Cartellonistica di monito alla popolazione, con introduzione di elementi di sensibilizzazione dei fruitori della Riserva.
La pubblicizzazione del grado di pericolo del giorno all’interno del territorio da proteggere è stata già sperimentata, con successo, in alcune realtà come l’Australia e gli Stati Uniti. La scelta di informare la popolazione viene in alcuni casi criticata sostenendo che così facendo si “suggerirebbe" ad eventuali malintenzionati il momento migliore per agire. Si ritiene che, anche qualora si accetti la tesi dell’” incendiario” quale unica causa di incendio, e comunque con riferimento alle cause volontarie (o dolose), l’avviso giornaliero del grado di pericolo riportato in appositi cartelli ad uso dei fruitori del parco non possa che ottenere un risultato positivo, attraverso l’aumento di attenzione e vigilanza dei più sensibili al problema e la consapevolezza di una aumentata sorveglianza attiva da parte dei citati malintenzionati. Per quanto riguarda le cause involontarie (o colpose), l’effetto atteso è anch’esso positivo, suggerendo alla popolazione di evitare comportamenti a rischio nei giorni di maggior pericolo.
‐Presidio diffuso sul territorio da parte delle squadre di pronto intervento al crescere del grado di pericolo di incendio, con funzione ad un tempo di sensibilizzazione dei fruitori e deterrente per la parte della popolazione con comportamento potenzialmente a rischio. Premessa sulla prevenzione diretta
La prevenzione diretta viene esercitata sui fattori predisponenti, interagendo soprattutto con la componente forestale attraverso la prevenzione selvicolturale e la selvicoltura preventiva (Bovio 1995 e 1996). Con riferimento all’obiettivo di piano che prevede di contenere il fronte di fiamma entro limiti di intensità lineari accettabili, la prevenzione selvicolturale è mirata a sottrarre al complesso di potenziale combustibile vegetale la quota parte di carico non assorbibile con l’estinzione. In altri termini questo significa creare condizioni di minor combustibilità della vegetazione, in modo da ridurre le intensità attese al di sotto di limiti prefissati. Una gestione che consentisse di ridurre il livello di combustibilità in modo generalizzato non è proponibile perché significherebbe interferire in modo eccessivo nei processi naturali e nelle dinamiche della vegetazione, in conflitto con gli obiettivi di gestione naturalistica della Riserva. Pertanto si deve cercare di ottenere localmente condizioni di bassa combustibilità, creando soluzioni di continuità orizzontali e verticali nei popolamenti forestali, che venga realizzato in sicurezza. La rete di
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infrastrutture di prevenzione tiene conto della esistente configurazione di viali, la cui posizione planimetrica e caratteristiche attuali, sono state rilevate con tecnologie GPS (Global Positioning System), nell’ottica di minimizzare le modificazioni introdotte dagli interventi proposti. La tipologia di VTF realizzati è quella dei Viali Tagliafuoco Attivi Verdi di impatto ambientale minimo e minori costi di manutenzione. A questo riguardo si procede con interventi di manutenzione dei viali a livello biennale.
Aree di interfaccia urbano‐foresta Il livello di rischio nelle aree di interfaccia urbano‐foresta varia a seconda delle caratteristiche progettuali specifiche di ciascuna infrastruttura e in base alle tipologie vegetazionali presenti nelle immediate vicinanze delle medesime, come nel caso della Pineta di Castel Fusano dove nell’immediate vicinanze sono presenti aree abitative che sarebbero direttamente minacciate dall’eventuale propagazione di un incendio boschivo. A seguito di analisi che verranno illustrate in dettaglio nell’elaborato “Pianificazione degli interventi” vengono proposti interventi localizzati mirati alla prevenzione antincendi boschivi nelle aree di interfaccia attraverso la riduzione della biomassa bruciabile e la riqualificazione di appositi “spazi difensivi”. Attraverso la costruzione di una adeguata rete di viali tagliafuoco (VTF). Le tipologie progettuali ed il dimensionamento dei viali sono stati definiti in funzione del loro corretto inserimento nel contesto della Riserva nonché dell’operatività del servizio di estinzione. In altri termini, localmente devono permanere condizioni adatte all’attacco diretto delle squadre a terra, e quindi si dovrà fare in modo che, con riferimento a certi scenari di pericolo, il lavoro delle squadre sia possibile, risolutivo e che venga realizzato in sicurezza. La rete di infrastrutture di prevenzione tiene conto della esistente configurazione di viali, la cui posizione planimetrica e caratteristiche attuali, sono state rilevate con tecnologie GPS. Non intervenire su una discarica abusiva può rappresentare un incentivo a vecchie abitudini e costituire notevole rischio di incendio di interfaccia urbano‐rurale. Dette aree di interfaccia sono quelle dove il sistema urbano e quello rurale si incontrano ed interagiscono, così da considerarsi a rischio d’incendio di interfaccia, potendo venire rapidamente in contatto con la possibile propagazione di un incendio originato da vegetazione e/o rifiuti combustibili. In particolare l’intervento in questione rivolge l’attenzione alla: 1. ripulitura e bonifica discariche abusive di aree di interfaccia urbano‐collinare recuperabili senza l’ausilio di attrezzature particolari, con collocazione a discarica autorizzata; 2. ripulitura da cespugliame invadente in aree di interfaccia urbano‐rurale compreso l’allontanamento del materiale di risulta.
3.1 OBIETTIVI DEL PIANO AIB DELLA RISERVA NATURALE STATALE L’individuazione degli obiettivi prioritari da difendere rappresenta una nuova strategia di lotta contro gli incendi boschivi finalizzata alla riduzione dei danni economici e alla mitigazione delle conseguenze sul patrimonio ambientale e socio‐culturale nonché alla conservazione del bene inteso come elemento indispensabile della qualità della vita. La definizione degli obiettivi consente di fissare una scala di priorità di supporto all’attività decisionale nella fase dell’attivazione dell’intervento di difesa e di contrasto agli incendi. Per la determinazione degli obiettivi prioritari sono stati considerati quali elementi di valutazione (come da indicazione della normativa vigente): a. presenza antropica (strutture abitative, industriali, commerciali, turistiche); b. uso del suolo; c. pregio vegetazionale e ambientale: Aree Naturali Protette; d. aree boscate e/o non boscate limitrofe alle aree di cui ai punti a) e b); e. rimboschimenti di giovane età e/o boschi di conifere; f. difficile accessibilità da terra verso le aree di cui ai punti precedenti. Per la determinazione degli obiettivi è stata effettuata un’analisi che ha portato alla:
Individuazione delle categorie sopra menzionate sulla cartografia di base e tematica; Alla costruzione delle basi dati compatibile con il GIS regionale e nazionale; All’analisi spaziale dei dati con tecniche GIS.
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La definizione degli interventi ipotizzabili da adottare per obiettivi e aree prioritarie dipende strettamente dagli effetti degli incendi che sono diversi in funzione della località in cui avvengono. Le condizioni stazionali e vegetazionali possono favorire l’insorgere di incendi ad elevato impatto (es. in aree a difficile accesso e con modello di combustibile responsabile di intensità elevate sono da attendersi impatti gravi per l’elevata superficie percorsa e l’impossibilità di controllo). Allo stesso tempo impatti altrettanto gravi sono da attendersi in formazioni ad elevato valore intrinseco sia questo naturalistico o economico, pur con superfici percorse limitate. La definizione degli impatti deve tenere dunque conto sia di effetti quantitativi (incendi di vaste dimensioni e/o difficile controllo) sia di quelli qualitativi (superfici percorse anche limitate ma con impatto su formazioni di elevato valore). Compito del piano è definire un obiettivo di impatto accettabile. La riduzione ed il controllo degli impatti di natura qualitativa deriva da una zonazione e classificazione degli elementi territoriali ed ambientali di pregio sulla base di un indice di “gravità”, individuando aree sulle quali gli obiettivi di riduzione degli impatti sono da raggiungere con priorità. Nelle aree protette in genere l’obiettivo di piano è posto nell’assenza di incendi boschivi. Tale obiettivo così espresso, ricordando l’aleatorietà della diffusione degli incendi, ha carattere solo formale e teorico. Un obiettivo più raggiungibile è quello della massima riduzione delle superfici percorse, ottenuta attraverso azioni di natura materiale e immateriale poste in essere per far sì che gli eventi siano confinati nel rango del “principio di incendio”, cioè eventi di portata contenuta, facilmente e rapidamente controllati grazie alla disponibilità di infrastrutture, personale, dotazioni e servizi di prevenzione, allarme ed estinzione. A tale proposito gli interventi sono stati progettati per obiettivi ed aree prioritarie e contengono, indicazioni in merito alle modalità operative e di accesso alle aree di mezzi e personale necessarie per fronteggiare la propagazione del fuoco.
3.2 SINTESI DEGLI INTERVENTI PREVISTI NEL PERIODO DI VALIDITA’ DEL PIANO AIB
La valutazione delle proposte dei programmi tecnico finanziari è effettuata verificandone la rispondenza agli obbiettivi della programmazione regionale, al fine di predisporre il miglior servizio sull’intero territorio per la prevenzione e lotta attiva agli incendi boschivi e nel rispetto delle priorità di seguito elencate:
A. Attività di Previsione (studi, cartografia, programmi e software); B. Attività di Prevenzione; C. Interventi per la lotta agli incendi boschivi; D. Interventi di recupero ambientale A. Attività di Previsione
Gli interventi di prevenzione finanziabili comprendono: - Studi specialistici finalizzati al miglioramento dei sistemi di previsione (es. implemementazione
e acquisto di software come il FWI (Fire Wheater Index); - Formazione per la gestione ed analisi dei sistemi informatici;
B. Attività di Prevenzione
Interventi e opere di prevenzione
Gli interventi di prevenzione finanziabili comprendono: 1. Manutenzione fasce di pertinenza viabilità comunale e sovrordinaria; 2. Interventi selvicolturali finalizzati all’AIB; 3. Manutenzione viali tagliafuoco; 4. Manutenzione fasce parafuoco legate ai campi agricoli confinanti con boschi; 5. Manutenzione viabilità di intervento; 6. Manutenzione elisuperfici e basi; 7. Realizzazione elisuperfici e basi; 8. Installazione telecamere AIB su punti di avvistamento fissi;
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9. Manutenzione telecamere AIB su punti di avvistamento fissi; 10. Realizzazione tralicci AIB per posizionamento telecamere AIB; 11. Manutenzione torrette AIB; 12. Allestimento vasche AIB trasportabili; 13. Realizzazione serbatoi interrati di accumulo; 14. Realizzazione punti per l’approvvigionamento idrico dei mezzi terrestri (idranti); 15. Manutenzione punti per l’approvvigionamento idrico dei mezzi terrestri (idranti e picchi di
carico); 16. Servizi di pattugliamento mobile e attività di sorveglianza; 17. Acquisto di mezzi AIB; - Acquisto di autobotti fisse o scarrabili; - Acquisto fuoristrada allestibili con modulo antincendio; 18. Acquisto e manutenzione attrezzature antincendi boschivi, escluso attrezzature non
specificamente impiegabili nella lotta attiva; 19. Partecipazione ai corsi di addestramento e aggiornamento organizzati dalla Regione Lazio, distinti
in costo delle maestranze forestali e spese per i mezzi utilizzati; 20. Convenzioni con le Associazioni di volontariato per il servizio di avvistamento degli incendi
boschivi. Tali convenzioni devono essere stipulate a norma di legge.
C. Interventi di Lotta attiva e spegnimento Gli interventi di spegnimento finanziabili comprendono:
1. Interventi diretti di spegnimento, determinati in base alla statistica dei dieci anni precedenti, distinti in costo delle maestranze e spese per la gestione dei mezzi e delle attrezzature impiegate.
D. Interventi di recupero ambientale
Nel caso di accertate situazioni di dissesto idrogeologico e nelle situazioni in cui sia urgente tutelare particolari valori ambientali o paesaggistici, si possono effettuare interventi di recupero ambientale e rimboschimento ed ingegneria naturalistica sia riguardo boschi percorsi dal fuoco che come azione preventiva di salvaguardia. Gli interventi previsti sono:
- Interventi di recupero ambientale; - Interventi di salvaguardia.
La progettazione degli interventi deve riguardare le necessarie opere per: - Recuperare la regimazione delle acque, onde evitare fenomeni di erosione; - il recupero del suolo; - stabilizzazione dei versanti; - realizzazione di eventuali vivai per produrre materiale vegetativo utile al rimboschimento e per
preservare il genoma degli ecotipi locali; - interventi di succisione e tramarratura per favorire la resilienza degli ecosistemi nel caso di boschi
percorsi dal fuoco; - interventi di ripulitura e decespugliamento di specie arbustive invasive; - interventi di sfollamento e diradamento su boschi di conifere o latifoglie e rimboschimenti di
conifere;
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Interventi previsti Il clima della Riserva Naturale Statale del Litorale Romano esclude quasi totalmente la possibilità di autocombustione, dato che il massimo della temperatura raggiungibile dalla sostanza organica in decomposizione nei boschi è inferiore a quella di combustione. Da ciò ne consegue che l’alta percentuale di incendi boschivi sia dovuta a cause di natura dolosa, sia volontarie che involontarie. Tra le cause dolose involontarie, soprattutto nella stagione primaverile‐estiva, si riscontra la non curanza dei fuochi usati durante i pic‐nic nei boschi, che molto spesso vengono lasciati accesi o spenti male dopo il loro utilizzo. Per questo motivo, relativamente agli interventi previsti, si suggerisce di adibire, nelle aree di ricreazione della Riserva Naturale Statale, delle zone attrezzate per lo svolgimento di attività di pic‐nic e barbecue. Lo svolgimento di una attività ricreativa su una determinata area, di cui si riscontrata l’idoneità funzionale allo svolgimento dell’attività stessa, si considererà in linea generale possibile solo se non contrasti con la tutela dei valori ambientali presenti. La individuazione, tramite le analisi di compatibilità, degli spazi suscettibili ad essere destinati alle attività ricreative, consente una prima, importante valutazione dell’offerta di ricreazione del territorio studiato, in termini di superficie di suolo utilizzabile per le singole attività. Le potenzialità ricreative insite negli spazi considerati sono però teoriche: la loro effettiva valorizzazione richiede una ulteriore serie di operazioni di bilancio offerta‐domanda di ricreazione, di individuazione degli interventi di attrezzatura e di infrastrutturazione, di esame delle connessioni con le strutture insediative esistenti, che presuppongono la introduzione di una unità di misura diversa da quella areale, e precisamente la dimensione della potenziale utenza ricreativa. Questo passaggio è possibile solo se si è in grado di quantificare il carico di presenze contemporanee di utenti di ricreazione che i singoli spazi determinati sono in grado di sostenere in condizioni tali da non compromettere l’integrità dell’ambiente. Si definisce standard di saturazione, relativo a una certa attività ricreativa, la capacità massima, in termini di carico antropico, sopportabile da una porzione unitaria di superficie idonea allo svolgimento dell’attività stessa senza che ne derivino danni per l’ambiente e compatibilmente con il verificarsi di soddisfacenti condizioni per lo svolgimento dell’attività in oggetto. Dalla definizione emerge che ad ogni attività ricreativa è associabile uno standard di saturazione per la cui individuazione vanno presi in considerazione gli aspetti seguenti: a) la vulnerabilità ambientale dello spazio su cui si svolge l’attività ricreativa; b) l’impatto ambientale intrinseco dell’attività ricreativa; c) l’estensione minima degli spazi necessari per il soddisfacente svolgimento dell’attività ricreativa.
La Legge Regionale n. 29 del 06‐10‐1997 “Norme in materia di aree naturali protette regionali” detta i principi fondamentali per l'istituzione e la gestione delle aree naturali protette regionali, tra i diversi obiettivi c’è anche la valorizzazione delle risorse umane attraverso misure integrate che sviluppino la valenza economica, educativa delle aree protette. Per quanto esposto finora ne consegue che per far sì che l’impatto ambientale, da parte delle attività umane, sia minimo o nullo si suggerisce di creare tali aree nelle zone perimetrali della Riserva, in particolare della Pineta di Ostia, questo perché venga limitata la presenza antropica nelle zone interne, in modo da conservare e tutelare la biodiversità floristica e faunistica della Riserva stessa. La Pineta di Ostia è la zona della Riserva più utilizzata dall’uomo per effettuare pic‐nic e barbecue illegalmente, svolgendo tali attività in maniera non idonea all’ambiente che lo circonda l’uomo crea le condizioni adatte per gli inneschi di incendio. Quindi andando ad adibire degli spazi appositi per tali attività si riduce drasticamente il rischio incendio eliminando così l’uso improprio dell’ambiente da parte dell’uomo. I pic‐nic svolti nel sottobosco della pineta hanno causato molti incendi in passato proprio perché venivano effettuati in aree dove era presente molta sostanza organica dovuta alla vegetazione dello strato arbustivo. Tali aree ricreative dovranno essere ripulite dalla materia organica, inoltre dovranno essere presenti delle strutture idonee per consentire il bivacco e l’accensione di eventuali barbecue in tutta sicurezza. Si raccomanda inoltre di non creare continuità tra le diverse piazzole ricreative, questo per far sì di mantenere corridoi ecologici che permettano lo scambio genico tra gli individui della micro e macro fauna presente nella Riserva andando in questo modo a conservare ed aumentare la biodiversità. Unitamente a tali aree ricreative sarà bene prevedere anche delle piazzole di sosta per i veicoli a motore e non (auto, bici ecc.), in questo modo si limita l’ingresso coatto di veicoli in zone a rischio per la Riserva,
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prevenendo così eventuali danni alla vegetazione ed alla fauna. La vicinanza delle piazzole di sosta alle aree ricreative potrà soltanto che aumentare il loro utilizzo al fine di ottenere un corretto uso degli spazi adibiti ai turisti e alla popolazione del luogo. Si raccomanda di dotare tali spazi di sistema di videosorveglianza, per controllare e monitorare tali aree visto che saranno quasi sempre visitate anche da bambini e minorenni; le telecamere, inoltre, saranno indispensabili nel momento in cui dovesse esserci un eventuale incendio per poterne visualizzare le cause di innesco.
3.3 SCHEDA TECNICO‐ECONOMICA Si riporta in apposito allegato le schede economiche inerenti la Riserva specificando le rispettive programmazioni dei due enti di gestione.
3.4 INTERVENTI SELVICOLTURALI
Gli interventi selvicolturali rappresentano la prevenzione diretta più efficace, anche se, purtroppo, non la più diffusa. L’art. 4 comma 2 della L. n. 353/2000, tra le diverse attività di prevenzione, individua come necessaria quella volta a ridurre il peso dei fattori predisponenti l’incendio attraverso “idonei interventi colturali volti a migliorare l’assetto vegetazionale degli ambienti forestali”. L’obiettivo di contenere l’intensità del fuoco viene dalla legge individuato, pertanto, in tutta quella serie di attività selvicolturali aventi come oggetto la sottrazione di potenziale combustibile vegetale. Le azioni selvicolturali per la prevenzione degli incendi boschivi possono essere volte o a favorire, (piantare in sede di rimboschimento) specie e soprassuoli forestali che riescano a resistere all’incendio oppure a ridurre la quantità dei combustibili. Dato che la maggior parte degli incendi parte al livello del suolo, tutto dipende dallo strato inferiore della vegetazione (arbustivo ed erbaceo). Lo strato erbaceo, che di regola in estate è secco, presenta il massimo rischio d’incendio, ma non quello della propagazione perchè il fuoco corre solo in superficie. Gli strati arbustivi ed arboreo si accendono meno facilmente, ma sono pericolosi per la propagazione; se coesistono arbusti ed alberi con continuità verticale le fiamme tendono a raggiungere le chiome, provocando gli incendi più intensi e più difficili da domare. Nel quadro degli interventi selvicolturali atti a regolare la distribuzione nello spazio dei diversi tipi di combustibile sono previsti:
1. Diradamenti dal basso e sfollamenti su pinete da effettuarsi in particolare nelle fasce di pertinenza della viabilità per interrompere la continuità orizzontale e favorire lo sviluppo delle latifoglie; 2. Diradamento dal basso su rimboschimenti misti a prevalenza di conifere (pino d’Aleppo, cedro, cipresso), in particolare per quelli di Castel di Guido per favorire l’entrata e lo sviluppo delle latifoglie, meno infiammabili soprattutto nelle fasce di pertinenza della viabilità; 3. Favorire l’avviamento all’alto fusto dei boschi di latifoglie (leccete e querceti) soprattutto lungo le fasce di pertinenza della viabilità esistente; 4. Mantenimento di alcune aree a pineta come valore paesaggistico e come testimonianza storica, limitando lo sviluppo del sottobosco; 5. Realizzazione di interventi di succisione o tramarratura nelle aree percorse dal fuoco sulle ceppaie di latifoglie danneggiate o colpite dall’incendio; 6. Interventi di ripristino della densità arborea nelle aree percorse dal fuoco mediante l’utilizzo del pino domestico come specie a rapido accrescimento, nelle prime fasi della successione ecologica per ripristinare la copertura arborea; 7. Riduzione e ripulitura dello strato arbustivo dei popolamenti forestali a contatto con la viabilità, mediante decespugliamento e raccolta del materiale di risulta, oppure mediante l’utilizzo del bestiame al pascolo. Tale operazione si rende necessaria per l’eliminazione del sottobosco ad alto rischio d’incendio e, soprattutto, del cespugliame lungo tratti di strade carrabili limitrofe a zone boscate;
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8. Spalcatura dei rami bassi ed innalzamento delle chiome fino ad almeno un terzo dell’altezza. In questo modo si eliminerà tutto il materiale secco che potrebbe trasmettere il fuoco da terra verso l’alto, trasformando un incendio basso in un incendio di chioma, ben più pericoloso. Tale intervento da eseguirsi nelle fasce di pertinenza della viabilità esistente; 9. Allontanamento dei residui vegetali accumulati negli strati superficiali del suolo o riduzione in cippato (resti di lavorazione, ramaglia, piante secche);
Di seguito si descrivono gli interventi previsti per le diverse aree: Interventi sulle Pinete
Obiettivi selvicolturali
a) Perpetuare la pineta coetanea: come elemento del paesaggio, caratteristico del litorale italiano e dell’area romana in particolare, e come popolamento di facile fruizione ricreativa diretta: in quest’ultimo caso il sottobosco dovrà essere mantenuto rado o concentrato in aree determinate;
b) Conservare e ampliare la pineta a struttura composita pluristratificata in quanto sistema più complesso, capace di consentire la conservazione del pino domestico in un ambiente di maggior pregio naturalistico perché caratterizzato da maggiore diversità biologica e strutturale; questo tipo di pineta, tra l’altro, è pienamente compatibile con l’eventuale raccolta dei pinoli (PAVARI, 1955; CIANCIO et al. 1988);
c) Favorire la successione ecologica verso la macchia mediterranea alta e la fustaia di leccio per incrementare il valore naturalistico complessivo dell’area.
d) Prevedere il ripristino delle aree incendiate mediante ricostituzione della copertura forestale anche mediante l’utilizzo del pino domestico quale specie pioniera a rapido accrescimento per favorire una rapida successione ecologica. Tale intervento andrà articolato e sviluppato su specifico progetto di riqualificazione e miglioramento boschivo;
Sono stati definiti i seguenti quattro tipi strutturali:
Tipo A: pineta coetanea giovane
Sono pinete realizzate in massima parte all’interno della Tenuta di Castelporziano e in misura minore come piccoli ampliamenti delle pinete di Ostia. Si tratta di popolamenti di ridotta densità (4‐8 m lungo le file, 10‐12 m tra di esse) con elevata omogeneità dimensionale: i diametri si distribuiscono in sole quattro classi con il 90% di essi compreso nelle tre maggiori; la curva ipsometrica è alquanto appiattita. Il profilo del soprassuolo si presenta monoplano con chiome globose, dense, a contatto lungo le file e leggermente distanziate tra di esse. Un vero e proprio piano arboreo dominato è presente solo dove insieme al pino sono state messe a dimora anche specie della macchia mediterranea quali leccio, ramno, fillirea e viburno. La sufficiente luminosità del sottobosco consente lo sviluppo di un tappeto di graminacee accompagnate da cisto, asfodelo e inula; più saltuaria è la presenza di rovi, cespugli di mirto, lentisco, ramno e semenzali di leccio.
Tipo B: pineta coetanea adulta È il tipo di struttura più diffuso, presente in tutti i principali complessi pinetosi esaminati. A questo tipo appartengono pinete di maggiore sviluppo e articolazione somatica rispetto alle precedenti, di età compresa tra 50 e 60 anni. Si tratta di piantagioni realizzate a cavallo dell’ultimo conflitto mondiale come completamento dell’opera di bonifica idraulica. I popolamenti hanno diametro medio compreso tra 40 e 50 cm, altezza media da 18 a 21 m e un’articolazione in 3‐8 classi dimensionali. Nella maggior parte dei casi non sono stati soggetti a cure colturali, per cui la densità risulta elevata (da 200 fino a 450 piante per ettaro) in rapporto allo sviluppo somatico. I pini hanno le chiome fortemente compenetrate tra di loro, di forma atipica, né globosa né ombrelliforme, in quanto la parte verde è concentrata in alto e al di sotto di essa si trova una gran quantità di rami secchi, spesso presenti lungo tutto il fusto. La competizione ha
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determinato una sensibile differenziazione in classi di altezza: la curva ipsometrica ha una certa curvatura evidenziando un piano dominato nel profilo della pineta. La copertura del terreno da parte delle chiome è continua ma la loro relativa trasparenza, dovuta alla presenza dei palchi secchi, determina condizioni di illuminazione al di sotto di esse che consentono la presenza di uno strato inferiore di vegetazione composto da latifoglie sclerofille della macchia mediterranea. Portamento, sviluppo in altezza, densità e distribuzione delle specie sotto la copertura della pineta sono alquanto variabili. Nelle pinete di Ostia, soggette a forte disturbo antropico, gruppi di cespugli di lentisco e pungitopo con rovo e edera si trovano solo nelle chiarie. In quelle di Castel Fusano, seminate su strisce lavorate alternate a strisce salde di macchia, secondo il progetto di PAVARI (1933), il leccio raggiunge un’altezza media di 16 m ed è accompagnato da arbusti di lentisco, coronilla, erica arborea, fillirea e ramno.
Tipo C: pineta coetanea matura Appartengono a questo tipo strutturale le pinete di 80‐110 anni che hanno ormai superato l’età della massima fruttificazione. La densità, pari a 120‐130 piante per ettaro, è proporzionata alle dimensioni degli individui che si distribuiscono in 5‐7 classi dimensionali, di diametro medio tra 55 e 67 cm e altezza media compresa tra 21 e 26 m. Sono localizzate nella tenuta di Castelporziano. Le pinete sono state sottoposte alle ordinarie cure colturali di diradamento e potatura in quanto destinate a uso produttivo (raccolta di pinoli) e turistico‐ricreativo (campeggio e maneggio). Le chiome hanno la tipica forma a ombrello del pino domestico adulto e creano una copertura continua monoplana ma non eccessivamente densa tanto che il suolo è coperto da un tappeto uniforme di graminacee. Il sottobosco arbustivo è, invece, scarso e localizzato nelle zone di margine o all’interno di chiarie formatesi in seguito alla caduta di una o più piante. Nel complesso la copertura è continua ma sono abbastanza diffuse piccole aperture causate dallo schianto di o una o più piante all’interno delle quali non è raro riscontrare singoli individui o piccoli gruppi di giovani pini. Al di sotto delle chiome si estende uno strato di rinnovazione di leccio alta fino a 1,5 m accompagnata da cespugli di ramno, fillirea e lentisco.
Tipo D: pineta pluristratificata Qui il soprassuolo, visto nel suo complesso, è essenzialmente costituito da uno strato superiore di pini, distribuiti sul terreno a piccoli gruppi o individui isolati, e da uno inferiore, praticamente continuo, di leccio e altre specie della macchia mediterranea. All’interno di entrambi gli strati, tuttavia, si trovano individui di dimensioni ed età sensibilmente differenti tanto che il popolamento assume di frequente fisionomia pluristratificata e disetanea anche su piccole superfici. Ci sono situazioni differenti quanto a densità della pineta: si va dal popolamento a copertura piena fino alla macchia e alla macchia‐foresta con pini isolati. Il numero delle piante di pino varia da 50 a 140 per ettaro con diametro medio tra 60 e 77 cm e altezza media compresa tra 22 e 30 m. L’età delle piante di diametro medio è risultata sempre superiore a 100 anni. Lo strato superiore è sempre costituito da individui di grandi dimensioni che possono avere anche più di 100 cm di diametro e 35 m di altezza. Come detto un singolo gruppo di pini può articolarsi a sua volta in due o tre strati per la presenza di individui di dimensioni ed età inferiori che possono derivare da rinnovazione artificiale o naturale. Lo strato inferiore è dominato dal leccio che assume frequentemente portamento arboreo con sviluppo in altezza che può raggiungere i 20 m e lambire le chiome dei pini. In questo caso le chiome tendono a disporsi su più livelli di altezza conferendo alla struttura ulteriore articolazione. L’evoluzione della lecceta è condizionata dalla densità della pineta. La parte di Castel Fusano caratterizzata da questo tipo di struttura è stata quella più colpita dall’incendio che nell’estate del 2000 ha gravemente danneggiato circa 270 ettari di bosco.
Pinete litoranee
Le indagini svolte hanno messo in evidenza che i tipi strutturali più diffusi sono le pinete coetanee adulte e mature. In molti popolamenti sono completamente mancate le cure colturali. Frequente è la presenza di uno strato inferiore di latifoglie sclerofille, anche a portamento arboreo, e ciò testimonia come il processo di successione ecologica sia in diversi casi avviato. Tale evoluzione è ancora più evidente nella pineta pluristratificata anche se su gran parte della superficie la struttura qui descritta è stata
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completamente distrutta o fortemente alterata dal recente incendio. Molte delle pinete esaminate furono impiantate per fissare le dune e produrre legno e pinoli. Nel tempo hanno acquisito importanza anche le funzioni di tipo ricreativo e paesaggistico e, più di recente, quelle di tipo naturalistico. Oggi indubbiamente questi complessi boschivi hanno spiccato carattere multifunzionale ma va particolarmente sottolineato il loro valore in termini di protezione ambientale in relazione al contesto territoriale del litorale romano e pontino. Le pinete, infatti, hanno consentito la conservazione di un ambiente naturale all’interno di un’area fortemente urbanizzata e rappresentano un presidio contro l’ulteriore espansione del cemento e delle fonti di inquinamento. L’obiettivo generale da perseguire non può che essere la conservazione e il miglioramento delle pinete intese come sistemi biologici complessi. Entrambi i termini della questione, conservazione e miglioramento, hanno aspetti quantitativi e qualitativi. Gli aspetti quantitativi riguardano l’estensione delle pinete: essa non dovrà diminuire a causa di eventi distruttivi non seguiti da misure di ripristino o di fenomeni di abuso (peraltro già in atto nelle pinete di Ostia), e andrebbe, ove possibile, incrementata anche solo simbolicamente. Gli aspetti qualitativi riguardano la funzionalità degli ecosistemi pineta, diffusamente diminuita dall’abbandono colturale e dai danneggiamenti che favoriscono la diffusione di attacchi parassitari (AMORINI et al. 2000). A seconda delle varie strutture presenti si può voler mantenere il pino come elemento tipico dell’area e come testimonianza storica. Nel caso di pinete pure, per perpetuare la pineta pura occorrerà individuare delle aree in cui andrà limitato lo sviluppo del sottobosco attraverso decespugliamento e sfalcio periodico ed a fine turno si procederà alla rimozione graduale dei pini alla loro sostituzione. Tale tipologia presso Castel Fusano è limitata a lembi isolati presso il Canale di Levante, Villa Chigi, Procoio ma può essere ricostituita nell’area percorsa dal fuoco. È inoltre diffusa nella località Acque Rosse. Tale tipologia di struttura ha un ridotto rischio di incendio di chioma.
Nel caso delle pinete stratificate su ceduo di leccio che sono le più diffuse, si potrà mantenere lo strato dominante di pino fino a fine vita, ed intervenire con diradamenti dal basso a carico del ceduo di leccio, favorendo l’avviamento a fustaia. Tale situazione è però irreversibile ed evolve naturalmente verso la lecceta. Si può inoltre intervenire con potature su latifoglie e spalcature sul pino per interrompere la conituità verticale.
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Figura 24: Castel Fusano ‐ Tipologia di pineta coetanea con assenza di sottobosco
Figura 25: Castel Fusano ‐ Tipologia di pineta coetanea pluristratificata su macchia‐foresta di leccio
Figura 26: Castel Fusano ‐ Tipologia di pineta coetanea pluristratificata su macchia‐foresta di leccio
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Pinete percorse dal fuoco
Si tratta di aree in cui l’incendio ha provocato una regressione dal punto di vista ecologico verso la gariga ed il pascolo arbustato. Pertanto queste aree sono vocate all’inserimento del pino per ricreare condizioni di copertura arborea e favorevoli alla ricostituzione delle caratteristiche preesistenti.
Roma L’area percorsa dal fuoco nel 2000 necessita di interventi di spalcatura sui giovani pini ed eventualmente, soprattutto lungo le strade, di ripulitura o riduzione delle chiome degli arbusti, favorendo lo sviluppo delle latifoglie autoctone presenti.
L’area percorsa dal fuoco nel 2017 di circa 197 Ha, necessita dei seguenti interventi:
‐ Taglio di succisione o tramarratura sulle ceppaie sia arbustive che arboree delle latifoglie percorse dal fuoco; ‐ Interventi di ripristino della densità arborea (naturale e artificiale) per ricostituire le condizioni per lo sviluppo del bosco anche attraverso l’utilizzo del pino domestico come specie pioniera a rapido accrescimento;
Fiumicino Riguardo la pineta di Coccia di Morto che è andata a fuoco nel 2015 e nel 2017 si rendono necessari i seguenti interventi:
‐ Interventi di ripristino della densità arborea per ricostituire le condizioni per lo sviluppo del bosco sotto copertura rispetto al pino domestico; ‐ Diradamento di bassa entità sul pino domestico; ‐ Utilizzo di specie autoctone sotto copertura e rimozione graduale dei pini secchi per non scoprire eccessivamente il suolo;
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Figura 27‐28: Castel Fusano – superficie percorsa dal fuoco nel 2017 trasformata in una gariga e in parte a pascolo arborato
Figura 29: Pineta di Coccia di Morto – superficie percorsa dal fuoco nel 2015
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Rimboschimenti a prevalenza di conifere miste (pino, cipresso e cedro) di Castel di Guido
Obiettivo selvicolturale:
Riguardo i rimboschimenti di conifere miste (Pino domestico, Pino d’Aleppo, Cipresso e Cedro) si auspica la tendenza all’evoluzione naturale favorendo lo sviluppo delle latifoglie autoctone quali cerro, rovere, farnia e specie accessorie orniello, aceri, sorbi ecc.
A Castel di Guido, sul finire degli anni '60, l'opera di riforestazione nacque principalmente per creare maggiori vincoli alla lottizzazione dell'area a fini edilizi. Tale obiettivo venne raggiunto, ma le operazioni di rimboschimento andrebbero sempre precedute da uno studio accurato delle caratteristiche ecologiche (clima, suolo, fauna, disturbi antropici e naturali, qualità ambientale). Purtroppo nel territorio di Castel di Guido non sempre vennero seguiti questi criteri e spesse volte le specie che troviamo impiantate non sono autoctone (cioè non appartengono alla flora locale). La prima forestazione all’interno dell’Azienda Agricola riguardava esemplari di Pinus halepensis (Pino d’Aleppo) e Pino dell'Eldar oggi evoluti in 2 frammenti forestali maturi, uno di questi presente all'interno dell'Oasi.
Nel 1987 fu riavviata un'altra campagna di rimboschimento che ha portato alla realizzazione di altri frammenti forestali ma di minore estensione; oggi troviamo infatti anche giovani rimboschimenti (13‐20 anni) a Q. pubescens, Q. ilex, Q. suber, Fraxinus excelsior, Malus sylvestris e Crataegus monogyna, P. halepensis, P. pinea. Dal 1987 al 1995 in tutta l’Azienda Agricola sono state impiantate ben 550.000 piante di diverse specie arboree. Alcune delle specie menzionate sono originarie di altri paesi come: Cupressus sempervirens (Cipresso) originario dell'Egeo coltivato in Italia per ornamento; Cedrus atlantica originario del Marocco; Pinus pinea (Pino da pinoli) spontaneizzato in Italia, forse introdotto in epoca remota dal Mediterraneo orientale; Prunus avium (Ciliegio) coltivato e a volte spontaneizzato con probabile origine Pontica; Malus domestica (Melo) che è un ibrido tra il Malus sylvestris e specie del vicino Oriente, comunemente coltivato a volte spontaneizzato; Pyrus communis (Pero) che è un ibrido tra Pyrus pyraster, Pyrus nivalis e
altre specie (non esiste allo stato spontaneo).
Caratterizzano soprattutto l’area dell’Azienda agricola di Castel di Guido. Gli interventi selvicolturali devono consistere in tagli colturali tipo diradamento dal basso per favorire l’evoluzione naturale verso il bosco di latifoglie. Si è rilevata una densità eccessiva, con schianto di piante, eccessivo aduggiamento che non favorisce la rinnovazione di latifoglie e spesso si assiste alla diffusione di rovi e specie di mantello che creano situazioni di rischio. Si dovrebbero effettuare decespugliamenti sullo strato arbustivo per interrompere la continuità verticale, oltre a spalcature ed innalzamento delle chiome. Per quanto riguarda i rimboschimenti di latifoglie, più recenti e di superficie minore, anche se destano meno preoccupazioni dal punto di vista degli incendi boschivi necessitano di tagli colturali tipo diradamento. Per controllare lo sviluppo dello strato arbustivo e garantire la percorribilità di tali formazioni artificiali si consiglia l’utilizzo del pascolo del bestiame ai fini antincendio boschivo, abbattendo i costi di gestione essendo già una risorsa presente nell’azienda.
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Figura 30: Castel di Guido – eccessiva densità del rimboschimento e sviluppo di rovi nel sottobosco
Figura 31: Castel di Guido – lungo la viabilità d’intervento, rimboschimenti a prevalenza di conifere misti da diradare
Figura 32: Castel di Guido – eccessiva densità del rimboschimento, schianto di piante
e necessità di diradamento e spalcature
Boschi di Latifoglie
Riguardo i boschi di latifoglie che sono rappresentati dalle seguenti categorie:
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‐ Lecceta (Viburno‐Quercetum ilicis); ‐ Boscaglia di leccio o Lecceta retrodunale; ‐ Cerreta collinare; ‐ Bosco submediterraneo planiziale a cerro, farnetto e rovere; ‐ Bosco ripariale di pioppo e salici; ‐ Eucalipteti; ‐ Robinieti e Ailanteti;
Per gli interventi selvicolturali, generici si rimanda a studi più specifici, mentre in funzione dell’AIB si ritengono necessari i seguenti interventi:
‐ Mantenimento e ripristino dei viali tagliafuoco esistenti; ‐ Manutenzione della viabilità forestale di intervento; ‐ Lungo le fasce di pertinenza della viabilità comunale e sopra comunale favorire l’avviamento
all’alto fusto delle fasce prospicienti, per una profondità in funzione dell’altezza del soprassuolo (8‐15 m);
‐ Controllo e riduzione dello strato arbustivo, anche mediante l’utilizzo del pascolo del bestiame presso l’azienda di Castel di Guido;
‐ Innalzamento delle chiome ad un terzo dell’altezza nelle fasce di pertinenza della viabilità; ‐ Sfalcio delle erbacee a ridosso delle aree boscate.
Figura 33: riduzione del sottobosco ed avviamento all’alto fusto lungo le fasce di pertinenza della viabilità all’interno di Cerreta mista
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Figura 34: viale tagliafuoco da riqualificare all’interno di Cerreta mista
Figura 35: viale tagliafuoco da riqualificare all’interno della Lecceta
Figura 36: riduzione del sottobosco ed avviamento all’alto fusto lungo le fasce di pertinenza della viabilità all’interno della Lecceta
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Figura 37: Castel di Guido – utilizzo del bestiame per il controllo dello strato arbustivo all’interno dei rimboschimenti come strumento di prevenzione A.I.B.
Figura 38: Castel di Guido – utilizzo del bestiame per il controllo dello strato arbustivo all’interno sia dei pascoli che dei
rimboschimenti come strumento di prevenzione A.I.B.
Figura 39: Mantenimento fascia tagliafuoco lungo gli elettrodotti
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3.5 INFRASTRUTTURE E STRUTTURE UTILI ALL’AIB – REALIZZAZIONE E MANUTENZIONE DI: VIABILITA’ OPERATIVA, VIALI TAGLIAFUOCO, PUNTI DI RIFORNIMENTO IDRICO
Viabilità di ordine comunale o superiore
La viabilità è costituita da una fitta rete di strade di vario ordine che vanno dalle autostrade, alle statali, provinciali alle comunali. In particolare la viabilità comunale e di ordine superiore che attraversa le aree boscate svolge anche il ruolo di fascia parafuoco mediante l’opportuna gestione delle fasce di pertinenza, in funzione dell’altezza del soprassuolo forestale presente. Le aree boscate e non sono ben servite da questo tipo di viabilità.
Viabilità d’intervento Tale viabilità coincide con la viabilità forestale esistente e costituisce una rete molto sviluppata e capillare a servizio delle aree forestali. Tale rete risulta di impianto storico. Tale rete necessita di essere riqualificata e mantenuta per garantire la sua funzionalità durante le operazioni di spegnimento diretto delle squadre a terra, tali operazioni devono avvenire per quanto possibile in condizioni di sicurezza. La viabilità di intervento svolge anche la funzione di viale tagliafuoco mediante opportuna gestione delle fasce di pertinenza, in funzione dell’altezza del soprassuolo forestale.
Roma
Attualmente per l’area di Castel Fusano lo sviluppo complessivo della rete di viali d’intervento è di 18.000m pedonali oltre a 149.000 m carrabili di cui 109.000 sterrati percorribili con automezzi e 40.000 asfaltati (viabilità principale). Considerato che l’estensione dell’area di Castel Fusano soggetta al piano antincendi è pari a 1023 ettari, la densità della rete viaria principale è attualmente pari a 39 m/ha, mentre le piste percorribili con mezzi hanno densità di 106 m/ha. La pineta delle Acque Rosse risulta ben servita dalla viabilità di intervento, essendo percorsa da almeno 4 strade forestali. L’area della pineta di Procoio, risulta essere ben servita da una rete di viali forestali. Nell’area di Castel di Guido la viabilità di intervento, in fondo naturale ed in alcuni tratti in fondo migliorato, risulta essere di circa 150.000 m. Fiumicino
La viabilità operativa è rappresentata, oltre che dalla vera e propria viabilità stradale, anche dai viali esistenti interni alle aree boscate quali Bocca Leone ‐ Praja Mare, Coccia di Morto, Pineta di Fregene e Macchiagrande. La viabilità d’intervento all’interno della riserva è di circa 13.000 m risulta in gran parte privata essendo le uniche aree pubbliche rappresentate dalla pineta di Fregene e da Villa Guglielmi.
Viali tagliafuoco o Fasce di pertinenza della viabilità d’intervento Un adeguato sistema di viali tagliafuoco rappresenta un importante elemento per il contenimento degli incendi boschivi, specialmente dove l’accidentalità delle pendici è elevata e gli interventi di estinzione sono particolarmente difficoltosi da terra. I viali tagliafuoco, individuati dalla L. n. 353/2000, art. 3, comma 3, come elementi imprescindibili nella pianificazione, costituiscono infrastrutture finalizzate a contenere l’avanzamento del fronte di fiamma. Si tratta di fasce, compresa la viabilità, prive o a minor densità di vegetazione, la cui finalità è quella di contrastare l’avanzamento del fuoco e di consentire, allo stesso tempo, un intervento di estinzione con attacco diretto in condizioni di sicurezza e in tempi brevi. La rete dei viali tagliafuoco rappresenta le aree di pertinenza della viabilità di intervento esistente, in rapporto all’altezza della vegetazione presente, in cui favorire l’avviamento all’alto fusto rispetto al ceduo, lo sviluppo di latifoglie rispetto alle conifere, il controllo del sottobosco e delle specie erbacee, la potatura e l’innalzamento delle chiome. Il piano tiene conto della esistente configurazione della viabilità forestale e d’intervento nell’ottica di minimizzare le modificazioni introdotte dagli interventi proposti.
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La manutenzione dei viali tagliafuoco e delle fasce di pertinenza si ritiene pertanto un punto essenziale nell’ambito delle attività di prevenzione dagli incendi boschivi. Pur riconoscendo l’importanza dei viali tagliafuoco quale strumento di prevenzione, si è cercato di minimizzare l’impatto di tali infrastrutture di difesa, in quanto esse si riferiscono ad una capillare maglia di viali esistenti da manutenere. Questa rete di viali è desumibile facilmente sia dalla CTR che dall’ortofoto e si nota come l’abbandono e la mancanza di manutenzione nel tempo tende a fare richiudere tale viabilità. È di fondamentale importanza invece mantenere il fondo stradale naturale libero da vegetazione ed efficiente in termini di percorribilità. Le fasce di pertinenza variano da caso a caso a seconda del tipo di vegetazione e dell’area interessata. Nell’ambito dell’analisi della rete dei viali tagliafuoco si sono previste ripuliture ai margini della viabilità principale, anche per la loro funzione di riduzione delle occasioni di incendio. La rete di viali tagliafuoco esistente e da riqualificare, la predisposizione degli interventi selvicolturali (alto fusto potature ripuliture ecc.) lungo la viabilità principale, e la rete di piste secondarie da mantenere come tali, vengono illustrati negli elaborati di progetto Tavola 3.8 – Carta degli interventi.
Tipologie di viali tagliafuoco esistenti
La manutenzione e la riqualificazione dei Viali Tagliafuoco (VTF) dipende dalle caratteristiche del territorio, dal tipo di incendi, dai venti prevalenti e dalle caratteristiche del servizio di estinzione. Vengono identificate le seguenti tipologie di viali esistenti:
‐VTF attivi Hanno lo scopo di trasformare l'incendio di chioma in incendio radente di bassa intensità, al fine di facilitare l'intervento di attacco diretto delle squadre di estinzione (Bovio, 1996). Questa tipologia di VTF viene utilizzata di preferenza ai margini di viabilità forestale già esistente (per consentire l'accesso dei mezzi di estinzione) lungo una fascia di rispetto la cui ampiezza varia in funzione del tipo di vegetazione presente. In questo tipo di viali la biomassa bruciabile totale viene fortemente ridotta: all’eliminazione completa dello strato arbustivo ed erbaceo si accompagnano diradamenti, spalcature e potature del soprassuolo arboreo. Con questi presupposti e con il necessario collegamento alla viabilità, spesso posta ai margini, 1’incendio può venire fermato al bordo del viale sia con 1’attacco diretto che con il controfuoco, qui facilmente attuabile. La larghezza totale del viale, compresa la viabilità interna tra i 15 e i 40 m, varia in base alla pendenza che induce un incremento della velocità di avanzamento e la lunghezza massima prevedibile della fiamma. I costi di manutenzione sono minori rispetto a quelli del viale passivo, così come l’impatto sul paesaggio.
‐VTF attivi verdi
Il rilascio di un certo numero di piante arboree adulte, prediligendo le latifoglie sulle conifere, e la riduzione della biomassa arbustiva ed erbacea permettono di ottenere VTF attivi verdi che costituiscono pertanto una variante della tipologia precedente. Questa variante presenta notevoli vantaggi dal punto di vista della tutela del paesaggio e dei piani di manutenzione, pur essendo necessaria, a questo proposito, una maggiore accortezza a livello progettuale e durante la realizzazione dei lavori. In questo caso, mentre la componente arbustiva viene completamente eliminata, la vegetazione arborea viene diradata con intensità più forte rispetto ad un normale intervento selvicolturale in bosco ma minore rispetto al viale attivo. La vegetazione arborea rilasciata viene spalcata o potata fino ad un terzo dell’altezza, in modo da ridurre la possibilità del passaggio in chioma dell’incendio. Il mantenimento di buona parte della componente arborea, consente di ridurre considerevolmente l’intensità del vento sul viale stesso. La presenza di copertura arborea permette inoltre, grazie all’ombreggiamento creato dalla stessa, di contenere la diffusione di vegetazione erbacea e arbustiva eliofila infestante, incidendo in misura positiva sui costi di manutenzione. Il controllo dello strato arbustivo ed erbaceo può essere anche indotto dal pascolamento di bestiame (bovini, equini, ovini, caprini) opportunamente gestito. Questa rappresenta la tipologia maggiormente utilizzata nel presente piano.
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Riduzione del carico di combustibile lungo la viabilità esistente Un altro aspetto da tenere in considerazione riguarda la correlazione diretta tra viabilità e localizzazione degli incendi. La rete viaria, infatti, rappresenta un mezzo importante per la diffusione di focolai d’incendio in termini di facilitazione nelle modalità d’innesco del fuoco e di possibilità di accesso alle aree forestali. Sono previste le seguenti operazioni:
1. Sfalcio di erbe infestanti lungo le scarpate stradali fino ad una profondità di ml. 15‐20,00; sfalcio e decespugliamento dei cigli stradali pianeggianti stradali per almeno 2‐3 m; sfalcio delle erbacee sui terreni privati fronte strada per una larghezza di almeno 2‐3 m da effettuarsi prima delle stagione di maggior rischio incendi (15 giugno – 30 settembre);
2. Decespugliamento arbusti; 3. Potature; 4. Diradamenti; 5. Pulizia delle cunette longitudinali (anche al fine di garantire un regolare deflusso delle acque
meteoriche); 6. Riqualificazione della viabilità forestale esistente in zone considerate a rischio nel caso di
incendi boschivi, compresa la regolarizzazione delle scarpate, del fondo, la profilatura ed altre piccole opere a presidio e scolo delle acque.
7. Eliminazione di eventuali rifiuti urbani abbandonati lungo le strade.
Si prevede di realizzare le ripuliture su ogni lato della viabilità, del sottobosco per una fascia variabile in funzione dell’altezza del soprassuolo (5‐15m). Verrà inoltre eseguito un diradamento lungo le stesse fasce per creare localmente soluzioni di continuità orizzontali tra le chiome degli alberi. Le chiome del soprassuolo arboreo, ove necessario, dovranno essere innalzate fino ad almeno un terzo dell’altezza da terra. Inoltre l'esecuzione degli interventi, e soprattutto il mantenimento degli stessi mediante il rispetto delle scadenze di manutenzione, avrebbe l’esternalità positiva di un aumento delle possibilità di fruizione delle aree boscate. Nel presente piano vengono prescritti gli interventi da realizzare ai lati della viabilità esistente, secondo quanto indicato nella Tavola 3.8 – Carta degli interventi.
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Manutenzione e riqualificazione delle Fasce di protezione lungo la viabilità di ordine comunale o superiore
Le fasce di protezione risultano essere delle fasce di pertinenza delle strade comunali o di ordine superiore asfaltate, da avviare all’alto fusto, con ampiezza fino a 20 m per lato, in base all’altezza del soprassuolo, che consentono di limitare notevolmente l’innesco di eventi incendiari (viabilità comunale o superiore, aree di sosta; centri urbani). I sopralluoghi effettuati lungo l’intero confine e nei pressi de centri urbanizzati hanno evidenziato come le condizioni non risultino essere omogenee, ma in qualsiasi caso non idonee per gli standard di sicurezza prefissati. Le seguenti immagini mostrano a titolo esemplificativo, lo stato attuale lungo le strade.
Figura 40: Viale tagliafuoco e Fascia di pertinenza con viabilità pubblica
Figura 41: Fascia di pertinenza Castel di Guido con viabilità pubblica
L’intervento proposto riguarda una fascia compresa tra di 15‐20 m lineari minimi per lato, superando in maniera cautelativa il valore minimo riportato all’interno del Regolamento regionale vigente, il quale cita: “Nelle aree di pertinenza a strade di ordine comunale o superiore asfaltate che ospitino traffico extra locale ed a ferrovie, contigue a boschi ovvero distanti meno di 20 metri dal margine della proiezione a terra della chioma delle piante al confine del bosco, evitare il possibile insorgere e propagazione degli incendi, provvedendo, in una fascia di ampiezza di almeno 20 metri, nella quale deve includersi anche la fascia di pertinenza:
1) alla conversione all’alto fusto del soprassuolo; 2) alla potatura delle piante arboree fino ad 1/3 della loro altezza; 3) al taglio periodico della vegetazione erbacea, cespugliosa ed arbustiva ed all’eliminazione dei ricacci delle ceppaie in conversione, fatta eccezione delle specie protette ai sensi della L.R. 61/1974;
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4) all’allontanamento del materiale legnoso abbattuto, indipendentemente dalle modalità di esbosco e/o trasporto.”
All’interno della fascia di protezione si dovrà provvedere, quindi, ad effettuare le seguenti operazioni:
‐ Avviamento all’alto fusto sulle latifoglie presenti; ‐ Sfalcio del manto erboso, con rimozione del materiale vegetale; ‐ Decespugliamento e riduzione dello strato arbustivo; ‐ Spalcatura dei pini e potatura degli individui arborei con innalzamento della chioma; ‐ Eliminazione delle alberature ritenute instabili; ‐ Favorire lo sviluppo delle latifoglie rispetto alle conifere.
Manutenzione e riqualificazione dei viali tagliafuoco esistenti
Roma La scelta progettuale di riqualificare i viali tagliafuoco esistenti, come interventi di prevenzione dagli incendi per la pineta di Castel Fusano, ricade sui viali di tipo attivo verde, considerando l'elevata fruizione turistica della zona, a cui consegue la necessità di un basso impatto paesaggistico e tenendo inoltre conto del contenimento dei costi di manutenzione. Viene proposta la riqualificazione della rete di viali tagliafuoco esistenti la cui articolazione è funzione della distanza tra un viale e l’altro, della potenza del fronte di fiamma che sono in grado di contenere ed delle priorità di protezione definite dal piano. L’intervento verrà eseguito su una profondità 10‐15 m per lato rispetto alla viabilità forestale esistente. Si otterranno così viali attivi verdi di complessivi 24‐34 m di larghezza, che corrispondono, nel caso delle piste forestali di attuale larghezza pari a 4 m, ad un intervento di ripulitura di 10 m da entrambi i lati della pista a partire dal margine della stessa, in funzione dell’altezza del soprassuolo. Nelle fasce indicate verrà eliminato il sottobosco, ovvero ne verrà ridotta sensibilmente la biomassa, e verranno eseguiti spalcatura sulle conifere fino a interrompere la continuità verticale ed il diradamento a carico dei pini presenti per la creazione di soluzioni di continuità orizzontali a livello delle chiome. Rilascio di tutte le eventuali latifoglie presenti. La distanza orizzontale tra le chiome di singole piante ovvero di gruppi di piante rilasciate dovrà essere di 5‐10m. Ipotizzando che la larghezza interessata dal viale sarà di 24 m, e che lo sviluppo complessivo dei viali sarà di 20.500 m, la superficie di intervento per i viali tagliafuoco su tutta l’area di Castel Fusano sarà pari a circa 49 Ha su un totale di 1023 ettari di territorio. Gli interventi dovranno essere eseguiti con la massima cautela, differenziando l’intensità e le modalità del prelievo di biomassa a seconda delle situazioni che si susseguono. Nella Tavola 3.8 – Carta degli interventi, vengono localizzate le diverse tipologie di intervento. Nelle aree percorse dal fuoco, il ripristino della copertura arborea mediante progetto di riqualificazione ambientale dovrà mantenere la rete di viali tagliafuoco esistenti. Di seguito si mostra la tipologia del Viale tagliafuoco attivo verde, quella maggiormente utilizzata nella Riserva.
Per un corretto ripristino della loro funzionalità risultano necessari i seguenti interventi: - Mantenimento di un’area priva di vegetazione per almeno 4‐5 m di larghezza con funzione
anche di viabilità; - Per una fascia di almeno 10‐15 m per lato a seconda dell’altezza del soprassuolo effettuare:
- Decespugliamento periodico della vegetazione erbacea ed arbustiva; - Abbattimento degli individui arborei ritenuti instabili; - Diradamento dei pini presenti per creare la discontinuità tra le chiome; - Favorire lo sviluppo delle latifoglie presenti quali il leccio e la sughera; - Piantumazione di latifoglie resistenti al passaggio del fuoco (es. Quercus suber) - Spalcatura dei pini e potatura degli individui arborei presenti con innalzamento della chioma;
L’intervento dovrà essere ripetuto a cadenza variabile a seconda delle situazioni stazionali pur di mantenere la funzionalità dei viali e delle fasce di pertinenza. L’esecuzione delle spalcature, intese come
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potatura dei palchi inferiori, deve essere graduale e tale da garantire la discontinuità tra strato arbustivo e arboreo.
Figura 42: Tipologia di Viali tagliafuoco attivi verdi all’interno dell’Area di Castel Fusano
Figura 43: Castel Fusano ‐ Viale tagliafuoco attivo verde da riqualificare
Figura 44: Castel di Guido ‐ Viale tagliafuoco esistente da riqualificare
Strada forestale da riqualificare
10m
10m
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Fiumicino Sfruttando la viabilità interna esistente delle aree boscate di Bocca Leone – Praja Mare, Coccia di Morto, Pineta di Fregene e Macchiagrande si prevede la riqualificazione di dei viali tagliafuoco attivi verdi. Il rilascio di un certo numero di piante arboree adulte a prevalenza di latifoglie la dove possibile e la riduzione della biomassa arbustiva ed erbacea permettono di ottenere viali tagliafuoco attivi verdi che costituiscono pertanto una variante di viale tagliafuoco attivo. L'impatto paesaggistico rispetto a un viale non verde è certamente ridotto, soprattutto se gli interventi selvicolturali lungo la fascia ai margini della viabilità esistente sono effettuati con criterio non geometrico, cioè seguendo un andamento non rettilineo. Inoltre l'ombreggiamento delle piante arboree rende sfavorevole lo sviluppo del sottobosco, consentendo di ridurre i costi di manutenzione. I viali devono essere realizzati mediante interventi per una profondità variabile tra 10‐15 m, in funzione dell’altezza del soprassuolo, per parte rispetto alla carreggiata di ogni strada interna al complesso boschivo. La larghezza totale del viale e fascia di pertinenza, varierà tra 20 e 35 m e dipenderà dal tipo di combustibile presente nel sottobosco del popolamento attraversato dal viale: per combustibili erbacei o di lettiera sarà sufficiente la larghezza minima di 5 m, per un sottobosco di tipo arbustivo la larghezza aumenterà in proporzione all'altezza ed alla continuità di copertura degli arbusti (almeno 10 m). L’ampiezza delle fasce di pertinenza è in funzione anche dell’orientamento della viabilità rispetto ai venti dominanti: la direzioni NE‐SO e N‐S saranno quelle dove gli interventi dovranno essere più energici e ampi. L’intervento consisterà nella spalcatura di conifere, potature, e diradamento selettivo a carico dei pini presenti finalizzato a creare soluzioni di continuità tra le chiome (5‐10 m tra una chioma e l’altra o tra le chiome di piccoli gruppi di alberi in funzione di quanto consentito dalle condizioni del soprassuolo) e decespugliamento del sottobosco. Si drovà interrompere la continuità verticale delle arbustive e delle lianose per evitare che l’incendio si diffonda in chioma.
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Figura 45: Viale tagliafuoco Castel di Guido con rimozione piante arboree secche e decespugliamento rovi o pascolamento
Figura 46: ripristino dei viali tagliafuoco presenti in stato di abbandono mediante avviamento all’alto fusto e potature
Figura 47: Fascia di pertinenza stradale da ripristinare Fregene‐Fiumicino
10m
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RICAPITOLANDO gli interventi selvicolturali e inerenti la viabilità d’intervento esistente e le fasce di pertinenza sono i seguenti:
Restano salvi per i proprietari delle aree boscate gli obblighi di cui alla LR forestale 39/2002 e del Regolamento Regionale Forestale 7/2005. È fondamentale la tempistica nell’eseguire le operazioni di prevenzione AIB, prima della stagione a rischio d’incendio, in base alla stagione metereologica dosare il numero degli interventi da effettuare. Roma
‐ Pineta di Castel Fusano e Pineta delle Acque Rosse 1) Interventi sistematici di pulizia, potatura e rimozione della vegetazione secca all’interno delle
aree boscate; 2) Interventi sistematici di pulizia e sfalcio dell’erba al confine delle aree boscate; 3) Manutenzione delle infrastrutture forestali permanenti. Le strade e le piste forestali, nel lume
della loro carreggiata, debbono essere liberate dalla vegetazione incipiente e mantenute così agevolmente percorribili dai mezzi d’opera e di soccorso;
4) Lungo il confine fra bosco e abitazioni, campeggi e strade occorre riqualificare le fasce parafuoco di adeguata profondità definita in funzione dell’altezza del soprassuolo esistente, nelle quali favorire l’alto fusto, contenere alberature ed arbusti mediante interventi di potatura, diradamento e tagli di avviamento ad alto fusto sulle latifoglie, riduzione della strato arbustivo ed erbaceo mediante decespugliamento e sfalcio sistematico, soprattutto nei mesi estivi;
5) Favorire nelle fasce di pertinenza lo sviluppo delle latifoglie rispetto alle conifere; 6) Il materiale di risulta dalle operazioni, può essere ridotto in scaglie e frammenti (cips) e
rilasciato sul letto di caduta o altrimenti deve essere asportato.
‐ Azienda Agricola Castel di Guido E’ stata autorizzata ad effettuare il ripristino della viabilità interna. Necessita della riqualificazione dei viali tagliafuoco esistenti e della viabilità forestale di intervento AIB. Pertanto la viabilità insieme alla sua fascia di pertinenza svolge la doppia funzione di servizio per intervento di spegnimento e di rallentamento degli incendi come fascia tagliafuoco. Lungo la viabilità si prevedono gli interventi sopracitati. In particolare data la disponibilità e presenza di bestiame, sarebbe raccomandabili utilizzarlo come forma sostenibile del controllo dello strato arbustivo ed erbaceo all’interno delle aree boscate, quindi mezzo di prevenzione AIB.
‐ Aziende private (Azienda di Procoio ecc.)
Alcune Aziende hanno presentato un piano di specifici interventi preventivi AIB.L’Ente Gestore effettuerà insieme ai Carabinieri/Forestale ed ai Comandi PLRC sopralluoghi tecnici evidenziando eventuali situazioni su cui intervenire.
Fiumicino
‐Aree boscate di proprietà pubblica (pineta di Fregene e Parco di Villa Guglielmi) 1) Interventi sistematici di sfalcio dell’erba lungo i cigli stradali ed interni, pulizia dei rifiuti, potatura e rimozione della vegetazione secca, oppure trinciatura sul posto; 2) Manutenzione della viabilità insistente nei parchi pubblici e mantenimento della loro funzionalità al fine di renderle, all’occorrenza, agevolmente percorribili dai mezzi d’opera e di soccorso; 3) Riqualificazione delle fasce di pertinenza con sviluppo dell’alto fusto lungo le strade comunali o di ordine superiore, al confine con le aree boscate per una fascia di profondità in relazione all’altezza del soprassuolo forestale, in cui contenere la vegetazione arbustiva, innalzare le chiome
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fino ad almeno un terzo dell’altezza attraverso interventi di potatura e spalcatura, interrompendo la continuità verticale della vegetazione; 4) Mantenimento e ripristino dei viali tagliafuoco esistenti con sfalcio periodico dei cigli stradali e trinciatura ed eventuale lavorazione del terreno delle fasce di protezione interne; 5) Il materiale di risulta dovrà essere adeguatamente smaltito oppure cippato. Trattandosi di aree boscate fruite quali parchi pubblici, le stesse sono costantemente monitorate al fine di garantire la stabilità delle alberature e quindi la pubblica incolumità; si sottolinea che, specie nella pineta di Fregene, molte alberature sono prossime alla fine del loro ciclo di vita.
‐ Aree boscate di proprietà privata (Riserva di Coccia di Morto, Oasi di Macchiagrande e Macchia dello Stagneto, Bocca di Leone, Oasi Foce dell’Arrone). La localizzazione delle aree oggetto di intervento è riportata nella Tavola 3.8 – Carta degli interventi.
1) Riqualificazione delle fasce di pertinenza con sviluppo dell’alto fusto lungo le strade comunali o di ordine superiore, al confine con le aree boscate, per una fascia di profondità in relazione all’altezza del soprassuolo forestale, in cui contenere la vegetazione arbustiva, innalzare le chiome fino ad almeno un terzo dell’altezza attraverso interventi di potatura e spalcatura, interrompendo la continuità verticale della vegetazione; 2) Ripristino e mantenimento e dei viali tagliafuoco esistenti nelle aree boscate con sfalcio periodico dei cigli stradali e trinciatura delle fasce di protezione interne;
Fasce di protezione parafuoco nelle aree agricole adiacenti i boschi
Per quanto riguarda i seminativi o i prati‐pascoli adiacenti le aree boscate all’interno della Riserva, sia di proprietà pubblica che privata, occorre rilasciare una fascia priva di vegetazione di almeno 5 m, lavorata mediante aratura o erpicatura, soprattutto per quanto riguarda la semina di cereali o foraggere facilmente infiammabili. Nel caso di colture ortive adiacenti i boschi tale fascia può essere evitata. Tale intervento evita il passaggio del fuoco dalle colture agricole ai boschi. Si raccomanda inoltre lo sfalcio dei prati.
Di seguito si riporta a titolo esemplificativo la tipologia di interventi da eseguire
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Figura 48: Bocca di Leone ‐ Maccarese Viale tagliafuoco privo di vegetazione, da mantenere
Figura 49: Bocca di Leone – Maccarese: Viale tagliafuoco esistente privo di vegetazione, da mantenere come fascia di
protezione tra parcheggi litoranei e Macchia retrostante
Figura 50: tipologia di fascia parafuoco nelle aree agricole al confine con i boschi di 5 m
5 m
12‐13m
5 m
7 m
8 m
5 m
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Piazzole d’atterraggio per elicottero esistenti e di progetto Roma
La piazzola ha lo scopo di ottimizzare il coordinamento, ridurre i tempi di spostamento nel caso in cui l'elicottero necessiti di atterrare (ad esempio per rifornimento di combustibile). E’ dunque fondamentale per agevolarne l’attività e abbattere i costi di utilizzo. Essa è attualmente ubicata presso la Centrale Operativa di Emergenza di Casale Pantano (punto indicato nella Tavola 2.15 – Carta delle Infrastrutture e strutture AIB), in adiacenza alla Centrale di avvistamento‐sala monitor (Via Martin Pescatore). E’ dotata anche di vasca antincendio. Previa adeguato finanziamento si prevede lo spostamento di entrambi (piazzola e vasca) nella migliore posizione di Via C. Colombo angolo Via del Circuito, priva di case ed altre strutture. Altrimenti è necessario provvedere alla manutenzione del sito originario.
Fiumicino
Il comune si è dotato di una piazzola di atterraggio dell’elicottero presso il lungo mare di Ponente a Fregene. Si prevede la realizzazione in futuro, non appena il comune riprenderà la disponibilità dell’area dell’ex radar presso l’area di Coccia di Morto di una nuovo piazzola per elicottero, previa verifica della fattibilità.
Centrale operativa e sistema di avvistamento (sala monitor e sistema di telecamere AIB)
Sistema di rilevamento AIB della Tenuta presidenziale di Castelporziano limitrofa alla Riserva Il sistema di sorveglianza degli incendi boschivi di Castelporziano è costituito da n. 4 telecamere AIB posizionate in maniera tale da coprire l’intera superficie d’interesse con localizzazione nei seguenti punti appartenenti alla Tenuta e denominate: Castello, Grotta di Piastra, Contumaci, Tre Confini e Capocotta. La loro installazione è avvenuta su altrettanti tralicci con altezze variabili da 10 a 30 m, controllate in remoto tramite computer e software posizionati nella Sala operativa, all’interno della quale si provvede alla visualizzazione e registrazione di tutti i flussi video provenienti dalle telecamere. Il sistema è dotato di un software che consente, tramite un cruscotto di amministrazione e governo, disposto in remoto, un controllo delle relative impostazioni di ciascuna torretta messa in opera.
Figura 51: disposizione telecamere AIB tenuta presidenziale di Castelporziano e Riserva
La metodologia di messa in opera del sistema di rilevamento tiene conto ed integra la georeferenziazione che, tramite la triangolazione fra elementi installati, fornisce le esatte coordinate GPS, con relativa mappatura grafica satellitare, del luogo d’interesse, al fine di fornire indicazioni precise sul luogo dove si sta verificando l’evento incendiario individuato.
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Tra i cinque tralicci installati, funzione particolare è rivestita dal traliccio denominato “Castello”, il quale svolge il compito da punto di concentrazione dei segnali provenienti dagli altri quattro presenti, tramite l’impiego di ponti radio. Una volta convogliati presso il traliccio sopra nominato, i segnali vengono poi trasferiti al locale tecnico CISCO del traliccio per mezzo di un cavo di rete Ethernet da 100 Mbit, il quale provvederà poi, tramite un cavo in fibra ottica, a trasferire l’informazione presso la Sala operativa, la quale provvede alla loro analisi e revisione. I ponti radio impiegati per l’unione dei diversi tralicci non sono tutti uguali: “Grotte di Piastra” – “Castello”: ponte radio “ePMP1000 Link wireless” “Tre Confini” “Contumaci” “Capocotta” – “Castello”: ponti radio punto/punto “RayTalk” Le distanza fra i diversi tralicci sono riportate nella seguente tabella:
Name Range diDistanza (Km)
Left Latitude Left Longitude
Tre Confini to Castello 3.073 41.76700N 012.38687E
Grotta di Piastra to Castello 6.256 41.70427N 012.35729E
Contumaci to Castello 2.981 41.74498N 012.40924E
Capocotta to Castello 9.569 41.65920N 012.42006E
Tabella 30: Distanze presenti fra i tralicci
La Sala operativa risulta strutturata con la presenza di un server HP ProLiant DL120 G7 – 8Gb di Ram ECC – completo di storage di 5 HDD SAS da 450 Gb, all’interno del quale risiede il sistema di registrazione e storicizzazione dei flussi video trasmessi, in tempo reale, dalle telecamere collocate sul territorio, nonché l’applicativo software tramite il quale viene effettuato il calcolo delle coordinate GPS per la georeferenziazione con metodologia triangolare ed un client Workstation grafica HP Z220 – 8Gb Ram – HDD da 1 Tb, utilizzato per governare i monitor di servizio e visualizzazione presso la centrale operativa stessa, costituiti da n.2 schermi di visualizzazione da 40” e 22”. Ognuna delle cinque telecamere installate, presenta un encoder/decoder opportunamente installato e programmato, ed una telecamera di sorveglianza della stazione con modulo di alimentazione autonomo e telemetria. Solo tre telecamere risultano fornite da alimentazione elettrica diretta, mentre le restanti due risultano munite di pannelli fotovoltaici, con relativo pacco batterie (per situazioni di emergenza), modulo raddrizzatore ed inverter per l’alimentazione di tutti gli apparati installati nel traliccio stesso. Per ogni stazione sono presenti una serie di cavi, adattatori, antenne, minuteria di ferramenta elettrica ed elettronica utili al fine di garantire il regolare svolgimento delle operazioni di videosorveglianza di tutti gli apparati e dei sistemi nel suo complesso.
Roma
Ad oggi il sistema dispone di n. 2 telecamere AIB: la prima posizionata sulla Torre Tumuleti, la seconda sulla torre del Castello di Giulio II ad Ostia Antica. La prima telecamera (Tumuleti) è dotata di funzione ottica e rilevazione termica è stata sostituita nella precedente stagione 2016 ed è utilizzata per il controllo della Pineta di Castel Fusano e delle aree limitrofe. La seconda telecamera previo adeguato finanziamento deve essere sostituita. Dispone di un sistema di trasmissione dati alla prima telecamera e, tramite la fibra ottica, porta il suo segnale direttamente nella sala monitor attualmente presso il casale Pantano, su via del Martin Pescatore. La telecamera (Torre castello Giulio II) serve al controllo della Pineta dell’Acqua Rossa e alle aree limitrofe. Nella Sala Monitor di Casale Pantano è stata installata la postazione di comando della telecamera, con monitor ad alta definizione. Sulle immagini in analogico è stato riportato l’angolo azimutale di puntamento della telecamera, al fine di permettere di localizzare sulla carta la porzione del territorio monitorato e quindi un’eventuale incendio. Tramite adeguato finanziamento sarebbe molto utile collegare il sistema di avvistamento comunale con quello presente nella Tenuta del Presidente della Repubblica di Castelporziano, dotato di una sala operativa attiva nelle 24 ore. Tale sistema integrato, debitamente strutturato in base ad opportuni parametri di sicurezza riguardanti l’alta sede istituzionale, consentirebbe di individuare con rapidità e precisione l’esatto punto del focolaio.
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Tramite adeguato finanziamento sarebbe inoltre di grande utilità installare una terza telecamera su un traliccio da situare lungo la Via Litoranea, in località Dazio. Ciò consentirebbe di sottoporre a controllo tale località e gran parte del sistema dunale, il quale, ricordiamo, nel fine settimana, è interessato dal parcheggio irregolare di una grande quantità di autovetture che rende assai improbabile ogni via di fuga ed impedisce la penetrazione dei mezzi pesanti antincendio. Dotando il sistema della terza telecamera (loc. Dazio) è possibile realizzare un sistema di triangolazione con le altre due telecamere installate per una puntuale localizzazione degli incendi. Previa adeguato finanziamento e puntuale convenzione con il Dipartimento Sviluppo Economico – Agricoltura del comune di Roma, sarebbe opportuno e necessario installare una quarta telecamera in località Castel di Guido, sopra la torre del serbatoio idrico. Un’altra telecamera AIB con ripetitore del segnale sempre presso l’azienda di Castel di Guido in località la Carosara nei pressi di un fienile da ristrutturare. Tale posizione è favorevole data la buona visibilità di un lungo tratto del litorale nord e delle zone interne ed alla vicinanza con la linea elettrica per l’alimentazione. Inoltre sarebbe disposta a sufficiente distanza dal Radar dell’Enav spa (per l’Aereoporto di Fiumicino) evitando interferenze. Si prevede l’allestimento di una sala operativa monitor indipendente per la gestione autonoma delle telecamere, dedicata al controllo dell’omonima Azienda e delle aree boscate di Macchia Grande di Galeria (S.I.C.). Tale scelta ha la motivazione di una più razionale ed efficiente lotta agli incendi boschivi sia in termini di monitoraggio che di lotta attiva.
Tabella 31: Riassunto e localizzazione telecamere AIB esistenti e di progetto
Previo adeguato finanziamento è di fondamentale importanza:
Ripristinare la Stazione Metereologica e attrezzarla per trasmissione dati alle sale operative; Mettere a norma la Torre Tumuleti che in caso di malfunzionamento del sistema di telecamere
deve poter essere utilizzata per l’avvistamento diretto di eventuali incendi da parte del personale autorizzato;
Acquisire un sistema di rilevazione satellitare delle eventuali aree percorse dal fuoco.
Fiumicino
Non dispone attualmente di sistemi di avvistamento antincendio pubblici. Sarebbe opportuno implementare il sistema di avvistamento mediante l’installazione di una telecamera AIB dotata di funzione ottica e rilevazione termica, con ripetitore per coprire la parte nord della Riserva del Litorale tra Ostia e Fregene‐Maccarese. In particolare è stata concordata con l’amministrazione comunale di Fiumicino il posizionamento della telecamera AIB su un palo per telefonia nei pressi del depuratore comunale di viale Sestri Levante. È necessario inoltre allestire una sala monitor presso la sede della polizia locale o presso una sala gestita insieme da eventuali associazioni di volontariato in convenzione per attività antincendio. In questo modo si otterrebbe una triangolazione tra le telecamere AIB di Castel di Guido, del castello di Giulio II a Ostia Antica e di Fregene. Il sistema di trasmissione dati andrà adeguato alle nuove necessità in modo tale da poter gestire autonomamente, dalla sala operativa di Fiumicino in progetto, le fasi di monitoraggio antincendio. Si prevede inoltre il posizionamento di una torretta e di una telecamera AIB presso l’ex Radar
C omune Area protetta L oca lità n Te lecamere esistenti Te lecamere di progettoRoma R is erva Nat. S tatale Tenuta di C as tel P orz iano G rotta di P ias tra 1 x
R oma R is erva Nat. S tatale Tenuta di C as tel P orz iano C ontumac i 2 x
R oma R is erva Nat. S tatale Tenuta di C as tel P orz iano Tre confini 3 x
R oma R is erva Nat. S tatale Tenuta di C as tel P orz iano C apocotta 4 x
R oma R is erva Nat. S tatale del L itorale Romano C as tel F us ano Torre Tumuleti 5 x
R oma R is erva Nat. S tatale del L itorale Romano Os tia Antica ‐ C as tello DI G iulio II 6 x
R oma R is erva Nat. S tatale del L itorale Romano C as tel F us ano loc . Il Daz io via L itoranea 7 x
R oma R is erva Nat. S tatale del L itorale Romano Depuratore P ineta delle Acque Ros s e 8 x
R oma R is erva Nat. S tatale del L itorale Romano C as tel di Guido pres s o centro az iendale 9 x
R oma R is erva Nat. S tatale del L itorale Romano C as tel di Guido loc . C aros ara 10 x
F iumic ino R is erva Nat. S tatale del L itorale Romano F regene ‐ Depuratore V ia S es tri Levante 11 x
Te lecamere AIB
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della Riserva di Coccia di Morto. Tale intervento si renderà possibile non appena il comune tornerà in possesso dell’area.
Figura 52: Torre Tumuleti con telecamera AIB esistente, da mettere a norma per permettere l’accesso al
personale autorizzato
Figura 53: Telecamera AIB posizionata sul Castello di Giulio II
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Figura 54: Torretta su cui montare telecamera AIB Castel Fusano loc. il Dazio
Figura 55: Castel di Guido – Loc. Carosara luogo dove installare Figura 56: Castel di Guido ‐ Torretta‐serbatoio idrico traliccio e telecamera AIB per installazione telecamera AIB al centro aziendale
Figura 57: Traliccio Telecom per il posizionamento di una telecamere AIB presso il depuratore di viale Sestri Levante
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Approvvigionamento idrico
Per punto acqua si intende qualunque fonte di approvvigionamento idrico utilizzabile immediatamente per i fini di antincendio boschivo. Per i punti di rifornimento idrico si ritiene che la rete di idranti esistenti sia sufficiente alle esigenze di estinzione per l’attacco diretto nelle zone provviste. È stata prescritta la realizzazione di tre nuovi punti presa acqua lungo la pista ciclabile che dovrà essere realizzata nella zona del Villaggio dei pescatori di Fregene; la pista ciclabile che costeggerà il bosco dell’Arrone avrà anche la funzione tagliafuoco. Nella carta 2.15 carta delle infrastrutture e delle strutture AIB sono stati riportati i tre punti di presa acqua esistenti in riserva.
Figura 58: Idrante di emergenza e picco di carico per operazioni di spegnimento incendi
Roma All’interno dell’area di competenza del Comune di Roma sono presenti 14 prese d’acqua per approvvigionamento idrico, in caso d’incendio, uniformemente distribuito all’interno della superficie di competenza. Esse però sono complessivamente risultate insufficienti nei confronti dell’intera superficie sotto controllo del comune di Roma, per questo si è prevista l’installazione di 29 colonnine antincendio (idranti) così suddivisi: Nell’area di Castel Fusano sono presenti attualmente 9 idranti ed è previsto l’ampliamento con l’installazione di ulteriori 7 colonnine antincendio, poste lungo la viabilità carrabile come indicato in cartografia. Nel tratto di litoranea di fronte alle dune di Capocotta (SIC Castelporziano fascia costiera) si prevede l’installazione di 5 nuove colonnine. Nell’area della Pineta delle Acque Rosse sono previsti 4 idranti di progetto, ritenendo quelli presenti a Ostia non sufficienti. Nell’area di Procoio si prevede la messa in opera di altri 5 idranti per servire l’area di pineta prospiciente l’abitato di Ostia e lungo via di Castel Fusano. Nell’area di Castel di Guido risulta presente 1 solo idrante ed un serbatoio di accumulo verticale per l’acqua ad uso aziendale gestito dall’Acea. Dato che per l’estensione che ricopre l’azienda, questa disponibilità è notevolmente insufficiente, è prevista l’installazione di 8 idranti omogeneamente distribuiti sul territorio, di cui 2 per ognuno dei due distributori di carburante lungo la SS. Aurelia. Gli idranti sarebbero serviti da un sistema idrico alimentati
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da un bacino artificiale presso Prati della Madonna, attraverso un sistema di pompaggio si addurrebbe l’acqua alle colonnine nei pressi dei distributori di carburante sull’Aurelia. Data l’insufficienza idrica dell’azienda si ritiene necessario realizzare: n. 3 pozzi che alimentano direttamente tre idranti uno presso il casale Carosara ed uno presso il casale Cioccati. Uno presso il centro aziendale di Castel di Guido.
Fiumicino
All’interno dell’area di Fregene è presente 1 idrante funzionante lungo via Porto Azzurro nei pressi della pineta. Non ritenendo tali idranti sufficienti a garantire un approvvigionamento idrico adeguato in caso d’incendio, si è prevista l’installazione di 15 idranti e 2 vasche antincendio di accumulo interrate della capacità di 100.000 l l’una, 100 mc a serbatoio lungo via della Pineta di Fregene angolo via Portovenere. Le 23 colonnine antincendio saranno posizionate in questo modo:
- 3 sul Lungomare di Ponente; - 1 Via Sestriana nei pressi dell’Oasi Foce dell’Arrone; - 1 lungo via della Pineta di Fregene angolo via Portovenere in collegamento alle due vasche di
accumulo interrate. - 1 su Via della Veneziana angolo via di Castellammare; - 3 su via di Castellammare all’interno dell’Oasi di Macchiagrande; - 3 su linea poggiata a terra all’interno dell’Oasi di Macchiagrande all’altezza di Viale Viareggio; - 1 nel centro abitato in via Castellammare incrocio via Riomaggiore - 1 su Via di Viale Vareggio ingresso oasi di Macchiagrande; - 1 su via dell’Olivetello presso l’abitato di Terza zona Casette; - 1 su via delle Acque Basse incrocio Via Coccia di Morto; - 1 su viale di Focene incrocio via delle Acque Basse; - 2 su via Niccolò Paganini; - 2 su Via Coccia di Morto; - 1 su Via del Pesce Luna; - 1 su via di Maccarese davanti all’Istituto ITIS “Leonardo Da Vinci”
Le 6 colonnine all’interno dell’Oasi di Macchiagrande garantirebbero lo spegnimento mediante attacco diretto delle manichette e coprendo una fascia di almeno 200 m per lato. Nell’area di Maccarese‐Bocca di Leone non essendo presenti colonnine antincendio si prevede l’istallazione di 4 idranti lungo Via di Praia a Mare. La necessità di espandere il numero di punti di approvvigionamento idrico deriva anche dalla presenza degli stabilimenti balneari e dei parcheggi annessi e dalla grande pressione antropica durante tutta la stagione estiva e a rischio incendi. Nel periodo di adeguamento alla realizzazione degli idranti di progetto si prescrive l’allestimento di n.4 Vasche AIB trasportabili in pvc, in aree libere da alberature, durante tutta la stagione a rischio incendi (15 giugno‐30 settembre) di cui:
- 2 presso l’area di Coccia di Morto; - 1 presso l’oasi di Macchiagrande su via della Veneziana angolo via di Castellammare; - 1 lungo via della Pineta di Fregene dove saranno posizionati i serbatoi interrati;
Ripristino e realizzazione recinzioni e regolamentazione degli accessi
Le recinzioni insieme alla regolamentazione degli accessi alle varie aree della riserva, rappresentano un valido deterrente AIB, ma anche contro l’abbandono incontrollato di rifiuti e garantiscono una fruizione più controllata delle aree più sensibili.
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Roma L’area di Castel Fusano in parte era recintata e si ravvisa la necessità di realizzare e ripristinare le recinzioni lungo il perimetro regolamentando gli accessi. Occorre prevedere la dove non presenti accessi regolamentati con sbarra o cancello in corrispondenza dei viali tagliafuoco principali. La tipologia prevista è quella in pali di legno e rete metallica e uno o due ordini di filo spinato. Le sbarre metalliche andrebbero chiuse con lucchetto per evitare l’accesso carrabile a chiunque, limitandolo solo a personale autorizzato. Lungo la recinzione sarebbe opportuno segnalare con cartello i limiti della riserva, gli idranti ed i relativi accessi, oltre alle aree di sosta attrezzate. Per quanto riguarda l’area delle Acque Rosse si prevede la chiusura dell’intera area dall’accesso verso il Cineland di Ostia lungo via Ostiense e poi via dell’Acqua Rossa, poi lungo il canale e a chiudere verso il depuratore. Si dovranno lasciare almeno 4‐5 punti di accesso regolamentati con sbarra o cancello chiusa con lucchetto. Si dovrà prevedere anche l’area interclusa tra via dell’Acqua Rossa e via delle Molucche e tra questa e via Isole Samoa. Riguardo l’azienda agricola di Castel di Guido, si prevede la realizzazione delle recinzioni per il bestiame ai fini AIB per il controllo sostenibile del sottobosco soprattutto per quanto riguarda i rimboschimenti di conifere, maggiormente infiammabili. Le recinzioni per il bestiame previste sono come quelle già esistenti in pali di castagno e filo spinato a cinque ordini e staccionate in passoni e filagne vicino i centri aziendali.
Figura 59: tipologia di recinzione in pali di castagno e rete metallica
Figura 60: realizzazione nuova recinzione per contenimento del bestiame e impedimento di accesso con mezzi
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all’interno dell’Azienda Castel di Guido
Figura 61: cancello per impedire l'accesso ai non autorizzati con mezzi propri all’interno dell’Azienda
Castel di Guido e sbarra in ferro presso Castel Fusano
Figura 62: recinzione in passoni e filo spinato per contenimento del bestiame ed il controllo degli arbusti all’interno
dell’Azienda Castel di Guido
Figura 63: dettaglio sul controllo del manto erboso da parte del pascolo
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Figura 64: dettaglio del sopravvento da parte del manto erboso/arbustivo per mancanza del pascolo
Fiumicino
Per quanto riguarda Villa Guglielmi essendo u parco pubblico è già interamente recintato. Riguardo la pineta di Fregene i settori A e B della pineta sono recintati, mentre occorre prevedere di finire di chiudere il settore C. Le altre aree private quali Riserva di Coccia di Morto, Oasi di Macchia Grande e Macchia dello Stagneto, risultano recintate. Bocca di Leone anche risulta recintata ma al confine con i parcheggi degli stabilimenti la recinzione necessita di ristrutturazione. Anche per l’Oasi della foce dell’Arrone occorre ristrutturare la recinzione verso i parcheggi degli stabilimenti.
Figura 65: tipologia recinzione in ferro ‐ Fregene
Aree di sosta attrezzate
Presso l’area di Castel Fusano e delle Acque Rosse, tramite analisi cartografica e sopralluoghi effettuati, sono state identificate nove aree da allestire e attrezzare a fini ricreativi, indicate nella presente cartografia. Tali aree, sono state posizionate lungo le strade, il loro posizionamento è stato condiviso con i Carabinieri Forestale. Nel posizionamento dei tavolini si potrà prevedere l’eventuale piantumazione di latifoglie per
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favorire l’ombreggiamento. I barbecue o bracieri dovranno essere posizionati, nelle radure, esternamente alla copertura del bosco. La realizzazione di tali aree è tesa a favorire una migliore organizzazione e disciplina dell’attività ricreativa che sarebbe in tal senso limitata e circoscritta a tali aree, opportunamente recintate, evitando l’accensione incontrollata di fuochi connessi ai pic‐nic. Tali aree sono infatti facilmente raggiungibili con la viabilità e prevedono nelle vicinanze idranti o colonnine antincendio. Dato il riscontro del fenomeno diffuso dell’accensione di fuochi liberi all’interno della pineta, con un elevato rischio di innesco di incendi dannosi e difficilmente controllabili allo stato attuale, viene proposto l’idoneo allestimento di tali aree con interventi specifici e mirati alla sicurezza e agibilità delle stesse, facendo riferimento a quanto indicato da apposito Regolamento Regionale 18 Aprile 2005, n. 7/d Art.92 Comma C “per l'accensione di fuochi in appositi bracieri o focolai o altre strutture appositamente realizzate, nelle aie, nei giardini privati e condominiali, cortili di pertinenza di fabbricati siti all'interno delle predette aree e terreni, con le modalità di cui al comma 4; alle stesse condizioni l’accensione è consentita anche su aree scelte e attrezzate allo scopo e debitamente segnalate a cura degli enti competenti, per le quali è stata verificata l’idoneità tecnica. I gestori dei siti devono riportare su apposita cartografia, almeno su Carta Tecnica Regionale (CTR), contrassegnando con numeri progressivi i vari siti o le aree ospitanti tali strutture, nonché la relativa viabilità di accesso e di servizio alle stesse, conservandone copia presso le loro stesse sedi ed inviando copia al Comando Stazione del Carabinieri forestale.” Si sono previste n. 6 aree di sosta attrezzate presso Castel Fusano (1‐5, 9) e n. 3 aree di sosta presso la pineta delle Acque Rosse (6‐7‐8). In totale 9 aree di sosta attrezzate. I lavori inerenti le aree di sosta attrezzate risultano essere i seguenti:
‐ Manutenzione della recinzione in rete e pali di legno presente, nei confronti della viabilità, con sostituzione della stessa o nuova installazione dove assente; ‐ Realizzazione di recinzione al margine boschivo per impedire l’accesso alle persone non autorizzate, evitando così la possibilità di danni all’area boscata; ‐ Regolamentazione degli accessi con apposita sbarra ove non presente e mediante cartellonistica; ‐ Sfalcio meccanico dell’area nei confronti del tappeto erboso, con conseguente abbattimento di alberi ritenuti pericolosi o danneggiati; ‐ Spalcatura e potatura degli individui arborei rilasciati per assicurare un idoneo distacco fra chioma arborea e suolo, così da garantire una maggiore sicurezza; ‐ Installazione di tavolini in legno; ‐ Installazione di appositi bracieri attrezzati all’interno delle aree con numero variabile a seconda delle dimensioni e della disposizione progettata; ‐ Installazione cartelli informativi e di comportamento;
Presso il centro aziendale di Castel di Guido si prevede la realizzazione di n. 1 un’area aree di sosta attrezzata con appositi bracieri, fuori dal perimetro della riserva nei pressi dell’oliveto del centro aziendale.
3.6 SORVEGLIANZA AI FINI AIB Per migliorare l’efficienza del sistema organizzativo AIB all’interno della Riserva Naturale Statale del Litorale Romano vengono di seguito suggerite le azioni da porre in essere in merito alla dotazione di una struttura di gestione AIB, di mezzi e strumenti, alla organizzazione della formazione del personale e dell’informazione al cittadino. Con l’obiettivo di coordinare le attività di prevenzione, monitoraggio, avvistamento ed estinzione degli incendi boschivi a livello di Riserva Naturale è stata istituita dal Prefetto di Roma (2006) la Sala Operativa Interforze; questa Centrale coordinerà i Centri Operativi di Roma e Fiumicino (rispettivamente Sala Operativa AIB e Centro Operativo Comunale) durante le operazioni di prevenzione e spegnimento su cui verrà chiamata ad intervenire.
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Roma
- C.O.I. (riceve le immagini in visione dalla sala Sala Monitor Casale Pantano) presso la stazione dei Carbinieri Forestale di Ostia a Torre Tumuleti;
- Carabinieri Forestale (orari 10‐19 e 11‐20) quadranti A e D; - Comando stazione Carabinieri Forestale Roma Centro Reparto a cavallo (su richiesta della
C.O.I.); - Polizia locale di Roma Capitale quadranti B, C ed E (orari 10‐19 e 14‐19); - Personale del Dipartimento Tutela Ambientale di Roma Capitale attraverso la Sala Monitor
Casale Pantano che riceve le immagini dalle telecamere AIB; - Vigili del fuoco; - Organizzazioni di Volontariato di Protezione Civile;
Fiumicino - Carabinieri Forestale; - Associazione di volontariato di Protezione Civile “Nuovo Domani”; - Polizia Locale (Centro Operativo Comunale Fiumicino);
Presso il C.O.C., che sarà la struttura operativa di attuazione del presente piano del comune di Fiumicino, si svolgeranno le funzioni di gestione e coordinamento delle attività di prevenzione, manutenzione, monitoraggio ed estinzione, nonché delle comunicazioni con gli altri attori coinvolti nella pianificazione su analogo ambito territoriale o su scala sovracomunale e regionale e intercomunale
3.7 PREVENZIONE INDIRETTA (INFORMAZIONE E SENSIBILIZZAZIONE)
Una corretta pianificazione antincendio boschivo deve considerare basilari e di estrema importanza sia la completa formazione degli operatori A.I.B., sia la corretta applicazione dei dispositivi di sicurezza al fine di rendere maggiormente efficaci le attività di estinzione e di ridurre il pericolo di incidenti agli operatori. Risultano altrettanto importanti le attività di informazione al pubblico relative al pericolo di incendio ed ai comportamenti da attuare in caso di incendio. Di fatto l’informazione costituisce un mezzo efficace per la prevenzione indiretta degli incendi boschivi, specialmente quando è rivolta direttamente ai fruitori della Riserva nel periodo di massima allerta. L’informazione e la sensibilizzazione dell’opinione pubblica possono considerarsi uno strumento di prevenzione significativo sia per la popolazione residente, ma soprattutto per i fruitori occasionali del Parco che non hanno dimestichezza con il territorio e ancor più con il verificarsi delle condizioni predisponenti gli incendi. In ragione delle peculiarità di frequentazione e vigilanza della Riserva, si prevede che la prevenzione indiretta venga essenzialmente perseguita attraverso azioni di informazione che prevedono l’installazione di cartelli o pannelli informativi, a corredo di quelli di informazione naturalistica, con i quali fornire informazioni riguardo alla tutela degli ecosistemi dagli incendi e sui comportamenti da tenere durante la fruizione del territorio protetto per evitare l’innesco di incendi o per la comunicazione dell’allarme. Occorre investire molto sulla formazione e sulla specializzazione in campo AIB, cercando di non mandare persa tutta la tradizione ed il sapere dell’ex Corpo Forestale dello Stato oggi divenuti Carabinieri Forestale. Investire anche sulla formazione all’interno delle OO.D.V. aumentando sempre di più il grado di specializzazione.
Roma
La prevenzione che agisce sulle cause determinanti è detta prevenzione indiretta. Gli interventi di prevenzione indiretta previsti sono indicati di seguito. ‐Cartellonistica di monito alla popolazione (cartelli tradizionali), con introduzione di elementi di sensibilizzazione dei fruitori della Riserva.
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I tradizionali cartelli monitori antincendi saranno realizzati in modo da fornire ai fruitori indicazioni sul corretto comportamento per evitare l'innesco di focolai e quindi prevenire gli incendi, ma fornire altresì alcune informazioni inerenti il comportamento da assumere in caso di incendio. Tale cartello andrà a sostituire gli attuali cartelli monitori che, come segnalato, sono in pessimo stato di conservazione. Per un miglior inserimento ambientale i cartelli saranno a 4 colori, di dimensioni pari a 40x60 cm e sorretti da pali ad angoli smussati di castagno opportunamente trattati. Si prevede un allestimento di circa 100 cartelli da posizionare agli ingressi della Riserva, lungo la viabilità principale, i percorsi archeologici, naturalistici, le piste ciclabili, le aree attrezzate e nella zona del campeggio.
Fiumicino
Il Piano Comunale di Protezione Civile prevede la realizzazione annuale di una campagna di sensibilizzazione sul rischio di incendi in cui l’amministrazione comunale informa i cittadini su come proteggere i boschi e prevenire potenziali inneschi di incendio attraverso l’affissione di manifesti nei luoghi di maggiore affluenza di pubblico. Inoltre le norme comportamentali da seguire, nelle pratiche comuni e nelle pratiche agricole, vengono disciplinate a mezzo di Ordinanza Sindacale affissa all’Albo Pretorio del Comune. Si ritiene utile che l’opera di informazione possa essere integrata da specifiche sessioni di educazione ambientale sulla prevenzione degli incendi con divulgazione di materiale informativo presso scuole di ogni ordine e grado del Comune, eventualmente coinvolgendo gli Enti e le Istituzioni che si occupano dell’estinzione le quali generalmente prevedono, nell’ambito delle loro attività, anche azioni divulgative a fini preventivi.
3.8 EVENTUALE FORMAZIONE E ADDESTRAMENTO DEL PERSONALE
La Legge 21 novembre 2000 n. 353 prevede che per la lotta attiva contro gli incendi boschivi le Regioni possano avvalersi di volontari appartenenti ad Organizzazioni di Volontariato, riconosciute secondo la vigente normativa, dotati di una adeguata formazione e preparazione professionale. La formazione del Volontariato impiegato nella lotta attiva di contrasto agli incendi boschivi assume pertanto un ruolo prioritario, essenziale ed indispensabile per la programmazione e l’esercizio delle attività di antincendio boschivo. Di fondamentale importanza, per intervenire a difesa del bosco è la conoscenza dell’ambiente forestale in quanto il tipo di vegetazione determina il fronte di fiamma in base al quale devono essere effettuate le scelte di prevenzione e di estinzione fattibili solo se a conoscenza delle caratteristiche dell’ambiente del bosco, selvicolturali ed assestamentali del territorio da difendere. Di fondamentale importanza inoltre è la conoscenza dell’ambiente di interfaccia urbano/forestale. In questo ambiente la previsione del comportamento del fuoco è particolarmente importante per pianificare possibili scenari di rischio, ed intervenire tempestivamente ed efficacemente nell’estinzione, al fine di salvaguardare l’integrità delle popolazioni, dell’ambiente, dei beni e delle infrastrutture esposte. È indispensabile quindi in tal senso prevedere una adeguata e specifica formazione rivolta agli operatori che intervengono sugli incendi boschivi e di interfaccia assicurando loro l’apprendimento dei seguenti argomenti:
1) caratteristiche ambientali forestali da difendere. 2) caratteristiche di comportamento dell’incendio. 3) rischi e precauzioni per mitigarli. 4) uso dei Dispositivi di Protezione Individuale (D.P.I.). 5) impiego di attrezzature individuali e di squadra.
È indispensabile altresì che la formazione avvenga in modo uniforme per tutti gli operatori che intervengono, infatti il successo e la sicurezza delle operazioni presuppone che tutti conoscano gli argomenti da affrontare e che tutti possano colloquiare senza che sorgano dubbi tecnici od esitazioni nell’intraprendere le attività contro il fuoco. La formazione deve anche assicurare che tutte le Organizzazioni sia di volontari sia professionali possano svolgere interventi coordinati ed efficaci. Per realizzare la formazione della materia protezione degli incendi boschivi si ritiene utile uno specifico
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supporto didattico. Esso dovrà contenere testi, schemi e immagini e dovrà essere strutturato in stretta connessione con la realtà operativa della Regione Lazio. Come è già stato sottolineato in precedenza, si ritiene fondamentale la formazione degli operatori antincendio.
Roma
Si propone la realizzazione di un apposito corso teorico‐pratico della durata indicativa di 50 ore, i cui contenuti sono specificati nell’elaborato di progetto “Disciplinare descrittivo e prestazionale degli elementi tecnici”. La formazione degli operatori è un elemento fondamentale da inserire nel quadro delle attività volte costituire unità operative di elevata professionalità, per la protezione dagli incendi di tuta la Riserva Naturale Statale del Litorale Romano.
Fiumicino
Con l’obiettivo di rendere edotto il personale da assegnare all’Ente Gestore della RNS sugli obiettivi e le procedure di applicazione e operative del piano verrà elaborata un’offerta formativa così articolata: ‐Personale direttivo e tecnico Formazione sui contenuti della pianificazione antincendio e sulle relazioni con altri livelli e argomenti di pianificazione della RNS e del territorio circostante. Elementi fondamentali di previsione del comportamento del fuoco per l’organizzazione e la gestione delle attività di previsione, prevenzione e lotta agli incendi nel territorio della RNS. Implementazione e utilizzo degli indici di pericolo di incendio nella RNS e attivazione delle procedure operative di intervento. La durata e il livello di dettaglio della formazione saranno concordati con l’Ente Gestore anche in funzione del numero dei partecipanti e del loro livello di preparazione attuale. ‐Personale di vigilanza e di estinzione Formazione del personale di vigilanza sui risvolti applicativi del piano AIB con particolare riguardo alle procedure operative di monitoraggio e allerta conseguenti al bollettino quotidiano del livello di pericolo di incendio. Elementi fondamentali sulle procedure operative di allarme e primo intervento in caso di avvistamento di incendio e/o di un focolaio. La durata e il livello di dettaglio della formazione saranno concordati con l’Ente Gestore anche in funzione del numero dei partecipanti e del loro livello di preparazione attuale.
CARTOGRAFIA Prevenzione
3.9 CARTA DEGLI INTERVENTI (PUNTUALI, LINEARI ED AREALI‐SELVICOLTURALI) PREVISTI NEL PIANO
La carta degli interventi è stata redatta sia in scala 1:30.000 su base CTR che con affondi sulle principali aree boscate in scala 1:10.000.
4. LOTTA ATTIVA (DESCRIZIONE RISORSE E MODALITA')
La Legge Quadro n. 353/2000 coinvolge nella “lotta attiva contro gli incendi boschivi”, in sostanza, tutti gli Enti dello Stato, da quelli territoriali a quelli locali, prevedendo la partecipazione anche di soggetti privati. Anche in questa impostazione è chiara l’influenza della Legge 225/1992, laddove sono componenti del Servizio di protezione civile una pluralità di soggetti, pubblici e privati. Per quanto concerne gli interventi di lotta attiva contro gli incendi boschivi, la Legge n. 353/2000, all’art. 7, precisa che i medesimi comprendono “le attività di ricognizione, sorveglianza, avvistamento, allarme e spegnimento con mezzi da terra ed aerei”. In merito alla catena operativa si conferma la competenza delle Regioni a programmare la lotta attiva, con la sola eccezione delle attività aeree di spegnimento con la flotta aerea antincendio dello Stato, che è coordinata dal Dipartimento della Protezione Civile, che a tal fine si avvale del COAU53: “Le Regioni assicurano il coordinamento delle proprie strutture antincendio con quelle statali istituendo e gestendo con una operatività di tipo continuativo nei periodi a rischio di
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incendio boschivo le sale operative unificate permanenti (SOUP), avvalendosi, oltre che delle proprie strutture e dei propri mezzi aerei di supporto all’attività delle squadre a terra: a) di risorse, mezzi e personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e dei Carabinieri Forestale in base ad accordi di programma; b) di personale appartenente ad organizzazioni di volontariato, riconosciute secondo la vigente normativa, dotato di adeguata preparazione professionale e di certificata idoneità fisica qualora impiegato nelle attività di spegnimento del fuoco; c) di risorse, mezzi e personale delle Forze armate e delle Forze di polizia dello Stato, in caso di riconosciuta e urgente necessità, richiedendoli all’Autorità competente che ne potrà disporre l’utilizzo in dipendenza delle proprie esigenze; d) di mezzi aerei di altre regioni in base ad accordi di programma.”
Importante l’è esame della previsione della istituzione da parte delle Regioni di una Sala Operativa Unificata Permanente (SOUP), quale struttura che deve assicurare il coordinamento delle proprie strutture antincendio con quelle statali, avvalendosi dei propri mezzi aerei di supporto all’attività delle squadre a terra, del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e dei Carabinieri Forestali in base ad accordi di programma, del personale delle organizzazioni di volontariato, riconosciute secondo la vigente normativa, di mezzi aerei di altre regioni in base ad accordi di programma e, in caso di riconosciuta e urgente necessità, delle Forze armate e delle Forze di polizia dello Stato. Importante è al riguardo l’espressa facoltà di potersi avvalere delle organizzazioni di volontariato, che rappresenta un riconoscimento significativo dell’attività svolta da tempo dalle associazioni ecologiste, nel campo della prevenzione e del monitoraggio. Nulla, invece, viene detto in ordine alla responsabilità operativa in occasione degli interventi di estinzione. In merito è importante rilevare che, successivamente, nel 2008, è stato sottoscritto un accordo tra il Ministero dell’Interno ed il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, che ha chiarito le competenze relative alle operazioni di spegnimento nel caso di incendi di interfaccia, laddove si verifica l’intervento del personale sia del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, che dei Carabinieri Forestale. La Squadra AIB, componente essenziale dell’Organizzazione AIB dedicata alla lotta attiva agli incendi boschivi, ha compiti numerosi e specifici dovendo provvedere:
‐ all’avvistamento ‐ alla verifica di una segnalazione ‐ allo spegnimento ‐ alla bonifica e al controllo degli incendi boschivi.
E’ bene ricordare innanzitutto che l’ambito operativo di intervento della Squadra AIB è tutto il territorio regionale, in funzione delle necessità operative espresse dalle strutture di coordinamento (COP/SOUP/DOAIB). La determinazione del numero effettivo dei componenti della squadra AIB (da 2 a 5 operatori) deve essere effettuata dalla struttura stessa valutando il proprio contesto organizzativo, ambientale e operativo. Così come la dotazione degli attrezzi manuali leggeri e a motore dovrà essere adeguato alle specifiche caratteristiche del territorio, al numero degli operatori presenti per squadra che dovranno essere specificamente protetti e addestrati per le operazioni che devono eseguire. E’ necessario dare alcuni parametri attraverso i quali l’Organizzazione AIB misura l’efficacia/efficienza di una Squadra AIB, vale a dire la sua velocità di movimentazione:
‐Tempo di attivazione (TA): è il tempo che intercorre dalla chiamata della SO che ha in gestione l’evento alla partenza della squadra. ‐Tempo di viaggio (TV): è il tempo che intercorre dalla partenza della squadra all’arrivo di questa sul luogo dell’intervento. ‐Tempo stimato di intervento (TSI): è il tempo che intercorre dal momento della chiamata della SO che ha in gestione l’evento all’arrivo della squadra sul luogo dell’intervento.
Quindi, per riassumere tali parametri in una semplice formula matematica: TSI = TA + TV
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E’ indispensabile porre massima attenzione nella definizione di tali tempi, non confondendoli l’uno con l’altro, perché ciò ha evidenti ripercussioni sulla valutazione che la SO deve effettuare per determinare la squadra con il minor tempo di intervento. Tutti gli Operatori di una Squadra AIB devono attenersi alle seguenti procedure operative, indispensabili per poter svolgere la propria attività in linea con tutti gli altri componenti dell’Organizzazione AIB. Le procedure sono articolate nelle seguenti fasi:
‐ segnalazione ‐ verifica ed esito della verifica ‐ fase di spegnimento ‐ bonifica ‐ controllo.
Affinché l’azione di spegnimento sia efficace, economica e tempestiva è importante prevedere il comportamento dell’incendio, ossia la sua intensità, lo sviluppo del fuoco nello spazio e nel tempo. Base fondamentale è la conoscenza del territorio: ciò permette la lotta attiva attraverso l’avvistamento e lo spegnimento. L’estinzione di un incendio consiste nell’interrompere il processo di combustione intervenendo sul triangolo del fuoco ovvero eliminando uno dei tre elementi che lo alimentano:
Eliminazione del combustibile Eliminazione dell’ossigeno Raffreddamento della combustione
Per effettuare lo spegnimento di un fuoco si può procedere impostando un attacco di tipo diretto o indiretto. L’attacco diretto consiste nel soffocare la fiamma intervenendo direttamente sul fuoco. L’attacco indiretto consiste nell’isolare il combustibile vegetale che sta bruciando fino a quando non si esaurisce completamente e il processo di combustione si interrompe. Sia l’attacco diretto che l’attacco indiretto possono essere attuati da terra o per via aerea, tuttavia è necessario sottolineare che l’impiego esclusivo dell’intervento aereo per lo spegnimento degli incendi non è mai risolutivo, poiché esso deve essere necessariamente integrato con le altre tecniche di spegnimento a terra. Attacco indiretto:
Linee tagliafuoco Controfuoco Spargimento di ritardante
Come descritto nel corso del paragrafo sugli incendi boschivi si è presa visione come esistano 4 tipologie d’incendio:
1 incendio di chioma
2 incendio di terra
3 incendio complessivo (unione fra le due tipologie precedenti)
4 incendio sotterraneo
Per i primi 3 casi le operazioni di spegnimento e controllo vengono svolte tramite l’utilizzo di attrezzature AIB da parte delle rispettive forze d’intervento (VVF, C.F., Protezione civile), mentre nei confronti del quarto caso le operazioni di controllo sono notevolmente diverse. Questo tipo di incendi si sviluppa sotto la superficie del suolo, bruciando radici ed altro materiale organico presente nel sottosuolo. Si tratta di un incendio caratterizzato dall’assenza di fiamma viva, poca emissione di fumo, bassissima intensità di combustione che quindi risulta lenta per la scarsa presenza di comburente (carbonizzazione dei materiali). La velocità di avanzamento è al massimo di 10 cm/h. Solitamente l’incendio sotterraneo è un’evoluzione di un precedente
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incendio radente e può a sua volta evolvere in incendio radente se trova le condizioni per ricomparire in superficie, anche a giorni di distanza. Di conseguenza, le forti temperature, comportano anche l’avvio della combustione dell’apparato radicale nel sottosuolo, andando a interessare tutti gli apparati radicali delle piante incendiate, fin quando non avviene il contatto con le piante rimaste in vita, esterne all’area incendiata e messa in sicurezza. Questo tipo di incendi si verificano principalmente durante forti periodi di siccità, crea molti problemi per le operazioni AIB perché nella maggior parte dei casi non è facilmente visibile e può durare diverse settimane, anche in condizioni estreme, come sotto la neve; inoltre, eventuali viali tagliafuoco possono risultare del tutto inutili o riutilizzabili con altri fini d’intervento per garantire il contenimento dell’evento dannoso. La combustione è lenta, comportando la completa distruzione del materiale vegetale interessato, con notevoli difficoltà nelle operazioni di spegnimento. Le classiche metodologie con l’utilizzo di acqua o schiume servono a poco a meno che non si utilizzi acqua che contenga additivi per ridurre la sua tensione superficiale. Si riscontra quindi, la necessità di una capillare fase di bonifica conseguente a qualsiasi incendio. Per evitare la propagazione degli incendi sotterranei. La misura preventiva più efficace è quella di tracciare un solco lungo il perimetro dell’incendio sotterraneo, di profondità minima pari a 1 m, con l’utilizzo di un aratro o ripper (con 1 solo dente) per scoprire il suolo minerale ed eliminare le radici che potrebbero diffondere, tramite contatto con altri apparati radicali ancora in vita, la combustione nelle zone ancora non percorse dal fuoco. Tale solco può essere tracciato lungo la rete di viabilità d’intervento eo dei viali tagliafuoco. Gli incendi sotterranei possono distinguersi in:
Incendio sotterraneo superficiale: vengono interessati gli strati più superficiali del suolo, cioè gli orizzonti organici. Il materiale in combustione è a contatto con l’atmosfera e quindi la combustione stessa è influenzata dalle condizioni meteorologiche (umidità, temperatura, precipitazioni, ecc…) che vanno a determinare il possibile passaggio dell’incendio sotterraneo superficiale in incendio radente. La conduzione è il principale modo di trasmissione del calore in questo tipo di incendio. Visivamente si notano, nell’area in cui è in corso la combustione, zone nere più o meno circolari che emettono fumo bianco. Incendio sotterraneo profondo: si verifica quando la combustione avviene senza contatto esterno evidente con l’atmosfera per cui è relativamente indipendente dai fattori meteorologici. Può interessare gli apparati radicali o gli strati di torba, la trasmissione del calore è unicamente per conduzione e dall’esterno, concretamente, non si nota alcuna emissione di fumo.
Anche questo tipo di incendio è spesso pressoché invisibile, dal momento che può covare a lungo all’interno di una ceppaia (per esempio in boschi di castagno, che ne sono solitamente molto ricchi, o negli oliveti abbandonati) e successivamente evolvere, attraverso l’apparato radicale della stessa, in incendio sotterraneo o radente, per trasporto di qualche favilla o tizzone da parte del vento in una zona non percorsa inizialmente dal fuoco. Va inoltre segnalato che le vecchie ceppaie in decomposizione possono costituire una “trappola per scintille”, nel senso che, se qualche favilla proveniente dall’incendio principale trasportata dal vento le raggiunge, può
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covare al suo interno una lenta combustione dalla quale può scaturire un nuovo incendio, anche a distanza di parecchi giorni dall’esaurimento di quello principale, su un’area magari assolutamente non interessata dall’evento da cui tutto ha avuto origine. Per questo si sottolinea ancora l’importanza di una attenta e capillare opera di bonifica post incendio da parte delle squadre a terra. Nella fase di bonifica è importante ricordarsi di non trascurare le ceppaie che si trovano all’interno della zona bruciata, specialmente nelle zone in pendenza. Per quanto riguarda l’area della RNS Litorale Romano, data la presenza di una fitta rete di viali tagliafuoco, i quali, a seguito della loro riqualificazione citata all’interno del piano, consentono il facile raggiungimento di quasi tutte le aree boscate presenti, si prescrive un loro utilizzo “alternativo” e precauzionale per la tutela dell’area nei confronti della tipologia d’incendio sopra citata. La realizzazione del solco al margine della viabilità d’intervento, riduce il danneggiamento degli apparati radicali delle piante presenti ed i danni alla vegetazione in generale. Tale solco dovrà essere effettuato con profondità minima di 1 m, sfruttando la viabilità esistente, e non dovrà comportare danni alla viabilità assicurando la stabilità delle alberature limitrofe.
4.1 RISORSE DISPONIBILI PER L’AREA PROTETTA (PERSONALE E MEZZI AIB) INTERNE E LIMITROFE
Agenzia regionale di protezione civile
L’Agenzia è l’unità amministrativa della Regione Lazio dotata di autonomia gestionale, organizzativa, finanziaria e contabile, il sistema organizzativo dell’Agenzia è costituito da una struttura organizzativa equiparata ad una Direzione regionale.
Tabella 32: schema di suddivisione Agenzia regionale di protezione civile
Tutte le attività svolte dall’Agenzia in fase di pianificazione e di allertamento si trasformano in attività emergenziali durante le calamità naturali. Il Sistema Regionale di protezione civile si mobilita e diventa struttura coesa con le organizzazioni del volontariato e gli Enti locali per far fronte agli eventi naturali. L’accordo di programma, approvato con determinazione dirigenziale n. G05087 del 12.05.2016, e sottoscritto dalla Regione Lazio in data 22.06.2017 e dal Dipartimento dei Vigili del Fuoco in data 12.07.2017, regola i rapporti tra l’Agenzia regionale di protezione civile ed il Corpo Nazionale dei Vigili del fuoco per l’anno 2017, tiene conto della ridefinizione delle competenze operata ai sensi del decreto legislativo 19 agosto 2016, n.177, recante “Disposizioni in materia di razionalizzazione delle funzioni di
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polizia e assorbimento del Corpo forestale dello Stato ai sensi dell'articolo 8, comma 1, lettera a), della legge 7 agosto 2015, n.124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche” . Ai sensi dell’articolo 7 del citato decreto legislativo n. 177/2016, il “Corpo forestale dello Stato è assorbito nell’Arma dei Carabinieri, la quale esercita le funzioni già svolte dal citato Corpo previste dalla legislazione vigente alla data di entrata in vigore del presente decreto, fermo restando quanto disposto dall’articolo 2, comma 1 e ad eccezione delle competenze in materia di lotta attiva contro gli incendi boschivi e spegnimento con mezzi aerei degli stessi, attribuite al Corpo Nazionale dei Vigili del fuoco ai sensi dell’articolo 9”. Obiettivo del presente Accordo è il potenziamento del Sistema Regionale Antincendio Boschivo, e degli interventi di prevenzione e contrasto attivo agli incendi boschivi, operante nell’ambito del territorio regionale del Lazio, anche con attività di formazione del personale volontario e altre attività finalizzate alla previsione, prevenzione e mitigazione di eventi di protezione civile. Roma
Ufficio Extra dipartimentale – Protezione Civile Nell'ambito delle attività di collaborazioni tra enti, con Protocollo di Intesa sottoscritto tra l’Agenzia Regionale di protezione Civile e l’Ufficio Extradipartimentale Politiche della Sicurezza e Protezione Civile di Roma Capitale, sono state stabilite modalità di intervento e concorso per le attività di prevenzione e lotta attiva agli incendi boschivi per la campagna AIB 2018. Sarà garantita la massima operatività e un efficace flusso delle informazioni nel periodo di massimo rischio di incendi boschivi, anche mediante la presenza di due unità di personale di Roma Capitale, dedicata alla campagna A.I.B., presso la Sala Operativa Unificata Regionale della Regione Lazio (SOUP). Il Protocollo di Intesa individua le seguenti modalità di operative:
la Sala Operativa di Roma Capitale provvederà all'attivazione ed al coordinamento delle organizzazione di volontariato in convenzione con Roma Capitale, per le attività di monitoraggio e di avvistamento del territorio;
nel caso di segnalazione di evento le organizzazione di volontariato, tramite l’operatore di Roma Capitale presente in SOUP, saranno attivate e coordinate dalla SOUP per le attività di contrasto e spegnimento incendi;
le medesime Organizzazioni di Volontariato comunicheranno, a mezzo radio all’operatore di Roma Capitale presente in SOUP, l’inizio delle attività di spegnimento nonché l’evoluzione ed il termine dell’evento.
La Prefettura di Roma, Area Protezione Civile, Difesa Civile e coordinamento del Soccorso Pubblico, ha fissato linee guida di base per l’organizzazione dell’attività di sorveglianza, vigilanza e spegnimento incendi nella Pineta di Castelfusano e nella zona denominata Acque Rosse. In tale organizzazione concorrono, ognuno per la propria competenza, il Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco, Gruppo Carabinieri Forestale Roma, la Regione Lazio, Roma Capitale, Citta Metropolitana di Roma Capitale, e Organizzazioni di Volontariato di Protezione Civile. Il documento operativo ha suddiviso il territorio in quattro quadranti, individuando, per ognuno di essi compiti e responsabilità. Il Gruppo Carabinieri Forestale Roma e il Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco gestiscono, con le rispettive competenze, la Centrale Operativa Interforze – C.O.I., attiva a partire dal 20 giugno e fino al termine della stagione, con copertura oraria 8:00 ‐20:00. In linea generale l’Agenzia Regionale di Protezione Civile della regione Lazio dovrà assicurare, oltre all’attivazione delle organizzazioni di volontariato per le attività di monitoraggio e spegnimento, con il coordinamento della SOUP, la presenza di un elicottero, della sua flotta, per gli eventuali interventi di spegnimento incendi, non in uso esclusivo.
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Dipartimento Tutela Ambientale Il Dipartimento Tutela Ambientale, nell’ambito del Piano di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi ai sensi dell’art. 8 della legge 21.11.2000, n. 353 parteciperà alla Campagna AIB 2018 secondo la seguente articolazione: Sala Operativa AIB, Casale Pantano – Via del Martin Pescatore ‐ Ostia 1 Capoturno + 2 Operatori Monitor 4 autobotti + 4 squadre operative composte da 1 autista + 2 operatori Assicurerà, dal 15 giugno al 30 settembre, in concorso con le altre forze, la tempestività degli interventi per tutti i giorni feriali, sabato, domenica e festivi, dalle ore 8.00 alle ore 20.00 e comunque, sino alla fine degli interventi in corso, mediante il proprio personale attivato anche attraverso l’istituto della reperibilità. Volontariato Per Castel Fusano e Acque Rosse saranno a disposizione le seguenti OO.D.V.:
Tabella 33: Disposizione delle OO.D.V. presenti
Dipartimento Sviluppo Economico Attività produttive e Agricoltura Azienda comunale di Castel di Guido Anche la stagione 2018 l’antincendio verrà svolto dall’associazione di volontariato Associazione Nazionale Vigili Del Fuoco in congedo, in convenzione con Roma Capitale. Corpo di Polizia Locale di Roma Capitale 4 pattuglie.
Norme Generali 1. I turni del personale capitolino preposto al Piano AIB 2018 saranno articolati in modo da sostenere gli orari del Servizio antincendio, tutti i giorni compresi sabato, domenica e festivi. 2. Per particolari condizioni climatiche e meteo il Dipartimento Tutela Ambientale potrà disporre una diversa e più congeniale articolazione dell’organizzazione del Servizio. 3. Le postazioni operative territoriali del Dipartimento Tutela Ambientale e del Verde, su richiesta della Sala Operativa Regionale ed in coordinamento con la Sala Operativa AIB, potranno intervenire, se necessario, su aree private anche esterne al territorio capitolino con l’ausilio dell’Autorità di Polizia Locale. 4. Si riportano, precedentemente, i numeri telefonici delle Sale Operative degli Enti ed Uffici.
Centro Operativo Interforze Personale operativo Dispositivi di protezione individuale (DPI) Previa adeguato finanziamento occorre provvedere all’acquisizione dei seguenti DPI di cat. III, conformi alla normativa vigente in materia di dotazioni specifiche per attività antincendio: n° 34 Tuta antincendio intera chiusa anteriormente a cerniera a doppio cursore (la tuta intera evita il rischio di effetto camino presente per le tute a due pezzi), tasche superiori e inferiori, polsi regolabili,
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strisce ad alta visibilità (direttiva 89/686/CEE e norme nazionali che recepiscono le norme armonizzate EN340:2003, EN 531:1995 livelli A B1 C1, EN 1149‐1:1995, EN 13034:05); n° 34 Coppia di stivali di protezione per Vigili del Fuoco (EN ISO 20345:2004 S3‐CI‐HI‐HRO‐WR EN 345/2 FPA EN ISO 17249:2004 – ANTISEGA Classe 2) n° 34 Coppia di guanti di protezione per Vigili del Fuoco con inserti anti taglio in kevlar (EN 420: requisiti generali EN 388: 3222 EN 407:4131xx EN 659 guanti per VV. F. – ANTISEGA Classe 2) n° 17 Semi maschera per protezione respiratoria a filtri intercambiabili (direttiva 89/686/CEE EN 140:1989 EN 141:1990 EN 143:1990) n° 17 Casco di protezione per AIB e Protezione Civile (direttiva 89/686/CEE)
Attrezzatura manuale di squadra
Tramite adeguato finanziamento occorre dotare il personale in servizio antincendio presso la sede operativa di Casale Pantano i seguenti dispositivi dislocati presso la Sala Monitor: n° 1 motosega piccola 40cm n° 1 motosega media 60cm n° 1 tronca‐catena n° 2 roncola n° 2 pala con manico in legno
Elenco degli automezzi adibiti a lotta attiva AIB (antincendio boschivo) assegnati al Dipartimento Tutela Ambientale: Tutti i mezzi con capacità idrica debbono avere in dotazione:
‐n°2 manichette diam. 45mm lung. 25 m ‐n°2 lance con tubo diam. 45mm
Tabella 34: elenco mezzi disponibili Dipartimento Tutela Ambientale – Castel Fusano Acque Rosse adibiti alla lotta
attiva A.I.B. attualmente disponibili ma da riqualificare Mezzi delle OO.D.V.
Per azienda comunale di Castel di Guido i mezzi in dotazione alla OO.D.V.
Marca Modello Tipo
Ruote
motrici
Segnal.
Emerg.
Capacità
lt
Bocca
di
presa
mm
Potenz
a
motore
kw
BREMACH Extreme 45 FS 4 Si 1500 70
BREMACH Extreme 45 FS 4 Si 1500 70
IVECO OM 80 botte 4 Si 7000 70 167
IVECO OM 80 botte 4 Si 4000 70 117
IVECO OM 80 botte 4 Si 4000 70 117
IVECO OM 80 botte 4 Si 4000 70 102
OO.D.V.
Marca Modello Tipo
Ruote
motrici
Segnal.
Emerg.
Capacità
lt
Bocca
di
presa
mm
Potenz
a
motore
kw
ANVVFC FIAT IVECO 190/30 FS 4 Si 8000 70
THE ANGELS FIAT botte 4 Si 4000 70
Marca Modello Tipo
Ruote
motrici
Segnal.
Emerg.
Capacità
lt
Bocca
di
presa
mm
Potenz
a
motore
kw
PICK UP 500
BREMACH 4 Si 1500 70
ERUROCARGO botte 4 Si 4000 70 102
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Fiumicino L’attività di lotta attiva contro gli incendi boschivi è svolta da diverse strutture regionali e locali e si avvale del supporto di istituzioni statali e di associazioni di volontariato anche secondo quanto previsto dal Piano Comunale di Protezione Civile approvato con D.C.C. del Comune di Fiumicino n. 5/2015. La pluralità dei soggetti coinvolti richiede infatti l’attivazione di procedure standardizzate in cui siano definiti i ruoli di ciascun attore e che consentano il coordinamento operativo di personale e mezzi per svolgere le attività in piena armonia ed efficienza. Gli attori, ovvero le strutture operative con cui l’Ente Gestore della RNS deve relazionarsi nel corso degli interventi, nelle modalità previste dal Piano Regionale sono:
Carabinieri Forestale ‐ Comando Stazione di Ostia che è competente per il territorio del Comune di Fiumicino), dove è collocato il Centro Operativo Interforze (C.O.I.); D.O.S: Direttore delle Operazioni di Spegnimento, secondo quanto definito dal Piano Regionale AIB del Lazio, appartenente ai Carabinieri Forestale; VV.F. – Comando territoriale Aeroporto di Fiumicino; R.O.S.: Responsabile delle Operazioni di Soccorso, appartenente al Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco; Protezione Civile Lazio – Centro Operativo Interforze Prov. Roma IV zona (Fiumicino) istituito presso la Sala Operativa dei Carabinieri Forestale in via Villa di Plinio 54; Centro Operativo Comunale (C.O.C.), diretto e coordinato dal Responsabile Tecnico della Protezione civile del Comune di Fiumicino (Polizia Locale); Sindaco: organo locale di protezione civile; Associazioni di Volontariato di Protezione civile.
Al vertice della catena di comando c’è il Direttore delle Operazioni di Spegnimento e il Responsabile delle Operazioni di Soccorso con la seguente distinzione:
‐il D.O.S. coordina le operazioni nei settori del bosco con l’intento principale di spegnere l’incendio, quando questo è lontano dalle aree di interfaccia; quando l’incendio si avvicina all’interfaccia, l’obiettivo è di contenere le fiamme ed evitare l’espansione verso tali settori;
‐Il R.O.S. coordina le operazioni nelle aree di interfaccia, con l’intento di soccorso e protezione dei manufatti. L’intervento è un’operazione di campagna effettuata dalle squadre in stretta collaborazione con il Centro Operativo Interforze (C.O.I.), attivo tutto l’anno con funzione di vigilanza, e nel periodo estivo svolge funzione di Sala Operativa Interforze, con funzione di coordinamento degli interventi di spegnimento. Funziona dalle 8:00 alle 20:00 di tutti i giorni e opera con gli uffici preposti del comune di Fiumicino, e del comune di Roma la cui sala è allestita presso Torre Tumuleti, rimanendo sempre in contatto con il D.O.S. e con le sale operative di livello superiore quali Centro Operativo Regionale (C.O.R.) dei Carabinieri Forestale e S.O.U.P. regionale per l’attivazione dell’intervento aereo. L’attuale struttura organizzativa del sistema di protezione AIB della Riserva fa riferimento al sistema descritto all’interno del Piano di Protezione Civile Comunale ed è inquadrato in ambito comunale, sovra‐comunale e regionale. Le organizzazioni e gli enti preposti svolgono attività di carattere vario con riferimento ai rischi previsti nel Comune (idrogeologico, idraulico, di incendi boschivi). Non risultano essere presenti strutture e organizzazioni dedicate in modo esclusivo alle attività AIB. Il Comando Stazione dei Carabinieri Forestale competente per territorio è quello di Ostia (RM). Nel caso di incendi di interfaccia intervengono i VV.F. del Comando territoriale Aeroporto di Fiumicino. L’ordinanza n. 47/2016 inerente la Campagna AIB 2016 e successive, Comunicazione del periodo di massimo rischio di incendi boschivi e richiamo alle norme comportamentali da seguire” riporta all’art. 19 che “Nell’ambito delle attività di supporto alle strutture comunali di Protezione Civile, le associazioni locali di volontariato di protezione civile sono tenute ad intervenire su richiesta delle stesse in caso di necessità; in particolare, ed ai fini di una migliore organizzazione a livello territoriale, le associazioni di volontariato presenti sul territorio dovranno garantire su richiesta dell’amministrazione la disponibilità di intervento in base all’ubicazione della criticità segnalata, come di seguito indicato:
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NOMINATIVO ASSOCIAZIONE DI
VOLONTARIATO
AMBITO TERRITORIALE D’INTERVENTO
Associazione di protezione Civile Nuovo
Domani
Intero territorio comunale di Fiumicino
Tabella 35: associazioni di volontariato presenti sul territorio
In caso di emergenza e criticità di particolare rilevanza, l’amministrazione potrà richiedere il simultaneo intervento di più di un’associazione, a prescindere dalla territorialità sopra definita”. L’Ente Gestore non ha personale dedicato esclusivamente alle attività AIB. I mezzi impiegati sono quelli in dotazione della protezione civile non annoverati in modo specifico nel Piano di Protezione Civile Comunale. Con Determina n 5 del 25/01/2017 è stata stipulata una convenzione tra la Città di Fiumicino e l’Ass. “Nuovo Domani” con la quale sono stati affidati in convenzione i servizi di protezione civile di prevenzione, previsione e interventi di emergenza, monitoraggio e pronto intervento; tra le attività svolte dall’Ass. Nuovo Domani rientrano anche quelle atte a garantire un servizio rapido ed efficiente di primo intervento e di antincendio su tutto il territorio comunale ed in particolar modo nelle zone boschive ricadenti nel perimetro della Riserva. Inoltre sono stati spesi 13.500,00€ per l’acquisto di un autobotte antincendio IVECO 80.16 4x4 reso in dotazione alla Polizia Locale. Si suggerisce inoltre, previa adeguato finanziamento, di dotare il C.O.C. di un sistema modulare scarrabile (SMS) con le seguenti caratteristiche tecniche di massima: serbatoio (flessibile o rigido) con capacità variabile da 300 a 550 litri, motopompa ad alta pressione da 50 l/min e naspo con tubo semirigido da 13 mm. Il sistema dovrebbe essere caricato su un rimorchio telonato allestito e sempre disponibile nella stagione di incendio in modo da essere trasportato durante le operazioni di ricognizione nei giorni in cui è il pericolo di incendio è alto o elevato. Il personale addetto alle operazioni di vigilanza deve essere adeguatamente formato in modo da essere in grado di intervenire prontamente nel caso di avvistamento di un focolaio per la sua immediata estinzione (a questo proposito si vedano anche le procedure di intervento previste dal Piano regionale AIB del Lazio e del Piano Comunale di Protezione Civile). Tutti gli operatori dell’Associazione di protezione Civile “Nuovo Domani” sono dotati di:
‐ Tuta ignifuga tipo VV.FF. ‐ Giaccone Nomex – ‐ Stivali AIB – ‐ Casco a norma ‐ Sotto muta ignifuga con cappuccio ‐ Guanti ignifughi ‐ Cinturone sicurezza ‐ Maschera antigas ‐ Occhiali antigas‐ ‐ Autoprotettore aria compressa ‐ Imbracatura di sicurezza per lavori in altezza e su corde; ‐ Discensori ‐ Autobloccanti ‐ Maniglie autobloccanti ‐ Pedali per risalita su corda ‐ Moschettoni di varie misure ‐ Operatori disponibili regolarmente addestrati all’attività antincendio così come previsto nelle
norme vigenti e fisicamente e psicologicamente idonei a norma legge 353/2000 ‐ n.10 Resp. Di Settore ‐ n.10 Capisquadra ‐ n.8 Autisti mezzi pesanti ‐ n.6 Autisti abilitati al trasporto merci pericolose tutte le classi ‐ n.30 Addetti antincendio
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‐ n.3 Gruisti e mezzi movimento terra ‐ n.2 Specialisti in comunicazioni ‐ n.1 Specialisti in uso esplosivi
Piano di manutenzione degli interventi
‐ Attente procedure di manutenzione devono essere rispettate per garantire l’efficienza dell’apparato di protezione AIB nel tempo perciò si prevede un Piano di manutenzione degli interventi.
‐ ‐Dopo ogni intervento di estinzione e settimanalmente deve essere verificata la funzionalità delle attrezzature e dei mezzi operativi.
‐ ‐Periodicamente (almeno 1 volta al mese), deve essere verificata la funzionalità degli idranti ed il livello dell’acqua nella vasca presso la piazzola per l’elicottero.
‐ Tutti gli interventi selvicolturali di prevenzione debbono essere eseguiti fra il 15 ottobre ed il 15 aprile dell’anno successivo (art. 20 R.R. n°7/2005).
‐ Gli interventi di sfalcio e di pulizia debbono continuare nella stagione primaverile estiva, evitando per i primi, i momenti di particolare calura.
4.2 PROCEDURE E RISORSE (istituzioni, personale, mezzi, ecc.) PER L’AVVISTAMENTO‐ALLARME E PER L’ESTINZIONE INCENDI
Ferme restando le competenze stabilite dalle norme a livello nazionale per le forze istituzionali che intervengono sugli incendi boschivi, di seguito vengono presi in considerazione i compiti, i ruoli e le responsabilità relative agli interventi di lotta attiva contro gli incendi boschivi, intendendo per lotta attiva (cfr. art. 7 della L. 353/2000) le seguenti attività: ricognizione, sorveglianza, avvistamento, allarme, spegnimento. 1) RICOGNIZIONE: consiste, al momento che si hanno condizioni ambientali predisponenti, nel rilevare la presenza di fuochi controllati o liberi che possano evolversi in incendio boschivo, ovvero nell’individuare l’incendio boschivo già in atto. La ricognizione viene effettuata sia utilizzando mezzi terrestri che mezzi aerei, sia direttamente dai centri operativi, qualora in possesso di terminali collegati a impianti di telerilevamento o a sistemi satellitari. Le Unità di intervento possono effettuare la ricognizione territoriale mediante programmi preventivamente concordati con il Centro Operativo che assume il ruolo di coordinamento delle operazioni di ricognizione. 2) SORVEGLIANZA: consiste nell’attuare tutte le misure volte alla prevenzione di reati o violazioni amministrative che possono condurre o essere in connessione con il fenomeno degli incendi boschivi. È prerogativa degli Agenti e degli Ufficiali di pubblica Sicurezza e di Polizia Giudiziaria. Può essere effettuata contestualmente alla ricognizione. Il personale delle Unità di Intervento può concorrere alla sorveglianza segnalando eventuali comportamenti rilevati sul territorio, che implichino la possibilità di pericolo di incendio. L’attività di sorveglianza effettuata in concorso da più forze di polizia, può essere disposta dal Prefetto, cui possono rapportarsi i responsabili dei Centri Operativi nel caso di particolari esigenze o pericoli. 3) AVVISTAMENTO: consiste nell’individuazione di una situazione di particolare pericolo per la presenza di un fuoco che può dare origine ad un incendio boschivo o di un incendio boschivo in atto. All’avvistamento, che può essere effettuato da chiunque, e quindi anche da personale appartenente alle Unità di Intervento o dei vari Enti preposti, deve seguire la segnalazione al Centro Operativo ed obbliga all’attivazione di procedure di verifica da parte del Centro Operativo. L’attività di avvistamento può essere contestuale alle attività di sorveglianza e di ricognizione. Il Centro Operativo, avuta la notizia della presenza di un fuoco che può generare un incendio boschivo o di un incendio boschivo in atto, attiva le susseguenti procedure di verifica, dispone l’allarme delle Unità di intervento e mette in essere le attività di spegnimento. 4) ALLARME: consiste nell’attivazione della struttura operativa antincendio. È disposto dal Centro Operativo.
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5) SPEGNIMENTO: consiste nell’attuare tutte le operazioni necessarie per l’estinzione dell’incendio. È effettuato dalla struttura antincendio su disposizione del Cento Operativo, ovvero autonomamente, ma in raccordo con il Centro Operativo, secondo le procedure si seguito descritte. Per spegnimento devono intendersi tutte le richieste di intervento, ivi comprese quelle finalizzate alla verifica della segnalazione disposta dal Centro Operativo. Con il primo intervento su focolai e per gli incendi veri e propri, per il coordinamento (DOS) con i compiti e le diverse responsabilità degli enti e delle associazioni locali che partecipano alla lotta attiva nell’ambito del sistema di protezione civile regionale.
Ricognizione e Sorveglianza
Le funzioni di ricognizione e sorveglianza sono attribuite dalla Legge quadro sulle aree protette (L. 394/91) ai Carabinieri/Forestale. La legge quadro sugli incendi boschivi (L. 353/2000) individua nei Carabinieri/Forestale la struttura che concorre allo svolgimento del monitoraggio per la prevenzione del dissesto idrogeologico e la Legge 36/2004 ha ribadito i compiti di polizia ambientale e forestale, oltre a quelli di pubblica sicurezza e di protezione civile affidati ai Carabinieri/Forestale, in particolare le competenze in merito al “pubblico soccorso e interventi di rilievo nazionale di protezione civile su tutto il territorio nazionale con riferimento anche al concorso con le regioni nella lotta attiva agli incendi boschivi e allo spegnimento aereo degli stessi”. Nel periodo di massimo rischio di incendi boschivi, tutti i giorni, negli orari stabiliti, è assicurata la presenza di rappresentanti dei Carabinieri/Forestale presso la sede della Sala Operativa Regionale Permanente – S.O.U.P. di via Cristoforo Colombo 212 a Roma. L’impianto di monitoraggio antincendi di proprietà della Regione Lazio, è parte di un sistema di postazioni sul territorio regionale, collegato ad un centro operativo, presso la Centrale Operativa Regionale dei Carabinieri Forestale di Roma. La Centrale Operativa ospiterà quindi la consolle del sistema di avvistamento, in cui convergeranno i dati e le immagini provenienti dai sistemi forniti delle integrazioni previste dal presente piano. Presso la Centrale Operativa tali informazioni ed immagini verranno visualizzate e registrate. I dati meteorologici, raccolti dai sensori posti sulla torre di avvistamento, verranno visualizzati, registrati ed elaborati all’interno del sistema di supporto alle decisioni al fine di eseguire il calcolo di un apposito indice di meteorologico di previsione del pericolo di incendi boschivi. La stessa Centrale sarà dotata di un idoneo apparato radio che servirà a coordinare e smistare le comunicazioni all’interno della Riserva.
Fiumicino
Il territorio della Riserva Naturale statale del Litorale Romano gestito dal comune di Fiumicino non è al momento attuale dotato di personale addetto a funzioni di vigilanza dedicate in modo specifico a finalità AIB. Sarebbe auspicabile e opportuno introdurre nelle attività di controllo territoriale anche una finalizzazione alla prevenzione degli incendi organizzata in modo armonico. Questo fatto porterebbe a un valido contributo per il buon esito delle operazioni di contenimento dei fronti di fiamma, consentendo che gli eventuali focolai vengano segnalati quanto prima e che l’attivazione delle squadre di lotta attiva sia il più precoce possibile, contribuendo a prevenire eventi di dimensioni elevate. Riprendendo anche quanto riportato sul Piano AIB regionale, il livello di attenzione deve essere relazionato ad ASPETTI SPAZIALI e TEMPORALI, ovvero integrarsi con la priorità territoriale, al fine di porre attenzione verso quelle zone segnalate quali maggiormente vulnerabili nella zonizzazione di sintesi, e con la priorità temporale in funzione sia del pericolo di incendio che delle statistiche sugli incendi pregressi nell’area. Obiettivo del sistema di ricognizione e sorveglianza è quello di svolgere un’attività preventiva e dissuasiva nei confronti dei comportamenti umani che, con o senza intenzione, possano innescare gli incendi. L’unità di ricognizione e sorveglianza dovrebbe essere costituita da almeno 2 figure operative:
Personale con ruolo decisionale e coordinativo (ispettore, capi guardie, etc.), presso (o in diretto contatto con) l’Ente Gestore;
Personale con ruolo operativo, in attività di prevenzione, controllo ed intervento diretto che può essere costituito anche da Volontari che però abbiano conseguito un’adeguata formazione AIB.
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A tale scopo si forniscono le seguenti indicazioni operative di massima:
A. – PERIODI – I servizi di ricognizione e sorveglianza dovranno essere intensificati nella stagione estiva a partire dal 1 giugno fino al 30 settembre, e massimizzati nei periodi con indice di pericolo ALTO e MOLTO ALTO B. – AREE – L’attenzione e la presenza numerica del personale di ricognizione e sorveglianza sarà massimizzata sulle aree in cui la priorità di intervento (cfr. par. 2.11) è ALTA; C. – ORARI – Il servizio di ricognizione e sorveglianza sarà massimo e senza alcuna interruzione negli orari in cui storicamente si è sono verificati il maggior numero di inneschi (cfr. par. 2.5), con particolare attenzione alle seguenti fasce orarie: 13 ‐ 15 e 16 ‐ 18. D. – SORVEGLIANZA ARMATA – Soprattutto in questi orari è fondamentale che le squadre di sorveglianza a terra siano dotate di dispositivi di pronto intervento per l’estinzione (Sistema Modulare Scarrabile).
Avvistamento
Fiumicino
Per quanto riguarda l’avvistamento, si ritiene che nella Riserva esso debba essere effettuato DA TERRA FISSO, eventualmente integrato e supportato da AVVISTAMENTO A TERRA MOBILE per alcune particolari situazioni in cui è già presente un presidio costante sul territorio con finalità di tutela (ad es. Oasi di Macchiagrande) e dove comunque le priorità sono ALTE. In questo ultimo caso si rende necessario un intervento di coordinamento operativo con gli attori esterni all’Ente Gestore presenti sul territorio. Questa modalità viene proposta in funzione delle seguenti caratteristiche territoriali:
‐orografia pianeggiante e conseguente scarsa visibilità del territorio con avvistamento mobile ‐presenza di numerose soluzioni di continuità tra le zone maggiormente boscate ‐presenza di recinzioni e complessità di ingresso con automezzi all’interno delle aree boscate a causa della presenza di numerosi ingressi chiusi e in alcuni casi di accesso ad aree di proprietà privata.
Nel Piano AIB del Lazio le aree a parco sono al terzo livello di priorità per quanto riguarda il servizio di avvistamento e la relativa installazione di impianti di monitoraggio. Si ritiene che debba essere pertanto presa in considerazione la possibilità di installare un dispositivo di monitoraggio automatico come il servizio di video sorveglianza disposto lungo la pista ciclabile di Viale Coccia di Morto che potrebbe essere anche di supporto per la pineta e possa anche inviare segnali a distanza direttamente alla sala operativa regionale. Altri dispositivi o telecamere disposti in atri punti sfruttando le altre piste ciclabili della Riserva o per arrecare il minimo impatto ambientale disporle in posti elevati: Si segnalano la Torre di Palidoro il Castel S. Giorgio di Maccarese e la torre metereologica di Aranova di proprietà dell’ENAV come possibili postazioni. Il sistema dovrebbe essere gestito da personale in capo all’Ente Gestore in coordinamento con la Sala Operativa Regionale. Questo sistema andrebbe a integrare, se opportunamente predisposto, il sistema di avvistamento già presente sul territorio romano della RNS presso la Torre Tumuleti a Castel Fusano (RM). A titolo esemplificativo si pensi che l’avvistamento del penultimo incendio avvenuto nella tenuta di Coccia di Morto è stato effettuato proprio dalla postazione di Castel Fusano. L’integrazione andrebbe pertanto a completare il monitoraggio sull’intero territorio della Riserva ottimizzando le risorse e le infrastrutture complessive di tutta l’area sottoposta a tutela. La realizzazione e il protocollo di messa in opera del sistema sono da concordare in concerto con l’Ente Gestore e con gli altri attori eventualmente coinvolti, e data la complessità richiede comunque l’attuazione di uno specifico studio di fattibilità in cui si evidenzino in modo armonico le esigenze specifiche dell’Ente Gestore, l’integrazione con le strutture attualmente già esistenti nelle realtà attigue e analoghe per vocazione territoriale, la possibile localizzazione con le specifiche progettuali relative e in cui si illustri un ventaglio di possibili soluzioni tecniche complete di preventivi di spesa, evidenziando anche le relative fonti possibili di finanziamento. In questa sede ci si limita ad indicare i seguenti requisiti minimi del dispositivo: installazione di una
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telecamera nel visibile a colori ad alta definizione e luminosità sufficiente per la visione anche notturna (eventualmente con filtri infrarossi), dotata di zoom con grande capacità, brandeggio comandabile sia manualmente che automatico e dotata di sistemi di comunicazione e trasmissione dei dati possibilmente WiFi. Si invita inoltre ad incrementare la presenza di telecamere nei punti in cui c’è possibilità di un maggior movimento, come le aree ricreative, le piazzole di sosta ed i posti limitrofi alla viabilità con un alto traffico. La presenza dei sistemi di sorveglianza avrà una duplice finalità: controllare le zone suddette ed avvistare, nel caso in cui ci fosse un incendio, l’eventuale causa dell’innesco.
Allarme e relative procedure
La segnalazione di incendio può essere fatta da chiunque avvisti un incendio o un principio di incendio anche in aree esterne al bosco, che costituisca minaccia per il bosco stesso, ai numeri riportati di seguito per comune. Ricevuta la segnalazione, l’operatore ne verifica la consistenza, quindi esegue la registrazione con la massima completezza possibile di elementi e porta immediatamente all’attenzione del Responsabile della Sala Operativa, che individua gli operatori che sulla base dell’esperienza avuta nel tempo, sono incaricati di eseguire accertamenti e verifiche necessarie all’eventuale conferma dell’allarme. Il risultato degli accertamenti viene comunicato alle sale operative attivate dalla Regione Lazio a livello provinciale e alla S.O.U.P. Qualora sul luogo dell’incendio intervenga prima una unità di intervento comunale, intercomunale o volontaria il responsabile dell’unità deve predisporre un piano operativo di massima per lo spegnimento e attivarsi per il contenimento delle fiamme fino a che non interviene sul luogo dell’incendio personale dei Carabinieri Forestale o, in assenza di questi, personale del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco. A questo punto si dà inizio alle procedure di attivazione del servizio di estinzione secondo le modalità previste dal Piano regionale AIB. L’ordine di partenza alla squadra viene dato dal Centro Operativo, che comunica anche l’obiettivo da raggiungere e le prime disposizioni operative, oltre al nominativo del Direttore delle Operazioni di Spegnimento (D.O.S.), se presente, che sarà contattato dal Caposquadra non appena sarà stata raggiunta la zona delle operazioni. Previa comunicazione al Centro Operativo e successivo assenso, possono attivare direttamente le Unità di Intervento i comandi dei VV.F. e Carabinieri Forestale, il Sindaco o suo incaricato e il responsabile, o suoi incaricati, delle Unità di Intervento.
GESTORE INDIRIZZO TELEFONO ORARIO
1) CARABINIERI FORESTALE
C.F. Via Baglivi, 6 Roma 1515 -
C.F. Comando Provinciale
Roma Via Baglivi, 6 Roma 06/440661 -
C.F. Centro Operativo
Interforze Via della Villa di Plinio, Ostia
06/5647709
06/5647701
8
H 12
2) REGIONE LAZIO
Regione Lazio - Sala
Operativa Unificata
Permanente
Via R. R. Garibaldi
803555
06/5168640
7-08-10-11-
12-13-15-
16-19
H 24
Carabinieri 112 H 24
Polizia Di Stato 113 H 24
3) VIGILI DEL FUOCO
Vigili del Fuoco Via Genova 115
06 46721 8,00 – 20,00
Vigili del Fuoco -
Distaccamento Aeroporto
Fiumicino
Fiumicino 06/65010176 -
Tabella 36: Uffici, numeri ed indirizzi organi Primo intervento AIB
171 Dott. For. Giacomo Feminò via Vincenzo Monti 29 – 00152 Roma - Cell. 333.37.83.064
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Roma
GESTORE INDIRIZZO TELEFONO ORARIO RAPPRESENTANTI
PROTEZIONE
CIVILE
4) COMUNALE DI COORDINAMENTO GENERALE ANTINCENDIO
Ufficio U.E.P.C. Piazzale di Porta
Metronia, 2
06/67109232
n. verde
800854854
H 24 2
5) RISERVA NATURALE STATALE “LITORALE ROMANO” (Castel Fusano)
Castel Fusano
Sala Interforze Via Villa di Plinio
06/5647709
06/56477018 H 24 -
Castel Fusano
Sala Monitor Via Martin Pescatore
06/50934052
06/50915617 H 24 1
6) POLIZIA LOCALE DI Roma Capitale
Polizia Locale Via della Consolazione 06/67691 H 24 -
Tabella 37: Uffici, numeri ed indirizzi organi Primo intervento AIB Roma Fiumicino
GESTORE INDIRIZZO TELEFONO ORARIO
7) POLIZIA LOCALE - UFFICIO DELLA PROTEZIONE CIVILE
Polizia Locale -
Protezione civile
Piazza Carlo Alberto Dalla
Chiesa 10
Fiumicino
06-65210.8024
06-65210.8025
Dalle 7:00 alle 23:00,
oltre tale orario è
garantita la reperibilità
del personale preposto
(in emergenza 24 h)
8) ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO
Associazione di
protezione Civile Nuovo
Domani
066521700 H24
Associazione Nazionale
Vigili del Fuoco in
congedo G.O.E.A.
333.3345040
06 7236561 H 24
Associazione
Volontariato di
Protezione Civile
L.I.V.E.
Via Serrenti, 99
Fregene
339.5664926
347.6642182 H 24
Associazione Nazionale
Polizia di Stato Sezione
R. Lavarone - Nucleo di
Protezione civile
Via Oletta 22/a Ostia 327.0879368
334.3550408 H 24
Tabella 38: Uffici, numeri ed indirizzi organi Primo intervento AIB Fiumicino
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Procedure operative di intervento Le Procedure già previste dal Piano di Protezione civile in relazione ai livelli di allerta e di superamento dell’emergenza rimangono comunque valide anche per gli interventi all’interno della RNS, rientrando nel Modello di Intervento AIB definito dal Piano regionale del Lazio. Le procedure contemplate dal Piano regionale di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi per il periodo 2011‐2014 sono di seguito riportate. Tali procedure dovranno essere integrate dagli elementi riguardanti la previsione del pericolo di incendio, l’avvistamento armato e coordinamento operativo indicati nei paragrafi precedenti. Il Piano regionale di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi contempla i seguenti casi:
‐incendio già spento: quando sopraggiungono gli operatori, se necessario, provvedono alla bonifica come nel caso di termine intervento; ‐intervento di 1° livello: si tratta del caso in cui gli operatori comunicano la capacità della squadra giunta sul posto di tenere sotto controllo l’incendio (fermo restando l’eventuale successiva comunicazione di passaggio a 2° livello). Al Direttore delle operazioni di spegnimento (DOS), facente parte dei Carabinieri Forestale, è attribuito il coordinamento delle operazioni di spegnimento per cui dirige e coordina sul posto l’attività di lotta connessa al singolo evento; il DOS ha come priorità in ordine decrescente la sicurezza degli operatori, la comunicazione con la Sala Operativa e lo spegnimento diretto. L’incendio può essere gestito anche totalmente senza l’intervento di personale specifico, nel caso non ci sia possibilità di intervento, salvo l’esecuzione di verifiche di rito; ‐Intervento di 2° (e 3° livello): il coordinatore delle operazioni di spegnimento (DOS) fornisce le informazioni standard alla sala operativa e concorda con il Responsabile della Sala Operativa la strategia di intervento da adottare, comprese le forze necessarie per il compimento delle operazioni. Il DOS svolge sempre in prima persona le funzioni di comunicazione con la sala operativa e di coordinamento di forze non territoriali (in caso di intervento di 3° livello); ‐Qualora si verifichino più interventi di 3° livello, il Responsabile della Sala Operativa li classifica per gravità e rischio concentrando le risorse su quello a maggior rischio fino a soddisfare le esigenze dei DOS in modo da mettere sotto controllo l’incendio e passare poi al secondo incendio per ordine di gravità e così via. Il DOS comunica il passaggio dell’intervento dal 3° al 2° livello e quindi da spegnimento a bonifica, con l’individuazione delle opportune modalità comunicate alla S.O.U.P. e dei responsabili delle operazioni di bonifica e sorveglianza. L’intervento è considerato “chiuso” dal Responsabile della Sala Operativa assieme alla relativa scheda quando il DOS assicura lo spegnimento dei focolai, le operazioni di bonifica sono terminate o entrano nella fase di sorveglianza e messa in sicurezza dell’incendio. Nel caso di intervento diretto sul posto da parte dei Carabinieri Forestale, le principali informazioni di contatto del responsabile di coordinamento delle operazioni a terra dei Carabinieri Forestale (sigla radio e recapito telefonico diretto) devono essere comunicate alla Sala Operativa Unificata Permanente al fine di relazionare costantemente sulla situazione in atto, quindi per le valutazioni e decisioni della stessa S.O.U.P. La stessa procedura sarà attuata nel caso di intervento di Unità non afferente ai Carabinieri Forestale. Il Responsabile‐coordinatore delle operazioni opererà in accordo e seguendo gli indirizzi impartiti dalla S.O.U.P., informando in maniera costante la Sala in merito all’andamento dell’incendio.
Roma
Per determinare gli Stati di Attivazione (SA) a seconda dei possibili scenari, si è preferito considerare tutti i fattori componenti la pericolosità elevati al valore massimo, differenziando così il tipo di SA in base al periodo climatico (così come da norme regionali, statali, comunali), in base ai fenomeni meteorologici previsti ed in base alle informazioni che il DOS (Direttore Operativo dello Spegnimento) fornisce sullo sviluppo dell’evento in atto. A partite dallo Stato di Attivazione SA1 è prevista, in caso d’evento, la richiesta d’intervento alla S.O.U.P. e nei casi SA2 e SA3 la presenza di un operatore comunale di “collegamento” presso il Comando dei Vigili del fuoco di Roma, ove possibile. Per la determinazione degli Stati di Attivazione si fa riferimento ai seguenti possibili casi:
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Tabella 39: Determinazione degli stati di attivazioni possibili
Attualmente l’attività di estinzione degli incendi boschivi nella Riserva Naturale Statale del Litorale Romano è regolamentata dalle disposizioni contenute nell'ordinanza del Sindaco di Roma n° 101 del 17/5/2000. Nell'ordinanza sono indicate le procedure di intervento, le competenze delle strutture comunali e le risorse disponibili nelle diverse aree. Tra queste la più rilevante per l'area della Riserva è presso Castel Fusano, che conta su una propria postazione nell'area, dotata di personale e mezzi. Nell’ambito del presente progetto si è realizzato un inventario dei mezzi e delle risorse disponibili, dell’attuale organizzazione e delle modalità di intervento sull’incendio. I risultati dell’inventario sono riportati nell’elaborato “Pianificazione degli interventi” in cui vengono descritte le proposte di integrazione. Nel presente elaborato vengono indicate le linee guida che sono state seguite nel ridisegnare l’organizzazione dell’estinzione, nate in particolare dalla individuazione degli aspetti dell’organizzazione attuale suscettibili di miglioramento. Nell’ambito dell’estinzione particolare enfasi è stata data alla professionalità degli operatori del servizio AIB nella Riserva, da formare con appositi corsi, ed alla loro sicurezza, per la quale si devono garantire condizioni di operatività adeguate e Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) idonei al lavoro di estinzione. Risulta quindi assolutamente necessario, in particolare, per intervenire nella lotta attiva e di contrasto agli incendi boschivi, che tutti gli operatori siano equipaggiati con adeguati Dispositivi di Protezione Individuale (D.P.I.), che siano in possesso di specifica e certificata idoneità fisica allo spegnimento degli incendi boschivi e che siano dotati di adeguata formazione professionale, come previsto dalle vigenti normative in materia di protezione, sicurezza e di lotta incendi boschivi; L’art. 74 del D.Lgs. 9 aprile 2008 n. 81 definisce i Dispositivi di Protezione Individuali (D.P.I.), “qualsiasi attrezzatura destinata ad essere indossata e tenuta dal lavoratore allo scopo di proteggerlo contro uno o più rischi suscettibili di minacciarne la sicurezza o la salute durante il lavoro, nonché ogni complemento o accessorio destinato a tale scopo”. Pertanto l’abbigliamento indossato per svolgere funzioni di protezione da rischi specifici o generici (tute o divise per l’antincendio boschivo) sono da considerarsi D.P.I. L’equipaggiamento individuale deve proteggere il personale che opera in attività di antincendio boschivo da contatti con le fiamme e/o da corpi surriscaldati o in combustione, evitare che il calore radiante o convettivo raggiunga la superficie corporea e consentire nello stesso tempo di smaltire il calore corporeo prodotto a seguito dell’attività fisica. L’equipaggiamento deve altresì consentire lo
Scenario Incendi boschivi Stato di Attivazione
Tipo Casi possibili
Area
naturale
Rischio e incendio in area naturale:
Proclamazione della campagna antincendio
Ricezione di Bollettini della Regione o dello Stato, con
pericolosità media
Incendio in area naturale/fascia perimetrale che secondo il DOS
(od operatore abilitato allo spegnimento) non rischia di
propagarsi verso aree di interfaccia
SA1
Area
di
interfaccia
Evoluzione incendio da area naturale ad interfaccia:
Incendio in area naturale/fascia perimetrale che secondo il DOS
si può propagare verso l’area di interfaccia
Ricezione di Bollettini della Regione o dello Stato, con
pericolosità alta
SA2
Incendio in area di interfaccia:
In caso incendio in area naturale/fascia perimetrale con il fuoco
che si propaga verso l’area di Interfaccia
SA3
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svolgimento dell’attività propria dell’operatore. I D.P.I. non devono ostacolare i movimenti e la percezione sensoriale e non devono arrecare disagi che possano affaticare l’operatore, limitandone il grado di attenzione. L’equipaggiamento individuale degli operatori A.I.B. è costituito da un insieme di D.P.I. (tuta, casco, occhiali ecc.) destinati a proteggere dai rischi che possono verificarsi durante le operazioni di spegnimento incendi. I D.P.I. devono, per legge, riportare il marchio CE il quale indica la conformità ai requisiti essenziali di salute e sicurezza. Inoltre il dispositivo di sicurezza deve contenere un manuale di istruzioni per l’uso, conservazione, pulizia, manutenzione, data di scadenza, categoria e limiti. Le priorità individuate nel presente progetto per quanto riguarda l’estinzione sono pertanto le seguenti. Garantire un intervento in sicurezza attraverso:
La predisposizione di condizioni di operatività adeguate e commisurate ai livelli di intensità attesi del fronte di fiamma
L’adozione di equipaggiamento di protezione individuale adeguato L’addestramento degli operatori Garantire la tempestività e l’efficacia del primo intervento al fine di contenere il fronte prima che
assuma proporzioni pericolose (primo attacco rapido ed efficace) attraverso: L’attivazione del servizio di previsione del pericolo di incendio e sua integrazione con il servizio di
estinzione La modulazione e l’intensificazione del servizio di avvistamento e di presidio sul territorio al
verificarsi di livelli di pericolo prefissati. La messa in atto di specifiche procedure di pre‐allerta al verificarsi di livelli di pericolo prefissati. Il miglioramento del flusso di informazioni dalla Centrale Operativa e di monitoraggio locale verso
le squadre di primo intervento Il miglioramento della rapidità di azione delle squadre di primo intervento agendo sulla loro
mobilità sul corretto dimensionamento delle attrezzature personali e di squadra L’addestramento degli operatori Garantire la tempestività e l’operatività di mezzi aerei di supporto all’estinzione a terra attraverso: La realizzazione di una piazzola di atterraggio per elicotteri leggeri e medi. La realizzazione di apposita convenzione con società privata che garantisca la tempestività
dell’intervento su richiesta.
Fiumicino Di seguito si prospetta uno schema procedurale, suddiviso in schede esemplificative (A e B) degli scenari possibili con diverse tipologie di intervento sia di piccola entità sia di una certa complessità in cui per le operazioni di direzione e coordinamento intervengono i soggetti sopra citati.
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SCHEDA
PROCEDURALE: A CONTENUTO: ATTIVITA’ PER
SCENARI
pag. 1 di 2
SCENARIO 1
Periodo con indice di pericolo “BASSO” o “MODERATO”
SORVEGLIANZA
Personale di vigilanza ente gestore RNS
Normale attività di controllo del territorio
SCENARIO 2
Periodo con indice di pericolo “ALTO” o “ELEVATO”
SORVEGLIANZA INTENSA e MONITORAGGIO SPECIFICO
finalizzato all’avvistamento di focolai;
DISSUASIONE dei comportamenti a rischio (es. Accensione fuochi)
Personale di vigilanza ente gestore RNS
Attivazione COI/COC
Sorveglianza con particolare attenzione a:
Attività umane a rischio (abbruciamenti, presenza turistica, presenza di
situazioni anomale con possibilità di accensione focolai per colpa o dolo);
Aree con elevato “indice di sintesi”;
Orari maggiormente a rischio;
Relazione periodica al COI/COC
SCENARIO 3
Avvistamento di focolaio
VERIFICA DETTAGLIATA DELLA SITUAZIONE
COMUNICAZIONE dei dati al C.O.I. per l’attivazione dell’allarme e la
richiesta dell’intervento di estinzione
Presidio della zona
Personale di vigilanza ente gestore RNS
COI/COC
Porsi in situazione di sicurezza
Verificare la situazione, in particolare per quanto riguarda la sicurezza di
persone presenti
Attivazione immediata dell’intervento tramite segnalazione al COI/COC
dei dati relativi a:
o Località;
o Situazione del fronte di fiamma (estensione, tipologia)
o Situazione di pericoli specifici (persone e strutture)
o Situazione territoriale (copertura vegetale, presenza di strutture)
o Situazione meteorologica (vento)
o Situazione logistica (accesso, punti acqua, presenza di elettrodotti o
cavi aerei)
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SCHEDA
PROCEDURALE: A CONTENUTO: ATTIVITA’ PER
SCENARI
pag. 2 di 2
SCENARIO 4
SITUAZIONE Incendio in corso
ATTIVITA’ Adeguamento delle attività a quanto richiesto dal D.O.S.
Supporto logistico e informativo alle squadre di estinzione
Verifica costante della situazione e comunicazione costante con gli attori
dell’estinzione
Presidio della zona
SOGGETTI COINVOLTI COI/COC
D.O.S.
Squadre di estinzione
Altri Enti coinvolti nell’estinzione e presidio
NOTE PROCEDURALI Rimanere a disposizione del D.O.S.
SCENARIO 5
SITUAZIONE Incendio terminato
ATTIVITA’ Controllo sulle zone bonificate
Verifica della superficie percorsa dal fuoco
Stima dei danni a carico del soprassuolo
SOGGETTI COINVOLTI Personale di vigilanza ente gestore RNS
COI/COC
Altri Enti coinvolti nell’estinzione
NOTE PROCEDURALI
SCHEDA
PROCEDURALE: B CONTENUTO: SEGNALAZIONI
INCENDIO
pag. 1 di 2
SITUAZIONE Avvistamento di focolaio
SOGGETTI
COINVOLTI Personale di vigilanza ente gestore RNS COI/COC
Eventuali soggetti esterni all’Ente Gestore
DATI FONDAMENTALI DELLA SEGNALAZIONE
Coordinate temporali SEGNALAZIONE PERVENUTA: gg/mm/anno – hh: mn
SEGNALAZIONE VERIFICATA: gg/mm/anno – hh: mn
Evento riscontrato Focolaio contenuto (o abbruciamento localizzato)
Fronte di fiamma esteso
Localizzazione Dati fondamentali:
Località
Dati eventuali:
Coordinate
Sicurezza Persone e manufatti sono lontani dalla zona
Persone sono in pericolo
Manufatti sono in pericolo
Territori e strutture L’incendio interessa solo ambienti naturali
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coinvolte L’incendio minaccia strutture o infrastrutture
L’incendio ha coinvolto strutture o infrastrutture
Soprassuolo Dati fondamentali:
Incendio boschivo
Incendio di arbusteto
Incendio pascolivo
Dati eventuali:
Tipologie di copertura e specie presenti
Modelli di combustibile presenti
Tipologia fronte di
fiamma
Dati fondamentali:
Radente
Passaggio in chioma
Dati eventuali:
Fenomeni di “spotting”
Velocità stimata del f.d.f.
Altezza delle fiamme
Intensità stimata del f.d.f.
Dati del segnalante Tipologia:
Segnalazione proveniente da personale della RNS
Segnalazione proveniente da personale di altri Enti
Segnalazione proveniente da cittadini
Dati eventuali:
Nominativo segnalante
Recapito segnalante
SCHEDA
PROCEDURALE: B CONTENUTO: SEGNALAZIONI
INCENDIO
pag. 2 di 2
DATI PER IL SUPPORTO LOGISTICO ALL’INTERVENTO
Accesso Modalità di accesso all’area di intervento
Località consigliata per la base operativa
Rischi particolari Rischi legati alla presenza di linee aeree
Rischi legati alla presenza di materiali pericolosi
Altri fattori di rischio di cui si è a conoscenza
Situazione
meteorologica Vento
Eventuali precipitazioni
Temperatura
Presenza operativa Unità già presenti sul posto
Dettagli logistici Localizzazione dei punti di approvvigionamento idrico
Piazzole o luoghi idonei all’atterraggio degli elicotteri
Comunicazioni Tipologia di comunicazioni utilizzabili
(radio UHF-VHF, gsm, etc.)
Canali radio utilizzati e rispettivi utilizzatori
Eventuali appuntamenti periodici per comunicazioni
Tabella 40: Schema proceduale suddiviso in schede esemplificative (A e B) degli scenari possibili con diverse tipologie di intervento
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Recepimento‐collegamento al sistema di allertamento del Piano AIB regionale Di seguito si riportano dei modelli organizzativi per lo svolgimento delle funzioni di coordinazione degli Enti preposti allo svolgimento delle operazioni di spegnimento da parte della S.O.U.P.: ‐nel caso di incendio caratterizzato da soprassuoli forestali dove sono prevalenti la salvaguardia di valori
vegetazionali, ambientali e paesaggistici, ancorché in esso siano presenti limitate strutture antropizzate, il personale dei Carabinieri Forestale assume la direzione ed il coordinamento delle operazioni di contrasto a terra. Il Direttore delle operazioni di spegnimento (D.O.S.) assume contestualmente la responsabilità dell’attività di aerocooperazione, qualora richieda l’intervento dei mezzi aerei secondo le procedure appositamente emanate. Il personale del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco assume la gestione degli interventi riguardanti la difesa degli insediamenti civili ed industriali, delle infrastrutture e delle persone presenti all’interno delle aree interessate da tali incendi, con la direzione delle relative operazioni di spegnimento, secondo le proprie procedure operative, di concerto con il D.O.S. dei Carabinieri Forestale;
‐nel caso di incendi che interessano anche zone boschive caratterizzati da situazioni tipiche di interfaccia o aree in cui esiste una stretta interconnessione tra strutture antropizzate e soprassuolo arboreo forestale, il personale del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco assume la direzione ed il coordinamento delle operazioni di contrasto a terra, acquistando fondamentale importanza il contrasto a situazioni di rischio elevato per la popolazione; ‐qualora gli incendi boschivi per estensione e/o pericolosità minacciano di propagarsi ad entrambe le tipologie di cui ai punti a) e b) e assumano particolare gravità o complessità tali da richiedere contemporaneamente l’intervento di entrambi i Corpi, il D.O.S. e il R.O.S. si coordineranno per razionalizzare e ottimizzare gli interventi.
L’attività di coordinamento delle due strutture nel periodo compreso tra 15 giugno e 30 settembre è assicurata dalla S.O.U.P. Nel caso, quindi, di incendi di interfaccia, la S.O.U.P. provvede a informare immediatamente il sindaco contattando il presidio operativo comunale, il Prefetto e la Sala Operativa Regionale di Protezione civile.
Roma
Rapporti con Enti e Istituzioni Esterne 1. La Sala Operativa AIB, durante il periodo di massimo rischio, manterrà uno stretto contatto operativo con: a. i Carabinieri Forestale, i Vigili del Fuoco e il Dipartimento Istituzionale di Protezione Civile della Regione Lazio. b. L’Ente Parco Regionale dell’Appia Antica partecipa al Piano AIB 2011 secondo le attribuzioni previste dall’art. 8 della legge 21.11.2000, n. 353. c. L’Ente Regionale Roma Natura partecipa al Piano AIB 2011 secondo le attribuzioni previste dall’art. 8 della legge 21.11.2000, n. 353. d. L’Ente Regionale Parco di Veio partecipa al Piano AIB 2011 secondo le attribuzioni previste dall’art. 8 della legge 21.11.2000, n. 353. e. L’Ente Regionale Parco di Bracciano e Martignano partecipa al Piano AIB 2011 secondo le attribuzioni previste dall’art. 8 della legge 21.11.2000, n. 353.
4.3 SINTESI SITUAZIONE DEI PIANI COMUNALI DI EMERGENZA PER GLI ASPETTI AIB
L’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri del 28 agosto 2007, n. 3606 “Disposizioni urgenti di protezione civile dirette a fronteggiare lo stato di emergenza in atto nei territori delle regioni Lazio, Campania, Puglia, Calabria e della regione Siciliana in relazione ad eventi calamitosi dovuti alla diffusione di incendi e fenomeni di combustione” dispone all’art. 1, comma 9, che i sindaci dei comuni interessati delle Regioni di cui alla citata ordinanza predispongano i piani comunali di emergenza, che dovranno tener conto prioritariamente delle strutture maggiormente esposte al rischio di incendi di interfaccia, al fine
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della salvaguardia e dell’assistenza della popolazione. La predisposizione di tali piani di emergenza, che deve essere attuata dai comuni in tempi brevi, necessita delle risultanze delle attività previste dalla stessa ordinanza all’art. 1, comma 8, ovvero della perimetrazione e classificazione delle aree esposte ai rischi derivanti dal manifestarsi di possibili incendi di interfaccia, nonché dell’organizzazione dei modelli di intervento, che dovrà essere effettuata dalle Prefetture ‐ Uffici Territoriali del Governo con il coordinamento delle Regioni ed in collaborazione con le Province interessate, con l’ausilio del Carabinieri forestale e del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, nonché delle associazioni di volontariato ai diversi livelli territoriali. L’area è dotata di Piano comunale di protezione civile “Piano di emergenza per il rischio da incendi boschivi e di interfaccia ed il rischio idrogeologico ed idraulico” approvato con D.C.C. n. 5/2015. Il comune di Fiumicino ha anche approvato il Regolamento Comunale di Protezione Civile con Delibera n. 70 del 09/11/2009. All’interno dello stesso atto amministrativo è istituito il Servizio Comunale di Protezione Civile le cui attività sono definite dallo stesso Regolamento e sono definiti i livelli e fasi di allertamento che corrispondono alle seguenti procedure di operatività da attivare in particolare per gli incendi di interfaccia:
‐nessuno: previsione di pericolosità bassa riportata dal Bollettino giornaliero; ‐preallerta, che si attiva nei seguenti casi: Con la comunicazione dell’inizio della campagna A.I.B; Al di fuori del periodo di campagna A.I.B., successivamente alla comunicazione nel bollettino di
previsione di pericolosità media; In caso di incendio nel territorio della riserva. ‐attenzione: Ricevimento del Bollettino con previsione di pericolosità alta; Incendio boschivo che secondo le valutazioni del DOS potrebbero propagarsi verso la “fascia
perimetrale”. In questa fase la struttura comunale attiva il presidio operativo che invia le squadre di volontari per una ricognizione dell’evento e sulla base dell’esito di tali ricognizioni si procede con le operazioni di spegnimento o si procede con la comunicazione agli organi provinciali e/o regionali di protezione civile e antiincendio;
‐preallarme: è attivata al raggiungimento del relativo livello di allerta nel caso di incendio boschivo prossimo alla fascia perimetrale e che, secondo le valutazioni del D.O.S., andrà sicuramente a interessare la fascia di interfaccia: in tal caso il D.O.S. fornisce comunicazione al S.O.U.P. e C.O.R. ‐allarme: è attivata in caso di incendio in atto nella fascia perimetrale. In tale fase vengono eseguite le attività di soccorso, evacuazione e assistenza alla popolazione.
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5. MONITORAGGIO
5.1 COMMENTO SU EVENTUALI AZIONI AIB SVOLTE, RISULTATI ED EFFETTI SU PIANIFICAZIONE AIB
Prevenzione diretta Roma
Si riporta brevemente quanto già indicato per singoli interventi di prevenzione diretta e indiretta. Interventi selvicolturali: riduzione del carico di combustibile lungo i perimetri esterni Realizzate – manutenzioni: 2005 ‐ 2008 – 2010 ‐ 2012 Interventi localizzati di prevenzione Realizzati – manutenzioni: 2005 – 2008 – 2010 ‐ 2012 Prevenzione indiretta: informazione e sensibilizzazione Cartelli tradizionali Realizzati e installati Viali tagliafuoco (viabilità operativa) manutenzioni: 2003 – 2004 – 2005 – 2006 – 2007 – 2008 – 2010 ‐ 2012. Il comune in seguito al grosso incendio del 2017 che ha colpito Castel Fusano ha effettuato una grande opera di ripristino della funzionalità dei viali tagliafuoco, attraverso l’eliminazione dei tronchi caduti e della eliminazione di parte della necromassa ancora in piedi e della messa in sicurezza dell’area. Si sta muovendo per riqualificare e recuperare l’area percorsa dal fuoco mediante un progetto condiviso. Ha riattivato la telecamera AIB sul Castello di Giulio II e sta predisponendo l’installazione di nuove 3 telecamere AIB per un migliore monitoraggio del territorio. Si sta inoltre riqualifificando il parco dei mezzi AIB per renderlo di nuovo efficiente. Il 19 aprile 2018 la firma del Protocollo d'intesa con la sindaca di Roma Capitale Raggi, il sindaco del comune di Fiumicino Montino, il ministro dell'Ambiente Galletti e il Comandante dell'Arma dei Carabinieri Nistri. Previsto il potenziamento della sorveglianza. Verranno incentivate oltre le attività di sorveglianza, e saranno definiti dei programmi integrati per il recupero ambientale delle aree boschive percorse dal fuoco, insieme a una serie di iniziative per l’educazione ambientale, la cittadinanza attiva e le buone pratiche gestionali. Si sta riattivando l’azienda agricola comunale di Castel di Guido attraverso la riqualificazione di parte delle recinzioni per il bestiame che hanno anche funzionie AIB, il ripristino del caseificio, l’assunzione di nuovo personale aziendale che andrà formato anche in merito all’AIB. Sta predisponendo l’acquisto di mezzi necessari anche alla prevenzione AIB quali trincia. L’efficienza dell’azienda agricola vuol dire una corretta manutenzione del territorio, in maniera sostenibile sia da un punto di vista agricolo che ambientale nel rispetto della biodiversità animale e vegetale. Anche l’OO.A.V. Associazione Nazionale Vigili Del Fuoco in congedo, in convenzione con il comune di Roma, ha aumentato il proprio parco mezzi AIB. Fiumicino
Nel corso dell’anno 2016 le attività AIB della Riserva, ad eccezione di quanto concerne sistemi di avvistamento, l’acquisto di macchine e attrezzature, sono state ben articolate e distribuite tra le voci indicate nel Piano e previste dalla normativa. Per quanto concerne le attività di previsione e di prevenzione è possibile annoverare le attività svolte dall’A.C. e relative alle manutenzioni delle aree verdi di proprietà (Villa Guglielmi e la Pineta Monumentale di Fregane), e lo sfalcio della vegetazione a ridosso delle strade, nonché gli interventi di messa in sicurezza della Pineta di Fregene. Per quanto riguarda le aree boscate private nel 2016 a seguito della richiesta pervenuta da parte dei proprietari della pineta di Coccia di Morto è stato rilasciato parere favorevole per la manutenzione ordinaria delle fasce tagliafuoco esistenti nella Pineta di Coccia di Morto. Con DGC n. 180 del 29/12/2016 è stato inoltre approvato il progetto per la fornitura e la posa in opera di paline segnaletiche perimetrali e cartellonistica informativa sulla Riserva. In particolare per l’intervento di Messa in sicurezza della Pineta di Fregene sono stati effettuati una serie di interventi di potatura delle alberature che sono state valutate a seguito perizia redatta da professionista abilitato pericolose per i fruitori del parco in quanto a rischio crollo; inoltre sono
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stati rimossi e smaltiti i tronchi e rami caduti eliminando il materiale secco caratterizzato da una elevata combustibilità (nei mesi precedenti l’intervento si sono infatti verificate più volte rotture improvvise e crolli di alberature ammalorate e o di parti di esse). L’intervento ha previsto inoltre la riqualificazione del parco attraverso la sostituzione degli arredi esistenti ammalorati, e la posa in opera di ulteriori elementi di arredo quali panchine, cestini portarifiuti idonei per la raccolta differenziata, portabiciclette, piccole zone d’ombra e tavolini da picnic, giochi bimbi ecc.; Infine è stata completata la recinzione anche al fine di controllare e regolamentare l’afflusso dei fruitori. La pineta inoltre è stata oggetto di una ricerca dendroecologica condotta da parte dell’Ass. Catalano in collaborazione con l’Università della Tuscia e realizzata con il Contributo della Città di Fiumicino. I risultati della ricerca con la quale sono stati analizzato numerosi esemplari hanno evidenziato la presenza di esemplari vetusti con oltre 220 anni di età, attribuendo quindi alla Pineta di Fregene la presenza di Pinus pinea più vecchi finora scientificamente datati in tutto il bacino del Mediterraneo. Attualmente è in corso la valutazione strumentale della stabilità delle alberature. Manutenzione‐riqualificazione parco di Villa Guglielmi – anche in tale area l’intervento ha previsto una serie di interventi di potatura delle alberature che sono state valutate a seguito perizia redatta da professionista abilitato pericolose per i fruitori del parco in quanto a rischio crollo; inoltre sono stati rimossi e smaltiti i tronchi e rami caduti eliminando il materiale secco potenziale, caratterizzato da una elevata combustibilità (nei mesi precedenti l’intervento si sono infatti verificate più volte rotture improvvise e crolli di alberature ammalorate e o di parti di esse); L’intervento ha previsto inoltre la riqualificazione del parco attraverso la sostituzione degli arredi esistenti ammalorati, la posa in opera di ulteriori elementi di arredo, il ripristino della totale funzionalità della recinzione nonché la piantumazione di nuove alberature. Per quanto riguarda i sistemi di avvistamento, l’acquisto di macchine e attrezzature e la sorveglianza AIB, nel 2016 non è stato possibile effettuare acquisti/investimenti a tal fine. È attualmente in corso di validità la convenzione tra la Città di Fiumicino e l’Ass. Nuovo Domani con la quale sono stati affidati in convenzione i servizi di protezione civile di prevenzione, previsione e interventi di emergenza, monitoraggio e pronto intervento; tra le attività svolte dall’Ass. Nuovo Domani rientrano anche quelle atte a garantire un servizio rapido ed efficiente di primo intervento e di antincendio su tutto il territorio comunale ed in particolar modo nelle zone boschive ricadenti nel perimetro della Riserva. Relativamente all’attività formativa ed informativa l’A.C. ha anche nel 2016 destinato parte dei fondi della Riserva per il progetto ECO‐SCHOOLS che, tra l’altro, comprende attività di educazione ambientale sulla prevenzione degli incendi con divulgazione di materiale informativo presso le scuole del territorio. Infine per le attività di recupero ambientale, l’Amministrazione si è adoperata al fine di bonificare, all’occorrenza, le aree sulle quali, in più occasioni sono state denunciate la presenza di piccole discariche abusive. Per prevenire tale fenomeno, incrementato con l’attivazione della raccolta rifiuti porta a porta in tutto il territorio comunale, l’Amministrazione ha avviato il progetto sperimentale delle foto‐trappole. Obiettivo: con un sistema di monitoraggio delle strade comunali individuare i trasgressori. A tal proposito la Giunta, con una delibera, ha accettato, a seguito della partecipazione al Bando per la concessione di contributi ai Comuni della Città Metropolitana di Roma Capitale, una cifra pari a 42.500 euro proprio per avviare il progetto «Monitoraggio delle strade comunali e provinciali per la verifica della presenza di particolari tipologie di rifiuti e successiva raccolta periodica». Per quanto riguarda la formazione del personale addetto all’attività AIB, sono previsti nella convenzione stipulata tra a Città di Fiumicino e l’Ass. “Nuovo Domani” anche dei costi rimborsabili relativi alla formazione ed all’aggiornamento del loro personale. Entrambi gli enti gestori rappresentati dai comuni di Roma e Fiumicino, sulla base del Protocollo firmato con il Parco Regionale dei Castelli Romani riguardante l’impiego di sistemi sofisticati di telerilevamento per incendi boschivi mediante impianti di rilevamento ottici con IR, dovrebbero implementare le loro disposizioni riguardanti la prevenzione e la prontezza d’intervento in tale direzione.
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Un sistema per il monitoraggio ambientale di vaste aree di territorio e per il rilevamento di incendi boschivi non è un comune sistema di videosorveglianza ma deve avere delle caratteristiche peculiari adatte allo specifico scopo, quali:
integrare più sensori (es: telecamere visibili, sensori IR, stazioni meteo); utilizzare sistemi brandeggiabili con controllo manuale e automatico per scansionare le aree da
monitorare; fornire immagini dettagliate a più ampio spettro possibile per l'identificazione immediata degli
eventi su tutto lo scenario in maniera tempestiva; utilizzare apparati ad alta tecnologia, in grado di operare in maniera continuativa in condizioni
ambientali difficili; essere in grado di fornire i dati da una o più postazioni, necessarie per la copertura globale del
territorio; essere scalabile, in modo che sia possibile integrarlo in futuro con nuovi sensori e nuove
funzionalità a coprire esigenze che possano manifestarsi durante l'utilizzo operativo del sistema. In un sistema di rilevamento incendi boschivi i tempi di intervento sono fondamentali. In condizioni mbientali critiche, un principio di incendio può impiegare pochi minuti per diventare estremamente pericoloso e persino incontrollabile. Una peculiarità di questi sistemi deve, pertanto, essere il tempo ridotto di identificazione degli incendi al loro stato superficiale, prima che le fiamme si estendano in altezza. E', pertanto, necessario adottare particolari sensori per il monitoraggio, con risoluzione elevata e a campo visivo stretto in modo da restituire immagini il più possibile dettagliate di aree a grande distanza dal punto di installazione. Per la realizzazione di tale sistema è necessario prevedere diverse componenti, descritte nel dettaglio in seguito: Sistema Panoramico Visibile e IR Sistema PTZ Stazione meteo Sistema di alimentazione autonoma Rete di connessione Console di comando e controllo Funzionalità avanzate
Sistema Panoramico Visibile e IR Lo strumento ideale in un simile contesto è l'adozione di un sistema che fornisca un'unica immagine panoramica ad altissima definizione per ciascuna postazione, aggiornata continuamente con frequenza elevata non superiore ai 300 secondi. L'immagine panoramica deve garantire un livello di dettaglio tale che l'ispezione visiva permetta di rilevare gli eventi a grandi distanze, anche a diversi km rispetto al punto di osservazione. Per far questo l'immagine complessiva deve essere composta da una serie di singoli frame con le seguenti caratteristiche: la risoluzione del singolo frame visibile non deve essere inferiore a 2 Megapixel; il FOV (campo di vista) orizzontale del singolo frame deve essere non superiore a 10°.
L'immagine panoramica complessiva risultante deve avere un FOV (campo di vista) adattabile allo scenario che si desidera monitorare, non inferiore ai 45° fino a un massimo di 360° con un aggiornamento costante e continuo che non deve superare i 300 secondi tra un refresh e l'altro.
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‐ Fiumicino ‐ DGC n. 105 del 15/09/2016: Aggiornamento del catasto incendi al 2015
‐ Fiumicino ‐ Determina n 5 del 25 01 2017 svolgimento in convenzione dei servizi di protezione civile di prevenzione, previsione e interventi di emergenza, monitoraggio e pronto intervento antincendio. Periodo 25/01/2017 – 31/12/2017. Determinazione di aggiudicazione
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