Post on 11-Sep-2020
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Demonizzazione
Demonizzazione
Una volta entrato in guerra, ogni paese assume nei confronti di quelli nemici un atteggiamento complessivamente poco amichevole. Particolari elementi religiosi, ideologici, «razziali» o di altra natura possono inoltre inasprire lo scontro e rendere ancora più sgradevole l’immagine dell’altro che ciascuno dei contendenti si rappresenta. Diventa comune l’uso di scambiarsi accuse reciproche, anche infamanti, e perfino, come abbiamo già visto, di lavorare di fantasia per imbruttire ancor di più il volto già antipatico dell’avversario.
Demonizzazione
Ma è la propaganda inglese a dare per prima la prova che guadagnarsi le simpatie dei neutrali e scatenare l’odio verso il nemico possono essere obiettivi pianificati a tavolino, con un lavoro che può avvalersi di tecniche professionali e metodi precisi. Il risultato sarà così clamoroso che appare del tutto legittimo parlare di «demonizzazione» del nemico.
Contropiede
Occorre premettere che la strategia della
propaganda inglese prende gran parte del suo
slancio iniziale dalle mosse concrete dei tedeschi,
spesso arroganti e aggressive, configurandosi come
quello che nel calcio si chiama «gioco di rimessa».
L’invasione del Belgio
La prima grande occasione per uscire dalla fase
«spontaneista» si presenta subito, all’inizio del conflitto,
quando il bisogno di sferrare un colpo risolutivo induce i
tedeschi a violare la neutralità del Belgio. L’invasione del
piccolo paese suscita l’indignazione universale.
Il Belgio oppone peraltro una resistenza tanto fiera quanto inaspettata e gli occupanti, esasperati per l’intralcio a un piano strategico basato sulla velocità e per la difficoltà a muoversi tra una popolazione ostile, adottano una violenta politica repressiva.
Filtrate da fonti ufficiali
belghe, iniziano a
circolare le prime voci di
soprusi e “atrocità”
perpetrate dall’esercito
tedesco, anche nei
confronti di vittime
innocenti: rappresaglie
contro i civili belgi
accusati di essere spie o
franchi tiratori, esecuzioni
sommarie, incendi e
deportazioni.
Il 25 agosto la città di Lovanio, subisce una violenta
devastazione con l’uccisione di 248 civili, la distruzione di
oltre 2.000 edifici e l’espulsione dei 42.000 abitanti.
Gli studiosi hanno calcolato che, tra i civili belgi e francesi, tra l’agosto e il novembre del 1914, le vittime dell’esercito tedesco siano state più di 6.500; senza contare la distruzione di 25.000 edifici e circa un milione e mezzo di profughi (il 20% dell’intera popolazione) riparati all’estero.
Tuttavia il «pugno di ferro» usato in Belgio dall’esercito tedesco, pur segnato da asperità «eccessive», a un giudizio storico sereno e documentato, non sembra andare così oltre le «normali» leggi di guerra, né troppo diverso da quello di altri eserciti in paesi occupati.
Katyn
Radoh
Algeria
My Lai
Guantanamo
La condotta tedesca
Le notizie sulla estrema durezza della condotta dei
tedeschi in Belgio vengono sparse a piene mani dalla
stampa inglese, eccitando ancor di più lo sconcerto e
l’irritazione del consesso internazionale.
Le storie di atrocità
I giornali più autorevoli si
limitano inizialmente a
stigmatizzare l’eccessiva
spregiudicatezza del governo
tedesco e sottolineano come la
violazione della neutralità belga
sia un’«offesa» agli accordi
internazionali, sulla stampa
popolare si scatena un vero e
proprio diluvio di storie che, in
modo più o meno romanzato,
ostentano ogni tipo di
efferatezza attribuita al nemico.
Nell’esposizione al giudizio
del mondo tramite il «filtro»
della propaganda inglese,
che vuole indurre gli Stati
Uniti ad entrare in guerra
contro gli Imperi Centrali, i
«crimini» tedeschi
vengono perciò amplificati
e alterati, configurando
una straziante saga che
deturpa per sempre il volto
della Germania
guglielmina.
Le storie di atrocità
Se i giornali più autorevoli si limitano inizialmente a
stigmatizzano l’eccessiva spregiudicatezza del governo
tedesco e sottolineano come la violazione della neutralità
belga sia un’«offesa» agli accordi internazionali, ben
presto, con l’intervento massiccio della stampa popolare,
l’atmosfera inizia veramente a surriscaldarsi.
Lo stupro del Belgio
Anzitutto le conseguenze violente dell’invasione vengono sintetizzate entro una cornice di grande efficacia propagandistica, con l’espressione «stupro del Belgio» che inizia a comparire ovunque.
Le storie di atrocità
Poi si scatena un diluvio di «notizie» che, in modo più o meno romanzato, raccontano le efferatezze attribuite al nemico. Sono le famigerate «storie di atrocità», un misto di ansia, fantasia popolare e disinformazione che fa parte dell’armamentario di ogni guerra, ma che assume nella circostanza una forza mai vista, in virtù della cassa di risonanza offerta dalla stampa di massa, in grado di alimentare una specie di isteria collettiva.
Il Kaiser chiede la benedizione
di Dio su atti come questo
Le storie di atrocità
Va comunque detto che questa specie di «circo degli orrori» non si alza all’improvviso, ma trae spunto dalla strisciante demonizzazione della Germania e dei suoi capi, da tempo in azione, che li raffigura come l’antitesi della Gran Bretagna e dei suoi valori. Il Kaiser è spesso dipinto come una specie di «bestia umana» e il Daily Mail (22 settembre 1914) in un solo articolo riesce a definirlo matto, lunatico, barbaro, mostro e Giuda.
Dal piano dell’insulto gratuito,
ora però la demonizzazione
del nemico si può spostare a
quello dei fatti «concreti». Si
avvia un flusso continuo (i cui
picchi seguiranno le scelte più
discutibili della strategia
bellica tedesca) intenzionato
a dipingere i nemici, che da
questo momento saranno
spregiativamente gli «Unni»,
come nient’altro che barbari
distruttori.
Le storie di atrocità
Si tratta di avvenimenti quasi mai ben documentati né tantomeno verificati, tesi a stimolare in modo grossolano i più elementari istinti del pubblico; ma sembra che anche i giornalisti, forse esaltati dal clima, ritengano il «nemico» veramente capace dei misfatti che vengono narrati divulgati con morboso compiacimento.
Combatti ora o aspettati questo
Le storie di atrocità
Grace Hume
Nel settembre del 1914 si consuma nel paesino di Dumfries la prima bufala, con una giovane infermiera del posto prima uccisa dai tedeschi in Belgio con ripugnante crudeltà e poi ritrovata viva nella propria abitazione.
Demonizzazione
Le storie sulle atrocità in Belgio, con gli “Unni” che stuprano, torturano e mutilano, iniziano ad arrivare sulle prime pagine dei giornali anche senza troppi riscontri. L’8 gennaio 1915 il Times scrive: “Le storie di stupro sono così orribili da non poter essere pubblicate se non per la necessità di mostrare fino in fondo l’indole delle bestie selvagge che combattono sotto la bandiera tedesca”.
Ma il veicolo privilegiato del torrente dell’orrore sono le riviste illustrate, tra cui spicca The War Illustrated. A Pictorial Record of the Conflict of the Nation, pubblicata da William Berry (poi Visconte di Camrose), proprietario del Daily Telegraph, a partire dal 22 Agosto 1914, che, con altre pubblicazioni dedite al patriottismo più sensazionalista, costituisce per tutta la durata della guerra una fonte inesauribile di nefandezze.
Il Capitano Reginald James Young guadagna la
Military Cross durante la battaglia della Somme (1916)
La rivista ospita anche corrispondenze di guerra di Luigi Barzini Sr. e Hamilton Fyfe, offrendo descrizioni di azioni eroiche da Victoria Cross e articoli di firme come Winston Churchill e H. G. Wells, acquisendo grande popolarità e raggiungendo le 750.000 copie.
Ma il vero asso nella manica sono le foto e soprattutto le
illustrazioni, tra cui notevoli quelle di Stanley Wood che
drammatizzano (o, in qualche caso, inventano) notizie
sulle truppe germaniche, anche se dal 1916 in poi si
presterà maggiore attenzione al controllo delle notizie.
«Che cosa comporta la ‟civilizzazioneˮ
tedesca»
5 settembre 1915 - La desolazione di Vise, villaggio belga
al confine con la Germania.
Questo è il racconto di un tranello tanto astuto quanto spregevole. Pronti a ogni abuso, i tedeschi si avvicinano a una trincea britannica simulando un corteo funebre, con tanto di prete. Quando l’ufficiale inglese fa levare in piedi i soldati per un rispettoso saluto, gli infami assassini aprono il fuoco.
Sapendo che le persone civili non sparerebbero mai su un simbolo sacro, i tedeschi hanno profanato questo crocefisso lungo la strada facendone un osservatorio per dirigere il tiro dell’artiglieria. La didascalia conclude con un amaro commento sulla loro ricerca di «un sacrilego rifugio fra le braccia spalancate di quel Cristo che crocifiggono di nuovo ogni giorno».
Il 26 dicembre 1914 The War Illustrated lancia uno
special in cui ammucchia ogni sorta di crimine tedesco
sotto le etichette più sprezzanti, parlando apertamente di
guerra terroristica e di violenza su donne, vecchi e
bambini.
Guerra di terrorismo contro vecchi, donne e bambini
Nulla si salva dal
passaggio delle orde
germaniche:
«Autorizzate dal vertice,
ecco le razzie nei più
deliziosi castelli belgi e
francesi, depredati da
ladri che hanno la
brama di possesso ma
non le facoltà di
apprezzare i tesori».
La campagna di saccheggio
sotto la tutela degli Hoenzollern
Anche i francesi presentano i soldati tedeschi, fin dall’inizio delle ostilità, come un’orda di barbari che commette ogni sorta d’infamia, riprendendo molti luoghi comuni già sviluppati nel 1870.
Il 7 settembre 1914 a St. Denis-lès-Rebais un Ulano
obbliga la Signora X a spogliarsi, poi la getta su un
materasso e la violenta.
da un Rapporto ufficiale francese
La Senna e la Marna dal settembre 1914 sono in mano ai tedeschi, che come tutte le truppe in guerra saccheggio i villaggi di cui prendono possesso. L’accento della propaganda è posto sulle sofferenze della popolazione civile e sulle barbarie commesse dai «boches». Spesso taciuti dalle vittime, gli stupri sono la prova dell’inferiorità delle donne del paese invaso e un’aggressione morale alla nazione che rappresentano. In questo caso, più che il dramma individuale, viene strumentalizzato l’attentato morale a un intero popolo.
I tedeschi non si fermano neppure di fronte a bambini inermi: in questa cartolina (datata agosto 1914) un Ulano uccide senza pietà addirittura un bimbo di 7 anni che lo ha «minacciato» con un fuciletto di legno.
Devastano chiese e ospedali, se la prendono con donne e bambini e non rispettano nessuno, neppure la Croce Rossa.
Un’altra storia che circola prima in tutta Europa e poi migra negli Stati Uniti, è quella dei bambini belgi con le mani tagliate. Iniziano i francesi a lanciare allarmi sul fatto che i tedeschi tagliassero le mani dei piccoli belgi per impedirgli di combattere per la Francia, e gli alleati diffondono una immagine del Kaiser con un’ascia in mano, circondato di sangue e pile di mani, che da dietro un masso prega una donna di consegnargli i bambini che porta con sé.
Questa palese bugia viene
universalmente accettata, insieme a
quelle su bambini infilzati sulle
baionette o inchiodati alle porte,
tanto che alla fine la si percepisce
non più come un atto isolato e
clamoroso, per quanto atroce, ma
come un tratto scontato del
comportamento ordinario dei
tedeschi. Ponsonby, Arthur (1928). Falsehood in Wartime.
Institute for Historical Review, p. 82.
La foto, come chiarisce la didascalia originale, si riferisce
a un Pogrom compiuto a Odessa nel 1905.
Ma ecco come appare su Le Miroir nel febbraio 1915. Il
titolo è “I crimini delle orde tedesche in Polonia” e la
didascalia col riferimento alla Russia risulta tagliata.
Questo tipo di propaganda anti-tedesca prodotta dagli alleati convoglia la rabbia e la preoccupazione della gente sull’odio per gli “Unni” selvaggi e crudeli, riuscendo così ad accreditare l’idea che gli Alleati combattono per la civiltà contro un nemico brutale e disumano, un’immagine destinata a permanere a lungo nell’immaginario collettivo e perfino nella divulgazione storica.
The Chicago Sunday Tribune, 28 aprile 1915
L’effetto viene in gran parte raggiunto mediante il racconto delle atrocità nemiche, nella supposizione che la loro «rivelazione» induca l’odio e il desiderio di una vendetta spietata. «Una regola pratica per accendere l’odio, se il pubblico non s’inferocisce subito» ha detto Lasswell «è il ricorso all’atrocità, come si è fatto, con immutabile successo, in ogni conflitto conosciuto dall’uomo». Harold Lasswell, Propaganda Technique in the World War, The MIT Press, Cambridge 1927, p. 19.
Afferma ancora Lasswell: «Nella maggior parte delle nazioni, le resistenze psicologiche alla guerra sono così grandi che ogni guerra deve sembrare una guerra di difesa contro un aggressore minaccioso e sanguinario. Non ci devono essere ambiguità su ciò che il pubblico deve odiare”.
Harold Lasswell, Op. cit., p. 47.
«A differenza del
pacifismo, che sostiene
che tutte le guerre sono
brutali, la storia di
atrocità sostiene che la
guerra è brutale solo
quando la fa il nemico».
È più facile uccidere un
mostro che un essere
umano.
Harold Lasswell, Op. cit., p. 19.
La parola alla difesa…
Naturalmente i tedeschi tentano di reagire, seguendo due direzioni. Da un lato tentano di lanciare a loro volta accuse di condotta scorretta al nemico, con meno psicologia e più disprezzo, accreditando voci secondo cui i medici francesi avvelenerebbero i pozzi con bacilli di peste o colera e i loro prigionieri di guerra verrebbero accecati.
Dall’altro lato, una gran parte delle energie viene spesa per cercare di rintuzzare, con timida pedanteria, le accuse di atrocità. In questa stampa si sottolineano gli agguati dei civili armati belgi.
Ma per lo più si cerca di esibire prove del comportamento umano e amichevole dei militari tedeschi.
La serie «Noi Barbari
è in proposito molto
esplicita, con toni
francamente
oleografici. Rispetto
all’efficacia della
potenza di fuoco
inglese, però, si
tratta di flebili voci
nella tempesta.
La propaganda infatti inglese
sa anche sfruttare il vantaggio
acquisito e, come mostra
questa pagina dello War
Illustrated del 19 dicembre
1914 intitolata «Le bugie della
propaganda» (naturalmente
tedesca) rileva (probabilmente
a ragione) il carattere artificioso
delle foto diffuse dal nemico,
mentre pretende invece che
siano creduti i suoi disegni
sugli Unni assassini.
Nel corso del 1915 la
propaganda inglese
compie anche un altro
passo decisivo, alzando la
posta rispetto ai semplici
pamphlet e cercando di
«formalizzare» le accuse
alla Germania attraverso la
promozione di inchieste
governative e la
conseguente pubblicazione
di rapporti ufficiali e libri
bianchi.
Il rapporto Bryce