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Breve Ricerca sulla Storia del Costume e della Moda in Sicilia
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Storia del Costume e della Moda in Sicilia
di Leandro Giummarra
Sommario
_Introduzione ............................................................................................................... 3
_Influenze Storiche e il Costume in Sicilia nel Tempo ................................................ 4
_Un diario insolito di Louise Hamilton Caico ......................................................... 9
_Musei e Moda. Nuovo Interesse Sociale ................................................................. 13
_Vestire la Santa ......................................................................................................... 17
_Vestire il passato. Tra leggenda e modernità ............................................................ 19
Scheda 5.1 Il Velluto .............................................................................................. 20
_Il caso Dole&Gabbana ............................................................................................. 21
_Bibliografia_ Sitografia ........................................................................................... 22
Breve Ricerca sulla Storia del Costume e della Moda in Sicilia
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_Introduzione
In questa ricerca sul costume e sulla moda mi sono soffermato sulla mia terra
d'origine. Questo perché, dato gli studi al riguardo in Europa, dal medioevo ai giorni
nostri, mi è nata la curiosità di comprendere gli usi e le abitudine tipiche della Sicilia.
Attraverso questo breve viaggio tra musei, mostre e libri, dove ho raccolto diverse
informazioni riguardante la Sicilia del fine settecento e inizi novecento, ho preso
piena consapevolezza della creatività popolare nell'utilizzo di materiali poveri per la
realizzazione degli abiti, dove un coacervo di culture e società ha dato vita a un
mondo fantasmagorico e di esuberanza cromatica.
Ho compreso come i miei avi che, vivendo in piccoli paesi, davano importanza al
lavoro quotidiano e alle feste popolari tanto attese ogni anno. In quest'ultime, il
popolo siciliano si ritrovava riunito nell'unico scopo di realizzare il fasto con addobbi
che rivestivano e trasformavano spazi e strade, con il principio unico del gusto per il
colossale e l'irripetibile, dato dal senso religioso della vita.
Come studente del corso di Laurea in Culture e Tecniche della Moda di Bologna, il
mio studio ricade sugli abiti tipici rurali e borghesi dell'isola, dove l'abito è un teatro
culturale in cui si mette in scena la storia di una comunità. In sostanza, così come
variano i dialetti, anche l'abbigliamento muta da un centro all'altro, anche se distano
pochi chilometri.
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_Influenze Storiche e il Costume in Sicilia nel Tempo
"La Sicilia: una terra mistica e piena di bellezza
che riesce ad affascinare qualsiasi viaggiatore"
Cit.
Nella storia della moda, Napoleone Bonaparte, figura influente anche in
quest'ambito, riprende lo sfarzo e il lusso delle fogge dell'Ancien Régime; la moda
francese inizia ad imporsi in tutta Europa, accentuando il potere del regime
napoleonico.
Grazie all'interesse di espansione da parte di Napoleone Bonaporte, si attua
quella che è la "dipartimentizzazione" dei territori occupati con lo scopo di acquisire
il maggior numero di informazioni sui paesi sottomessi. In altri termini un progetto
volto ad evidenziare attraverso "paradigmi culturali di vario spessore, dal
comportamento alla rapprestazione, dalle mutazioni delle fogge alla connotazione
geografica, dalla elaborazione del vestito al rapporto differenziato tra vestiti da
lavoro e vestiti festivi utili ai fini della conoscenza delle comunità sottoposte".1
Proprio questo interesse da parte di Bonaparte, permise di farci avere quelle
informazioni dettagliate sugli usi e costumi del Regno delle Due Sicilie. L'interesse
verso quest'attività è dovuta al fatto che si aveva la piena coscienza, con l'avvento del
nuovo mondo, della scomparsa delle tradizioni, di fogge del vestire che
caratterizzavano e differenziavano le regioni. Il precursore fu proprio Napoleone e
successivamente, attraverso i fotografi, si riuscì a creare un catalogo di immagini
culturali.
Non solo l'esigenza del regime napoleonico permise di realizzare l'archivio di
"figurini" tipici del ceto rutale e borghese, ma in questo contribuì anche il Grand
Tour dei giovani rampolli aristocratici con i loro diari.
A completare quasi il quadro di una quotidianità siciliana sono le opere di artisti
come Jean Pierre Louis Houel, i resoconti di Abbé de Saint e l'inglese William
Hogharth che fece del ceto popolare il focus principale nelle sue opere. Inoltre, anche
il diario di Lousie Halmilton Caico ci propone uno scenario tipico quotidiano di un
1Gerbino. Nei panni siciliani, vestiario dal Seicento al Novecento. pp 23/24
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paesino situano nella zona di Caltanissetta : raccoglie frammenti di vita che vanno
dal battesimo al matrimonio, dalla festa tipica popolare al funerale, ma anche litanie
e canti; il tutto venne pubblicato in Inghilterra. Questo per far comprendere che la
Sicilia, anche se sembrerebbe un mondo sconosciuto, vanta un' identità oltre confine.
Costumi di San Pier Niceto, Messina e Costumi di Piana dei Greci, litografia colorata a mano – Milano 1953
Mentre in Francia si utilizzavano le bambole per diffondere le mode, nel
Regno delle Due Sicilie il presepe fungeva più o meno allo stesso scopo. Queste
figure inanimate, realizzate in legno, stucco e telacolla, avviarono una proficua
produzione. Curate nei minimi dettagli, dall'aspetto fisico all'abbigliamento, si
diffusero diventando una vera e propria moda nel possedere esemplari unici, tanto
che, alcune di queste complesse collezioni, sono ancora oggi custodite nel Museo
Nazionale di Monaco di Baviera, in Germania.
Dopo questo brevi cenni storici sul reperimento delle fonti informative, si guarderà
all'individualità e identità di classe del ceto borghese e rurale siciliano, con
particolare attenzione all'esteriorità che ne caratterizzava la classe, al fine di
comprendere le distinzioni sociali.
Esaustive le parole scelte nel descrivere gli abiti da Rosario Acquaviva nel suo libro:
"Vedremo abiti lunghi ricamati con certosina pignoleria, scialli e cappelli decorati in
vario modo, trine, merletti e pizzi, segni di una certa agiatezza ed opulenza, ma
anche segno di una certa attenzione a quanto avveniva oltre lo Stretto: secondo la
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moda ufficiale [...] . Vedremo inoltre abiti di donna senza nessuna pretesa, dove
qualche volta è evidente il riciclaggio di precedenti vestiti e abiti con qualche
particolare richiamo, i cui disegni e motivi della stoffa prendono specifica tipologia
non solo tra un paese e un altro, ma tra una famiglia e un'altra dello stesso paese" (in
passato si era solito affibbiare dei soprannomi alle famiglie: le "ngiurie" che, a volte,
derivavano dal modo di vestire. Mio nonno, ad esempio, era solito indossare il
cappotto anche in Estate e per questo, era soprannominato 'jalatu).
Vestiti da lavoro, sgualciti e rattoppati, e vestiti realizzati per l'occasione della foto,
della festa e della ricorrenza, dove, in alcuni casi, l'aspetto accomodante è evidente;
dove il gilet e la camicia senza cravatta erano
d'ordine, e al posto del cappello troviamo particolari
copricapo che prendevano il nome di “bburritta” o
“bbirritta” a secondo del paese. Un modo di vestire
che accostava ad alcuni manufatti, realizzati con il
telaio, un lavoro di cucito svolto soprattutto
nell'ambito della famiglia, o tutt'alpiù da una sarta del
luogo, la quale seguiva grosso modo uno schema che
si ripeteva di generazione in generazione, e il cui
influsso della moda ufficiale era blando o addirittura
assente. Anni ‘20
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A Buscemi i contadini e i "iurnatari" si vestivano generalmente con stoffa di "tricò",
molto resistente e a basso prezzo. Sotto la giacca indossavano una camicia di tela,
tessuta con il telaio, senza il colletto, cioè con la sola pistagna (cà sulina), e il gilet
con apertura triangolare o quasi a giro collo. Il copricapo era per lo più di lana nera
chiamato "bburritta". D'inverno si coprivano con il "giucchinu di ddappu". I
contadini, ma anche i pastori, portavano ai piedi delle scarpe particolari dette
"scarpuneri". Anche la moglie del contadino vestiva con stoffa povera. L'abito della
donna si componeva delle seguenti parti:
"unnedda di sutta", "unnedda di supra",
"ippuni,"spènziri","falari" o "falarinu".
Sotto "u ippuni" venivano indossati "a
pittera" e "a stecca". Si coprivano il capo
con un fazzoletto chiamato "mmaccaturi".
Per le occasioni tale fazzoletto veniva
sistemato sulle spalle con un nodo davanti.
Sopra il fazzoletto usavano uno scialle nero
a colori con disegni a piccoli quadri. Lo
scialle nero di norma si usava nelle
occasioni e nelle feste. Le scarpe
prendevano il nome di "scarpa a pirsiena".
Il massaio si vestiva con stoffa di panno e,
nelle feste, con stoffa di velluto. Il costume
tipico del "massaru" era costituito da un
"giaccuni", dai "lappuna", "quasuna" e
"vosi". D'inverno, per le feste, o la domenica quando andava a messa, portava "u
giucchinu con le maniche" o uno scialle piegato sulle spalle, "a bburritaa capicciola"
e gli stivaletti. Per quanto riguarda la donna troviamo poco differenze rispetto alla
descrizione di prima, a parte che per lo scialle usavano delle mantelline di ottima
qualità di coloro beige o bianco con bordi ricamati. Tra gli ornamenti più comuni
della donna abbiamo, orecchini in oro con pendenti e un medaglione tenuto intorno
al collo da una striscia di velluto nero detto "strincicuoddu".
Per esempio a Ferla, gli agricoltori, i villici e i pastori vestono ordinariamente
giubbetti e calzoni di arbagio fino al ginocchio; nell'inverno sovrappongono lunghe
Carettiere siciliani, litografia colorata a
mano da Aldo Fornari e Maria Angela
Grossi, in G.G. Gorlich – Milano 1953
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giubbe con capuccio pure di arbagio doppio. Abito di donne: le donne dei primi ceti
vestono come in città e, per lo più, uscendo, portano manti di seta. Le villiche
portano gonne di ortica e lasciano colorato e laniglie; il bassissimo veste gonna di
così dette saie imperiali, o blu o mascate o nere; sopra cingono una mezza canna di
saia imperiale nera, che allacciano dietro o con nastro o con crocchetti di argento, e
questi di cuoprono con un'altra mezza canna di saia imperiale nera, ed altre più agiate
con mantelline di bacetta bianca, sotto queste coporte portano in testa un tovagliuolo
bianco o di tela di mussola; portano calzette bianche o celesti, con scarpine di poca
seta1”
“In questo tempo (1869) ancor vige il barbaro uso di tanti che fanno apparire
le donne coi palloni alle gambe mostruose. E quest'uso da più di venti anni. Ciò per
la casta nobile, civile, e qualche maestra. Il bolgo ha preteso seguirle così da lontano.
Onde le donne volgari hanno inventato tessere una specie di telaccia più grossa di
quella della bisaccia, riducendo prima a filoni le pezze, e stracci delle vestine logore,
fazzoletti vecchi, e poi ne formano una vestaccia che portano sotto le vesti di
mussolino ec. Da due anni in quà si sono introdotte le code alle vesti delle persone
distinte, e credetemi che noi abbiamo un altro motivo da ridere. Fanno compassione
nel veder quelle signore nell'està spazzare colle code le strade, e nell'inverno portarle
cariche di immondezza. E loro si fanno pettorute, e chi l'osserva ride. Saranno
quattro anni (1869) quando s'introducevano nei capelli la moda di arriciarli, e alzarli
nella fronte di cui corni alti 4, 6 e forse più dita: questa modaccia non fa ridere, ma
spaventare, trasformando la fisionomia di umana in quella di un demonio... Quando
qualcuno si fa la veste nuova usano i vicini dargli un pizzicotto per far come dicono
che gli duri.2”
In quest'ultima parte si nota come le mode della Francia si siano diffuse anche nel
profondo sud, e come queste vengano viste come qualcosa di mostruoso. Bisogna
ricordare che, il popolo siciliano, è un popolo che non ama il nuovo, il moderno, in
quanto crede e vive nelle tradizioni; questo lo si può riscontrare ancora adesso nelle
zone interne dell'isola, dove persiste la figura della signora anziana che insieme alle
sue “cummari”, è intenta a tessere o a ricamare.
1S. Motta, Memorie nella Comune di Ferla, 1832, a. c. Di Giovanna Carnemolla Raudino, Salvatore
Pisasale e Sebastiano Ramondetta, di prossima pubblicazione, pp. 79-80. 2G. M. Farina, Selva di notizie storico tradizionale di Palazzolo Acreide, 1869, ms custodito nel
Covento dei Cappuccini di Palazo Acreide, cc 54-55.
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_Un diario insolito di Louise Hamilton Caico
Per concludere questo primo capitolo, prenderò in analisi il diario di Louise
Hamilton Caico, giovane scrittrice inglese sposatasi con un siciliano borghese di
Montedoro (Caltanissetta). Tralascerò gli avvenimenti privati della scrittrice per
narrare un quadro tipico del paese ai primi del Novecento.
All'arrivo al paese, la sua attenzione è ricaduta su dettagli insoliti e tipici locali come
ad esempio le cameriere che portavano grandi cerchi d'oro alle orecchie o i briganti
vestiti di velluto o fustagno marrone con nere papaline in testa. La scrittrice rimane
stranita dall'usanza della toletta che viene chiamata "pettinatoio" in quanto è
utilizzata solo per sedersi ed essere pettinate: il rituale consisteva nell'uso di oli o
aceti da toletta per acconciarsi con pettini o forcine. Durante la sua prima visita
all'interno delle mura domestiche, si sofferma sul braciere, in gergo "u sciuriettu".
Riposto sotto il tavolo, serviva a dar calore ai presenti nella stanza e questo le ricorda
usi pagani delle vestali. Oltre a questo, il rapporto Greco-Romano con la Sicilia è
accentuato anche con il trasporto dell'acqua dalla fontanella a casa che avveniva con
anfore tipiche greche.
Le tradizioni erano sentite in maniera più viva rispetto adesso: ogni anno si
aspettavano per poter riaffermare la devozione ai Santi e alla Madonna. Le donne si
impegnano nella realizzazione delle vesti che andranno a coprire la statua. Nel diario
si legge:
"Dopo un sfibrante periodo di attesa, trascorso dalle devote a ricamare un lungo abito
di seta..."
E inoltre, durante la festa, si sofferma su un'usanza bizzarra. Le donne non potevano
portare l'ombrello sotto la pioggia ma poteva ripararsi solo con la mantellina, a
differenza degli uomini.
Altra tipica scena è quella del matrimonio. La donna che andava in sposa non
poteva mostrare il suo volto ai cittadini e doveva andare a messa coperta con una
"mantellina", per poi prendere posto in banchi riservati lontani dagli uomini. Il
matrimonio avveniva in età precoce dovuta dallo scarso spazio disponibile all'interno
dell'abitazione.
Se la ragazza era in buone condizioni economiche poteva portare con sé la biancheria
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e i vestiti, corredi che aveva iniziato a
confezionare sin da piccola, in una grande
cassapanca (fig.1) di legno intagliata o
dipinta a fiori i a vari disegni.
Il futuro sposo si presentava alla famiglia
della giovane, acconciato in questo modo:
un bel fazzoletto di seta stampata a colori
variopinti, un elegante grembiule, qualche
volta una sciarpa di seta, un coltello in tasca, un nécéssaire da cucito in una scatola di
legno e un anello di poco prezzo. Assai gradito era che la ragazza contraccambiasse
con un altro coltello da tasca. Tipico era che la ragazza doveva confezionare il vestito
del proprio compagno, composto da una camicia a piegoline sul davanti e un gilet.
Invece l'abito della sposa sarà di tanta delicata, sempre di seta, anche se è di famiglia
povera, e un morbido e ricco scialle di seta in bellissimi colori.
Le feste principalmente si svolgevano in primavera o in estate per evitare
problemi causati dal mal tempo. Tipica era la festa di San Giuseppe, dove gli abitanti
del paesino si animavano di gioia e felicità e i preparativi avvenivano molti giorni
prima. Il giorno della festa, veniva ingaggiata una banda che iniziava a suonare dal
mattino presto sino a sera. La ritualistica dell'evento è un chiaro richiamo alle usanze
pagane, dove si offrivano doni per
ricevere la grazia. Qui, troviamo
l'asino che porta il frumento sino alla
statua che poi verrà portata in
processione seguita da un corteo
formato da tutti i ceti. L'eccitazione
dell'evento si poteva percepire dalle
urla dei fedeli: "Evviva San
Giuseppuzzu". Mentre nelle donne si
poteva vedere l'amore attraverso gli
occhi anche se coperti dai mantelli neri lunghi sino alla vita.
Per la quaresima si potevano sentire i canti, provenienti da ogni dove, tramandati da
padre a figlio, di generazioni in generazione. In un modo pittoresco viene raccontata
la benedizione delle palme, dove i "fratelli" erano vestiti di un'ampia veste di seta
Figura 1
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bianca, un mantello di seta rossa e un cappuccio bianco con merletto. La processione
si dirigeva verso la chiesa ove le donne erano in ginocchio mentre gli uomini in
piedi. Durante la cena pasquale i dodici Apostoli entrano in gruppo, vestiti di bianco,
con una sciarpa di seta colorata e un nastro annodato a fiocco sulla spalla sinistra.
Calzavano delle pantofole, e le mogli, che stavano dietro, tenevano avvolti in un
tovagliolo gli stivali. Il tutto si concludeva nell'incontro con delle ragazze vestite di
nero chiamate le "verginedde" che portavano, su devi vassoi, i chiodi, il martello e la
corona di spine che sarebbero servite a mettere in scena la crocifissione.
Per ultimo, le scene del battessimo, del raccolto e del funerale, tratti più
salienti del popolo siciliano.
Per quanto riguarda il battessimo, l'elemento cruciale e il rapporto tra i "compari" e
"comare" del bambino, dato dal darsi del Voi, come forma di rispetto del legame che
si andrà a creare. Alla famiglia del nascituro, verranno offerti come doni, da parte del
compare o della comare, un dozzinale pezzo di bijoutterie, tre o quattro chili di
maccheroni, caffè macinato, biscotti e tre bottiglie di vino. La cerimonia si svolge
con l'attesa davanti alla chiesa da parte del compare con amici, che indossano i loro
vestiti migliori, quali camicia bianca e cravatta. Una donna porta un fazzoletto
particolarmente morbido per asciugare la testa del pargolo. L'eleganza degli addobbi
viene estrinsecata nell'abbondonate sfoggio di fiori artificiali con cui il cappello e il
vestito erano ornati. La madre del bambino indossa l'abito di nozze in seta e uno
scialle; tutte le donne che la seguono
indosseranno in testa un velo di seta
chiara o una mantellina, in riferimento
alla posizione sociale del marito.
Durante il raccolto, abbiamo
invece il richiamo ad una parabola del
Vangelo: "Aspettano un padrone. I
mietitori che si radunano in piazza sono
tutti di corporatura robusta, portano un
fazzoletto rosso legato in testa, un
grembiule di cuoio e la falce in spalla. Durante la mietitura, a turno, ognuno canta un
versetto lodando Dio.
Come detto prima, la devozione è sentita parecchio nei borghi, infatti ogni notte che
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precede le domeniche e le festività viene celebrata, alle tre di notte, la "Messa dei
mietitori".
Al concludersi della giornata i mietitori intonano gli ultimi canti di ringraziamento,
facendo coincidere l'ultima lode agli ultimi raggi del sole. All'atto della divisione e
del conto del tumulo, si esclamavano nuovamente altre benedizioni, come un tempo
facevano i pagani.
Quando qualcuno si ammalava, si ricorreva alle confessioni e all'estrema
unzione. Si formava un corteo con a capo il prete che portava l'ostia consacrata. Un
gruppo di donne avviluppate nelle loro nere "mantelline", seguivano il prete cantando
in tono acuto litanie di benedizione. Tutti si dirigevano verso la casa del povero
ammalato. Al momento della morte, le donne della casa si lasciavano al dolore con
teatralità, strappandosi i capelli, urlando, piangendo, cozzando la testa contro le
pareti e battendosi il petto. In alcuni paesi vi è ancora l'usanza di pagare delle donne
per far questo; queste sono chiamate le "cianciuline" che si impegnano a piangere
anche sulla tomba del defunto. Quest'ultimo veniva vestito con gli abiti migliori e lo
si metteva a sedere in una poltrona su di una pedana, a vista di tutto il villaggio in
processione sino alla chiesa. Da questo momento in poi la moglie si sarebbe vestiti di
nero in segno di lutto. Si usava inoltre portare del cibo, dato che dal dolore non si
aveva la volontà di cucinare. Sulla porta veniva posto un fazzoletto nero in segno di
lutto.
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_Musei e Moda. Nuovo Interesse Sociale
"Dietro quei contenitori di vetro vi si celano le storie del passato"
Cit.
L'interesse verso il valore simbolico della moda e del costume in Sicilia è da
poco recente. Solamente recentemente infatti, si sta scoprendo questo mondo
sconosciuto, contenitore di storie ed eventi del passato. Adesso si sente l'esigenza di
istituire luoghi di memoria culturale per poter mostrare che si è interessati a questa
realtà sociale.
Uno dei primi musei del costume e della moda ha aperto le porte solo nel 2007.
Questo per accentuare il ritardo verso la scoperta e ri-scoperta di antichi abiti rispetto
ad altri musei presenti nella penisola. Poche sono le fonti giunte sino a noi che ci
permettono di ricostruire i momenti di una storia ricca di credenze e tradizioni, come
quella siciliana. Nella mia brevi ricerche, mi sono soffermato su alcuni musei; quello
di Scicli (Rg), quello di Palermo e l'ultimo, a Messina.
Il museo di Scicli si trova al centro di un
percorso turistico, che coinvolge i luoghi del
celebre Montalbano, dell'omonima serie.
Personalmente ho visitato il museo,
riuscendo a scattare qualche foto. In questa
troviamo abiti dell'Ottocento destinati a
momenti di passeggio o o di serate
importanti. Il tessuto principalmente
utilizzato è il taffetà di seta con l'utilizzo di merletti e pizzi per arricciare l'abito. Si
nota il bustino terminante a punta, le gonne ampie e con l'utilizzo di “ tournure” non
balenata.
Un altro museo che ospita abiti è il
Museo di Raffaele Piraino che presenta
una raccolta di oggetti ricercati nel
passato, con particolare attenzione
all'abbigliamento. Abiti che richiamano
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momenti di passeggio, di gala, da visita, di bambini, abiti ecclesiastici, militari e
accessori di moda. Durante l'anniversario per il 150 anni dell'Unità d' Italia, questo
ha ospitato la mostra "1861 Ab origine – 150 anni di Provincia attraverso gli abiti
dei siciliani". Un viaggio che ripercorre due secoli di uomini e donne siciliane, che
sfoderano guanti, ombrelli, gonne, sottogonne, merletti, cappotti e tutte le bizzarrie
che la moda ha dettato e detta. Le forme, fogge e tagli riescono a imporre la loro
distinzione tra paesi e ceti e a riportare la grandezza dei regni. Un viaggio nel sentore
dei profumi di una cultura che si è inserita con modezza nella storia:
"quest’ultima non è materia noiosa da confinare ai libri e ai banchi di scuola,
ma un cammino in fieri segnato anche dal talento di un sarto, dallo stile che
caratterizza un’epoca, dall’estro di una principessa o di una donna intelligente e
modernissima, una vera antesignana, come fu per la Sicilia Franca Florio"3
La manica, può apparire parte poco interessante ma, invece, gioca un ruolo
importante nel descrivere l'epoca o l'estro dei sarti. Troviamo la manica allungata, a
prosciutto e nel 1880 la manica a palloncino, dieci anni dopo a pala, agli inizi del
900, grazie all'attenzione riposta sull'oriente, le maniche che richiamano il kimono.
La crinolina conferma la sua presenza anche al sud. Protagonista indiscussa di
vicende storiche di quasi due secoli, porta con sé storie imbarazzanti e sofferenze
corporee. La prima, detta crinolina a uovo, viveva di vita propria senza assecondare
la povera donna. Per ovviare al problema si adoperarono lacci, ma nel momento in
cui si sedeva la dama, essa mostrava le nobili e candide gambe, creando stupore e
vergogna. La soluzione fu l'eliminazione delle spalle della sedia. Ed ecco che il
potere della moda riesce a plasmare anche oggetti di vita quotidiana per potersi
adattare. Non solo il corpo subisce il martirio delle comune leggi dell'effimero, ma
esso irrompe ogni schema sociale e le modifica a sua piacimento .
Altro luogo che merita di essere descritto è il Convento dei Cappuccini di
Palermo. Luogo mistico e macabro allo stesso tempo, vi "riposano" corpi che sono
sfuggiti allo sgretolamento del tempo. Il convento ospita quasi 8000 mummie di tutti
i ceti sociali e cariche con annessi abiti. L'importanza del museo è data dalla
3Articolo presente nel sito della Provincia di Palermo
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possibilità di poter studiare da vicino una
realtà che non è più presente.
"Le mummie, in piedi o coricate, vestite di
tutto punto, sono divise per sesso e categoria
sociale, anche se la maggior parte di esse
appartengono ai ceti alti, poiché il processo
di imbalsamazione era costoso. Nei vari
settori si riconoscono: prelati; commercianti
e borghesi nei loro vestiti "della domenica"; ufficiali dell'esercito in uniforme di gala;
giovani donne vergini, decedute prima di potersi maritare, vestite con il loro abito da
sposa; gruppi familiari disposti in piedi su alte mensole, delimitate da sottili ringhiere
simili a balconate; bambini; ecc"4
Ultimo luogo di memorie è il Museo del Costume e della
Moda di Mirto, fondato dall'architetto e scenografo
Giuseppe Miraudo che ha passato il tempo a raccogliere
diversi manufatti. Il museo raccoglie anche diverse
donazioni dalla famiglie siciliani locali, e non solo. Il
Museo vanta anche di donazioni di scarpe da parte di
Salvatore Ferragamo.
Il viaggio all'interno del museo inizia dal ceto basso.
Troviamo:
"Vestiti, prevalentemente in velluto rigatino e lana
cardata, di Mistretta
di Mirto, di Frazzanò e dell'hinterland palermitano; costumi
etnci usati durante
le feste popolari e religiose, come quelli in broccato ricamato in
oro e impreziositi da
cinture in argento di San Fratello e Piana degli Albanesi;
coppole maschili, gonne in lino ricamate, corpetti e scialli"5
Ai piani superiori, spiccano gli abiti di un ottocento pomposo e ricco di dettagli che
4Fonte: Wikipedia
5Fonte: http://www.edizionincontri.it/wp-content/uploads/2013/08/Incontri-2-Paterniti.pdf
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rientrano nell'immaginario collettivo e scenografico, come ad esempio i film di
Luchino Visconti. Il fenomeno della moda si diffonde sull'isola con un pullulare di
atelier e sarti, che fanno delle proprie opere dei status symbol d'eccellenza.
Tra i preziosi manufatti, troviamo un abito composto da giacca e gonna in taffetas di
seta color corallo con applicazioni in velluto, o di un altro in pura seta verde con
gonna ampia e scialle ricamato, entrambi di epoca "gattopardiana".
Proseguendo, ci si imbatte nella sala della "belle époque", dove si possono ammirare
abiti di linee sinuose e colori tenui; gonne che si allargano sul fondo terminando
spesso in uno strascico (fig 2); corpini a colletto alto merlettato per il giorno (fig 3).
Figura 2 Figura 3
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_Vestire la Santa
"Viva Sant'Agata
Semu tutti devoti, tutti"
detti popolari
La fede, la devozione, le credenze trovano la massima esplosione nelle feste
tradizional- popolari. Si può percepire l'enfasi dei fedeli percorrendo le strade di
Catania durante la festa patronale che va dal 3 al 5 febbraio. Turisti, curiosi e
pellegrini delle città limitrofe si riversano nelle arterie di questa splendida città
baciata dal sole. Le origini della festa risalgono ai festeggiamenti pagani della dea
Iside nella città greca. Questo perché si trovano molte similitudine anche nelle vesti
dei portatori della statua che tirano i cordoni del fercolo indossando una tunica di
cotone bianca chiamata "u saccu" e, durante la processione urlano devozioni per la
Santa.
In questi giorni di festa, si può percepire l'unione dei pellegrini che
trasportano la santa in giro per tutta la città; ad ogni fermata una multiedudine di
fuochi d'artificio segnano il percosso appena svolto.
Non mi limiterò a descrivere gli avvenimenti della festa, perché per poterli
comprendere al meglio bisogna viverli. Porrò l'accento sul come questa festa riesca a
stimolare la creatività dei giovani con la creazione di abiti. Ogni anno l'Accademia di
Belle Arti di Catania, sceglie un tema da dedicare alla Santa come ad esempio "Agata
Fimmina é...", "Agata Fenice", "Agata è per sempre". La mostra del 2014 pone come
spunto di riflessione il "Femminicidio":
Sant’Agata, rappresenta al meglio, tutte le donne offese, uccise, violentate,
poiché essendo Agata donna può diventare per tutti simbolo di rispetto, amore e
coraggio, un grido di coraggio per tutte le donne che tutti i giorni subiscono alle
volte in modo celato alle volte in modo pubblico violenze.
Prof.ssa Nigno
La festa non si consuma quindi solamente con la processione e la teatralità delle
tradizioni ma anche come tramite di spunti e riflessioni di sensibilizzazione sociale;
Breve Ricerca sulla Storia del Costume e della Moda in Sicilia
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con gli studenti dell’Accademia vestiti di rosso.
Nell’immagine accanto, gli abiti realizzati da
Iolanda Manara, assistente presso l’Accademia di
Belle Arti di Catania.
L’abito di sinistra è di colore rosso realizzato con
tulle e garofani in tessuto; mentre quello di destra
è bianco con un corpetto arricchito di perle,
presentati per l’edizione 2014 “Agata Fimmina
è…”
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_Vestire il passato. Tra leggenda e modernità
"Il Barocco si mette in posa tra flash di macchine fotografiche
e corpi danzanti"
Cit.
La ricerca svolta, con occhio al
passato, ha stimolato la mia creatività nella
realizzazioni di abiti. La necessità di
affermare un'identità tipica di una terra ricca
di storie e leggende, si riversata nella
creazione in quadri pittorici di tessuti
damascati, broccati e di velluto.
Prima fra tutti, la realizzazione di un abito
con corpetto damascato rosso arricchito di
Swarovski, terminante in un lungo strascico e
gonna in raso color carne. La fonte
dell'ispirazione è stata la leggenda della
giovane Regina di Sicilia, Bianca di Navarra
che fuggita dal castello, darà il nome al
Castello di Donnafugata, Scicli (Rg).
Inoltre, non mi sono solo soffermato nel richiamare una leggenda al moderno.
Ma anche nel realizzare alcuni capi che traggono ispirazione dal Barocco siciliano,
messi in mostra in una sfilata organizzata a settembre a Ragusa (Rg).
"Sicilia e globalità, primo Novecento ed epoca 2.0, barocco e postmoderno: le
creazioni di Leandro sono meticce e trasversali. Come Giano bifronte, guardano al
futuro e al passato: il contrasto è reso tramite l’opposizione di diversi tessuti o
lunghezze, di trend contemporanei e di filologia, caricandosi di un valore
concettuale, semantico"
Mariangela Ricci, studentessa del corso di laurea in Culture e Tecniche della Moda
per LookMood.it
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L'utilizzo di passamaneria con gemme, merletti arricchiti con bottoni in perle
mi hanno permesso di racchiudere l'essenza di una corrente che si respira
percorrendo la Val di Noto. Il damascato in oro, esalta l'eleganza della donna
rendendola regina moderna di un'epoca remota. I tagli delle vesti che si scostano nel
mostrare proseguimenti del corpino in maglia o che all'ondeggiare, il cappotto, lascia
intravedere una sottogonna in tulle.
Scheda 5.1 Il Velluto
Il nome deriva dal latino vellus, per indicare la copertura di una superficie
pelosa o di pelo fitto, variabile. L’origine del velluto può essere fatto risalire intorno
al XIII sec. in Oriente, mentre in Italia intorno al Trecento ed era prodotto nei centri
di Lucca, Genova, Milano, Firenze e Venezia. Era realizzato principalmente in seta e
arricchito con filamenti d’oro e d’argento. Impiegato dalle famiglie aristocratiche,
divenne indicatore di lusso ed eleganza e non solo, rivestendo anche i mobili e le
abitazioni. Nel XVI secolo, il centro di produzione torinese si specializzò, grazie ai
maestri vellutai di Milano e Genova, in velluti solij, uniti; venivano prodotti
soprarizzi, cioè casellati, a fondo riccio o taffetas e felpe.
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_Il caso Dole&Gabbana
"Guardare al passato per costruire il futuro: solo avendo chiaro chi siamo e da dove
veniamo, si può guardare avanti"
Domenico Dolce e Stefano Gabbana
Il barocco, il fasto e il lusso siciliano
sfilano in passerella con Dolce&Gabbana.
Il marchio assume i tratti tipici del
mediterraneo, riproducendone gli
elementi caratteristici. Le campagne
pubblicitarie richiamo carretti siciliani,
arance e fichi d’india fino ad arrivare alle
sante: Agata e Rosalia. Creando e
riproponendo miti, luoghi e personaggi ormai entrati nell’immaginario collettivo,
sfruttando gli stereotipi tipici del meridione proponendo una donna sensuale e
intrigante che è ancorata alle tradizioni.
La strategia è data dallo studio e recupero del passato, consci dell’enorme
risorse culturali della Sicilia. Influenzati dal Neorealismo,
sfruttano le trame del cinema, fanno propri gli ambienti bianco
e nero e le personalità di donne sensuali e mediterranee. Ad
esempio, dalla Magnani, riprendono gli abiti grembiule, i
golfini da cui fuoriesce il reggiseno, gonne avvitate e sandali
con tacco robusto. Il “Gattopardo” di Visconti diventa l’anima
negli abiti, nell’arredamento e nelle passerelle. Nell’88
troviamo crinoline a balze candide e completi da caccia in
velluto a coste grosse. Nel ‘94 abbiamo una donna vestita da
boss, in riflesso alla duplice e malsana medaglia della Sicilia,
la mafia. La loro ispirazione non si limita solo a questo, ma riescono a trarre dai
romanzi l’essenza stessa della sicilianità. Come da “I Malavoglia” di Verga, l’opera
assume un’identità propria negli abiti scuri e antichi delle comari di Aci Trezza. Dal
cinema alla letteratura, per arrivare all’arte. Il Barocco, con la sua opulenza e le linee
morbide, nel 2000 lo sguardo si posa su una collezione di broccati, pellicce e calze in
lamè. Tipico il bustier che, con la sua fattura costringe il corpo a una forma
innaturale redendolo simile a una cattedrale.
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_Bibliografia_ Sitografia
Rosario Acquaviva: Gli abiti dei contadini e della Borghesia Rurale e
dell’altopiano Ibleo tra ‘800 e ‘900 – Edizioni Lussografica marzo 1990
Louise Hamilton Caico: Vicende e Costumi Siciliani – Edizione Lussografica
1996
Cedrini R., Riccobono F.: Nei Panni Siciliani, Vestiario dal Seicento al
Novecento – Fondazione Culturale “Salvatore Sciascia” 2010
Museo del Costume e della Moda Scicli: http://www.museocostume.it/
Museo di Raffaele Piraino: http://www.provincia.palermo.it
Convento dei Cappuccini: www.wikipedia.it
Museo di Mirto: http://www.museomirto.it/
Velluto: http://it.wikipedia.org/wiki/Velluto;
http://www.culturaitalia.it/opencms/it/contenuti/focus/focus_0215.html.
Caso D&G: http://archivio.gazzettadisicilia.it/tag/dolce-e-gabbana.html;
Ricerca di Cristian Giuseppini: Dolce & Gabbana, Ritratto di Sicilia.