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sezione I civile; sentenza 10 settembre 2002, n. 13158; Pres. Saggio, Est. Marziale, P.M. Uccella(concl. diff.); Soc. Fornaci Magnetti (Avv. D'Angelantonio, Riva) c. Comune di Bergamo (Avv.Romanelli, Gaggioli), Milanesi (Avv. Bonfiglio, Giua), Peretti (Avv. Pafundi, Calvi). Cassa App.Brescia 21 agosto 1998Source: Il Foro Italiano, Vol. 126, No. 4 (APRILE 2003), pp. 1179/1180-1185/1186Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23198273 .
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PARTE PRIMA
braio 2002, n. 1430, id., Mass., 113). Nel caso di specie, la clau
sola in questione era volta chiaramente a delimitare l'oggetto del contratto, escludendo dalla garanzia coloro che cavalcavano
gli animali, cosicché non vi era necessità della sottoscrizione
espressa a norma dell'art. 1341 c.c.
4. - Con il ricorso incidentale la Milano assicurazioni s.p.a.
svolge tre motivi.
I primi due motivi, con i quali si lamenta la violazione e falsa
applicazione dell'art. 2052 c.c. e l'omessa motivazione sulla ri
costruzione dei fatti restano assorbiti dal rigetto del ricorso
principale. Con il terzo motivo la ricorrente incidentale lamenta la viola
zione degli art. 91 e 92 c.c., nonché motivazione omessa o in
sufficiente sul provvedimento di compensazione delle spese, per avere la corte d'appello rigettato la domanda del centro ippico e
inspiegabilmente compensato le spese.
Questo motivo è privo di fondamento.
Esula dal sindacato di legittimità e rientra nei poteri discre
zionali del giudice di merito la valutazione dell'opportunità della compensazione, totale o parziale, delle spese processuali, essendo la statuizione delle spese adottata dal giudice di merito
sindacabile in sede di legittimità nei soli casi di violazione del
divieto, posto dall'art. 91 c.p.c., di porre anche parzialmente le
spese a carico della parte vittoriosa (v., per es., Cass. 7 marzo
2001, n. 3272, id., Rep. 2001, voce Spese giudiziali civili, n.
23). In ogni caso poi, come anche riaffermato dalla più recente
giurisprudenza, la valutazione circa la compensazione totale o
parziale delle spese del giudizio costituisce una facoltà discre
zionale del giudice del merito ed è sottratta all'obbligo di una
specifica motivazione, soggiacendo la relativa pronuncia al sin
dacato di legittimità solo quando il giudice, a giustificazione della disposta compensazione, enunci motivi illogici od erronei
(Cass. 11 febbraio 2002, n. 1898, id., Mass., 136). In conclusione, vanno rigettati sia il ricorso principale che
quello incidentale.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 10 set
tembre 2002, n. 13158; Pres. Saggio, Est. Marziale, P.M.
Uccella (conci, diff.); Soc. Fornaci Magnetti (Avv. D'Ange
lantonio. Riva) c. Comune di Bergamo (Avv. Romanelli,
Gaggioli), Milanesi (Avv. Bonfiglio, Giua), Peretti (Avv. Pafundi, Calvi). Cassa App. Brescia 21 agosto 1998.
Appalto — Rovina e difetti di cose immobili — Responsabi lità — Ambito applicativo (Cod. civ., art. 1669).
Il fornitore dei materiali utilizzati nella costruzione dell'immo
bile non è responsabile ex art. 1669 c.c. dei danni subiti dal
committente per la parziale rovina dell'edificio. (1)
(1)1.- Sulla responsabilità prevista dall'art. 1669 c.c. in caso di ro
vina, anche parziale, o di gravi difetti di edifici od altre cose immobili destinate per loro natura a lunga durata, per vizio del suolo o per difetto della costruzione, persiste un contrasto fra la dottrina prevalente, che ne sostiene la natura contrattuale, e la giurisprudenza che opta per l'extra contrattualità. L'odierna pronuncia aderisce al cristallizzato orienta mento giurisprudenziale, che ravvisa nell'art. 1669 un'ipotesi di illecito
aquiliano (la sentenza è annotata da U. Carnevali, Fornitore di mate riali difettosi e responsabilità ex art. 1669 c.c., in Contratti, 2003, 148).
La posizione assunta dai giudici di legittimità poggia sulla conside razione che l'art. 1669 è norma posta a tutela della stabilità delle co struzioni, come pure dell'incolumità e sicurezza dei cittadini, di modo
che, per esservi sotteso un interesse di ordine pubblico, la sua applica zione è estesa anche a soggetti non legati tra di loro da un contratto di
appalto. In altri termini, ad avviso della Suprema corte il legislatore ha inteso garantire l'interesse generale a che non vengano realizzate opere pericolose per la collettività: si sarebbe, quindi, in presenza di una norma speciale non più in relazione alle comuni disposizioni sulla re
II Foro Italiano — 2003.
Svolgimento del processo. — 1. - Con atto notificato il 10
maggio 1985, il comune di Bergamo conveniva in giudizio da
vanti al tribunale di quella città la s.p.a. Impresa Ama, esponen do:
— che il 30 luglio 1974 aveva affidato in appalto, alla società
convenuta, i lavori di costruzione della nuova sede del liceo ar
tistico statale, i quali erano stati ultimati il 30 agosto 1977; — che nel secondo semestre del 1984 si erano manifestati fe
nomeni di «sfondellamento», prontamente denunziati alla so
cietà appaltatrice, la quale aveva però declinato ogni responsa bilità;
— che, per tale ragione, aveva provveduto ad eliminare di
rettamente i difetti rilevati, affrontando la spesa di lire
46.455.780. Tanto premesso, il comune chiedeva la condanna della con
venuta al pagamento di tale somma, con rivalutazione e interes
si, a titolo di responsabilità ex art. 1669 c.c.
sponsabilità contrattuale, ma all'art. 2043 c.c. (v., ex multis, Cass. 28 novembre 2001, n. 15124, Foro it., Rep. 2001, voce Appalto, n. 39, e Corte conti, sez. II giur. centr. app., 18 settembre 2001, n. 302/A, ri
portata per esteso, insieme a quella che precede, in Danno e resp., 2002, 521, con nota adesiva di P. Dellachà; Cass. 7 gennaio 2000, n.
81, Foro it., Rep. 2000, voce cit., n. 59, e, per esteso, Giust. civ., 2001, I, 2511; 22 giugno 1995, n. 7080, Foro it.. Rep. 1996, voce cit., n. 54, e, per esteso, Riv. giur. edilìzia, 1995, I, 819).
Secondo la tesi avallata dalla giurisprudenza, la responsabilità sorge per il solo fatto di aver realizzato l'opera, con la conseguenza di schiu dere il ristoro a danneggiati diversi dal committente. La norma in pa rola si applica, quindi, anche nei casi in cui l'appaltatore incontri una
responsabilità verso i terzi per rovina dell'immobile: può essere invo cata contro di lui da chiunque (semplice detentore dell'immobile, pro prietario contiguo, passante) rimanga pregiudicato dalla rovina del l'immobile.
Che sia questa la ratio della norma in parola è conclusione contestata dalla dottrina in base sia al suo tenore letterale, sia all'espressa men zione della legittimazione attiva degli aventi causa del committente
(spiegabile solo in termini di eccezione ai principi della responsabilità contrattuale dovuta al lungo termine previsto dalla norma), sia ancora all'inutilità della costruzione giurisprudenziale, dato che la responsabi lità del costruttore o delle altre persone alle quali può essere imputato l'evento dannoso è «perfettamente da ammettersi in base ai principi ge nerali» (cfr. D. Rubino-G. Iudica, Appalto, in Commentario Scialoja Branca, Bologna-Roma, 1992, 424, i quali osservano che, se si consi dera l'art. 1669 come norma speciale rispetto all'art. 2043, escludendo
l'operatività di quest'ultima, si applicherebbe alla fattispecie in esame una disciplina più favorevole per il costruttore almeno per quanto ri
guarda l'onere della denuncia entro l'anno dalla scoperta ed il decorso della prescrizione, e C. Giannattasio, L'appalto, in Trattato Cicu Messineo, Milano, 1967, 212 ss.).
II. - L'asserita natura aquiliana dell'art. 1669 ha condotto la giuris prudenza di legittimità a riconoscere la legittimazione passiva in capo ai soggetti che abbiano collaborato alla costruzione sia nella sua fase ideativa con la redazione del progetto, sia in quella attuativa, mediante l'elaborazione dei calcoli di resistenza per il dosaggio del cemento ar mato, quante volte si dimostri che i vizi si sono verificati in dipendenza e a causa di errori commessi nella progettazione ovvero nei calcoli, op pure al contempo nell'una o negli altri: sì che tali soggetti devono esse re considerati quali costruttori al pari dell'appaltatore verso il quale è
configurata la specifica responsabilità (v. Cass. 11 agosto 2000, n. 10719, Foro it.. Rep. 2001, voce cit., n. 60, per la quale «la disciplina dell'art. 1669 c.c., relativa ai gravi difetti dell'opera ed applicabile an che negli appalti pubblici, si applica non solo nei confronti dell'appal tatore. ma anche nei riguardi del progettista, del direttore dei lavori e dello stesso committente che si sia avvalso di detti ausiliari e la relativa
responsabilità esula dai limiti del rapporto contrattuale corso tra le par ti, per assumere la configurazione propria della responsabilità da fatto
illecito»; 7 gennaio 2000, n. 81, cit.; 4 giugno 1999, n. 5455, id., Rep. 1999, voce cit., n. 36). La giurisprudenza, in sostanza, non si è sentita vincolata al tenore letterale della norma, ma attraverso una lettura estensiva ha allargato il novero dei legittimati passivi, includendovi, oltre alla tradizionale figura del costruttore-venditore, anche altri sog getti quali il progettista ed il direttore dei lavori, in quanto, a ragione dell'opera richiesta e prestata, abbiano collaborato in modo attivo alla costruzione dell'edificio.
Ciò, tuttavia, non è sufficiente ai fini della legittimazione passiva; occorre altresì che sussista il requisito dell'autonomia in capo a chi collabora alla costruzione, nel senso che costui deve essere libero di ge stire l'organizzazione e l'attuazione del proprio incarico nel modo rite nuto migliore e più opportuno, assumendone la relativa responsabilità. Tale requisito traspare chiaramente nell'odierna pronuncia, laddove si
opina che il presupposto per la configurabilità della responsabilità ex art. 1669 «risiede pur sempre nella partecipazione alla costruzione del
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
1.1. - La società appaltatrice eccepiva, in via preliminare, l'i
nammissibilità della domanda (sul rilievo che non ricorrevano, nella specie, i presupposti per l'applicazione del citato art. 1669
c.c.) e, comunque, la prescrizione e la decadenza del diritto fatto
valere nei suoi confronti. Assumeva, inoltre, che la pretesa azionata dall'attore era totalmente infondata, in quanto il vizio
rilevato era riconducibile unicamente al materiale laterizio for
nito dalla s.p.a. Fornaci Magnetti (che in corso di causa assume
rà la denominazione Magnetti s.p.a.); materiale che, al momento
dell'acquisto e della posa in opera, era apparso immune da vizi
o difetti e la cui idoneità era stata comunque verificata dall'ing. Mario Peretti e dall'arch. Pietro Milanesi, preposti dal commit
tente alla direzione dei lavori.
1.2. - Chiamati in giudizio su richiesta della convenuta, il
Milanesi, il Peretti e la società Magnetti declinavano ogni re
sponsabilità. La società eccepiva, in particolare, la decadenza e la prescri
l'immobile in posizione di autonomia decisionale». Le norme codicisti che in tema di appalto non si applicano a quella figura di pseudoappalto che ricorre quante volte un soggetto esercita attività di costruttore come nudus minister del committente o del direttore dei lavori, provvedendo solo all'esecuzione materiale dell'opera con proprio personale, mezzi e
materiali, c.d. appalto a regia (per una più precisa qualificazione di tale
figura contrattuale, cfr. C. Giannattasio, op. cit., 40 s.). La legittimazione passiva all'azione ex art. 1669 è determinata, per
tanto, dalla giurisprudenza sulla base di due distinti e concorrenti requi siti: a) la collaborazione attiva alla realizzazione dell'opera (intesa co me attività di progettazione, di esecuzione del progetto e di controllo sull'esecuzione stessa); b) l'autonomia nell'organizzazione ed espleta mento dell'incarico ricevuto.
Al contrario, per la tesi contrattuale, la responsabilità ex art. 1669 sa rà riferibile al solo appaltatore, mentre gli altri soggetti risponderanno verso il committente ciascuno in conseguenza del diverso contratto con lui stipulato, con eventuale applicabilità dell'art. 2236 c.c. per.la pre stazione d'opera intellettuale ovvero dell'art. 2104 c.c. per il lavoro su bordinato.
111. - La soluzione (offerta dall'odierna pronuncia) di escludere la le
gittimazione passiva in capo al fornitore di materiali edilizi, i quali poi si rivelino difettosi, assume che il fornitore di materiali produce e ven de prodotti standardizzati, consegnando materiali edilizi agli appaltatori che ne fanno richiesta, senza distinguere edificio da edificio. Pertanto, non può dirsi che egli, a ragione dell'opera prestata, abbia collaborato in modo attivo — «quale costruttore al pari dell'appaltatore» — alla costruzione dell'edificio dal cui difetto sorge la responsabilità ex art. 1669. La sua posizione è neutra: il fornitore di materiali edilizi non s'interessa della progettazione di uno specifico edificio, né dell'esecu zione di un progetto, né del controllo sulla costruzione stessa, ma esau
risce il suo ruolo con la consegna dei materiali e dei prodotti di serie che gli sono stati ordinati. Sotto tale aspetto, manca P«autonomia» tipi ca dell'appaltatore e dei soggetti equiparati nell'organizzazione e nella
gestione del proprio lavoro in relazione allo specifico edificio.
L'ampliamento della legittimazione passiva — oltre il tenore lette rale della norma che testualmente fa riferimento al solo appaltatore e fino a ricomprendervi il progettista ed il direttore dei lavori — s'ispira all'esigenza di coinvolgere tutti i soggetti che hanno prestato un'attività
specifica e coordinata in relazione alla costruzione dell'edificio; ma
rappresenta anche l'estremo limite, oltre il quale viene meno la sud
detta ratio e un'ulteriore dilatazione della categoria dei legittimati pas sivi non avrebbe giustificazione. Le osservazioni dianzi svolte con rife rimento al fornitore di materiali edilizi valgono anche per i fornitori di altri materiali e prodotti impiegati nella costruzione dell'edificio; anzi, il rischio di un'eccessiva dilatazione della legittimazione passiva ex art.
1669 convince ancora di più che la ratio sottesa alla responsabilità in
questione va ricercata nella partecipazione «qualificata» alla progetta zione e costruzione dello specifico edificio (deve, però, segnalarsi una
pronuncia di legittimità che — con riferimento ad un fornitore
venditore di caldaie e prodotti del settore — ha riconosciuto che gli eventuali vizi dei prodotti venduti, incidenti sull'impianto centralizzato di riscaldamento, sono fonte di responsabilità ex art. 1669: v. Cass. 21
maggio 1994, n. 5002, Foro it., Rep. 1994, voce cit., n. 65, ove si af
ferma espressamente: «la responsabilità per rovina o gravi difetti di edi
ficio sancita dall'art. 1669 c.c. per finalità di ordine generale ha natura
extracontrattuale ed opera non solo a carico dell'appaltatore nei con
fronti del committente, ma anche a carico del costruttore nei confronti
dell'acquirente; per la configurabilità della responsabilità suddetta van
no ritenuti gravi difetti dell'edificio non solo quelli costruttivi che pos sono pregiudicare la sicurezza o la stabilità del fabbricato, ma anche
quelli da cui deriva un apprezzabile danno alla funzione economica o
una sensibile menomazione del normale godimento dell'edificio stesso, come nel caso di difetti incidenti sull'impianto centralizzato di riscal
damento, conseguendone grave limitazione al normale godimento delle
abitazioni»), [F. Agnino]
Il Foro Italiano — 2003.
zione del diritto fatto valere nei suoi confronti dalla convenuta, facendo presente che il suo ruolo era stato solo quello di fornito
re di (una parte) dei materiali utilizzati nella costruzione dell'e
dificio e che, pertanto, una sua eventuale responsabilità poteva essere fatta valere solo alle condizioni e con le modalità stabilite
dagli art. 1495-1497 c.c. in tema di compravendita. Chiedeva
comunque di essere autorizzata, a sua volta, a chiamare in giu dizio la s.p.a. Milano assicurazioni, con la quale aveva stipulato una polizza di assicurazione della responsabilità civile.
Costituitasi in giudizio, quest'ultima società chiedeva che la
domanda avanzata nei confronti della Magnetti fosse respinta e
faceva comunque presente che, in base alle condizioni di poliz za, l'indennizzo era decurtato di una franchigia del dieci per cento.
1.3. - Nel corso del giudizio veniva disposta consulenza tec
nica, all'esito della quale era accertato in lire 162.000.000
l'ammontare degli ulteriori danni subiti dal comune che, all'u
dienza di precisazione delle conclusioni del 20 dicembre 1990,
integrava le proprie richieste con la richiesta di condanna della
società convenuta al risarcimento dei danni, in solido con gli altri chiamati in causa.
2. - Il Tribunale di Bergamo, con sentenza del 9 febbraio
1993: — condannava la s.p.a. Ama e la s.p.a. Magnetti, in solido tra
loro, al pagamento delle somme di lire 46.455.780 e lire
162.000.000, con rivalutazione e interessi, dichiarando peraltro la società Magnetti tenuta a rivalere l'altra società, ove previa mente escussa dal comune;
— dichiarava la compagnia Milano assicurazioni tenuta a ri
valere la s.p.a. Magnetti delle somme eventualmente sborsate
fino all'importo massimo in polizza, al netto della franchigia del
dieci per cento; —
rigettava le domande proposte contro l'ing. Peretti e
l'arch. Milanesi, condannando la s.p.a. Ama alla rifusione delle
spese da essi sostenute; —
poneva le spese di c.t.u. a carico della s.p.a. Ama e la con
dannava altresì alla rifusione delle spese in favore del comune.
3. - La s.p.a. Magnetti proponeva appello, censurando la sen
tenza impugnata, in particolare, per non aver considerato: — che l'estensione della domanda nei suoi confronti, operata
dal comune, nell'udienza di precisazione delle conclusioni della
precedente fase di giudizio, era stata tardiva e, per tale motivo, da ritenersi inammissibile;
— che l'art. 1669 c.c. era inapplicabile nei suoi confronti; — che, comunque, il diritto fatto valere era da ritenersi,
quanto meno nei suoi riguardi, estinto per decadenza o prescri zione anche entro i più ampi termini stabiliti dal citato art. 1669;
— che le conclusioni cui era giunto il c.t.u., specie in ordine
alla determinazione delle percentuali di responsabilità, non era
no condivisibili. La Milano assicurazioni proponeva a sua volta appello, chie
dendo la riforma del capo della sentenza che aveva riconosciuto
il diritto della s.p.a. Ama a ripetere dalla Fornaci Magnetti, e da
essa medesima, le spese di causa poste a suo carico. Gli altri ap
pellati chiedevano la reiezione dell'appello principale. 4. - La corte territoriale, con la sentenza impugnata: — rigettava l'appello principale; —
accoglieva parzialmente quello proposto in via incidentale
dalla Milano assicurazioni s.p.a., dichiarando detta società non
tenuta a rimborsare le spese di causa sostenute dalla s.p.a. Ma
gnetti nella precedente fase di giudizio; — condannava la s.p.a. Magnetti e la s.p.a. Milano assicura
zioni a rifondere alle altre parti costituite, in solido tra loro, le
spese di quel grado di giudizio. 5. - La s.p.a. Magnetti chiede la cassazione di tale sentenza
con otto motivi di ricorso. Il comune di Bergamo, il Peretti e il
Milanesi si oppongono all'accoglimento del gravame. L'impre sa Ama s.p.a., nel frattempo dichiarata fallita, e la Milano assi
curazioni s.p.a., alle quali il ricorso è stato notificato, rispetti vamente il 30 e il 27 ottobre 1999, non resistono.
Motivi della decisione. — 6. - Nella sentenza impugnata si af
ferma, in particolare:
a) che, non avendo la società Magnetti sollevato alcuna ecce
zione a fronte della domanda di condanna avanzata per la prima volta nei suoi confronti dal comune nell'udienza di precisazione delle conclusioni, doveva ritenersi che il contraddittorio fosse
stato da lei (implicitamente) accettato e che, quindi, la domanda
era stata legittimamente presa in esame dal tribunale;
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PARTE PRIMA
b) che l'art. 1669 c.c. prevede una responsabilità di natura
extracontrattuale, come tale applicabile non solo all'appaltatore, ma anche ad ogni altro soggetto, come il fornitore dei materiali
utilizzati nella costruzione dell'opera, cui siano imputabili la
rovina o il grave difetto dell'edificio o dell'immobile;
c) che il d.p.r. 224/88, sulla responsabilità del produttore per i
danni cagionati da prodotti difettosi, non contiene alcuna dispo sizione che sia di ostacolo all'accoglimento di tali conclusioni;
d) che la domanda avanzata dal comune era da ritenersi tem
pestiva, dovendo la sussistenza di tale requisito, in relazione a
quanto stabilito dall'art. 1669, 2° comma, c.c., essere valutata in
relazione alla possibilità, per il danneggiato, di percepire il fatto
nella sua reale consistenza e gravità e dovendosi tener conto,
altresì, dei principi che governano l'efficacia degli atti interrut
tivi della prescrizione nelle obbligazioni solidali;
e) che le critiche all'elaborato peritale non si sostanziavano in
argomentazioni «idonee ad evidenziare la presenza di errori tec
nico-scientifici, e/o carenze, e/o vizi logici del processo dimo
strativo».
7. - Degli otto motivi nei quali si articola il ricorso della so
cietà Magnetti assume priorità, sul piano logico il quinto, con il
quale la ricorrente assume che la corte territoriale sarebbe incor
sa nella violazione degli art. 183-184 c.p.c. per aver affermato
che, non avendo essa ricorrente «svolto alcuna eccezione a
fronte della domanda di condanna ... proposta [per la prima
volta] dal comune in sede di precisazione delle conclusioni, do
veva ritenersi che il contraddittorio, in ordine a tale richiesta
fosse stato accettato, e che conseguentemente il tribunale non
potesse rilevarne l'eventuale tardività e la conseguente inam
missibilità». 7.1. - La censura è fondata.
Chiamate a comporre le divergenze interpretative manifesta
tesi in ordine alla rilevabilità della novità della domanda nel
corso del primo grado del giudizio ordinario di cognizione di
primo grado con riferimento alla disciplina in vigore prima della
novella del 1990, le sezioni unite civili di questa corte, pur riba
dendo che il divieto di introdurre una domanda nuova in tale fa
se di giudizio «è posto a tutela della parte che della domanda è
destinataria», hanno puntualizzato: — che la violazione del divieto di introdurre domande nuove,
desumibile dagli art. 183 e 184 c.p.c., può essere rilevata d'uffi
cio dal giudice, sempre che la parte, che potrebbe avere interes
se a impedire l'ingresso di tale domanda, non abbia dichiarato
di accettare il contraddittorio, ovvero non abbia tenuto un com
portamento «implicante accettazione»; — che, peraltro, il mero prolungarsi nel tempo del difetto di
reazione alla domanda nuova non implica, di per sé, accettazio
ne del contraddittorio neppure quando la parte sia costituita in
giudizio, non essendo «il mero silenzio, anche se prolungato ...
decisivo»; — che, pertanto, quando la domanda nuova sia formulata nel
l'udienza di precisazione delle conclusioni, la mancata reazione
della controparte non può condurre a ritenere che il contraddit
torio sia stato accettato, neppure quando essa abbia continuato a
tacere anche in comparsa conclusionale, «valendo ancora una
volta il principio del significato neutro del silenzio» (sent. 22
maggio 1996, n. 4712, Foro it., 1998, I, 2975). Si è così inteso assegnare al comportamento «non opposito
rio» della parte che potrebbe avere interesse ad impedire l'in
gresso della domanda un contenuto «attivo», affermando che la
rilevabilità ex officio della novità della domanda deve essere
esclusa solo in caso di accettazione del contraddittorio espressa, ovvero risultante dalla proposizione di specifici mezzi di difesa
volti a contestare nel merito la fondatezza della domanda intro
dotta tardivamente in giudizio, negando ogni valenza al silenzio
e, in genere, al comportamento inattivo di tale soggetto (Cass. 5
marzo 2001, n. 3159, id., Rep. 2001, voce Procedimento civile, n. 159).
A tali principi, pienamente condivisibili e successivamente
ribaditi da questa stessa corte in numerose occasioni (tra le tan
te, oltre alla sentenza da ultimo citata, Cass. 2 maggio 1997, n.
3813, id., Rep. 1997, voce cit., n. 226; 16 novembre 1998, n.
11508, id., Rep. 1998, voce cit., n. 274; 10 marzo 2000, n. 2805,
id., Rep. 2000, voce cit., n. 247; 15 maggio 2000, n. 6238, ibid., n. 246), la sentenza impugnata non si è attenuta, avendo ritenuto
che la domanda formulata per la prima volta dal comune in sede
di precisazione delle conclusioni potesse essere presa in consi
II Foro Italiano — 2003.
derazione per il solo fatto che, in ordine alla sua proponibilità, non era stata formulata alcuna eccezione dalla parte (la società
Magnetti) contro la quale era diretta.
Il motivo deve essere quindi accolto. La concreta valutazione
del comportamento tenuto nel caso di specie dalla società Ma
gnetti in ordine alle nuove richieste formulate dal comune in se
de di precisazione delle conclusioni non può essere effettuata in
questa sede di legittimità, implicando un'operazione di apprez zamento della volontà delle parti riservata, in quanto tale, all'e
sclusivo apprezzamento del giudice del merito (Cass. 24 feb
braio 1995, n. 2113, id., Rep. 1995, voce Cassazione civile, n.
88; 21 novembre 1998, n. 11803, id.. Rep. 1998, voce Impugna zioni civili, n. 82).
8. - Con il primo, secondo, sesto e ottavo motivo, da esami
narsi congiuntamente in ragione della loro connessione, la so
cietà ricorrente — denunziando violazione e falsa applicazione
degli art. 1490-1497 e 1669 c.c., oltre che delle norme generali in tema di responsabilità per fatto illecito; nonché vizio di moti
vazione — censura la sentenza impugnata perché motivata in
modo insufficiente e contraddittorio e per non aver considerato: — che la speciale responsabilità disciplinata all'art. 1669 c.c.
riguarda solo l'appaltatore e i soggetti che (come il costruttore
venditore e il direttore dei lavori) abbiano partecipato diretta
mente alla realizzazione dell'opera e che tale responsabilità non
si estende anche a colui che si sia limitato a fornire i materiali
utilizzati per la costruzione senza tuttavia partecipare ai relativi
lavori, essendo nella specie applicabile quella regolata dagli art.
1495-1497 c.c.; — che, conseguentemente, le domande proposte sia dalla so
cietà Ama che dal comune erano improponibili, perché avanzate
dopo l'inutile decorso dei termini stabiliti dai citati art. 1495 e
1497 c.c.
Il vizio di motivazione è prospettato sotto un duplice profilo, sul rilievo:
— che le ragioni della pretesa applicabilità dell'art. 1669 c.c., in luogo delle norme in tema di compravendita, sarebbero state
indicate in modo inadeguato; — che la sua condanna, in solido con la società appaltatrice,
nei confronti del comune si pone in insanabile contrasto con il
riconoscimento della società appaltatrice quale «unica respon sabile» dell'evento dannoso.
8.1. - La censura, sotto il primo profilo, è inammissibile, dal
momento che il preteso vizio della motivazione è stato prospet tato in relazione alla motivazione «in diritto», anziché a quella «in fatto» (Cass. 11 aprile 2000, n. 4593, id., Rep. 2000, voce
Cassazione civile, n. 284; 20 febbraio 1999, n. 1430, id., Rep. 1999, voce cit., n. 109; 10 gennaio 1995, n. 228, id.. Rep. 1995, voce cit., n. 83). Sotto l'altro profilo la doglianza è invece am
missibile, ma palesemente infondata, essendo evidente che le
due statuizioni della sentenza impugnata poste a raffronto sono, contrariamente a quel che si assume, pienamente conciliabili, dal momento che la condanna in solido della società appaltatrice della società Magnetti concerne i rapporti «esterni» verso il
committente e che il riconoscimento della prima quale «unica»
responsabile riguarda invece i rapporti «interni» relativi al re
gresso tra i coobbligati (ex art. 2055, 2° comma, c.c.). 8.2. - A diverse conclusioni deve invece giungersi per la de
dotta violazione dell'art. 1669 c.c.; ritenuto dalla sentenza im
pugnata applicabile anche alla società Magnetti, il cui ruolo se
condo quanto accertato dal giudice del merito è stato quello di
(mero) fornitore dei materiali (laterizi) utilizzati nella costruzio
ne dell'immobile parzialmente rovinato.
Secondo l'ormai consolidato orientamento di questa corte, la
responsabilità sancita dalla disposizione appena richiamata ha
natura extracontrattuale (Cass. 6 dicembre 2000, n. 15488, id..
Rep. 2001, voce Appalto, n. 59; 7 aprile 1999, n. 3338, id.. Rep. 1999, voce cit., n. 57; 27 agosto 1997, n. 8109, id., 1998,1, 134: e già 18 agosto 1981, n. 4936, id., Rep. 1981, voce cit., n. 110). Il suo ambito di applicazione, conseguentemente, è più ampio di
quello risultante dal tenore letterale di detta disposizione, che fa
riferimento soltanto all'appaltatore, al committente e ai suoi
aventi causa ed opera anche nei riguardi del progettista, del di
rettore dei lavori e dello stesso committente, che abbia provve duto alla costruzione dell'immobile con propria gestione diretta, ovvero sorvegliando personalmente l'esecuzione dell'opera, sì
da rendere l'appaltatore un mero esecutore dei suoi ordini
(Cass. 2 ottobre 2000, n. 13003, id., Rep. 2000, voce cit., n. 70;
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
11 agosto 2000, n. 10719, id., Rep. 2001, voce cit., nn. 41, 60; 27 agosto 1994, n. 7550, id., Rep. 1995, voce cit., n. 62; 26
aprile 1993, n. 4900, id., Rep. 1993, voce cit., n. 63). Il suo presupposto, peraltro, risiede pur sempre nella parteci
pazione alla costruzione dell'immobile in posizione di «auto
nomia decisionale», mancando la quale lo stesso appaltatore
sfugge alla responsabilità sancita dal citato art. 1669 c.c. (Cass. 4 giugno 1999, n. 5455, id., Rep. 1999, voce cit., n. 36; 7 no
vembre 1984, n. 5624, id., Rep. 1985, voce cit., n. 22). E pertanto evidente che, contrariamente a quel che si afferma
nella sentenza impugnata, il fornitore dei materiali utilizzati
nella costruzione dell'immobile non può assumere la responsa bilità sancita dalla disposizione in esame, non implicando tale
prestazione, che si esaurisce nella consegna dei prodotti richie
sti, alcuna partecipazione, nemmeno indiretta, alla costruzione
dell'immobile.
8.3. - Da quanto precede, appare evidente: — che i presupposti sulla base dei quali la sentenza impu
gnata ha creduto di poter affermare che la società Magnetti, for
nitrice dei laterizi utilizzati per la costruzione dell'edificio, fos
se tenuta, in solido con l'impresa appaltatrice (la s.p.a. Ama) a
risarcire il comune dei danni subiti a causa della parziale rovina
dell'edificio, sono errati; — che non ricorrono, conseguentemente, i presupposti per
inquadrare l'azione esperita dalla società Ama nei confronti
della società Magnetti negli schemi previsti dagli art. 1299 c.c. e
1203, n. 3, stesso codice, e per ritenere che tale azione sia as
soggettabile agli stessi termini decadenziali e di prescrizione
applicabili all'azione principale; — che, conseguentemente, la proponibilità e la fondatezza di
tale azione debbono essere verificate alla stregua delle norme in
tema di compravendita, a torto ritenute inapplicabili dalla sen
tenza impugnata. È poi appena il caso di osservare che ogni riferimento alla di
sciplina dettata dal d.p.r. 24 maggio 1988 n. 224, in tema di re
sponsabilità del produttore per i prodotti difettosi, è palesemente
incongruo, trattandosi di normativa priva di efficacia retroattiva
(Cass. 29 settembre 1995, n. 10274, id., 1996, I, 954) e, come
tale, non applicabile a fatti verificatisi, come nel caso di specie, ben prima della sua entrata in vigore.
Entro tali limiti le censure formulate con il primo, secondo, sesto e ottavo motivo vanno riconosciute fondate.
9. - Il terzo e il quarto motivo — con i quali la ricorrente, de
nunziando violazione e falsa applicazione dell'art. 1669 c.c. e
vizio di motivazione, censura la sentenza impugnata per non
aver considerato che le domande proposte nei suoi confronti dal
comune di Bergamo erano da ritenersi tardive anche in relazione
ai termini stabiliti dall'art. 1669 c.c. — sono evidentemente as
sorbiti, dal momento che, per quanto si è detto, l'applicabilità di
tale disposizione nel caso di specie deve essere esclusa.
10. - Resta il settimo motivo, con il quale la ricorrente assu
me che la corte territoriale avrebbe, con motivazione del tutto
inadeguata, rigettato la propria istanza di rinnovazione della
propria istanza della c.t.u. esperita in primo grado. Anche tale
doglianza resta assorbita dall'accoglimento, nei sensi sopra pre
cisati, delle censure formulate con il primo, secondo, sesto e
ottavo motivo.
11. - L'accoglimento del ricorso, e la conseguente cassazione
della sentenza impugnata, entro i limiti sopra precisati, com
porta il rinvio della causa ad altra sezione della Corte d'appello di Brescia che si atterrà ai principi di diritto enunciati nei par.
7.1,8.2,8.3.
Il Foro Italiano — 2003 — Parte I-23.
I
CORTE DI CASSAZIONE; sezione III civile; sentenza 16 lu glio 2002, n. 10286; Pres. Preden, Est. Segreto, P.M. Ab
brutì (conci, parz. diff.); Soc. Zeta di Zaina Ivan & C. (Avv. Voltaggio Lucchesi, Barel) c. Soc. Espanso stampi (Avv.
Lenchi). Conferma App. Venezia 7 aprile 1999.
Mediazione e mediatore — Procacciatore d'affari — Diffe
renze — Imparzialità del mediatore — Unilateralità del
l'incarico (Cod. eiv., art. 1755).
La mediazione e il contratto di procacciamento di affari si di
stinguono sotto il profilo della posizione di imparzialità del
mediatore rispetto a quella del procacciatore, che agisce su
incarico di una delle parti interessate alla conclusione del
l'affare e dalla quale può pretendere il compenso, pur non
essendo legato a quest'ultima da un rapporto stabile e orga nico. (1)
II
TRIBUNALE DI IVREA; sentenza 11 luglio 2002; Giud. Morlini; Agenzia Colosso immobiliare (Avv. Cecchin) c.
Capuano (Avv. Gaudiosi).
Mediazione e mediatore — Mediazione atipica — Normativa
applicabile (Cod. civ., art. 1755).
Nel contratto di mediazione atipica, la conclusione dell 'affare a
condizioni diverse da quelle indicate nell'incarico costituisce
inadempimento del preponente e obbliga quest'ultimo al pa
gamento della provvigione pattuita al mediatore in deroga alle disposizioni codicistiche in materia di mediazione. (2)
I
Svolgimento del processo. — La Espanso stampi s.d.f. di
Torza Pierangelo e Micheletti Giuliana proponeva opposizione davanti al Tribunale di Treviso, avverso il decreto ingiuntivo emesso dal presidente dì quel tribunale, di condanna dell'oppo nente al pagamento nei confronti della s.a.s. Zeta di Zaina Ivan
& c. della somma di lire 17.100.000, quale provvigione, che
l'opposta assumeva doveva esserle corrisposta. Infatti, secondo la Zeta, essendo essa stata contattata da una
società spagnola di Pamplona per l'acquisto sul mercato italiano
di una macchina stampatrice di polistirolo, essa aveva contattato
la Espanso stampi, con la quale aveva raggiunto l'accordo con
(1) In senso conforme alla decisione riportata, cfr., da ultimo, Cass. 6
aprile 2000, n. 4327, Foro it., 2001,1, 607, con nota di Caputi, la quale, nell'aderire in motivazione al tralatizio orientamento riassunto nella massima della sentenza in epìgrafe, si pronuncia su un problema analo
go a quello ivi trattato, affrontando ex professo il tema della differenza
fra contratto di agenzia e quello di procacciamento di affari e conclu dendo con una decisione che, ai fini della riconoscibilità dei tratti di stintivi fra l'uno e l'altro, assegna rilievo preminente alla sussistenza insussistenza di un vincolo stabile e organico. Il tema della differenza fra contratto di mediazione atipica (procacciamento di affari) e tipica assume, dunque, una posizione, per così dire, prodromica rispetto al
problema — centrale, si ribadisce, nella sentenza da ultimo richiamata
—, in cui la Suprema corte individua l'elemento distintivo fra i due
rapporti nella posizione di imparzialità del mediatore rispetto al pro cacciatore, senza tralasciare di evidenziarne l'elemento comune nello
svolgimento, da parte di entrambi, di un'attività di intermediazione fi
nalizzata a favorire la conclusione di affari fra terzi messi in contatto
per mezzo dell'attività del mediatore-procacciatore. (2) Su un problema analogo a quello affrontato nella sentenza in epi
grafe, cfr. Trib. Torino 13 gennaio 2000, Foro it., 2001, I, 1885, con
nota di Caputi, in cui il tema degli obblighi delle parti nel contratto di
mediazione viene affrontato con particolare riguardo agli obblighi in
capo al mediatore. Non manca, in ogni caso, il richiamo al più generale dovere di buona fede incombente su entrambe le parti del rapporto contrattuale — dunque (anche) sul preponente —, fra cui deve ritenersi
compreso l'obbligo di corrispondere il compenso dovuto al procaccia tore, indipendentemente dalla conclusione del contratto principale alle
condizioni previste nell'incarico conferito a quest'ultimo e in virtù
della sola attività svolta in adempimento del contratto di mediazione
atipica.
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