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sezione I civile; sentenza 20 settembre 1984, n. 4805; Pres. Falcone, Est. Rocchi, P.M. Zema(concl. diff.); Istituto autonomo per le case popolari de L'Aquila (Avv. Settevendemie) c. Barone(Avv. La Vella). Cassa App. L'Aquila 9 dicembre 1982Source: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 5 (MAGGIO 1985), pp. 1437/1438-1439/1440Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23177899 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
ex officio della questione da parte del giudice d'appello, va
osservato che correttamente, comunque, è stato ritenuto non
applicabile, nella specie, l'art. 147 1. fall.; trattasi invero di una
norma eccezionale, di natura sanzionatoria, applicabile solo in
ipotesi di fallimento di società di persone, non anche di società di
capitali, per le quali non esiste alcuna forma di responsabilità sussidiaria dei soci (presupposto, questo, della possibilità dell'esten
sione del fallimento ai soci); inoltre, come esattamente ha rilevato
la sentenza impugnata (e come è pacifico in punto di fatto), il
dante causa della Merighi era deceduto molto tempo prima della
trasformazione della società in n.c. in società p.a., e molto tempo
prima dell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, per cui
una dichiarazione di fallimento di Antonio Borghi non sarebbe
stata comunque possibile ai sensi dell'art. 11 1. fall.
Superflue, infine, sono le considerazioni svolte nel ricorso circa la possibilità dell'estensione del fallimento alla società in nome
collettivo; sul punto, basta osservare che una istanza in tale senso fu proposta dall'amministrazione finanziaria (come questa afferma nel ricorso) al tribunale fallimentare, che non l'accolse, per cui la
questione è da considerarsi definitivamente decisa, in mancanza di
impugnazione del provvedimento di rigetto. Quanto alla solidarietà fra i soci della società in nome
collettivo per il pagamento di quanto dovuto a seguito dell'accer tamento delle infrazioni alla normativa sull'i.g.e., ciò che già in
precedenza si è osservato circa l'accertamento effettuato in merito dalla sentenza impugnata esclude che la solidarietà possa discen dere dall'ordinanza di condanna dell'intendente di finanza, emessa solo nei confronti della società, sia pure rappresentata dai soci, e non anche a carico di questi singolarmente quali concorrenti nelle accertate infrazioni; né la solidarietà può ritenersi sussistente direttamente ex lege per il disposto dell'art. 10 1. n. 4/29, in
quanto, come è giurisprudenza consolidata di questa corte (sent. 2903 del 1976, Foro it., Rep. 1977, voce Tributi in genere, n.
1048; n. 4266 del 1979, id., Rep. 1979 voce cit., n. 850; n. 1212 del 1981, id., Rep. 1981, voce cit., n. 1194, e n. 5508 del 1981, id., Rep. 1982, voce Procedimento civile, n. 24), detta norma
prevede solo la responsabilità solidale degli enti per le infrazioni commesse dai loro rappresentanti o dipendenti, non anche la
responsabilità solidale di questi ultimi per le violazioni imputabili direttamente agli enti; né può, per quanto premesso in fatto, ritenersi applicabile, nel caso di specie, l'art. 11 della legge suddetta (che, comunque, importerebbe la solidarietà solo per il
pagamento della pena pecuniaria e della soprattassa e non anche
dell'imposta evasa, il che già sarebbe sufficiente per riconoscere
l'illegittimità dell'ingiunzione in questione, emessa per il pagamen to anche dell'imposta).
Infine, quanto all'applicabilità, nel caso di specie, della norma
tiva dell'art. 2304 c.c., va anzitutto osservato che, contrariamente
a quanto sostenuto dalla ricorrente, non può dirsi essere stato
rispettato il beneficium excussionis per essere stata l'ingiunzione notificata alla società fallita prima che ai soci, posto che, come
risulta dalla narrativa contenuta nella sentenza impugnata, fra le
due notificazioni intercorse solo lo spazio di un giorno.
Comunque, nel merito, va condivisa la motivazione della
sentenza impugnata, che ha ritenuto non sufficiente il solo fatto
della dichiarazione di fallimento per escludere l'onere della previa escussione del debitore principale. La dichiarazione di fallimento
presuppone, invero, una situazione di insolvenza, ma non com
porta automaticamente che, in ogni caso, un singolo creditore non
possa essere soddisfatto in tutto o in parte, specie qualora si tratti
di un creditore privilegiato, quale è nel caso di specie l'ammini
strazione.
La sentenza impugnata ha altresì accertato che, mentre l'ammi nistrazione non ha documentato né chiesto di provare che nel
procedimento concorsuale non potrà soddisfarsi, né integralmente, né entro una certa misura, risulta invece che il credito per i.g.e. evasa ha già avuto un parziale pagamento nel corso della
procedura concorsuale e che nel riparto finale esso sarà ulterior
mente soddisfatto; tali accertamenti di fatto non sono contestati dalla ricorrente e di conseguenza appare immune da censura la
sentenza impugnata, che ha affermato che per ciò solo dovesse
considerarsi illegittima la pretesa fiscale di pagamento, da parte dei soci, dell'intera somma. Anche sotto questo profilo, pertanto, il
ricorso non può trovare accoglimento. Il ricorso incidentale condizionato va dichiarato assorbito. (O
missis)
Il Foro Italiano — 1985.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 20 set
tembre 1984, n. 4805; Pres. Falcone, Est. Rocchi, P.M. Zema
(conci, difl.); Istituto autonomo per le case popolari de L'Aquila (Avv. Settevendemie) c. Barone (Aw. La Vella). Cassa App.
L'Aquila 9 dicembre 1982.
Edilizia popolare ed economica — Assegnazione di alloggio —
Abbandono volontario — Revoca dell'assegnazione (D.p.r. 17
gennaio 1959 n. 2, disciplina della cessione in proprietà degli
alloggi di tipo popolare ed economico, art. 16).
La revoca dell'assegnazione di alloggio popolare per abbando
no dell'alloggio, avvenuto dopo l'esercizio del diritto di riscatto, è legittima nel caso in cui si tratti di abbandono volontario e
non di trasferimento dell'assegnatario necessitato da ragioni di
lavoro. (1)
Svolgimento del processo. — Con atto di citazione in riassun
zione del 10 aprile 1976, Barone Camillo conveniva, davanti al
Tribunale di Sulmona, l'istituto autonomo case popolari de L'A
quila, in persona del legale rappresentante pro tempore, chiedendo
che venisse dichiarata la illegittimità del provvedimento reso dall'istituto in data 26 ottobre 1968, che revocava l'assegnazione all'istante dell'alloggio n. 49 di via Roma, in Roccaraso, nonché
di dichiarare il diritto dell'istante medesimo alla cessione in
proprietà del detto alloggio, in ordine al quale era stata a suo tem
po presentata domanda di riscatto, prevista dal d.p.r. 17 gennaio 1959 n. 2; in subordine, di dichiarare la validità del contratto di
locazione dell'alloggio predetto, in corso fra le parti.
L'istituto convenuto si costituiva in giudizio contestando la
domanda e chiedendone il rigetto. Con sentenza del 7 febbraio-7 marzo 1979, il tribunale adito
rigettava la domanda e condannava l'attore a rimborsare all'istitu
to convenuto le spese processuali. Con atto del 14 aprile 1979, il Barone proponeva appello
innanzi la corte territoriale competente, insistendo nelle richieste
disattese dal primo giudice. L'I.a.c.p. de L'Aquila si costituiva, chie
dendo il rigetto dell'impugnazione.
Con sentenza del 26 ottobre-9 dicembre 1982, la Corte d'appello de L'Aquila, in accoglimento del gravame ed in riforma della
sentenza impugnata, dichiarava illegittimo il provvedimento dell'i
stituto reso in data 26 ottobre 1968; riconosceva il diritto del
Barone alla cessione in proprietà dell'alloggio de quo-, condannava
l'istituto a rifondere al Barone le spese processuali dell'intero
giudizio. In particolare, la corte territoriale riteneva assorbente la circo
stanza che il trasferimento dell'assegnatario si era verificato in
epoca successiva a quella in cui il diritto alla cessione in
proprietà dell'alloggio si era maturato ed era stato tempestivamen te esercitato.
Avverso detta decisione, ricorre l'istituto autonomo case popola
(1) Nello stesso senso v. Cass. 8 marzo 1983, n. 1695, Foro it., Rep. 1983, voce Edilizia popolare ed economica, n. 158; 12 novembre 1982, n. 6000, id., Rep. 1982, voce cit., n. 95 e la conforme 6001/82; 24
maggio 1982, n. 3160, ibid., n. 98; 24 aprile 1979, n. 2316, id., Rep. 1979, voce cit., n. 155; 2 febbraio 1978, n. 464, id., Rep. 1978, voce
cit., n. 123. Contrariamente all'opinione della giurisprudenza prevalen te, Cass. 22 luglio 1978, n. 3663, ibid., n. 139, ha affermato che il diritto dell'assegnatario alla cessione in proprietà non può trovare ostacolo nel trasferimento dell'assegnatario stesso avvenuto dopo che tale diritto sia sorto e sia stato esercitato.
Più in generale, sulla risolubilità del rapporto di locazione intercor rente fra l'ente e l'assegnatario a causa del trasferimento di quest'ulti mo in altro comune (e non per la semplice scadenza del termine contrattuale), cfr. Cass. 25 maggio 1971, n. 1535, id., 1971, I, 1887 e
ibid., 2818, la nota di A. Nori, Assegnazione di case popolari-, interessi
legittimi e diritti soggettivi. Per l'ipotesi di occupazione dell'alloggio saltuaria e per brevi periodi
di tempo, cfr. Cass. 13 marzo 1975, n. 937 e 19 maggio 1975, n. 1955, id., 1975, I, 1692 e 2244.
Nella giurisprudenza amministrativa, cfr., da ultimo, T.A.R. Campa nia 5 ottobre 1982, n. 527, id., Rep. 1983, voce cit., n. 122; nonché Cons. Stato, sez. VI, 16 luglio 1983, n. 600, ibid., n. 123. In particolare, quanto alla prova dell'abbandono (per un periodo superiore a tre mesi e senza preventiva autorizzazione), Cons. Stato, sez. IV, 14 novembre 1978, n. 994, id., Rep. 1979, voce cit., n. 156, ha affermato l'illegittimità della revoca dell'assegnazione ove le assenze, per esigenze familiari e cure mediche, non abbiano superato brevi periodi. V., altresì, Cons. Stato, sez. IV, 25 luglio 1979, n. 654, ibid., n. 157.
Per ulteriori indicazioni cfr. M. Finocchiaro, Cessione in proprietà degli alloggi di edilizia popolare ed economica (dalla l. 21 marzo 1958 n. 447 alla l. 5 agosto 1978 n. 457), in Giust. civ., 1981,11, 137, 158 s.
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1439 PARTE PRIMA 1440
ri de L'Aquila sulla base di due motivi di annullamento. Resiste
il Barone con controricorso.
Motivi della decisione. — Con il primo motivo di annullamen
toi, il ricorrente istituto — denunziando violazione e falsa appli cazione dell'art. 16, 5° comma, d.p.r. 17 gennaio 1959 n. 2 —
deduce che la revoca dell'assegnazione dell'alloggio de quo al
Barone era stata già deliberata in tempo anteriore alla maturazio
ne del diritto dell'assegnatario alla cessione in proprietà dell'allog
gio medesimo, per effetto di deliberazione della commissione
comunale per l'assegnazione delle case per i senzatetto di Rocca
raso, deliberazione n. 1 del 18 marzo 1958, resa in conseguenza del preteso trasferimento del Barone dall'alloggio di via Roma in
altro alloggio di Roccaraso, sito in via Claudio Mori: onde, anche
a voler ritenere esatto il principio affermato dalla corte territoriale — secondo cui il diritto dell'assegnatario di un alloggio alla
cessione in proprietà del medesimo non può essere negato in
relazione a cause risolutive del rapporto di assegnazione soprav venute in un momento posteriore a quello in cui detto diritto sia
sorto ed esercitato dall'assegnatario — la revoca dell'assegnazione
era, comunque, nella specie, pienamente legittima.
La censura non può trovare accoglimento. Invero, il rilievo
espresso dal ricorrente solleva una questione non dedotta nel
giudizio di merito, risultando essere stato oggetto di tale giudizio, in relazione alla sua pretesa illegittimità, esclusivamente il prov vedimento reso in data 26 ottobre 1968 dall'I.a.c.p. de L'Aquila,
quale assuntore territoriale della gestione degli alloggi popolari
per i senzatetto. Ed è principio costantemente seguito quello secondo cui nel giudizio di cassazione istituzionalmente volto al controllo della legittimità della pronuncia di merito, in rapporto alla regolarità formale del processo ed alle ragioni di diritto a
suo tempo prospettate e vagliate, è preclusa alle parti la prospet tazione di nuove questioni di diritto o di temi di contestazione
diversi da quelli dedotti nel giudizio di merito ed implicanti mutamento del sistema difensivo (Cass. n. 1248/77, Foro it., Rep. 1977, voce Cassazione civile, n. 62, e n. 2002/79, id., Rep. 1979, voce cit, n. 62).
Con il secondo motivo di annullamento, il ricorrente istituto —
denunziando violazione del d.l. del 9 giugno 1945 n. 387 e del
d.l.c.p.s. del 10 aprile 1947 n. 261 — deduce che il provvedi mento impugnato è pienamente legittimo, in quanto reso in
perfetta conformità alla normativa vigente, nel presupposto del
l'abbandono volontario dell'alloggio da parte dell'assegnatario.
In sostanza, l'istituto ricorrente sostiene che, nell'ipotesi di
specie, il diritto dell'assegnatario di un alloggio alla cessione in
proprietà del medesimo può essere escluso anche in relazione a
causa risolutiva del rapporto di assegnazione, consistente nel
trasferimento volontario dell'assegnatario, sopravvenuta in un mo
mento posteriore a quello in cui il detto diritto sia sorto ed
esercitato dall'assegnatario medesimo.
La censura è fondata nei limiti delle proposizioni che seguono. Va subito detto che l'assegnatario il quale abbia presentato
domanda di cessione in proprietà ai sensi della 1. 27 aprile 1962
n. 231 non acquista — per il solo fatto della presentazione della domanda — una sorta di diritto all'inamovibilità, nel senso che, da quel momento diviene praticamente inefficace qualunque causa
di risoluzione del contratto di assegnazione.
In realtà, il diritto dell'assegnatario di un alloggio alla cessione in proprietà del medesimo, ai sensi del d.p.r. 17 gennaio 1959 n.
2, e successive modifiche, rimane intangibile nel senso che per il
periodo di tempo susseguente alla domanda l'ente assegnatario non può rifiutarsi di accoglierla per il solo motivo che il contratto di assegnazione sia nel frattempo scaduto per sopravvenienza del termine di durata contrattualmente previsto: e ciò in quanto il fatto che la legge (art. 10, 3° comma, d.p.r. 17 gennaio 1959 nel testo sostituito dall'art. 7 1. 27 aprile 1962 n. 231) abbia attribuito
ali'assegnatario-locatario il diritto di presentare la domanda di cessione in proprietà in qualsiasi momento sembra necessariamente
equivalente alla previsione di una sorta di prorogatio del rapporto di assegnazione-locazione (almeno ai fini della conservazione del
diritto al riscatto come presupposto del medesimo) che venisse a
scadere nel periodo compreso fra la domanda predetta e la
decisione di accoglimento da parte dell'ente gestore (Cass. n.
1535/71, id., 1971, I, 1887; n. 2363/72, id., Rep. 1972, voce
Edilizia popolare ed economica, n. 122; n. 5087/77, id., Rep.
1977, voce cit., n. 245; n. 2713/78, id., Rep. 1978, voce cit., n.
122). Nella specie, peraltro, la revoca dell'assegnazione è intervenuta
non perché il contratto di locazione fosse venuto meno per scadenza dei termini, ma perché l'assegnatario aveva (secondo
Il Foro Italiano — 1985.
l'istituto) volontariamente abbandonato l'alloggio assegnatogli per trasferirsi a Roma.
Orbene, deve rilevarsi che la citata 1. del 1962 non ha inciso
sull'interdipendenza fra i rapporti di locazione e quello di asse
gnazione, se non per l'effetto di provocare la ricordata prorogatio, nell'unico caso di scadenza del rapporto di assegnazione-locazione nel periodo compreso fra la domanda di riscatto e la decisione
di accoglimento da parte dell'ente gestore; e, in particolare, la
detta normativa è sempre rimasta ferma nello stabilire che « nel
caso di trasferimento volontario dell'interessato, si perde il diritto
all'acquisto dell'alloggio ».
In tali termini testuali, dispone, infatti, il 5° comma dell'art. 16
d.p.r. 17 gennaio 1959 n. 2, norma che risulta non abrogata, né
sostituita dall'art. 8 1. n. 231/62, il quale, invece, ha espressamen te sostituito il 2°, e il 3° e ili 4" comma del citato art. 16 e ne ha abrogato l'ultimo comma (il 6°)», lasciando, appunto, in vigore il 5° (il cui principio è del resto ripreso nell'art. 17 d.p.r. 1035/72, ove è comminata la revoca dell'assegnazione dell'alloggio nei confronti di chi lo abbia abbandonato, senza autorizzazione,
per un periodo superiore a tre mesi). D'altro canto, se è vero che l'art. 27 1. n. 513 dell'8 agosto
1977 ha abrogato le disposizioni contenute nel d.p.r. n. 2/59 e
ogni altra legge concernente il trasferimento in proprietà agli
assegnatari di alloggi di edilizia residenziale pubblica già assegnati in locazione semplice, è pur vero che tale legge non è applicabile alla specie, sia perché lo stesso art. 27 dispone espressamente che
l'abrogazione ricordata ha effetto soltanto dalla data della sua
entrata in vigore (onde non potrebbe far risorgere un diritto che
si fosse definitivamente estinto nel 1960, epoca del preteso abbandono dell'alloggio in Roccaraso da parte del Barone); sia
perché, in ogni caso, il 2° comma della medesima disposizione
prevede la conferma, a cura degli assegnatari ed a pena di
decadenza del diritto di riscatto, delle domande per le quali non
sia stato stipulato il relativo contratto di cessione in proprietà, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della nuova
normativa. E nella specie non risulta essere stata mai dedotta tale
avvenuta conferma.
In conclusione, l'affermazione della corte territoriale, per la
quale il diritto dell'assegnatario di un alloggio alla cessione in
proprietà del medesimo non può essere pregiudicato da cause
risolutive del rapporto di assegnazione sopravvenute successiva
mente al momento in cui il detto diritto sia sorto ed esercitato
dall'assegnatario, va ridimensionata secondo i termini interpretativi della normativa vigente in materia di cui in precedenza: con
l'effetto che l'abbandono dell'alloggio assegnato non può rientrare, tout court, tra le cause risolutive sopravvenute incapaci di
incidere sul diritto dell'assegnatario alla cessione in proprietà
dell'alloggio (vedi, in tal senso, Cass. n. 1695 del 1983, id., Rep.
1983, voce cit., n. 158; sez. un. n. 6000 del 1982, ibid., nn. 157,
124; n. 3160 del 1982, id., Rep. 1982, voce cit., n. 98; n. 2316
del 1979, id., Rep. 1979, voce cit., n. 155; sez. un. n. 3662 e n. 464
del 1978, id., Rep. 1978, voce cit., nn. 139, 123). Va piuttosto, particolarmente alla luce delle sentenze n.
3663/78 e 6000/82, operata la distinzione tra abbandono volonta
rio e abbandono non volontario, ai fini di stabilire l'incidenza
della « circostanza dell'abbandono dell'alloggio » sul diritto al ri
scatto dell'assegnatario. Solo nel caso, infatti, di abbandono volontario, verificatosi
anche in tempo successivo alla maturazione e all'esercizio del
diritto di riscatto, potrà legittimamente operarsi, da parte dell'ente
gestore, la revoca del rapporto di assegnazione. Va, peraltro, avvertito che non ogni trasferimento in altra sede
dell'assegnatario realizza l'ipotesi di abbandono volontario dell'al
loggio, potendo detto trasferimento costituire un evento che, se
non estraneo alla volontà del locatario, sia però necessitato da ra
gioni di lavoro e, quindi, da apprezzabili esigenze di vita, le
quali non possono, in alcun caso, farlo equiparare all'abbandono
volontario dell'alloggio locato, in rapporto al trasferimento in al
tro alloggio di proprietà dell'assegnatario (Cass. 6000/82 cit.).
La sentenza impugnata va, pertanto, cassata, con rinvio alla
Corte d'appello di Roma, perché sia accertata, in applicazione dei
principi enunciati, la natura dell'evento che ha indotto il Barone
all'abbandono dell'alloggio di via Roma in Roccaraso, e la sua
globale incidenza ai fini dell'esercizio del relativo diritto di
riscatto. (Omissis)
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