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sezione I civile; sentenza 6 luglio 2004, n. 12318; Pres. Saggio, Est. Panebianco, P.M. Ceniccola(concl. conf.); Paladino e altro (Avv. Giacobbe) c. Assessorato beni culturali e della pubblicaistruzione della regione siciliana. Conferma App. Messina 11 ottobre 2001Source: Il Foro Italiano, Vol. 128, No. 3 (MARZO 2005), pp. 799/800-801/802Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23200225 .
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799 PARTE PRIMA 800
CORTE DI CASSAZIONE; sezione I civile; sentenza 6 luglio
2004, n. 12318; Pres. Saggio, Est. Panebianco, P.M. Cenic
cola (conci, conf.); Paladino e altro (Avv. Giacobbe) c. As
sessorato beni culturali e della pubblica istruzione della re
gione siciliana. Conferma App. Messina 11 ottobre 2001.
Espropriazione per pubblico interesse — Opposizione alla
stima — Termine — Decorrenza (L. 25 giugno 1865 n.
2359, espropriazioni per causa di pubblica utilità, art. 11; 1. 22 ottobre 1971 n. 865, programmi e coordinamento dell'edilizia
residenziale pubblica; norme sull'espropriazione per pubblica
utilità; modifiche ed integrazioni alle leggi 17 agosto 1942 n.
1150, 18 aprile 1962 n. 167, 29 settembre 1964 n. 847, ed
autorizzazione di spesa per interventi straordinari nel settore
dell'edilizia residenziale, agevolata e convenzionata, art. 19).
Il termine di trenta giorni, previsto dall'art. 19 l. n. 865 del
1971 per la proposizione dell'opposizione alla stima, decor
re, anche per il soggetto espropriante, dalla notifica del de
creto di esproprio, ove questo sia successivo alla pubblica
zione sul foglio annunzi legali della relazione di stima defini
tiva, a nulla rilevando che l'ente espropriante, in quanto sog
getto da cui promana l'atto, ne abbia avuto legale conoscen
za in un momento anteriore. ( 1 )
(1) La fattispecie sottoposta all'esame della Cassazione nella pro nuncia in rassegna ha per oggetto l'opposizione alla stima dell'inden
nità di esproprio proposta dallo stesso ente espropriante avverso una
stima ritenuta eccessiva in quanto riferita ad un suolo sottoposto a vin
colo archeologico e destinato ad agrumeto dallo strumento urbanistico.
La vicenda processuale si snoda intorno alla questione preliminare dell'accertamento della tempestività del ricorso proposto dall'ente nel
termine di trenta giorni dalla notifica del decreto di esproprio avvenuta
in epoca successiva alla pubblicazione della relazione di stima sul fo
glio annunzi legali. Il principio affermato in sentenza può dirsi ius receptum. Concorda
no sulla decorrenza del termine per l'opposizione alla stima dall'atto
finale del procedimento anche nei casi di anomalia procedimentale, Cass. 6 dicembre 2002, n. 17352, Foro it., Rep. 2002, voce Espropria zione per p.i., n. 228; 6 dicembre 2002, n. 17333, ibid., n. 225; 8 no
vembre 2002, n. 15674, ibid., n. 227; 5 giugno 1999, n. 5531. id., Rep. 1999, voce cit., n. 278; 8 gennaio 1998, n. 96, ibid., n. 277; 15 giugno 1993, n. 6635, id., 1994, I, 814. La variabilità della decorrenza del ter
mine per l'opposizione dall'atto conclusivo è affermata, in linea di
principio, anche da Cass. 29 maggio 1997, n. 4748, id., Rep. 1998, voce
cit., n. 303, la quale però, con riferimento all'ipotesi in cui interessato
all'impugnazione sia lo stesso soggetto espropriante, prospetta il di
scrimine da cui la sentenza in epigrafe dissente. La sentenza in rassegna, ponendosi in aperto contrasto con la tesi
precedentemente sostenuta da Cass. 29 maggio 1997, n. 4748, cit.
(espressamente richiamata in motivazione), afferma il principio secon
do cui il termine per l'opposizione decorre dall'atto conclusivo del
procedimento espropriativo che, sebbene normalmente coincida con la
pubblicità della stima definitiva sul foglio annunzi legali, nelle ipotesi — assai frequenti — definite di «anomalia procedimentale», in cui il decreto di esproprio venga emesso successivamente all'indicata forma
lità, va individuato invece nella data di notifica del medesimo agli inte ressati.
Il dissenso della Cassazione rispetto all'indicato precedente della stessa sezione viene argomentato sulla base della considerazione che tanto l'adozione quanto la notifica del decreto di esproprio, così come la pubblicazione della relazione di stima sul foglio annunzi legali, sono attività rimesse all'impulso della parte espropriante. Ne consegue che, diversificare il termine per l'opposizione solo per l'espropriante, fa
cendolo decorrere dal momento in cui, con l'adozione del decreto, il
medesimo abbia la legale conoscenza della stima, non ovvia all'incon veniente di veder dipendere il termine decadenziale per l'opposizione da un atto la cui collocazione temporale è rimessa pur sempre alla vo lontà del soggetto interessato all'attività impugnatoria. Del resto, la
pronuncia in epigrafe non manca di evidenziare come non siano estra nee al nostro ordinamento altre ipotesi processuali, quale è quella della notifica della sentenza a cura di una delle parti, in cui il termine per l'impugnazione vien fatto decorrere per entrambe le parti dalla data di notifica (tra le tante, Cass. 4 novembre 1997, n. 10782, ibid., voce Fal
limento, n. 628, richiamata in motivazione) senza che si sia ipotizzata la violazione del principio di predeterminatezza e di alterità della fonte di decadenza.
Sulla nozione di atto finale del procedimento e sulla decorrenza del termine per l'impugnazione, nell'ipotesi particolare di adozione di più decreti di esproprio di cui il successivo abbia un contenuto che modifi ca ampliando l'individuazione dei terreni da espropriare, v. Cass. 4
aprile 2003, n. 5261, id., Rep. 2003, voce Espropriazione per p.i., n.
Il Foro Italiano — 2005.
Motivi della decisione. — Con il primo motivo di ricorso Se
bastiano e Gaetano Paladino denunciano violazione e falsa ap
plicazione dell'art. 11 1. n. 2359 del 1865 e dell'art. 19 1. 865/71 nonché omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazio
ne. Lamentano che la corte d'appello abbia rigettato con la sen
tenza non definitiva l'eccezione d'inammissibilità ritenendo
tempestiva l'opposizione sul rilievo che la relazione di stima e
la relativa pubblicità erano state eseguite anteriormente alla
pronuncia del provvedimento di esproprio e che in tal caso il
termine decorre dalla notificazione di tale provvedimento, senza
considerare che un tale principio non trova applicazione allor
ché l'opposizione alla stima sia proposta dall'ente espropriante, dovendosi in questa diversa ipotesi far riferimento al momento
in cui l'assessorato abbia avuto conoscenza della determinazio
ne operata dalla commissione (nel caso in esame il 29 maggio
1990) ovvero al momento in cui il decreto di esproprio venga adottato (nel caso in esame il 2 ottobre 1990) e non già a quello della relativa notifica (12 dicembre 1990).
La censura è infondata.
I ricorrenti non contestano il principio di diritto affermato da
questa corte e fatto proprio dalla corte d'appello, secondo cui
nell'ipotesi definita di «anomalia procedimentale» — nella
quale la relazione di stima del bene da espropriare e la pubbli cità attraverso il foglio degli annunzi legali della provincia siano
eseguite anteriormente all'emissione del decreto di esproprio —
il termine di trenta giorni per l'opposizione alla stima previsto dall'art. 19 1. 865/71 comincia a decorrere dalla notifica di detto
provvedimento, ma ritengono che esso non possa trovare appli cazione qualora, come nel caso in esame, l'opposizione alla
stima venga proposta dallo stesso ente espropriante che ha
emesso il decreto, dovendosi in tal caso far riferimento ai fini
della decorrenza al momento in cui il decreto sia stato adottato
dallo stesso espropriante in quanto in quel momento ha mostrato
di averne avuto conoscenza legale. A tale tesi, pur sostenuta da una decisione di questa corte
(Cass. 4748/97, Foro it.. Rep. 1998, voce Espropriazione per
p.i., n. 303), il collegio non ritiene di poter aderire, ponendosi così in consapevole contrasto con il proprio precedente di cui
non condivide le ragioni addotte a sostegno. La richiamata pronuncia infatti ritiene che, essendo l'attività
notificatoria rimessa alla discrezionale iniziativa dello stesso
espropriante, si perverrebbe all'inammissibile conseguenza,
qualora anche per lui la decorrenza del termine decadenziale
venisse collegata al momento della notifica all'espropriato del
provvedimento ablatorio, di far dipendere dallo stesso soggetto interessato all'attività impugnatoria il decorso del termine, con
violazione in tal modo dei principi di predeterminatezza e di al
terità della fonte di decadenza.
Non tiene conto però una tale motivazione che le conseguen ze cui si è ritenuto di ovviare si ripresenterebbero ugualmente, sia pure collegate ad un momento precedente, in quanto anche
in tal caso la decorrenza dipenderebbe, con l'esercizio del pote re di emissione del decreto di esproprio, dall'attività dello stesso
soggetto interessato all'opposizione. Del resto, nell'ipotesi normale in cui il decreto di esproprio,
privo dell'indicazione dell'indennità definitiva, preceda il com
pimento delle formalità previste dall'art. 15 1. 865/71, non si
dubita che pure per l'espropriante — anche qualora si identifi
259, secondo cui il termine per l'opposizione decorre dal secondo de
creto. Per l'ipotesi in cui la stima definitiva intervenga in pendenza di giu
dizio per la determinazione dell'indennità e sulla non configurabilità di
alcuna decadenza per l'opposizione alla stima definitiva, v. Cass. 30
marzo 1998, n. 3320, id., 1999,1, 1232, con nota di S. Benini.
In tema di decorso del termine per l'opposizione nei casi di anomalia
procedimentale, v. anche Cass. 6 giugno 2003, n. 9086, id., Rep. 2003, voce cit., n. 265, dove si parla di decorso del termine in dipendenza della «mera adozione» del decreto di esproprio e non già della sua noti ficazione.
Sulla rilevabilità d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento della decadenza dall'impugnazione per decorrenza del termine di cui all'art. 19 1. 22 ottobre 1971 n. 865, v. Cass. 16 luglio 2003, n. 11127, ibid., n. 258, che configura l'accertamento della tempestività della do
manda come controllo circa la sussistenza di un presupposto proces suale dell'azione suscettibile di essere effettuato, in sede di legittimità, mediante l'esame diretto degli atti.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
chi con il soggetto che ha emesso il decreto di esproprio — il
termine di cui all'art. 19 decorra dall'avvenuto compimento da
parte sua di dette formalità, con la conseguenza che sarebbe in
comprensibile seguire un diverso criterio nell'ipotesi, come
quella in esame, di c.d. anomalia procedimentale. E pur vero che la Corte costituzionale, come evidenziato dai
ricorrenti nelle note d'udienza, ha operato a volte una scissione in ordine al momento di perfezionamento della notifica degli atti processuali a seconda che si faccia riferimento al notificante od al soggetto cui la notifica è diretta (Corte cost. 69/94, id., 1995,1, 2336; 358/96, id., 1997,1, 1006, e, da ultimo, 28/04, id., 2004, I, 645), ma a tali conclusioni è pervenuta nella diversa
prospettiva, non assimilabile all'ipotesi in esame di cui al ri
chiamato art. 19, del termine ultimo per la notifica al fine di
evitare che sul notificante ricadano le conseguenze negative di
un procedimento notificatorio in parte sottratto ai suoi poteri d'impulso e riferibile a soggetti diversi (ufficiale giudiziario ed agente postale «io ausiliario). Nel caso in esame il problema ri
guarda infatti il momento di inizio della decorrenza del termine
e non si pongono questioni relative al procedimento notificato
rio.
Del resto l'ordinamento conosce a disciplina situazioni ana
loghe come quella derivante dalla notifica della sentenza a cura di una parte e non si dubita che in tal caso il termine breve de
corra per entrambe le parti dall'avvenuta notifica (fra le tante, Cass. 10782/97, id., Rep. 1998, voce Fallimento, n. 628), senza
che siano state mai poste o condivise eventuali questioni colle
gabili alla discrezionalità del notificante dalla cui attività ver
rebbe a dipendere detta decorrenza. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione i civile; sentenza 2 luglio 2004, n. 12110; Pres. De Musis, Est. Forte, P.M. Ceniccola
(conci, parz. diff.); Soc. Analitica (Avv. D'Alessandro) c.
Pres. cons, ministri. Dichiara inammissibile ricorso avverso
App. Messina, decr. 23 luglio 2002.
Diritti politici e civili — Diritto alla ragionevole durata del processo — Equa riparazione — Danno non patrimoniale — Persone giuridiche — Prova (L. 4 agosto 1955 n. 848, ratifica ed esecuzione della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a
Roma il 4 novembre 1950 e del protocollo addizionale alla
convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952: con
venzione, art. 6; 1. 24 marzo 2001 n. 89, previsione di equa ri
parazione in caso di violazione del termine ragionevole del
processo e modifica dell'art. 375 c.p.c., art. 2).
Le persone giuridiche, che agiscono per ottenere l'equa ripara zione dei danni non patrimoniali derivanti da eccessiva du
rata del processo, devono dedurre e provare tali danni, i
quali non si possono identificare, a differenza di quanto ac
cade per le persone fisiche, nella lesione in sé del diritto alla
ragionevole durata del processo. ( 1 )
( 1 ) Con la sentenza in epigrafe la prima sezione della Suprema corte
torna, una volta di più, sul regime dei danni non patrimoniali da ecces siva durata del processo per le persone giuridiche per ribaltare la pro spettiva indicata dalle sezioni unite in una recente sentenza, a tutti gli effetti pietra miliare per l'argomento (v. Cass. 26 gennaio 2004, n.
1338, Foro it.. 2004,1, 693). Sebbene sia ormai da tempo pacifico che anche le persone giuridiche
— e, a parer di alcuni, tutti gli enti collettivi dotati di soggettività giu ridica (v. Venturelli, Legge Pinto: per le sezioni unite la prova del danno è «in re ipsa», in Danno e resp., 2004, 508) — possano accedere allo strumento dell'equa riparazione approntato dalla 1. 89/01 (v. Cass.
Il Foro Italiano — 2005 — Pane I-14.
Svolgimento del processo. — La s.r.l. Analitica, con ricorso del 16 aprile 2002, chiedeva alla Corte d'appello di Messina,
dopo avere iniziato analogo giudizio il 30 gennaio 2001 innanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo, l'equa riparazione, ai sensi della 1. 24 marzo 2001 n. 89, da parte della presidenza del
consiglio dei ministri, per i danni patrimoniali e non patrimo niali subiti per la irragionevole durata di un processo.
La ricorrente affermava di avere iniziato giudizio innanzi al Tar di Catania, l'8 settembre 1997, contro un'azienda ospedalie ra, per la mancata stipula di un contratto di fornitura aggiudica tale in una gara con il sistema della licitazione privata, e che
dopo oltre cinque anni dal ricorso, non si era neppure fissata
l'udienza di merito.
La presidenza del consiglio dei ministri si costituiva e negava
l'applicabilità della 1. 89/01 alle persone giuridiche, assumendo
l'infondatezza della domanda per mancanza della durata irra
gionevole del giudizio e per la mancata prova dei danni.
Con decreto del 23 luglio 2002, la Corte d'appello di Messina
rigettava la domanda, negando la configurabilità di un diritto a
un processo in tempi ragionevoli per le persone giuridiche, che
non potevano patire i danni non patrimoniali e comunque non
erano destinatarie della convenzione di Roma, relativa solo ai
diritti e alle libertà dell'uomo come persona fisica.
L'art. 6 della convenzione, secondo la corte territoriale, ri
guarda diritti della «persona», parola che si riferisce solo agli uomini, come in altre norme di detto articolato poste a tutela di
posizioni delle sole persone fisiche, quali il diritto al rispetto della vita privata e familiare, del domicilio, della corrisponden za o le libertà di pensiero, coscienza, religione ed espressione, di riunione e associazione.
La stessa limitazione dell'equa riparazione ai processi civili e
penali, con esclusione di quelli tributari, proverebbe per la corte
siciliana, la possibilità di limitare la tutela, di cui alla 1. 89/01, soltanto ad alcuni soggetti; comunque secondo la corte di meri
to, anche a ritenere la società legittimata all'azione, come titola
re del diritto all'equa riparazione, nessuna prova vi era di danni
10 aprile 2003, n. 5664, Foro it., 2005, I, 191), due questioni rimango no tuttavia aperte in riferimento al ristoro dei danni non patrimoniali.
La prima attiene alla qualificazione del danno non patrimoniale per le persone giuridiche. Invero, se la giurisprudenza italiana lo individua, all'unisono, nella compromissione di quei diritti della personalità «compatibili con l'assenza della fisicità e, quindi dei diritti all'esisten
za, all'identità, al nome, all'immagine ed alla reputazione» (Cass. 2
agosto 2002, n. 11600, id., 2003, I, 838), sul versante continentale la Corte europea dei diritti dell'uomo — le cui sentenze, giova ricordarlo,
valgono per i giudici nazionali come «autorevoli orientamenti giuris prudenziali e linee direttive» (Cass. 11600/02, cit.) — accanto a questi elementi c.d. «oggettivi» del danno non patrimoniale, è incline a rico noscere anche elementi «soggettivi», quali, ad esempio, la reputazione dell'impresa, l'incertezza nella pianificazione delle decisioni e, addi rittura, le angosce ed i disagi subiti dai top managers (v. Corte eur. di ritti dell'uomo 6 aprile 2000, Comingersoll S.A. v. Portugal, applica tion n. 35382/97, inedita).
L'altro motivo di discussione, di maggiore interesse in riferimento al caso in epigrafe, riguarda la liquidazione del danno non patrimoniale, che alcuni tendono a riconoscere in re ipsa (Cass. 1338/04, cit.) — ed è
questo il caso in cui il danno scatterebbe automaticamente in seguito all'irragionevole protrarsi dei tempi processuali (c.d. danno evento) —. mentre altri accordano soltanto in seguito ad una valutazione positiva degli elementi di prova (Cass. 13 febbraio 2003, n. 2130, id., 2003, I, 2398), quale «elemento ulteriore e distinto» (Venturelli, op. cit., 509) rispetto alla violazione, pur senza escludere la possibilità del ricorso a strumenti presuntivi e massime d'esperienza.
Con la già citata sentenza 26 gennaio 2004, n. 1338, la Suprema corte sembrava aver posto la parola «fine» a questa querelle che si pro traeva dall'entrata in vigore della 1. 89/01, affermando che il danno non
patrimoniale deve ritenersi sussistente «ogni qualvolta non ricorrano, nel caso concreto, circostanze particolari che facciano positivamente escludere che tale danno sia stato subito dal ricorrente». Si apriva così la strada all'elaborazione, anche nel nostro paese, di una sorta di tarif fario: una vera e propria formula matematica in grado di «predefinire il danno non patrimoniale subito, quantificandolo rispetto al numero di anni eccedenti il termine ragionevole di durata» (Venturelli, op. cit., 513).
Ebbene, la sentenza in epigrafe — pronunciata non a caso da una se
zione, la prima civile, sempre orientata su un'interpretazione contraria al danno evento — ci riporta, almeno in riferimento alle persone giuri diche, sulla strada opposta al danno in re ipsa, tentando, in tal modo, di limitare il numero di potenziali ricorsi da parte di queste ultime. [M. PlETRUNTl]
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