Post on 30-Jan-2017
transcript
Sezione II civile; sentenza 11 novembre 1961, n. 2641; Pres. Caruso P., Est. Danzi, P. M. Tavolaro(concl. conf.); I.n.a.i.l. (Avv. Radonich) c. Benigna (Avv. Giove)Source: Il Foro Italiano, Vol. 85, No. 5 (1962), pp. 983/984-987/988Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23150608 .
Accessed: 28/06/2014 12:23
Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp
.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact support@jstor.org.
.
Societa Editrice Il Foro Italiano ARL is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to IlForo Italiano.
http://www.jstor.org
This content downloaded from 91.220.202.80 on Sat, 28 Jun 2014 12:23:53 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
983 PARTE PRIMA 984
Pisa e Firenze esiste una zona intermedia, per cui il turista o l'uomo di affari, che si trovi ad es. ad Empoli o a S. Mi
niato e che intende pernottare in un albergo decoroso, il quale offra le comodità dell'Albergo dei Cavalieri di
Milano, può essere indotto, stante la pressoché identica
distanza, a preferire la più grande e più accogliente città di Firenze a quella di Pisa, nell'erronea convinzione che un albergo gestito dalla medesima Impresa, e presumibil mente di pari decoro e comodità, esista anche a Firenze.
Tutto ciò è perfettamente logico e possibile ed è sufficiente
quindi la condotta della S.e.a. ad integrare l'attività di
concorrenza sleale, per la quale, come si sa, basta l'ido
neità degli atti di concorrenza a produrre un effetto dan
noso, indipendentemente dalla prova dell'effettiva sussi
stenza di detto effetto (art. 2598 cod. civ.) e non è nep
pure necessario l'estremo del dolo o della colpa, che
sono richiesti unicamente per ottenere la condanna al
risarcimento del danno e la pubblicazione della sentenza
(art. 2600). Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando la
violazione dell'art. 2568, in relazione all'art. 2584 cod. civ.
e all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ., nonché il vizio di insuf
ficiente e comunque errata motivazione, a norma dell'art.
360, n. 5, cod. proc. civ., assume che, contrariamente a
quanto ritenuto dalla Corte di merito, la quale sul punto avrebbe deciso quasi senza motivare, in tema di insegna il concetto di «luogo di esercizio dell'impresa» va ristretto
alla città ove è sito lo stabilimento, e ciò anche se l'insegna
riproduce parzialmente la ditta.
Anche tale censura non ha fondamento. Innanzi tutto
l'art. 2568 cod. civ. si limita a dire che la disposizione del
1° comma dell'art. 2564 si applica anche all'insegna, e ciò
oltre a significare che anche per essa va disposta l'opportuna
integrazione o modificazione quando è uguale a quella usata da altro imprenditore e può aversi confusione per
l'oggetto dell'impresa e per il luogo in cui viene esercitata,
può importare altresì l'applicazione dei medesimi criteri
adottati per la tutela della ditta o denominazione sociale.
Ma anche se è vero che l'azione diretta ad interdire l'uso
di un'insegna uguale o simile a quella già adottata da un
altro imprenditore presuppone che l'usurpazione sia stata
compiuta da chi esercita un'attività commerciale concor
rente nella stessa sfera spaziale in cui si svolge l'azione del
titolare dell'insegna usurpata, in modo che generi possi bilità di confusione tra le due aziende, ed anche se è vero
che in tema di insegna il concetto di « luogo dell'esercizio
dell'impresa » va inteso in termini più ristretti, tutto ciò è di scarsa rilevanza, perchè l'inibizione dell'uso dell'in
segna « Hotel dei Cavalieri » da parte della S.e.a. non è
chiesta in quanto tale uso è lesivo del corrispondente segno della C.i.d.a.l.c., ma perchè è lesivo del diritto esclusivo della C.i.d.a.l.c. alla propria denominazione sociale.
Il nostro ordinamento considera, bensì, i vari segni distintivi dell'azienda e li disciplina particolarmente, ma
tutela l'uso esclusivo di uno di essi anche quando la parte caratteristica componga altro segno del concorrente, perchè anche tale uso può essere fonte di confusione. L'identità o quanto meno la somiglianza tra l'insegna usata dalla
S.e.a. e il « cuore » della denominazione sociale della C.i.d.a.l.c. è stata ritenuta dal Giudice di merito con apprez zamento di fatto che è rimesso al suo prudente arbitrio
e non può formare oggetto di censura in questa sede di
legittimità, sorretto come è da sufficiente motivazione ed
esente, per le ragioni or ora svolte, da errori giuridici. Con il terzo motivo, la ricorrente denunciando la viola
zione e la falsa applicazione degli art. 2598, n. 1, e 2043
cod. civ., la violazione dell'art. 115 cod. proc. civ. ed il
vizio di omessa motivazione, in relazione all'art. 360, nn. 3
e 5, cod. proc. civ., assume che : a) la sentenza ha ritenuto
la concorrenza sleale per confusione a causa dello stesso
oggetto e di una sfera territoriale parzialmente comune, con ciò errando perchè l'identità di attività commerciale
non porta con sè un rapporto concorrenziale quando le
imprese non possono entrare in concorrenza per la distanza
che le separa ; b) non potendosi applicare l'art. 2598, po teva semmai parlarsi di illecito generico (art. 2043), ma
nessuna domanda è stata proposta in causa in tali sensi e nessuna motivazione è stata data su tal punto.
Per quanto attiene alla censura di cui alla lett. a) non si tratta elle di una ripetizione di quella già contenuta nel
primo motivo del ricorso e della quale già è stata dimostrata l'inconsistenza. Per quanto attiene, invece, alla censura di cui alla lett. 6), è chiaro che in tanto la Corte di merito avrebbe dovuto motivare sotto il profilo dell'illecito gene rico, in quanto avesse escluso l'applicabilità dell'art. 2598 :
poiché, invece, ha ritenuto che tale disposizione trovava
applicazione, non doveva discutere su di un'azione per re
sponsabilità aquiliana, che non era stata avanzata. Ma anche ammesso che il Giudice di merito non abbia
preso in considerazione qualche deduzione delle parti, non
per questo è incorso nel vizio contemplato dall'art. 360, n. 5, cod. proc. civ., perchè, per adempiere all'obbligo della motivazione il giudice di merito non è tenuto a compiere un'analisi particolareggiata di tutte le deduzioni delle parti, essendo sufficiente che egli, attraverso una valutazione glo bale di tutte le risultanze di causa, spieghi le ragioni che hanno determinato il suo convincimento e dimostri di non aver trascurato alcuna richiesta delle parti.
Con la reiezione dei primi tre motivi, resta assorbito il quarto, che, in realtà, non contiene una censura alla denunciata sentenza, ma unicamente una salvezza per l'ipo tesi, non verificatasi, dell'accoglimento del ricorso.
Per questi motivi, rigetta, ecc.
CORTE SUPREMA. DI CASSAZIONE.
Sezione II civile ; sentenza 11 novembre 1961, n. 2641 ; Pres. Caruso P., Est. Danzi, P. M. Tavolaro (conci, conf.) ; I.n.a.i.l. (Avv. Radonich) c. Benigna (Avv. Giove).
(Gassa App. Brescia 22 aprile 1959)
Infortuni sul lavoro — Diritto alla prestazione —
Prescrizione —- Termine (R. d. 17 agosto 1935 n.
1765, assicurazione obbligatoria degli infortuni sul la voro e delle malattie professionali, art. 67 ; r. d. 15 dicembre 1936 n. 2276, disposizioni integrative del r. d. 17 agosto 1935 n. 1765, art. 23).
L'azione per il conseguimento delle prestazioni assicurative si prescrive nel termine di un anno dal giorno delVinfor tunio, salvo il periodo di sospensione, per lo svolgimento della fase amministrativa, fissato improrogabilmente in novanta giorni, decorsi i quali non può riconoscersi valore
interruttivo ad ulteriori istanze ovvero alla prosecuzione o ad ulteriori fasi della liquidazione amministrativa. (1)
La Corte, eco. — Con l'unico mezzo, il ricorrente, dedu cendo la violazione e falsa applicazione dell'art. 67 r. de
(1) Giurisprudenza costante, successivamente confermata con sent. 16 marzo 1962, n. 547, Foro it., Mass., 159 : cons. Trib. Roma 23 giugno 1960, id., Rep. 1960, voce Infortuni sul lavoro, n. 346 ; Trib. Rieti 19 gennaio 1960, ibid., nn. 349, 350 ; Cass. 2 maggio 1959, n. 1300, id., Rep. 1959, voce cit., nn. 377, 378 ; App. Trieste 27 gennaio 1959, ibid., n. 255 ;"Trib. Poggia 30 giugno 1959, ibid., nn. 379, 380 ; App. Venezian i dicembre 1958, ibid., nn. 443, 444 ; Cass. 15 ottobre 1958, n. 3278, id., Rep. 1958, voce cit., n. 407 ; Trib. Terni 16 febbraio 1959, id., 1959, I, 494, con nota di richiami.
La sentenza ribadisce, tra l'altro, che lo svolgimento delle pratiche in sede amministrativa per la liquidazione dell'inden nità ha efficacia sospensiva e non interruttiva del termine di prescrizione ; così Trib. Napoli 13 febbraio 1959, id., Rep. 1959, voce cit., nn. 391, 392 ; Cass. 21 maggio 1958, n. 1707, id., 1959, X, 264. Circa il momento iniziale della prescrizione, si ritiene che il termine decorra dalla data in cui ebbe a verificarsi il sinistro e non da quella, eventualmente successiva, in cui si sono mani festate le conseguenze dannose ; così App. Roma 16 luglio 1959, id., Rep. 1960, voce cit., n. 344 ; Trib. Roma 22 luglio 1957, id., 1958, I, 124.
This content downloaded from 91.220.202.80 on Sat, 28 Jun 2014 12:23:53 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
985 GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE 986
creto 17 agosto 1935 n. 1765, dell'art. 23 r. decreto 15
dicembre 1936 e degli art. 40 e segg. del regolamento ap provato con r. decreto 25 gennaio 1937 n. 200, si duole che la Corte d'appello abbia erroneamente ritenuto che il
termine prescrizionale previsto dall'art. 67, 1° comma, r.
decreto 17 agosto 1935 n. 1765 non si sottrae alle norme
generali sulla prescrizione e, in particolare, all'art. 2943, ult. comma, cod. civ. e che, quindi, all'infortunato, o ai
sapar,-ititi aventi diritto alla rendita, dovrebbe riconoscersi
la possibilità, illimitata nel tempo, di interrompere il detto
termine con le loro richieste ed istanze, purché queste
avvengano a distanza minore di un anno l'una dall'altra
e che, pertanto, nella specie, giacche la Benigna aveva
richiesto più volte la rendita in contestazione, il suo even
tuale diritto non poteva considerarsi prescritto alla data
della citazione (11 ottobre 1956) notificata a distanza di
due anni ed otto mesi dalla morte del marito (22 febbraio
1954). Osserva che il termine prescrizionale di un anno,
previsto dal ricordato art. 67, decorre dal giorno dell'in
fortunio o da quello dalla manifestazione della malattia
professionale, che, inoltre, per il termine stesso sono pos sibili : una causa di interruzione (per erroneo inizio di
pratiche od azioni secondo la legge per gli infortuni in agri coltura : 4° comma cit. art. 67) ed una causa di sospensione,
per l'espletamento delle pratiche amministrative che de
vono necessariamente precedere l'azione giudiziaria, a nor
ma dell'art. 23 r. decreto 15 dicembre 1936 n. 2276 e delle
corrispondenti disposizioni del regolamento infortuni, che,
peraltro, la durata di tale sospensione del termine prescri zionale non può eccedere i novanta giorni, dopo i quali
può essere senz'altro proposta l'azione giudiziaria anche se
la fase amministrativa non sia ancora esaurita, che, di
conseguenza, qualsiasi pratica, e qualsiasi atto, che il pre teso avente diritto compia nei confronti dell'Istituto dopo i novanta giorni, non può più avere alcuna efficacia inter
ruttiva o sospensiva della prescrizione e che, pertanto, con lo scadere, al massimo, del quindicesimo mese dal
giorno dell'infortunio o da quello in cui si è manifestata
la malattia professionale, ovvero dal giorno della morte
dell'assicurato per infortunio o malattia professionale, senza
che sia stato promosso il giudizio, ogni eventuale diritto
alle prestazioni assicurative deve necessariamente consi
derarsi prescritto. La sentenza denunziata, dopo aver rilevato che la pra
tica amministrativa, la quale deve precedere la proposi zione dell'azione giudiziaria, più che sospendere, impedisce il corso del termine prescrizionale di un anno, che viene
così ad essere praticamente prolungato di tre mesi, ha rite
nuto che nessuna norma della legge infortuni e successive
modificazioni abbia espressamente derogato all'art. 2943
cod. civ., dove sono previsti i vari modi di interruzione della
prescrizione, e che, in particolare, non vi abbia derogato l'art. 23 r. decreto 15 dicembre 1936 n. 2276 perchè la
sospensione del termine ivi prevista per la durata massima
di novanta giorni, in corrispondenza della pratica obbliga toria per la liquidazione amministrativa dell'indennità, è
istituto affatto diverso dalla interruzione, connessa invece
ad atti di altra natura. È giunta pertanto alla conclusione
che, in difetto di una deroga espressa alla disciplina gene rale, il termine di prescrizione previsto dalle leggi sugli infortuni non può non implicare il richiamo all'intera di
sciplina di tale istituto, compresa quella delle cause di
sospensione e di interruzione.
Ciò premesso, si osserva che la censura del ricorrente è
pienamente giustificata. La Corte d'appello, senza tener in alcun conto i ripetuti
insegnamenti di questa Suprema corte sulla questione sot
toposta al suo esame e senza approfondirne conveniente
mente gli aspetti essenziali, ne ha invece affidato la solu
zione ad un ragionamento di manifesta superficialità, affer
mando che le speciali norme sulla prescrizione del diritto
alle prestazioni assicurative non impedirebbero l'applica zione contemporanea a tale materia degli art. 2934 e segg. cod. civ., relativi alla disciplina della prescrizione. Una
siffatta affermazione di principio, la quale porterebbe come
conseguenza pratica che chi reputasse di aver diritto a quelle
prestazioni potrebbe interrompere indefinitamente il ter mine di prescrizione breve con successivi atti opportuna mente distanziati nel tempo, è stata unanimemente ripu diata dalla giurisprudenza perchè essa appare in aperto contrasto con il carattere speciale della prescrizione sta bilita dal ricordato art. 67 r. decreto n. 1765 del 1935 che,
opportunamente coordinato all'art. 23 r. decreto n. 2276 del 1936, rivela nel modo più chiaro la finalità di imporre, tanto nella sede amministrativa, quanto in quella giudi ziaria, la più sollecita definizione delle controversie sulle
prestazioni assicurative.
Basta considerare, a questo proposito, che l'art. 23 r.
decreto n. 2276 del 1936, nello stabilire che il procedimento contenzioso non può essere istituito se non dopo esaurite
tutte le pratiche prescritte dal regolamento per la liquida zione amministrativa delle indennità, contiene un'applica zione di quello che è ormai un principio comune a tutte le
controversie in materia di previdenza e di assistenza obbli
gatorie e che è consacrato nell'art. 460 cod. proc. civile.
Ora, è evidente che l'obbligatorietà del procedimento am
ministrativo (considerato come il mezzo più rapido ed
economico per l'accertamento del diritto alle prestazioni
assicurative) e la conseguente sospensione del corso della
prescrizione annuale stabilita dall'art. 67 r. decreto n. 1765
del 1935, sospensione limitata tuttavia a soli novanta giorni e quindi indipendentemente dalla effettiva conclusione della
fase amministrativa, stanno a dimostrare, come bene os
serva il ricorrente, la volontà del legislatore di concentrare in tale procedimento obbligatorio tutte le possibili richieste
ed attività delle parti interessate all'accertamento della
esistenza del diritto alle prestazioni assicurative, nonché
alla loro qualità e quantità. A questo fine, la sospensione, e non interruzione, del termine prescrizionale si ricollega alla unicità del procedimento amministrativo, pur con la
limitazione sopra ricordata che tende a sottrarre alla dispo nibilità delle parti il mezzo di prolungarne indefinitamente
la durata. La tesi accolta dalla Corte d'appello si pone così in aperto contrasto con la ratio legis e viene a togliere
ogni valore pratico all'obbligatorietà del procedimento am
ministrativo, come mezzo inteso a favorire la sollecita liqui dazione delle indennità. Al che è da aggiungere che, nella
materia delle assicurazioni obbligatorie, la disciplina spe ciale della prescrizione trova una giustificazione non meno
importante nella opportunità che gli accertamenti tecnici,
quasi sempre necessari per stabilire Van ed il quantum, del
diritto alle prestazioni, possano essere eseguiti entro un
lasso di tempo relativamente breve, in guisa da consentire
che i rilievi medici possano adeguarsi con più stretta ade
renza alla situazione oggettiva e favorirne un'adeguata valutazione. Nè vale opporre, con la sentenza denunziata,
che, per il raggiungimento di tali finalità, il legislatore avrebbe dovuto sottoporre l'esercizio dell'azione ad un ter
mine di decadenza, non soggetto a sospensione, nè a inter
ruzione, mentre il più volte ricordato art. 67 parla esplici tamente di prescrizione senza introdurre alcuna modifica
alla disciplina generale dell'istituto. Si tratta invero di un
argomento ad effetto, come sono di regola quelli che si
risolvono in aspirazioni de iure condendo, che non ha però alcun valore di fronte alla interpretazione de iure condito
di una norma speciale, quale è indubbiamente quella del
l'art. 67, che il legislatore ha ritenuto sufficiente allo scopo di accelerare la definizione delle controversie in materia
di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni con una
più rigorosa disciplina della prescrizione. Si deve pertanto concludere, facendo richiamo all'indi
rizzo giurisprudenziale ormai consolidato di questa Suprema
corte, che non può sussistere dubbio sulla interpretazione dei più volte ricordati art. 67 r. decreto n. 1765 del 1935 e
23 r. decreto n. 2276 del 1936, nel senso che l'azione giu diziaria per conseguire le prestazioni assicurative deve essere
esercitata entro il termine massimo di quindici mesi dal
giorno dell'infortunio o da quello della manifestazione della
malattia professionale, cioè non oltre il termine di un anno
stabilito nell'art. 67, 1° comma, r. decreto del 1935, che de
corre, a sua volta, dalla scadenza del termine di sospen sione fissato inderogabilmente in tre mesi dall'art. 23 r.
This content downloaded from 91.220.202.80 on Sat, 28 Jun 2014 12:23:53 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions
987 PARTE PRIMA
decreto del 1936 per lo svolgimento della prescritta fase
amministrativa, senza ohe peraltro l'eventuale protrazione di tale fase o la sua riapertura a seguito di rinnovazione
della istanza di liquidazione possano valere come atti inter -
ruttivi del termine di prescrizione annuale che, per il suo
carattere speciale, può essere interrotto solo dall'effettivo
esercizio dell'azione giudiziaria. Come la protrazione del
procedimento amministrativo oltre il tempo che il legisla tore ha ritenuto sufficiente per il suo espletamento non può
più avere alcun effetto sospensivo rispetto al decorso del
termine di prescrizione, così le successive richieste, intese
a sollecitare nuovi accertamenti dell'Istituto per il ricono
scimento della indennità, non possono interromperne il
decorso già iniziato. (Omissis) Per questi motivi, cassa, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione I civile ; sentenza 10 novembre 1961, n. 2616 ; Pres. Verzì P., Est. Presa, P. M. Cutrupia (conci,
conf.) ; Ghisetti (Avv. Azzolina, Marinelli) c. Sesini
(Avv. Aliprandi, Lombardi).
(Conferma A pp. Brescia 18 giugno 1959)
Inabilitazione e interdizione — Causa promossa dall'inabilituto — Curatore — Poteri processuali — Impugnazione delle sentenze — Inammissibi
lità (Cod. civ., art. 428).
Il curatore dell'inabilitato, che lo ha assistito nel giudizio da questi promosso, non può impugnare la relativa sen
tenza. (1)
La Corte, eco. —- Con il primo motivo la ricorrente
denuncia la violazione e la falsa applicazione degli art.
323, 334 e 339 cod. proc civ., in relazione all'art. 360, n. 3, dello stesso codice. In particolare deduce che la Corte
di merito ha erroneamente escluso la legittimazione di essa
Ghisetti a proporre l'impugnazione, perchè non ha consi
derato che curatore e inabilitato hanno una legittimazione
congiunta, per cui l'esercizio dell'azione spetta ad entrambi
i soggetti con la conseguenza che sia l'uno sia l'altro, avendo la veste formale di parte, può proporre appello in caso di soccombenza.
La censura non è fondata.
Il giudizio di annullamento del contratto per incapacità di intendere e di volere fu promosso dallo stesso incapace ai sensi dell'art. 428 cod. civ. Nella prima fase della proce dura la G-hisetti intervenne nella sua qualità di curatrice,
per assistere il marito che era stato dichiarato inabilitato.
L'assistenza era necessaria perchè il Palanti non era in
grado di difendersi pienamente a causa della limitazione
della sua capacità. L'assistenza, però, non può essere confusa con la rap
presentanza perchè l'inabilitato, a differenza dell'inter
detto, conserva la sua personalità giuridica e può anche
compiere atti di normale amministrazione : peraltro, nei
(1) In senso conforme, per il curatore speciale della minore in conflitto d'interessi con il coniuge, Cass. 20 marzo 1962, n. 554, retro, 637, con nota di richiami.
Sull'assistenza processuale del curatore dell'inabilitato, v. Cass. 10 aprile 1953, n. 939, Foro it., 1954, I, 342 ; sulla pos sibilità dell'intervento in appello dell'inabilitato, che così sana
l'irregolare costituzione del rapporto processuale ad opera del curatore, Oass. 12 giugno 1950, n. 1477, id., Rep. 1950, voce Inabilitazione, n. 35.
Nega che il curatore dell'inabilitato ne abbia la rappresen tanza, Cass. 7 aprile 1947, n. 521, id., Rep. 1947, voce cit., n. 17.
App. Torino 28 gennaio 1946, id., Rep. 1946, voce cit., n. 14, riconosce al curatore il potere di agire per l'annullamento dell'atto eccedente l'ordinaria amministrazione, compiuto dall'ina bilitato senza la sua assistenza.
giudizi in cui egli sia attore o convenuto, è imposto dalla
legge l'intervento del curatore per integrare la sua capacità e consentirgli una piena difesa delle proprie ragioni. Conse
guentemente la Grhisetti, quale semplice curatrice del co
niuge inabilitato, non aveva la rappresentanza di questo ultimo perchè la sua funzione era limitata all'assistenza.
Non poteva, pertanto, essere considerata parte nel giudizio
perchè era rappresentata, nè era portatrice di un interesse
proprio. In difetto di tale veste non poteva proporre ap
pello avverso la sentenza di primo, grado perchè tale diritto
spettava soltanto al Palanti che aveva promosso il giudizio. A tali principi si è uniformata la decisione impugnata
con adeguata motivazione, immune da vizi logici e giuridici, e pertanto la censura si rivela sotto ogni aspetto priva di
fondamento. (Omissis) Per questi motivi, rigetta, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezione II civile ; sentenza 26 ottobre 1961, n. 2416 ; Pres.
Lorizio P., Est. Albano, P. M. Toro (conci, conf.) ; Istituto naz. luce (Avv. G-iacheddu, Sechi) c. Masetti
(Avv. Poxinario).
(Conferma App. Boma 9 luglio 1959)
Competenza e giurisdizione in materia civile — Sen
tenza del giudice di merito allermante la giuris dizione — Passaggio in giudicato — Condizioni.
Lavoro (rapporto) — Art. 2087 eod. civile — Carat
tere non innovativo (Cod. civ., art. 2087). Lavoro (rapporto) — Infermità prodotta ed aggravata
dalla prestazione di lavoro — Denuncia del dipen dente — Obblighi dell'imprenditore — Conseguenza
(Cod. civ., art. 2087).
La sentenza, con la quale il giudice di merito afferma la
propria giurisdizione, è suscettibile di passare in giudicato solo se contemporaneamente decida questioni inerenti al
merito della controversia. (1) L'art. 2087 cod. civ., che impone all'imprenditore di adottare,
nell'esercizio dell'impresa, le misure necessarie a tutelare
l'integrità fisica e la personalità morale del prestatore di
lavoro, non ha carattere innovativo. (2)
L'imprenditore, al quale il dipendente denunci di avere, a
causa della prestazione di lavoro, contratto un'infermità o subito l'aggravamento di essa, deve sottoporre il dipen dente ad adeguati accertamenti sanitari e adottare le mi sure conseguenziali necessarie, non escluso il licenzia
mento per inidoneità fisica ; in difetto, egli risponde del danno subito dal prestatore di lavoro per effetto della
ulteriore permanenza nel posto di lavoro. (3)
(1) La massima si conforma al più recente indirizzo : v. Cass. 15 marzo 1960, n. 527, Foro it., 1961, I, 48!, con ampia nota di richiami, cui adde, nel medesimo senso, Cass. 12 marzo 1900, n. 494, id., Rep. 1960, voce Competenza civ., n. 261. Le due sentenze sono richiamate nella motivazione della presente, come Cass. 11 aprile 1959, n. 1072, riprodotta in questa rivista, 1959, I, 755.
(2-3) Sul carattere non innovativo dell'art. 2087, cfr. Cass. 25 febbraio 1945 (Foro it., Rep. 1943-45, voce Impresa, n. 8 : citata nella motivazione), secondo cui la norma « non ha fatto che codificare un principio già consolidato nella dottrina e nella
giurisprudenza nell'ultimo cinquantennio ». Y. anche la nota redaz. a Cass. 19 aprile 1945, n. 275 (id., 1944-46, I, 32), una delle prime sentenze che abbiamo applicato l'art. 2087.
Sul rapporto fra l'art. 2087 e l'art. 4 r. decreto 17 agosto 1935 n. 1765, v. per tutte Cass. 4 giugno 1956, n. 1898, id., 1956, I, 1816, con ampia nota di richiami (Cass. 22 ottobre 1955, n. 3459, ivi citata dal Repertorio, è riprodotta nel medesimo vo lume, I, 1686).
Sull'art. 2087, in generale, Cass. 12 aprile 1960, n. 845, id., 1960, I, 953 ; sul danno risarcibile, Trib. Venezia 22 luglio 1960, id., Rep. 1960, voce Lavoro (rapporto), n. 736 ; cfr. Cass. 3 aprile 1959, n. 996, id., Rep. 1959, voce Infortuni, nn. 374, 375.
This content downloaded from 91.220.202.80 on Sat, 28 Jun 2014 12:23:53 PMAll use subject to JSTOR Terms and Conditions