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sezione III civile; sentenza 17 novembre 1984, n. 5868; Pres. Cusani, Est. Lonardo, P. M. Nicita(concl. conf.); Rispoli (Avv. Gaglione-Barba) c. Avitabile (Avv. Ammendola). Cassa Trib. Napoli16 settembre 1980Source: Il Foro Italiano, Vol. 108, No. 1 (GENNAIO 1985), pp. 123/124-127/128Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23177514 .
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PARTE PRIMA
la creazione ad hoc di nuovi posti di lavoro; patto collettivo che,
legittimamente stipulato dalle organizzazioni sindacali nell'interes
se della generalità degli aderenti, fu, poi, pienamente ratificato dai
lavoratori, ivi compresi gli attuali resistenti che non solo non
contestarono la propria affiliazione sindacale, ma, altresì, accetta
rono di essere assunti alle specifiche condizioni stabilite dall'ac
cordo sindacale che costituisce il presupposto certo delle loro
assunzioni.
Giova aggiungere che questo ordine di idee — sintetizzabile
nella prevalenza da assegnarsi alla tutela dell'occupazione rispetto alla conservazione del posto di lavoro, nel segno di una sdramma
tizzazione delle conseguenze suscettibili di derivare, in termini di
mortificazione dell'autonomia sindacale e della funzione normativa
(o quanto meno di arbitraggio) della contrattazione collettiva, da
un'aprioristica ed incondizionata preminenza della norma indero
gabile di legge — ricalca l'iter di una nota pronuncia resa da
questa corte in controversia analoga (cfr. sent. n. 3901/78, Foro
it., Rep. 1979, voce Lavoro (rapporto), n. 1011, attinente ad un
caso in cui il trasferimento dell'azienda era avvenuto nel contesto
d'una ristrutturazione dell'impresa cedente, che comportava una
riduzione di personale) ed aderisce realisticamente anche ai più recenti orientamenti della legislazione. Si allude, anzitutto, in via
generale, alla direttiva n. 77/187, adottata dal Consiglio della
Comunità economica europea il 14 febbraio 1977, per il ravvici
namento delle legislazioni degli Stati membri in materia di
« mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti
di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti », il cui art.
4, n. 1, 1° comma, dopo aver dichiarato che i trasferimenti in
discorso « non sono di per sé motivo di licenziamento da parte del cedente o del cessionario », lascia tuttavia impregiudicati « i
licenziamenti che possono aver luogo per motivi economici, tecnici o d'organizzazione che comportano variazioni sul piano
dell'occupazione », ed il cui art. 6 prevede un procedimento di
consultazione e di informazione fra il cedente, il cessionario ed i
rappresentanti sindacali del personale, con riguardo fra l'altro
alle « misure previste nei confronti dei lavoratori ».
In secondo luogo, e più specificamente, si allude alla deroga all'art. 2112, 1° comma, c.c. posta dall'art. 1 1. 26 maggio 1978 n.
215 (di conversione, con modifiche, dell'art. 1 d.l. 30 marzo 1978
n. 80) nell'ipotesi di raggiunto accordo fra le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative circa il trasferimento di
una azienda di cui sia stato dichiarato lo stato di crisi, a norma
dell'art. 2 1. 12 agosto 1977 n. 675 sulla riconversione industriale;
norma derogatoria che ha recentissimamente superato anche il
vaglio di legittimità costituzionale (cfr. Corte cost. n. 143 del
1980, id., 1980, I, 2953, che confuta ampiamente la tesi dell'ordi
nanza di rinvio secondo cui l'art. 2112, 1° comma, c.c. sarebbe
« un tipo di norma di ordine rafforzato, se non costituzionale, in
cospetto del quale dovrebbe soccombere il meccanismo di norma
tiva ... che ha per oggetto la crisi aziendale e la mobilità dei
lavoratori). (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione MI civile; sentenza 17 no
vembre 1984, n. 5868; Pres. Cusani, Est. Lonardo, P.M. Ni
cita (conci, conf.); Rispoli (Aw. Gaglione-Barba) c. Avitabile
(Aw. Ammendola). Cassa Trib. Napoli 16 settembre 1980.
Responsabilità civile — Rovina di edifìcio — Rottura di tubazio
ne di impianto idrico — Responsabilità in concorso del condut
tore e del proprietario (Cod. civ., art. 2051, 2053, 2055).
La responsabilità del conduttore di appartamento per l'omessa
vigilanza sullo stato di conservazione della struttura edilizia e
sull'efficienza degli impianti non esclude quella gravante sul
proprietario per rovina di edificio, ravvisata, nella specie, nella
rottura della tubazione di impianto idrico, con conseguente
infiltrazione d'acqua nell'appartamento sottostante. (1)
(1) La sentenza conferma l'interpretazione secondo la quale la nozione di « rovina », nell'accezione dell'art. 2053 c.c., non è riferibile alle sole ipotesi (estreme) di crollo dell'edificio ma ricorre anche in
presenza di disgregazioni incidenti su elementi o manufatti accessori
(c.d. « rovina parziale »): in tal senso v. Cass. 15 giugno 1979, n.
3390, Foro it., Rep. 1979, voce Responsabilità civile, n. 163, relativa mente alla caduta di tegole o lamiere metalliche; 8 settembre 1978, n.
4064, id., Rep. 1978, voce cit., n. 139, in merito alla caduta di una
saracinesca; 20 dicembre 1976, n. 4694, id., Rep. 1977, voce cit., n.
170, attinente allo schiacciamento di un muro perimetrale da parte di
Il Foro Italiano — 1985.
Svolgimento del processo. — Con atto di citazione notificato il
18 agosto 1976 i fratelli Maria Giulia, Maria Grazia, Maria
Rosaria ed Antonio Rispoli nonché Franco Oanzanella, quale
genitore esercente la patria potestà sulle figlie minori Maria
Giovanna e Cristiana, convenivano in giudizio, dinanzi al Pretore
di Napoli, Salvatore Avitabile e, lamentando infiltrazioni d'acqua
nell'appartamento di loro proprietà, provenienti dal sovrastante
appartamento di proprietà del convenuto, chiedevano la condanna
di costui alla eliminazione delle infiltrazioni stesse ed al risarci
mento del danno.
L'Avitabile, costituitosi, chiedeva ed otteneva di chiamare in
giudizio Alfonso Nappo, che del suo appartamento era condutto
re, affermando che l'eventuale responsabilità dei danni doveva far
carico a costui. Il Nappo rimaneva contumace.
Dopo l'espletamento di una consulenza tecnica, il pretore, con
sentenza del 12 maggio 1978, condannava il Nappo ad eliminare
le cause dell'infiltrazione ed a risarcire il danno sofferto dagli attori, sul presupposto che le lamentate infiltrazioni dipendevano dall'uso normale dell'appartamento locato, sicché era da escludersi
ogni responsabilità del proprietario dell'immobile e doveva rite
nersi che dei danni era tenuto a rispondere il conduttore in
un edificio contiguo. Diversamente, non può qualificarsi rovina (totale o parziale) la caduta di cose che non siano materialmente e stabilmen te incorporate nell'edificio medesimo ma solo sue pertinenze (Cass. 31
maggio 1971, n. 1641, id., Rep. 1973, voce cit., n. 136, ha escluso
l'applicabilità dell'art. 2053 per la caduta di un albero sito in un
giardino condominiale). Le formule giurisprudenziali volte ad assegnare rilevanza alla rovina
parziale di edificio tendono tuttavia a stemperarsi allorquando il guasto, invece che palesarsi come « crollo, caduta, spostamento più o meno repentino dell'edificio o di sue parti integranti, per effetto di loro disintegrazione » (Gerì, La r.c. da cose in custodia, animali e rovina di
edificio, Milano, 1974, 328), consiste nella semplice rottura di un manufatto della costruzione ed è idoneo a cagionare danni a cose o
persone in modi tecnicamente non inquadrabili tra quelli testé ricorda ti. Ne costituisce un'immediata dimostrazione proprio la fattispecie in esame, incentrata sulla frattura di una tubazione di un impianto idrico con relativo versamento del liquido in esso contenuto, oggetto anche in
passato di interpretazioni discordanti tanto in giurisprudenza quanto in dottrina.
Secondo una tesi, cui aderisce la pronunzia in epigrafe, il caso de
quo « implica una disgregazione fisica degli elementi che compongono il manufatto, con l'ovvia alterazione della struttura funzionale del
relativo impianto » (cosi Cass. 29 gennaio 1981, n. 693, id., Rep. 1981, voce cit., n. 134; dello stesso tenore Cass. 21 luglio 1979, n. 4384, id., Rep. 1979, voce cit., n. 161, e la più risalente 7 maggio 1948, n. 670, id., 1949, I, 956, con nota di richiami). In dottrina la soluzione è condivisa da Bessone, La « ratio legis » dell'art. 2053 c.c. e i principi di responsabilità oggettivi per i danni causati da rovina di edificio, in Riv. dir. comm., 1982, II, 47.
A tutt'altre conclusioni perviene la corrente di pensiero secondo cui il concetto di rovina postula una responsabilità per i soli danni che si siano prodotti secondo una determinata dinamica (quale, appunto, il crollo di materiali o la caduta di manufatti accessori); dinamica che, invece, non è dato rilevare nella semplice rottura di un tubo, al più causa di allagamenti od infìltìazioni che non intaccano la struttura
dell'impianto. A parte, quindi, i casi limite di versamento di liquidi di
proporzioni tali da determinare la rovina, seppur parziale, della
struttura, la fattispecie andrebbe ricondotta all'art. 2051 (v. in tal senso
App. Milano 12 aprile 1974, Foro it., Rep. 1974, voce cit., n. 70; Cass. 21 ottobre 1971, n. 2969, id., Rep. 1973, voce cit., n. 135; Trib. Rossano 29 luglio 1963, id., Rep. 1964, voce cit., n. 360; Cass. 25 marzo 1948, n. 451, id., Rep. 1948, voce cit., n. 95. Per l'inapplicabili tà dell'art. 2053 si dichiarano, con argomentazioni di analogo tenore, Gerì, op. cit., 158, 324, e Greco, Rottura di tubo conduttore d'acqua, inesistenza di « rovina » ex art. 2053 c.c. e conseguenze relativamente all'onere probatorio sull'elemento della colpa, in Arch. resp. civ., 1963, 913, i quali tuttavia, divergono quanto all'individuazione della discipli na relativa, facendo capo l'uno all'art. 2051, in considerazione del suo carattere di genus rispetto alla species costituita dalla norma in esame
(Gerì, op. cit., 99), e l'altro al più generale disposto dell'art. 2043
(Greco, op. cit., 915). Circa il concorso di responsabilità del conduttore ex art. 2051 per il
fatto illecito inquadrabile tra i casi di rovina di edificio v. Cass. 693/81, cit.; 21 luglio 1979, n. 4384, Foro it., Rep. 1979, voce Locazione, n. 121; 6 giugno 1973, n. 1632, id., Rep. 1974, voce Responsabilità civile, n. 132, nelle quali si precisa altresì che il mancato adempimento del dovere di vigilanza e custodia in capo al locatario in ogni caso non può inficiare la presunzione che l'art. 2053 pone a carico del proprietario, né essere oggetto di opposizione da parte di quest'ultimo nei confronti del danneggiato ricorrente, ma solo costituire il fonda mento per un'autonoma azione di regresso contro il primo ex art. 2055. 'In dottrina, in senso conforme, Gerì, op. cit., 276, nota 17; Bessone, op. cit., 49, e, più in generale, Trimarchi, Rischio e responsabilità oggettiva, Milano, 1961, 337 ss.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
ragione dell'uso che egli faceva dell'impianto in dotazione dell'ap
partamento.
Proponevano appello Anna Tafuri, in qualità di vedova ed
erede del Napo, nella more deceduto, nonché i fratelli Rispoli ed
il Canzanella, tutti insistendo per l'affermazione di responsabilità dell'Avitabile.
Con la sentenza oggi denunciata il Tribunale di Napoli rigettava
l'appello. Premettevano i giudici di secondo grado che le infiltrazio
ni erano causate dalla dissaldatura di alcune tubazioni di piombo della cassetta intercettatrice e del giunto d'innesto dello scarico
principale del gabinetto e che, pertanto, si trattava di danno
derivante dalle cattive condizioni di tenuta dell'impianto nella
parte incassata nel pavimento. Ciò posto, osservava il tribunale
che non poteva tenersi conto, ai fini della identificazione del
soggetto responsabile, della disciplina in tema di manutenzione
della cosa locata (art. 1576 e 1609 c.c.), ma, trattandosi di
rapporto tra il conduttore ed il terzo, che doveva farsi riferimento
alla disciplina di cui all'art. 2051 stesso codice. Si trattava, infatti, di danno cagionato da cose che il conduttore aveva in custodia
ed in ordine al quale la presunzione di responsabilità era
giustificata dall'intrinseca pericolosità della cosa e dalla sua atti
tudine a produrre danno. Tale presunzione poteva essere superata solo dimostrando l'esistenza del caso fortuito, ossia provando che
il danno era stato causato da un evento indipendente dai normale
funzionamento e logorio della cosa. Del resto, perché possa
parlarsi di obblighi di custodia non è necessario che sussista una
padronanza effettiva ed una assoluta disponibilità della cosa
stessa: è sufficiente, infatti, l'esistenza di un generico potere di
disposizione su di essa collegato ai doveri di vigilanza. È proprio tale ipotesi che ricorre in relazione al potere che il conduttore ha
sull'immobile locato ed a nulla vale obiettare che, nella specie, si
trattava di un impianto incassato nel pavimento. Tale impianto costituisce un accessorio dell'appartamento locato e, di conseguen za, rientrava pur sempre nella disponibilità del conduttore e nella
sua sfera di vigilanza (tecnicamente possibile con periodiche verifiche). Per liberarsi dalla presunzione di responsabilità il
Nappo avrebbe dovuto dimostrare di aver tempestivamente comu
nicato al locatore l'esistenza della situazione foriera di danno,
ponendolo nella condizione di adempiere i suoi obblighi contrat
tuali in ordine alla manutenzione dell'immobile.
Contro questa sentenza propongono ricorso i fratelli Rispoli, affidando le loro censure ad un unico motivo. Resiste con
controricorso l'Avitabile.
Motivi della decisione. — Deducendo violazione e falsa appli cazione degli art. 1576, 1577 e 2053 c.c. nonché falso richiamo
agli art. 2043 e 2051 stesso codice, i ricorrenti, richiamate le
conclusioni del c.t.u. e ricordato che si trattava di danni elimina
bili solo con il ricorso a riparazioni straordinarie, le quali
spettano al locatore, si dolgono che il tribunale non abbia risolto
la controversia alla stregua della disciplina dettata dagli art. 1576
e 1577 c.c. I ricorrenti assumono che, per conseguenza, erronea
mente il tribunale ha affermato la responsabilità del conduttore,
quasi che si trattasse di azione per illecito aquiliano ex art. 2043
c.c. Ribadiscono che l'Avitabile, in quanto proprietario dell'appar tamento sito in condominio, era obbligato ad eseguire tutte le
riparazioni necessarie (e dunque anche quelle per cui è causa) non solo per assicurare al conduttore il pieno godimento dell'im
mobile, ma anche per evitare danni agli altri condomini. Né
appare ipotizzabile nella specie la responsabilità ex art. 2051 c.c.
a carico del conduttore. Trattandosi di tubature incassate nel
pavimento il conduttore non era in grado né di accertare lo stato
di manutenzione di esse né, comunque, era tenuto a provvedere alla manutenzione stessa, avente carattere di straordinarietà. Ag
giungono i ricorrenti che, del resto, l'eventuale violazione del
l'obbligo gravante sul conduttore, di avvisare il locatore dell'esi
stenza di una situazione foriera di danno, non può essere opposta al terzo che abbia risentito un danno per effetto della omessa
manutenzione dell'immobile locato. In definitiva, la responsabilità del proprietario dell'appartamento riposa sull'art. 2053 c.c.
Il ricorso è fondato e merita, pertanto, accoglimento, nei
termini ed entro i limiti che si verranno precisando. Va, infatti,
osservato subito che, mentre non può essere posta in discussione
quella parte della sentenza denunciata, secondo cui il conduttore
dell'appartamento (ed i suoi eredi) è tenuto a rispondere dei
danni cagionati ai proprietari del sottostante appartamento, attuali
ricorrenti, appaiono invece censurabili le affermazioni del tribuna
le in base alle quali è stata esclusa la responsabilità del proprieta rio dell'appartamento occupato dal Nappo e dalla sua famiglia.
Il Tribunale di Napoli è giunto a tali conclusioni sulla base del
disposto dell'art. 2051 c.c., per un verso osservando che l'obbligo
Il Foro Italiano — 1985.
di custodia della cosa era passato dal proprietario al conduttore
al momento in cui il primo aveva dato in locazione al secondo
l'appartamento, e per altro verso affermando l'irrilevanza della
circostanza che il danno in concreto era stato provocato da una
parte dell'immobile (impianto di scarico) incassato nel pavimento, al fine della esclusione della responsabilità del custode. L'incorpo razione dell'impianto de quo nella struttura del solaio e la non
agevole ispezionabilità di esso non equivalevano ad impossibilità di verifica, sicché il conduttore era comunque tenuto a periodiche
ispezioni e, quanto meno, a segnalare immediatamente i guasti (il che era pacifico non essersi verificato nella specie).
Orbene, se quest'ultimo rilievo è da solo sufficiente a dar
fondamento all'affermazione di responsabilità del conduttore, co
me si vedrà ulteriormente, la prima delle osservazioni del tribuna
le è erronea, nei limiti in cui essa tende ad escludere la
responsabilità del proprietario-locatore. La sentenza denunciata non tiene conto della disciplina speciale
in tema di responsabilità del proprietario di un edificio o di altra
costruzione per i danni cagionati dalla loro rovina: quella di cui
all'art. 2053 c.c. Disciplina che riposa sul peculiare dovere del
proprietario stesso di cura e di vigilanza in ordine a costruzioni
potenzialmente dannose per i terzi (cfr. Cass. 20 dicembre 1976, n. 4694, Foro it., Rep. 1976, voce Responsabilità civile, n. 160). Tale dovere non viene meno in conseguenza della concessione ad
altri del godimento temporaneo dell'immobile.
Secondo la costante giurisprudenza di questa corte, nonostante
che il contratto di locazione comporti il trasferimento al condut
tore dell'uso e del godimento sia della singola unità immobiliare sia dei servizi accessori e delle parti comuni dell'edificio, una
siffatta detenzione non esclude i poteri di controllo, di vigilanza e, in genere, di custodia spettanti al proprietario-locatore, il quale conserva un effettivo potere fisico sulla entità immobiliare locata — ancorché in un ambito in parte diverso da quello in cui si
esplica il potere di custodia del conduttore — con conseguente obbligo di vigilanza sullo stato di conservazione delle strutture edilizie e sull'efficienza degli impianti (così testualmente la sen tenza 5 dicembre 1981, n. 6467, id., Rep. 1981, voce Comunione e
condominio, n. 25; si veda anche la sentenza 21 luglio 1979, n.
4384, id., Rep. 1979, voce Locazione, n. 121, secondo cui il
proprietario-locatore conserva il più ampio obbligo di vigilanza sullo stato di conservazione delle strutture, sull'efficienza degli
impianti e sulla saldezza degli elementi accessori dell'immobile
locato, sicché il potere-dovere di vigilanza, sui possibili deteriora
menti dell'immobile, e di custodia che spetta al conduttore è
perfettamente compatibile con quello che spetta al locatore, tanto
che le relative responsabilità in rapporto ad un evento dannoso, verificatosi per il mancato esercizio di quei poteri nell'ambito
delle rispettive sfere di azione, possono concorrere).
Del resto, non si può nemmeno dubitare che nella nozione di
rovina (parziale) dell'edificio non rientrino eventi, come quello di
specie, di rilevanza ed entità minore rispetto, per esempio, al
crollo di strutture murarie. La nozione di rovina di edificio,
infatti, ai fini e per gli effetti di cui all'art. 2053 c.c., comprende
ogni disgregazione, sia pure limitata, dell'edificio stesso, ovvero di
elementi o manufatti accessori (per tali affermazioni, si vedano, da ultimo, le sentenze 8 settembre 1978, n. 4064, id., Rep. 1978, voce Responsabilità civile, n. 139; 20 dicembre 1976, n. 4694, già citata e la più lontana 15 luglio 1968, n. 2543, id., Rep. 1969, voce cit., n. 234, di questa corte).
Con riferimento ad una ipotesi simile a quella in esame, del
resto, la sentenza 29 gennaio 1981, n. 693 (id., Rep. 1981, voce
cit., n. 135) ha avuto occasione di affermare, in particolare, che la responsabilità per rovina di edificio comprende ogni disgre gazione di elementi accessori stabilmente incorporati nell'edificio
stesso, compresa la rottura dei tubi dell'impianto idrico.
Né, infine, il proprietario-locatore potrebbe trincerarsi dietro la
giustificazione di non essere stato tempestivamente avvisato dal
conduttore dei guasti, preannuncio di ulteriori danni, verificatisi
nell'immobile di sua proprietà. Infatti, l'obbligo del conduttore di
dare avviso al locatore della necessità di riparazioni alla cosa
locata esplica i suoi effetti nell'ambito dei rapporti interni fra le
parti del contratto di locazione, sicché la sua violazione non può essere opposta dal proprietario-locatore ai terzi, i quali abbiano
subito danni a causa della omessa manutenzione e riparazione dell'immobile locato (cfr. Cass. 21 luglio 1979, n. 4384, cit.).
La presunzione di responsabilità a carico del proprietario dell'edificio (o di parte di esso) per i danni cagionati dalla rovina
dell'immobile, nel senso sopra visto, può essere vinta unicamente
dalla prova, su di lui gravante, che la rovina non è dovuta a
difetto di manutenzione od a vizio di costruzione, e cioè dalla
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PARTE PRIMA
ricorrenza del caso fortuito, della forza maggiore ovvero di altri
fatti, posti in essere da un terzo o dallo stesso danneggiato, i
quali assurgano, nella causazione dell'evento dannoso, a fatti
estranei alla sfera d'azione del proprietario dell'immobile, che
abbiano, cioè, un'efficacia causale del tutto autonoma rispetto alla
condotta (positiva o negativa) di lui (cfr., da ultimo, Cass. 24
marzo 1983, n. 2079, id., Rep. 1983, voce cit., n. 128). È pacifico che, nella specie, l'Avitabile non abbia assolutamente
assolto tale onere probatorio, avendo fondato tutte le sue difese, ribadite in questa sede nel controricorso, sull'obbligo di custodia
gravante sul conduttore Nappo quale causa di esclusione di
responsabilità in capo ad esso controricorrente.
Ne consegue, pertanto, sotto tutti i profili considerati, la
erroneità della sentenza denunciata, che va, dunque, cassata.
La causa va, di conseguenza, rinviata ad altro giudice (che si
designa in altra sezione del Tribunale di Napoli) il quale si
atterrà ai principi suesposti. (Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezione i civile; sentenza 17 novem
bre 1984, n. 5852; Pres. Scanzano, Est. Borruso, P.M. Leo
(conci. difL); Soc. Application des Gaz e Soc. Camping gaz international Italia (Avv. Castana, Franceschelli) c. Soc. Li
quigas italiana (Aw. Contaldi, R. Nobili). Conferma App. Milano 6 ottobre 1981.
Concorrrenza (disciplina della) — Concorrenza parassitaria —
Requisiti (Cod. civ., art. 2598).
Non sussiste concorrenza parassitaria quando la somiglianza esi
stente di fatto tra i prodotti di un imprenditore e quelli del
concorrente non dipende dalla pedissequa imitazione di caratte
ri originali ed inerisce, invece, ad aspetti comuni, ormai stan
dardizzati, rinvenibili in ogni prodotto di quel tipo. (1)
Svolgimento del processo. — Già da molti anni la soc. Aplica tion des gaz (A.D.G.) di Parigi è un'impresa specializzata nella
produzione di bombole e cartucce di gas, nonché di apparecchi
(quali fornelli, stufette portatili, lampade, frigoriferi e saldatori) funzionanti con tali bombole e cartucce e destinati essenzialmente
ad essere usati in campeggio. Detti prodotti, venduti in tutto il
mondo con il marchio « Camping Gaz » e caratterizzati dal colore
bleu sono distribuiti in Italia dalla Camping Gaz International
Italia di Milano.
In base ad un accordo stabilito con quest'ultima a decorrere
dal 1974, la s.p.a. Liquigas italiana, che già dal 1962 aveva avuto
rapporti commerciali con A.D.G. per la ricarica delle bombole e
(1) La sentenza confermata, App. Milano 6 ottobre 1981, leggesi in Ciur. dir. ind., 1981, 582; la decisione di primo grado, Trib. Milano 9
luglio 1979, è riportata in Riv. dir. ind., 1981, II, 164, con nota di R.
Franceschelli, Osservazioni su un modo particolare di concepire la concorrenza parassitaria. Sul punto massimato v. Cass. 15 novembre
1982, n. 6099, Foro it., 1983, I, 2514, con nota di Pardolesi. Quest'ultima sentenza, riprendendo quanto già in precedenza affermato da Cass. 17 marzo 1978, n. 1348, id., Rep. 1978, voce Concorrenza
(disciplina), n. 80, ha negato (sotto il diverso profilo, però, della
configurazione di un illecito di imitazione servile) la slealtà concorren ziale dell'imitazione di una forma di prodotto (nella specie, un paraurti) priva di carattere individualizzante, perché tale illecito « deve essere escluso in presenza di prodotti standardizzati ».
Interessante è il riconoscimento, che la Cassazione fa con la presente sentenza, della possibilità di configurare una concorrenza parassitaria anche quando « lo sfruttamento sistematico del lavoro e della creatività altrui viene conseguito attraverso una pluralità di atti o un comporta mento globale posti in essere contemporaneamente », quando cioè « in un colpo solo [siano imitate] tutte le iniziative prese dal concorren te », cosi escludendosi che la nostra fattispecie debba necessariamente
configurarsi quale fattispecie a formazione successiva. Con ciò s'è
accolta, senza però mutare la sostanza del giudizio, la critica mossa alla decisione di primo grado da R. Franceschelli, La concorrenza
parassitaria come è vista oggi in Italia, in Riv. dir. ind., 1981, I, 5, 13, che aveva osservato come, nella concorrenza parassitaria « la sistemati cità e continuità [del comportamento di pedissequa ripetizione dell'atti vità altrui] da cronologicamente successive che sono nell'ipotesi di
base, possono anche essere simultanee ed esprimersi nei caratteri
quantitativi dell'imitazione ». Sul dibattito dottrinale in materia, dai toni sorprendentemente accesi,
vedasi, oltre al citato articolo di Franceschelli, le tesi del suo
irriducibile contraddittore, G. Ghidini, La controversia sleale2, in Giur.
sist. dir. civ. e comm., fondata da W. Bigiavi, Torino, 1982, 256.
Il Foro Italiano — 1985.
la vendita in Italia dei prodotti Camping Gaz, distribuiva in
Italia, sotto il marchio complesso costituito da una farfalla
stilizzata associata alla denominazione « Plein Air », tutta la
suddetta gamma dei prodotti dell'A.D.G. provvedendo a ricaricare
le relative cartucce e bombole.
Scaduto tale accordo il 30 settembre 1975, le parti non lo
rinnovavano e la Liquigas italiana iniziava a produrre e a
vendere in proprio pressoché la medesima gamma di prodotti già venduti per conto delle due società francesi — tanto che talune
componenti di esse risultavano intercambiabili con le prime —
sempre con il marchio « Plein Air » associato all'immagine stiliz
zata della farfalla e scrivendo nei suoi dépliants pubblicitari che
tali suoi prodotti costituivano « la seconda generazione dell'attrez
zatura da campeggio » ed erano disponibili anche in colore blu.
Premesso quanto sopra, la società A.D.G. e la Camping Gaz
International Italia citavano nel 1978 la Liquigas italiana avanti al Tribunale di Milano per sentirla dichiarare responsabile di atti
di concorrenza sleale, ai sensi dell'art. 2598, nn. 2 e 3, c.c. con tutti i provvedimenti conseguenziali, specificando trattarsi di con
correnza parassitaria e denigratoria. La convenuta, oltre a sollevare un'eccezione preliminare di di
fetto di legittimazione passiva che qui più non interessa e di cui,
quindi, non si farà più cenno avanti, contestava d'essersi resa
responsabile di qualsiasi forma di concorrenza sleale.
Il Tribunale di Milano, con sentenza del 1979 (Foro it., Rep. 1982, voce Concorrenza (disciplina), nn. 24-28), rigettava inte
gralmente la domanda attrice osservando in fatto che: 1) era ben vero che la Liquigas aveva globalmente adottato tutta la gamma dei prodotti già precedentemente commercializzata dalla Camping Gaz anche per quanto riguardava misure e volumi nonché
accorgimenti pratici e innovazioni tecniche (come ad esempio il numero dei fuochi dei fornelli, l'impianto diretto di essi sulla bombola o sulla cartuccia, l'accensione piezoelettrica), ma si trattava « di tutti i risultati tecnici, estetici e funzionali già raggiunti dalle imprese operanti in quel settore al fine di poter sostenere il rapporto concorrenziale nella domanda dei consuma
tori, già abituati a quei ritrovati in commercio... Ad esigenze ben caratterizzate sul piano funzionale... i produttori di articoli
per campeggio avevano offerto soluzioni omogenee ... dovendo i
singoli prodotti rispondere ad esigenze di praticità... Dall'esame dell'attuale produzione delle ditte operanti nel settore in questione emerge pertanto che quei prodotti di cui l'attrice lamenta la
pedissequa imitazione ideativa da parte della Liquigas sono ormai
standardizzati e quindi privi di quell'elemento individualizzante
idoneo a ricollegarli in modo sicuro ed immediato all'attività di
una o altra impresa »; 2) la disponibilità della Liquigas ad offrire
le sue apparecchiature anche nella versione blu era ininfluente
soprattutto perché si trattava di un colore « fondamentale o
principale e non di una particolare composizione cromatica » che
potesse costituire « elemento individualizzante o caratteristico del
prodotto » o fosse comunque da considerarsi « frutto di studio, di
ricerche o di ingegnosità imprenditoriale tale da poter essere
meritevole di tutela nei confronti di analoga e successiva iniziati
va assunta da un concorrente », tanto più che nel settore com
merciale in esame detto colore risultava essere comunemente utilizzato da altre ditte, cosi come il colore arancio che contrad
distingue la linea Liquigas; 3) altrettanto irrilevante era la
circostanza che le istruzioni per l'uso degli apparecchi fossero
stampate, sia in quelli della Liquigas che in quelli dell'A.D.G., nel medesimo color bianco, nei medesimi punti e con formato
analogo, sia perché i rispettivi prodotti non erano confondibili da
parte del pubblico essendo ben differenziato il marchio apposto su ciascuno degli stessi e ben visibile il nome dei rispettivi
produttori o distributori, sia perché, trattavasi di elementi privi di
originalità (la particolare struttura degli oggetti non consentiva,
invero, una particolare possibilità di scelta in ordine alla posizio natura delle predette istruzioni, circostanza che aveva indotto
anche altri produttori ad adottare analogo sistema), sia perché, infine, con particolare riferimento alle bombole, il tipo di veste
grafica si presentava sostanzialmente diverso da quello usato dalla
Camping Gaz; 4) il marchio « Plein Air » era di proprietà della
Liquigas che lo aveva utilizzato nel commercio non soltanto dei
prodotti Camping Gaz di cui era stata concessionaria sino al
settembre del '75, ma anche di altri prodotti (quali per esempio, imbarcazioni pneumatiche e tende) di altri concessionari: cioè di
tutta la linea dei prodotti per campeggio distribuiti dalla Liqui
gas; 5) lo slogan riferito dalla Liquigas ai propri prodotti come
appartenenti « alla seconda generazione » era una pura e semplice
magnificazione (consuetudinaria e quindi innocua perché facilmen
te riconoscibile dal pubblico come iperbole pubblicitaria) della
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