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sezione lavoro; sentenza 7 ottobre 1999, n. 11252; Pres. Amirante, Est. Guglielmucci, P.M. Sepe(concl. conf.); Inps (Avv. Passaro, Starnoni) c. Iaria. Conferma Trib. Lagonegro 24 ottobre 1995Source: Il Foro Italiano, Vol. 123, No. 9 (SETTEMBRE 2000), pp. 2647/2648-2649/2650Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23197488 .
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2647 PARTE PRIMA 2648
1979, voce Mandato, n. 16; e l'espressione aritmetica delle ope razioni compiute deve essere integrata dalla prova di tali opera zioni: Cass. 26 ottobre 1973, n. 2781, id., Rep. 1973, voce cit.,
n. 8), perché non può sottrarsi al diritto di controllo del
mandante.
Traspare inoltre dalla difesa della banca il non tanto som
merso timore che la verifica operata dalla curatela fallimentare
possa sfociare in azioni contro la stessa banca.
Ma, a prescindere dal fatto che tale argomento non vale di
certo a rendere contra ius la pretesa della curatela, dal momen
to che, come già si è rilevato, il mandatario non può eludere
il diritto di controllo del mandante e tantomeno nei casi in cui
versi in colpa, in realtà la verifica della curatela ha una funzio
ne ben più ampia, perché serve a ricostruire non solo i rapporti tra banca e cliente fallito, ma anche tutti i rapporti tra fallito
e terzi che sono transitati attraverso il rapporto di conto corren
te bancario, e quindi non necessariamente deve essere finalizza
ta ad azioni contro la banca reclamante.
7. - Gli argomenti residuali. Innanzi al primo giudice la ban
ca resistente ha dedotto altresì l'inammissibilità della domanda
cautelare spiegata nei suoi confronti in quanto essa sarebbe di
per sé immediatamente satisfattiva, e quindi renderebbe inutile
l'ulteriore giudizio di merito. Si tratta di argomento non di pre
gio, dal momento che per un verso è ontologico al procedimen to cautelare proprio lo scopo — immediatamente satisfattivo — di anticipare i provvedimenti del merito, e per altro verso
lo scopo del giudizio di merito è pur sempre la verifica funditus del diritto azionato — e riconosciuto sulla base di una somma
ria cognitio — nel giudizio cautelare.
In sede di reclamo la banca ha insistito più che su tale aspet
to, sulla pretesa inesistenza dei presupposti del provvedimento
d'urgenza, e segnatamente del periculum in mora, ma anche
tale argomento è infondato: infatti è notorio che la curatela, nel suo sforzo di recuperare all'attivo fallimentare le disposizio ni patrimoniali compiute dal fallito, è vincolata dai termini pe rentori fissati dalla legge fallimentare e dunque la conoscenza
tempestiva dell'andamento dei rapporti economici del fallito nel
biennio immediatamente precedente alla dichiarazione di falli
mento è essenziale per esperire con successo la propria attività.
Qualora la banca dia luogo a comportamenti dilatori che ap
paiono evidentemente rivolti ad eludere il soddisfacimento di
quello che si è visto essere un diritto (patrimoniale) già del falli
to, e quindi anche del curatore fallimentare, è essa stessa a far
sorgere lo stato di urgenza che giustifica il ricorso al provvedi mento cautelare, e quindi ogni successiva doglianza in tal senso
appare incongrua. 8. - Conclusioni. Sulla base delle esposte considerazioni il re
clamo va dunque rigettato, mentre va però rettificato il provve dimento emesso dal primo giudice nella parte in cui ha erronea
mente indicato la Banca Carime s.p.a. come soggetto incorpo rato dalla Banca Intesa s.p.a., anziché la Banca Caripuglia s.p.a., avendo anche la curatela fallimentare reclamata confermato sul
punto l'errore materiale del provvedimento reclamato, errore
scaturito da una erronea indicazione da parte del ricorrente, in parte conclusiva del ricorso di primo grado, della denomina
zione della banca medesima.
Il Foro Italiano — 2000.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza 7 ottobre
1999, n. 11252; Pres. Amirante, Est. Guglielmucci, P.M.
Sepe (conci, conf.); Inps (Avv. Passaro, Starnoni) c. laria.
Conferma Trib. Lagonegro 24 ottobre 1995.
Lavoro e previdenza (controversie in materia di) — Domande
ed eccezioni nuove — Inammissibilità — Fattispecie (Cod.
proc. civ., art. 416, 437).
Nel rito del lavoro il convenuto non può allegare fatti nuovi, ancorché posti a base di eccezioni rilevabili d'ufficio, oltre
la memoria difensiva (nella specie, l'Inps convenuto in giudi zio aveva sollevato per la prima volta in appello la deduzione relativa alla carenza di domanda amministrativa da parte del
la ricorrente richiedente pensione di invalidità). (1)
(1) Nell'enunciare il principio di cui alla massima, il Supremo colle
gio si richiama a sez. un. 3 febbraio 1998, n. 1099, Foro it., 1998, I, 764, con nota di richiami, citata in motivazione, ribadendo dunque la distinzione tra potere di allegazione dei fatti (spettante solo alla par te, ed esercitabile, nel rito del lavoro, entro il limite temporale di cui all'art. 416 c.p.c.), e quello di rilevazione della loro efficacia (legittima mente esercitabile — una volta che i fatti cui si riferisce siano stati
tempestivamente appunto allegati — anche oltre il suddetto limite, ove 1 fatti stessi siano anche rilevabili ex officio), che costituisce passo cen trale della motivazione della detta pronuncia a sezioni unite.
L'affermazione, per la quale si segnala la sentenza in epigrafe e che
prospetta un cambio di indirizzo sul punto, che anche il fatto costituen te mera difesa deve risultare acquisito agli atti e provato rite e recte secondo la specifica disciplina processuale dell'acquisizione (id est, per il convenuto, nella memoria di cui all'art. 416 c.p.c.) è tuttora contro
versa: in senso contrario, Cass. 25 febbraio 1999, n. 1655, id., Mass., 253 (in tema di rilievo di carenza del requisito contributivo ai fini di
assegno di invalidità), nonché, in fattispecie identiche alla precedente, Cass. 2 marzo 1987, n. 2195, id., Rep. 1987, voce Previdenza sociale, n. 1152, e 3 dicembre 1986, n. 7170, id., Rep. 1986, voce Lavoro e
previdenza (controversie), n. 491, citate in motivazione, ed anche Cass. 19 agosto 1996, n. 7630, id., Rep. 1996, voce cit., n. 138; 20 luglio 1985, n. 4301, id., Rep. 1986, voce cit., n. 208; 6 febbraio 1984, n.
914, id., Rep. 1984, voce cit., n. 429.
Cfr., però, in ultimo, in argomento, Cass. 10 aprile 2000, n. 4533, id., 2000, I, 2196, con nota di richiami, che espressamente qualifica come «assoluto» il principio dell'allegazione, con la conseguenza che il fatto rilevante deve essere affermato e, se non ammesso dalla contro
parte, provato, non importa se eccezione in senso stretto o mera difesa. In dottrina, diffusamente sul punto dell'onere di allegazione, v. A.
Proto Pisani, La nuova disciplina deI processo civile, Napoli, 1991, 219 ss.; Id., Controversie individuali di lavoro, Torino, 1993, 80 ss.; S. Menchini, Osservazioni critiche sul c.d. onere di allegazione dei fatti giuridici nel processo civile, in Scritti in onore di Elio Fazzalari, Mila
no, 1993, III, 23 ss.; A. Carratta, Il principio della non contestazione nel processo civile, Milano, 1995, 285 ss.
Cass. 2 marzo 1987, n. 2195, cit., e 3 dicembre 1986, n. 7170, cit., a fronte della deduzione in appello da parte dell'Inps della carenza del
requisito contributivo ammettono controparte ad un'attività probatoria supplementare, volta a contrastare tale assunzione: cosi decidendo, pe rò, ha cura di motivare il Supremo collegio nella pronuncia qui riporta ta, si produce l'effetto non consentito di far svolgere la prova in sede
d'appello anziché nella fase iniziale del giudizio, senza che ne ricorra
l'indispensabilità di cui all'art. 437 c.p.c. (in argomento, v. Cass. 9 feb braio 1999, n. 1110, Foro it., 1999,1, 2967; 19 novembre 1999, n. 12840, id., Mass., 1237, e, per altra parte, id., 2000, I, 1216; in generale, circa la produzione documentale nel rito del lavoro, v., in ultimo, Cass. 8 giu gno 1999, n. 5639, id., 2000,1, 1267, con nota di C.M. Cea, Produzione documentale ed iniziativa istruttoria ufficiosa nel rito del lavoro, ove, sub III, particolare riferimento al giudizio d'appello).
Sulla distinzione in concreto non sempre agevole tra eccezioni in sen so stretto e mere difese, cfr. Cass. 9 febbraio 1999, n. 1110, cit., con nota di Fortini, ove richiami di giurisprudenza e dottrina, cui adde Cass. 22 gennaio 1998, n. 599, id., 1998, I, 3270, con nota di richiami, nonché, in ultimo, Cass. 1° luglio 1999, n. 6731, id., Mass., 795 (in tema di deduzione di inquadrabilità in mansioni superiori condizionata alla vacanza di posto corrispondente in organico).
Sull'obbligo per l'ente previdenziale di denunciare sin dal momento iniziale del processo situazioni ostative alla pretesa fatta valere dall'in
teressato, e sulla doverosa collaborazione da parte dello stesso — fermo
comunque restando l'onere della prova a carico di ei qui dicit —, in
possesso dell'intera posizione assicurativa dell'interessato, cfr. Cass. 4 marzo 1998, n. 2383, id., Rep. 1998, voce Previdenza sociale, n. 229; 2 settembre 1996, n. 8036, id., Rep. 1997, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 48; 11 agosto 1993, n. 8613, id., 1994, I, 2197, con nota di Menchini; 2 marzo 1987, n. 2195, cit., tutte citate in motiva
zione, cui adde, in ultimo e nello stesso senso, Cass. 3 marzo 1999, n. 1800, id., 2000, I, 1987.
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Svolgimento del processo. — Alla signora Maria Teresa Iaria
è stato riconosciuto, da parte del Pretore di Teramo [s/c] il di
ritto a percepire la pensione di invalidità, nonostante che la stessa
non avesse mai proposto in sede amministrativa la relativa do
manda, avendo, invece, in tale sede, avanzato domanda di pen sione di reversibilità, in quanto inabile.
Il tribunale della stessa città ha confermato la decisione pre torile rilevando che l'Inps, a fronte della richiesta di pensione di invalidità avanzata in sede giudiziaria a seguito del rigetto della domanda amministrativa presentata il 27 agosto 1995, non
aveva eccepito alcunché contestando solo la sussistenza della
invalidità nei limiti di legge. Né tale circostanza risultava dalla documentazione esibita dal
l'istituto previdenziale: al contrario la documentazione sanitaria
avanzata dalla appellata e la visita medica su di lei predisposta
fugavano ogni dubbio in ordine alla legittimità della domanda
da lei avanzata in sede giudiziaria.
L'Inps chiede la cassazione della sentenza.
Motivi della decisione. — Con l'unico motivo che sostiene
il ricorso l'Inps denuncia violazione degli art. 112 e 113 in rela
zione all'art. 442 c.p.c. ed all'art. 47 d.p.r. n. 639 del 1970
nonché vizi di motivazione e sostiene che la deduzione relativa
alla carenza di domanda amministrativa costituisce mera difesa
e non eccezione in senso stretto: sicché non ha rilievo che essa
sia stata formulata per la prima volta in appello dovendo il
giudice rilevare, d'ufficio, la carenza stessa.
Il tribunale ha, inoltre, apoditticamente affermato che dai do
cumenti esibiti non risultava che in sede amministrativa fosse
stata richiesta la pensione di reversibilità laddove da un sempli ce esame degli stessi risultava proprio questa circostanza.
La censura è infondata.
Come si è detto, a fronte dell'asserzione della signora Iaria — di mancata concessione in sede amministrativa della pensio ne di invalidità — contenuta nel ricorso, con la memoria difen
siva l'Inps non ha denunciato la carenza della domanda ammi
nistrativa, limitandosi a contestare l'esistenza dell'invalidità.
Né ciò risulta avvenuto nel corso del giudizio di primo grado durante il quale fu disposta consulenza diretta ad accertare la
invalidità (e non l'assoluta inabilità come sarebbe stato necessa
rio ai fini della pensione di reversibilità). Tuttavia, secondo l'Inps, ciò non gli era precluso in appello
non costituendo la carenza di domanda amministrativa un'ecce
zione preclusa ai sensi dell'art. 437 c.p.c. — perché non solleva
ta con le modalità previste dall'art. 416 c.p.c. — ma una mera
difesa.
Di conseguenza, secondo un principio consolidato nel rito del
lavoro, questa carenza poteva esser fatta valere innanzi al giu dice d'appello mentre lo stesso giudice di primo grado avrebbe
dovuto rilevarla d'ufficio.
Rileva la corte che questa asserzione — secondo cui anche
fatti diretti a contestare la rappresentazione di quelli indicati
dall'attore, potrebbero, per il loro carattere meramente difensi
vo, esser dedotti in grado d'appello per la prima volta, o rileva
ti dal giudice di primo grado, anche senza l'allegazione degli stessi da parte del convenuto — è però in contrasto con i princi
pi che reggono il rito del lavoro.
Ed infatti, secondo l'insegnamento delle sezioni unite (sent. 3 febbraio 1998, n. 1099, Foro it., 1998, I, 764) il potere di
allegazione — che compete solo alla parte — deve, tuttavia,
esser esercitato entro il limite temporale del tempestivo deposito della memoria difensiva ex art. 416 c.p.c., posto che ipotizzare
l'allegabilità di fatti nuovi anche oltre tale termine, per la sola
ragione che la rilevanza dei loro effetti non si iscrive nel novero
delle eccezioni riservate alla parte, significherebbe compromet tere il sistema delle preclusioni sul quale quel rito si fonda ed
in particolare la sua funzione di affidare alla fase degli atti in
troduttivi del giudizio la cristallizzazione dei temi controversi.
Di conseguenza, a fronte della mancata allegazione da parte del convenuto, nella memoria prevista dall'art. 416 c.p.c., di
fatti contestativi di quelli rappresentati dal ricorrente, la mate
ria del contendere si individua e si fissa quale assieme dei punti effettivamente controversi, con la conseguenza che non v'è più
spazio — ancorché si tratti di mere difese — per il potere di
rilievo da parte del giudice della carenza fattuale di condizioni
o presupposti dell'azione. Tale asserzione, tuttavia, non nega la differenza, ontologica, ribadita dalla predetta sentenza delle
sezioni unite, fra l'ipotesi in cui il convenuto fa valere «un di
II Foro Italiano — 2000 — Parte /-48.
ritto sostanziale d'impugnazione» o un'eccezione «identificabile
come oggetto di una espressa disposizione di legge che ne faccia
riserva in favore delle parti» e mere difese esercitate dallo stesso.
Differenza che sottrae quest'ultima al regime decadenziale pre visto per i primi, consentendone la deduzione, per la prima vol
ta, anche innanzi al giudice d'appello e la rilevabilità d'ufficio anche nel silenzio della parte interessata.
È però necessario — come si è detto — che il fatto costituen
te mera difesa «risulti acquisito agli atti e provato rite et recte
alla stregua della specifica disciplina processuale dell'acquisizio
ne»; acquisizione che può ricondursi — oltre che alle specifiche modalità previste dall'art. 416 c.p.c. — anche da un comporta mento di controparte.
È in proposito significativo che alcune decisioni di questa corte — fra quelle che hanno ritenuto legittima la deduzione in ap
pello, da parte dell'istituto previdenziale, della carenza del re
quisito contributivo per l'assicurato che chiedeva una prestazio ne — abbiano poi avvertito la necessità di consentire a quest'ul timo un'attività probatoria supplementare, conseguente alla
violazione del dovere da parte dell'ente stesso, di prendere posi zione precisa e completa circa i fatti dedotti dall'attore nonché
di svolgere tutte le difese nella memoria dell'art. 416 c.p.c. (Cass. 2 marzo 1987, n. 2195, id., Rep. 1987, voce Previdenza sociale, n. 1152; 3 dicembre 1986, n. 7170, id., Rep. 1986, voce Lavoro
e previdenza (controversie), n. 491). Ciò indubbiamente produce l'effetto — non consentito dai
principi del processo civile — di far svolgere la prova in sede
d'appello, anziché nella fase iniziale del giudizio (art. 414, n.
5, 416, 3° comma, 420, 5° comma, c.p.c.), senza che ne ricorra
la indispensabilità. Gli effetti della mancata allegazione — quale impossibilità
di far valere le carenze stesse innanzi al giudice d'appello —
hanno rilievo ancora maggiore allorché il convenuto sia un ente
previdenziale. Su di esso, infatti, per la sua precipua funzione di assicurato
re sociale, incombe l'obbligo — più che su ogni altro soggetto — di denunciare, nel momento iniziale del processo previden
ziale, situazioni che siano ostative alla pretesa fatta valere dal
l'assicurato; non essendo consentito far ricadere sullo stesso gli effetti della violazione di un dovere di vigilanza istituzionale
non tempestivamente esercitato (Cass. 4 marzo 1998, n. 2383,
id., Rep. 1998, voce Previdenza sociale, n. 229; 2 settembre
1996, n. 8036, id., Rep. 1997, voce Lavoro e previdenza (con
troversie), n. 48; 11 agosto 1993, n. 8613, id., 1994, I, 2197; di non secondario rilievo l'affermazione, contenuta nella pre detta sentenza 2195/87, secondo cui l'onere della prova «sebbe
ne incombente ei qui dicit, rimane pur sempre legato alla neces
sità di doverosa collaborazione da parte dell'ente pubblico, in
possesso del quale sono gli elementi probatori di origine e i
dati documentali dell'intera posizione assicurativa dell'inte
ressato»). Con la conseguenza che l'esigenza della conservazione delle
situazioni giuridiche — divenute intangibili per effetto delle pre clusioni processuali — prevale sulla stessa inesistenza della man
canza dei presupposti amministrativi per ottenere la prestazione
previdenziale. Il ricorso va pertanto rigettato, restando assorbito ogni altro
profilo di censura.
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