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sezioni unite civili; sentenza 10 novembre 1998, n. 11276; Pres. La Torre, Est. Prestipino, P.M.Lo Cascio (concl. conf.); Andreucci (Avv. Giacobbe), c. Min. grazia e giustizia e Proc. gen. Cass.Conferma Cons. sup. magistratura, sez. disciplinare, 11 ottobre 1997Source: Il Foro Italiano, Vol. 122, No. 5 (MAGGIO 1999), pp. 1517/1518-1521/1522Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23193476 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
capo allo Sbaraglia al momento dell'alienazione da lui compiu ta doveva ritenersi conseguita, in base a tale dichiarazione, in
virtù dell'efficacia probatoria da attribuirsi alla procura, allega ta in originale all'atto di compravendita rogato dal notaio Pisa
pia il 27 aprile 1989 e quindi facente piena prova fino a querela di falso ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 2700 c.c. Anche
i suddetti profili di censura risulterebbero, ove fossero dotati
di rilevanza decisiva, infondati. Invero, nessuna contradditto
rietà è ravvisabile tra l'enunciazione di corretti criteri program matici in sede di impostazione della tematica della prova e la
valutazione concreta, nel merito, di uno specifico elemento al
quale l'odierno ricorrente vorrebbe affidare la fondatezza della
domanda dallo stesso proposta. Ed è agevole rilevare che l'effi
cacia probatoria privilegiata di cui all'art. 2700 c.c. riguarda la provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha
formato nonché le dichiarazioni delle parti (considerate nella
loro oggettiva fattuale realtà) e gli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta essere avvenuti in sua presenza o da lui compiu
ti, ma non investe anche la rispondenza al vero del contenuto
delle dichiarazioni delle parti, onde non potrebbe essere ritenu
ta provata, solo per la mancata proposizione di querela di fal
so, la sussistenza effettiva di una situazione soggettiva ricondu
cibile alla qualifica di commerciante nella persona del dichia
rante Sbaraglia. 3. - Si accede, così, alla reiezione del ricorso.
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 10 no
vembre 1998, n. 11276; Pres. La Torre, Est. Prestipino,
P.M. Lo Cascio (conci, conf.); Andreucci (Avv. Giacobbe),
c. Min. grazia e giustizia e Proc. gen. Cass. Conferma Cons,
sup. magistratura, sez. disciplinare, 11 ottobre 1997.
Ordinamento giudiziario — Magistrato — Responsabilità disci
plinare — Attività giurisdizionale — Violazione di legge
—
Configurabilità (R.d.leg. 31 maggio 1946 n. 511, guarentigie
della magistratura, art. 18).
In applicazione del principio della insindacabilità degli atti posti
in essere dal magistrato nell'esercizio delle sue funzioni, non
può ravvisarsi — in linea generale — alcun illecito disciplina
re nella violazione di legge inerente alla inesattezza tecnico
giuridica dei provvedimenti emessi; peraltro, sussiste la re
sponsabilità del magistrato, in relazione al provvedimento re
so, quando la violazione di legge è idonea ad evidenziare un
comportamento connotato da scarso impegno e insufficiente
ponderazione o da approssimazione e limitata diligenza, ov
vero quando il suddetto provvedimento sia il risultato di un
comportamento del tutto arbitrario in quanto determinato da
dolo o colpa grave. (1)
(1) I. - La corte ribadisce il proprio orientamento in tema di sindaca
bilità degli atti giurisdizionali nei limiti in cui gli stessi, per essere stati
adottati in violazione di legge o per essere abnormi, manifestino non
già una legittima scelta di carattere applicativo-interpretativo — in quanto tale insindacabile — bensì il frutto di una condotta che denoti o scarsa
diligenza o una cosciente, volontaria ed arbitraria opzione ermeneutica,
in quanto tale suscettibile di incidere negativamente sul prestigio e la
credibilità dell'intero ordine giudiziario. In particolare, la corte ha riconosciuto legittime le conclusioni rag
giunte dalla decisione della sezione disciplinare del consiglio superiore
ponendo in evidenza che, nella fattispecie, l'adozione del rito abbrevia
to in materia non consentita dalla legge processuale — trattandosi di
contestazione di un reato punibile in astratto con l'ergastolo — è stata
adottata, non in base ad una motivata e meditata pronuncia resa in
consapevole contrasto con principi già affermati in giurisprudenza, bensì
in aperta e cosciente violazione di una pronuncia della Corte costituzio
nale di illegittimità costituzionale di una norma processuale penale.
Il Foro Italiano — 1999.
Svolgimento del processo. — A seguito di una informativa
indirizzata al ministero di grazia e giustizia dal presidente del
Tribunale di Rimini, il quale aveva rappresentato che all'inter
no dell'ufficio fra i magistrati si erano manifestate contrapposi
zioni, tensioni e contrasti in relazione alle vicende processuali che avevano interessato la comunità di S. Patrignano, veniva
disposta dal ministro un'inchiesta ispettiva, al cui esito veniva
promossa azione disciplinare nei confronti del dott. Vincenzo
Andreucci, giudice delle indagini preliminari presso il tribunale.
Al dott. Andreucci venivano contestate tre distinte incolpa zioni — collegate alla violazione dell'art. 18 r.d.leg. 31 maggio 1946 n. 511, per avere mancato ai propri doveri, ponendo in
essere comportamenti lesivi del prestigio dell'ordine giudiziario
Trattandosi non di sentenza costituzionale interpretativa di rigetto ma di illegittimità piena di una norma, la decisione costituzionale assu
me valore e carattere vincolante per il giudice, con la conseguenza che
la mancata adesione alla pronuncia del giudice delle leggi si sostanzia
in una violazione di norma processuale penale che, essendo comunque
obbligatoria anche quando la sua inosservanza non importa la nullità
degli atti, è suscettibile di rilevanza disciplinare nei limiti ed alle condi
zioni indicate per la sindacabilità degli atti. II. - Negli esatti termini, Cass., sez. un., 14 novembre 1997, n. 11256,
non massimata, secondo cui «il giudizio deontologico, pur se raffigura un controllo sul giudizio tecnico, non censura il metodo logico-giuridico né il risultato raggiunto, in quanto l'illecito disciplinare del magistrato, se viene configurato come mancanza di diligenza nella emanazione dei
provvedimenti giurisdizionali e nell'esercizio dell'attività giudiziaria, può formare oggetto di una valutazione negativa del suo operato che non
viene ad incidere sulla indipendenza dei magistrati»; 13 settembre 1997, n. 9092, Foro it., Rep. 1997, voce Ordinamento giudiziario, n. 169, che riconosce la rilevanza disciplinare della violazione di legge allor
quando essa sia idonea ad evidenziare un comportamento di scarsa pon derazione, approssimazione, frettolosità o limitata diligenza tale da es
sere suscettibile di incidere negativamente sul piano del prestigio del
l'ordine giudiziario; 7 agosto 1996, n. 7226, ibid., n. 170, in fattispecie in cui, applicandosi il principio di cui in massima, è stata inflitta la
sanzione dell'ammonimento ad un magistrato che nella sua funzione
di pretore, chiamato ad emettere un provvedimento d'urgenza, non aveva
dichiarato il difetto di giurisdizione bensì aveva emesso un provvedi mento debordante dalle corrette regole di giudizio e di equivoca valenza
che, ai fini cautelari, affrontava il merito della questione per poi risol
versi in una formale ed apparente declaratoria di non luogo a provvede re a fronte della ritenuta sussistenza di fumus boni iuris e di periculum in mora delle ragioni del ricorrente.
Cass., sez. un., 13 settembre 1997, n. 9095, ibid., n. 172, di confer
ma della decisione disciplinare che aveva ritenuto sussistente l'illecito
disciplinare in un caso in cui un sostituto procuratore della repubblica aveva omesso di attuare il doveroso coordinamento con il p.m. presso altra sede, violando il disposto dell'art. 371 c.p.p. e recando pregiudi zio alle indagini da quest'ultimo svolte.
Cass., sez. un., 1° ottobre 1997, n. 9615, ibid., n. 174, che evidenzia
come l'esigenza di analitica specificazione dell'addebito disciplinare de
ve ritenersi particolarmente accentuata ove l'incolpazione coinvolga l'e
same di provvedimenti resi nell'esercizio delle funzioni giurisdizionali la cui censurabilità — per il necessario rispetto del principio costituzio
nale della soggezione del giudice solo alla legge — è limitata ai soli
casi in cui si manifesti scarsa laboriosità e ponderazione, approssima zione, limitata diligenza; in tal caso, infatti, quando ad un giudice si
addebitino violazioni di legge che trovano rimedio fisiologico nel pro
cesso, la relativa contestazione non può prescindere dall'indicazione pun tuale di elementi (quali la descrizione particolareggiata della riscontrata
violazione, l'incidenza statistica, rispetto al complessivo lavoro dell'in
teressato, dei provvedimenti che ne sono inficiati, le eventuali reazioni
suscitate negli ambienti interessati, gli aspetti temporali dei comporta menti rilevati) che escludono una rilevanza di tali vizi sul solo piano della dialettica processuale e ne implicano invece il valore sintomatico
di comportamenti confliggenti con la deontologia professionale. Cass., sez. un., 16 gennaio 1998, n. 360, id., Mass., 37, che, nel
confermare che nessuna mancata applicazione di norma processuale, anche se riferibile ad una erronea interpretazione, esula dal sindacato
disciplinare, evidenzia che il rispetto e l'attuazione delle norme proces suali costituiscono non solo preciso dovere giuridico ma anche espressa norma deontologica come emerge dall'art. 124 del nuovo codice proces suale penale che, nel ribadire l'obbligatoria osservanza delle norme pro
cessuali, affida la vigilanza sul rispetto delle stesse ai capi degli uffici
«anche ai fini dell'esercizio dell'azione disciplinare». Nella fattispecie, le sezioni unite hanno confermato la pronuncia disciplinare che aveva
irrogato la sanzione della censura ad un magistrato che nell'esercizio
delle funzioni di g.i.p., dovendosi pronunciare sulla richiesta del p.m. di proroga del termine delle indagini, in ordine alla quale il difensore
dell'imputato aveva presentato delle deduzioni in senso contrario, ave
va invitato informalmente, nella piena consapevolezza dell'irritualità di
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1519 PARTE PRIMA 1520
— e precisamente: 1) per avere rilasciato una intervista ad un
periodico nella quale, difendendo la sua diversa «ipotesi di la
voro», espressa nell'esercizio delle funzioni di giudice dell'u
dienza preliminare, aveva commentato la sentenza di assoluzio
ne emanata dal Tribunale di Rimini nei confronti di Vincenzo
Muccioli (capo à)\ 2) per non essersi astenuto, quale giudice delle indagini e dell'udienza preliminari, nonostante la sua nota
posizione critica verso la comunità di S. Patrignano, nel proces so per omicidio volontario instaurato, nei confronti di vari com
ponenti della comunità, a seguito della morte di Roberto Ma
ranzano (capo b)\ 3) per avere manifestato il suo atteggiamento fortemente critico, nei confronti della comunità, nella condu
zione del processo da ultimo indicato, con l'assunzione di prov vedimenti inopportuni ed illegittimi, anche se motivati in fatto
e in diritto, e, in particolare, per avere ammesso il rito abbre
viato nei confronti di sette imputati per un reato in astratto
punibile con l'ergastolo, per avere autorizzato, nonostante il di
vieto posto dall'art. 127, 6° comma, c.p.p., lo svolgimento del
rito abbreviato alla presenza del pubblico e dei giornalisti e per avere letto davanti alle telecamere la sentenza resa nei confronti
di sette imputati e il provvedimento di rinvio a giudizio di Vin
cenzo Muccioli, esternando le sue convinzioni personali sui me
todi terapeutici impiegati nella suddetta comunità (capo c).
Espletata l'istruttoria sommaria e procedutosi al dibattimen
to, la sezione disciplinare del Consiglio superiore della magi
stratura, con sentenza dell'11 ottobre 1997, assolveva il dott.
Andreucci dalle incolpazioni ascritte ai capi a) e b) e dichiarava
il medesimo responsabile dell'incolpazione di cui al capo c), in
fliggendogli la sanzione disciplinare della censura.
tale iniziativa, lo stesso p.m. ad indicargli argomenti da opporre a tale
deduzione, sostanzialmente così abdicando al suo ruolo di imparzialità e terzietà.
III. - L'insindacabilità, a fini disciplinari, degli atti giudiziari ha subi to indiretta influenza dalla disciplina della responsabilità civile del ma
gistrato. L'art. 2 1. 13 aprile 1988 n. 117, nel prevedere la responsabilità civile del magistrato anche per provvedimenti giudiziari posti in essere con dolo e colpa grave, ha però precisato da un lato che «nell'esercizio delle funzioni giudiziarie non può dar luogo a responsabilità l'attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove» e dall'altro che costituiscono colpa grave: «a) la grave violazione di legge determinata da negligenza inescusàbile; b) l'afferma
zione, determinata da negligenza inescusàbile, di un fatto la cui esisten za è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento; c) la nega zione, determinata da negligenza inescusàbile, di un fatto la cui esisten za risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento; d) l'emissione di provvedimento concernente la libertà della persona fuori dei casi con sentiti dalla legge oppure senza motivazione».
L'art. 9 della stessa legge prescrive, altresì, che per i fatti che hanno dato causa all'azione di risarcimento, dopo la dichiarazione di ammissi bilità della domanda, il procuratore generale presso la Corte di cassa zione deve esercitare l'azione disciplinare nei confronti del magistrato, mentre rimane facoltativo l'esercizio dell'analogo potere da parte del ministro. La stessa norma al 3° comma prevede, inoltre, che la disposi zione che circoscrive la rilevanza della colpa ai soli casi di colpa grave ivi previsti, non si applica nel giudizio disciplinare avviato in relazione
agli stessi fatti del giudizio di responsabilità civile. IV. - Va segnalato che anche nel disegno di legge sulla responsabilità
disciplinare, in corso di esame in parlamento, l'illecito disciplinare, nel l'esercizio delle funzioni, è ricollegato alla violazione del dovere di dili
genza, prevedendosi che costituiscono illecito «la grave violazione di
legge determinata da negligenza inescusàbile; il travisamento dei fatti determinato da negligenza inescusàbile; il perseguimento di fini diversi da quelli di giustizia; l'emissione di provvedimenti privi di motivazione, ovvero la cui motivazione consiste nella sola affermazione della sussi stenza dei presupposti di legge senza indicazione degli elementi di fatto dai quali tale sussistenza risulti, quando la motivazione è richiesta dalla
legge; l'adozione di provvedimenti non consentiti dalla legge che abbia no leso diritti personali o, in modo rilevante, diritti patrimoniali; la reiterata o grave inosservanza delle norme regolamentari o delle dispo sizioni sul servizio giudiziario adottate dagli organi competenti; l'affi damento ad altri del proprio lavoro. . . ogni altra rilevante violazione del dovere di diligenza».
In tema di azione disciplinare per fatti commessi nell'esercizio delle funzioni giurisdizionali, v. la lettera del procuratore generale presso la Corte di cassazione ai sostituti della procura della repubblica presso il Tribunale di Roma che avevano espresso solidarietà ad un collega nei cui confronti era stata esercitata azione disciplinare in relazione a provvedimenti giudiziari da lui emessi, in Cass, pen., 1996, 423.
[R. Fuzio]
Il Foro Italiano — 1999.
Il giudice disciplinare, dopo avere dato atto che un procedi mento penale promosso a carico dell'incolpato si era concluso
con un provvedimento di archiviazione emesso dal giudice com
petente, osservava che i comportamenti contestati al magistrato erano risultati, sotto il profilo disciplinare, erronei ed ingiustifi cati nonché ispirati dall'intento di proporsi come gestore della
vicenda processuale, in modo tale da determinare «l'impressio ne di una impropria personalizzazione della funzione giurisdi zionale». Lo stesso giudice, poi, rilevava che adeguata era la
sanzione della censura tenendo conto dell'impegno culturale e
civile e delle particolari doti di capacità e di serietà che caratte
rizzavano il magistrato. Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione
il dott. Andreucci in base a tre distinti motivi.
Gli intimati non hanno svolto attività difensiva.
La difesa del ricorrente, ai sensi del 4° comma dell'art. 379
c.p.c., ha depositato brevi osservazioni scritte sulle conclusioni
del procuratore generale. Motivi della decisione. — Con i motivi primo e secondo del
l'impugnazione, che per ragioni di connessione appare opportu no congiuntamente esaminare, il ricorrente denuncia la viola
zione e la falsa applicazione dell'art. 18 r.d.leg. 31 maggio 1946
n. 511 e vizi di motivazione, in relazione all'art. 360, 1° com
ma, nn. 3 e 5, c.p.c. e sostiene: a) che da parte della sezione
disciplinare del Consiglio superiore della magistratura è stato
sindacato, in modo illegittimo avuto riguardo all'art. 101 Cost., un provvedimento giurisdizionale — la decisione di procedere a rito abbreviato, peraltro ampiamente motivata e, inoltre, adot
tata su richiesta degli imputati e su conforme parere del p.m. — senza che sussistessero le condizioni affinché tale provvedi mento potesse essere considerato abnorme; b) che tali conside
razioni valgono anche con riferimento al secondo profilo del
l'incolpazione, dal momento che la decisione di procedere alla
presenza del pubblico e dei giornalisti era stata ampiamente mo
tivata; c) che la sezione disciplinare non ha tenuto conto del
fatto che il commento davanti alle telecamere della pronuncia emessa era stato fatto per rendere conto delle ragioni che la
sorreggevano; d) che, potendo il comportamento del magistrato essere sindacato sotto il profilo disciplinare quando ricorrano,
quanto meno, gli estremi della colpa, la sentenza impugnata non si è fatta carico di fornire, in tal senso, una adeguata moti
vazione, anche perché le argomentazioni svolte nella medesima
sentenza, nella quale non è stato tenuto conto dei rilievi esposti
dall'incolpato, sono il frutto di una evidente alterazione dei da
ti oggettivi risultanti dagli atti; e) che la sezione disciplinare non ha considerato che tutti e tre i capi dell'incolpazione erano
stati articolati in modo unitario, con la conseguenza che l'asso
luzione per i capi a e b avrebbe dovuto determinare una analo
ga decisione anche in ordine al capo c, tenuto conto soprattutto del fatto che nella sentenza è stato inizialmente dato atto che
il magistrato era serio, impegnato, di grandi capacità e di note vole cultura.
Tutte queste censure sono prive di fondamento. Per costante giurisprudenza, se è vero che sotto il profilo di
sciplinare, per il principio dell'indipendenza della magistratura, non sono sindacabili gli atti posti in essere dal magistrato nel l'esercizio delle sue funzioni, non potendosi ravvisare alcun ille cito nella violazione di legge inerente alla inesattezza tecnico
giuridica dei provvedimenti emessi, è altrettanto vero che sussi
ste la responsabilità disciplinare del magistrato, in relazione al
provvedimento reso, quando la violazione di legge è idonea ad
evidenziare un comportamento connotato da scarso impegno e
insufficiente ponderazione o da approssimazione e limitata dili
genza, ovvero quando il suddetto provvedimento sia il risultato
di un comportamento del tutto arbitrario, in quanto determina
to da dolo o da colpa grave, giacché, in tali ipotesi, il compor tamento stesso è suscettibile di incidere negativamente sul pre stigio dell'ordine giudiziario (v., da ultimo, Cass., sez. un., 24
febbraio 1997, n. 1670, Foro it., Rep. 1997, voce Ordinamento
giudiziario, n. 171; 13 settembre 1997, n. 9092, ibid., n. 169; 13 settembre 1997, n. 9094, ibid., n. 177). Inoltre, come pure è stato testualmente affermato, sussistendo le condizioni di sin
dacabilità or ora indicate, ai fini della responsabilità disciplina re del magistrato è rilevante anche la violazione delle norme
processuali penali, che sono comunque obbligatorie anche quando la loro inosservanza non importa la nullità degli atti processuali (Cass., sez. un., 13 settembre 1997, n. 9094, cit.).
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
Avuto riguardo a questi principi di diritto, dei quali la sen
tenza impugnata ha in sostanza tenuto conto facendone corret
ta applicazione, non sussistono i vizi denunciati dal ricorrente.
I. - Come ha rilevato il giudice di merito previa valutazione
degli elementi di prova acquisiti al giudizio, l'adozione del rito
abbreviato in una materia non consentita dalla legge processua le — per essere stato contestato agli imputati un reato in astrat
to punibile con l'ergastolo — è stata attuata dal dott. Andreuc
ci non già in base ad una legittima scelta (sotto il profilo della
insindacabilità), in quanto meditata e motivata in consapevole contrasto con principi in precedenza enunciati dalla giurispru
denza, ma in aperta (e cosciente) violazione di una pronuncia di illegittimità costituzionale emanata dal giudice delle leggi.
Con la sentenza n. 176 del 23 aprile 1991 (id., 1991, I, 2318) la Corte costituzionale non aveva emesso una pronuncia inter
pretativa di rigetto — che, in quanto tale, avrebbe consentito
al giudice ordinario una diversa interpretazione della disposizio ne di legge presa in considerazione dalla corte — ma aveva di
chiarato l'illegittimità, per eccesso di delega, dell'art. 442, 2°
comma, ultimo periodo, c.p.p., chiarendo nel contesto della mo
tivazione che, «una volta riconosciuta ... la connessione tra
giudizio abbreviato e diminuzione della pena e, quindi, l'impra
ticabilità del primo in mancanza della possibilità di operare la
seconda, il venir meno di quest'ultima, per effetto della dichia
razione di illegittimità costituzionale, rende di per sé inapplica bile il giudizio abbreviato, quale disciplinato dagli art. da 438
a 443 c.p.p., ai processi concernenti delitti punibili con l'er
gastolo». Bastano questi rilievi per escludere la sussistenza sia di errori
di diritto, sia di vizi logici, nella motivazione posta a base della
sentenza impugnata riguardo al primo dei tre fatti contestati
al dott. Andreucci con l'incolpazione sub c). Pacifico essendo che la portata normativa delle sentenze di
chiarative di illegittimità costituzionale non è circoscritta al solo
dispositivo, giacché, in applicazione di un principio generale ap
plicabile alle sentenze di qualsiasi tipo, il dispositivo deve essere
letto in stretta relazione con la corrispondente motivazione (cfr.,
fra le tante sentenze, Cass., sez. un., 16 gennaio 1985, n. 94,
id., Rep. 1985, voce Corte costituzionale, n. 51, e 6 marzo 1992,
Merletti, id., 1992, II, 485, richiamata nella sentenza impugna
ta), da parte della sezione disciplinare è stato correttamente af
fermato che nel caso in esame si verteva non già, come afferma
il ricorrente, in tema di interpretazione di una norma giuridica,
in cui trova esplicazione il potere pieno, insindacabile sotto il
profilo disciplinare, del magistrato (se sorretto da una sia pur
minima motivazione) ma nella diversa ipotesi di vincolante ap
plicazione del dettato della legge risultante dall'intervento della
Corte costituzionale; sicché, come bene è stato scritto nella sen
tenza impugnata, il comportamento del magistrato, che aveva
volontariamente disapplicato quella determinata norma di leg
ge, aveva integrato, in concreto, «una contrapposizione critica
ad un dato che aveva ormai acquisito rilievo a livello normativo».
Da questi rilievi deriva che, stante l'esistenza dell'elemento
psicologico, di cui si tratterà fra breve, il provvedimento relati
vo al rito abbreviato era perfettamente sindacabile in sede disci
plinare. II. - Del tutto inconferenti sono, inoltre, le censure rivolte
nel ricorso per cassazione alla motivazione relativa al secondo
e al terzo dei fatti contestati nel capo di incolpazione. Anche
su questi punti, infatti, ineccepibile è, sia sotto il profilo giuri
dico, sia sotto l'aspetto preso in considerazione dal n. 5 del
l'art. 360 c.p.c., la motivazione che sorregge la sentenza impu
gnata, nella quale è stato precisato che palese era risultata la
violazione del divieto posto dall'art. 127, 6° comma, c.p.p.,
con riferimento alla pubblicità dell'udienza, e che altrettanto
palese era il giudizio di riprovevolezza che doveva trarsi dal
successivo comportamento del magistrato, il quale, non solo ave
va letto sotto la luce e la ripresa delle telecamere la decisione
che andava ad emanare, ma aveva pure espresso, «sempre ri
preso dalle telecamere», le proprie opinioni sulle pratiche poste
in essere nella comunità di S. Patrignano. E poiché su quest'ul
timo punto, attesa l'evidenza dei fatti, sarebbero superflui ulte
riori commenti, è vano ora sostenere, come fa il ricorrente, che
la suddetta esternazione era stata attuata per illustrare ai pre
senti il contenuto della decisione, a un siffatto assunto essendo
agevole replicare: 1) che la sede, in cui il magistrato deve rende
re conto delle ragioni poste a fondamento dei provvedimenti
Il Foro Italiano — 1999.
emessi, è la motivazione scritta, che deve far corpo con il dispo
sitivo; 2) che in base all'accertamento dei fatti contenuto nella
decisione impugnata e corrispondente al capo di incolpazione, il magistrato, come è stato sopra esposto, aveva non tanto illu
strato le suddette ragioni della pronuncia quanto «esternato le
proprie convinzioni personali sui metodi terapeutici impiegati nell'ambito della comunità di S. Patrignano».
III. - Al contrario di quanto deduce il ricorrente, non rispon de al vero che nella sentenza impugnata non sia stato effettuato
l'accertamento relativo all'elemento psicologico, giacché la se
zione disciplinare, proprio per aver dato atto che il dott. An
dreucci, in base a una informativa proveniente dal ministero
di grazia e giustizia, risultava essere un magistrato «serio, impe
gnato, di grandi capacità e di notevole cultura», ha sottolineato
che il comportamento del medesimo denotava una «consapevo le forzatura del dato normativo», tale da indurre a ritenere che
l'incolpato, in considerazione delle pregresse vicende che aveva
no fatto da cornice al processo (circostanza pacifica essendo
che il dott. Andreucci aveva manifestato in più occasioni, an
che al di fuori dei provvedimenti giurisdizionali emessi, il suo
atteggiamento critico nei confronti della comunità di S. Patri
gnano), avesse voluto personalizzare la funzione giurisdiziona
le, venendo meno al dovere di terzietà e di imparzialità, tanto
da esporsi all'accusa di «persecuzione» nei confronti della co
munità. Argomentazioni, codeste, che dimostrano come il giu dice disciplinare abbia considerato il comportamento tenuto dal
magistrato, sia in relazione al concreto suo atteggiarsi in mani
festazioni inopportune e disdicevoli, sia con riferimento ai prov vedimenti emessi, come improntato a criteri di arbitrarietà e
quindi ascrivibili, se non a dolo, quanto meno a colpa grave.
(Omissis)
CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite civili; sentenza 6 no
vembre 1998, n. 11211; Pres. La Torre, Est. Sabatini, P.M.
Lo Cascio (conci, conf.); Min. finanze e Min. lavori pubblici
(Avv. dello Stato Rago) c. Pasta (Aw. Guarino, Romano).
Cassa Trib. sup. acque 8 giugno 1995, n. 45.
Acque pubbliche e private — Demanio — Terreni contigui a
luoghi pubblici — Individuazione — Fattispecie (Cod. civ.,
art. 822, 823, 943).
La demanialità del lago comporta che siano assoggettate al re
gime giuridico dei beni demaniali oltre alle acque anche l'al
veo e le rive che lo delimitano (nella specie, sono state ritenu
te demaniali le darsene realizzate dal privato sul proprio ter
reno ed invase dalle acque del lago di Como). (1)
(1) La decisione in epigrafe (che si uniforma al mutato indirizzo inau
gurato da Cass., sez. un., 16 maggio 1992, n. 5888, Foro it., 1992,
I, 1737, con nota di C.M. Barone, secondo cui nel sindacato di legitti mità della Cassazione, investita del ricorso per violazione di legge ai
sensi dell'art. Ili, 2° comma, Cost., può ricomprendersi il solo vizio
di motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato; cfr.,
oltre alla sentenza, citata in motivazione, anche Cass. 3 settembre 1998,
n. 8752, id., Mass., 943; 19 gennaio 1996, n. 432, id., Rep. 1996, voce
Cassazione civile, n. 40; 6 giugno 1994, n. 5495, id., 1995, I, 1264,
con nota di richiami), censura la separazione, affermata dalla sentenza
cassata, tra la demanialità delle acque del lago e la proprietà del suolo
sottostante (su cui sono state realizzate dal proprietario del terreno due
darsene adiacenti al lago pubblico) perché, ritiene la corte, «... è non
solo priva di ogni supporto normativo, ma è, al contrario, contrastata
dalle norme che regolano la materia . . .». Rilevando, in particolare, che l'art. 943, 1° comma, c.c., il quale, disponendo che il terreno che
l'acqua copre quando essa è all'altezza dello sbocco del lago (o dello
stagno) appartiene al proprietario del lago (o dello stagno), ancorché
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