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Sezioni unite civili; sentenza 22 aprile 1960, n. 907; Pres. Cataldi P., Est. Di Majo, P. M. Colli(concl. conf.); Comune di Roma (Avv. Nicolò) c. Impresa Mercuri (Avv. Messina)Source: Il Foro Italiano, Vol. 83, No. 7 (1960), pp. 1129/1130-1131/1132Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23151832 .
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GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E CIVILE
quelli cioè di carattere tecnico, (come la determinazione delle opere eseguite e di quelle non eseguite ; l'accertamento
di eventuali deficienze costruttive ; dei materiali a piè
d'opera), con scrittura del 21 marzo 1955 affidarono tale
compito all'ing. Zancutti, impegnandosi ad accettarne la
relazione, senza impugnazione. Secondo la Corte medesima, le parti conferirono al
menzionato ingegnere l'incarico non già di decidere, sosti
tuendosi al giudice nell'esercizio di un potere giurisdizio nale, ma di « perfezionare il negozio giuridico da esse posto in essere col negozio transattivo, mediante la determina
zione degli elementi tecnici, che le parti non avevano po tuto determinare, atteso tale loro carattere ».
Detto ragionamento, attraverso il quale la Corte d'ap
pallo è pervenuta al rigetto della tesi degli attuali ricorrenti
che l'arbitrato in discorso fosse un arbitrato rituale, riposa sui principi avanti enunciati, dai quali non vi è ragione di
discostarsi. Omettendo l'esame del punto se, in base ai
compiuti accertamenti, sarebbe più corretto parlare di
perizia contrattuale affidata all'ing. Zancutti, anziché di ar
bitrato irrituale, come ha opinato la Corte d'appello, e
limitando l'esame alla tesi dei ricorrenti, secondo la quale non di arbitrato irrituale, come ritenuto dalla Corte di
merito, sarebbesi dovuto parlare, ma di arbitrato rituale, si osserva che tale tesi non ha fondamento.
La circostanza dedotta in appoggio alla medesima, che le
parti cioè fissarono al menzionato ingegnere un termine per l'esecuzione del mandato affidatogli e lo prorogarono, non
costituisce, come i ricorrenti mostrano di credere, elemento
idoneo a far ritenere sussistente un arbitrato rituale, perchè la prefissione e l'eventuale proroga del termine per l'ese
cuzione di detto mandato non, costituisce una caratteristica
dell'arbitrato rituale che valga, con la sua presenza, a
denunciarne l'esistenza.
Del pari sono inidonei a tale scopo la rilevata circostanza
che lo Zancutti definì la propria relazione come lodo e il
fatto di essere stato l'arbitro esonerato dalla osservanza delle
regole di diritto, trattandosi di dati manifestamente equi
voci, specie di fronte alla indubbia rilevanza dell'interve
nuto accertamento della volontà dei compromittenti di
incaricare l'arbitro di perfezionare l'accordo transattivo
da essi posto in essere, mediante la determinazione dei dati
tecnici, da essi stessi non potuti determinare, appunto per il loro carattere tecnico. (Omissis)
Per questi motivi, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezioni unite civili ; sentenza 22 aprile 1960, n. 907 ; Pres.
Cataldi P., Est. Di Majo, P. M. Colli (conci, conf.) ; Comune di Koma (Avv. Nicolò) c. Impresa Mercuri
(Avv. Messina)!
(Conferma App. Soma 21 ottobre 1957)
Opere pubbliche — Capitolato generale d'appalto —
Sentenze arbitrali — Impujjnabilità per soli « er
rore» in procedendo » — Questione d'incostituzio
nalità — Manifesta infondatezza (Costituzione della
Repubblica, art. 24, 113 ; cod. proc. civ., art. 829, ult.
comma ; d. m. 28 maggio 1895, capitolato generale delle opere pubbliche, art. 49).
Opere pubbliche — Equo compenso per la maggiore onerosità della prestazione dell'appaltatore — Revi
sione amministrativa dei prezzi — Inapplicabilità
(Cod. civ., art. 1664, 2° comma ; d. legisl. 6 dicembre
1947 n. 1501, revisione amministrativa dei prezzi con
trattuali degli appalti di opere pubbliche, art. 4).
La questione d'incostituzionalità dell'art. 49 decreto min.
28 maggio 1895, che, coordinato con l'art. 829 cod. proc. civ., ult. comma, limita l'impugnazione del lodo arbitrale
ai soli errores in procedendo, in asserito contrasto con
gli art. 24 e 113 della Costituzione, è manifestamente
infondata. (1) ! siila dalla procedura amministrativa di revisione dei prezzi
contrattuali d'appalto delle opere pubbliche, disciplinata nel decreto legisl. 6 dicembre 1947 n. 1501, la richiesta
di equo compenso, avanzata, ai sensi dell'art. ' 1664,
2° comma, cod. civ., dalVappaltatore per la maggiore one
rosità della sua prestazione. (2)
La Corte, ecc. — Deve anzitutto darsi atto che nella discussione orale la difesa del ricorrente Comune non La
insistito nella eccezione di illegittimità costituzionale, sollevata nel ricorso con riferimento all'art. 49 del capito lato generale per gli appalti delle opere dipendenti dal Ministero dei lavori pubblici (approvato con decreto mini
steriale 28 maggio 1895) e all'art. 829, ult. comma, cod.
proc. civ., che prevedono la rinuncia preventiva delle
parti all'impugnativa del lodo arbitrale.
La denunciata incostituzionalità sarebbe determinata, ad avviso del ricorrente, dal contrasto con i seguenti arti
coli della Costituzione :
a) art. 24, che dichiara la difesa diritto inviolabile in
ogni stato e grado del giudizio, diritto che verrebbe vio
lato se si ritenesse efficace la limitazione posta dalla norma
inclusa nel capitolato generale per le opere dipendenti dal Ministero dei lavori pubblici ;
b) art. 113, che consacra il principio secondo il quale la
tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a
particolari mezzi di impugnazione o per determinate cate
gorie di atti, per cui l'impugnazione per nullità del lodo
dovrebbe essere sempre consentita senza distinzione fra
errori in procedendo ed errori in iure.
Ma, in realtà, l'eccezione è manifestamente infondata, essendo chiaro che il diritto oggettivo in soggetta materia
non esclude o limita la tutela giurisdizionale, ma solo con
sente all'autonomia privata (come nella somigliante ipo tesi dell'art. 360 cod. proc. civ., in cui è permesso alle parti di omettere l'appello) di rinunciare preventivamente alla
impugnazione della sentenza arbitrale (evidentemente al
fine di eliminare la possibilità del sorgere di nuove contro
versie), quando si tratti del rimedio con il quale si contesta
unicamente il merito della pronuncia arbitrale.
Al riguardo è ben noto il consolidato indirizzo di questo
Supremo collegio, secondo cui l'impugnazione per nullità
della sentenza arbitrale, prevista dall'art. 828 cod. proc.
civ., comprende ed unifica le impugnazioni ammesse dal
codice abrogato, concedendo un rimedio, irrinunziabile,
per gli errores in procedendo (prima parte dell'art. 829) e prevedendo nel capoverso dello stesso articolo la possi bilità di un riesame anche di merito, in tutto assimilabile
all'appello (sebbene limitato agli errores in indicando), come
tale improponibile quando siavi stata espressa rinunzia al
mezzo di gravame, (sent. n. 3144 del 1954,-Foro it., 1955, I,
334) ; ed anche di recente, per quanto più particolarmente attiene alla questione che interessa, è stato riaffermato che
l'art. 49 del capitolato generale per le opere pubbliche 28
maggio 1895, razionalmente coordinato con gli art. 829 e 830,
importa che, nella particolare materia, il lodo può essere im
pugnato soltanto per vizi di forma o per errori in procedendo, in relazione ai casi tassativamente contemplati nella prima
parte dell'art. 829 (rispetto ai quali, per espresso disposto di legge, il diritto all'impugnativa sussiste nonostante
qualunque rinuncia), mentre non è consentita l'impugna zione per violazione di norme di diritto sostantivo od
errores in iudicando, di cui alla seconda parte dello stesso
(1) Per la limitata impugnabilità ai soli errores in proce dendo dei lodi arbitrali, emanati secondo la previsione del capi tolato generale delle opere pubbliche, cfr., da ultimo, Oass. 12
gennaio 1959, n. 57, Foro it., Rep. 1959, voce Opere pubbliche, n. 77 ; 22 febbraio 1958, n. 599, id., Rep. 1958, voce cit., n. 46, entrambe richiamate nel testo della decisione che si annota.
La sentenza della Cass. 28 settembre 1954, n. 3144, richia mata pure in motivazione, leggesi in questa rivista, 1955, I,
334, con nota di richiami. W
(2) Non risultano precedenti giurisprudenziali editi.
Il Fobo Italiano — Volume LXXXIII — Parte I-73,
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1131 PARTE PRIMA 1132
articolo (rispetto alla quale la rinuncia preventiva delle
parti è valida e quindi preclusiva del gravame) (cfr. sent,
n. 599 del 1958, id., Rep. 1958, voce Opere pubbliche, n. 46; n. 57 del 1959, id., Kep. 1959, voce cit., n. 77). (Omissis)
Con il secondo mezzo il Comune denuncia la violazione
e falsa applicazione degli art. 1226, 1664 cod. civ., 822, 829 cod. proc. civ., nonché violazione del decreto pres. 6 dicembre 1947 n. 1501, in relazione agli art. 360, nn. 2,
3, 5, cod. proc. civile.
A parere del ricorrente, avendo l'Impresa Mercuri
chiesto un maggior prezzo per l'aumento del costo della
mano d'opera, si trattava non già, come ritenuto dalla
Corte di merito, di una maggiore onerosità della prestazione derivante da ipotesi di forza maggiore di cui al 2° comma
dell'art. 1664 cod. civ., bensì di materia attinente alla
revisione dei prezzi, devoluta dal cennato decreto n. 1501
del 1947 alla competenza dell'autorità amministrativa, e
quindi come tale sottratta a quella degli arbitri.
Anche tale censura non è fondata. La Corte del merito
ha interpretato il contenuto del quesito formulato dall'Im
presa agli arbitri, ed attraverso accurata disamina della
domanda e dell'attività processuale delle parti ha espresso il suo motivato convincimento nel senso che la fattispecie realizzava la previsione di cui al 2° comma dell'art. 1664
cod. civ., trattandosi di una maggiore onerosità della pre stazione a causa di eccezionali condizioni atmosferiche,
per cui nessun sconfinamento dai limiti del compromesso si poteva rimproverare agli arbitri.
Tale interpretazione, da parte del Giudice di merito, relativa al contenuto della domanda e alla attività proces suale delle parti, al fine di determinare l'ambito della con
troversia, è sicuramente esatta, in quanto la competenza dell'autorità amministrativa in soggetta materia, ai sensi del
decreto pres. n. 1501 del 1947, è limitata alla revisione dei
prezzi pattuiti con le pubbliche Amministrazioni in dipen denza di aumenti o diminuzioni del costo dei materiali o
della mano d'opera verificatisi durante la esecuzione dei
lavori, anche per effetto di circostanze non prevedibili e
tali da determinare un aumento o una diminuzione supe riore al decimo del prezzo complessivo convenuto, ma non
si estende all'altra ipotesi prevista nel 2° comma dell'art.
1664, quando cioè trattasi (come nel caso) dell'equo com
penso richiesto dall'appaltatore per difficoltà di esecuzione
dell'opera derivanti da cause geologiche, idriche e simili, non previste dalle parti e che rendono notevolmente più onerosa la prestazione dell'appaltatore medesimo.
Con il terzo mezzo si assume che la Corte di appello avrebbe dovuto riconoscere l'illegittimità del procedimento
seguito dagli arbitri nel valutare con meno criterio equi tativo il danno, quando il danno stesso avrebbe potuto essere controllato a mezzo di un consulente tecnico.
Quest'ultima doglianza è del pari infondata, giacché
l'equo compenso, di cui alla cennata previsione dell'art. 1664, 2° comma, implica necessariamente la facoltà del giudice di accordare il compenso stesso con una valutazione equi tativa.
Per questi motivi, rigetta, ecc.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE.
Sezioni unite civili ; sentenza 13 aprile 1960, n. 879 ; Pres.
Cataldi P., Est. Danzi, P. M. Tavolaro (conci,
diff.) ; Azzolina (Avv. Comandini, De Luca, Rotondi) c. Cominelli e Proc. gen. presso la Corte di cassazione.
(Conferma Cons. naz. forense 11 ottobre 1958)
Avvocato e procuratore — Abuso nell'esercizio della
professione -— Eccesso di difesa — Esibizione
di documento — Fattispecie.
Costituisce eccesso di difesa, punibile disciplina/mente quale abuso nell'esercizio professionale, la esibizione in giu dizio di un documento legittimamente ottenuto {nella
specie, certificato di pendenza d'un processo penale), fatta al fine di dare sfogo a personali risentimenti, ma inutile
per la lite in corso. (1)
(1) 1. — La sentenza del Consiglio nazionale forense, denun ziata alle Sezioni unite, è dell'I 1 ottobre 1958. Fu pronunziata su
requisitoria difforme del Procurator generale, ed è riassunta nel nostro Rep. 1959, voce Avvocato, n. 109. Le circostanze di fatto da cui ha preso origine il giudizio disciplinare si ricavano dalla sentenza impugnata, di cui si riporta la massima : « commette infrazione disciplinare l'iscritto che in una causa civile, pendente tra un proprio cliente e un avvocato, che agiva nella qualità di curatore di un fallimento, abbia prodotto un certificato da cui risultava la pendenza di un procedimento penale contro il cura tore, allo scopo di menomarne la personalità, senza che la pro duzione potesse avere alcuna influenza nel processo in corso, e nonostante che il processo stesso fosse stato continuato dal nuovo curatore del fallimento ».
Il Consiglio nazionale aveva ritenuto che la gratuità della
produzione documentale, lamentata dal cessato curatore del fallimento, prendeva evidenza non solo dai cattivi rapporti per sonali correnti fra esso curatore e il patrocinatore avversario, ma dalla inutilità della produzione stessa, riferita ai termini della contestazione in atto, nei confronti del nuovo curatore. La Cas sazione non ha trovato questa motivazione viziata comunque da illogicità o altrimenti, e ha, ovviamente, respinto il ricorso.
2. — A parte questi rapidi richiami, il caso di cui la deci sione in parola offre occasione a qualche riflessione, su un punto di notevole interesse, che riguarda la legittimità e i limiti del sindacato disciplinare, su quella fondamentale esplicazione del
patrocinio che prende luogo nelle assunzioni e argomentazioni del difensore. Astrazion fatta dalla immunità penale degli « scritti e discorsi pronunziati davanti alle autorità giudiziarie », proprio dallo stesso articolo che la garantisce (art. 598 cod. pen., cfr. art. 89 cod. proc. civ., ultima parte), si ricava un orientamento fondamentale della materia. Esso fa perno su la incidenza degli scritti e detti delle parti e dei difensori nell'« oggetto della causa », secondo la dizione comune ai due testi : quando questa incidenza, la quale funziona come, ed è la « causa » dell'attività processuale, quando tale incidenza difetta, è l'attività stessa che sconfina dalla
propria funzione e legittimazione e ne rimane come scoperta. In tale ipotesi, e se si tratti di espressioni ingiuriose, non par dubbio che sia giustificato l'intervento — a parte l'iniziativa del
giudice, ex art. 89 cod. proc. civ. — del magistrato professionale. Del resto, l'opinione contraria non si sostiene, anche perchè vuoterebbe il potere disciplinare proprio del suo oggetto numero uno, cioè di ciò che attiene alle forme e modi essenziali dell'eser cizio professionale. Fra parenteii, mette conto di osservare che
questo, dei motivi privati, che si infilano nelle fodere della pub blica funzione, è pur troppo una peste molto diffusa dappertutto, nei rami maestri e negli ultimi ramoscelli della vita italiana : la « impertinenza » delle allegazioni ne fa talora la denunzia, e ne attenua il pericolo.
3. — Gli articoli citati sopra, del codice di rito, 88 e 89 mettono un pò insieme le parti e i loro difensori, mentre non oc corre segnalare la posizione affatto peculiare dei difensori, nei confronti soltanto dei quali, ben inteso, si prevede, dal capoverso dell'art. 88, il precetto al giudice, di denunziare alla magistra tura professionale le infrazioni del professionista, al dovere di lealtà e probità, di cui al 1° comma. L'articolo seguente, nel caso previsto al suo capoverso, di espressioni sconvenienti o offensive (le prime chiameremo intransitive, cioè sconvenienti da se stesse, e senza un bersaglio, a differenza delle offensive) dà luogo a un potere disciplinare autonomo del giudice istruttore, per la cancellazione di tali espressioni ; ed è interessante che il
potere del collegio, per la pronunzia in sentenza, di una con danna a risarcimento (subordinato, mi par certo, a domanda della parte) è appunto legato alla condizione che le espressioni censurate e sanzionate « non riguardino l'oggetto della causa » : ciò che deve dirsi non una circostanza, ma un elemento dell'il lecito di cui si tratta.
4. — La specie della decisione, e il collaudo del giudizio del Consiglio nazionale, non dan luogo a incertezze. Il processo è fatto ne cives ad arma veniant ; i legali sono, di loro istituto, i mediatori di questa riduzione dei conflitti privati, dallo scontro diretto, al trattamento che si svolge, sul terreno neutro del tri
bunale, col codice alla mano. È chiaro che sta tutto fuori della
toga che indossa il legale che versa nel suo patrocinio, insieme alle ragioni del cliente, l'aceto dei suoi rancori contro il collega ; il quale condimento non ha da fare con l'oggetto della causa.
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