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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PERUGIAPolo Didattico di TERNI
Facoltà di Scienze Politiche Corso di laurea in COOPERAZIONE
INTERNAZIONALE PER LO SVILUPPO E LA PACE
Tesi di laurea:
“PROGETTO DIOCESI DI ARUA”:UN CASO DI PARTECIPAZIONE
COOPERATIVA
Laureanda: Relatore:
Ad e l e Tadini Pro f.Ric ca rdo C r u z z o l i n
Anno Accademico 2008-2009
1
IndiceIntroduzione………………………………………………………. …….. pag.3
I CAPITOLO: Uganda
1.1 Cenni storici……………………………………………………………… pag.51.2 Aspetti morfologici……….……………………………………………… pag.81.3 Istruzione……………………..………………………………………….. pag.81.4Sanità……………………………………………...……………………... pag.91.5Probabilità di decesso 0-5 anni…………………………………………... pag.101.6Agricoltura……………………………………………………………….. pag.10
1.7 La città di Arua….………………………………………………………..pag.11
II CAPITOLO:
2 Il villaggio di Oluko ed il popolo Lugbara………………………………. pag.13
III CAPITOLO:
3 Cos’è l’As.So.S.?....................................................................................... pag.223.1 Operato in Africa da parte dell’As.So.S.………………………………... pag.243.2 Metodologia adottata dall’As.So.S……………………………………... pag.253.3 Iter procedurale di un progetto di cooperazione per l’Africa
proposto dall’As.So.S……......................................................................... pag.283.4 L’arrivo dei volontari dell’As.So.S. ad Oluko………………………….. pag.31 3.5 Prime proposte avanzate dal popolo Lugbara………………………….... pag.32
IV CAPITOLO:
4 La nursery school………………………………………………………... Pag.344.1 Lavori progettuali della nursery………………………………………..... pag.354.2 Incomprensioni con i nativi durante l’edificazione della nursery……...... pag.374.3 Dalla progettazione alla realizzazione…………………………………... pag.404.4 I materiali utilizzati nella realizzazione della nursery……………........... pag.424.5 La reazione dei Lugbara dinanzi alla realizzazione della nursery………. pag.434.6 A chi è rivolta la nursery school……………………………………….... pag.434.7 La disciplina richiesta nella nursery school……………………………... pag.444.8 Obiettivi della nursery dal punto di vista degli autoctoni………………. pag.454.9 Cosa accadeva prima dell’edificazione della nursery…………………… pag.464.10 Gli slogan alle pareti della nursery e non solo…………………………. pag.47
2
V CAPITOLO:
5 Altri progetti realizzati dall’As.So.S……….…………………………… pag.495.1 Distribuzione di acqua potabile…………………………………………. pag.495.2 Rendere operativo il dispensario medico……………………………….. pag.505.3 Dotare il villaggio di Oluko di un reparto di maternità…………………. pag.525.4 Il progetto delle adozioni a distanza…………………………………….. pag.52
CONCLUSIONI………………………………………………………………... pag.54
APPENDICE........................................................................................................ pag.58
BIBLIOGRAFIA E DOCUMENTI…………………………………………… pag.64
SITOGRAFIA…………………………………………………………………... pag.65
RINGRAZIAMENTI…………………………………………………………... pag.66
3
INTRODUZIONE
Il presente lavoro propone lo studio di un caso di cooperazione partecipativa presso il piccolo
villaggio di Oluko, sito nel Nord-Ovest dell’Uganda, ad opera dell’As.So.S. (Associazione
Solidarietà e Sviluppo), Onlus “ternana”.
Con il termine “cooperazione partecipativa”, si intende l’apporto di aiuti da parte dei paesi
avanzati nei riguardi dei cosiddetti PVS, mediante la diretta collaborazione degli autoctoni
nella persecuzione degli obiettivi sanciti per il miglioramento delle loro condizioni di vita.
Alla base del principio dello sviluppo partecipativo, si pone il rispetto della cultura, dello stile
di vita dei soggetti coinvolti a vario titolo in un progetto di cooperazione internazionale.
Infatti, il principio dello sviluppo partecipativo verte sulla partecipazione attiva della
popolazione.
In virtù di questa moderna metodologia dello sviluppo partecipativo, i beneficiari dei progetti
assumono un ruolo peculiare sia nella fase della pianificazione, sia in quella di realizzazione
dei progetti, divenendo d’obbligo menzionare la loro opinione per quanto riguarda la
decisione da prendere per il loro sviluppo.
Questo lavoro si compone di cinque capitoli, il primo si apre con un cenno alla storia
dell’Uganda, analizzando anche la morfologia del territorio, al fine di delineare il contesto
storico-politico nel quale si è inserito il caso in esame; segue, poi, la descrizione della città di
Arua, alla quale il villaggio di Oluko fa capo.
Nel secondo capitolo si trova la struttura della popolazione coinvolta nel progetto di
cooperazione partecipativa, la tribù Lugbara. Vengono menzionati tratti della loro vita
quotidiana, per comprendere il contesto nel quale i cooperanti hanno operato, nel pieno
rispetto dei loro valori e della loro tradizione.
Il terzo capitolo, è dedicato alla presentazione dell’Associazione Solidarietà e Sviluppo
(As.So.S.), onlus, promotrice di questo innovativo metodo incentrato sulla cooperazione
partecipativa; segue, la descrizione del metodo da loro adottato e le prime proposte avanzate
della popolazione Lugbara.
Il quarto capitolo analizza una delle strutture maggiormente desiderata dalla popolazione
Lugbara: la nurcery school, descrivendo il forte desiderio degli autoctoni di poter contare su
un luogo ove i loro bambini potessero essere salvaguardati dai pericoli della strada, ma
soprattutto, un luogo ove già in tenera età avrebbero potuto dedicarsi all’apprendimento della
lingua inglese. Inoltre vengono menzionati i disagi che si incontrano nel momento in cui 4
membri di due culture nettamente distinte si trovano a dover cooperare per il perseguimento
di scopi comuni.
Nel quinto capitolo sono delineati altri progetti perseguiti dall’As.So.S. mediante l’apporto
dello sviluppo partecipativo.
L’appendice, infine, raccoglie un paio di interviste rilasciate da due volontari
dell’associazione in merito alla popolazione Lugbara, per meglio comprendere la loro realtà,
in virtù di una cooperazione partecipativa.
5
I CAPITOLO
UGANDA
1.1 Cenni storiciL’Uganda è uno stato dell’Africa Orientale che si estende su 241.038 Km2 confina a nord con
il Sudan, e ad est con il Kenya, a sud con la Tanzania e il Ruanda e ad ovest con la
Repubblica Democratica del Congo. L’Uganda non ha sbocchi sul mare. La parte meridionale
del territorio comprende una parte sostanziosa del lago Vittoria, che per il resto appartiene al
Kenya e alla Tanzania.
Il nome “Uganda” deriva dall’antico
regno Buganda, che comprendeva la
sezione meridionale del paese, inclusa
la capitale Kampala. Già protettorato
britannico questo paese acquisì la
piena indipendenza, nell’ambito del
common wealth1, il 19 ottobre 1962.
L’Uganda è una repubblica
democratica unicamerale. Attualmente
il capo di Stato è Yoweri Museveni.
La più antica etnia insediata sul territorio dell’attuale Uganda è quella TWA (un popolo di
pigmei). Nel XIX secolo, gli Arabi furono attratti dal commercio di avorio e di schiavi, così
formarono una fitta rete commerciale, di conseguenza in alcune regioni prese piede la
religione Islamica. Nella seconda metà dell'Ottocento gli esportatori britannici scoprirono le
sorgenti del Nilo e, nello stesso periodo, iniziò la colonizzazione europea dell’Africa
Orientale. I primi ad insediarsi nella regione furono i missionari protestanti, seguiti dai
cattolici, che in tempi brevi riuscirono a convertire diverse popolazioni locali. In epoca
1Commonwealth britannico (1649-1660) Definizione dello stato inglese, dalla caduta della monarchia di Carlo I alla restaurazione giacobita. Più comunemente il termine Commonwealth si riferisce alla comunità di stati, già colonie della Gran Bretagna, che si costituì con il declino dell'impero britannico L'indipendenza, hanno conservato un reciproco rapporto economico e culturale; essa comprende oggi 53 nazioni: Gran Bretagna, Antigua e Barbuda, Australia, Bahama, Bangladesh, Barbados, Belize, Botswana, Brunei, Camerun, Canada, Cipro, Dominica, Gambia, Ghana, Giamaica, Grenada, Guyana, India, Kenya, Kiribati, Lesotho, Malawi, Malaysia, Maldive, Malta, Maurizio, Namibia, Nauru, Nigeria, Nuova Zelanda, Pakistan, Papua Nuova Guinea, St. Kitts e Nevis, St. Lucia, St. Vincent e Grenadines, isole Salomone, Samoa Occidentali, Seychelles, Sierra Leone, Singapore, Sri Lanka, Sudafrica, Swaziland, Tanzania, Tonga, Trinidad e Tobago, Tuvalu, Uganda, Vanuatu, Zambia e Zimbabwe.
6
coloniale, nella parte meridionale del paese, furono favorite le coltivazioni di cotone e caffè, e
per trasportare le merci, venne costruita la ferrovia dell’Uganda che collega Mombasa a
Kampala transitando per Nairobi.
Durante questo periodo di colonizzazione furono poste le basi per la grande divisione del
paese, tra le zone a nord ed a sud del fiume Nilo. Nel meridione, furono favorite le
coltivazioni di cacao, cotone, gomma e caffè, mentre la popolazione settentrionale trovò
impiego soprattutto nell’ esercito. In seguito ad un accordo stipulato con la Germania, gli
inglesi assunsero il controllo dell’area, che proclamarono protettorato britannico con il nome
di Uganda. Sugli altri regni la colonizzazione britannica agì in modo diretto, portando avanti
una burocrazia centralizzata europea. Questo sistema funzionò fino alla seconda guerra
mondiale, quando iniziò ad affermarsi nel paese un primo movimento per l’indipendenza
dell’Uganda. Negli anni 50 iniziò un processo di democratizzazione del paese; nacquero
infatti i partiti politici ed il congresso. Infine, nell’aprile del 1962, malgrado l’opposizione di
diverse fazioni, fu adottata una struttura statale di tipo federale. Le prime elezioni, tenutesi
nell’aprile del 1962, furono vinte dal congresso del popolo ugandese (CPU) e Milton Obote
divenne primo ministro. Il 9 ottobre dello stesso anno venne proclamata l’indipendenza. Nel
1971, dopo un periodo di continua tensione e a seguito di una grande crisi economica, un
colpo di stato rovesciò Obote e portò al potere Idi Amin, che stabilì una feroce dittatura sul
paese. Idi Amin ampliò l’esercito, fece assassinare sistematicamente gli oppositori politici e
espulse dal paese più di 60.000 asiatici (1972), accusati di monopolizzare l’economia del
paese. Nel 1978 l’Uganda era sull’orlo della bancarotta economica e dipendeva
esclusivamente dall’aiuto di alcuni paesi musulmani. Verso la fine del 1978, entrò in guerra
con la Tanzania, il cui esercito era alleato con i ribelli ugandesi del Fronte di Liberazione
Nazionale dell’Uganda (FLNU). Idi Amin mediante un colpo di stato rovesciò il dittatore
Obote, costringendolo a riparare in Arabia Saudita. Tuttavia le tensioni non si attenuarono e
dopo l’avvicendamento di 3 presidenti alla guida del paese, le elezioni del 1980 riportarono al
potere Obote. L’economia dell’Uganda era in uno stato disastroso, una grave carestia colpì le
regioni del nord.
Nel 1982, dopo il ritiro delle truppe tanzaniane, si verificarono nuovi, violenti disordini
interni, ai quali il governo rispose con una estesa repressione, che provocò la morte di più di
centomila persone. Ma il regime di Obote doveva ormai fronteggiare due diversi focolai di
guerriglia: al Nord le milizie fedeli a Idi Amin, al Sud quelle dell'Esercito di resistenza
nazionale, guidate da Yoweri Museveni; alla guerriglia si aggiungeva il conflitto all'interno
dello stesso governo2.
2Enciclopedia Microsoft Encarta 2000. 1993-1999 Microsoft Corporation7
Nel luglio del 1985, un colpo di stato militare guidato dal generale Tito Okello, appartenente a
un'etnia nilotica, rovesciò Obote e sospese la costituzione. Nel gennaio dell'anno seguente,
l'Esercito di resistenza nazionale conquistò Kampala e si impadronì del potere.
Museveni cercò di affrontare la critica situazione politica ed economica, conseguente ai
quindici anni di violenti scontri e di pessima e corrotta amministrazione, coinvolgendo tutti i
gruppi etnici e le forze politiche nel governo del paese. Attraverso consistenti aiuti stranieri
vennero intrapresi grandi sforzi per rilanciare l'economia; gli asiatici espulsi nel 1972 furono
invitati a tornare e venne avviato un programma di liberalizzazione al fine di incoraggiare lo
sviluppo dell'agricoltura e attirare gli investimenti stranieri.
Nel 1995 fu adottata una nuova costituzione, che stabiliva la convocazione di un referendum
per il 1999 attraverso il quale l'Uganda avrebbe votato circa l'adozione di un sistema
multipartitico. Nel 1996 Museveni fu rieletto alla presidenza del paese.
Sebbene nel paese continuino ad agire dei movimenti di guerriglia -in particolare, dalla fine
del 1996, con le Forze democratiche alleate, che raccolgono soldati del passato regime di
Obote, e con l’Armata di resistenza del Signore, capeggiata da Joseph Kony e operante nel
Nord del Paese- la situazione politica si è stabilizzata. Anche la situazione economica è
nettamente migliorata e sul piano diplomatico l'Uganda è diventato uno dei paesi più
importanti della regione.
Nell’agosto 1998 l’Uganda, insieme con il Ruanda, ha appoggiato l’offensiva che le truppe
tutsi banyamulenge hanno sferrato nella Repubblica Democratica del Congo contro l’esercito
di Laurent-Désiré Kabila; l’offensiva è stata in seguito bloccata grazie all’intervento delle
truppe di altri paesi della regione, tra cui Angola e Zimbawe.
Fu nel 1991 che Museveni venne eletto presidente. Nel 1995 fu approvata una nuova
costituzione che permise l’affermazione del multipartitismo, divenuto effettivo a seguito di un
referendum tenutosi nel 2005.
Dopo numerosi scontri, nel 1999 i presidenti di Kenya, Tanzania e Uganda si incontrarono per
fondare la comunità economica dell’Africa dell’est. Nelle elezioni presidenziali del febbraio
2006, Museveni è stato confermato per la terza volta nella carica, cosa permessagli in seguito
ad una riforma costituzionale del 2005.
Con Museveni3 al potere, sono stati molti i progressi in campo economico e nel rispetto dei
diritti umani, ma ancora gravi sono i problemi dell’Uganda, su diversi fronti.
1.2Aspetti morfologici3 Enciclopedia multimediale libera: wikipedia
8
Il territorio dell’Uganda è caratterizzato dalla presenza di numerosi laghi, fiumi, il più
importante dei quali è il Nilo, da foreste equatoriali e dalla savana. Nella parte meridionale il
territorio è attraversato dall’equatore. La superficie complessiva è pari a 241.000 kmq. Gran
parte del paese è situato su di un alto piano a circa 1.000 metri s.l.m. Malgrado sia ubicata
lungo l’equatore l’Uganda gode di un clima temperato, soprattutto grazie all’altitudine.4 Sono
presenti due stagioni umide; da marzo a maggio e da settembre a novembre. La fauna
selvatica, gran parte della quale vive in aree protette, comprende diversi tipi di scimmie,
elefanti, antilopi, leoni, leopardi, ippopotami, giraffe, zebre, persino leoni.
Il lago Vittoria, in Africa centro-orientale, è il più esteso bacino d’ acqua dolce del continente.
Il paese è stato soggetto dagli anni 60 ad una rapida crescita demografica. L’inglese è la
lingua ufficiale, sono anche parlati numerosi idiomi locali5.
Il tenore di vita della popolazione è piuttosto basso, lo testimoniano l’alta mortalità infantile,
la bassa aspettativa di vita (52 anni). Altro elemento che dimostra la bassa qualità della vita è
la preoccupante diffusione dell’AIDS.
L’Uganda è abitata da un mosaico molto complesso ed articolato di etnie. Anche sotto
l’aspetto religioso, essa è un paese molto vario. Circa l’85% della popolazione è di religione
cristiana. Poi c’è una minoranza di musulmani. Infine troviamo chi professa le religioni
africane tradizionali.
1.3 IstruzioneDopo l’indipendenza l’Uganda ha mantenuto un sistema scolastico basato sui principi vigenti
in epoca coloniale. Infatti il sistema educativo anglosassone ha avuto grande influenza in
Uganda6.
Il corso di studi nelle città benestanti e più sviluppate è così strutturato: l’educazione primaria
viene impartita nella primary school7, la quale è frequentata da bambini al compimento del
loro sesto anno di età; questo corso di studi dura 7 anni, seguito da una secondary school8 e da
due anni di scuola superiore prima di accedere all’università9.
Ma ci tengo a precisare che questo iter nell’ambito dell’istruzione viene seguito solo dai
bambini e dai ragazzi più fortunati, e sicuramente è una realtà che non coinvolge i bambini di
Oluko, quantomeno fino a prima dell’arrivo dell’ASSOS.
4Enciclopedia Microsoft Encarta 2000. 1993-1999 Microsoft Corporation5 http://www.globalgeografia.com/africa/uganda.htm6 http://www.globalgeografia.com/africa/uganda.htm7Scuola elementare e media inferiore (ha una durata di 7 anni ed è frequentata da bambini con un’età compresa tra i 6 ed i 14 anni). Tratto da www.assosterni.it8Scuola media superiore (ha una durata di 4 anni ed è frequentata da ragazzi con un’età compresa tra i 14 e 19anni).9 http://www.assosterni.it/afr_iniziative.php
9
Dal 1997 la formazione scolastica è gratuita per il ciclo primario, ma solo per quattro bambini
per nucleo famigliare; considerando che la media vede otto bambini per famiglia, non è
pienamente soddisfacente questo provvedimento. Ciò ha provocato un grandioso aumento
della frequenza scolastica. Tuttavia, soprattutto nelle aree rurali, sono ancora molti i bambini
che non accedono alle scuole per mancanza di strutture nei luoghi di residenza, oppure per
mancanza di risorse economiche da parte delle famiglie, le quali sono tenute a procurarsi, per
i propri figli, oltre al materiale prettamente didattico (penne, quaderni, libri), anche la divisa
da indossare quotidianamente per la frequentazione scolastica10.
1.4 SanitàL’Uganda è stato indicato come un raro caso di successo nella lotta al virus dell’HIV del
continente africano. Ciò è stato ottenuto grazie ad una grande varietà di approcci messi in atto
dal governo, a partire dall’educazione alla monogamia, passando per una campagna di
promozione per privilegiare l'astinenza sessuale, provvedimento rivolto in modo particolare ai
ragazzi che spesso troppo giovani mantengono rapporti di tale genere , fino ad arrivare alla
promozione dell’uso del preservativo. Alla fine degli anni ‘80 oltre il 30% dei cittadini
ugandesi aveva contratto il virus dell’HIV, le percentuali dimostrano che l’incidenza di tale
malattia sia scesa al 10% alla fine degli anni ’90. Il presidente Museveni, al fine di prevenire
la diffusione dell’Aids, sottolineò che l’uso del preservativo doveva essere promosso come
ultima risorsa, dimostrandosi così contrario a questo metodo anticoncezionale occidentale.
Diverse ricerche dimostrano che il calo della diffusione dell’AIDS in Uganda è dovuto in
primo luogo dall’astinenza sessuale ed alla monogamia. Il primo luglio del 2008, il reverendo
anglicano ugandese Sam Ruteikara, presidente del comitato nazionale ugandese per la
prevenzione dell’AIDS, ha dichiarato che la promozione del preservativo in Africa è fallita,
accusando la politica che ha voluto la diffusione di tale metodo di avere dato spazio a
un’industria miliardaria, che guarda solo al profitto e che distrugge quanto di buono è stato
ottenuto dal governo con la campagna favorevole all’astensione sessuale. Un'altra piaga
sociale sanitaria è la presenza dell’ebola, malattia che colpisce prettamente la città di Gulu11.
Fortunatamente, la popolazione autoctona riesce a limitare la diffusione del virus12.
1.5Probabilità di decesso 0-5 anni (numero di decessi ogni 1000 nati)
La popolazione è contraddistinta da un’età giovanissima, ma con una bassa aspettativa di vita:
10 Enciclopedia multimediale libera wikipedia11Colpita dai conflitti bellici È una città di rilievo dal punto di vista economico dell’Uganda oltre alla capitale, Kampala.12 Enciclopedia Microsoft Encarta 2000. 1993-1999 Microsoft Corporation
10
AREE GEOGRAFICHE PROBABILITA' DI DECESSO 0-5 ANNIPAESI INDUSTRIALIZZATI 6AMERICA LATINA E CARAIBI 27EUROPA ORIENTALE 27ASIA ORIOENTALE E PACIFICO 29MEDIO ORIENTE E NORD AFRICA 46MONDO 72ASIA MERIDIONALE 83AFRICA MERIDIONALE E ORIENATLE 131AFRICA SUBSAHARIANA 160AFRICA CENTRALE E OCCIDENTALE 186
627 27 29
46
7283
131
160
186
020406080
100120140160180200
PAESI
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AFRIC
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CENTRALE E
OCCID
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PROBABILITA' DI DECESSO 0-5 ANNI
Le tensioni politiche hanno limitato fortemente la cooperazione con i vicini stati del Kenya e
della Tanzania, i cui porti costituiscono i maggiori sbocchi per i suo traffici. Le continue
agitazioni, la guerra civile degli anni ’70-’80, la siccità hanno gravemente danneggiato
l’economia ugandese, la quale, tuttavia, a partire dal 1986, grazie alla maggiore stabilità
interna e ad una politica volta a favorire i settori primario e secondario ha cominciato a
sollevarsi.
1.6 AgricolturaL’agricoltura è il settore più importante dell’economia, ed occupa circa l’80% della forza
lavoro. Accanto al caffè, considerato principale prodotto di vendita all’ingrosso insieme al
cotone, al tè e al tabacco, ci sono anche importanti culture di mais, di sorgo, di patate, di
banane, destinati al fabbisogno alimentare interno. L’allevamento ha una voce molto
importante nell’economia e si basa soprattutto su quello dei bovini, sulle pecore e sulle capre.
La pesca è un settore modernamente sviluppato ed è praticata in modo particolare nei pressi
del lago Vittoria13.
Quanto ai minerali, quelli che si trovano in maggior quantità in Uganda sono il tungsteno e lo
stagno; tuttavia, ultimamente è stata scoperta un’ingente quantità di petrolio; è stata calcolata
la presenza di settecento milioni di barili da estrarre. Persino l’Eni ha investito risorse
finanziarie per acquistare tali giacimenti di petrolio. Questa risorsa comporterà sicuramente
dei grandi cambiamenti per l’Uganda. In Uganda oggi ci sono circa una ventina di imprese
private che concorrono per ricevere i contratti per la realizzazione di impianti per l’estrazione
dell’acqua.
13 http://www.globalgeografia.com/africa/uganda.htm11
Le principali industrie sono quelle leggere impiegate nei settori alimentari e tessili e sono
spesso collegate all’agricoltura. Per quel che concerne il commercio, la situazione non è
estremamente florida, dal momento che le esportazioni che si basano soprattutto sul caffè, sul
cotone e sul tè sono inferiori, e non di poco, alle importazioni. L’Uganda intrattiene buoni
rapporti commerciali con il Kenya. Le vie di comunicazione necessitano però di migliorie;
devono essere ampliate, ristrutturate, poichè risultano estremamente carenti. Molte strade
sono percorribili soltanto durante la stagione secca. La ferrovia copre una rete di 1200 KM e
fornisce il collegamento con l’Oceano Indiano, passando attraverso il Kenya. La compagnia
aerea nazionale è l’Uganda Airlines.
Nel 1952 furono istituiti i primi parchi nazionali, tanto da trasformare il paese in un ambita
meta turistica nell’Africa orientale. Il turismo subì però un arresto a causa dei conflitti degli
anni ’70 ’80, che danneggiarono notevolmente le infrastrutture e compromisero il programma
di tutela ambientale. Nella metà degli anni ’80 il sistema delle aree protette è stato
riorganizzato, sono stati istituiti nuovi parchi nazionali e la tutela dei parchi protetti è passata
sotto le competenze del ministero del turismo. Le aree protette rappresentano un’importante
risorsa economica per il paese.
1.7 La città di AruaArua è una città del distretto di Arua che si trova nella regione Nilo al nord-ovest
dell’Uganda.
Questa città è contraddistinta da una
grande densità demografica,
alimentata anche dai rifugiati del
Sudan, e della Repubblica
Democratica del Congo14. La città di
Arua è anche un grande centro di
distribuzione di aiuti per la regione
stessa. Il capoluogo è Kampala, che
dista 520 km da Arua15. Essa è una
base importante per le ONG che operano in Uganda. L’importanza della città sta crescendo
anche sotto il profilo commerciale; per questo motivo si sta procedendo a un miglioramento
delle vie di comunicazione, al fine di consentire facilmente i collegamenti con le città, e con i
villaggi limitrofi. Ad Arua si trova il mercato perno dei villaggi confinanti, inoltre troviamo la
14 http://globalgeografia.com/africa/uganda.htm15 Enciclopedia libera multimediale wikipedia
12
corrente elettrica e buone scorte di acqua16. A causa di un afflusso massiccio di rifugiati,
l’ambiente naturale del distretto è stato colpito dalla deforestazione in alcune zone per
estendere l’edificazione di nuovi villaggi17. La popolazione dei rifugiati si impegna nella
crescita del tabacco per raccogliere denaro necessario per la propria sopravvivenza18. Il
distretto produce circa 30 tonnellate di pesce proveniente dal fiume Nilo; numerosi sono
anche gli allevamenti di bovini zebù.
In questa zona agli orfani di Aids e di altre malattie si aggiungono gli orfani di guerra.
II CAPITOLO
2 Il villaggio di Oluko e la popolazione Lugbara
16 Enciclopedia Microsoft Encarta 2000. 1993-1999 Microsoft Corporation17 Enciclopedia Microsoft Encarta 2000. 1993-1999 Microsoft Corporation18 http://www.globalgeografia.com/africa/uganda.htm
13
Oluko è un piccolo villaggio di 20-30 mila abitanti circa, non si dispone di dati precisi poiché
non esiste un ufficio anagrafe dove dichiarare la nascita dei bambini. Il villaggio dista 8 km
dalla città di Arua. Il villaggio è composto da piccoli gruppi di capanne di fango che sorgono
nella steppa. Le capanne hanno una struttura tondeggiante e sono fatte di terra, approfittando
del periodo delle piogge per impastare e modellare la terra, e del periodo della secca per far
essiccare la struttura. E’ una tecnica che richiede molta pazienza poiché devono essere
rispettati i tempi naturali per perseguire i risulti sperati.
Queste capanne risultano fresche, ventilate e pulite, seppur rispettando canoni di igiene non
tipicamente “occidentali”19. I Lugbara sono molto attenti alla ricerca dei materiali da usare per
l’edificazione delle capanne anche nella scelta del tipo di legname, poiché ne occorre un tipo
termico per agevolare le loro condizioni di vita dal momento che questo elemento costitutivo
della capanna determina sia la stabilità del tetto che quella dell’intera struttura, in quanto lo
scheletro dell’abitazione Lugbara è di legno, anche la scelta della paglia avviene in modo
molto scrupoloso, dal momento che ne serve un tipo capace di essere impermeabile
all’acqua20. Le capanne sono contraddistinte da elementi peculiari che variano da luogo a
luogo tra le popolazioni africane, ad esempio i villaggi che sorgono a ridosso del fiume Nilo
necessitano di materiali per l’edificazione capaci di non assorbire l’umidità esterna evitando
che venga portata all’interno della capanna. Dunque per gli africani è peculiare la scelta dei
materiali per realizzare le capanne, sono molto abili in questo21.
19 http://www.espertoseo.it20 http://www.stefanomariacrocelli.com/index21MIDDLETON J., The resolution of conflict among the lugbara of Uganda. 1966.
14
L’interno di una capanna Lugbara L’esterno di una capanna Lugbara
La popolazione è mediamente molto giovane e con una bassa aspettativa di vita:
I Lugbara hanno un sistema economico basato sull’autoconsumo (economia di sussistenza).
Gli abitanti hanno accesso all’acqua potabile previo pozzo con pompa manuale. La
popolazione, poi, è fortemente colpito da malattie endemiche e vive in condizioni di grande
disagio e povertà, con scarsa igiene ed un alto livello di analfabetismo22. In virtù del fatto che
ci troviamo a contatto con una popolazione giovane, diventa indispensabile far crescere in
loro la voglia di istruirsi, di “elevarsi” socialmente. Ciò è possibile solo agendo sin da subito
sui più piccoli, mediante la realizzazione di scuole. E’ più proficuo agire sui piccoli perché
sono dotati di un’elasticità mentale senza pari23a detta dei volontari dell’associazione.
L’analfabetismo, poi, va debellato anche per rendere la popolazione più consapevole dei
propri diritti.
La struttura del villaggio è tribale24: all’interno di un'unica capanna convivono nonni, genitori,
figli, nipoti, zie materne. Il popolo Lugbara è una vera e propria tribù, la popolazione esprime
infatti una propria vita politica che fa leva sui lignaggi. Va precisato che a livello politico, il
concetto di tribù viene contrapposto a quello di stato. Ciò che purtroppo non gioca a loro
favore è l’assenza di una consapevolezza dei propri diritti, anche perché purtroppo la lingua
Lugbara non è scritta, per cui la loro parola è facilmente manipolabile da chi detiene il potere
e non tutti conoscono l’inglese per arginare eventuali situazioni di squilibrio, dovute anche
alla trascrizione erronea o manipolata delle parole del popolo Lugbara. La tribù Lugbara è una
società umana in possesso di una relativa omogeneità culturale e linguistica. Il concetto di
tribù non implica per forza una unità territoriale, infatti non è raro trovare sottogruppi della
22MIDDLETON J., The resolution of conflict among the lugbara of Uganda. 1966.23http://www.supercrocio.com/uganda/oluko.php24 Questo è un termine molto complesso e ampiamente dibattuto, utilizzato dagli antropologi per delineare un
popolo come istituzione politica, tuttavia rientra nel lessico dei volontari dell’As.So.S. proprio per delineare la popolazione Lugbara.
15
tribù Lugbara stanziati in zone relativamente lontane l'una dall'altra. Tra le popolazioni
dell’Africa Equatoriale non esistono grandi differenze etniche, poiché si considerano tutti
“nilotici”25. Ognuna delle popolazioni africane è contraddistinta da proprie peculiarità nel
compiere i rituali religiosi, i riti di iniziazione, i rituali purificativi. Anche se vengono pregate
le stesse divinità di altre popolazioni vicine, anche se c’è una forte solidarietà che lega la
popolazione africana, ci sono delle grandi differenze nell’effettuare le medesime pratiche.
Il Lugbara risulta essere estremamente solidale nei confronti dell’altro in generale. A tal
proposito; infatti, un volontario del comitato direttivo dell’ASSOS, il Dott. Stefano Maria
Crocelli operante attivamente dal 2006 presso il villaggio di Oluko, mi ha raccontato che non
appena la popolazione Lugbara sente che il tono della sua voce può far pensare ad uno stato di
disagio, accorrono immediatamente, da lui, tutti coloro che l’hanno sentito; tanto è il rispetto
per l’altro nella realtà Lugbara.
“non lascerebbero mai una persona che accusa un disagio di qualunque genere per strada,
nella solitudine”.
Dott. Stefano Maria Crocelli
Tra la popolazione occidentale è opinione diffusa che le popolazioni africane siano tutte
uguali tra loro a causa del forte etnocentrismo che la contraddistingue. Niente di più falso!
Basti pensare che persino la pigmentazione della loro pelle cambia di intensità da luogo a
luogo.
La popolazione stanziata ad Oluko è quella dei Lugbara. Essi hanno una propria lingua, ma il
governo, mediante la complicità delle ONG, vuol imporre la lingua inglese; infatti nelle
scuole è vietato parlare il Lugbara26. I Lugbara, poi, come già detto, seguono un sistema di
sussistenza, è infatti quasi inesistente la circolazione di moneta nel loro villaggio.
Sotto il profilo religioso, vige un sincretismo che coniuga religione cattolica e animismo.
Questa popolazione crede fermamente nel Dio cristiano, ma si differenziano da noi per il
modo in cui tale dio viene pregato, poiché vengono attuati dei particolari rituali per mettersi in
contatto con il Cristo che nel mondo occidentale non esistono. Inoltre sono devoti ai santi che
noi occidentali celebriamo (S. Francesco, S. Giuseppe, S Maria etc.), ma a questi si
aggiungono santi africani, ad esempio il dott.Crocelli mi ha fatto presente che la parrocchia
25I popoli nilotici sono popoli africani che si erano stabiliti lungo l'alta valle del Nilo, nella parte meridionale del Sudan odierno. Verso l'XI secolo, molti di questi popoli sono scesi lungo il Nilo e hanno occupato le terre che ancora oggi abitano negli odierni Kenya, Uganda e Tanzania.
26MIDDLETON J., The resolution of conflict among the lugbara of Uganda. 1966.
16
del villaggio di Oluko è devota a Santa Bakita27.
“È ovvio che questa gente è cristiana per convenienza. Qualcuno neanche lo sa (di essere
cristiano per convenienza), ma per capirlo è sufficiente vedere le iconografie sincretiche afro-
cristiane: sono come note che stonano in una melodia grossolana. L’immagine fissa che ho in
mente è quella di un popolo di gente nera che adora iconografie bianche.”
Dott. Stefano Maria Crocelli
Mi è stato raccontato, proprio dal dott. Crocelli , che la popolazione mette in atto dei rituali
che fanno emergere questo forte sincretismo religioso; ad esempio, per espiare le proprie
colpe, “mettono” i propri peccati nei sassi: oltre a pregare i santi, a seconda della gravità della
pena da scontare, devono portare un sasso in testa per un tempo proporzionale al peso delle
colpe da farsi perdonare. Così si attribuisce un’anima ai sassi28. È un po’ come facciamo noi
occidentali nel momento della confessione dei nostri peccati, quando il sacerdote ci chiede di
pregare per “purificarci”; chiaramente il tutto avviene in modo diverso. Il loro forte animismo
emerge costantemente, quotidianamente; credono ad esempio che il vento abbia un anima;
sono molto attenti ai segnali che ricevono, ad esempio riescono ad attribuire un significato
particolare anche ad una foglia quando cade, se ciò avviene in un momento in cui stanno
cercando una risposta a qualche situazione particolare.
“Input provenienti da ogni dove.
Tutto, ma proprio tutto qui ha il suo senso.
E chi lo deve sapere lo sa.”
Dott. Stefano Maria Crocelli
La popolazione Lugbara è contraddistinta da numerosi rituali, che scandiscono la loro vita,
non riguardanti soltanto l’aspetto religioso.
“Mi hanno reso partecipe delle loro preghiere, in particolare nei giorni della festa dei Martiri
dell'Uganda (3 giugno), in concomitanza con la Pentecoste Cristiana: in quell'occasione ho
assistito a rituali sincretici tra Cristianesimo e Cultura Tradizionale, nei quali ho visto persone
vivere la trance per poi tornare alla "normalità"29.
Dott. Stefano Maria Crocelli
Il dott. Crocelli è stato invitato ripetutamente dalla popolazione autoctona a partecipare a
diversi rituali:
“Bene, l’intrattenimento di oggi era tipicamente africano. Intendo con balli, canti e suoni, ma
anche con maschere, travestimenti e partecipazione di massa.
27 http:// www.supercrocio.com/esperienza_oluko.php28 CROCELLI S. M. Oluko, Arua, Uganda la cooperazione in Africa vista dagli occhi di un giocoliere adesso
pp12-14 200629CROCELLI S. M. Uganda, Arua, Oluko turisti per caso 2006
17
M’hanno coinvolto nella danza donandomi un bastone piumato (non era la prima volta, mi era
successo anche ad Aluma). Tutti hanno riso, ma non sono ancora riuscito a farmi spiegare il
significato. Poi dal centro della danza sono stato trascinato fuori, per poi successivamente
rientrare, almeno tre volte. Allora ho chiesto perché.
È fondamentale: dal centro esci, correndo e danzando. È come se simboleggiasse l’uscita dal
gruppo per cercare se stessi. Poi rientri, nuovo.
Allora vedi la gente che esce e rientra ballando, i musicisti (percussionisti), la suora nera
enorme vicino a me che ballava elegante e sinuosa…Ho visto cose belle.”
Dal diario del
Dott. Stefano Maria Crocelli
Essi, avendo un economia di sussistenza prettamente agricola, sono dediti alla produzione del
miglio, del sorgo e dei piselli. Accanto a questa troviamo l’allevamento di polli, capre e
bovini.
Tra i Lugbara non ci sono le tipiche norme occidentali che scandiscono la vita matrimoniale;
l’uomo è poligamo, le donne, inoltre, non conoscono i loro diritti, almeno a detta del vescovo
di Arua il quale, tuttavia30, in quanto cristiano, non condivide la poligamia. I festeggiamenti
matrimoniali possono durare anche un anno, se si tratta di persone importanti e facoltose.
Nello “scambio” delle donne il padre della sposa deve essere ricompensato con delle mucche,
il cui numero varia a seconda della provenienza della ragazza, se ella è o meno di buona
famiglia. Dunque, da questa logica matrimoniale, si può dedurre che nel villaggio di Oluko
vige una marcata stratificazione sociale, in questo caso visibile grazie ai meccanismi di
distribuzione dei capi di bestiame e ai pagamenti corrisposti per avere una sposa, che
cambiano sempre a seconda del rango sociale di appartenenza di quest’ultima. Il valore di una
donna è determinato anche dalle capacità che ella possiede: ad esempio saper cucire, saper
cucinare, saper occuparsi dignitosamente della capanna. Altri elementi che accrescono il
prestigio di una donna è il saper leggere e scrivere, il conoscere l’inglese o comunque altre
lingue, poiché questi fattori denotano che la donna proviene da una famiglia benestante che si
è potuta permettere di pagare gli studi della figlia.
“Frequentemente accade che delle giovani ragazze vengano concesse dalle proprie famiglie a
uomini molto più grandi di loro, ma benestanti, perché questo garantisce alla famiglia della
30 Dvd intervista al Mons. DRANDUA F.18
sposa una lauta ricompensa da parte dello sposo.”
Dott. Stefano Maria Crocelli
I Lugbara, nonostante considerino spersonalizzante l’uso del denaro, hanno al loro interno una
evidente stratificazione sociale, che emerge anche dal fatto che non tutte le bambine hanno
l’extencioo31 ai capelli poiché questa pratica è costosa; qualche donna decide di ricorrervi
perché la natura vuole che non gli crescano molto i capelli, dunque correggono questo
“difetto” mediante questa particolare tecnica, ma non tutte le donne possono farlo, dato l’alto
livello di povertà. Dalla mera osservazione della popolazione non si riesce facilmente a capire
l’esistenza di differenze di rango sociale, poiché non esiste in loro il culto dell’ostentare ciò
che possiedono; però di fondo vi sono alcune differenziazioni sociali. Uno dei pochi momenti
in cui si denotano esili differenze è la domenica, quando le persone per andare a messa
indossano abiti più “ricercati”, ed è in questo caso che si possono notare piccolissime
differenze32. Anche il semplice fatto di possedere molti capi di bestiame non rappresenta un
elemento di vanto per la popolazione locale. Forse è meglio parlare di un semplice senso del
dovere, nell’accudire i propri animali con devozione, poiché essi sono stati lasciati dal padre o
dal nonno. Anche il possedimento di una capanna genera un senso d’appartenenza che fa si
che i proprietari se ne prendano cura capillarmente, rendendola sempre più confortevole, più
dignitosa, e anch’essa non è mai considerata un elemento di vanto. In virtù di questa loro
concezione, è difficile per l’occidentale evidenziare differenze di appartenenza ad un
determinato rango sociale.
Per poter capire queste differenze il dott. Crocelli ha dovuto rivolgere delle domande dirette
alle persone in merito a questo argomento, in virtù del fatto che i Lugbara non hanno affatto il
culto dell’ostentare33.
Dunque in realtà come questa, in cui la circolazione di denaro è quasi assente, si instaurano
delle relazioni costruite, ad esempio, sullo scambio di bestiame, che in villaggi pastorali come
questo serve a costruire rapporti di alleanze, di amicizie; e allo stesso tempo si determina il
prestigio di una famiglia in base al numero di capi di bestiame che possiedono. Tutte queste
cose generano differenziazioni sociali, pur nell’assenza di denaro34.
I bambini Lugbara, all’apparenza, sono molto lasciati a se stessi; le mamme, infatti, lasciano
molta libertà ai propri figli sin da neonati, quando cominciano appena a gattonare. Il loro, è un
sistema estremamente diverso da quello occidentale. Anche lo svezzamento avviene in modo
31Tecnica mediante la quale si applicano dei capelli lunghi a quelli più corti.32 http://www.assosterni.com/afr_progetti.php33 http://www.espertoseo.it34MIDDLETON J., The resolution of conflict among the lugbara of Uganda. 1966.
19
naturale, dal momento che è il bambino che autonomamente decide cosa assaggiare perché
gattonando scopre il mondo da solo. Ma questo sistema comporta un maggior numero di
malattie infantili causate da una scarsa igiene.
C’è, di fondo, una diversa concezione pedagogica per quanto riguarda la crescita dei bambini.
Ciò non vuol dire che il metodo occidentale sia migliore rispetto a quello adottato dai
Lugbara, ma si tratta semplicemente di due metodi educativi diversi. La cultura Lugbara
prevede il rispetto rigoroso delle fasi naturali di sviluppo di un bambino, mentre gli
occidentali hanno la tendenza a far bruciare le tappe ai piccoli sotto vari aspetti, ma lo fanno
con un approccio che invece ne ritarda lo sviluppo, perché troppo protettivo. Ai bambini
occidentali difficilmente vengono offerte situazioni che possano renderli autonomi (non viene
chiesto loro di compiere delle commissioni, che lo portano ad uscire dal nido familiare o non
gli viene richiesto di accudire i fratelli più piccoli, né tanto meno di andare a scuola da soli a
piedi). Per i piccoli bambini Lugbara è normale adempiere a delle commissioni, propostegli
dagli adulti, i quali pretendono anche che il bambino intraprenda un cammino di 10-20 km a
piedi scalzi. Ed è altrettanto normale che siano i figli più grandi ad occuparsi dei fratelli
minori. Infatti, è solito vedere nel villaggio di Oluko bambine che, mentre giocano, o mentre
provvedono alla raccolta dell’acqua, hanno i fratellini sulle spalle all’interno di una sorta di
marsupio rudimentale. C’è di fondo una diversa concezione che lega i genitori ai propri figli,
tra i Lugbara non esiste il forte legame, tipicamente occidentale, che unisce il bimbo alla
propria madre. Ma non perché non ci sia l’affetto, l’amore di fondo; infatti c’è una netta
differenza, nella celebrazione dei funerali, se si tratta di un adulto o se invece si tratta di un
bambino. Nel primo caso la celebrazione consiste in festeggiamenti con tanto di musica e
possono durare anche per tre mesi per suggellare l’anima del defunto; tutto comunque avviene
sotto forma di festa; mentre quando parliamo del funerale di un bambino, non c’è
festeggiamento di sorta, anzi, c’è una celebrazione all’insegna della tristezza.
“Ora, proprio ora, da ore, stanno cantando, suonando ed immagino ballando da qualche parte
qui intorno. Sono tentato di andare a vedere. Quasi quasi…
Seguendo la musica, uscito dalla mia stanza, ho iniziato ad allontanarmi sempre più dalla
parrocchia, solo, calzini e ciabatte, con la torcia cinese, sulla strada africana, bianco.
È la prima volta che vedo la strada vuota per quello che, con questo buio, si può vedere. Ma si
sente bene in questo buio. Tuttora stanno cantando, suonando e ballando nella casa del
percussionista.
C’ho pensato almeno 100 volte a tornare indietro mentre andavo; non arrivava mai e
assumevo sempre più le sembianze di un bianco…almeno dentro, oppure no.
Insomma, arrivo dopo un paio di km a piedi e non trovo la “strada” per entrare.20
Chiedo aiuto a delle voci, ero pronto a tutto.
O forse a niente.
Il ragazzo, semplicemente m’ha detto “Ok, andiamo che t’accompagno”.
Arrivo, sorrido in quanto tutti ovviamente m’hanno notato mentre ballavano, suonavano e
cantavano (ma tuttora stanno festeggiando, li sento forte e chiaro), quindi ho pensato alla
festa:
meglio di così a “Supercrocio”35 non poteva andare. Mi fanno accomodare su una sedia,
s’avvicinano,mi salutano (le donne inginocchiandosi!!!) ed io rido e non ci capisco niente.
Il percussionista è qualcosa che viene dal basso…sembra ancora più basso.
Poi Genesis36 s’avvicina, mi parla, io rido e dopo avergli chiesto se c’era da pagare un
biglietto per partecipare alla festa, attraverso la sua risposta ho capito un po’ meglio dov’ero:
stavano festeggiando un uomo, posto su un letto di fronte a me, completamente coperto da
una coperta pesante (sembrava lana), morto. Era un funerale. Tutta la notte così, in alternanza
con la quiete più assoluta, quella iniziata da poco.
Anche la quiete parla e spesso ha molto da dire, come ora. È incredibile quello che ho visto.
Ho parlato con il padre del defunto. Ho pregato da cristiano con lui e, allora, saper pregare da
cristiano m’è tornato utile. È incredibile e lo ripeto. Erano tutti in festa, quindi felici, ed il
morto era li, circondato da donne che si muovevano a tempo sedute vicino a lui.”
Dal diario del:
dott. Stefano Maria Crocelli
Da questi due approcci educativi estremamente diversi ne deriva una conseguenza evidente: i
piccoli bambini Lugbara appaiono più maturi, più responsabili, più consapevoli rispetto ai
bambini occidentali, ai quali non gli viene concessa una libertà tale da poterli anche far
sbagliare per trarre dagli errori degli insegnamenti; i bambini occidentali, al contrario, al fine
di preservare la loro incolumità, vengono messi sotto una campana di vetro, si muovono sotto
la costante sorveglianza dei genitori. L’occidentale, trovandosi in questa realtà, deve
possibilmente contenere, o comunque limitare la disapprovazione che potrebbe provare nei
confronti di un diverso modello educativo, pensando che i bambini vengano “sfruttati”37 dagli
stessi familiari; devono semplicemente rispettare la loro cultura, poiché per loro questo non
vuol dire mancare di rispetto ai bambini.
Egli deve semplicemente rispettare una cultura diversa, poiché per loro, i “nativi”, certi
comportamenti che ci appaiono disdicevoli non implicano una mancanza di rispetto dei
bambini. Dal punto di vista occidentale si può parlare di una privazione dell’infanzia dei 35Nome d’arte del dott. CROCELLI S.36 È il nome dl ragazzo che lo ha accompagnato sino al funerale37 Fatti collaborare nelle mansioni familiari, secondo la cultura Lugbara
21
bambini ad opera degli adulti, ma dal loro punto di vista questa conclusione è meno scontata.
I bambini Lugbara, poi, non si lamentano mai, ad Oluko; se si sente il pianto di un piccolino,
vuol dire che accusa un forte dolore fisico38.Il grande senso di responsabilità che caratterizza
questi bambini lo si rintraccia anche nell’atteggiamento che assumono verso le 18:00-18:30
del pomeriggio, quando si apprestano a tornare a casa, anche se stanno giocando per il
villaggio di Oluko, interrompendo ogni attività. Questo è un atteggiamento implicito nel loro
essere, che la capanna gli ha insegnato, quel forte senso di responsabilità che li porta ad essere
rispettosi con i propri familiari. Questo forte senso del dovere lo manifestano anche la
domenica, quando vanno tutti a messa senza che nessuno li chiami; il loro senso di
responsabilità fa si che vengano spinti a partecipare attivamente alla vita religiosa.
I bambini devono partecipare ai rituali del popolo Lugbara, per capire sin da subito le
dinamiche che si instaurano nella loro realtà; vedi ad esempio la comunicazione con le
divinità attraverso particolari rituali; inoltre, viene insegnato loro come vanno interpretati i
segni che gli invia la natura che li circonda, mediante l’ausilio del vento, piuttosto che di un
animale, poiché grazie a questi segnali potranno disporre di informazioni essenziali per loro. I
bambini sono i protagonisti di alcuni riti d’iniziazione, vengono anche sottoposti alla
circoncisione, o a prove di coraggio per dare manifestazione della loro forza. Talvolta, per far
divenire adulti i figli maschi, essi vengono allontanati dal villaggio per sottoporli a tutta una
serie di pratiche che gli permettano uno sviluppo delle caratteristiche prioritarie che
contraddistinguono un uomo Lugbara.
Ma dall’altro lato gli adulti Lugbara ritengono che sia indispensabile che i propri figli abbiano
delle buone basi culturali, tipico infatti di questa zona è che i bambini percorrano anche 10
km a piedi nudi per recarsi a scuola. A capo dei Lugbara vi è il capo del villaggio; è un
anziano che gestisce la terra distribuendola ai componenti del villaggio in base all’esigenze di
ognuno, legate anche al numero dei componenti della capanna.
III CAPITOLO
3 Cos’è l’assos.?
38 http://www.espertoseo.it22
Logo As.So.S.
L’As.So.S. (Associazione Solidarietà e Sviluppo) è una Onlus39 ternana attiva dal 199940.
Svolge attività di assistenza e interventi allo sviluppo sia in campo socio-sanitario, che in
ambito scolastico. Dal 1999 opera in Africa Equatoriale. Attualmente sono attivi in Uganda
nel distretto Arua, nord-ovest dell’Uganda. E’ un’organizzazione non governativa (ONG)41 ad
utilità sociale nata nel marzo del ’99 dall’esperienza di alcuni medici soci fondatori. Essa si
pone come primo obiettivo la comprensione della natura dei problemi esistenti, portando
contemporaneamente avanti aiuti ed interventi concreti. L’intento primario è sempre quello di
pianificare interventi in sintonia con le autorità locali, ma soprattutto con le popolazioni
autoctone. Gli attori coinvolti sono gruppi di solidarietà internazionale, ossia comitati
temporanei aventi durata fino alla realizzazione dei progetti. Ad essi danno vita gli enti locali,
con la partecipazione di enti pubblici, ONG, associazioni, istituzioni, e gruppi di volontari. Il
numero dei volontari nel corso degli anni è andato crescendo, e l’esperienza ha insegnato loro
che la cosa più importante, alla base di ogni progetto di cooperazione, è conoscere e capire i
meccanismi sociali, politici ed economici che caratterizzano ogni realtà. Non ultima di
importanza è la comprensione dei sistemi e dei complessi equilibri che si presentano
all’interno di un’etnia, poiché solo dopo aver compreso e rispettato le varie dinamiche sociali,
39Organizzazione non lucrativa di utilità sociale, meglio nota con l'acronimo ONLUS, indica una categoria tributaria che gli articoli 10 e seguenti del D.Lgs. 4 dicembre 1997, n. 460, prevedono possa essere assunta da associazioni, comitati, fondazioni, società cooperative e altri enti di carattere privato, con o senza personalità giuridica, i cui statuti o atti costitutivi, redatti nella forma dell'atto pubblico o della scrittura privata autenticata o registrata, prevedono espressamente una serie di requisiti. Tale qualifica attribuisce la possibilità di godere di agevolazioni fiscali.
40Http://www.assosterni.com/afr_iniziative.php41Un'organizzazione non governativa, in sigla ONG, è una organizzazione indipendente dai governi e dalle loro politiche. Generalmente, anche se non sempre, si tratta di organizzazioni non aventi fini di lucro (non profit) che ottengono almeno una parte significativa dei loro introiti da fonti private, per lo più donazioni. Il termine organizzazione non governativa (O.N.G) viene utilizzato per definire un insieme di organismi molto dissimili tra loro quanto a finalità, ideologie ispiratrici, ambiti di intervento, forme organizzative e dimensioni, che tuttavia sono accomunati da alcuni valori di solidarietà e giustizia relativamente unitari e da una metodologia di lavoro fondata su elementi comuni. Nell’ordinamento italiano, le ONG appartengono alla categoria giuridica delle associazioni senza scopo di lucro (non-profit) e dunque ne condividono la disciplina civilistica.
23
i volontari, possono agire con cognizione di causa.
L’associazione opera in modo laico ed apolitico42. L’intento della suddetta Onlus è quello di
promuovere azioni e progetti in nome di una cultura della solidarietà, in sostegno dei popoli e
dei paesi dell’Africa Equatoriale. Le iniziative attualmente portate avanti e quelle future sono
tutte conformi ai principi del diritto internazionale, coerenti con il processo di cooperazione
ed in sintonia con le maggiori organizzazione per la cooperazione internazionale.
Nel corso di questi anni l’ASSOS, grazie all’aiuto dei volontari e dei sostenitori, ha operato
per lo sviluppo e inviato mezzi di sussistenza per le comunità, per le scuole, e presidi sanitari,
sostenendo le popolazioni che vivono sulle rive del lago Vittoria.
L’ASSOS naturalmente è disciplinata da un proprio statuto, nel quale vengono esplicati alcuni
elementi costitutivi, come la denominazione e la sede; inoltre vi troviamo le attività svolte, e
quello che è lo scopo principale: contribuire allo sviluppo delle comunità con le quali coopera
nei PVS43, ritenendo che la collaborazione tra i popoli sia il cardine degli ideali di fratellanza
e di giustizia nel mondo. Le attività svolte dall’ASSOS le possiamo così elencare:
assistenza sociale e socio-sanitaria;
beneficenza;
istruzione;
formazione della popolazione;
tutela e valorizzazione della natura e dell’ambiente;
tutela dei diritti civili;
Nello statuto viene anche menzionato il ruolo dei soci, i quali si suddividono in soci fondatori,
e soci ordinari; al suo interno sono anche elencati gli organi che compongono l’ associazione;
inoltre vengono specificate le mansioni che spettano al presidente onorario, al comitato
dirigente, al direttore generale, al direttore amministrativo, ed anche a quelle che spettano al
responsabile delle relazioni internazionali
3.1Operato in Africa da parte dell'ASSOSL’operato dell’ASSOS iniziò in Kenya nel 1999, quando, grazie a dei finanziamenti concessi
all’ organizzazione da parte della regione Umbria, dalla Provincia di Terni, e dal Comune di
Terni, avviò un progetto semestrale con una durata da maggio a dicembre rivolto
42http://www.assosterni.com/afr_progetti.php
43Paesi in via di sviluppo Espressione che designa i paesi al di sotto di un determinato reddito pro capite. L’espressione presenta non poche ambiguità; infatti, con essa vengono accomunati paesi che hanno caratteristiche sociali ed economiche molto diverse tra loro, da quelli la cui economia è basata ancora prevalentemente sull’agricoltura a quelli che invece hanno vissuto un significativo sviluppo 24
all’assistenza sanitaria presso l’ospedale di Migori, per fronteggiare l’alta incidenza di gravi
patologie, prima fra tutte l’AIDS. Inoltre i volontari dell’ONG portarono avanti un’altra
attività di assistenza sanitaria presso l’ospedale di Karungu, sulle rive del lago Vittoria. Tale
ospedale, necessitava di apparecchiature sanitarie, di apparecchi radiologici, materiale per
anestesie, di culle per neonati, di medicinali. Nel 2001 i volontari erano ancora impiegati in
Kenya, questa volta non portando solo aiuti materiali, ma anche aiuti pratici, mediante la
realizzazione di un dispensario medico, per offrire cure mediche ed assistenza sanitaria. In
Kenya una volta consolidatosi l’operato del dispensario, fu progressivamente lasciato in
gestione agli autoctoni44.
L’operato dell’ASSOS si è anche rivolto verso la Tanzania, uno dei paesi più poveri del
mondo. Il paese ha un’estensione territoriale tre volte più grande dell’Italia con una
popolazione che ammonta a 38 milioni di abitanti, con un’aspettativa di vita non superiore ai
44 anni di età per gli uomini e 46 anni per le donne, vi è un elevatissimo tasso di mortalità
infantile. Anche questa è una terra in cui il virus dell’HIV è estremamente diffuso, e tale virus
è una delle maggiori cause della comparsa di bambini orfani. Infatti sono circa un milione i
bambini che in Tanzania hanno perso uno o entrambi i genitori. Nella regione Mara, ove
l’ASSOS opera dal 2002, l’infezione colpisce prettamente la fascia di età riproduttiva (15-45
anni). Questa fascia di terra, contraddistinta da questa alta incidenza del virus, è caratterizzata
da un tessuto economico e produttivo devastane. Non appena i volontari approdarono in
Tanzania vollero subito realizzare un accordo di cooperazione internazionale con la diocesi di
Musoma, capoluogo della popolosa regione Mara. Il primo compito dei volontari fu quello di
studiare il territorio, di dialogare con la popolazione autoctona, per meglio comprendere le
loro esigenze e di conseguenza quali fossero le opere necessarie da realizzare, rimanendo
sempre in accordo con la popolazione locale45. Tutto partì da una semplice fornitura di
medicinali ai due dispensari di Gamasara e Masonga (nella regione Mara). Ulteriori iniziative
furono promosse presso l’ospedale di Kibara e nella vicina scuola elementare di Kogifa. Fu
l’interesse verso la scuola che fece nascere l’idea di promuovere dei gemellaggi tra le scuole
italiane e quelle della regione Mara in Tanzania, così da poter creare dei legami e delle
interazioni tra gli studenti dei due paesi. Nacque così il progetto “Scuole per le Scuole”46.
venne portato avanti sempre nella regione Mara il “progetto adotta un maestro”, nasce con
l’intento di coniugare cooperazione (sostegno economico e tecnico) e intercultura (relazione
di scambio). Il progetto parte dal presupposto di garantire l’istruzione scolastica ad un
maggiore numero di bambini, in situazioni di disagio scolastico. Perciò piuttosto che adottare 44 http://www.assosterni.com/afr_attivita.php45 http://www.supercrocio.com/uganda_oluko.php46CROCELLI S.”Uganda, adotta una scuola” messaggero(Terni) 2006 p15
25
uno studente che diventa discriminante rispetto a fratelli o sorelle, all’associazione è sembrato
più opportuno adottare gli insegnanti. Il metodo adottato è quello specifico dei progetti di
educazione interculturale, che parte dall’idea centrale del superamento della visione
entocentrica della cultura occidentale per aprirsi ad altre dinamiche geografiche, culturali47.
Nel 2003 l’ASSOS si trova ad operare ancora in Tanzania; con la spedizione di gennaio e
febbraio, ha inviato a Tarime presso il dispensario di Gamasara, un container con medicinali,
apparecchiature mediche per attrezzare la sala parto ed altri generi di prima necessità ad
alcune scuole della zona. Nell’ allestimento dell’ ospedale di Kibara alcuni macchinari furono
lasciati nel container per attrezzare successivamente la sala parto di Kibara, unica struttura del
genere nell’intera regione Mara48. Il 2005 risultò un anno difficile per gli ostacoli burocratici
incontrati, dal momento che, se pur conclusi i lavori di edificazione e di allestimento del
dispensario, i burocrati africani impedirono la messa in funzione della struttura,
autorizzandola solo dopo un tormentato iter procedurale. Superata questa difficoltà, il
dispensario è divenuto efficiente e, visti i risultati soddisfacenti, si è fatta strada tra la
popolazione Lugbara l’esigenza di far sorgere un reparto di maternità con un’assistenza
rivolta anche al neonato.
3.2 Metodologia adottata dall'ASSOSI volontari dell’organizzazione hanno optato per l’adozione di un approccio innovativo noto
come “sviluppo partecipativo”. Questo moderno approccio verte sull’approvazione, da parte
di tutti i soggetti coinvolti a vario titolo in un intervento di cooperazione internazionale, dei
processi di cambiamento da esso indotti. Questa nuova chiave di sviluppo, detto partecipativo,
mira a correggere una contraddizione della cooperazione internazionale presente fino a
qualche anno fa, secondo la quale nei processi di mutamento programmato il ruolo principale
sarebbe quello svolto dai pianificatori (politici, diplomatici, tecnici) depositari di un sapere
esperto, piuttosto che dai protagonisti di quel mutamento. Il principio dello sviluppo
partecipativo è quello della partecipazione popolare. Ciò che ha spinto l’ASSOS, che si
occupa di cooperazione, ad orientarsi verso uno sviluppo partecipativo è stato, in parte,
l’espressione “good governance” (buon governo)49, con la quale si intende perseguire una
situazione in cui si verifica una cooperazione tra fattori che abbiano attinenza con la gestione
del settore pubblico, con lo stato di diritto, con il rispetto dei diritti umani, e con i processi di
47 http://www.assosterni.com/afr_scuole.php48 http://www.assosterni.com/afr_progetti.php49TOMMASOLI M. “lo sviluppo partecipativo” Tomassoli M. Roma 2001, dottore in etnologia all’ecole des Hautes Etudes en Sciences a Parigi, ha lavorato all’Unesco e al ministero degli affari esteri: dirige attualmente l’unità Governance and Development Partnership per la cooperazione allo sviluppo dell’OCSE.
26
democratizzazione in vista di un obiettivo univoco: lo sviluppo partecipativo. Esso parte dalla
constatazione che lo sviluppo non è un processo unico, omogeneo, risultato di una
combinazione di scelte tecniche, decisioni politiche, e logiche relazionali, ma è piuttosto un
insieme di processi sociali provocati da interventi volti a modificare un contesto per il
raggiungimento di obiettivi predeterminati. Inoltre Tomassoli50 fa emergere il fatto negativo
che contraddistingue gran parte delle agenzie di cooperazione in cui prevale un’idea ambigua
secondo la quale sarebbe possibile considerare lo sviluppo separatamente dalla cultura delle
popolazioni in cui vanno ad operare, come se si trattasse di due diversi ordini di realtà.
Secondo questa moderna metodologia dello sviluppo partecipativo, i beneficiari dei progetti
assumono un ruolo attivo sia nella fase di pianificazione, sia in quella di realizzazione dei
progetti e diventa d’obbligo ascoltare la loro voce per quanto riguarda la decisione da
scegliere per lo sviluppo, i tassi di intensità ed il grado di accettabilità dell’impatto di una
innovazione a livello locale. Oltre a questo, la fase progettuale si apre alle competenze ed ai
saperi locali. Secondo una prospettiva che tende a mettere quindi le persone destinatarie dei
progetti “al primo posto”, si comincia a considerare di fondamentale importanza la
sostenibilità sociale e culturale dei progetti, ciò è quanto sostenuto da Chambers51 e da
Cernea52. È Freire53 ad affermare che all’interno dei principi portanti dello sviluppo
partecipativo gioca un ruolo fondamentale l’empowerment, ovvero l’insieme dei meccanismi
e dei processi che permettono alle comunità di assumere potere decisionale e di esprimere la
propria volontà per ottenere il raggiungimento di un obiettivo comune, normalmente in
seguito ad un processo di assunzione di conoscenza rispetto a determinate problematiche o a
situazioni strutturali che provocano il perdurare dell’oppressione e della povertà.
La recente fortuna del principio dello sviluppo partecipativo si iscrive in una più generale
reazione all’inadeguatezza degli strumenti concettuali con i quali i principali attori della
cooperazione internazionale, vale a dire governi, agenzie intergovernative, ONG, altre
istituzioni della società civile, mass media, centri di formazione e ricerca e soggetti del settore
privato, hanno visualizzato e trattato lo sviluppo.
Il richiamo alla partecipazione popolare non ha di certo risolto le contraddizioni delle
istituzioni che si propongono lo sviluppo come obiettivo della propria attività, ha però avuto il
pregio di mettere in evidenza i limiti degli approcci precedenti e di indicare alcune potenziali
50TOMMASOLI M. “lo sviluppo partecipativo. Analisi sociale e logiche di pianificazione” Roma Carocci 200151CHAMBERS “lo sviluppo partecipativo analisi sociale e logiche di pianificazione” Tomassoli M. Roma Carocci 200152CEMEA “lo sviluppo partecipativo analisi sociale e logiche di pianificazione” Tomassoli M. Roma Carocci 200153FREIRE.“subire la cooperazione? Gli aspetti critici dello sviluppo nell’esperienza di antropologi e cooperanti” Zanotelli F., Lenzi Grillini F. 2007
27
vie di uscita. Kaufmann54 si dimostra un pò critico affermando che anche se il vocabolario
dello sviluppo si è arricchito di termini come empowering, enabling, sustainability, (sviluppo
endogeno, pianificazione a partire dall’analisi dei bisogni fondamentali, progetti auto
sostenuti), sviluppo sostenibile, bisogna sempre mantenere un livello alto di attenzione nelle
analisi dei singoli progetti per comprendere se queste parole non vengano usate
esclusivamente per dare una veste “politicamente corretta” a progetti pianificati e realizzati
sempre e comunque in un’ottica impositiva ed escludente per le comunità locali.
Un interessante approccio a tal proposito è quello menzionato da Colajanni,55 il quale,
rivolgendosi tanto agli antropologi quanto alle Ong, li individua come i due soggetti
maggiormente capaci di instaurare un dialogo e procedure realmente partecipative. Per
Colajanni la congiuntura è in questo momento favorevole affinché il lavoro di ricerca degli
antropologi si concentri sulle istituzioni dello sviluppo (Banca Mondiale, Onu, etc) in modo
da evidenziare il funzionamento e le contraddizioni tra i discorsi e le pratiche. L’auspicio è
che, se le critiche sono ben motivate e giustificate dai dati, e se sono comunicate in modo
convincente e non ideologico, esse possano arrivare ai decisori più sensibili all’interno di
queste grandi macroistituzioni. Inoltre, nell’ambito delle condizioni per un dialogo proficuo
tra cooperanti ed antropologi, Colajanni considera fondamentale che venga riposta reale
attenzione e priorità di ordine decisionale alla ricerca antropologica sulle conoscenze e sui
saperi locali (di ordine sociale, cosmologico, fitoterapico etc.) oltre che su temi e modi locali
di concepire lo sviluppo.
Infatti, nel caso di Arua, ci troviamo in un villaggio, quello di Oluko, ove sarebbe
estremamente riduttivo e superfluo partire con progetti che provengono dall’alto e che
prescindono dalle richieste della popolazione autoctona, perché escludendo il loro punto di
vista si andrebbe ad agire in settori inutili ai fini di un miglioramento del tenore di vita della
popolazione, ed è in virtù di ciò che l’ASSOS opera mediante progetti che nascono dal basso,
tramite una cooperazione tanto con i volontari quanto con chi detiene il potere e con il popolo.
Infatti, con lo sviluppo partecipativo non si intende il totale rifiuto dell’opinione dei
pianificatori dello sviluppo e del loro sapere applicato, anzi, ma tutto deve rientrare in una
logica partecipativa. Non deve esserci un predominio di questi, poiché dando troppo adito ai
tecnici del lavoro a prescindere dalla popolazione locale si andrebbe incontro ad un “non
aiuto” dei poveri, delle donne (le quali vivono ad Oluko in uno stato di indigenza a causa di
una non presa di coscienza dei loro diritti), degli sfollati, dei bambini (i quali ad Oluko sono
54KAUFMANN subire la cooperazione? Gli aspetti critici dello sviluppo nell’esperienza di antropologi e cooperanti Zanotelli F. Lenzi Grillini F. ed. italiana 2007 pp19-2355COLAJANNI A.“subire la cooperazione? gli aspetti critici dello sviluppo nell’esperienza di antropologi e cooperanti”. Zanotelli F., Lenzi Grillini F. ed.italiana 2007 pp. 23-27
28
privati della loro infanzia), non bisogna infatti dimenticare poi che ci troviamo in Uganda,
regione in cui i bambini ancora in tenera età sono stato costretti ad arruolarsi nell’ esercito.
Come afferma Tomassoli,56 lo sviluppo è costituito da pratiche e relazioni sociali e culturali,
valori, norme, azioni, soggetti, istituzioni, ovvero il classico campo di indagine
dell’antropologia.
3.3 Iter procedurale di un progetto di cooperazione per l'Africa
proposto dall'ASSOSChiaramente, l’ASSOS, in quanto Onlus dedita alla cooperazione, attribuisce molta
importanza all’iter procedurale a cui è sottoposto un progetto di aiuto. Il ciclo del progetto
consiste nell’insieme di procedure e di regole per l’identificazione, la formulazione,
l’approvazione, l’esecuzione, il controllo e la valutazione di un intervento, definendo le
principali responsabilità assegnate ai vari soggetti in esso coinvolti. Questo è necessario
poiché tanto le istituzioni quanto le agenzie di cooperazione attribuiscono un’importanza
centrale al sistema del ciclo del progetto e al quadro logico, che sono gli strumenti più diffusi
per la pianificazione di iniziative di sviluppo57.
Un progetto di cooperazione, infatti, consta di alcune peculiari fasi. Vi è la delineazione delle
ragioni e delle modalità dell’impegno, demarcando una priorità di intervento geografica e
settoriale. La fase successiva consiste nella delineazione degli attori coinvolti nel portare
avanti un determinato progetto. Ne segue un’attenta analisi della situazione di partenza e la
scelta della strategia da adottare per meglio perseguire gli obiettivi prefissati, dopo di che si
procede portando avanti uno studio di fattibilità e pertinenza nell’adempimento dell’opera.
Poi occorre procedere con una capillare definizione delle attività, dei tempi e delle risorse
necessarie. Fino ad arrivare ad una valutazione finale riguardo l’efficacia e la sostenibilità.
Nell’elaborazione di un progetto, i volontari dell’ASSOS delineano dettagliatamente la logica
di intervento, gli indicatori di monitoraggio, le fonti oggettivamente verificabili, gli obiettivi, i
risultati attesi e le attività da svolgere.
Nel corso del 2007 l’ASSOS ha dunque concentrato i suoi progetti nel nord dell’Uganda nel
distretto di Arua e più precisamente nel villaggio di Oluko. I primi gruppi di volontari
poterono constatare la necessità di realizzare alcuni progetti su indicazione del vescovo di
Arua58, del parroco di Oluko, e dei capi famiglia del villaggio.
In generale. L’ASSOS porta avanti l’ideazione e la realizzazione del progetto in loco, ad
56TOMMASOLI M. “lo sviluppo partecipativo. Analisi sociale e logiche di pianificazione” Roma Carocci 2001 pag 16-2757TOMMASOLI M. “lo sviluppo partecipativo. Analisi sociale e logiche di pianificazione” Roma Carocci 200158 Dvd Intervista al Mons. DRANDUA F.
29
Oluko, chiedendo i preventivi agli appaltatori africani e cedendo l’appalto a coloro che hanno
formulato la proposta più economica. Non appena percepita l’autorizzazione da parte sia
dell’anziano del villaggio che dei burocrati e quando l’Onlus detiene i soldi necessari per
iniziare, cominciano i lavori. L’ASSOS percepisce i fondi che gli consentono di portare avanti
i progetti di cooperazione da vari sostenitori; da scuole italiane ad esempio, dalla provincia di
Terni, dalla regione dell’Umbria e da donazioni volontarie da parte di privati, in parte anche
dalla comunità europea. Dunque, una volta che il progetto è pienamente condiviso dalla
popolazione, hanno inizio i lavori. L’inizio dei lavori genera una circolazione di moneta tra la
popolazione, ciò rappresenta una novità, poiché non hanno dimestichezza con il denaro, dal
momento che i loro scambi commerciali sono per lo più incentrati sulla tecnica del baratto. La
realizzazione di questi progetti incentrata sul coinvolgimento della popolazione porta anche
ad una buona emancipazione degli autoctoni mediante l’introduzione di un’economia di
mercato.
Questo approccio innovativo, incentrato sulla collaborazione ad ampio raggio, nel corso dei
primi contatti può far nascere anche delle incomprensioni dovute alle diversità delle culture di
appartenenza. Un elemento cardine che contraddistingue questo nuovo approccio nell’ambito
della cooperazione è anche il fatto che, nei primi giorni di contatto, spetta all’occidentale (nel
caso di Oluko) capire, conoscere, comprendere le tipiche dinamiche sociali vigenti nella data
realtà per agire nel rispetto delle tradizioni e dei valori locali, ricordandosi sempre che si è li
per lavorare insieme, per far perseguire loro una vita migliore.
Ad Arua in questo momento gira una buona quantità di soldi connessi all’edilizia, grazie alle
varie iniziative che l’ASSOS sta portando avanti (nursery school, pozzo, reparto di maternità),
ciò fa si che persone che non avevano affatto dimestichezza con i soldi inizino ora ad averne.
Una figura estremamente indispensabile per far funzionare un progetto di cooperazione è
quella del referente africano, che insegna a relazionarsi con i burocrati, a presentarsi nei loro
uffici, con l’occidentale che in un primo momento lo accompagna, proprio per apprendere.
È estremamente importante sapersi relazionare con chi detiene il potere, perché tra la
progettazione, la realizzazione e l’inaugurazione di una qualunque struttura possono sorgere
problematiche suscitate, a volte, proprio da chi detiene il potere. Un concetto che è stato
indispensabile far acquisire alla popolazione africana per portare avanti un progetto di
cooperazione ad ampio raggio è il significato della parola “mentre”, a loro incomprensibile.
Riuscendo così a portare avanti più progetti contemporaneamente, nonostante ci troviamo a
contatto con una cultura in cui il tempo è concepito in modo diverso: non esiste la fretta, tanto
da parlare di “africana pacatezza”59.
59La popolazione Lugbara è contraddistinta da una grande pacatezza. RENGO M. il volo come missionario in 30
Dunque, alla base di un progetto di cooperazione, diventa indispensabile la comprensione dei
nativi. I Lugbara sono una popolazione con una grande dignità, è fondamentale riuscire a
capirli, comprenderli e rispettare le loro usanze, le loro idee, perché è proprio dalla
collaborazione che nascono i frutti migliori. L’occhio dell’occidentale percepisce
l’atteggiamento africano come anomalo, a volte addirittura strafottente, ma alla base della
cooperazione c’è proprio il superare queste diversità generate dall’appartenenza a culture
diverse. Perciò, per poter arrivare a lavorare armoniosamente insieme, è indispensabile
trovare dei punti di contatto tra queste due diverse realtà60.
La cooperazione internazionale è fondata idealmente sul principio dello scambio reciproco,
della collaborazione, della solidarietà; essa deve fondarsi sulla consapevolezza
dell’interdipendenza che lega i vari soggetti coinvolti, e dal fatto che il pianeta è uno ed
appartiene e tutti.
Lo strumento scelto dall’ASSOS per accorrere in aiuto all’Africa Equatoriale, è stato quello
del sostegno e del finanziamento dei progetti di sviluppo. L’obiettivo prefissato è stato, oltre a
quello di migliorare le condizioni di vita della popolazione dei paesi africani, quello di farlo
rendendo gli autoctoni attori partecipanti del loro cambiamento.
La lotta alla povertà è una sfida globale che si vince solo agendo a livello locale con la
promozione dello sviluppo locale integrato, partecipativo, inclusivo e democratico. La
cooperazione decentrata, quella utilizzata dall’ASSOS per realizzare i vari progetti, avendo
caratteristiche di orizzontalità, vede il significato del progetto e la sua realizzazione come un
“processo di accompagnamento” e di creazione di relazioni stabili e a lungo termine con una
specifica comunità partner.
3.4 L’arrivo dei volontari dell'ASSOS ad OlukoÈ febbraio 2006 quando i volontari dell’ASSOS approdano in Uganda, nella città di Arua.
Partirono in quattro, e vennero ospitati presso la parrocchia di S. Maria, una parrocchia degli
apostoli di Gesù, e poterono sin da subito contare sull’appoggio del vescovo di Arua, con il
quale s’instaurò sin da subito un perfetto rapporto di complicità nel portare avanti vari
progetti di cooperazione61. I volontari dell’ASSOS arrivarono ad Oluko previo invito del
parroco della parrocchia, che conoscendo l’associazione e gli obiettivi che questa aveva già
Uganda il messaggero (Terni) 200660RENGO M. il volo come missionari in Uganda; tre ternani iscritti all’ASSOS al seguito dell’associazione di volontariato del terzo mondo il messaggero 2006 p1161RENGO M. il volo come missionari in Uganda, tre ternani iscritti all’ASSOS al seguito di volontariato del terzo mondo il messaggero (Terni) 2006
31
perseguito in Tanzania e in Kenia, vi ripose fiducia.
Nel corso della visita del febbraio 2006 l’ASSOS ha stipulato un accordo di durata
quinquennale con la diocesi di Arua e con le autorità governative distrettuali per l’avvio di
una serie di progetti in ambito scolastico, sanitario e di assistenza agli orfani. L’accordo che
lega questa Onlus alla diocesi, rappresenta per i volontari una protezione e allo stesso tempo
una grande spalla sulla quale poter fare affidamento. Tanto più che varie sono le difficoltà di
ordine burocratico che si devono affrontare, perciò poter contare sulla diocesi è estremamente
rassicurante per i volontari. Ciò che per il vescovo di Arua, Mons Frederick Drandua62, è
fondamentale è che la suddetta ONG porti avanti dei progetti in stretto contatto con la
popolazione autoctona, rispettando i suoi valori, usanze, credenze, ed è dall’ascolto dei loro
bisogni che si deve partire per poi cercare di soddisfarli insieme. Ma ciò che preme di più al
vescovo, consiste prima di tutto nell’impartire una buona istruzione scolastica, a livello di
conoscenza della lingua inglese (lingua ufficiale), ma accanto a questa ritiene che sia
fondamentale insegnare hai bambini anche le tecniche più innovative a livello di vita pratica:
come coltivare i campi, costruire delle tettoie e tutto ciò che può aiutarli. Impartendo loro
così un’istruzione interdisciplinare e aiutandoli a divenire bambini più consapevoli e capaci di
migliorare il loro tenore di vita.
Dunque è fondamentale che la popolazione autoctona venga coinvolta in prima persona, fatta
collaborare nel vivo dei lavori, così che nel momento in cui i volontari avranno terminato il
proprio operato potranno sentirsi orgogliosi di avergli trasmesso nuove tecniche di
costruzione e artigianali, che possono riguardare l’edificazione di un edificio, ma anche la
realizzazione di tavoli, di sedie, spingendoli a migliorasi anche in futuro, autonomamente, nel
momento in cui i volontari stessi lasceranno il paese. Perciò, la caparbietà degli operatori di
questa Onlus sta proprio nel non creare persone da loro dipendenti, anzi, tutt’altro, devono
essere formate persone autonome capaci di soddisfare da sé i propri bisogni.
I volontari ormai considerano prassi l’adozione di un approccio di cooperazione partecipante,
poiché il loro obiettivo, oltre a quello di portare aiuti, è proprio quello di rendere la
popolazione attiva, capace di garantirsi un futuro più dignitoso, e questo lo si può raggiungere
solo facendoli collaborare e rendendoli partecipi. Importantissimo, infatti, è il “non fare per
loro” ma “il fare con loro” in vista dell’obiettivo cardine che è proprio quello di rendere la
popolazione autosufficiente63. Non appena arrivati ad Oluko i volontari si sono trovati dinanzi
ad una realtà molto cruda. Il primo approccio dei quattro volontari è stato di mera
osservazione. Tutto è iniziato attraverso l’esplorazione del villaggio e delle località limitrofe,
62 Dvd: intervista al vescovo di Arua Mons. DRANDUA F.63 http://www.supercrocio.com/uganda_oluko
32
all’inizio, infatti, è molto importante viaggiare molto per capire la realtà del villaggio, è
fondamentale un’osservazione discreta, mai invadente per comprendere al meglio la realtà
ospitante.
Fondamentale è che gli operatori dell’ASSOS devono saper ascoltare la popolazione
autoctona, poiché è proprio attraverso il dialogo con loro che si riesce a comprendere le loro
necessità.
3.5 Prime proposte avanzate dal popolo LugbaraSin da subito l’attenzione dei Lugbara era rivolta all’edificazione di una nursery school per
togliere i bambini più piccoli dalle strade, alla messa in funzione del dispensario, alla
possibilità di avere a disposizione una più dignitosa quantità di acqua potabile. L’ASSOS,
oltre ad aver dato credito alle proposte nate dal basso si è lasciata consigliare anche dal
vescovo della diocesi di Arua64, dal parroco della parrocchia di Oluko, e dai capi famiglia del
villaggio65.
I capi famiglia si sono fatti portavoce dei bisogni dell’intera comunità Lugbara, tenendo una
sorta di riunione ove sono state elencate le loro necessità, e previo comune accordo, sono state
deliberate le decisioni da parte dei capi; ed è da questa riunione che sono state prese le varie
decisioni a livello locale, poi riferite ai volontari66. Fondamentalmente, chiesero di realizzare
innanzitutto una scuola materna dedicata ai bambini con un età compresa tra i tre ed i sei anni.
Questa struttura avrebbe accolto tutti i bambini in età prescolare, togliendoli dalla strada, ed
impartendo loro le prime nozioni di lingua inglese.
In secondo luogo, si manifestò la necessità di provvedere alla distribuzione di acqua potabile
per tutto il villaggio, poiché esisteva un solo pozzo con un sistema di pescaggio dell’acqua
obsoleto67.
Per ultimo illustrarono la necessità di realizzare un piccolo reparto di maternità,
assolutamente necessario in un ambiente in cui la mortalità materna e neonatale è
estremamente elevata, e scarsa o nulla è l’igiene connessa alla gravidanza68.
64 Dvd intervista al Mons. Frederick Drandua65 http://www.assosterni.com/afr_iniziative.php66 Intervista a volontari attivi nell’As.So.S.67 RENGO M. Il volo come missionario in Uganda tre ternani iscritti all’assos al seguito dell’associazione di
volontariato del terzo mondo il messaggero (Terni) 200668 Sito ufficiale dell’As.So.S. www.assosterni.com
33
IV CAPITOLO
4 La nursery schoolI volontari, non appena arrivati nel villaggio di Oluko, sede logistica dell’ASSOS, rimasero
colpiti fortemente dalla mancanza di strutture ricettive per i bambini in età infantile, motivo
per cui questi ultimi erano costretti a trascorrere gran parte delle ore giornaliere lungo le
strade.
34
Questo fece si che per i volontari dell’ASSOS divenne di prima necessità la costruzione di
una nursery school, realizzandola nel rispetto sia della volontà del popolo sia del volere di chi
detiene il potere, instaurando sin da subito una collaborazione con la popolazione locale, in
quanto sostenitori di una cooperazione partecipativa.
Nel momento in cui i volontari arrivarono ad Oluko, l’analisi dei principali indicatori
demografici unitamente all’esperienza sul campo maturata dall’ente promotore, evidenziarono
l’esistenza di un problema macroscopico legato agli altissimi tassi di mortalità infantile, dal
momento che i bambini venivano troppo lasciati in disparte, se pur ancora in tenera età, così
mettendoli nella condizione di contrarre più facilmente le malattie, perché non ancora in
grado di camminare si ritrovano a gattonare per terra.
Altri fattori che testimoniano la grande mortalità infantile sono connessi alla grande piaga
dell’Aids; questo accade perché la popolazione non è cosciente di quanto sia grave il virus ne
tanto meno sa come arginare il problema, alimentata in buona parte da un comportamento
riproduttivo non consapevole generato prettamente da un basso livello di istruzione, problema
che appare più grave per le donne, bambine, rappresentanti la fascia più debole della
popolazione. In questo senso la scuola può giocare un ruolo sicuramente redditizio, mediante
l’educazione dei ragazzi.
Uno dei punti di forza nella riduzione di questi problemi è contraddistinto dal fatto che il
governo è molto sensibile al miglioramento delle condizioni di vita della popolazione. I
volontari dell’ASSOS, nella realizzazione della nursery school hanno potuto far affidamento
su dei sostenitori autoctoni pronti a fornire il loro appoggio. Per di più la manodopera locale
si è dimostrata ben disposta ad essere impiegata nel progetto. In conformità al principio della
cooperazione partecipante, una volta delineate le modalità di intervento, previo accordo con la
popolazione locale, iniziano i lavori.
Grazie all’accordo stipulato dall’ASSOS con la diocesi di Arua sicuramente per i volontari è
stato più semplice portare avanti anche i lavori di realizzazione della scuola materna69.
Il villaggio è pieno di bambini; ve ne sono molti in ogni capanna, in virtù della poligamia e
dell’estrema leggerezza con la quale vengono messi al mondo, che coinvolge tanto gli adulti
quanto i ragazzi Lugbara.
4.1 Lavori progettuali della nurseryCome già detto, la realizzazione del progetto della nursery school è stata portata avanti dai
volontari, i quali hanno rispettato capillarmente l’idea che il popolo Lugbara ha di scuola, per
69 http://www.assosterni.com/pro_uganda.php35
cercare di avere un atteggiamento meno invasivo possibile70. Durante il primo viaggio
affrontato dai volontari dell’ASSOS, avvenne la loro presentazione ufficiale dinanzi al popolo
Lugbara. Accadde in chiesa, considerato il luogo più frequentato. Fu in questa sede che venne
descritto il modo in cui avrebbero operato sul territorio, illustrando i progetti che si volevano
realizzare ad Oluko. I Lugbara sono stati contenti di essere stati resi partecipi, in quanto è una
popolazione curiosa. La popolazione, dinanzi all’illustrazione dei progetti dell’associazione,
si dimostrò sin da subito disponibile nell’offrire il proprio appoggio, considerando le
iniziative dei volontari proficue per tutti. I volontari hanno trovato un terreno favorevole alla
realizzazione dei loro progetti, eccetto qualche particolare difficoltà incontrata nei rapporti
con il governo, ma poi sanata.
La realizzazione fisica del progetto ha richiesto l’intervento sia dell’architetto che del
geometra, ambedue africani.
La decisione definitiva per poter dare inizio ai lavori è spettata agli autoctoni, che, come già
detto, hanno fatto sentire la loro voce mediante una riunione. In questo caso si è trattato del
consiglio pastorale della parrocchia, al quale hanno partecipato anche le donne del villaggio,
(quelle che hanno studiato e che quindi riescono a conversare in inglese; è solito infatti per le
insegnanti che si trovano in loco prendere parte alle riunioni decisionali) poiché nel villaggio
di Oluko vige una grande complicità tra il popolo ed i religiosi, in quanto al loro interno è
molto forte la devozione in Cristo, che li porta a partecipare attivamente alla vita religiosa
della parrocchia.
Infatti il consiglio pastore è anche un pò un consiglio degli anziani, i quali detengono il potere
decisionale nel villaggio. In virtù dell’esito favorevole espresso dal consiglio pastorale
riguardo alla realizzazione della nursery, sono iniziati i lavori previa consultazione dei
burocrati. Una volta approvato il disegno dagli autoctoni, e potendo contare sul loro appoggio
per l’edificazione, il progetto è stato sottoposto dai volontari dell’ASSOS all’attenzione di
tutti quegli enti che erano disposti ad inviare sovvenzioni economiche, come ad esempio la
Comunità Europea, il Comune di Terni, la Provincia di Terni, la Regione Umbria ed altre
ancora. L’ASSOS può contare su un grande aiuto offertogli dal Centro Internazionale Per la
Pace fra i popoli di Assisi.71 Nel momento in cui i volontari dell’ASSOS hanno la
consapevolezza di disporre di fondi a sufficienza per la realizzazione della struttura, iniziano i
lavori.
I lavori per la costruzione della nursery sono proceduti piuttosto velocemente anche sotto il
profilo burocratico, dato che gli operatori dell’ASSOS avevano ormai maturato una 70 http://www.assosterni.com/afrattivita.php71Questo Centro internazionale opera in 18 paesi nel mondo. L’ASSOS ha stipulato un accordo con il suddetto centro che gli consente di fare tanti passi avanti.
36
competenza tale da rendere più efficaci i loro interventi sul campo, dopo aver lavorato per
cinque anni in altri paesi africani. Ciò dimostra quanto sia importante la relazione con la
popolazione autoctona, poiché è proprio grazie a questa che si comprendono le dinamiche
sociali, comportamentali, facilitando, così, l’operato dei volontari. Uno dei complessi compiti
che spetta ai volontari è proprio quello di comprendere le dinamiche sociali e relazionali
connesse alla realizzazione della nursery sul territorio; devono capire la reazione dei nativi
dinanzi all’intervento degli occidentali; si produce, infatti, una grande rete relazionale
incentrata sugli sguardi, sui movimenti del corpo, sulla mimica facciale. E’ molto importante,
almeno inizialmente, studiarsi, imparare a dire le cose nel modo giusto. Anche nella semplice
contrattazione economica per il cemento, utilizzato per l’edificazione della nursery, è
intrinseca una ricca rete di relazioni tipicamente africane dinanzi alle quali l’italiano deve
riflettere prima di agire.
Infatti, gli africani hanno un forte senso della contrattazione, anche se in gioco vi sono solo
pochi spiccioli. I volontari della Onlus, se pur provenienti dal mondo occidentale, governato
da altre leggi sociali, hanno dovuto assecondare l’atteggiamento africano anche nella
contrattazione del cemento stesso. È compito del volontario capire le modalità di
contrattazione africane e cercare di adeguarsi ad esse. È bene che l’occidentale tenga sempre a
mente il fatto che il popolo Lugbara è avvolto da una tipica “africana pacatezza”, che tocca
anche le modalità con cui viene fornito il cemento per la realizzazione della nursery.
4.2 Incomprensioni con i nativi durante l'edificazione della nurseryLa promozione e la realizzazione di programmi di sviluppo dedicati alle popolazioni e gruppi
del “terzo mondo” implicano l’incontro-scontro fra due forme di sapere e conoscenza. Mark
Hobart,72 raccogliendo una serie di studi monografici su singoli progetti, giunge a conclusioni
piuttosto pessimistiche sulla possibilità di un dialogo significativo e proficuo tra il mondo
occidentale che pianifica lo sviluppo e le società destinatarie dei progetti. Per Hobart una
comunicazione efficace tra i due mondi che entrano in contatto nei contesti di sviluppo risulta
72HOBART “subire la cooperazione? Gli aspetti critici dello sviluppo nell’esperienza di antropologi e cooperanti Zanotelli F. Lenzi Grillini F. ed.italiana 2007
37
quindi impossibile, e la conseguenza di queste incomprensioni sarebbe la nascita di giudizi
morali negativi sulle strutture di conoscenza altrui, interpretate come forme di “ignoranza”.
Per Hobart i progetti di sviluppo, anche quelli partecipativi, non potranno mai realizzarsi
completamente, e quindi è inutile impegnarsi in proposte finalizzate a raggiungere questo
obiettivo. Rispetto a ciò che emerge dall’analisi di Hobart, va detto che, sebbene sia vero che i
due mondi sembrano spesso non comprendersi e che in molti casi quest’incomprensione abbia
fatto si che gli interventi fallissero, non bisogna dimenticare tutti i progetti che riescono ad
inserirsi positivamente, anche attraverso dei compromessi. Compromessi inevitabili, dal
momento che i due mondi continuano a non capirsi completamente e a produrre
interpretazioni diverse di eventi e processi che non hanno lo stesso significato per la
popolazione locale e per i pianificatori.
Su tutt’altra posizione, rispetto ad Hobart, è Colajanni73, che ripone fiducia nella possibilità di
sviluppare progetti che si basino sull’esperienza e le conoscenze specifiche delle popolazioni
destinatarie. Colajanni si concentra soprattutto sugli strumenti che l’antropologia ha a
disposizione e può mettere in campo per dare un contributo importante a progetti troppo
spesso fallimentari. Colajanni analizza la storia del rapporto tra antropologia e sviluppo, e
soprattutto la necessità che gli antropologi impegnati nello “sviluppo” si adoperino per
produrre sapere e conoscenza scientifica al pari dei loro colleghi ricercatori, non lasciando che
questo settore dell’antropologia sia considerato come una sottodisciplina di seconda mano.
Questa sfida, per Colajanni, può essere vinta, e allo stesso tempo è possibile dialogare con le
popolazioni locali dei Paesi in via di sviluppo per apprendere contributi essenziali e per
realizzare progetti condivisi.
Colajanni ripone fiducia anche nell’ambito più generale della cooperazione allo sviluppo e
alla istituzioni che lo regolano e lo pianificano. Queste ultime, secondo Colajanni, nel corso
degli anni hanno dimostrato un’apertura ai contenuti e alle tematiche prettamente culturali,
con l’entrata, nel gergo dello sviluppo, di termini come identità, storia, memoria, patrimonio,
tradizionalmente escluse dal discorso dello sviluppo. Una serie di segnali che quindi vanno
colti in senso positivo e che confermano la tendenza di un processo che ha portato i
pianificatori dello sviluppo a prendere in considerazione gli aspetti e le tematiche
socioculturali all’interno dei programmi di intervento.
In virtù del fatto che i volontari dell’ASSOS sono sostenitori di quest’ultimo approccio, essi
hanno dialogato capillarmente con la popolazione Lugbara, calandosi nella cultura africana.
Nel portare avanti i lavori per la realizzazione della nursery, i volontari, anche nella semplice
73COLAJANNI A.“subire la coopeazione? Gli aspetti critici dello sviluppo nell’esperienza di antrpologi e cooperanti” Zanotelli F. Lenzi Grillini F. ed.italiana 2007
38
contrattazione del cemento, hanno avuto modo di confrontarsi con la cultura africana. Ad
Arua la contrattazione ha un ruolo importante nella conclusione degli affari; lì hanno proprio
il culto del dover contrattare anche se in gioco ci sono pochi centesimi. C’è anche il problema
del reperimento effettivo di questo; infatti è capitato più di una volta che i volontari hanno
contrattato una certa quantità di cemento che poi, di fatto, i fornitori non possedevano in quel
momento, generando disagi alla prosecuzione dei lavori. Anche in virtù del fatto che i
volontari non possono trovarsi sempre in loco, essi devono concentrare i maggiori interventi
sul territorio nel minore tempo possibile. Dinanzi a tale situazione, i volontari non hanno
potuto fare altro che rispettare i tempi africani. Ma queste sono dinamiche che si apprendono
lentamente, e che in un primo momento lasciano perplessi gli occidentali.
In Africa a volte si manifestano dei malcostumi che coinvolgono anche gli appaltatori edilizi.
Anche durante la realizzazione della struttura destinata alla scuola materna è capitato che
proprio chi aveva la responsabilità della gestione, e che quindi avrebbe dovuto dare il buon
esempio, veniva trovato, nel pieno di una giornata lavorativa, disteso all’ombra di un albero di
mango. Per i volontari occidentali una cosa simile è apparsa disdicevole, anche se sembra non
esserlo per il popolo africano. Diverse sono state le incomprensioni sorte con i nativi durante i
lavori prettamente pratici.
Partendo dal presupposto che, nel momento in cui si opta per un approccio di tipo
partecipante, diventa estremamente indispensabile poter contare su di una persona del posto,
l’ASSOS ha scelto un proprio referente. Anche in virtù del fatto che, grazie ad una persona
che svolge questo ruolo, si garantisce la continuità ai vari progetti anche quando i volontari
non possono essere in loco.
In un primo momento, la suddetta Onlus ha potuto fare affidamento su un referente africano
che si dimostrò estremamente devoto verso i lavori che stavano portando avanti. Purtroppo, in
un secondo momento, egli è divenuto motivo di litigio tra gli autoctoni e i volontari. Questa
persona, in veste di referente ufficiale dell’ASSOS, si è adoperata collaborando con i
volontari in modo attivo, nel portare avanti i lavori, sia sotto il profilo pratico che sotto quello
prettamente burocratico. Per i volontari fu indispensabile il suo aiuto, anche nel procedere allo
sdoganamento di container provenienti dall’Italia, che si trovavano a Mombasa, ricchi di
generi di prima necessità accanto a quelli prettamente di uso scolastico e sanitario. Tutto ha
funzionato nel migliore dei modi fino a quando l’attenzione del referente è caduta, in modo
sleale, dal punto di vista occidentale, su due progetti dell’ASSOS ad Oluko. Infatti i volontari
di questa Onlus, non appena arrivati ad Oluko, dopo aver attentamente studiato il posto ed i
bisogni della gente, hanno iniziato la ristrutturazione di uno stabile, per il quale era stato
persino realizzato un allaccio al fine di avere l’acqua diretta, ed era stata costruita una 39
veranda: era la guest house74. Bene, a lavori conclusi, fu proprio la spalla destra africana
dell’associazione a impossessarsi della struttura; il referente africano in questione si sentì
mosso da un sentimento di riscatto, dinanzi al fatto che fu lui a portare l’ASSOS ad Oluko.
Padre George75 usa dire, riferendosi all’ex referente dell’ASSOS “la sua lingua è pericolosa”.
Dinanzi a questo atto, la gente è rimasta disarmata, perché ad Oluko funziona così. Da qui si
denota quanta attenzione deve essere fatta dagli operatori dell’Onlus nel muoversi in questi
posti, per cercare di prevenire situazioni di questo genere, e lo si può fare solo attraverso una
conoscenza capillare della popolazione, la quale può avvenire gradualmente, mediante
continui rapporti diretti.
Un altro passo falso, compiuto dal passato referente, ha avuto a che fare con un pulmino
“scuolabus”, che doveva servire per i bambini del posto. Questa persona ha collaborato
attivamente allo sdoganamento dello scuolabus, pronto per farlo divenire efficiente a livello
sociale, evitando ai bambini le lunghe ore di cammino a piedi scalzi per recarsi a scuola. Di
fatto però, il pulmino non è mai riuscito a perseguire questo obiettivo, dal momento che il
referente africano, dopo averlo sdoganato, se ne è impossessato. Così interrompendo,
chiaramente, ogni contatto con l’ASSOS.
Questa è stata una situazione che ha messo a dura prova gli occidentali volontari che si sono
trovati sul posto, dal momento che non hanno potuto fare altro che assecondarlo.
Oggi l’ASSOS può far affidamento su di un referente estremamente in gamba, che si è
“lasciato civilizzare”, ha iniziato a lavorare in stretto contatto con l’associazione già nel
momento in cui si stava edificando la nursery, svolgendo un ruolo di primo piano. In Africa, si
rischia molto quando si decide di fidarsi della gente autoctona, perché è un popolo non
abituato a muovere soldi, per cui non appena hanno una quantità consistente di denaro li
sperperano. Anche in virtù di questa realtà, per i volontari è stato piuttosto complesso
rintracciare tra la popolazione un membro che potesse collaborare con loro.
Un altro fattore che nel corso della cooperazione è stato motivo di discussione, è stata proprio
la mal gestione dei soldi da parte della popolazione Lugbara. In quanto non abituata a gestirli,
spesso prendevano iniziative superflue e troppo costose, così generando discordie con i
volontari che cercavano di fargli capire il modo migliore di indirizzare i soldi che avevano a
disposizione. Ma non sempre il loro intervento veniva visto di buon grado dagli autoctoni.
4.3 Dalla progettazione alla realizzazioneLa fase della progettazione è sicuramente fondamentale, ma ancora più importante è il
74 Struttura adibita ai volontari75 Parroco della parrocchia del villaggio di Oluko
40
momento della realizzazione del progetto. Per quanto riguarda questa fase non si può avere un
dialogo unilaterale, tutt’altro, qui si manifesta uno scambio continuo tra chi coordina e chi
realizza, anche se, secondo il punto di vista di Asad,76 è sempre l’interesse del committente a
dominare il campo degli interventi mediante un modello unilaterale assoluto che segue il
principio dell’occidentalizzazione del mondo.
In un primo momento può capitare che sorgano delle incomprensioni. L’occidentale, per
entrare in rapporto con i Lugbara, fa inizialmente leva su stereotipi che gli consentono di
approcciarli; poi sta a lui superarli, evitando le incomprensioni e imparando a comprendere e
contestualizzare concetti come quello di “africana pacatezza”.
La struttura della nursery venne collocata accanto alle altre due scuole già esistenti ad Oluko;
la primary e la secondary school77. Venne scelta questa sistemazione per garantire una
continuità allo spazio destinato ai più giovani abitanti del villaggio. Queste due scuole
vennero fatte edificare dal governo e all’arrivo dei volontari dell’ASSOS erano già operative.
I lavori per la realizzazione della nursery school sono iniziati nel maggio 2007, con una
gettata di cemento di 200 MQ.
I volontari, impegnati nella realizzazione della nursery school, nonostante le difficoltà che
hanno incontrato, hanno avuto il compito di mantenere la calma, di avere quindi rispetto della
costante pacatezza, della grande pazienza che contraddistingue il popolo Lugbara. In virtù di
ciò, infatti, l’occidentale ha dovuto completamente accantonare lo spirito lamentoso,
verbalmente aggressivo, poiché ha avuto a che fare con un popolo che sembra ignorare
completamente il litigio. Il popolo Lugbara non conosce la violenza, è sempre in festa, è
sempre sereno, anche quando si trova a dover affrontare situazioni faticose, difficili,
pericolose. In virtù di questo, non è giusto che gli occidentali gli insegnino dei comportamenti
arroganti, spersonalizzandoli, togliendo loro la grande pacatezza che li contraddistingue.
L’italiano, perciò, ha dovuto fare la massima attenzione nel non esportare lo spirito 76ASAD oltre lo sviluppo. Le prospettive dell’antropologia Malighetti R. Roma meltemi edu 2007 pag 11-2577 http://www.assosterni.it/afr_progetti.php
41
aggressivo, pur garantendo la massima incolumità per il popolo Lugbara. Questo particolare
aspetto è emerso dal dialogo che ho tenuto con dei volontari che hanno attivamente operato ad
Oluko. Durante la realizzazione della nursery, malgrado tutto, si sono avuti momenti critici
causati dalla relazione uomo africano, uomo occidentale, che si sono sanati tempestivamente
grazie alla grande diplomazia dei Lugbara, ed alla loro imminente necessità di poter contare
su una nursery. L’occidentale, avendo dovuto comprendere questa peculiarità dei Lugbara, ha
optato per l’adozione di un approccio all’insegna del motto che più li caratterizza: hakuna
matata78.
Nel cantiere della nursery non era presente alcuna forma di protezione “occidentale” per gli
operai. Loro lavorano a piedi nudi, con il costante rischio di procurarsi ferite; a piedi scalzi
stendono il cemento, non esistono impalcature che gli possano facilitare la realizzazione del
tetto; tuttavia, sono molto abili nell’arrampicarsi sugli alberi, e rispecchiano questa loro abilità
anche nel lavoro edilizio. Infatti, non appena sistemate le prime travi del tetto, ci si
arrampicano con estrema maestria, fino alla conclusione del lavoro. Gli operai non hanno mai
utilizzato elmetti né qualunque altra forma di protezione.
Chiaramente, nella realizzazione del progetto i volontari dell’ASSOS avendo adottato il
metodo della cooperazione partecipante, mobilitarono tutta la popolazione, coinvolgendo
anche le donne che si sono occupate della raccolta di acqua mediante taniche, trasportandole
con il loro tradizionale metodo, in testa, per depositarla in recipienti utilizzati dagli uomini per
impastare il cemento.
78 “senza problemi”.42
4.4 I materiali utilizzati nella realizzazione della nurseryPer la realizzazione della nursery i volontari, per consentire la circolazione di moneta tra
questa popolazione africana, tendono ad utilizzare materiali che possono essere acquistati in
loco. Infatti, il cemento viene acquistato ad Arua, mentre i mattoni adoperati sono tutti fatti
artigianalmente, uno ad uno. C’è tutta una tecnica nella realizzazione dei mattoni assai
complessa, ma allo stesso tempo naturale: consta di alcune peculiari fasi strettamente
connesse con i tempi dettati dalla natura. I mattoni sono realizzati con la terra del posto, la
popolazione dedita alla produzione dei mattoni sfrutta il periodo delle piogge per impastare la
terra e dargli la tipica forma, aspettando poi il periodo di siccità per far essiccare la terra
stessa. Il costo dei mattoni è estremamente irrisorio dal punto di vista occidentale79.
Le tecniche utilizzate nell’edilizia sono tutte assai rudimentali, si aiutano con semplici utensili
fatti di legno, non esistono macchinari di alcuna sorta, anche il cemento viene impastato a
mano, c’è una sorta di catena di montaggio, ove ognuno ha il proprio rigoroso compito.
Il tetto viene realizzato con travi in legno, le quali vengono poi rivestite con delle semplici
onduline, (lamiere). La scuola ha le finestre ma senza vetri, sono aperte.La struttura della
scuola è sicuramente molto semplice, rudimentale, è essenziale, ma efficiente.
4.5 La reazione dei Lugbara dinanzi alla realizzazione della nurseryDal lavoro di osservazione, i volontari si sono resi conto che la popolazione Lugbara è
estremamente forte e determinata, lo denota il fatto che nonostante siano avvolti dal nulla, da
una povertà esasperante, diano una grandissima importanza al ruolo dell’istruzione. E questa è
una peculiarità che sicuramente fa loro onore. I Lugbara sono contraddistinti da uno spiccato
senso del dovere, nei riguardi della scuola e dell’istruzione in genere, come un qualcosa che si
79 http://www.assosterni.it/pro_uganda.php43
tramanda di padre in figlio.
Sin dal momento dell’edificazione della nursery, il popolo era estremamente contento, si
sentiva realizzato e partecipava attivamente, perché grazie ad una struttura di questo tipo, i
bambini più piccoli potevano iniziare a prendere dimestichezza con la lingua ufficiale,
l’inglese, che non è quella da loro parlata nel villaggio. Il popolo Lugbara è estremamente
ambizioso, si rende pienamente conto dell’importanza dello studio della lingua inglese,
accanto alle nozioni di vario genere che la scuola offre.
4.6 A chi è rivolta la nursery schoolLa nursery school è destinata ad occuparsi dell’educazione dei bambini più piccoli con un’età
compresa tra i tre ed i sei anni, i quali vengono suddivisi per classi adottando il criterio
dell’età. La nursery school di Oluko, al momento accoglie ottanta bambini, comprendendo
anche quelli provenienti dai villaggi limitrofi, la struttura è comunque in grado di poter
ospitare fino a duecento bambini80.
Ogni mattina ci sono tanti bambini più o meno piccoli che per raggiungere Oluko, talvolta
anche scalzi, fanno una decina di km a piedi. Questo fatto suscitò meraviglia nei volontari,
poiché si trovarono dinanzi una popolazione che, seppur economicamente molto arretrata
rispetto al mondo occidentale, dava un’importanza assoluta alla frequentazione scolastica.
Dialogando con i bambini e con i ragazzi hanno capito che è vivo in loro il desiderio di
scolarizzarsi, di apprendere l’inglese.
4.7 La disciplina richiesta nella nursery schoolPer frequentare la nursery ai bambini è richiesto l’uso della divisa, ciò denota la grande
influenza della cultura anglosassone81. L’utilizzo della divisa viene considerato indispensabile
perché serve ad insegnare ai bambini, ancora in tenera età, la disciplina e il senso dell’ordine,
della pulizia, dell’igiene, almeno nell’ambito scolastico. Le divise vengono fatte cucire alle
mamme dei bambini. Queste devono essere tutte uguali per posizionare i bambini tutti su uno
80 http://www.assosterni.it/afr_scuole.php81 CROCELLI S. M. Uganda adotta una scuola il messaggero (Terni) 2006
44
stesso livello.
La gestione della nursery è nelle mani della parrocchia di Oluko.
La nursery è a pagamento, come del resto tutte le altre scuole dell’Uganda, tuttavia poichè il
villaggio di Oluko è contraddistinto da una scarsa circolazione di moneta, spesso i genitori
garantiscono le entrate alla scuola mediante la tecnica del baratto. Barattando l’istruzione a
volte con dei polli, piuttosto che con dei manghi, o con delle uova, ritenendo la cosa
estremamente dignitosa. Nella nursery è vietato l’ uso del dialetto, l’unica lingua riconosciuta
è l’inglese82. La giornata scolastica alla nursery inizia la mattina alle otto e si conclude alle
tredici. Alle dieci e trenta ai bambini gli viene fornita la colazione, grazie all’ausilio
economico offerto dalla parrocchia di Oluko; spetta poi ai genitori sanare questa sorta di
debito come possono, o mediante remunerazione in denaro o attraverso il baratto. La
parrocchia dispone di soldi da mettere a disposizione della nursery grazie al fatto che i
volontari per sdebitarsi per l’ospitalità offerta loro, lasciano un’offerta, che in parte viene
devoluta alla scuola materna per anticipare le spese che questa deve sostenere.
Per quel che concerne le insegnanti che sono state ingaggiate nella nursery, si tratta di donne
che hanno dovuto superare un concorso; tra le tante che si sono presentate ne sono state scelte
quattro, più una, risultata la migliore in assoluto, alla quale è stato attribuito il ruolo di
direttrice della scuola. Le maestre sono donne che al momento vivono ad Oluko.
4.8 Obiettivi della nursery dal punto di vista degli autoctoniIn conformità con le priorità degli adulti Lugbara, obiettivo cardine della nursery è quello di
insegnare l’inglese ai bambini ancora in tenera età83. Come conseguenza, ad Oluko, ci sono
bambini di quattro, cinque anni che parlano perfettamente l’inglese accanto al loro tipico
82 http://www.assosterni.it/afr_scuole.php83 http://www.supercrocio.com/uganda_oluko.php
45
dialetto, proprio grazie agli insegnamenti impartitegli nella nursery. L’insegnamento della
lingua inglese rappresenta una grande risorsa per i bambini piccoli, poiché nel momento in cui
inizieranno la frequentazione della primary school hanno già una buona conoscenza della
lingua.
Vi è anche un altro compito particolarmente importante portato avanti dalla nursery, che è
quello di intraprendere corsi di studio interdisciplinari, per gettare delle buone basi per coloro
che saranno gli adulti del domani, per questo sin da piccoli vengono fatti appassionare alla
terra, agli animali, per agevolare il loro rapporto con il mondo che li circonda. La scuola deve
infatti essere una scuola di vita, sin dalla tenera età. Tipico di questa realtà è il vedere i
bambini prima, ed i ragazzi poi, andare a scuola con la “zappa”, oltre che con la carta e la
penna, proprio per familiarizzare con quella che sarà la vita futura. Nelle scuole, infatti,
compresa la nursery, accanto alle lezioni prettamente nozionistiche troviamo queste pratiche
incentrate sullo studio di tecniche più innovative da usare per coltivare i campi, piuttosto che
per allevare gli animali.
Un altro obiettivo della nursery è quello di togliere dalle strade un gran numero di bambini,
sottraendoli ai pericoli dettati dalla loro inesperienza.
Inoltre, la scuola materna rappresenta un grandioso sistema che favorisce l’interscambio
comunicativo, se pur all’interno di un clima ricco di regole, necessarie per fornire ai bambini
una buona disciplina. La nursery abitua il mondo dei bambini ad entrare in rapporto con
quello degli adulti, (rapporto inesistente nella vita quotidiana, perché gli adulti sono troppo
assolti dalle loro mansioni), grazie alle relazioni che si instaurano tra bambino ed
insegnante84.
4.9 Cosa accadeva prima dell’edificazione della nurseryPrima della realizzazione della nursery school i bambini, seppur ancora in tenera età,
venivano costantemente ed abitudinariamente coinvolti nella mansioni familiari. Infatti ad
Oluko è solito vedere bambine di tre-quattro anni che hanno il compito di prendere l’acqua al
pozzo, caricandosi 20L di acqua in testa, per portarla alle capanne. Ai maschietti
generalmente spetta il compiti di lavorare i campi, o di raccogliere i manghi85. Tutto questo
accade ancora oggi, nonostante la comparsa della nursery, però in modo più circoscritto, dal 84 CROCELLI S. M. Oluko, Arua, Uganda la cooperazione in Africa vista con gli occhi di un giocoliere
Adesso p12 200685 http://www.supercrocio.com/uganda_oluko.php
46
momento che la mattina sono esonerati da questi faticosi oltre che pericoloso compiti, dato
che devono dedicare tempo allo studio.
Chiaramente, per l’animo occidentale questa è una realtà inammissibile, ma parliamo di
Africa, di un mondo completamente diverso dal nostro, con proprie norme culturali e proprie
tradizioni.
4.10 Gli slogan alle pareti della nursery e non solo…
47
Per i Lugbara rappresenta la normalità che un bambino aiuti la propria famiglia. Ma non
accettano nel modo più assoluto la violenza verso i minori. Le violenze corporali sono
proibite dalla comunità nel modo più assoluto. Tanto che i bambini, già nella nursery, sono
bombardati da slogan che tappezzano le pareti delle aule, ma anche i muri esterni, con
messaggi che gli insegnano a denunciare senza timore eventuali aggressioni.
Il motto della nursery school è “niente attraverso la forza tutto attraverso l’amore”
Altri slogan tipici riguardano vari temi, ad esempio:
“L’Hiv danneggia il corpo; non morire giovane…perché morire giovane?; evitate rapporti
sessuali con i bambini; i bambini hanno le loro responsabilità…ma anche i loro diritti; la
verginità è sia per le ragazze che per i ragazzi; evitate matrimoni prematuri e le gravidanze
precoci.”
Slogan sulle pareti di una scuola Slogan sulle pareti di una scuola
Le pareti della nursery sono coperte da vari slogan educativi che riguardano l’educazione
sociale, mettendoli in guardia dall’HIV sin da piccoli, insegnandogli valori come il rispetto 48
della verginità femminile, o la monogamia.
Don’t fight, make peace Stop child abuseQuesti slogan sono pensati per suscitare un grande rispetto dell’uomo, della donna, ma
soprattutto dei bambini. Mediante l’ausilio di disegni per facilitarne la comprensione anche da
parte degli adulti del villaggio.
V CAPITOLO
49
5 Altri progetti realizzati dall’ASSOSParallelamente alla realizzazione della nursery school, l’ASSOS ha portato avanti lo sviluppo
di altri progetti per migliorare le condizioni di vita dei Lugbara.
5.1 Distribuzione di acqua potabileUna volta acquisito il concetto di “mentre”, parallelamente all’edificazione della nursery
school, l’ASSOS ha apportato un’importante sostegno alla popolazione attraverso la
realizzazione di un pozzo, mediante la collaborazione della popolazione, con un sistema di
pescaggio dell’acqua automatizzato grazie all’implementazione di una pompa elettrica, così
riuscendo ad accantonare il vecchio metodo che prevedeva il pescaggio dell’acqua mediante
la forza delle braccia. Del resto, sia le scuole, che le strutture sanitarie, necessitano di un
approvvigionamento di acqua potabile per ridurre l’incidenza di malattie gastrointestinali, che
rappresenta una della principali cause di morte nella prima infanzia. L’acqua è indispensabile
nelle scuole, anche perchè è necessaria per garantire l’igiene di un gran numero di bambini.
Grazie all’impiego della pompa idrica, alimentata con l’energia solare, il villaggio di Oluko è
divenuto capace di accumulare una quantità di acqua capace di provveder al bisogno idrico
dell’intero villaggio, e questo rappresenta un’enorme passo avanti. Questa innovazione ha
migliorato la vita in primis dei bambini, poiché era loro compito, insieme alle donne,
provvedere all’approvvigionamento di acqua. Con l’utilizzo di due pannelli solari da 80
WATT e di una pompa ad immersione, si è potuta raccogliere l’acqua del pozzo ad una
profondità di 36m e convogliarla in un grande serbatoio da 11 mila litri, in grado di soddisfare
le necessità di acqua per gli usi domestici di tutte le famiglie del villaggio. Oluko, essendo
posto pochi gradi sopra l’equatore, gode di luce solare per dodici ore ogni giorno, durante
l’arco di tutto l’anno86. Così si è sostituita la vecchia pompa a mano estremamente faticosa ed
ormai obsoleta, con la più moderna tecnologia di risparmio energetico, basata sulla luce del
sole, garantendo una fornitura di acqua potabile continua e gratuita87.
5.2 Rendere operativo il dispensario medicoIn un secondo momento, venne conclusa la realizzazione di un dispensario, i cui lavori
strutturali, sotto il profilo edilizio, vennero portati avanti da un'altra Onlus italiana, ma questa 86 http://www.assosterni.it/afr_attivita_2007.php87 http://www.assosterni.com/afr_progetti.php
50
non riuscì a rendere operativa la struttura. Fu così compito dei volontari dell’ASSOS rendere
efficiente il dispensario88. Lo hanno fatto mediante enti ternani che hanno inviato loro sia
fondi economici che materiale di prima necessità, tramite container, lungo la tratta Genova-
Mombasa, con arrivo a Kampala. Si tratta di container colmi di strumenti medici, medicinali,
antibiotici (ad ampio spettro), antinfiammatori, farmaci anestetici, sciroppi per bambini, garze
mediche, bende gessate, cateteri, aghi per flebo, butterfly, fili di sutura, strumenti chirurgici e
tutto il necessario per ospedali e dispensari. L’obiettivo dell’ASSOS è quello di fornire alla
popolazione di Oluko una buona copertura sanitaria, capace di arginare malattie di vario
genere, riuscendo a fornire un presidio sanitario al servizio di un’area estesa ove non esistono
strutture di tale genere. La rete sanitaria verrà supportata sia con la fornitura di medicinali
essenziali, sia con la dotazione di un fuoristrada, che faccia le veci di ambulanza in grado di
operare capillarmente sul territorio per fare le vaccinazioni, i controlli alle donne in
gravidanza, controlli pediatrici, ed operando nella prevenzione delle principali malattie
infettive e parassitarie presenti nella zona. Per questa Onlus è di estrema importanza
l’aggiornamento professionale degli operatori locali, prevedendo l’intervento di specialisti
volontari provenienti dall’Italia89. Un aspetto particolare che va menzionato nel settore
sanitario è relativo alla lotta all’Aids; è un’epidemia che ogni anno causa un gran numero di
orfani, spesso di entrambi i genitori, per cui questi bambini devono essere aiutati, fornendo
loro un minimo di scolarità e di assistenza sanitaria90.
Creare rapporti fiduciari con la popolazione in questo settore è stato piuttosto complesso per i
volontari, poiché i Lugbara non hanno il culto del curarsi mediante l’ausilio di medicinali
tipicamente occidentali. Inoltre, a rendere ancora più difficile l’interscambio con gli autoctoni
sotto il profilo sanitario, è la soglia alta di dolore che contraddistingue questa popolazione.
Infatti queste persone avvertono il dolore quando la malattia, di cui sono affetti, si trova in
uno stato avanzato, proprio in virtù della loro percezione del dolore molto bassa. Questo
fattore, se da un lato si può considerare positivo, perché essi riescono ad essere al pieno delle
forze se pur infortunati, dall’altro lato rende più complicato l’intervento medico, perché
spesso si rivolgono ai dottori della medicina tradizionale occidentale quando lo stato di
malessere è estremamente avanzato, e poche sono le possibilità di scelta dei dottori.
Comunque, generalmente, prima di rivolgersi ai dottori occidentali, o comunque
“occidentalizzati”, utilizzano i loro tradizionali metodi curativi, all’insegna della
somministrazione di infusi di erbe medicinali di vario genere, o anche tramite il ricorso a
rituali per invocare le divinità che possano aiutarli nella guarigione.88 http://www.assosterni.it/afr_iniziative.php89 http://www.assosterni.it/afr_attivita_2008.php90 http://www.assosterni.it/pro_uganda.php
51
Talvolta accade che dinanzi a profonde escoriazioni, i Lugbara, non disinfettando la ferita,
incorrano addirittura nell’amputazione degli arti, a causa sia della soglia del dolore molto alta
che li spinge a non prendere misure preventive, che della loro non fiducia nei farmaci
occidentali. Questo accade perché ad Oluko vi sono delle mosche che si nutrono delle
proteine del sangue delle escoriazioni, e depongono le uova nelle ferite stesse, generando così
delle grandi infezioni, che se trascurate provocano delle conseguenze terribili, arrivando a
dover amputare gli arti interessati.
L’aggressione da parte di queste mosche purtroppo colpisce in modo massiccio anche i
bambini, che giocando si graffiano con facilità, ed anche perché, non avendo le scarpe, i piedi
sono soggetti a continue ferite. Per arginare questo disagio, basterebbe disinfettare la ferita
con del disinfettante ed applicarvi un cerotto; ma, pur nella sua semplicità, è un metodo non
utilizzato dagli autoctoni, purtroppo proprio per la loro mancanza di fiducia nei confronti
delle cure occidentali. Attualmente non sono stati mai promossi ad Oluko “convegni”
incentrati sulla possibilità di creare un dialogo tra medicina occidentale e medicina
tradizionale, però l’intenzione da parte dei volontari c’è, poiché questo potrebbe essere un
buon metodo per superare il problema della diffidenza nei confronti delle metodologie
curative occidentali. Questi aggiornamenti sarebbero molto utili anche per i dottori africani,
“occidentalizzati”, che, dinanzi ad un braccio di un uomo bianco con i peli, rimane perplesso
a tal punto da non voler fare un prelievo del sangue per paura di causare infezioni causate
proprio dai peli. Gli adulti non fanno ricorso alle medicine occidentali neanche per i propri
figli, poiché partono dall’assunto che la malattia ha un suo ciclo contraddistinto da un inizio e
da una fine e basta aspettare i tempi naturali, poiché così è stato per tutti.
Inoltre accanto alla diffidenza che porta al non utilizzo di questo servizio c’è anche il fatto che
le cure mediche offerte dal dispensario non sono gratuite, e che non tutti possono permettersi
di pagarle; in virtù di questo, infatti, Padre George91 dispone di un fondo per le cure mediche
da destinare alle persone più bisognose, le quali a volte hanno anche affrontato un lungo
viaggio a piedi prima di raggiungere il dispensario. Oggi il dispensario medico è nel pieno
della sua attività.
5.3 Dotare il villaggio di Oluko di un reparto di maternitàDal momento che questa è una terra con una grande incidenza di mortalità infantile, che
colpisce molti bambini nel momento della nascita, ed è anche alta l’incidenza di orfani
materni92, i volontari dell’ASSOS hanno puntato alla realizzazione di un reparto di maternità,
91Parroco del villaggio di Oluko92 http://www.supercrocio.com/uganda_oluko.php
52
sempre su proposta avanzata all’unanimità dal villaggio di Oluko. È così stato deciso di
costruire il reparto di maternità accanto al dispensario medico già funzionante.
I lavori sono iniziati nel mese di gennaio dell’anno in corso, e la struttura sarà di 250mq.
All’interno del suddetto reparto, oltre a partorire, le donne avranno anche la possibilità di
apprendere tutte le cure e le attenzioni richieste nelle fasi del pre-parto e del post-parto93. Le
donne Lugbara partoriscono nelle capanne, ove le condizioni igieniche lasciano molto a
desiderare, e talvolta fanno nascere il bambino senza l’aiuto di nessuno al loro fianco,
dovendo procedere da sole al taglio del cordone ombelicale. Dunque è proprio per superare
tale situazione che si vuole terminare quanto prima il reparto maternità, rendendolo operativo
a tutti gli effetti.94 L’attenzione si è concentrata sulla realizzazione di questo progetto non solo
per arginare il problema della mortalità infantile o materna, ma anche perché si vuole investire
sul futuro dei nuovi nascituri, i quali è bene accoglierli in condizioni dignitose sin dalla
nascita. Inoltre, per conseguire una diminuzione dell’alto tasso di mortalità infantile e
materna, ed aumentare la speranza di vita della popolazione, è bene procedere con l’adozione
di terapie in gravidanza per evitare la trasmissione materno-fetale del virus dell’HIV, oltre alla
disposizione di cure al momento del parto.
L’aggiornamento professionale degli operatori locali costituisce parte integrante e qualificante
del progetto e si prevede anche l’intervento di specialisti volontari provenienti dall’Italia.
5.4 Il progetto delle adozioni a distanza L’orfanotrofio “buona speranza” di Arua, diretto da Florence Ngamita,95 sorge a 2 km dalla
città di Arua, nella regione Nilo, nord-ovest dell’Uganda. L’orfanotrofio accoglie attualmente
25 bambini comprendendo sia gli orfani di AIDS che quelli di guerra, i quali, grazie
all’incessante opera di raccolta di aiuti e materiali vari messa in atto da Florece in questi anni,
possono essere assistiti almeno nelle loro esigenze più elementari, come l’avere una casa ove
alloggiare e poter avere a disposizione del cibo. Per poter consentire a questi ragazzi di
continuare gli studi intrapresi, e permettere loro di sperare in un futuro meno triste,
l’Associazione Solidarietà e Sviluppo di Terni ha iniziato una campagna di adozioni a
distanza96.
Il costo annuo per ciascun ragazzo è di 250 euro, una cifra non impegnativa, che permette loro
di mantenersi agli studi fino al completamento della scuola superiore e di essere
93 http://www.assosterni.it/afr_attivita_2010.php94CROCELLI S. Ritorno in Uganda per costruire una maternità: donne ragazze, mi rivolgo soprattutto a voi! Esperto seo 201095È colei che si occupa di una casa famiglia, dedicandosi previe sovvenzioni esterne di occuparsi dei 25 ragazzi che gli sono stati affidati.96 http://www.espertoseo.it
53
autosufficienti per quanto riguarda il sostentamento quotidiano. Il donatore, oltre alla lettera
di ringraziamento del ragazzo adottato, riceve la copia dell’avvenuta consegna della somma
alla direttrice Florence e della ricevuta d’iscrizione all’anno scolastico immediatamente
seguente all’adozione. In qualsiasi momento, ciascun donatore può recarsi in Uganda per
conoscere di persona il suo assistito.
CONCLUSIONI
Oggi l’Africa appare come un insieme di realtà che, nella loro problematicità, presentano la
faccia più terribile ed allo stesso tempo perdente della cosiddetta “mondializzazione”. Come è
noto a tutti, con il superamento del colonialismo la cooperazione internazionale si è proposta
apparentemente come uno strumento di solidarietà, finalizzato all’aiuto dei paesi meno 54
sviluppati. Gli attori della cooperazione internazionale del Nord del mondo hanno tentato di
costruire con la “parte meno fortunata del mondo” le condizioni per il miglioramento delle
condizioni di vita dei cittadini del Sud. La cooperazione internazionale è stata fondata
idealmente sul principio dello scambio reciproco, della collaborazione, della solidarietà,
consapevole dell’interdipendenza che lega i vari soggetti coinvolti. Lo strumento scelto è
stato quello del sostegno e del finanziamento di progetti di sviluppo. L’obiettivo prefissato è
stato, oltre a quello di migliorare le condizioni di vita delle popolazioni dei paesi in via di
sviluppo, anche quello di farlo rendendo questi ultimi attori del proprio cambiamento. Questa
situazione si è portata avanti fino agli anni novanta, quando è apparsa sulla scena la cosiddetta
“cooperazione decentrata”, basata generalmente sui gemellaggi e partenariati da comunità a
comunità, realizzati tra le amministrazioni regionali, provinciali, i comuni ed altre entità
territoriali locali.
La lotta alla povertà è una sfida globale che si vince solo a livello locale, con la promozione
dello sviluppo locale integrato, partecipativo, inclusivo e democratico. Questo è un principio
fortemente condiviso dagli operatori dell’ASSOS. La cooperazione decentrata, avendo
caratteristiche di “orizzontalità”, e seguendo la vocazione ed il principio delle relazioni con
gli autoctoni, di dialogo continuo nella reciprocità, vede il significato del progetto e la sua
realizzazione come un “processo di accompagnamento” e di creazione di relazioni stabili e a
lungo termine con una specifica comunità partner. Tale cooperazione si basa sull’ascolto del
territorio e sul sostegno alle sue priorità, nella lunga e faticosa ricerca di dinamiche socio-
culturali locali e nello scambio di buone pratiche tra i due territori. In quest’ottica, l’approccio
del cooperare dovrebbe essere rappresentato come un ponte che viene attraversato in
entrambe le direzioni, basato sulla reciprocità, sul riconoscimento dell’altro, del suo apporto
sia materiale che immateriale, con criteri che puntino alla costruzione della conoscenza dei
rispettivi valori culturali. Haram Sidibe parte proprio da questi assunti nel connotare la
cooperazione internazionale.97
Dunque è fondamentale, nell’ambito della “cooperazione attiva”, porre l’attenzione, da parte
di chi pianifica lo sviluppo, sugli aspetti culturali della realtà ospitante, per fare in modo che
un progetto li rispetti, ma allo stesso tempo va mantenuta la massima cautela nel non rischiare
di cadere nell’errore opposto: ovvero in quello di “folklorizzare” e cristallizzare in un’ottica
essenzialista tali culture.
Anche Colajanni98 mette in risalto come politiche di patrimonializzazione culturale, oggi
97SIDIBE H..“subire la cooperazione? Gli aspetti critici dello sviluppo nell’esperienza di antropologi e cooperanti” Zanotelli F. Lenzi Grillini F. 2007 98COLAJANNI A. “subire la cooperazione? Gli aspetti critici dello sviluppo nell’esperienza di antropologi e cooperanti” Zanotelli F. Lenzi Grillini F. ed.italiana2007
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diffuse in differenti ed ampi contesti geografici e politici, rischiano di cristallizzare le culture
locali, “imprigionando” le comunità indigene in una sorta di gabbia.
Oggi esiste una maggiore consapevolezza rispetto al fatto che l’aiuto pubblico allo sviluppo
ha percorso delle strade che non dovevano essere intraprese, che ci sono stati degli
impedimenti, e che soprattutto la cooperazione allo sviluppo non può essere sganciata dalle
politiche economiche, finanziarie e commerciali.
Dagli anni 90’ si è andata affermando una corrente di studi caratterizzata da un approccio
decostruzionista all’apparato dello sviluppo. Tale corrente ha appunto decostruito le logiche
principali, le narrative, le retoriche che animano il concetto di sviluppo, così come esso è
concepito in Occidente e nel nord del mondo. Queste decostruzioni hanno permesso di svelare
che dietro il concetto di sviluppo pianificato dalle istituzioni e dalle agenzie occidentali si
celano strategie egemoniche tese a creare una dipendenza dei Paesi del “Terzo Mondo”
rispetto a quelli del “Primo Mondo”.
A questo proposito Haram Sidibe99 ha proposto un bilancio dal quale emerge che dopo
cinquanta anni di cooperazione principi come: la collaborazione, la solidarietà, lo scambio
reciproco, che dovrebbero contraddistinguere la cooperazione internazionale, sono rimasti
delle parole senza effetti nella realtà, ossia non sono stati adottati nei processi di sviluppo.
Anche perché non vi è stata la condizione essenziale per realizzare il miglioramento della vita
dell’altro, ovvero la partecipazione dei destinatari nelle scelte. La noncuranza e il mancato
ascolto del punto di vista dell’altro e della sua analisi rispetto alle proprie priorità sono state,
inequivocabilmente, le cause principali del fallimento delle varie politiche di sviluppo e di
cooperazione. Oppure, ancora peggio, la causa è da trovare nello stesso funzionamento delle
strutture dedite alla cooperazione (unesco, unicef, fao, fondo mondiale per l’investimento,
etc.), le quali hanno agito in modo erroneo, poiché hanno messo in atto metodi e strumenti
che hanno comportato soprattutto la salvaguardia degli interessi economici dei più forti,
provocando ulteriore squilibrio e generando una mondializzazione che ha creato soprattutto
altra povertà e altre disuguaglianze (opinione di Haram Sidibe).
L’aiuto allo sviluppo dovrebbe avere un ruolo complementare, integrato, coordinato e
coerente con tutte le altre politiche dello sviluppo economico e sociale. È per questo che al
forum mondiale di Nairobi del gennaio 2007, gli esponenti africani hanno partecipato
massicciamente e con toni sostenuti hanno attaccato sia le vecchie pratiche che le nuove della
cooperazione internazionale attraverso lo slogan “si al partenariato, no alla dominazione!”.
Questo perché in nome della cooperazione allo sviluppo, gli africani sono stati oggetto di 99SIDIBE H.“ subire la cooperazione? Gli aspetti critici dello sviluppo nell’esperienza di antropologi e cooperanti” Zanotelli F., Lenzi Grillini F. ed. italiana 2007 “l’alta faccia del pianeta che subisce. Gli effetti indesiderati della coopeazione dal punto di vista dei partner africani”
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giudizi stereotipati che hanno riguardato la cosiddetta “impermeabilità allo sviluppo”, con la
quale si intende che l’Africa non è andata verso la modernità perché antropologicamente
“inadatta”100.
Queste problematiche, insite nei meccanismi di funzionamento del mondo dello sviluppo,
mettono in evidenza quanto sia fondamentale un approccio scrupoloso, sia per chi si pone in
un’ottica di analisi critica dei progetti di sviluppo, sia per chi si impegna attivamente
all’interno della “grande macchina dello sviluppo”. Per noi occidentali può sembrare
inverosimile che la gente ancora oggi in alcune parti del mondo vive in situazioni di ampio
degrado. La popolazione dell’Africa Equatoriale ancora oggi vive in condizioni in cui non
esiste nessun tipo di comodità, partendo dalla mancanza di acqua nei villaggi, o quando
questa è presente risulta essere inquinata.
Inoltre, oltre all’inquinamento, che chiaramente comporta dei grandi disagi alla popolazione,
c’è anche un altro problema connesso all’acqua, poiché ci sono dei villaggi, specie quelli a
ridosso del lago Vittoria (la cui acqua è ritenuta potabile dalla gente del posto), che sono
interessati da un ulteriore disagio, poiché i bacini di acqua, se da un lato migliorano le
condizioni di vita della popolazione, dall’altro sono fonti di attrazione per le zanzare
malariche. Questa situazione rappresenta una grande piaga sociale. Il villaggio di Oluko
ancora oggi, nel 2010, risulta essere sprovvisto di energia elettrica. Il popolo Lugbara non
conosce cosa c’è al di la del “loro mondo” e vive senza la voglia di scoprirlo, poiché sono
felici di ciò che hanno101. Sono persone che appaiono agli occhi dei volontari sempre
sorridenti, pur non possedendo nulla, hanno una grande ricchezza nell’animo. Uno degli
obiettivi cardine dell’ASSOS è proprio quello di aiutare il popolo Lugbara affinché possa
migliorare le proprie condizioni di vita. Nel villaggio di Oluko ci stanno riuscendo grazie ai
loro proficui interventi, poiché, anche a seguito dell’adozione del metodo della cooperazione
partecipante, i volontari hanno agito su più piani sociali contemporaneamente, non
incentrando gli aiuti solo verso mansioni prettamente pratiche, ma anche a livello cognitivo-
culturale, insegnandogli ad avere dimestichezza con il denaro, a relazionarsi con chi detiene il
potere, a cambiare l’approccio nei confronti delle cure mediche occidentali.
Di estrema importanza, per il lavoro svolto dai volontari dell’ASSOS sul campo, è stato il
riuscire a non creare degli squilibri mediante il loro intervento. Mantenere un buon livello di
ordine sotto questo profilo è piuttosto complesso, perché tante sono le dinamiche che entrano
in gioco.
100SIDIBE H. “subire la cooperazione? Gli aspetti critici dello sviluppo nell’esperienza di antropologi e cooperanti” Zanotelli F., Lenzi Grillini F. ed. italiana 2007 “l’altra faccia del pianeta che subisce. Gli effetti indesiderati della coopeazione dal punto di vista dei partner africani”. pp. 49-57101Cd video dell’Intervista al vescovo di Arua: Rev. Frederik Drandua.
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A tal proposito calzante è il punto di vista di Malinowski102, che pose l’attenzione non solo
sulla realtà locale, ma anche sul “sistema dei bianchi”, analizzando il progetto mondiale di
penetrazione economica europea ed il caos generato da una cattiva amministrazione
predatoria. La cruda critica mossa da Malinowski fu rivolta prettamente alla modalità con cui
il processo di “occidentalizzazione” fu realizzato nel periodo coloniale. Lo scopo della sua
critica era quello di stabilire un controllo scientifico della politica coloniale, che potessero
evitare gli “effetti collaterali” nel portare avanti processi di cooperazione.
Purtroppo, nel condurre le varie ricerche, mi sono resa conto che gli interventi della
cooperazione internazionale sono disposti ad operare attraverso il decentramento punto di
vista dello sviluppo, ma sembrano occuparsi molto meno, ad esempio, del buon
funzionamento amministrativo, non si preoccupano pertanto di sostenere la creazione di una
pubblica amministrazione adeguata, che rappresenta un pre-requisito per qualunque tipo di
sviluppo. Pertanto, credo che si dovrebbe agire anche un po’ in questo senso.
APPENDICE
Interviste ai volontari dell’As.So.S.Il fulcro dell’ Associazione Solidarietà e Sviluppo è rappresentato dai volontari che la
compongono, poiché è grazie a loro che l’Onlus riesce ad agire capillarmente sul campo.
Intervista al dott. Mario Gallini, presidente dell’As.So.S.
102MALINOWSKY R. “olte lo sviluppo. Le prospettive dell’antropologia” Malighetti R. Roma 2007 pp 9-15 Bronisław Malinowski (Cracovia, 7 aprile 1884 – New Haven, 16 maggio 1942) è stato un antropologo polacco, naturalizzato britannico e considerato universalmente come uno dei più importanti studiosi del ventesimo secolo. È celebre per la sua attività pionieristica nel campo della ricerca etnografica, per gli studi sulla reciprocità e per le acute analisi sugli usi e costumi delle popolazioni della Melanesia.
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- Lei in quanto volontario dell’ASSOS è arrivato nel villaggio di Oluko, per la prima volta nel
febbraio del 2006, ossia l’anno successivo alla stipulazione dell’accordo di non belligeranza
che coinvolgeva l’Uganda. Come si presentava la situazione dell’Uganda, reduce di
quarant’anni di guerra?
“La situazione che noi volontari abbiamo trovato, sotto il profilo prettamente polito, era
piuttosto tranquilla, grazie agli accordi di non belligeranza stipulati l’anno precedente, mentre
sotto il profilo sociale, la situazione richiedeva degli interventi concreti per ristabilire un buon
livello di ordine. Questo momento era contraddistinto dal ritorno dei bambini soldato dal
fronte, per loro non fu semplice essere riaccettati nei propri villaggi, ne tanto meno nelle loro
famiglie, poiché venivano “condannati” per aver partecipato, se pur sotto costrizione, agli
eventi bellici. Poi man mano questa situazione si è venuta risolvendo.”
-Le decisioni in merito agli interventi, come sono state prese? Come è stata coinvolta la
popolazione locale? Sono state organizzate assemblee, chi c’era a queste assemblee?
“L’assemblea migliore a livello conoscitivo reciproco, è la messa della domenica alla quale
partecipa la stra-grande maggioranza della popolazione. A livello pratico, sono stati coinvolti
architetti, geometri africani, il responsabile di cantiere che è colui che recluta gli operai, è
colui che ci accompagna in città a comprare i materiali, generalmente noi acquistiamo a
“macchia di leopardo” tra i commercianti di Arua per garantire delle entrate a più persone
distinte. Per quel che concerne l’ottenimento delle autorizzazioni, non esiste un piano
regolatore, ma per la realizzazione di alcune specifiche strutture ci sono dei canoni da
rispettare standard, ad esempio l’aula scolastica deve avere le seguenti dimensioni: 9mx7m,
deve avere tre finestre in un lato, due nell’altro lato ed una porta, una parete vuota per
l’applicazione della lavagna. In ogni aula vengono sistemati 45 bambini disposti in 15 banchi
da tre ciascuno. Una volta conclusa la struttura chi di dovere viene a fare i sopralluoghi.
Mentre altri sono i canoni che riguardano la sanità, in strutture di questo tipo, infatti, noi
volontari dobbiamo realizzare una stanza da destinare al medico, una alla farmacia, inoltre i
letti devono essere sistemati in modo proporzionale alla grandezza delle stanze. Inoltre i
volontari devono realizzare l’alloggio per il personale sanitario che opererà in strutture di quel
genere. Le donne alle assemblee possono partecipare, onestamente ho anche visto donne che
almeno a livello familiare si fanno rispettare, anche se apparentemente nella società risultano
poco, vengono fatte camminare dietro all’uomo, ma nel nucleo familiare sono piuttosto
incisive.”
-Quali sono stati i vostri progetti iniziali portati avanti?
“Partendo dal presupposto che gli abbiamo sin da subito fatto notare la nostra provenienza,
spiegandogli che si trattava di una piccola associazione proveniente da una piccola regione del 59
centro Italia, e che quindi potevano contare su di un budget limitato, in un primo momento
abbiamo operato attraverso dei piccoli aiuti, mediante le adozioni a distanza, attraverso l’invio
di donazioni di materiali di prima necessità, attraverso la realizzazione di un semplice
impianto per la raccolta di acqua piovana, questo intervento risultò di prima necessità, poiché
lì la popolazione si dissetava con l’acqua delle pozze piovane.
Fu nel 2007 che iniziò l’operato più grande, intervenendo sul villaggio, abbiamo richiesto la
collaborazione alla popolazione autoctona per capire verso quale settore era meglio
indirizzare il nostro aiuto, loro si riunirono in un assemblea degli anziani, e deliberarono la
loro decisione. Con nostra grande meraviglia scoprimmo che l’intervento che desideravano
non fosse rivolto a strutture sanitarie, bensì alla realizzazione di una scuola materna, per avere
a disposizione una struttura che avrebbe potuto salvaguardare dai pericoli a cui sono
sottoposti lungo le strade, i piccoli del villaggio di Oluko, e guardando oggi come viene
gestita la suddetta struttura mi rendo conto di quanto fosse importante per loro, il tutto
avviene nella massima serietà, all’interno della scuola i bambini imparano a relazionarsi gli
uni con gli altri, imparano la disciplina dell’ordine, della pulizia, ma soprattutto imparano a
parlare perfettamente l’inglese già a quattro anni, elemento di estrema importanza in un
villaggio come quello di Oluko, ove non esiste una lingua comune che permette di
relazionarsi con le popolazione dei villaggi limitrofi, e quindi a maggior ragione occorreva
trovare una lingua uguale per tutti, e venne scelta quella inglese, in virtù del fatto che
l’Uganda era un protettorato inglese. Attualmente tra i Lugbara si sta facendo strada l’idea di
realizzare una struttura accanto alla nursery adibita a cucina, offrendo il pranzo ai piccoli del
villaggio, permettendo ai bambini di rimanere a scuola fino al primo pomeriggio.
In un secondo momento, si fece strada tra la popolazione l’idea di disporre di un reparto di
maternità per cercare di arginare l’alto tasso di mortalità neonatale e materna, poiché dinanzi
alle complicazioni di un parto le donne dovrebbero spostarsi a piedi, dato che non ci sono
macchina nel villaggio se non quella della chiesa. Ma chiaramente una donna in travaglio non
potendo raggiungere la città di Arua concepisce il bambino in capanna, con condizioni
igieniche assolutamente inadeguate, e quando si manifestano delle complicazioni, purtroppo
pochi sono i rimedi che possono adottare. Per rendere l’idea di che grande differenza c’è con
l’Italia ti faccio il rapporto: in Italia le donne che muoiono di parto sono 1 su 20.000, in Africa
sono 1 su 100.
A gennaio di quest’anno è uscito un altro bando per la cooperazione internazionale ed
abbiamo di nuovo chiesto alla popolazione cosa desiderano avere. Ci hanno chiesto una
struttura per la diagnostica dell’Hiv, potendo anche contare su un paio di stanze per le cure dei
bambini mal nutriti.”60
-Come viene visto lo sviluppo della persona presso i Lugbara?
“Io personalmente non sono riuscito a comprendere bene le dinamiche che fanno si che un
fanciullo da bambino diventa uomo se non la pratica della circoncisione, poiché ero presente
nel villaggio ed ho visto eseguire il rituale al quale tutti partecipavano con dei dipinti sul
corpo e con dei vestiti fatti di piume. Ed ho capito che mediante la circoncisione c’è il
passaggio da bambino a uomo, da questo momento in poi i bambini non saranno più il nulla
ma diventano dotati di una loro personalità, da questo momento in poi si verifica la
differenziazione nelle mansioni che devono adempiere, perché in primo momento sia i
maschietti che le femminucce svolgono le medesime attività poi invece si differenziano.”
-Dunque i ruoli sono differenziati per genere?
“Si, infatti nelle città ci sono ruoli tipicamente maschili come ad esempio il meccanico,
l’elettricista, il falegname, anche nel villaggio di Oluko si denota una differenziazione però
qui sembra che l’uomo nella maggior parte del tempo non faccia nulla se non lavori stagionali
tipo la produzione dei mattoni, mentre le donne lavorano sodo nei campi, nella capanna.”
-La produzione di mattoni sta incrementando i giri d’affari ad Arua?
“Si, grazie anche alla situazione attuale che caratterizza il Sud Sudan in questo momento,
poiché gli aiuti provenienti dal Kenya, dalla Tanzania diretti al Sud Sudan attraversano la città
di Arua in quanto questa è l’unica strada che può mettere in contatto Mombasa(ove sbarcano i
container)-Nairobi-Kampala-Arua , questo fa si che si creino buoni mercati di scambio.”
-Quali sono i rischi a cui è sottoposto un bambino piccolo?
“Sicuramente a tante malattie, infatti anche la stessa Aids li colpisce fortemente tanto da non
garantire la loro sopravvivenza oltre i cinque anni quando parliamo di una trasmissione
materno-fetale. Ad Oluko basta una giornata di pioggia a scatenare dei cori di tosse perché
dormendo nelle capanne risento molto sia dell’umidità che dell’abbassamento della
temperatura.”
-Come può essere difeso un bambino nella loro cultura (magari sembrano disattenti ma
dietro c’è un grande lavoro simbolico, poiché anche se all’apparenza può sembrare che
abbandonino i bambini di fatto questo non avviene, ma è come se fossero convinti di essere
protetti da una qualche altra forza)?
“Questa popolazione non abbandona i bambini, apparentemente può sembrare ma di fatto la
famiglia è molto presente, è molto legate ai figli, è vero che si vedono bambine di quattro-
cinque anni con in spalle i fratelli minori, ma ciò non denota un abbandono è solo un chiedere
ai loro figli una collaborazione data la grande famiglia, con un nucleo patriarcale offrendo ai
propri figli dei punti di riferimento fissi. Si deve considerare che ad Oluko i bambini durante
il giorno possono tranquillamente girare senza incorrere in pericoli, è anche per questo che 61
vengono lasciati molto liberi. Ma comunque la famiglia in linea di massima è presente e
quando non lo è lo si comprende subito, infatti ci sono bambini poveri, quelli di strada che
hanno perso uno o entrambi i genitori e sono trasandati non hanno il culto dell’accudirsi, del
lavarsi, proprio perché nessuno glielo insegna e sono coloro che per gravi condizioni
economiche non possono andare a scuola.”
-Esistono malattie tipicamente infantili presso la loro società? Se si, come vengono curate?
“Si chiaramente, c’è il pericolo della malaria, del tifo, della malnutrizione, della meningite,
del morbillo. La popolazione decide di ricorrere alla medicina occidentale in ultima analisi,
prima di tutto fa appello alle loro tipiche pratiche che consistono in somministrazioni di erbe
medicinali, al mercato ad Arua si trovano tanti elementi soggetti di “pozioni mediche”, rane,
grilli, polvere di corna di antilope, etc. anche se io non ho mai visto guaritori, magari anche
per il fatto che il villaggio di Oluko non dista molto dal centro cittadino per cui questo non si
verifica risentendo dell’influenza della città.”
-Come vengono abbigliati i bambini, c’è differenza tra abbigliamento maschile e femminile?
“Tra i bambini c’è differenza di abbigliamento in base al sesso, ma se le condizioni
economiche non lo permettono indossano una casacca lunga fino al ginocchio a prescindere
dal genere. Comunque in linea di massima i maschietti indossano sempre i pantaloncini ed
una t-shirt, mentre le bambine dei vestitini, molto belli sono quelli che indossano la domenica
quando si metto le cose migliori acquisendo una parvenza di precisione. Il compito di cucire i
vestitini ai bambini spetta alle mamme anche se al mercato, ad Arua c’è la possibilità di
comprare qualche vestito anche usato, così come anche le scarpe.”
-Ci sono elementi che denotano l’esistenza di una stratificazione sociale?
“Si, lo si capta sia nel modo di abbigliarsi, che nelle cure che hanno del proprio corpo, dalla
pulizia igienica che li caratterizza, ma chiaramente tutto ciò si denota in modo esile poiché
vige di fondo un’economia prettamente di sussistenza ove scambiano il proprio surplus con
generi che non possiedono ad esempio barattano i manghi con le saponette, elementi che
posso generare questi lievi squilibri sono ad esempio il fatto che una famiglia che possiede un
piccolo bar riesce ad avere delle buone entrate costanti, contrapposta a questa realtà ci sono le
persone che lavorano i campi e che quindi non hanno giri di moneta.”
-È vero che il popolo Lugbara è contraddistinto da una grande calma, pazienza?
“Si, io non ho mai visto nessuno litigare, sono sempre estremamente pazienti, sarà il fatto che
non conoscono lo stress!”
-Ci sono stati dei rapporti insoddisfacenti nel portare avanti progetti di cooperazione con la
popolazione locale perché aventi due culture molto diverse?
“In Africa c’è da aspettarsi che si creino situazioni di disagio nella collaborazione, anche nel 62
momento in cui viene a mancare il coordinatore dei lavori in campo edilizio ad esempio, si
immobilizza tutta l’attività perché i Lugbara sono dei grandi lavoratori ma non sanno
organizzarsi autonomamente nel portare avanti i lavori, necessitano di una persona che gli
organizzi i compiti.”
Intervista ad una volontariaQuesta intervista ha avuto come protagonista una ragazza che intraprese il viaggio all’insegna
del volontariato per la prima volta nel gennaio di questo anno.
-cosa ti ha spinto ad intraprendere questo viaggio?
“Principalmente la curiosità, il voler conoscere questa particolare realtà che caratterizza
l’Uganda, nello specifico il villaggio di Oluko.”
-Cosa ti ha colpito di più di questo viaggio per quanto riguarda la condizione dei bambini?
“In merito a questo aspetto sono rimasta fortemente colpita dal fatto che ci sono tanti bambini,
che durante tutto il giorno girano per il villaggio da soli. Io non ho visto la vita scolastica dei
bambini, poiché nel periodo in cui ero ad Oluko c’era la pausa scolastica, infatti un po’ mi è
dispiaciuto di non averli visti in divisa. Inoltre sono rimasta colpita nel vedere i bambini
ancora piccoli con i loro fratellini legati sulle spalle che andavano a prendere l’acqua al
pozzo, caricandosi le taniche da 20l in testa.”
-Quali malattie tipicamente infantili hanno colpito i piccoli bambini di Oluko quando eri lì?
“Mi ricordo che un giorno, in particolare, ho visto una donna correre verso il dispensario
medico tenendo sua figlia per una gamba svenuta, era affetta dalla malaria, purtroppo per lei
non c’è stato niente da fare, perché lo stato della malattia era troppo avanzato. Purtroppo
questo tipo di situazioni di presentano molto frequentemente, poiché in virtù della loro
percezione del dolore molto bassa, i bambini se pur con la febbre giocano, corrono, dunque
per un genitore non è semplice avvertire lo stato di malessere del proprio figlio.”
-Che tipo di rapporto esiste tra genitori e figli?
“Mi sono resa conto che l’uomo non si occupa dei bambini, della capanna, è un po’ il
“padrone”, mentre la donna è colei che tutto il giorno si destreggia tra la cura dei figli, la cura
della capanna, il lavoro nei campi. Comunque a livello relazionale tra padre e figli non c’è
molto da dire poiché il dialogo è pressoché nullo, ed anche con la madre i bambini non
dispongono della possibilità di avere un ricco confronto, infatti gli unici bambini vicini alle
mamme sono quelli piccolissimi, che li custodiscono nei “marsupi” sulle loro spalle
nell’adempimento delle mansioni familiari. Però ho anche notato che non appena la mamma
si accorge di un disagio dei figli accorre subito a differenza del padre. È la mamma che gli
insegna a prendersi cura del proprio corpo mediante l’educazione all’igiene personale ad 63
esempio. Un altro disagio che colpisce i bambini è la malnutrizione, determinata oltre che da
una scarsa quantità di cibo che hanno a disposizione anche dalla scorretta alimentazione
poiché non possono contare su varietà di alimenti, infatti generalmente tutto ruota intorno al
consumo, principalmente, di patate, di riso, e ciò genera dei forti squilibri nello sviluppo di un
bambino.”
-Hai notato se all’interno del villaggio vige una certa stratificazione sociale che si denota da
fattori che contraddistinguono i bambini? Se si quali elementi la denotano?
“Si questo è un elemento che emerge nel vivere a stretto contatto con loro. Ad esempio un
indice che denota ciò è l’igiene che caratterizza i piccoli, poiché ce ne sono alcuni trasandati,
contrapposti ad altri curati, precisi, profumati. Anche il loro vestiario corrisponde alle
possibilità economiche che contraddistinguono la propria famiglia, infatti c’è qualche
bambino che indossa vestiti strappati, usurati non puliti, altri invece dispongono di vestitini
migliori. Durante il corso della settimana, questo fattore emerge relativamente a differenza
della domenica, quando per andare a messa indossano gli abiti migliori. La chiesa la
domenica mattina è piena di gente, tutto il villaggio partecipa alla messa.”
-I ragazzi/bambini quale atteggiamento assumo nel relazionarsi con voi occidentali?
“Ho notato che il loro atteggiamento è molto tranquillo quando si rivolgono a noi, però è
altrettanto vero che ci sono delle situazioni in cui si denota il fatto che hanno una spiccata
propensione a beffeggiarci mediante la lingua Lugbara, non consentendoci di comprenderli.”
-Hai potuto visitare la nursery, il dispensario medico, l’orfanotrofio?
“Si, mi hanno dato la possibilità di vedere la nursery, da loro edificata e devo dire che è ben
organizzata, ai bambini gli è stata concessa la possibilità di fare una gita fino all’aeroporto, e
per documentarla hanno scattato delle foto che poi sono state appese nelle pareti dell’aula
scolastica, inoltre sono andata al’orfanotrofio con il quale l’ASSOS opera, per raccogliere dei
filmati da destinare alle famiglie ternane che hanno optato per un adozione a distanza, come
testimonianza dell’operato. È stata un’esperienza bellissima! Avrei desiderato che fosse durata
di più…ma il lavoro chiama!
Bibliografia
- TOMMASOLI M., Lo sviluppo partecipativo. Analisi sociale e logiche di pianificazione. Carrocci Editori, Roma 2001.
- ZANOTELLI F. LENZI GRILLINI F., Subire la cooperazione? Gli aspetti critici dello sviluppo nell’esperienza di antropologi e cooperanti. Edizione Italiana, Siena 2007.
64
- BEATTIE J., Un reame africano: bunyoro. Officina Edizioni, Roma 1974.
- MIDDLETON J., The resolution of conflict among the lugbara of Uganda. 1966.
- MALIGHETTI R. “Oltre lo sviluppo. Le prospettive dell’antropologia”. Roma 2007
Articoli di giornale
- RENGO M., Il volo come missionari in Uganda, tre ternani iscritti all’As.So.S. al seguito dell’Associazione di Volontariato del Terzo Mondo. Il Messaggero (Terni), 2006.
- CROCELLI S.M., Uganda adotta una scuola. Il Messaggero (Terni), 2006.
- CROCELLI S.M., Oluko, Arua, Uganda la cooperazione in Africa vista con gli occhi di un giocoliere. Adesso, 2006.
- CROCELLI S.M. Ritorno in Uganda per costruire una maternità: donne ragazze, mi rivolgo soprattutto a voi! Esperto seo 2010.
Sitografia
- Enciclopedia online Microsoft Encarta 2000. 1993-1999 Microsoft Corporation
- www.wikipedia.it
- www.globalgeografia.com/africa/uganda.htm
- www.assosterni.it/afr_iniziative.php
65
- www.espertoseo.it
- www.stefanomariacrocelli.com/index
- www.supercrocio.com/uganda/oluko.php
Ringraziamenti
Il mio ringraziamento più sincero ed affettuoso và al dott. St e fa n o Maria 66
Cr o c e l l i, senza il quale non avrei mai potuto fare questa tesi poiché mi ha fatto conoscere
e mi ha trasmesso la passione per l’Africa. Grazie di cuore per la sua disponibilità, per avermi
sempre accolta con il sorriso e per avermi aiutata e seguita con pazienza, al fine di conseguire
al meglio questo obiettivo. Grazie per il suo sostegno ed aiuto e per il tempo che con gratuità
e amore mi ha dedicato, raccontandomi storie e fatti del suo “paese adottivo”, così,
inconsapevolmente accrescendo il mio interesse per la l’Africa.
Un sentito grazie và ai miei genitori, Fior e l la e Maur i z i o , che hanno rappresentato per
me una guida esemplare, che mi hanno insegnato l’umiltà, il rispetto delle persone, il saper
donare un sorriso, tenendomi sempre per mano.
Un grazie colmo di amore va alla mia cara amica Ga i a , con la quale abbiamo intrapreso il
cammino universitario insieme, che mi ha sempre accolta con gioia, mi è sempre stata accanto
con grande dedizione specie nei momenti più difficili. Tante sono state le esperienze trascorse
insieme, ed in ognuna di esse ho sempre consolidato la stima e l’affetto che provo nei suoi
confronti.
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