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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIA
FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA
CORSO DI LAUREA IN LETTERE MODERNE
BARRESI FRANCESCO
DOMENICO MARINO: VITA, OPERE E
POETICA
TESI DI LAUREA Relatore: Chiar.mo Prof. Giuseppe Savoca
ANNO ACCADEMICO 2011-2012
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INDICE
NOTA DELL’AUTORE 3
CAPITOLO I
La famiglia di Domenico Marino 5
CAPITOLO II
Elenco dettagliato delle opere di Domenico Marino. 11
Osservazioni e dediche nelle opere di Domenico Marino 14
CAPITOLO III
La famiglia in Acqueforti 31
CAPITOLO IV
Il “Maestro” nel ricordo di Vincenzo Nicoletti 44
CAPITOLO V
La prefazione di Lionello Fiumi 53
CAPITOLO VI
La sorella Maria Marino 58
CAPITOLO VII
La sorella Maria nel saggio su Heidegger 68
BIBLIOGRAFIA 78
3
Nota dell’autore
La mia frequentazione con questo poeta è stata lunga ma stimolante, trattandosi di
un argomento originale che attendeva di venire alla luce. Tra le mie mani ho visto
aumentare nel tempo una mole notevole di materiale e di argomenti da sviluppare,
fino ad arrivare ad un punto di transizione che si è protratto per alcuni mesi. Tentare
di sciogliere i nodi di una personalità così complessa non è stato facile per un tesista
alle prime armi. Ho dovuto regolarmi di conseguenza. Ciò che ho ricavato, alla fine,
è la base di una piattaforma ermeneutica che potrebbe in futuro dare adito a nuovi
voli, perché il poeta in questione rimane un’indiscussa voce autorevole del
panorama poetico siciliano del dopoguerra. Rimase in disparte perché “fissato” nei
suoi sentimenti più intimi: la famiglia, la Sicilia, Caltagirone, e la sorella Maria.
Eppure la sua voce presenta una freschezza e una limpidezza di prim’ordine, la
qualità è alta e cristallina, e tutto mi attrasse come un inusitato sfavillare di gemme.
La bellezza di questi versi è unita alle “gesta” di questo poeta, seppellito anzitempo
dietro una gara di poesia da indire ogni anno, di cui pochi ricordano le vere
motivazioni e il significato autentico. Si è saputo che il suo nome è lì, in quelle tre
epigrafi sparse a Caltagirone, in una stanza custodita al Museo d’Arte
Contemporanea, in un premio che porta il nome della sorella e basta. Si decantano
alcune poesie e poi niente, ho ascoltato le solite noie in giro. Tutto questo mi ha
spinto con sempre maggior interesse verso questo fuoco unico e raro, ormai
dimentico ai più. Che sia tipico dei nostri tempi seppellire tutto in un dimenticatoio
effervescente e virtuale questo lo sappiamo. Però non mi sono arreso, ho continuato,
ho scavato in una terra antica per poter vedere gli zampilli di un’anima che mi
parlava dal passato. Adesso è ancora qui, nella febbre che lo colse grande Poeta
quale egli era, e ho capito che il suo messaggio è una cintura troppo stretta ai giorni
nostri. Ma proprio per questo lo riscopersi: il passato è sempre più grande di noi e
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ricercarlo significa attingere alle nostri fonti interiori più autentiche, come uno
scavo interiore in cui rintracciare quei valori che una volta erano capisaldi di
un’intera società. Perché è proprio questo l’intento di Marino: presentare sé stesso,
il proprio mondo, la propria anima e il suo vissuto per proporre uno scavo interiore
che oggi risulta ostico alle anime infiacchite da un mondanità affetta da un horror
vacui accecante. Qui nelle sue poesie c’è tutto il suo edificio poetico (e parlo
sempre di edificio perché “costruire” è un verbo importante per Marino padre e
figlio) e ogni colonna reca i valori che lo hanno sostenuto per tutta una vita. Un
gigante diremmo, o forse il miglior caltagironese dopo Sturzo che ha vissuto
all’insegna del miglior cattolicesimo. Ora è diventata un’anima che riposa in quella
cappella così stretta, claustrofobica, come se strenuamente ancora la famiglia
rimane unita dopo la morte, con una lastra del Parini a testimoniare i valori per cui
ha vissuto, e un crocefisso in fondo alla cappella per accoglierli nella morte. Questo
è Marino: un maestro. Tutti quelli che lo hanno conosciuto lo descrivono così, come
un uomo che aveva in sé tutte le qualità migliori degli onesti. Il suo messaggio è
rimasto lì per tutti coloro che avrebbero avuto l’accidente di imbattervisi. Questo
compito per la prima volta è toccato a me. Che sia destino o meno è solo una
congettura di chiromanti. Fatto sta che Marino il mio nome lo conosceva già in vita.
Non poteva mai aspettarsi che proprio il mio nome avrebbe potuto, un giorno,
interessarsi come nessuno alle sue opere, alla sua vita, ai suoi affetti, a tutti i suoi
aspetti. Adesso è venuto il momento di sdebitarmi in solido di questo andirivieni di
carte e fogli. Ma questi sono debiti che non si pagano facilmente con una sola tesi: è
molto più grande invece perché il conto che ho aperto non si estinguerà. C’è ancora
da scavare in questa miniera d’oro e in tasca ho solo alcune pepite. Presento solo i
primi frutti bizzarri di una ricerca originale. Marino me ne perdoni: era il meglio
che il mio nome poteva dare. E il mio nome lo conosceva già: era il nome di un
uomo di fiducia.
Barresi Francesco
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CAPITOLO I
La famiglia di Domenico Marino∗.
Marino Domenico è nato a Caltagirone il cinque Novembre 19101, figlio di
Giuseppe Marino e di Grasso Carmela. Studiò Giurisprudenza a Catania ed esercitò
l’avvocatura a Caltagirone. Direttore amministrativo dell’ospedale “Umberto I”,
pretore onorario del Tribunale di Caltagirone, patrocinatore legale, saggista,
articolista, poeta, retore raffinato, scrittore, facente parte dei soci promotori
dell’Istituto di Storia Patria e Cultura di Caltagirone, socio onorario
dell’associazione degli architetti del Calatino, ha collaborato con numerose e
importanti riviste di carattere letterario e socio-politico ricevendo il plauso di molti
esponenti dell’intellighenzia culturale italiana a lui contemporanea. Sposò il 26
Gennaio 1938 Sagone Concetta, casalinga, ma non ebbero figli. Prima della sua
morte (avvenuta il 25 Dicembre del 1997 alle ore 14.00) ha lasciato un ricco corpus
di lettere, documenti, articoli, saggi critici, opere d’arte, ha pubblicato dieci opere
poetiche (Acqueforti, Le Tregue, Vetri al Sole, Rosa Rossa, Pane Azzimo, Via delle
Madonne, L’oro delle Ginestre, Maria sorella mi estate, Gli Echi del Sabato, Ora è
di porpora la meraviglia) e ha destinato tutti i suoi averi al Comune di Caltagirone
creando una fondazione, il Premio Nazionale di Poesia “Maria Marino”, un
concorso di poesia indetto ogni anno destinato a tutti i poeti d’Italia2.
∗ Ho ritenuto opportuno ricostruire, con i documenti da me consultati nell’ufficio anagrafe di Caltagirone, l’albero genealogico di Domenico Marino fin dove potevo arrivare. Poiché la famiglia si è dispersa, senza eredi, ed essendo stato Lui un poeta che ha celebrato il focolare domestico come strenuo baluardo al disordine morale e civile, il mio lavoro si è inizialmente concentrato su questo duro scoglio per rendergli il giusto riconoscimento. Eventuali incertezze e carenza di informazioni sono dovute al precario materiale da me rinvenuto e all’inesorabilità del tempo che è trascorso. 1 Vedi atto di nascita 1112 parte I. 2 L’ultima edizione del Premio si è indetta il 21-22 Ottobre 2011, vincitori (per la sezione Poesia edita) Francesco Balsamo con “Ortografia della neve” (Incerti Editori) e Luciano Mazziotta (per la sezione Poesia inedita). Sono intervenuti nel Reading di Poesia del 21 Ottobre Domenico Amoroso, Maria Attanasio, Francesco Balsamo, Innocenzo Carbone, Milo De Angelis, Sara Lo Faro, Luciano Mazziotta, Josephine Pace, Salvatore Padrenostro, Antonella Panarello, Elio Pecora, con interventi del duo Davide Peri (sassofono e percussioni) e Vincenzo Cilia (percussioni africane) e con le installazioni artistiche di Innocenzo Carbone. La cerimonia di premiazione, avvenuta il 22 Ottobre, includeva la lettura di poesie di Domenico Marino e di
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Il padre Giuseppe3, nato il due Ottobre del 18804, muratore e scalpellino
caltagironese diventato imprenditore edile, sposò5 Carmela Grasso (originaria di
Niscemi) il 19 Gennaio del 1910 e morì6 per sclerosi renale il 6 Gennaio 1940. La
famiglia Marino diede alla luce tre figli: il poeta Domenico, la sorella Gaetana
(chiamata affettuosamente “Tittì”) e la sorella Maria.
Gaetana Marino nacque il sette Giugno 19227, iniziò gli studi universitari in Legge
e si sposò8 il 6 Maggio 1944 con Barbagallo Francesco, dottore in Lettere9 nato a
Niscemi il 14 marzo 191810. La famiglia Barbagallo ebbe una figlia, Rosetta
Antonia. Di lei sappiamo che il 17 Maggio del 1960 si trasferì da Gela a
Caltagirone per abitare con lo zio Domenico per poi ritornarvi il 13 Ottobre del
196011(ebbero altri due figli di cui non mi sono pervenuti i nomi). La madre
Gaetana si trasferì a Niscemi il 7 Luglio 194412 e morì13 a Caltagirone alle 15.05 del
24 Giugno 1988. Il marito Francesco, residente a Caltagirone con la famiglia,
lavorava a Gela e partì14 per Vittoria (probabilmente per motivi di lavoro) il 28
Luglio 1939. Morì a Gela il 23 Settembre del 1964 (il corpo venne però trasferito
per la sepoltura nel monumentale cimitero di Caltagirone).
Marino Maria nacque15 il 10 Settembre del 1919 e morì il 27 Maggio del 1984.
Nubile, in giovane età venne colpita da una emiparesi che la paralizzò per tutta la
Rino Rocco Russo (poeta e direttore della Biblioteca di Caltagirone “E. Taranto”) a cura di Viviana Nicodemo con interventi musicali del duo Copernico Roberto (chitarra) e D’Asio Giacomo (tastiera). Vedi manifesto online: http://www.comune.caltagirone.ct.it/comune.caltagirone.ct.it/images/stories/comune/rassegna_stampa/Ottobre_2011/manifesto_premio_marino.pdf nonché l’articolo del 25 Ottobre 2011 sul quotidiano “La Sicilia”. 3 Vedi foglio di famiglia 3321. 4 Vedi atto di nascita 683. 5 Vedi atto di matrimonio 13. 6 Vedi foglio di famiglia 3321. 7 Vedi atto di nascita 1218. 8 Vedi atto di matrimonio 145. 9 Vedi foglio di famiglia 12561. 10 Vedi atto di nascita 123. 11 Vedi pratica migratoria 428. 12 pratica migratoria 168. 13 Vedi atto di morte 72 II B. 14 Vedi atto d’emigrazione W 265. 15 Vedi atto di nascita 509.
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vita. La famiglia è un punto nodale della poetica di Domenico Marino, ma la sorella
rivestì un ruolo cruciale: fu il cardine, la croce e la Musa dolente di una Poesia che
celebrasse, religiosamente, la Vita e la Morte. Visse con la madre e poi con il
fratello Domenico, dove si accese alfine il fuoco dell’amore fraterno trasposto in
Poesia. Mi propongo, però, di parlarne più avanti. Il nonno di Domenico Marino,
Marino Domenico, murifabbro, figlio di Giuseppe Marino e di Cicala Anna, fratello
di Maria Marino16 e Francesco Marino17 nacque18 a Caltagirone il 20 Febbraio del
1853 e sposò Maria Valora il 7 Settembre 187719 e morì20 per pleurite il primo
Giugno 1923. Secondo l’epitaffio21 della tomba del nonno, sepolto nella Cappella
Marino22, il nonno ebbe dieci figli. Nei fogli e nelle cartoline dell’ufficio anagrafe
di Caltagirone, però, non mi sono pervenuti tutti: solamente nove. Mi limiterò
pertanto a elencare gli zii paterni di Domenico Marino che ho rinvenuto tra le carte
da me consultate. Marino Angela23, nubile e casalinga, figlia di Domenico e di
Valora Maria, nacque a Caltagirone il 10 Gennaio del 189024 e morì a Messina il 19
Dicembre del 1946;25 Marino Anna, casalinga, nacque26 a Caltagirone il 9 Ottobre
del 1878, sposò27 il 18 Febbraio 1902 Campisi Francesco e morì il 3 Marzo del
1951 per insufficienza circolatoria;28 Marino Enrico Francesco Domenico,
murifabbro poi impiegato e datore di lavoro, nacque29 a Caltagirone il 29 Aprile del
1888, sposò Marcinnò Lucia il 13 Settembre del 1919 e morì il 5 Luglio del 198030.
16 Nata il venti Novembre del 1855 a Caltagirone (atto di nascita 136), vedova di Caruso Francesco, morì il quindici Ottobre del 1940 (atto di morte 396). 17 (Foglio di famiglia 1524). Murifabbro, Nato a Caltagirone il due Luglio del 1870 (atto di nascita 573), coniugato con Bernardo di Maria il tredici Luglio 1909, morì il diciotto Marzo del 1958 (atto di morte 92). 18 Atto di nascita 148. 19 Atto di matrimonio 143. 20 Atto di morte 266. 21 “Lavoro vittorioso e santo focolare / Stemmato qui due nonni/ I dieci figli da essi che furono di amore / Due di vanto alla patria / Vennero da stormire di ponti e da canti di operosi /Iddio qui miete e strofi e credi e proci d’oro”. 22 La cappella Marino si trova nel monumentale cimitero di Caltagirone nell’emiciclo sud-est, lotto trentatré. 23 Vedi foglio di famiglia 1523. 24 Vedi atto di nascita 38. 25 Vedi atto di morte 1002, parte I. 26 Vedi atto di nascita 714. 27 Atto di matrimonio 28 28 Atto di morte 95 parte I. 29 Vedi atto di nascita 473. 30 Vedi atto di morte 186 parte I.
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Ebbe un figlio, Domenico31, nato32 il 30 Novembre del 1929, sposò33 Piazza Maria
il 22 Settembre del 1956 e partì34 il 17 Giugno del 1955 per Enna; Domenico ebbe
due figli: Domenico e Lucia. Il primo nacque35 a Caltagirone il 23 Febbraio del
1963 e risulta residente a Catania, la seconda nacque il 16 Maggio del 1959 e risulta
residente a Siracusa; Marino Francesco, professore di Liceo, nacque36 a Caltagirone
il primo Giugno del 189837, sposò Franco Maria a Civitavecchia il 14 Luglio del
1927, partì38 il 16 Dicembre 1947 per Torino dove morì il 27 Novembre del 1971.
Marino Gaetana, casalinga e poi insegnante di scuola elementare, nacque39 il 26
Novembre del 1893 e morì40 nell’Istituto Maria Ausiliatrice il 21 Agosto del 1988
alle ore 06.30. Marino Gaetano41, ufficiale, nacque42 il 17 Settembre del 1882 e
partì il 23 Agosto del 1932 nella città di Asmara, in Egitto.
Lo zio Salvatore Marino, invece, non risulta nelle carte anagrafiche ma ho
rinvenuto nella stanza Marino43 una foto dello stesso con scritto:
“Salvatore Marino, decorato della croce di guerra al valor militare. Monte
Uplatanac- Bucova- sera 24 Ottobre 1917-brevetto cinquantasette 1925. in data 5
Maggio 1926. Per la fermezza, l’ordine e lo sprezzo del pericolo di cui diede prova
in una difficile situazione di guerra”.
31 Vedi foglio di famiglia 4123. 32 Atto di nascita 1043 parte I. 33 Vedi atto di matrimonio 11241. 34 Vedi pratica migratoria 247. 35 Vedi atto 165 parte I sez. A. 36 Vedi atto di nascita 472 parte I sezione A. 37 Vedi atto di nascita 121 parte I. 38 Vedi pratica migratoria 448. 39 Vedi atto di nascita 1069. 40 Vedi atto di morte 96 parte II sez. B. 41 Vedi foglio di famiglia 1523. 42 Vedi foglio di famiglia 822. 43 La “Stanza Marino” sarebbe una stanza allestita presso il Museo D’arte Contemporanea di Caltagirone dove si possono vedere le opere di Marino, i quadri, le foto di famiglia, le opere d’arte, i mobili, gli articoli, la corrispondenza privata, le opere poetiche.
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Pubblico di seguito, infine, l’albero genealogico della famiglia Marino:
Giuseppe Marino Cicala Anna Marino Francesco Di Bernardo Maria Marino Maria Francesco Caruso Domenico Marino Maria Valora Marino Angela Marino Gaetano Marino Salvatore Marino Ignazio Marino Enrico Francesco Domenico Marcinnò Lucia Marino Francesco Marino Domenico Piazza Maria Marino Gaetana Franco Maria Marino Lucia Domenico Marino Marino Anna Marino Giuseppe Grasso Carmela Maria Marino DOMENICO MARINO Gaetana Marino Francesco Barbagallo Barbagallo Rosetta Antonia
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CAPITOLO II
Elenco dettagliato delle opere di Domenico Marino
Acqueforti: in lyra quies.
Impresso nel 1949 dalla tipografia F. Napoli & figlio di Caltagirone. Prefazione di
Domenico Marino. 78 pagine, 22 cm.
Le tregue
Impresso nel Gennaio del 1951 dalla tipografia Francesco Napoli &Figlio di
Caltagirone per conto della casa Editrice Maia di Siena. Pagine 101, 25 cm.
Pane azzimo
Impresso il 24 Dicembre 1952 dall’editore Angelo Signorelli di Roma. Il prefatore
è Mario Stefanile. Pagine 81, cm 22.
11
Vetri al sole
Impresso il 30 Giugno 1956 dalla tipografia Francesco Nobile & Figlio per conto
dell’editore Angelo Signorelli di Roma. Il prefatore è Lionello Fiumi. Pagine 109,
24 cm.
Rosa rossa
Impresso nel 1975 dalla tipografia Bertoncello di Cittadella (Padova) per conto
dell’ editore Rebellato. Pagine 102, cm 22.
Via delle Madonne
Impresso nel 1982 dalla biblioteca di Revisione E.R.S.I. edizioni (Sezione di
Poesia). Il prefatore è Vittorio Vettori. Pagine 51, cm 22.
L’oro delle ginestre
Impresso nel 1985 dalla biblioteca de L'osservatore politico letterario di Milano. Il
prefatore è Giuseppe Longo. Pagine 110, cm 21.
Maria, sorella, mia estate
Impresso nell'Aprile del 1986 dalla Sicilgrafica di Caltagirone al n. 38 di via
Madonna della Via per conto della biblioteca de L'osservatore politico letterario di
Milano. Il prefatore è Maria Luisa Spaziani. Pagine 185, cm 21.
12
Ora è di porpora la meraviglia
La prima edizione è del Dicembre del 1990. Impresso dalla Tipografia Monforte di
Catania per conto delle Edizioni Greco. Il Prefatore è Ferruccio Ulivi. Pagine 230,
cm 21.
Gli echi del sabato
Impresso nel Luglio 1996 dalla tipografia Audax di Caltagirone e pubblicato presso
Marzorati Editore- Settimo Milanese. Il prefatore è Antimo Negri. Pagine 177,cm
20.
13
Osservazioni e dediche nelle opere di Domenico Marino44
o Le Tregue: due versi aprono l’opera:
“Ancora solchi col desiderio
di spighe piene e mature”.
o Il disegno del frontespizio è di Pino Romano. Il disegno è datato 1950 e
firmato dallo stesso artista. Si vede una donna nuda distesa sotto un’agave.
Pane Azzimo: Il disegno del frontespizio è di Andrea Parini. Si vedono figure
geometriche e un volto.
Vetri al sole: Il disegno del frontespizio presenta un particolare di una
xilografia di Andrea Parini. Si vede un gruppo di uomini intenti a guardare
qualcosa.
Rosa Rossa: Il disegno della copertina è di Andrea Parini ed è ispirato al
rilievo arcaico in pietra Le Sfingi del Museo Civico di Caltagirone.
o La poesia Il tuo nome era la Grecia a pg. 54 è dedicata alla memoria di Irene
Reitano Mauceri, poetessa.
44 Ho escluso la prima raccolta, Acqueforti, perché vorrei proporre uno studio personale e approfondito in seguito. Questo volume venne smarrito e dovetti farmi prestare (previa gentilezza e disponibilità del direttore M. Amoroso) l’unica copia rimasta, tuttora custodita nella Stanza Marino del M.A.C. di Caltagirone.
14
Via delle Madonne: a pagina 25 vi è una dedica alla sorella Maria:
“A Maria, la sorella che del suo rassegnato sacrificio accende e vivifica il dover
essere dei miei giorni e riepiloga nei suoi dolci occhi dolenti tutto l’amore della
nostra casa paterna, queste pagine per le cose sante del mio paese sono
dedicate”.
o La pagina 26 presenta la Madonna leggente di Antonello da Messina in un
foglio plastificato e incollato alla pagina.
L’oro delle ginestre: Il frontespizio reca la poesia “Questa è la mia terra”.
o La sezione “Terra e padri” presenta le seguente dedica:
o “A mio padre, Giuseppe Marino, che mi segnò di fatica e disciplina
scolpendomi come sulla pietra scolpiva simboli e fiori”.
o La poesia “Non c’è altro” è dedicata ad Arturo Carbonetto.
“Ad Arturo Carbonetto, amico fraterno e concittadino illustre perché letterato e
latinista insigne”.
o La poesia “Vogliono pane d’oro” è dedicata a Maria Luisa Spaziani
o La poesia “9 Luglio” è dedicata a Salvatore Marino. Ecco la dedica:
o “A Salvatore Marino, fratello di mio padre, Capitano Croce di Guerra al
valor Militare nel conflitto 1915-18”.
15
o La poesia “Aspettano parole immortali” è dedicata a Giuseppe Longo
o La poesia “Da due muraglie di millenni è dedicata a Lydia Alfonsi
o La poesia “Ti sembrerà la tua vera casa” è dedicata a Gaetano Marino. Ecco
la dedica:
o “A mio zio Gaetano Marino, Colonnello d’Amministrazione che nel 1945,
sprezzando il pericolo, fu a Trieste figlio amorosissimo.
o La poesia “Oltre il Fiume” è dedicata a Francesco Spadaro di Passanitello
o La poesia “La tua terra” è dedicata alla memoria di Andrea Parini.
o La poesia “Solo Iddio li vede” è rilevata da Pane Azzimo.
o La poesia “Maria” è tratta da Le Tregue.
o La poesia “Che giova?” è tratta da Rosa Rossa
o La poesia “Maria, sorella, mia estate” darà il titolo all’opera successiva
16
Maria, sorella, mia estate: una poesia precede la prefazione. Il
frontespizio presenta l’immagine dell’autografo della poesia:
Chi fa memoria somiglia ai cordari
d’antico mito che una ruota a giro
per manca sostentavano di sparto
indietreggiando a passetti e dal torcere
sorvegliato crescevano la corda
come un tirare a destini il passato
o Nel volume depositato alla biblioteca “E. Taranto” c’è, oltre alla dedica
dell’autore, una nota dello stesso che fa riferimento ad un suo articolo su
Heidegger in cui cita la sua opera.
o Pag. 22 presenta un’immagine di un’opera di Pino Romano “Costruire” .
o La poesia “La sua vita inseguiva architetture” è dedicata a Francesco
Mercadante. Ecco la dedica:
o “A Francesco Mercadante, Filosofo del Diritto, nella lezione delle dita
nodose dei nostri Padri”
o Pag. 34 presenta un disegno di A. Ragona, “Immortalità”.
o La poesia “L’orologio che batte” è dedicata a Nino Ragona. Ecco la dedica:
o “A Nino Ragona che ha inteso il giusto simbolo per Maria.”
17
o La poesia “Non si deve sapere?” è dedicata a Francesco Di Grande. Ecco la
dedica:
o “A Francesco Di Grande che fu per Maria incondizionata mano infermiera”.
o La poesia “Col tuo volto di statua greca” è dedicata ad Arturo Carbonetto.
Ecco la dedica:
“Ad Arturo Carbonetto nel segno di Andrea Parini”
o Pag. 68 presenta un disegno di A. Ragona, “Balconi”
o Pag. 69 presenta il titolo dell’articolo pubblicato dalla Spaziani in Idea del 8-
9-1984, La piccola luna bianca che ancora si chiama Maria.
o Pag. 70 presenta l’immagine di un vaso greco. Si vedono due ceramisti intenti
al lavoro sorvegliati da una dea.
o La poesia “Quel vetro d’inganni” è dedicata a Francesco e Rino Fazio. Ecco
la dedica:
“Agli amici Francesco e Rino Fazio e a Lei che scrisse con cuore per Maria”.
o Pag. 76 presenta l’immagine di una cartina geografica d’epoca di Caltagirone
che si trova nella sala lettura della biblioteca comunale di Caltagirone “E.
Taranto”. La cartina è firmata “Bernardinus Bongiovanni sculp. 1774”.
18
o La poesia “Come lo ha dipinto Cilia” è dedicata a Franco Cilia. Ecco la
dedica:
“A Franco Cilia che col suo colore ha fermato il profondo di Maria”.
o La poesia “Mentre ti fingevo” è dedicata a Vittorio Vettori. Ecco la dedica:
“A Vittorio Vettori che ha detto oro per Maria”
o Pag. 100 presenta un’immagine di un’incisione del 1762 dei vortici di Scilla e
Cariddi. La sezione “Tornerai?” presenta varie immagini di Maria.
o Pg. 111 presenta un dipinto di Franco Cilia con Maria
o La poesia “Come quella di Annunzio” presenta una dedica a Maria Luisa
Spaziani. Ecco la dedica:
“A Maria Luisa Spaziani che con la sua pagina ha sigillato l’essenzialità di
Maria”.
o La poesia “Quel bianco stupore” presenta una dedica a Francesco e Angelica
Varsallona. Ecco la dedica:
“Alla casa di Francesco e Angelica Varsallona ove Maria lesse giustizia e
lealtà”.
o La poesia “In giustizia piegarmi” è dedicata a Nino e Maria Pitrelli. Ecco la
dedica:
19
o “A Nino e Maria Pitrelli e a Lui che fu medico abnegato per Maria”.
o La poesia “Incontrarmi con te” è dedicata a Lydia Alfonsi. Ecco la dedica:
o “A Lydia Alfonsi che disse greca la bellezza di Maria”.
o La poesia “Con la poesia” è dedicata a Giuseppe Longo. Ecco la dedica:
“A Giuseppe Longo il cui cuore ha voluto condurre anche queste pagine”.
o Pag. 162 presenta l’immagine della Madonna leggente di Antonello da
Messina in un foglio rettangolare plastificato incollato alla pagina.
o La poesia “Era di abilissimi disegni” è dedicata a Filippo e Fangi Sasso.
Ecco la dedica:
“Alla casa di Filippo e Fangi Sasso ove Maria incontrò amicizia sicura”.
o Pag. 180 presenta una xilografia di Andrea Parini, “La strada e la Chiesa”.
o La poesia “Voce che svegli il mondo” è dedicata a Guido e Ada Giaquinta.
o “A Guido e Ada Giaquinta che compresero le mie ansie per Maria”.
o La poesia “Io porterò la chitarra” a Giuseppe Nicotra. Ecco la dedica:
20
“A Giuseppe Nicotra – musicista e uomo di Dio – che seppe delle virtù di Maria
mia sorella”.
Ora è di porpora la meraviglia: L’opera è stampata con carta
“Palatina” delle Cartiere Miliani Fabriano. La copertina presenta un olio di
Franco Cilìa, “Dopo il sole”.
o Pag. 11 reca una poesia che apre il volume:
“Non verso da lambicco né parola
da scavo: qui soltanto c’è la voce
d’un uomo che con inchiostro di sangue
scrive dolore per leggersi un giorno –
ogni giorno – in due dolci trasparenze
di occhi azzurri e mansueti e in un sorriso
d’anima vergine in dialogo vergine,
meraviglia del mondo.”
o “Non ha argenti Novembre” è dedicata a Arturo Mannino. Ecco la dedica:
o “Ad Arturo Carbonetto che ha illustrato Catania letteraria”.
o La poesia “Nunca falta una guitarra” è dedicata a Luigi Fiorentino. Ecco la
dedica:
“A Luigi Fiorentino che tradusse con fraterno amore”.
21
o La poesia “Novembre è ladro” è dedicata a Francesco Varsallona. Ecco la
dedica:
“A Francesco Varsallona, all’oro per la sua Giustizia in canto nel silenzio
dell’atto casolare qui voce in virtù che continuano.”
o Pag. 64 presenta l’immagine di un’opera di Franco Cilia, “Regina Virginum”
nell’effige di Maria Marino giovinetta. Opera in pastello (diap. Di V. Piluso).
o Pag. 81 presenta un’opera di Franco Cilia, “Maria”, pastello (diap. Di V.
Piluso).
o La poesia “In quel teatro d’alte maschere” è dedicato a Riccardo Fragapane.
Ecco la dedica:
“A Riccardo Fragapane, alla sua georgica grecità splendida di poesia e
d’amicizia come eco ad antica lyra rapsodica”.
o Pag. 128 presenta una foto di Lydia Alfonsi in Elena di Euripide, Siracusa,
1978.
o Pag. 144 presenta due immagini di due opere. Andrea Parini: “La casa
armoniosa” , scultura ceramica (diap. Di V. Piluso); Gabriele Cardillo, “Alba
a ponente”, olio, (diap. Di V. Piluso).
o La poesia “Amore-dolore a Pisa” è dedicata a Pia Orena. Ecco la dedica:
o “A Pia Orena, alla sua limpida Poesia”.
22
o La poesia “Disegnandolo a vivo” è dedicata a Salvatore De Francisci. Ecco la
dedica:
o “A Salvatore De Francisci, sacra e onorata bocca d’oro e amico senza fine”.
o La poesia “Pro nostra solitudine” è dedicata a Sabino Napolitano. Ecco la
dedica:
“Alla musica di Sabino Napolitano45 cui è piaciuto dar note solenni a questa
Pasqua in solo “Pane e Iddio”, con animo gratissimo”.
o La poesia “Amen per chi crede” è dedicata a Giovanni Montemagno. Ecco la
dedica:
o “A Giovanni Montemagno, uomo d’alta cattedra e sicura amicizia e
virtuosissimo della Libertà”.
o La poesia “Quel cielo libero” è dedicata a Cesare Maggiore di Santa
Barbara. Ecco la dedica:
“A Cesare Maggiore di Santa Barbara, alla sua sapienza civilistica bene ornato
d’amicizia e d’onore”.
o La poesia “Tu che più volte” è dedicata a Maria Luisa Spaziani. Ecco la
dedica:
23
“A Maria Luisa Spaziani, alla sua grande poesia e agli umani tesori del suo
cuore amico”.
o La poesia “Che lèggere?” è dedicata a Nino Geraci. Ecco la dedica:
“Alla memoria di Nino Geraci, signore degli arenghi penali, voce del Diritto
come Virtù”.
o La poesia “Potrà sciogliermi” è dedicata a Giuseppe Nicotra. Ecco la
dedica:
“A Giuseppe Nicotra sacerdote e musicista, soprattutto fraterna anima bella”.
o La poesia “Da tutte le cose” è dedicata a Carmelo Caristia. Ecco la dedica:
“Al mio alto Maestro Carmelo Caristia dal Quale ebbi l’amore per la Scienza e
l’esempio del severo vivere”.
Gli echi del sabato: La copertina reca l’immagine di un olio di Franco
Cilìa “Prima del sole”. Tale opera è esposta al M.A.C. di Caltagirone.
o L’opera è dedicata alla sorella Maria. Ecco la dedica:
“A Maria sorella mia perenne estate”.
o Dopo la dedica e prima della prefazione c’è una poesia:
24
“Dio
fammi morire all’alba
perch’io possa venire alla tua vita
da un inizio di vita.
Fammi morire quando tutto si sveglia
perchio possa passare
tra il profumo della Terra
e il canto degli uccelli
e le nuvole di rosso cinabro.
Morire all’alba,
Dio, Tu lo sai,
è correre più spedito
senza esser visto dagli uomini,
è non esser seguito
da molto pianto.
Dio,
fammi la santa grazia.
Fammi morire quando spunta il sole.
E così sia.”
o La poesia “Via di luce” è dedicata a Peppino e Maria Compagno. Ecco la
dedica:
25
“A Peppino e Maria Compagno – fratello e sorella – che lessero, con me, nel
mare, questi attimi d’eroico sacrificio”.
o La poesia “Ma chi scese.. a vestirti di maschera?” è dedicata a Ignazio
Marino. Ecco la dedica:
“A Ignazio Marino, fratello di mio Padre, caduto eroicamente sul carso nel
1915/18 poco dopo un festoso inatteso incontro col fratello capitano Salvatore,
poi decorato al Valore”.
o La poesia “Altro che le penne” è dedicata a Innocenzo Marcinnò. Ecco la
dedica:
“A Innocenzo Marcinnò fattore di sicura pace nella Guerra dei Trent’anni”.
o La poesia “E il vento a flutti” è dedicata a Giuseppe Longo. Ecco la dedica:
“A Giuseppe Longo giornalista, andato all’Orologio senza Ore, al suo essere
stato sempre – nella Pagina e nell’Amicizia – forte e illibato come la conchiglia”.
o Pag. 68 reca una poesia di Maria Luisa Spaziani dedicata a Maria Marino
tratta da “I fasti dell’ostrica” – Milano, Mondadori “Lo specchio”, pag. 52,
con l’affettuoso consenso dell’Autrice.
o Pag. 69 presenta l’immagine di un olio di Franco Cilia, Aurora; la stessa
pagina presenta una poesia della Spaziani alla memoria di Maria Marino.
26
o La poesia “Ancora vorrai?” è dedicata a Francesco Varsallona e Benedetto
Digregorio. Ecco la dedica:
“A Francesco Varsallona e Benedetto Digregorio che mi sono compagni nel
godimento degli antichi siculi splendori”.
o La poesia “ Dimmi se seppi cantare” è dedicata a Giovanni Papini. Ecco la
dedica:
“A Giovanni Papini che accolse la mia visita seppure malato la sera del 15
Settembre 1955: alla Sua Grandezza”.
o La poesia “Il vecchio castello” è dedicata a Marco e Mara Jacona della
Motta. Ecco la dedica:
“A Marco e Mara Jacona della Motta (a Lui –di più- per l’irreprensibile austerità
nella gestione della cosa pubblica): alla loro nobiltà autentica.”
o La poesia “Finché sarà il mondo” è dedicata a Giacomo Alberghina. Ecco la
dedica:
“A Giacomo Alberghina che m’invitò al dolce accompagno solenne oltre i suoi
marmi”.
o La poesia “Proposito dell’ostrica” è dedicata a Marzia Placenti. Ecco la
dedica:
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“A Marzia Placenti venuta dalla maestosa Torre di San Gregorio”
o La poesia “E fabbrica balestre” è dedicata a Salvatore Gravina di
Palagonia. Ecco la dedica:
“A Salvatore Gravina di Palagonia figura d’antico lignaggio e mano d’oro
apertasi a collettivo beneficio voluto di perennità pur d’oro”.
o La poesia “La Stagione ci dura” è dedicata a Carmelo Canzonieri. Ecco la
dedica:
“A Carmelo Canzonieri perché duri e splenda la sua memoria di Vescovo
sapiente: di quelli ce non conducono il branco ma illuminatamente amano e
guidano le proprie pecore ad una ad una”.
o La poesia “Nostre sere di Luglio” è dedicata a Ines Penna Crescimanno,
duchessa d’Albafiorita. Ecco la dedica:
“A Ines Penna Crescimanno Duchessa d’Albafiorita viva nella Poesia e nella
musica”.
o La poesia “Ma le vostre aurore” è dedicata a Gabriele e Adele Cardillo.
Ecco la dedica:
“A Gabriele e Adele Cardillo dalla cui casa cinta di petunie nacquero questi
versi”.
28
o La poesia “Primavera di primavere” è dedicata a Greta Valenti. Ecco la
dedica:
“A Greta Valenti sicura primavera di Legalità e Giustizia”.
o La poesia “Vitamorte ora recita” è dedicata a Santo Viola. Ecco la dedica:
“A Santo Viola signore delle diagnosi e re del bisturi: alle sua preziose virtù di pensiero e cuore”. Alla fine vi è una post-fazione:
“Onestà da tempo mi sollecitava a rivelare l’infanzia della mia poesia. Per accontentarla ho combinato questo girotondo di molte cose rimaste ignote o lasciate come echi: facendone un insieme sentimentale con alcune d’ultima cadenza. Arrendersi al Vero fu sempre virtù. Il perché di quanto ho fatto e qui dichiarato non lo so: chissà se per piacere, chissà se per dolore…!”
29
Capitolo III
La famiglia in Acqueforti
Acqueforti è un’opera poetica di Marino pubblicata dagli stampatori “Francesco
Napoli&Figli” di Caltagirone nel Febbraio del 1949, contenente trentuno poesie
“impresse” in ottanta pagine e il sottotitolo “in lyra quies”.46 Un'unica poesia,
Santo Francesco, è dedicata47 a Nino Salvaneschi. Il titolo48 rivela la volontà del
poeta di “incidere” metaforicamente, per mezzo del supporto cartaceo, il suo
primo distillato poetico che contiene in germe alcuni nuclei tematici che il Poeta
svilupperà nelle opere successive, realizzando così in questo primo sigillo poetico
una quiete dell’anima realizzatasi in poesia, una quiete appunto raggiungibile solo
per mezzo della composizione poetica che gratifica il Poeta dell’atto e gli
permette di sviluppare in fieri tutta la sua sfera del sentimento poetico. Nella sua
breve presentazione infatti Marino presenta per la prima volta, in maniera
colloquiale e nitida, le motivazioni e i dubbi che lo spinsero a pubblicare il suo
Primo vere.
Così recita il poeta:
“Consegno questi versi poveri e nudi alla sincerità degli amici che mi hanno
esortato a stamparli. Più d’una volta fui sul punto di regalarli a Frate Foco. Ma
una voce semplice e chiara, come di persona assai benevolente, sempre me ne
distolse. Voce di chi? Forse della mia stessa anima, quella d’un tempo ormai
lontano? O di chi comparve e scomparve in una grande giornata di luce? Forse
d’alcuno che per me invano ed invano, in lunghissime notti d’inverno, sognò mete
eccelse e dorate? O di chi ancora non nato dovrà, nei giorni più tardi, confortare
46 Il frontespizio dell’opera che ho visionato nell’unico originale rimasto, depositato nella “Stanza Marino” presso il M.A.C. di Caltagirone, reca un’immagine rettangolare e indistinta di cui non sono riuscito a valutare il significato dato il formato precario del volume. Presumo che sia l’immagine di una lastra metallica di un qualche artista noto a Marino. 47 “Alla nobile amicizia di Nino Salvaneschi dedico il momento francescano che segue a questo foglio”. (vedi Acqueforti, Stampatori Napoli&Figlio, Caltagirone, 1949, pg. 67). 48 L’acquaforte è “una tecnica di incisione su metallo in cui la lastra, spec. di rame, preventivamente ricoperta da una vernice antiacido, viene incisa con una punta d’acciaio e sottoposta all’azione dell’acido nitrico in corrispondenza dei segni tracciati”. (tratto dal Dizionario Zingarelli 2006).
30
con queste cantilene il tormento dei miei ricordi? Io non so davvero perché
parole tra le più varie disposi così in fila a tre e quattro e a cinque e più. Mare,
vento, cielo, luce, pianto, neve, fiori, voci, canti, infinito…Perché le misi in fila,
come prigionieri in catene, tante immensità? Chi sa…chi sa..! Forse per
piacere…! forse per dolore!”
A parte un mal celato autocompiacimento per i propri dubbi49 e un’iniziale
declamazione di una drammaticità esistenziale che sembri attanagliare il Poeta,
questa breve presentazione rivela già alcuni temi che saranno oggetti del primo
canto di Marino: mare, vento, cielo, luce, pianto, neve, fiori, voci, canti e infinito.
È chiaro qui il principio scatenante, il nucleo originario e sentimentale tanto caro
a tutti quei poeti panici che abbracciano la totalità del Creato e della Vita:
l’Indeterminato. Proprio partendo da questo principio di indeterminatezza che si
origina quel sentimento del Sublime di cui Marino dimostra, in potenza, di
possedere e di sviluppare appieno negli anni a seguire. Il sentimento poetico di
Marino in origine non si prefigge di cantare un oggetto particolare, ma di
concentrarsi tutto sul primo gorgheggio di un’anima che, finalmente, fa mostra
del proprio sentire e si esibisce nella sua apparente semplicità. Non c’è un oggetto
ben preciso su cui concentrare tutte le energie emozionali e intellettuali: questo è
il primo palco del Poeta, il primo luogo dove si cimenta nella realizzazione (e
divulgazione) delle proprie capacità.
Tuttavia tutte le poesie di questa silloge possono essere riconducibili a dei temi
ben precisi. Pubblico di seguito un elenco dei temi con le poesie corrispondenti:
49 L’espressione “Chi sa…chi sa..! Forse per piacere…! forse per dolore!” della breve presentazione iniziale verrà a suo modo rimodulata nella poesia Autunno ai versi 26-27 (chi sa se per piacere,/ chi sa se per dolore!) riferendosi alle rugiade scintillanti versate “come gocce di fresco pianto”. L’allusione alla drammaticità della propria condizione esistenziale trova luogo qui nell’allegoria dell’Autunno.
31
Categorie tematiche di Acqueforti. Tema della luce: Mattino – Alba - Fiamme-Luce a Ponente. Tema delle stagioni: Autunno- Nevicata –Neve -Agosto. Tema dei ricordi, riflessioni e descrizioni: Sullo Stretto- Voce del vento- L’adolescente- Catene –Aspirazione -Frammento- Nella Riviera -Un Bimbo-La Diligenza. Tema dei fiori: Calicanto. (vedi la poesia Nevicata) Tema dell’Infinito: Ora meridiana- -Paranze. Tema della madre: Amore antico Tema del padre: Muratori-Colloquio. Tema di Caltagirone: Via dei Platani – Angelus – Fraternità - S. Francesco -Città dei Ragazzi. Tema della Luna: Invocazione –Tanit -Sete.
Vorrei soffermarmi unicamente sui temi che interessano la famiglia, centro
nevralgico della sensibilità del poeta Marino, e in particolare sulla figura della
madre e del padre. Il tema del padre è significativo della personalità di Marino: da
qui attinge tutta una morale del lavoro e della fatica che farà propria e non
abbandonerà mai. Il padre è indicato come esempio, a sé stesso e agli altri, di un
uomo infaticabile e solerte nel suo lavoro dedito ai suoi strumenti e ricordato nella
vivezza del ricordo. Marino così “incide” in una sua acquaforte poetica sia una
sfera della sua personalità dichiarandone la fonte (il padre) sia una celebrazione
dell’operosità paterna. Riporto a chiarimento di ciò la poesia Muratori:
Fumi di calce, d’olî e di cementi,
cigolìo di pulegge, andar di carri,
canti allegri, vociare e ondeggiamenti
di legni in cima ai ponti…
In un variar solenne
32
ampio di ruote e d’archi
più sempre, d’ora in ora,
verso il cielo s’innalza audacemente
il muro come un inno!
Mio Padre vive ancora!
Mio padre è ancora lì tra quegli odori
di calce e di elementi,
tra i canti allegri di quei muratori,
tra le pulegge stridule e lucenti…
Agile ancor pei ponti
lo vedo andare, sotto il sol cocente,
fiero dell’opra e lieto, tra i rumori
dei picchi e tra i sorrisi di sua gente…
Ovunque al sole o al vento
l’uomo fatigherà per il suo pane
io rivedrò mio Padre…! E il verbo audace
(stridulo, sì, ma vivo!)
che’Ei ripetea con gesto ardito e franco
sempre lo ridiranno il cigolìo
dele pulegge ed il rumor dei carri,
gli archi solenni e i ponti,
ogni quanto ad altezze aspira e tende…
“Costruire!,, diceva…E gli capivo
la gioia da la voce,
33
l’ansie da le pupille…
Mio Padre, sì, mio Padre ancor mi sente…
Mio Padre è ancora vivo!
Il Poeta paragona la voce stridula del padre agli strumenti e ai macchinari che
usava, allontanando il dolore della sua morte e risarcendolo nell’immortalità del
ricordo. Il padre è ancora vivo nel ricordo e nell’esempio che ha dato al figlio
durante la vita. Nella poesia Colloquio invece Marino esprime il desiderio di un
ultimo incontro con il padre ricordato mentre sedeva a tavola con la famiglia,
quando spirò l’ultimo fiato davanti un Crocifisso, con gli arnesi e le carte del
lavoro, mentre portava il pane. Qui è evidente come il tema del padre, ricordato
come uomo laborioso, si trasformi concettualmente in un tema che abbraccia la
filosofia: l’uomo comune destinato a faticare tutta la vita. A chiarimento di ciò
riporto la poesia:
Più volte son venuto
nel buio
per incontrarti;
più volte t’ho chiamato
ma tu sei rimasto muto.
Oh, toglimi questa arsura
di vederti;
toglimi questo tormento
che dura
infinito.
Parlami coi sussurri del vento,
col rumor de le foglie,
34
con l’impeto del dolore
che toglie il respiro.
Ma ch’io riascolti
la tua voce,
ch’io ti riveda
ancora
ne l’aspetto
vivo,
non con le braccia in croce.
Riaccendi i nostri volti
d’un sorriso
come nell’ora
solita
d’ogni tuo ritorno,
come nell’ora del desco
quando a te intorno
siedevamo
per mangiare il pane fresco
frutto del tuo sudore.
Quel pane ch’era bianco
come la neve
per noi non ha più colore;
quel pane ch’era dolce come il miele
oggi non ha più sapore,
anzi sembra impastato col fiele.
Oh, perché stanco
fosti anzitempo?
35
Tutto ne la casa è scuro
da che tu sei andato.
Vedi?
Lì appeso al muro
è ancora il Crocefisso
che ti vide soffrire,
che vide partire il tuo spirito.
Lì ancora son gli arnesi
de la tua fatica,
le carte
che ti resero insonne,
l’amica
lampada
che ti vegliò la notte.
Ritornerò al colloquio.
Ma tu che non sia muto
a questa infinita
mia angoscia,
o mio Perduto!
La sofferenza del padre che ha lavorato un’intera vita è accomunata alla
sofferenza del Cristo in croce in una trasposizione concettuale ben precisa50. Il
padre-Crocifisso è ricordato nell’intimità del proprio affetto di figlio devoto, delle
sue virtù di artigiano, della sua costanza e serietà nel lavoro. Questo fa sì che la
morale del lavoro si installi nella personalità di Marino e ne decanti l’origine,
50 Vorrei sfruttare un eloquente esempio dell’arte rinascimentale per meglio chiarire questo concetto: il Crocifisso di Santa Croce di Donatello, dove sul legno della croce l’artista riporta un “contadino” secondo le invettive di Brunelleschi. Non trovo un esempio più lampante del paragone tra la sofferenza del Cristo e quella dell’uomo comune, in accordo alla descrizione del padre di Marino.
36
ribadendo inoltre una volontà di riscatto sociale dei ceti medio-bassi celebrandone
le forti capacità umane.
Il tema della madre è presente nel sonetto Amore Antico ed è strutturato secondo
lo schema metrico ABAB-ABAB-CDE-EDC:
Nel mio pensiero palpita una fiamma
antica quanto il primo mio vagito;
è una scintilla viva d’infinito:
l’amor che Iddio mi diè per la mia mamma!
È il fuoco vivo e forte che m’infiamma
ad ogni gesto nobile e ardito:
il cuor che canta o sanguina ferito
l’accende o lo conforta quella fiamma.
O mamma, mamma, fonte dolce e santa
di tutte gioie e feste di mia vita
e pace e quiete ad ogni dolore,
soltanto in grembo al tuo perenne amore
sa rifugiarsi l’anima smarrita,
soltanto nel tuo nome il cuor mi canta!
La posizione dell’ordine non sembra casuale, visto che la poesia precedente
(Muratori) celebra la figura paterna. Una coppia di poesie poste all’incirca a metà
del volume dove sono inserite la madre e il padre di M., come importanti cardini
centrali dell’opera.
La madre qui è chiamata “mamma”, ovvero Marino si rivolge a lei con una forma
allocutiva tipica delle espressioni affettuose di un figlio. L’amore verso la madre
37
è paragonata ad una “scintilla viva d’infinito” che lo “infiamma ad ogni gesto
nobile e ardito”, un sentimento che procede direttamente da Dio e luogo di
quiete, di serenità, di rifugio (soltanto in grembo al tuo perenne amore/ sa
rifugiarsi l’anima smarrita/ soltanto nel tuo nome il cuor mi canta!).
A parte la strettoie delle regole metriche qui è evidente come Marino celebri il
calore del suo alveo materno, come un uomo che si fa piccino nella poesia per
potersi sempre ricondurre al caldo grembo materno. Dunque un poeta che nutre
un profondo senso di riconoscenza e gratitudine verso chi lo ha generato,
accudito, preservato dal dolore e ricondotto alla retta via (soltanto in grembo al
tuo perenne amore/ sa rifugiarsi l’anima smarrita). Inoltre non appaiono molto
chiare le coordinate del suo infinito poetico: qui possiamo solo vedere che
appartiene alla madre e all’Indeterminato. Non sembrerebbe nemmeno questo un
caso. Al centro di Acqueforti risiedono le due figure del padre e della madre.
Potrebbe essere un caso solo se si trattasse di un poeta che non ha voluto lasciare
indizi e tracce di sé nei propri componimenti, che non ha voluto lasciare dei segni
precisi negli apparati infratestuali e paratestuali. Invece Marino si rivela un poeta
che “confeziona” i propri testi secondo rimandi e significati ben precisi. Ogni
opera poetica è lo sviluppo necessario dell’opera precedente, in cui sono sempre
presenti rimandi e segnalazioni, trattandosi di un poeta che rimarrà “fissato”
psicologicamente per sempre nel fuoco dell’amore famigliare. Tutto il corpus
poetico di Marino è un unico tessuto dove si sono incrociati tutti i fili della sua
personalità: affetto o “affezione” verso la famiglia (dove la sorella Maria
diventerà l’altare sacrificale della sua Poesia) e il proprio cammino di uomo e
Poeta nel mondo. Basti pensare che la prefazione di Acqueforti la ritroveremo
nell’ultimo suo volume poetico, come a testimoniare una ciclicità umana di vita e
poesia che si conclude nel punto focale della morte.
L’infinito è presente nelle due poesie: Ora meridiana e Paranze.
38
ORA MERIDIANA
Battere d’ali lontano
di colombi che s’appressano,
che vengono dall’infinito,
che passano,
che vanno
verso l’infinito.
Battere d’ali invisibili
dorate dal sole di maggio;
volo di canti che s’intrecciano,
che s’abbracciano
con mille volti di rondini.
Passare nel cielo
di pensieri che non hanno ombra
ma riflessi che abbagliano;
di voci che non hanno suono
ma che cantano, cantano, cantano;
di idee che cercano una forma
per diventare bene infinito…!
Battere d’ali lontano
di colombi che s’appressano,
che vengono dall’infinito, che passano
ai riflessi del sole di maggio…
Che vanno, che vanno, che vanno
verso regioni remote,
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site ai confini del cielo
in fondo all’infinito.
PARANZE
Quante paranze nel mare
tinto di rosso chiaro:
inseguono il sole che annega
laggiù nell’onda vana.
Ove vanno le incaute a sera
sperdute tra i gorghi e nei flutti?
Forse navigan verso l’ignoto
in cerca di fortuna.
Paranzelle che andate lontano,
pallide e spensierate,
io vi guardo da lo scoglio antico
mentre a vespro camminate
verso dove comincia l’infinito.
Io vi guardo in quest’ora che declina,
paranzelle del mare incantato,
ed all’onda che vi trascina
accomando il mio spirito tormentato.
A notte saremo beati,
paranzelle sperdute nei flutti,
le sirene canteran le nenie
40
e dai gorghi usciranno le fate!
Appare fin troppo chiaro come il tema dell’Infinito qui è associato al mare e alle
paranze, ai voli di colombi e al cielo. Pertanto il tema dell’Infinito coincide
esattamente con quella predisposizione dell’anima che si perde
nell’Indeterminato, nel vago, nella bellezza, nell’estasi appunto. Il Poeta sente fin
dentro le proprie fibre tutto il naufragio della vita nell’unica commozione
suprema concessa all’uomo: l’Infinito. E questo sentimento, questa anima mundi
che si concede per la prima volta di mostrarsi, è associato anche alla madre in
Amore Antico: proprio perché la madre, la figura femminile accogliente e felice, è
vista proprio come un luogo di sommo bene, appunto, un luogo ideale dove cresce
l’infinita vastità/ossessione dell’amore di un figlio devoto verso la propria madre.
Da qui risulta chiarita questa corrispondenza tra la madre e il sentimento
dell’infinito in Marino scaturite da “idee che cercano una forma per diventare
bene infinito”.
Ritengo di fermarmi qui e di non proseguire oltre. Sarebbe il caso di analizzare i
restanti temi e di vederne gli sviluppi nelle opere successive. Mi limito solo a
presentare gli aspetti fondamentali di questo poeta e di sviscerarne i significati più
profondi. I sentimenti verso il padre e la madre risultano fondamentali nella sfera
emotiva di Marino e Acqueforti è la prima silloge dove si possono rintracciare
questi temi nella loro freschezza. In altri luoghi e tempi mi occuperò di sviluppare
questi temi. Per ora preferisco aver dato una presentazione preliminare sul grande
ruolo che la famiglia ha rivestito nelle sue poesie per poi dare una presentazione
breve ma succinta della sua personalità.
41
CAPITOLO IV
Il “Maestro” nel ricordo di Vincenzo Nicoletti.
Trattandosi di un poeta che ha disseminato la sua personalità e il suo pensiero
“poetante” in quasi tutte le opere da lui composte, mi limiterò a citare alcune fonti
per dare un quadro complessivo e spero esauriente. La sua caratura intellettuale è
strutturata in una maniera tale che non sembrerebbe difficile possedere la
“sostanza” bensì i particolari, ovvero tutto ciò che ha scritto (tra saggi, articoli,
opere e altro) sembra una necessaria e varia declinazione dei punti cardine della sua
poetica, che parte da una grandissima coscienza morale per alimentarsi nella
consapevolezza della filosofia e della religione cattolica, indi in un’interpretazione
personale della realtà e del suo divenire storico che si fa missione, quindi canto
poetico da esaltare. È un poeta che aspira alla totalità delle cose perché la sua è una
visione totale proprio come qualsiasi visione immanentistica di Dio e della vita. Un
poeta fervente e credente appunto, un ultimo cantore siciliano degli antichi affetti
famigliari e custode di eterni valori morali che lo collocano come una risorsa
intellettuale da ricordare ai posteri. Il valore della sua poetica e dei suoi
insegnamenti sembrano delle colonne imperiture, perché è stato un poeta che si è
impegnato per tutta la vita a erigere il suo monumento poetico, nel ricordo di tutti
gli artigiani solerti e probi che lo hanno preceduto Marino infatti si è fatto fabbro
della sua anima, plasmando il suo edificio poetico con la malta della religione
cattolica e i mattoni del lavoro, per poi decorare il tutto con i colori sfavillanti della
Poesia. E all’interno di questo sommo edificio poetico vi risiede la famiglia, grande
centro nevralgico della sua esistenza e della sua poetica (sarebbe il caso di
rivalutarlo come un odierno Pascoli contemporaneo).
42
Al di là di queste considerazioni preliminari cercherò di sviscerare il significato più
autentico sia del poeta che delle sue opere facendo dialogare tra loro le fonti che ho
ritenuto più opportune. La ricca bibliografia51 di Marino affronta diversi ambiti
delle Lettere, della Politica52, della Filosofia, della Arti, della Critica, della
Religione cattolica. È incredibile come un uomo, apparentemente chiuso nel suo
hortus conclusus, abbia potuto redarre una tale mole di scritti e rimanere
misconosciuto per così tanto tempo. Il mio compito si prefigge bensì di ridare il
giusto peso a questo siciliano illustre nato a Caltagirone, in parte schivo a qualsiasi
volontà auto-celebrativa in parte desideroso (come ogni Poeta) di rendere omaggio
alla sua personalità. Per una lettura preliminare ma illuminante sul “caso Marino”
mi limito a citare un articolo53 del giornalista caltagironese Vincenzo Nicoletti
intitolato Ricordo di Domenico Marino, il poeta filosofo54:
“Domenico Marino [..] avendo, nel corso della sua lunga esistenza, incarnato nella
veste di poeta, filosofo, pedagogo e giurista, l’ideale dello studioso alla ricerca
continua di un umanesimo frutto di una “ricelebrazione della fratellanza tra gli
uomini di buona volontà in nome di quei valori intramontabili e inalterabili –
perché fondamentali – che si chiamano Amore e Giustizia”. Chi ha avuto il
privilegio di conoscerlo55 preferirà conservare nella propria memoria quelle
componenti della sua esperienza e duttilità culturali che più si avvicinano agli
ideali e agli studi di base del cammino di ciascuno di noi. Eppure, di là dalle
soggettive preferenza, l’itinerario umano e culturale di Marino è tipico di chi,
possedendo le chiavi di lettura per comprendere la profondità che il pensiero offre
a chi si accosta, umile e devoto, alle sue fonti, inciampa nelle barriere che una
51 Marino si è preoccupato in vita di lasciare copie dei suoi scritti presso la biblioteca “E. Taranto” di Caltagirone. Il corposo catalogo, aggiornato e schedato nei dettagli, è consultabile nel motore di ricerca del sito. 52 In particolare si dedica allo studio degli scritti di Luigi Sturzo. 53 Vedi il periodico trimestrale “Caltagirone Notizie” n. 2 del Giugno 1998 54 Imperdonabili risultano i refusi nell’occhiello dell’articolo dovuti non al giornalista (a cui rivolgo la mia solidarietà) ma alla redazione, che ha totalmente stravolto i titoli delle opere di Marino. “Pane animo” per Pane Azzimo, “Via della Madonna” per Via della Madonne. 55 Tra cui lo stesso Nicoletti che era il suo vicino di casa nell’infanzia.
43
comunità sempre più vocata ad inseguire le sollecitazioni virtuali e la coltivazione
d’effimere analisi socio-comportamentali, erige a propria inossidabile e vociante
difesa.
[...] E Marino poeta [...] ha cantato una sua terra ancora non contaminata dalle
trasformazioni geometriche di un’urbanistica che si proclamava pianificatrice,
ordinatoria, liberatrice “cartesiana”, ma in realtà abusiva, abbruttiva56 a
violentatoria57 del paesaggio e della sua storia civile e civica, […] Per Marino la
poesia, al pari della filosofia, diventa un sentiero non interrotto che lo conduce,
attraverso il ricordo degli affetti famigliari, il58 senso della realtà della misura e
dell’armonia, ad un umanesimo di stampo personalistico, intriso di richiami
trascendentistici spiritualistici. Marino, in tale veste, non si definirà né un
antimoderno, né un requisitore contro il tempo attuale. Per via della sua profonda
fede, accetta il primato dello spirituale come antitesi, lotta e resistenza
all’immanentismo d’impronta storicista e scientista, ritenuto fonte e causa del
diffondersi dei dispotismi totalitari di questo secolo. […] Marino, nella
testimonianza di maestro, ha assolto a questo ruolo d’uomo di cultura in piena
simbiosi con le voci e i sentimenti, oggi forse desueti, della sua terra e della sua
gente, rifuggendo, anche con un volontario isolamento, le troppe figure di chierici
subordinati o ai poteri dominanti o alle mode passeggere multimediali e
minimaliste. Da vero intellettuale è stato organico solo alla ricerca di una verità
nella sua onestà di pensiero ha saputo trovare nel sacro, nel divino, nella
trascendenza cristiana, da lui vissuti come coincidenza intima con l’Essere”.
La capacità di sintesi e di focalizzazione di Nicoletti in questo caso risulta
formidabile. Questo articolo delinea in sommi capi i tratti salienti di Marino e ne
espone, con grande semplicità di veduta, i nodi della sua personalità in un suggello
56 Errata corrige: abbruttita. 57 Così nell’articolo. 58 Errata corrige: al
44
commemorativo impeccabile. Questo articolo risulta una base importantissima da
cui mi concedo di inalberarmi verso percorsi più intricati, una base di partenza così
risulta una consolatoria “bussola” che mi ha permesso di muovermi con una certa
prudenza in questo mondo sentimentale e intellettuale di Domenico Marino, così
ampio, così lucente, proprio come i grandi del passato.
45
CAPITOLO V
Un poeta dell’ «isola-mondo». Il saggio di Loriana Pupolin
L’articolo di Nicoletti ci serve per dare un quadro complessivo ed esauriente circa
la personalità di Marino, della sua testimonianza di uomo nel mondo. Sulla poetica
esprime, come già ricordato, che “Per Marino la poesia, al pari della filosofia,
diventa un sentiero non interrotto che lo conduce, attraverso il ricordo degli affetti
famigliari, il59 senso della realtà della misura e dell’armonia, ad un umanesimo di
stampo personalistico, intriso di richiami trascendentistici e spiritualistici”.
A partire da questa breve descrizione della poetica di Marino esiste un breve ma
succoso saggio che delinea con grande lucidità i caratteri propri del poeta
caltagironese. Mi riferisco al saggio di L. Pupolin “Un poeta dell’isola mondo,
Domenico Marino”60 di cui espongo alcune parti molto importanti. Il saggista
presenta Marino con degli espliciti paragoni ad alcuni grandi poeti:
“Chi ha scritto saggi su Domenico Marino, poeta amato ma poco conosciuto61, ha
fatto riferimento ad autori quali Rilke e Stefan George; noi preferiamo invece
pensarlo in una dimensione diversa: quella dell’inizio della nostra tradizione
letteraria, quella del “Cantico delle creature”, di Jacopo da Lentini, della scuola
stilnovista”62.
59 Errata corrige: al 60 Estratto da “IDEA” n. 4 – Aprile 1983, consultabile presso la Biblioteca comunale “E. Taranto” alla voce d’inventario A-XXV-C-65. 61 Mi premetto in questa di dichiarare, qualora la comunità caltagironese me lo conceda, di dedicarmi alla divulgazione di Marino con monografie e saggi per dare il giusto peso al Poeta, sepolto nel dimenticatoio e nella vaghezza dei ricordi di chi l’ha conosciuto. 62 vedi “IDEA” n. 4 – Aprile 1983 pg. 1.
46
E decanta le lodi della “freschezza” delle opere del Marino nella speranza di loro
pieno riconoscimento futuro:
“La lettura delle sue opere poetiche ci ha sorpreso: esse incantano con la loro
freschezza. […] auspichiamo che qualche operatore scolastico si accorga di questo
autore ed offra ad un’antologia queste poesie, alle quali non mancano profondità e
bellezza, pur nel rispetto di una giocosità, diremmo non mediata da nessun fatto
culturale che non sia quello della spontaneità e della freschezza”63.
E rapporta Marino ai suoi “predecessori” siciliani e alla sua sicilianità, ovvero
all’amore che ha dedicato alla sua terra nell’esaltazione dei colori, dei profumi e dei
frutti dell’isola:
“Domenico Marino è siciliano, siciliano come Guttuso, come Pirandello, come
Quasimodo, e come questi esprime col suo canto la poesia di una terra solare,
dalla luce abbagliante, dai colori che esplodono in primavera con i gialli e gli
arancioni degli agrumi, con gli odori salmastri e insieme di terra dell’estate. Tutto
ciò possiamo sintetizzarlo in una parola inventata ma significativa: la «sicilianità»,
ossia la testimonianza di un vortice poetico, letterario, drammatico inconfondibile:
una sorta di «succo di passioni», al sapore del quale generazioni di artisti siciliani
ci hanno abituati”64.
63 Ibidem 64 Ibidem, pg. 2.
47
A partire da questo punto il saggista enuclea i primi aspetti dell’ars poetica di
Marino che mi premuro di elencare qui di seguito:
Esaltazione cosmica della Natura
Vita e Morte
Senso della misura
Linguaggio aulico
Amore
Per quanto riguarda il primo punto L. Pupolin dice che “l’opera di Marino è una
celebrazione cosmica della natura..[…] la natura assume sembianze di uccello, o
di un colore, o di un animale: questo poeta ha la rara dote di riuscire a percepire
come vita animata le bellezze della terra, come canto il silenzio di una vallata.
Vogliamo dire che il sentimento, l’ansia di assoluto, invece che restare al livello di
elaborazione problematica, si trova già incarnato in ciò che la natura è […]
L’aspirazione del poeta è quella di diventare tutt’uno con la natura in
un’elevazione spontanea e ridente della bellezza del divino. La fenomenologia della
divinità non interessa Domenico Marino poiché l’esistenza stessa della natura e
degli uomini è di per sé espressione completa del soprannaturale”.65
65 Ibidem.
48
Per quanto riguarda il secondo punto L. Pupolin afferma che “ il poeta,
sensibilissimo, forse lo si sarà già intuito, muove da due poli dell’essere: la vita e la
morte. La vita è continua aspirazione all’ebbrezza dell’esserci, vigore primitivo
della propria felicità; la morte è tema doloroso da respingere alla conoscenza, un
oscuramento della felicità del vivere; ma, nella raccolta “Vetri al sole” del 1956,
Marino coglierà l’essenzialità del problema superandolo; conia un termine,
«vitamorte», la cui unità sta ad indicare il continuum dell’esistenza, l’accettazione
completa della vita che diventa, saggiamente, accettazione della morte e
superamento di essa in una visione universalizzante”66.
È rilevante il terzo punto, ovvero il senso della misura, perché caratterizza sia
l’istanza poetica di Marino sia il tratto precipuo della sua personalità. Questo senso
di equilibrio della sua poesia, notata a suo tempo da Lionello Fiumi nella
prefazione67 di Vetri al sole68, “ è nella persona, prima che nei versi: la persona
sembra vivere nell’orchestra della natura; il compito che si dà è quello di
sollecitare gli strumenti che la compongono materializzandone il linguaggio, i
suoni”69.
66 Ibidem. 67 “Del resto, già le precedenti raccolte, «Acqueforti», «Pane azzimo», avevano offerto prove del suo esemplare senso della misura.” pref. a Vetri al Sole, A. Signorelli Editore, Roma, 1956, pg. VII-VIII. 68 Vetri al Sole, A. Signorelli Editore, Roma, 1956. 69 Tratto da “IDEA” n. 4 – Aprile 1983 pg. 3.
49
Quindi assistiamo ad una coerenza totale tra il distillato poetico di Marino e la sua
personalità. Il “senso della misura” citato è incarnato nella persona e nei versi,
quindi la poesia è specchio della sua persona, della sua sensibilità, è patente visibile
e inconfondibile del suo carattere. Il senso della misura è una cifra talmente
caratterizzante la sua persona e la sua poesia che si manifesta persino nel linguaggio
poetico utilizzato come ben nota, al quarto punto, sempre L. Pupolin:
“A proposito di linguaggio, dobbiamo far notare che a volte la limpidezza della
lingua si inceppa in idiomatismi forzati; è lo scotto che il poeta paga alla scelta di
un poetare che essendo «mezzo» e non «fine» si discosta dalla tradizione poetica
tardo novecentesca. […] per il nostro poeta – e ciò spiega, almeno in parte, le sue
scelte linguistiche – il dato kantiano70 del «bello naturale», non è dato da emulare
attraverso spinte geniali, ma patrimonio al quale uniformarsi testimoniandone la
ricchezza”. 71
Infine L. Pupolin affronta il quarto punto, ovvero l’Amore:
“..il tema dell’amore pervade molti dei componimenti di Marino. Il tema della
sensualità è però tutto delegato alla natura, e il fatto che il poeta spesso si rivolga a
un «tu» tende a diventare fatto impalpabile, tanto è lieve”72.
Le osservazioni di L. Pupolin risultano preliminari per un discorso più ampio sulla
poetica di Marino e pertanto sono da considerare delle premesse succinte e
lucidamente riassunte. Però adesso è venuto il momento di focalizzare, di operare
una sorta di “lente d’ingrandimento” su questo breve saggio con la mirabile
prefazione di Lionello Fiumi, perché queste “linee guida” citate dalla Pupolin
70 Ricordo che lo stesso Marino, nei suoi numerosi interessi da saggista, si interessò al filosofo Kant nel suo “Kant: tratteggi e rilievi” (Caltagirone, Francesco Napoli&figlio, 1946). 71 Tratto da “IDEA” n. 4 – Aprile 1983 pg. 4. 72 Ibidem
50
(divulgate nel 1983) sono state oggetto di una discussione approfondita dello stesso
nel 1956, ovvero nella pubblicazione di Vetri di Sole.
Pertanto parafrasando gli estratti di L. Pupolin con le considerazioni di L. Fiumi
operiamo una “zoomata” sulla poetica di Marino in grado di snocciolarne i
significati in maniera ulteriormente critica.
51
CAPITOLO VI
La prefazione di Lionello Fiumi
Nel 1956 Marino pubblicò un’opera poetica intitolata “Vetri al sole”, alludendo ai
“barbagli di diamanti o di topazio o di rubino o di ametista che, conforme l’ora del
giorno, ingioiellano la vetrata, vogliono alludere alla varietà di colori, di toni, di
temi che si alternano in questa raccolta e che, nel loro insieme, disegnano nella sua
interezza il molteplice volto del reale, dell’umano, del trascendente”73.
Il punto evidenziato da L. Pupolin sui due “poli dell’essere”, Vita e Morte, vengono
chiariti da Fiumi:
“Appar chiaro, intanto, che sono, in lui, due grandi certezze: Vita e Morte. La Vita?
Ma tutto sembra invitare e convitare ad essa. Non esiste essere nato che alle
ebbrezze della vita non aspiri ardentemente. La vita “è figlia d’Iddio”; “L’anima
non ha sangue – per morire. Dobbiamo rifiorire – nella gioia d’ogni fiore, nel puro
– spazio del cielo aperto come un largo – sinfoniale, nel diffuso corale – della
Terra con gli astri. […] Pure la Morte è anch’essa una realtà immanente, anzi
vicinissima, vicina non meno della Vita. Il poeta ha un bel dire che “non esiste la
morte”, e ripetere il grido quattro, cinque, sette volte, quasi a stordirsene e a
illudere – chi? sé stesso? – di non crederci. D’accordo: avviene così quando si sale
al metafisico, alla concezione dell’eternità. […]Fra le due grandi certezze, Vita e
Morte, e spesso il poeta addiviene alla soluzione di saldare i due termini in uno
solo, e il binomio è perfetto:“Vitamorte” 74.
Dunque Fiumi chiarisce concettualmente i due “poli dell’essere” a cui allude
Pupolin parlando della Vita e della Morte in Marino. La tensione metafisica del
73 Prefazione di Vetri al Sole, A. Signorelli Editore, Roma, 1956, pg. VIII. 74 Ibidem, pg. IX
52
poeta arriva a concepire queste due grandi realtà come i punti cardine del divenire
umano, e pertanto il binomio non risulta un semplice neologismo perché nella sua
apparente semplicità l’accostamento di questi due termini riassume una tensione,
diremmo mistica, di un poeta fortemente religioso che percepisce come sacro ogni
avvenimento del mondo. Marino sa bene che il divenire umano è caratterizzato da
queste due grandi certezze e il binomio “Vitamorte” non è altro che il cerchio
perfetto con cui, tramite la lingua poetica, combina queste due polarità dell’esistente
in un idioma simbolico di grande portata filosofica.
L’altro punto evidenziato da Pupolin, ovvero la Natura, viene anche esplicitato da
Fiumi:
“La natura, con la sua sterminata gamma di bellezze, sarà, come vedremo, uno dei
più intensi incentivi di vita. […] La natura! Ho già detto che, nel Marino, essa ha
una parte predominante. Aggiungo ch’essa ha una parte, quasi, corale. Si tratta a
volte di un realismo il quale coglie con freschezza di belle aperture (il Marino è
spesso molto felice negli avvii dei suoi componimenti) aspetti del paesaggio per
l’appunto coralmente accordando colori, suoni, profumi, voci umane”. […] Ora
più non chiamateci. – Noi siamo annegati nel verde fiume – che si sprofonda tra le
spente nuvole” ( “Ma ora lasciateci75”): dove è già quel panico confondersi nella
natura che fa pensare, mutatis mutandis, al sensuale godimento naturistico di
«Alcione»76.
D’altra parte il realismo del Marino ha occhio preciso per captare particolari
ambientali […]. Ma altra volta si tratta, nel Marino, di vera e propria
75 Fiumi ha citato alcuni versi della poesia “Ma ora lasciateci” di Marino. 76 Fiumi nota acutamente l’influenza di D’Annunzio nella poesia di Marino per il panismo manifesto nei confronti della Natura. Uno studio critico più accurato porterebbe dei risultati molto interessanti, giacché nel corpus poetico di Marino si nota subito, ad una prima lettura superficiale, un’intertestualità proficua intrattenuta con poeti come Montale e soprattutto Pascoli.
53
trasfigurazione, è la natura veduta “attraverso” la similitudine e, quasi, il simbolo,
come attraverso un cristallo prodigioso che crea colori e miti nuovi.”77
E ancora collegato alla Natura Fiumi associa il tema del Cosmo:
“Un poeta siffattamente atto a godere gli aspetti incantati, però effimeri del mondo,
saprà, di ciò, contentarsi? La raccolta “Vetri al sole”, come già le precedenti,78 ci
mostra che, nel Marino, è anche uno spirito preoccupato del Cosmo. L’universo
egli lo vede incrocio di strade e destini: “Tutto l’universo è strade – e d’uomini,
entrambi frantumi. E vanno – tutte le vie ad ignoti destini. – Ma l’universo altro
non è che gioia”. La conclusione è ottimistica, come s’addice del resto a un79 poeta
credente, e farà forse aggrottare le ciglia, nei Campi Elisi, al doloroso negatore di
Recanati, se non sia riuscito a trovare pace in Dio. Ma il Marino, ho già detto, è
figlio di una terra solare e, nella piena solare, egli anela a divenire partecipe
dell’infinito”.80
E la conclusione di Fiumi è tanto spontanea quanto precisa:
“Ch’è poesia bella e pura. Si potrà dire che, veramente, questi “Vetri al sole”
riflettono, con dovizia d’immagini, i colori e della terra e del cielo. Ma v’è, in più,
in questa raccolta, indubbiamente la più alta di Domenico Marino, una vita
interiore – e abbiamo tentato di rivelarne qualche tratto – con tutte le inquietudini
e le sue estasi, le amarezze e gli slanci, le ansie e i fervori: vita d’uomo, insomma,
sofferta ed intensamente espressa in essenzialità di modernissimo canto.”81
“E abbiamo tentato di rivelarne qualche tratto” sentenza Fiumi, perché la tensione
mistica di Marino rivela un “tutto pieno” da respirare con grande sensibilità.
77 Prefazione di Vetri al Sole, A. Signorelli Editore, Roma, 1956, pg. XI. 78 Marino è un poeta che non conosce regressioni nei suoi temi, perché man mano che il suo magistero poetico si sviluppa intensificherà luoghi e temi a lui cari nelle sue liriche. 79 L’articolo indeterminativo “un” è ripetuto due volte nel testo, qui è corretto. 80 Prefazione di Vetri al Sole, A. Signorelli Editore, Roma, 1956, pg. XI-XII 81 Ibidem, pg. XII
54
Difficili sono i particolari ma la sostanza parte sempre da un poeta credente che
svetta le ali nel cielo della Poesia. E i numerosi volteggi ed acrobazie non sono altro
che voli di un’anima infervorata di Dio e di tutto il creato che canta la sua vita
abbracciando la totalità dell’esistenza in un fuoco mistico che brucia tutto e onora,
con i suoi incensi, il cammino di un uomo venuto al mondo per lasciare una traccia
vistosa di sé, da consegnare ai posteri come esempio e valore.
Si potrebbe contestare il fatto che questo dialogo intessuto tra il breve saggio di
Pupolin e la prefazione di Fiumi riguardi contesti cronologici diversi.82 In realtà
sembra proprio che Pupolin abbia attinto a piene mani dalla prefazione di Fiumi per
dare un ragguaglio sintetico ed esauriente su Marino. Pupolin riprende temi
evidenziati già da Fiumi, eppure il suo breve saggio è posteriore di quasi trent’anni.
Questa è una prima prova di come Marino sia un poeta talmente rigoroso nelle sue
“scelte” che non ha mai rinunciato alla sua “caratura” poetica. Il suo manifesto, il
suo edificio poetico, non conosce particolari cambiamenti ma solo sbalzi
volumetrici nel corso del tempo. La sua tensione mistica è sufficiente a
caratterizzarlo come Poeta. Il fatto che non abbia avuto particolari “ricadute”
potrebbe essere visto come una indefessa e tenace volontà di rimanere vigile al suo
credo poetico, oppure come un canto sempre cristallino e ben accetto nella
“provinciale” Caltagirone, luogo natìo d’elezione e grande destinatario delle sue
liriche. Ciò non significa che Marino sia sempre rimasto rigido e ripetitivo nelle sue
istanze poetiche: la sensibilità del Poeta rimane sempre la stessa, anzi, si accresce
nel tempo e diventa superba, ma sono le circostanze del tempo che modificano le
sue istanze. La perdita dei famigliari, il senso di decadenza morale e spirituale, gli
stravolgimenti della politica italiana, determineranno sensibili cambiamenti nel suo
cursus. Ma Marino è un Poeta che si prefigge da sempre un itinerarium mentis in
deum essendo un irreducibile Poeta credente e come tale resterà sempre. La Poesia
82 Il saggio della Pupolin è del 1983, la prefazione di Fiumi a “Vetri al sole” è del 1956.
55
per Marino è soprattutto testimonianza e questa, per antonomasia, è la base del
cattolicesimo; Marino è un poeta credente; quindi la sua Poesia è testimonianza del
suo intero vissuto spirituale, sentimentale, intellettuale, destinato a futura memoria.
Ma c’è una nota particolare nella poesia di Marino, una figura destinata a diventare
eterna e mirabile: la sorella Maria, una donna consacrata a sua personale Musa
ispiratrice.
56
CAPITOLO VII
La sorella Maria Marino
È ben nota la questione circa il rapporto tra Domenico Marino e la sorella Maria.
Questo affetto così intenso ha suscitato nel tempo grande scalpore, perché l’amore
che Domenico ha riversato nei confronti della sorella è stato qualcosa di
strabordante (se non quasi a livelli ossessivi). Ricordo che il premio nazionale di
Poesia bandito dalla “Fondazione Marino” non reca il nome di Domenico ma quello
della sorella Maria. Questo è un primo segno del grande amore del fratello, così
intenso e viscerale da creare una fondazione in onore della sorella scomparsa con il
preciso scopo di indire ogni anno un concorso poetico e di finanziare delle iniziative
che coinvolgessero le Arti e le Lettere. Vorrei procedere con cautela in questo
percorso spinoso ma appassionante, portando con me delle fonti importanti e
facendole ancora dialogare tra loro.
Nel 1986 Domenico Marino pubblica una sua inedita raccolta di poesie, “Maria,
sorella, mia estate”83. Si tratta di un’opera intensa, scritta a due anni di distanza
dalla morte84 della sorella affetta da tempo da un’emiparesi. Il grande amore
riversato da tempo nella sorella è leggibile nel caloroso e appassionato epitaffio
esposto nella Cappella Marino85 del cimitero monumentale di Caltagirone:
Al volto soave la cui fattura forse si contesero
Fidia e Raffaello a colei che fu d’intelligenza
E di virtù capolavoro sublime
Alla sorella dolcissima che gli angelicò la casa
E gli dettò poesia e gli sorrise altezze
83 Maria, sorella, mia estate, Biblioteca de “L’osservatorio politico letterario” – Milano, 1986. Una copia è depositata presso la “Stanza Marino” al M.A.C. di Caltagirone, un’altra copia presso la Biblioteca “E. Taranto”. 84 Maria Marinò morì il 27 Maggio del 1984. 85 La cappella di famiglia di Marino Domenico si trova nell’emiciclo sud est, nel lotto 33.
57
All’angelo di Dio.
Il fratello Marino deporre qui tutto il meglio
Della sua vita grato d’avergli dimostrato
Sempre la certezza di Dio
Con l’esempio con l’amore con l’accettazione
Del sacrificio facendosi autentico testo
Di dottrina per tutti coloro che cercano
La luce e il bene.
L’epitaffio ovviamente celebra il ricordo più intimo della sorella e sigilla in eterno
l’importanza che ha avuto nella vita di Domenico. Qui dice che la sorella gli
“angelicò la casa e gli dettò poesia” e che nella sua vita passata sempre “la certezza
di Dio con l’esempio con l’amore con l’accettazione del sacrificio facendosi
autentico testo di dottrina”. Da quello che si evince dall’epitaffio la figura di Maria
ha avuto un valore fondamentale nelle certezze religiose del fratello, cioè che la sua
presenza ha sempre testimoniato qualcosa di autentico e sacrale. Questo è un primo
campanello di allarme che ci avvisa dell’esaltata importanza attribuita alla sorella
come “prova” di una qualche considerazione di carattere religioso. Da molto tempo
Maria soffriva di una grave malattia che le impediva di muoversi e necessitava di
cure costanti.86
Domenico Marino, come si sa, poteva annoverare tra le sua amicizie personalità di
spicco della cultura italiana dell’epoca e non mancò di manifestare agli amici
questo suo intimo dolore. Alla morte della sorella Maria, infatti, gli amici poeti le
dedicarono coralmente un commiato poetico su IDEA.87 L’enfasi posta è a dir poco
86 L’infermiere Francesco di Grande, amico di famiglia di Domenico Marino, mi disse che accudiva personalmente Maria con una continua assistenza domiciliare. 87 Vedi “La piccola luna bianca che ancora si chiama Maria”, estratto n.8-9, agosto settembre 1984, consultabile presso la biblioteca “E. Taranto” di Caltagirone.
58
commuovente e testimonia i legami profondi che Marino intrecciava con questi
poeti, in una comunione di intenti e di idee a dir poco feconde.
La prefazione di Rina Fazio Guidetti88 ci racconta in breve la storia della famiglia di
Domenico e del giorno in cui morì la sorella Maria:
“ Domenico Marino quel giorno parlava con voce sommessa, quasi rievocando a se
stesso un passato denso di affetti, popolato di persone care e indimenticabili: il
padre, la madre, se stesso ragazzo, la sorella Titti89 e poi lei: Maria, deceduta da
qualche giorno appena. Chissà per quale antica eredità genetica (del resto non
rara in Sicilia) Maria fosse tanto diversa dai due fratelli: bruni, con occhi
scurissimi e vivaci e, fin da ragazzini, così duri nei giochi e ostinati nel
primeggiare. Marino ci mostrava un’antica fotografia di Maria quindicenne: un
volto bianchissimo, un sereno profilo greco, larghi occhi azzurri, dolce la linea del
collo. Faceva riandare con la memoria ai libri della nostra adolescenza, quando,
leggendo i classici, incontravamo Athena. E faceva ancora ricordare le virtù della
dea, quando aveva battuto Aracne che l’aveva sfidata nell’arte dei lavori femminili.
Maria era mite, non aveva sfidato mai nessuno, ma quando era fanciulla, china sui
lini candidi, con rapide mani, creava ricami preziosi, leggeri, inimitabili. La
famiglia di Domenico Marino, a Caltagirone, una volta felice, unita in affetti
profondi, si andò a poco a poco, nel tempo, dolorosamente assottigliando.
Il padre morì per primo. Le donne rimasero sole, legate a Domenico che era
cresciuto sotto i loro occhi amorosi, che aveva proceduto brillantemente negli
studi. Possedeva una personalità emergente, vivace, votata agli studi umanistici. La
Titti sposò ancora giovinetta. La mamma, per lunghi anni rimase inferma. Fu
allora che Maria, la più vezzeggiata e la più delicata di salute, si offrì con una
sollecitudine eroica alle cure della casa e dell’ammalata. Pareva la Marta del
88 Rina Fazio Guidetti è una scrittrice di Caltagirone. 89 Sarebbe la sorella Gaetana Marino.
59
Vangelo, ma il suo destino non fu quello di Marta; ella dove essere l’altra sorella:
Maria, che, rapita, ascoltava le parole eterne che vivificano lo spirito. Maria
Marino cadde irrimediabilmente malata, colpita da un’emiparesi. Rimase nella
casa del fratello. Lì fiorì il miracolo dell’amore fraterno. Domenico dedicò a lei
tutta la sua vita. Fu il compagno indivisibile. La curò, l’accudì, l’amò come si può
amare e venerare con delicato sentimento una figlia che ha bisogno d’infinita
tenerezza. Si creò allora una singolare situazione: non lui, ma lei, Maria, fu la
lampada della casa, l’ispiratrice degli studi del fratello, il conforto di lui che
sentiva nell’anima della sorella la piena rispondenza ai suoi pensieri, ai suoi
componimenti poetici.
Esiste nella storia della nostra letteratura una situazione che assomiglia alla
dolcezza di questa fraterna intimità spirituale. Quando Giovanni Pascoli si recava
alla casa di Castelvecchio, trovava nella sorella Marù «sorella di carità» come lui
stesso la chiama in un suo scritto, quell’intesa, quella comunione intellettuale che
gli allietavano la vita.
Maria Marino trascorreva i suoi giorni seduta in una poltrona. Una volta, durante
una nostra conversazione confidenziale, le chiesi come stesse. I grandi occhi
azzurri si velarono di pianto e mi parlò di accettazione, di offerta a Dio della sua
candida vita. Ma Domenico – mi raccomandò – non doveva sapere delle sue
lacrime. Comunque questa raggiunta mesta serenità pareva dovesse durare a
lungo. Già il fratello progettava brevi passeggiate in macchina per farle gustare la
primavera in fiore, l’aria tiepida della campagna, quando, quasi all’improvviso,
Maria si spense.
Domenico nel grande studio90 tappezzato di libri e di quadri che ella aveva amato,
le aveva posto sotto il capo un mattone della Porta Santa di San Pietro e, accanto
al volto, il suo ultimo libro di poesia: «Via delle Madonne», aperto a pagina 27:
90 Adesso lo studio è stato trasferito nella “Stanza Marino” nel M.A.C. di Caltagirone.
60
«…Mia sorella è un bianco silenzio
sorridente d’amoroso dolore”.
I paragoni citati fanno pensare ad un’inedita atmosfera di caritas e di pietas che
aleggiava in casa di Domenico Marino. E per questo poeta così “pascoliniano” nelle
sue infinite attenzione riversate alla famiglia e soprattutto alla sofferente Maria, il
paragone Marino/Pascoli e Maria/Mariù risulta perfetto. Sappiamo bene che Pascoli
eresse il dolore della sua famiglia come manifestazione palese del dolore universale
che alberga nel mondo. Ebbene qui ci troviamo nella stessa situazione: un uomo
sensibile, votato agli studi umanistici, che accudisce l’umile sorella malata
trasponendo tutto il suo dolore in canto che si fa Poesia del focolare domestico. Il
paragone tra Pascoli e Marino è anche ricordato dalla famosa attrice Lydia
Alfonsi91:
“Ho conosciuto Maria Marino per l’amicizia che ormai da anni da anni mi lega a
suo fratello Mimmo: amicizia dovuta a incontri con la poesia siciliana di cui lui,
Mimmo, pascolinianamente parlando, è un rappresentante – Maria mi fece pensare
a Mariù sorella di Pascoli che sotenne la professionalità poetica del grande fratello
con una abnegazione profondamente spirituale -. E così era Maria che mi colpì per
il suo profilo greco – un naso così dritto e particolare – un naso antico per una
donna fine: una donna silenziosa, umile e fattiva come non esistono quasi più.
Hèlas!92”
Anche Lydia Alfonsi quindi sostiene che la figura di Maria rappresenta l’anima del
magistero poetico di Marino. Fu lei la Beatrice, la Laura, la Mariù di Marino, fu lei
91
Lydia Alfonsi, (Parma, 28 aprile 1928), è un'attrice italiana di teatro, cinema e televisione. Autrice di un libro, Aforismi e Flashback d'amore, pubblicato da Edigraf editore, è stata premiata con la Maschera d'Argento per la sua interpretazione nello sceneggiato televisivo del 1964 Mastro Don Gesualdo. 92 Da “La piccola luna bianca che ancora si chiama Maria”, estratto n.8-9, agosto settembre 1984, pg. 4.
61
la sua ispiratrice e la sua musa dolente piena di quel coraggio che si ritrova non
nell’ardore, non nell’agonismo perenne e indomito, ma nell’accettazione totale della
malattia come sacrificio. E il fuoco di questo sacrificio riempì di un ardore mistico
il fratello Marino che trovò, in questo crogiuolo di dolore e forza, tutte le
componenti della sua ispirazione poetica che lo consacrarono a novello Pascoli
siciliano.
Gli amici poeti dedicarono sempre su IDEA le loro poesie in memoria della sorella
Maria:
IN MORTE DI MARIA MARINO
Nel petto di colui che sulla terra
ti fu gemello di fraterno amore,
Maria, tu adesso inauguri le ore
del silenzioso piangere. E alla guerra
della sua cruda angosciosa solitaria
fa da balsamo fino quella storia
che si rivive in fondo alla memoria,
là dove ciò che fu resta nell’aria
intatto e vivo come rovo ardente
che non si spenge e non s’incenerisce
ma si perpetua più che mai potente
contro il buio notturno e con le lisce
sua fiamme d’oro alza la nostra mente
fino al giardino che in cielo fiorisce.
Vittorio Vettori
62
ALLA MEMORIA DI MARIA MARINO
La piccola luna bianca che ancora si chiama Maria93
nel mese dei poeti ha avuto la sua eclisse.
Un’eclisse apparente, lo sappia chi la piange:
ché meglio, e con altri occhi, ora ci ha dato guardarla.
Maria Luisa Spaziani
TE BEATO, FRATELLO
Maria che ti precede nella luce
protegge la tua fede e ti sostiene.
Te beato, fratello. Io le mie pene
nel buio amaro avvolgo. A che conduce
questa strada se l’occhio non la vede?
Giuseppe Longo
E non poteva mancare ovviamente una poesia del Marino:
DA ANTICHE TELE94
Dolcezza di Maria, occhi di cielo:
la mia pena si slarga nel suo sguardo.
Da antiche tele Madonne stupende
93 Questa poesia della Spaziani verrà inserita nel volume Maria, sorella, mia estate a pag. 69, con un riferimento alla pubblicazione su IDEA. 94 La poesia è stata inserita nel volume Maria, sorella, mia estate, a pag. 21
63
vengono a fare il suo volto, s’alternano
in linguaggi di preghiera e in rosari
d’ore. (Mia sorella è un bianco silenzio
sorridente d’amoroso dolore).
La vita di Maria è come argento
di primo mattino, le sue pupille
ancora ingenue di comunicanda.
Dolcezza di Maria, brama di cielo,
fame di sacramento: la mia pena
si slarga nei volti delle Madonne
che passano a rosario dal suo volto.
Domenico Marino
Rimane però un altro punto da verificare. Avendo chiarito quale funzione la sorella
Maria abbia ricoperto nel lungo itinerario poetico di Marino, dobbiamo chiederci
qual è la sua giustificazione a carattere teorico. Il solo aspetto sentimentale risulta sì
convincente, trattandosi di un intenso amore fraterno, però non sono chiare le
premesse teoriche del poeta. Se davvero la sorella Maria in virtù del suo ruolo di
musa del focolare domestico ha potuto ispirare una mole così ampia di liriche al
fratello, devono esistere delle congetture teoretiche che abbiano portato Marino a
giustificare questo ruolo. Non bastano a mio parere la fratellanza e la malattia,
anche se sul piano puramente sentimentale sarebbe un’ipotesi che si
giustificherebbe da sé. In fin dei conti Marino aveva un’altra sorella, Gaetana, e le
dediche se confrontate con quelle di Maria non possono reggere il confronto. C’è da
dire che la sorella Gaetana, a differenza di Maria, si sposò95 con Barbagallo
95 Vedi atto di matrimonio 145
64
Francesco e nel 1944 andò a vivere a Niscemi.96 Il fratello Domenico in tutte le sue
liriche non mancò di citare tutti i membri della sua famiglia, ma la maggiore
dedicataria rimane ovviamente Maria. Quindi questo esclude a priori che il
sentimento riversato nei confronti della sorella Maria è unilaterale, cioè non
comprende un affetto tout court verso le sorelle in quanto sorelle. Maria è la
dedicataria principale non solo in quanto sorella quindi ma in quanto Maria. Però
Marino, a giudicare da tutto il suo corpus, si è dedicato a vari scritti di carattere
filosofico. Una persona dedita agli studi umanistici poteva trovare delle
giustificazioni a livello teorico che sancissero un così gran flusso d’amore nei
confronti della sorella. La reiterata ossessività di questo sentimento non può essere
giustificabile sul livello puramente sentimentale: deve esserci una chiave di lettura
che possa finalmente abbattere i nostri dubbi. Per molti anni Marino è sempre stato
considerato un poeta ossessionato dalla sorella in virtù della sua malattia. Io credo
invece che vi siano delle valide giustificazioni. Non dobbiamo mai dimenticare che
Marino è un poeta fortemente credente, forse ai limiti del parossismo, ed è
probabile che la vastità delle sue letture lo abbiano indotto a considerare in un
particolare modo la grave malattia che si è abbattuta su Maria. Cercando tra le sue
poesie non trovai nulla che potesse darmi un qualsiasi indizio, eppure non mi resi
conto che ero vicino alla soluzione dell’enigma. E ironia della sorte fu proprio
Marino a consigliarmi la giusta via, nella maniera più inaspettata, per svelare questo
enigma.
96 Venne eliminata dal registro dell’anagrafe causa emigrazione il 7-7-1944, vedi atto numero 168.
65
Capitolo VIII
La sorella Maria nel saggio su Heidegger
Quando mi accinsi a consultare le opere di Marino depositate97 nella biblioteca “E.
Taranto” trovai un indizio molto interessante. Marino non mancava di scrivere una
dedica alla biblioteca nelle opere che man mano, nel corso della sua vita,
pubblicava. Per quanto riguarda l’opera “Maria, sorella, mia estate”, però, oltre ad
una dedica, ha lasciato un “indizio” ad un ipotetico lettore che volesse saperne di
più. Nella pagina seguente riporto l’immagine della dedica e dell’indizio citato98:
97 L’ex direttrice della biblioteca, la dott. Fassari, mi raccontò delle frequenti visite del Marino nella suddetta biblioteca anche in virtù dell’amicizia che lo legava con il suo predecessore, Nino Rocco Russo, anch’egli uomo di cultura. 98 Si legge:“Alla biblioteca Comunale di Caltagirone, con preghiera di escludere il volume dal prestito per l’esterno, cordialmente. Marino. N.B. Vedere “Perché il sacro e non il divino di trascendenza in Heidegger?”.
66
67
Si legge:
“Alla biblioteca Comunale di Caltagirone, con preghiera di escludere il volume dal
prestito per l’esterno, cordialmente. Marino. N.B. Vedere “Perché il sacro e non il
divino di trascendenza in Heidegger?”.
Oltre alla dedica e alla richiesta formale, Marino aggiunge un indizio. Per capire
meglio il messaggio custodito dentro l’opera vi acclude un invito alla lettura di un
suo scritto. Chiaramente vi è un impegno autoreferenziale e celebrativo, però
dobbiamo solamente vedere un poeta (come tutti i poeti) desideroso di farsi
conoscere e di comunicare i propri pensieri. In questo caso però fece bene a scrivere
quella piccola postilla.
Il saggio “Perché il sacro e non il divino di trascendenza in Heidegger”99 affronta il
tema dell’identificazione Pensiero-Poesia-Essere, anche se Marino (nella sua
ostentata reiterazione di domande di carattere intellettuale nei suoi saggi) non esita
a porre diversi quesiti.
In quest’opera Marino tratta del rapporto tra Vita e Poesia nel corso della storia a
partire dall’Illiminismo tedesco:
“Dall’Aufklarüng100 è stato all’uomo rinnovato – o riproposto – il problema se
Vita e Poesia sono – o possono essere – un’identità. Tale interrogativo – sappiamo
– s’è fatto sempre più incalzante. Pare che nel fallimento di avere una risposta dai
pensatori si sia preteso averla dai poeti. Ma qui: perché la Poesia e perché i poeti?
Per salvare che cosa? Per identificare che cosa? Per raggiungere che cosa?E
99 Estratto da “LABOR” n.1 – Gennaio-Marzo 1987, Palermo. 100 “Nella Germania della seconda metà del Settecento (in tedesco col significato di «delucidazione, chiarimento») il movimento di idee usualmente chiamato Illuminismo. La fortuna del termine è legata a un dibattito aperto nel 1783 sulla rivista Berlinische Monatschrift, a cui parteciparono tra l’altro Mendelssohn e Kant; il primo definendo l’A. come la parte teoretica di un processo più vasto di formazione (Bildung), il secondo esaltando l’A. come l’uscire dell’uomo dallo stato di minorità per obbedire al motto “sapere aude”, ossia imparare a servirsi del proprio intelletto senza la guida di altri.”. (tratto da http://www.treccani.it/enciclopedia/aufklarung/).
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come? Quale linguaggio responsivo hanno avuto i poeti del tempo illuminato?
Quale quelli dello Sturm und Drung di tempestoso irrazionale e di passione e quelli
del Romanticismo di ardente e alato sentimento se tutti non hanno saputo aprire le
ali e alzare volo per un che d’oltre la Terra?”.101
E aggiunge, nella sua breve digressione, quali vie intraprende la Poesia dopo il
razionalismo illuministico citando Goethe:
“Già da Wolf a Tommasius a Leibniz un oscillare tra l’alto e la terra come in cerca
di relative utilità pratiche. La Poesia, allora, si apre una via ancora più propria e
si fa poesia come scopo della vita: anzi identificazione con essa. Goethe beve – o fa
bere come scopo della vita: anzi identificazione con essa. Goethe beve – o fa bere i
suoi Arcangeli – a queste fonti per quello che va facendo suo criterio di Verità:
della verità concrete terrena dimostrata e d’Illuministico stampo tra quella
tumultuosa da Sturm und Drang e quella di stampo romantico da cui dicevasi, con
appiglio al Genio, può venire l’esaltazione del’autentica creazione poetica: e, nella
libertà da Genio, allora, la confusione tra Poesia e Religione: con molto posto,
però, alla Mitologia come religione per la Poesia (i personaggi goethiani sono di
eterogenea provenienza: dalla Storia, dalla Mitologia, dalla Magia)”.102
Marino quindi introduce il concetto romantico del Genio e dell’esaltata creazione
poetica come un libero movimento dell’anima che sviluppatesi rifiutando qualsiasi
filosofia basata su argomenti razionalistici, appunto, di stampo illuministico, per poi
affermare il “fallimento”103 dei poeti del tempo che invano hanno tentato di
“toccare” il Divino senza servirsi del mezzo del “sacro”. Dopo aver affrontato
101 “Perché il sacro e non il divino di trascendenza in Heidegger”, estratto da “LABOR” n.1 – Gennaio-Marzo 1987, Palermo, pg. 6. 102 Ibidem, pg. 7. 103 “E a questa sorte di fallimento hanno pure condotto la Poesia gli altri più significativi poeti del tempo in discorso nei quali la più o meno dolorosa separazione di due amanti o le relative conseguenti disperazioni contenenti desiderio di morte e questa e l’amore e il dolore non hanno affatto sacrato nulla”. (Ibidem, pg. 7).
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questo breve excursus ecco che Marino rivela tra parentesi il tema centrale del suo
saggio:
“(mettiamo in campo il «sacro» come mezzo che può condurre al Divino
trascendente quando non è fatto rimanere un solo termine vago di indoratura: e già
qui vediamo di sottolineare che c’è tanta autorevole letteratura – e valida – per la
riscoperta del sacro in tanti autori, ma che noi invece siamo a questa fatica per
dire sull’esistenza o riscoperta del Divino trascendente che è oltre il sacro perché
ontologicamente è «più» e, «quando è» lo implica).104
Marino si riferisce alla letteratura tedesca citando poeti come Goethe, Hörderlin e
Rilke, ed esalta l’Idealismo come un momento molto alto per i poeti del tempo e
quindi per la Poesia:
“ L’immanenza idealistica si conferma nella sua pienezza e si consolida. L’uomo va
sentendosi sempre più simile a Dio in chiave di creatività o addirittura egli stesso
Dio per le sue forze titaniche di poterlo raggiungere ed identificarglisi: i poeti
respiravano questo Pensiero nel mentre i pensatori non si negavano a una
identificazione nella Poesia con esso”.105
Partendo dalla considerazione dello stato aurorale della Poesia dell’epoca, quasi con
nostalgia, sembra rimpiangere quell’epoca quando considera il livello della poesia a
lui contemporanea:
“Da Goethe a Rilke e ai poeti d’oggi – ragionando o poetando
esistenzialisticamente – l’Immanenza non fa che tenere prigioniera tra le sue
grinfie la Poesia e l’Arte tutta, intendendole – unificatamente o identizzatamente –
104 Ibidem, pg. 7-8. 105 Ibidem, pg. 8.
70
nel senso più ampio di «Dichtung», come anima lirica (meglio: Essere lirico) da
considerare oggi in momento di disgrazia perché non libera e capace di divenire
Trascendenza: è ferma forse in un’ansia di ritrovamento la Poesia del nostro tempo
[…]”.106
A questo punto, dopo aver tratteggiato a larghe maglie l’assenza del sacro nella
poesia contemporanea, Marino recita l’importanza del filosofo Heidegger
nell’ermeneutica generale della Poesia come identificazione totale con l’Essere:
“Fattosi artista e poeta a tutti i costi, Heidegger vuole identificare l’Essere con la
Poesia (o viceversa, meglio). Ma, intanto, molti si danno a riempire fogli scrivendo
sulla riscoperta del «sacro» e non del Divino (su una qualificazione o una
proprietà) – trascendente o no- in Heidegger. E non a torto se, per lui, il poter
leggere l’Essere dovrebbe avvenire mediante l’opera d’arte: l’esperienza, il
sensibile, il concreto cioè: facendo sbocciare dalla «cosa» - dall’opera d’arte, cioè
- «il simbolo» ( a noi caro, dice Maria Luisa Spaziani nella prefazione alla silloge
che ci interessa): l’opera d’arte, allorché tale, emanando il simbolo, è oltre
l’esperienza. E da qui nessun bisogno di sentieri perché, entrando nell’Infinità del
Bello, il Pensatore sente di essere poeticamente nell’Essere”. 107
Secondo la filosofia di Heidegger se l'essere può rivelarsi attraverso le cose e gli
eventi, l'uomo può coglierlo solo se si abbandona allo svelamento dell'essere come
tale. Ma lo svelamento dell'essere non può mai essere totale o diretto. L'esistenza è
allora stare alla luce dell'essere, per cui l'uomo diventa il pastore dell'essere e la sua
dignità consiste "nell'essere chiamato dall'essere stesso a far la guardia alla sua
verità". In quanto l'uomo pensa, non può fare altro che "lasciare che l'essere sia".
L'uomo deve mettersi in ascolto del linguaggio dell'essere e affidarsi ad esso.
106 Ibidem, pg. 9 107 Ibidem, pg. 10
71
L'essere parla all'uomo attraverso il linguaggio o, meglio ancora, attraverso la sua
forma più autentica, che è la poesia. La poesia è intesa da Heidegger come
annuncio, appello, ed usa l'uomo come suo messaggero. L'uomo deve ascoltare il
linguaggio nella sua originaria poeticità, cioè nella sua forza fondante e creativa.
L'uomo è solo il "pastore" dell'essere, non il padrone. L'essere si svela nel
linguaggio della Poesia: è questo la "casa dell'essere". Nel linguaggio della Poesia
non è l'uomo che parla, ma l'essere stesso: da qui l'atteggiamento di "abbandono"
all'essere, di ascolto in silenzio dell'essere. Per Heidegger il linguaggio della poesia
svela il significato dell'essere perché va oltre le cose, allude a qualcosa che
trascende l'orizzonte puramente mondano.
Sembra chiaro quindi che i famosi “Sentieri interrotti” di Heidegger abbiano
influenzato Marino nella concezione dell’opera d’arte come Poesia. Dice
Heidegger:
“L’essenza dell’arte è la Poesia. Ma l’essenza della Poesia è l’instaurazione
[Stiftung] della verità. Instaurare qui è inteso in un triplice significato: come
donare, come fondare, come iniziare. L’instaurazione è reale solo nel
salvaguardare. Pertanto ad ogni modalità dell’instaurare corrisponde una
modalità del salvaguardare. Qui non è possibile che delineare a larghi tratti questa
struttura dell’arte, e sempre relativamente ai risultati raggiunti nella
determinazione dell’essenza dell’opera”.108
E nel saggio in questione Marino sembra aver colto pienamente questo discorso,
nutrendo la propria concezione della Poesia con il pensiero filosofico di Heidegger.
Alla fine del saggio declina le proprie finalità:
108 M. Heidegger, Sentieri interrotti, trad. di P. Chiodi, La nuova Italia, Firenze, 1968, p. 58.
72
“Vogliamo precisare ancora a che cosa propriamente punta l’odierna nostra
faticsa: a voler sostenere che – ai fini del sacro e del divino – deve sempre cercarsi
quanto nella Poesia operi la potenza dell’umano: quell’umano indispensabile che
spesso la fa essere grande Poesia. Sono difatti, le esistenza umane che fanno spesso
la Poesia «momento di grazia» per il ritrovamento del sacro e del Divino se questi
in quelle vanno ad aver sede splendendovi come Virtù gigante per santità del
vivere, per grandiosità d’amore ed eroismo nel dolore. È in una creatura umana
che, mondo e attingi mento – anche in emmanuelità – del Divino soprannaturale.
Ed è anche «mediante» la stessa creatura che il Divino suole determinarsi in altre
creature umane nascendovi o rinascendovi come ritrovamento”.109
Veniamo infine al punto del nostro discorso. Sembra che Marino qui voglia
discettare di filosofia. Fa un discorso sulla letteratura tedesca, sui poeti
contemporanei, sul sacro nella poesia e cita la filosofia di Heidegger. In realtà la
questione è diversa: Marino tesse questo discorso solo per giustificare, alla fine, le
sue istanze poetiche nell’opera Maria, sorella, mia estate e per chiarire in maniera
plateale il rapporto tra lui, la sorella Maria e la Poesia. Il passo seguente è altamente
illuminante:
“Concludiamo questo nostro discorso sul Divino nella Poesia rivelando con
pienezza la finalità del nostro lavoro: significare che il Divino trascendente -
«implacabilmente eterno» - noi lo abbiamo inteso siccome ce lo ha fatto leggere
quel suo essersi emmanuelizzato nella nostra dolce sorella Maria «mediante» la
quale più d’una volta ci ha chiamati, soprattutto nella «peripezia» del nostro
pensiero adulto e, soprattutto, nella crescente tragedia del nostro vivere di dolore
per l’incalzare della morte nella nostra casa, fino alla completa solitudine. Maria
sorella ci ha sempre salvati: per questo il nostro libro «Maria, sorella, mia estate»
109 Ibidem, pg. 14.
73
di recente pubblicazione: libro di testimonianza e di proposta che dedichiamo a
tutti coloro che non sentono la vita banalmente ma – non con l’inutile sforzo di
Faust che «mediante» Mefistofele cerca di salvare il suo immateriale – si sforzano
a viverla registrata ai grandi valori tra i quali la Poesia che può far leggere
all’uomo – e in sé stesso – la sua essenza di mortale: e con l’amore e il dolore di
cui è capace, sapendoli registrare a un senso d’«oltre». Il lettore distilli i nostri
versi: «Eri il mio libro di sapienza – ove leggevo cos’è Dio. – Dio abitava nei tuoi
occhi»”.110
Adesso finalmente è chiarito il rapporto tra Domenico Marino e la sorella Maria. Il
poeta ha tratto dalla filosofia di Heidegger le premesse teoriche della sua ars, del
suo rapporto con il mondo e soprattutto della sua ispirazione. Ritenendo che nella
sorella si fosse incarnato il Divino trascendente ha enfatizzato il suo ruolo nella
sfera dei suoi affetti famigliari. Maria nella visione del poeta è un tutto che spiega
che la sua poesia, la giustifica e le dà ragione d’esistenza. Caricando in questa
maniera la figura della sorella Marino le dà un ruolo preciso: all’interno del suo
edificio poetico Maria rappresenta la sua musa ispirazione. Considerando che
Marino ha improntato la sua vita all’insegna del riscatto sociale e intellettuale della
sua famiglia, il ruolo di cui ha investito la sorella potrebbe essere un ennesimo
riscatto dalla sua malattia fulminante. L’affetto del fratello è stato di tale portata da
“santificare” la sorella come sua musa ispiratrice e di concederle il ruolo di angelo
del focolare domestico in cui il Divino trascendente si è incarnato, come prova
tangibile e veritiera della filosofia di Heidegger vissuta negli affetti più intimi. C’è
da considerare che questa idea ha qualcosa di straniante, forse di assurdo o
irrazionale, però il poeta rappresenta per antonomasia proprio colui che sa guardare
oltre le cose, oltre le normali vicissitudini della vita, cogliendone il lato profondo in
virtù della sua notevole sensibilità. Marino è prima di tutto un uomo
110 “Perché il sacro e non il divino di trascendenza in Heidegger”, estratto da “LABOR” n.1 – Gennaio-Marzo 1987, Palermo, pg. 15.
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straordinariamente sensibile nei suoi affetti famigliari e ne ha decantato in tutti i
modi possibili i pregi. Questo novello Pascoli siciliano ha investito totalmente la
sorella di un “magico sacrale” riscattandone il dolore e consacrandola come
esempio di donna virtuosa e umile. Se visto in questa maniera l’inusitato ruolo con
cui ha “battezzato” la sorella Maria ci appare una conseguenza perfettamente
logica: la malattia della sorella ha accentuato l’affetto del fratello Domenico fino al
parossismo, fino all’investitura filosofica per concederle un riscatto eterno nella
Poesia. Un compito che Domenico Marino ha adempiuto perfettamente fino alla
morte, creando il Premio “Maria Marino” rendendo noto il grande potere della
Poesia: rendere immorale ogni cosa che tocca. E Marino con il suo abbraccio
fraterno ha reso la sorella Maria un luminoso esempio di come la poesia riscatti
l’uomo dal dolore della vita tramite il canto, eternando il ricordo con parole cariche
di un affetto che solo chi ha amato la propria famiglia al di sopra di ogni altra cosa
può comprendere.
75
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• Umanesimo e Diritto, Domenico Marino, Estratto da “IDEA” n.8.10
Agosto-Ottobre 1981.
• Raimondo Spiazzi: Una di noi Maria, Domenico Marino, Roma, 1988,
Estratto da “Vivere In”, n. 3.
• Politica e Diritto in Giorgio Arcoleo, Domenico Marino, Palermo, 1985,
Estratto dalla rivista “Labor” Gennaio-Marzo, 1985.
• La veglia di Adrasto, estratto da “Intervento” rivista bimestrale fondata da
Giovanni Volpe, n. 84, Novembre-Dicembre 1987, Domenico Marino,
Roma, Edizioni Ciarrapico.
• Un poeta dell’Isola Mondo: Domenico Marino, Loriana Pupolin, estratto da
“Idea” n. 4 Aprile, 1983.
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